ISTITUTO PROFESSIONALE DI STATO PER L’INDUSTRIA E L’ARTIGIANATO SAN BENEDETTO DEL TRONTO TESINA MULTIMEDIALE PLURIDISCIPLINARE di GIUGNO 2007 INGLESE ITALIANO GNATOLOGIA STORIA SCIENZE DEI MATERIALI Romanzo del novecento Introduzione L'esperienza della Grande Guerra aveva lasciato negli animi degli intellettuali un senso di disperazione e di disorientamento: le opere di questo periodo, infatti, erano il segno evidente del disagio storico ed esistenziale, vissuto negli ambienti di cultura, ed, inoltre, di una concezione della vita segnata dalla precarietà delle cose e dalla costante presenza della morte. Il modello intellettuale che operava, quindi, nell'età fra le due guerre, si faceva portavoce di una fortissima eredità decadente, riscontrabile, questa, nella coscienza lacerata e nello stato di perenne viaggio e ricerca; teso ad esplorare gli angoli più riposti dell'"Io", destinato, però, a perdersi in un mondo estraneo ed indifferente alla sua sensibilità. Freud parlava di un intellettuale " sempre meno padrone in casa propria ", alla ricerca costante di un equilibrio tra la crisi esistenziale e l'esigenza di valori e ideologie cui fare riferimento; rivolto, attraverso il ricordo, a riaffermare uno spazio e un tempo lontani da lui. Si cominciò, quindi, a parlare di un passaggio dalla fase della "crisi", appartenente all'età decadente e ai primissimi anni del ‘900, alla “coscienza della crisi”. L'intellettuale, infatti, non si abbandonava più "alla malattia, alla follia, alla nevrosi, al delirio, al sogno e all'incubo, all'allucinazione, come strumenti privilegiati del conoscere", ma, con una maggiore consapevolezza critica, voleva indagare nella psiche umana, guardando attentamente alla propria realtà interiore e alle sue intime lacerazioni. A questa coscienza critica del proprio stato esistenziale corrisposero, dunque, notevoli innovazioni nell'arte e, in particolare, nella narrativa. Attraverso l'uso del monologo interiore e del "flusso di coscienza", infatti, scrittori, quali Italo Svevo, James Joyce e Virginia Woolf, attuarono un passaggio dal cosiddetto ROMANZO ESTETIZZANTE al nuovo ROMANZO PSICOLOGICO. In questi autori, quindi, non ritroviamo paesaggi e atmosfere, che erano state proprie di Oscar Wilde o Gabriele D'Annunzio; il loro era un "romanzo della crisi": la crisi e la frantumazione dell'"Io", della società, del narratore e del personaggio. Il romanzo dell'800 era nato come espressione di una società e di una cultura dai valori ben definiti, affidandosi a personaggi dall'identità ben precisa e collocando le vicende secondo un preciso ordine temporale e causale: si trattava, quindi, di una narrazione di fatti e di ambienti sociali descritti con esattezza e collocabili in un dato momento storico. Fu, invece, il romanzo decadente a ribaltare completamente questa concezione, introducendo, a sua volta, un'analisi più attenta dei sentimenti interiori. Nel '900, così, la mutata situazione culturale, determinata dalla consapevolezza dei limiti della conoscenza scientifica e dalla "relatività" dei concetti tradizionali di tempo e di spazio, generò un nuovo tipo di romanzo, quello psicologico Esso presentava personaggi INQUIETI, in cerca di un'identità precisa, nei quali il tempo era puramente interiore ed i fatti erano collegati secondo la soggettiva coscienza di ciascuno. In termini strutturali, a tale innovazione corrispondeva la dissoluzione della trama romanzesca tradizionale: nasceva, infatti, una nuova tecnica espressiva, il MONOLOGO INTERIORE, appunto, che univa le idee, non secondo un ordine logico e causale, ma secondo la SOGGETTIVITA' del personaggio. Si trattava di un romanzo non di fatti, cose, eventi, ma di riflessione, di analisi minuziosa degli stati d'animo e dei conflitti interiori. Per fare questo, naturalmente, diventava difficile, o addirittura impossibile, raccontare attraverso un punto di vista esterno, osservando, vale a dire, dall'alto i personaggi e la vicenda: ai fatti che si intersecavano in trame avvincenti ed entusiasmanti, si sostituivano, ora, i flussi di coscienza, ciò che accadeva nella mente, gli impulsi dei personaggi. I protagonisti vivevano in una condizione di normalità e le loro vicende erano più che altro interiori. Quando si raccontava con gli occhi dei personaggi, si dava voce alla memoria, alle emozioni e alle idee, in altre parole a qualcosa che non aveva una dimensione temporale: questo, quindi, comportava che il tempo della storia e quello della narrazione si allontanassero, a volte, a dismisura (nell'Ulysses di Joyce, ad esempio, si raccontava, in circa mille pagine, una sola giornata). La cultura di inizio secolo aveva fatto oramai comprendere come il tempo non fosse una realtà oggettiva, misurabile, ma una percezione individuale, soggettiva: il tempo non esisteva all'esterno dell'individuo, ma era INTERIORIZZATO, e ciò non si esplicava soltanto in "flashbacks" e in ricordi: i pensieri, i ricordi e gli affetti del cuore erano espressi attraverso la tecnica del monologo interiore e del flusso di coscienza; tecnica, questa, utilizzata nelle opere letterarie di Svevo, Joyce e Virginia Woolf. James Joyce • Clongowes Wood College, frequentato da Joyce. James Joyce nasce a Dublino nel 1882, è educato dai Gesuiti e si laurea in lingue e letterature straniere all’University College di Dublino.Non ancora ventenne, compie un viaggio a Londra, che lo porta a contatto con realtà molto differenti da quella irlandese, e gli permette di inquadrare con maggior chiarezza la "paralizzata" situazione politica e sociale dell’Irlanda. Entra in contrasto con la maggior parte degli intellettuali irlandesi dell’epoca, come Yeats, che esalta l’orgoglio nazionale e la storia irlandese al fine di creare uno spirito nazionalistico che possa supportare la lotta per l’indipendenza. Joyce, al contrario, crede che l’unico modo per risvegliare l’Irlanda dal proprio torpore sia analizzare la situazione presente e metterne in luce i punti deboli, ma i suoi concittadini preferiscono le lusinghe alle critiche, così Joyce decide di lasciare l’Irlanda. Vi ritorna un anno dopo, poiché la madre si ammala gravemente, e nel 1904, a 22 anni, conosce e si innamora di Nora Barnacle, che rimarrà la sua compagna per tutta la vita. Il 16 giugno, la data del loro primo appuntamento, diventerà il "Bloomsday" dell’Ulisse. In ottobre lasciano l’Irlanda per non farvi più ritorno, e si stabiliscono a Trieste, dove rimarranno fino al 1915. Gli anni a Trieste sono travagliati da problemi finanziari. Proprio in quel periodo stringe amicizia con Svevo. Pubblica "Musica da camera", "Gente di Dublino" e "Ritratto dell’artista da giovane". Allo scoppio della guerra è costretto a trasferirsi con Nora e i due figli a Zurigo, e ritorna a Trieste solo alla fine del conflitto. Scrive l’Ulisse, ma non trova editori disposti a pubblicarlo, perché ritenuta un’opera pornografica. Finalmente, nel’34, il valore artistico dell’opera viene riconosciuto e il libro esce negli USA. Joyce comincia a scrivere la sua ultima opera, "La veglia di Finnegan", che non avrà grande successo perché di difficile lettura. Muore in Svizzera nel 1941. James Joyce • Clongowes Wood College, frequentato da Joyce. James Joyce nasce a Dublino nel 1882, è educato dai Gesuiti e si laurea in lingue e letterature straniere all’University College di Dublino.Non ancora ventenne, compie un viaggio a Londra, che lo porta a contatto con realtà molto differenti da quella irlandese, e gli permette di inquadrare con maggior chiarezza la "paralizzata" situazione politica e sociale dell’Irlanda. Entra in contrasto con la maggior parte degli intellettuali irlandesi dell’epoca, come Yeats, che esalta l’orgoglio nazionale e la storia irlandese al fine di creare uno spirito nazionalistico che possa supportare la lotta per l’indipendenza. Joyce, al contrario, crede che l’unico modo per risvegliare l’Irlanda dal proprio torpore sia analizzare la situazione presente e metterne in luce i punti deboli, ma i suoi concittadini preferiscono le lusinghe alle critiche, così Joyce decide di lasciare l’Irlanda. Vi ritorna un anno dopo, poiché la madre si ammala gravemente, e nel 1904, a 22 anni, conosce e si innamora di Nora Barnacle, che rimarrà la sua compagna per tutta la vita. Il 16 giugno, la data del loro primo appuntamento, diventerà il "Bloomsday" dell’Ulisse. In ottobre lasciano l’Irlanda per non farvi più ritorno, e si stabiliscono a Trieste, dove rimarranno fino al 1915. Gli anni a Trieste sono travagliati da problemi finanziari. Proprio in quel periodo stringe amicizia con Svevo. Pubblica "Musica da camera", "Gente di Dublino" e "Ritratto dell’artista da giovane". Allo scoppio della guerra è costretto a trasferirsi con Nora e i due figli a Zurigo, e ritorna a Trieste solo alla fine del conflitto. Scrive l’Ulisse, ma non trova editori disposti a pubblicarlo, perché ritenuta un’opera pornografica. Finalmente, nel’34, il valore artistico dell’opera viene riconosciuto e il libro esce negli USA. Joyce comincia a scrivere la sua ultima opera, "La veglia di Finnegan", che non avrà grande successo perché di difficile lettura. Muore in Svizzera nel 1941. TECNICHE E TEMI RICORRENTI • • • • • • • • • PARALISI E OPPRESSIONE ESILIO E FUGA EPIFANIA FLUSSO DI COSCIENZA TEMPO E SPAZIO DUBLINO RICERCA RIBELLIONE IMPERSONALITA' E ALIENAZIONE DALLA SOCIETA' • MITO • Joyce, appena ventenne, fugge dal clima di paralisi morale, sociale, politica e culturale che aleggia sull’Irlanda, per paura di non esserne totalmente immune. Egli crede che l’unico modo per risvegliare la coscienza nazionale sia mostrare le debolezze, l’impoverimento e l’apatia morale che pervadono l’Irlanda; infatti il tema della paralisi, del labirinto e del senso di oppressione ricorre in ogni sua opera. • La naturale reazione al senso di oppressione, alla paralisi, è la fuga, l’esilio, che quasi tutti i suoi personaggi tentano, senza successo. Nessuno riesce a tagliare completamente i ponti col proprio mondo: né a cominciare altrove una nuova vita, né a liberarsi dall’oppressione e dalla paralisi psicologica. Neppure l’artista ribelle, Stephen Dedalus, riesce a partire; forse ritenterà con successo nel libro “Ulisse”, dopo l’incontro con Bloom. • Un’epifania è un’improvvisa rivelazione spirituale causata da un gesto, un oggetto, una situazione quotidiani, banali; che di solito il protagonista sperimenta in un momento di crisi, e che si rivela di importanza fondamentale nella sua vita. E’ una specie di punto di non-ritorno, dopo il soggetto non vede più le cose con gli occhi di prima. Per Joyce, l’epifania svela significati più profondi dell’esistenza, ci porta oltre l’apparenza delle cose, ed è spesso il punto centrale, la chjave del romanzo. • Il flusso di coscienza è la tecnica narrativa utilizzata da Joyce nei suoi romanzi. Nel primo (“Gente di Dublino”) è utilizzato il discorso indiretto libero; nei seguenti questa scelta linguistica viene sempre più esasperata, fino ad arrivare al flusso di coscienza estremo de “La veglia di Finnegan”, che rende la lettura molto difficoltosa. E’ utilizzato per rappresentare i pensieri dei personaggi liberamente, così come si presentano nella loro mente, prima di essere selezionati e logicamente organizzati in frasi dalla coscienza, dalla parte consapevole e razionale della mente. Non c’è mediazione del narratore. Joyce è influenzato dalle teorie psicanalitiche di Freud, che per primo analizza razionalmente l’inconscio. Grammaticalmente, questo stile è caratterizzato da carenza di punteggiatura, parole provenienti dai campi semantici più disparati, inventate, e variazioni di registri linguistici. • Il tempo è visto come una linea continua, ininterrotta, come dice Stephen Dedalus: “Il passato si consuma nel presente, e il presente vive solo perché porta in se’ il seme del futuro.”. Le conseguenze del passato sono nel presente, e a sua volta il presente determina il futuro. Il tempo e lo spazio sono rappresentati, visti, soggettivamente, non più oggettivamente. Attraverso il flusso di coscienza, il personaggio può restare fisicamente fermo, e muoversi con la mente a proprio piacimento nel tempo e nello spazio, le dimensioni spaziali e temporali perdono consistenza materiale.Tutta la storia dell’Ulisse si svolge in meno di 24 ore, nella stessa città, benchè narri una vita intera. • Tutte le opere di Joyce sono ambientate a Dublino, paradossalmente la città da cui egli è fuggito, ritenendola il centro della paralisi irlandese. Il perché non è certo, ma è probabile che volesse dare alla sua città un’importanza letteraria. Inoltre, la conosceva bene, così come conosceva bene le abitudini quotidiane dei suoi abitanti. Infine,nei suoi libri, Joyce faceva sempre riferimento alla situazione irlandese, anche se ciò gli serviva da base di partenza per allargare poi i propri orizzonti e descrivere emozioni, sentimenti, riflessioni umane a un livello più generale. • Spesso gli eroi di Joyce sono alla ricerca, più o meno consapevolmente, di qualcosa: la libertà dalla paralisi e dall’oppressione, le relazioni con gli altri, la comprensione del mondo che li circonda, una guida, una figura paterna, come nel caso si Stephen, che li sappia guidare, di cui essere orgogliosi e da prendere a modello. • Il tema della ribellione emerge con forza nel “Ritratto dell’artista da giovane”, dove Stephen passa dall’infantile accettazione dell’autorità, alla ribellione adulta. La ribellione è rappresentata sia in conflitti familiari, sia nel conflitto con la Chiesa, in particolare con quella Cattolica irlandese, vista come provinciale e filistea, che aveva acquistato notevole potere sulle menti della gente. La ribellione sfocia anche in conflitti politici fra i vari personaggi. • Per Joyce, l’artista deve alienarsi dalla società, deve guardare la vita oggettivamente, per renderne un’immagine vera. Questo porta necessariamente ad un distacco dell’artista dalla società, affinché egli possa osservarla dall’esterno, senza coinvolgimenti e lucidamente. Questa idea si rispecchia anche nello stile, poiché la narrazione è affidata direttamente ai personaggi, senza mediazione dell’autore, o di un narratore onnisciente. • Joyce era interessato alle verità universali e senza tempo contenute nei miti, e riferimenti mitologici sono presenti in abbondanza nelle sue opere. Ad esempio, la similitudine tra Dedalo e Stephen Dedalus, nel “Ritratto..”, o la struttura de “Ulisse”, che ricalca quella dell’Odissea, e i numerosi punti di contatto tra Leopold Bloom, il suo girovagare, e l’ Ulisse omerico e il suo viaggio di ritorno a casa. L’inconscio Ossessioni, visioni, incubi, sogni esprimono la dimensione inconscia dell'animo umano. "Secondo una definizione intuitiva, l'inconscio è l'insieme di quegli aspetti della mente che non sono accessibili alla coscienza. In questo senso si può parlare di meccanismi inconsci, in quanto si suppone che esista una "fabbrica" dei pensieri e delle idee che noi non conosciamo. Ma si può parlare anche di idee inconsce e di fantasie inconsce. Si suppone che ci sia un mondo dietro lo specchio: da una parte il mondo che ci è accessibile, il mondo dei fenomeni che è percepito dalla nostra coscienza; dall'altra parte dello specchio una specie di doppio, in cui esistono altre idee, altri pensieri, altre immagini, altri ricordi " ( G. Jervis ) E' stato Sigmund Freud agli inizi del '900 a dare una definizione ed una configurazione scientifica al concetto, precisandolo in senso psicologico e non filosofico. Oltre al legame che Freud vede tra le dinamiche dell'inconscio e la sessualità, è importante l’analisi relativa all’idea di rimozione. Con questo termine Freud intende una sorta di autocensura della psiche a riconoscere, far emergere, dare significato a idee, ricordi, fantasie, desideri e pulsioni del nostro passato. Tali elementi continuano ad agire profondamente e segretamente dentro di noi, ma restano preclusi alla nostra coscienza. Essi si manifestano nei momenti di minor controllo della nostra ragione: ad esempio nei sogni, nelle visioni, ma anche attraverso gli atti mancati, i lapsus, i caratteri originali dei nostri atteggiamenti e del nostro linguaggio. • • Nell'arte e nella letteratura l'esistenza più o meno esplicitamente riconosciuta di una dimensione inconscia nell'animo umano, ha da sempre influenzato i linguaggi espressivi. In generale la scelta - apparentemente inspiegabile a livello comunicativo - di immagini, contesti, intrecci particolarmente lontani dalla realtà esperibile, si riconduce all'inconscio, che riproduce fertilmente - nell'abbandono dell'ispirazione artistica - ricchi repertori di elementi dal valore analogico e simbolico. In particolare il linguaggio poetico - con i suoi continui scarti semantici - sfrutta le potenzialità visionarie e talvolta allucinatorie del sogno e dell'immaginario in genere. Anche alcuni narratori sperimentano le potenzialità dell'inconscio, ricreando situazioni fortemente segnate da angosce, incubi, fobie, ansie persecutorie ( Poe, Kafka ) oppure dall'immagine conturbante del doppio che alberga misteriosamente nella nostra personalità ( Shelley, Stevenson, Wilde). Al di là degli esiti narrativi molto diversi, sarà interessante esaminare quali espedienti espressivi questi autori mettono in campo non solo per rappresentare la loro esperienza allucinatoria, ma anche in qualche modo per farla rivivere al lettore. Il grafo evidenzia quattro aree di analisi nella vastissima panoramica di ambiti e prospettive che abbraccia la tematica dell’inconscio. • In basso a sinistra la parola chiave follia richiama le degenerazioni, purtroppo stabili, della razionalità, che subisce la forza devastante dell'inconscio, perenne produttore di realtà sostitutive, provocando il pericoloso allontanamento dai rapporti comunicativi. • In basso a sinistra si ricorda che il tema dell'inconscio è legato all'inscindibile legame della mente con il corpo, con i suoi desideri, le sue pulsioni, i suoi istinti. Esso si configura in Freud, ad esempio, come strumento per dar vita - in modalità simboliche e deviate - alla sessualità. Più generalmente la rimozione investe nel profondo la nostra psiche ed attinge - misteriosamente - dall'io i materiali per creare le sue realtà sostitutive ( sogni e visioni ad esempio). In alto a destra si richiamano alcune modalità di manifestazione dell’inconscio che la letteratura ha valorizzato. I concetti di memoria involontaria, di monologo interiore e di flusso di coscienza caratterizzano ogni recupero istintivo ed apparentemente incontrollato del passato, un passato perlustrato attraverso approssimazioni progressive, che fanno emergere sempre più nitidamente realtà ricomposte e rivisitate con gli occhi del presente. La casualità delle situazioni che producono lo scatto della memoria involontaria - accanto alla ricchezza delle elaborazioni mentali indotte – sono rintracciabili nell’opera di Proust Alla ricerca del tempo perduto e nell’opera di Joyce e Svevo. Tuttavia tale recupero del passato appare - in molti casi - profondamente ambiguo, in quanto filtrato dalle esigenze della scrittura e dalle operazioni mentali che ne consentono il reinserimento nel reticolo narrativo. • Il passato non è veramente enucleato come giacenza inesplorata dell'animo, ma piuttosto ricomposto grazie alle mediazioni del presente e ripresentato con tutti i compromessi ed i condizionamenti della sua nuova collocazione. In tal senso la scrittura ( sotto forma di autobiografia, di diario, di confessione ) diventa un modo per rinnegare alcuni procedimenti della cura psicanalitica e riportare il discorso sul sè sotto l’alveo del controllo razionale. • Infine nello spazio in alto a sinistra si richiama il legame che unisce le forze inconsce dell’animo alla caratterizzazione analogico-simbolica della poesia moderna. Come si è già accennato solo l'abbandono dei legami comunicativi del linguaggio e l’assunzione dei suoi valori evocativi, associativi, correlativi, simbolici e metaforici... può produrre un'arte profonda e sincera, che accetta la sfida comunicativa con il lettore - ascoltatore, impegnandolo a penetrare in profondità l'individualità di ogni artista. • • • • • • • ESILI EPIFANIE MUSICA DA CAMERA, 1907 GENTE DI DUBLINO, 1914 RITRATTO DELL'ARTISTA DA GIOVANE, 1917 ULISSE, 1918 LA VEGLIA DI FINNEGAN, 1934 • Scorcio dell'odierna Dublino: Cattedrale di St. Patrick; • • • • • • • • • “Gente di Dublino” è una raccolta di 15 brevi storie, scritte per il settimanale “The Irish Homestead”. I protagonisti sono, come dice il titolo, dublinesi, ritratti in momenti di vita quotidiana. Proprio queste azioni comuni e banali rispecchiano i temi principali della raccolta, che ricorrono in tutte le storie: la paralisi e la fuga. La paralisi di cui parla Joyce è spirituale e morale, causa ed effetto della politica, religione e cultura irlandese del tempo, ma viene rappresentata nei racconti, spesso, attraverso una paralisi fisica o psicologica dei protagonisti, o tramite la descrizione di luoghi e oggetti vecchi e polverosi. L’acquisizione, da parte dei protagonisti, della consapevolezza di questa paralisi è il punto culminante del racconto, l’epifania. E’ questa rivelazione che rende l’episodio banale centrale nella vita dei protagonisti.La reazione a questa presa di coscienza è la fuga, che puntualmente fallisce. Nessun personaggio riesce a tagliare completamente i legami con il proprio mondo, né materialmente, né psicologicamente. Questa paralisi, questo senso di oppressione, impedisce loro anche di avere relazioni soddisfacenti con gli altri e col mondo. Attraverso l’abbondanza di banali dettagli, Joyce ci svela significati più profondi, e allo stesso tempo crea momenti di grande intensità emotiva. Ogni racconto è narrato dal punto di vista di un personaggio, con abbondante uso del discorso indiretto libero, e limitatissima intromissione del narratore. Il tipo di linguaggio utilizzato varia secondo l’età e la classe sociale del personaggio. • Dublino agli inizi del Novecento • • Molti hanno visto quest’opera come semiautobiografica, ed, in effetti, le somiglianze fra Stephen Dedalus, il protagonista, e il giovane Joyce sono molte: il college gesuita che Stephen frequenta, la vista debole, l’intelligenza acuta e la costituzione delicata. Ma la questione ha un’importanza relativa. In questo libro Joyce, come dice il titolo, offre “A portrait”, cioè UN ritratto dell’artista, con molti degli stereotipi che solitamente gli sono associati, primo fra tutti, l’alienazione dalla società. Il conflitto con la società si caratterizza nel conflitto col padre, con numerosi compagni, con la Chiesa e con l’istituzione politica, fino a sfociare nella decisione di un volontario esilio. Stephen passa dalla passiva accettazione dell’autorità, da bambino, alla ribellione; il romanzo si estende, infatti, dall’infanzia del protagonista alla sua decisione di partire, quando è ormai uno studente universitario. • Il punto centrale della vita di Stephen, e di tutto il romanzo, è il momento in cui scopre la sua vocazione di scrittore, l’epifania più importante.Temi principali del libro, oltre all’oppressione e alla conseguente fuga, sono: la ricerca del padre, o meglio, di una figura paterna, poiché il vero padre di Stephen è per lui solo fonte di umiliazione; e il mito, come si può notare già dal nome del protagonista. Stefano è, infatti, il primo martire cristiano, così come Stephen è un martire dell’arte, e Dedalus richiama alla mente Dedalo, il mitico personaggio che deve “spiccare il volo” per fuggire dal labirinto. Il labirinto, politico e sociale, per Stephen è Dublino, dal quale deve “volare via”. Inoltre, Stephen scopre la sua vocazione vedendo una ragazza, sulla spiaggia, che egli paragona a un uccello marino, venuto a chiamarlo, a portargli il messaggio. La tecnica narrativa utilizzata è il flusso di coscienza. Portrait of an artist as a young man • Trama • 1. Stephen Dedalus vive, bambino, nell'Irlanda cattolica: il padre, Simon, è un magistrato; in casa sua si riuniscono i parenti e gli amici (lo zio Charles, la signora Dante, Riordan, Mr. John Casey) a discutere vivamente di politica (Parnell è stato ucciso). Stephen viene mandato in collegio dai gesuiti: Il suo maestro è il comprensivo Padre Arnall, ma il collegio è terrorizzato dal crudele padre Dolan, che picchia gli allievi sulle dita; quando questi lo punisce ingiustamente (ha rotto gli occhiali e non può fare i compiti), Stephen (che è il migliore della classe, ed un po' deriso dai compagni) va a chiedere giustizia dal rettore. 2. La vita collegiale è movimentata da alcuni episodi: una rappresentazione teatrale, l'amore platonico per una ragazza, le zuffe verbali e corporali con Vincent Heron e gli altri compagni che lo scherniscono per la sua segreta infatuazione, o lo stuzzicano criticando i suoi scrittori preferiti. Suo padre, un orgoglioso irlandese ed un fedele cattolico, lo educa ai sani principi della sua gente, e lo trasferisce nel collegio dove studiò lui stesso, ma Stephen, adesso padrone della propria vita, si dà alle spese folli e, nonostante la coscienza l’accusi di peccato mortale, va a conoscere il sesso in un bordello. • • • • • • • 3. Durante il ritiro spirituale, suggestionato dalle severe prediche dei suoi insegnanti, Stephen viene colto dal terrore della perdizione; in preda ad un delirio di visioni apocalittiche, vaga per le strade finché trova la forza d'entrare in una chiesa e farsi confessare. Riconquista così la pace dell'anima, ed è ossessionato dall'idea di poter peccare di nuovo. Il peccato lo tormenta: ogni volta che si confessa deve confessare di nuovo lo stesso peccato; l'espiazione non ha fine. Lunghi deliri in un'atmosfera d'incubo descrivono i moti della coscienza di Dedalus, la sua subconscia interpretazione dei fatti della vita. 4. Il direttore del collegio pensa invece che, sia per il carattere, sia per il profitto dei suoi studi, Stephen sia vocato alla vita sacerdotale; ma Stephen non è attratto dalla grigia esistenza dei gesuiti: vuole vivere, "ricreare" continuamente "vita dalla vita". 5. All'università, gli studenti (fra cui Stephen, che è uno dei meno loquaci, ma anche dei più acuti), discutono di filosofia e politica; Stephen è ancora innamorato platonicamente della stessa ragazza che conobbe bambina, anche se è affetto da un senso di colpa per le proprie crisi di lussuria. Il suo credo si fa sempre meno ecclesiastico e più eretico, sempre meno patriottico e più universale. Stephen decide di lasciare l'Irlanda per andare incontro alla propria missione, benché sappia di spezzare il cuore di sua madre. Autobiografismo con flusso di coscienza intriso di lirismo. JAMES JOYCE E IL MONOLOGO INTERIORE • La prima parte del XX secolo rappresenta un'epoca di sperimentazione in tutti i campi della cultura. Nella narrativa la ricerca di nuove forme espressive conduce i romanzieri ad un interesse nuovo nell'interiorità dei personaggi, nel contenuto e negli aspetti formali del romanzo. Sperimentando nuove forme i modernisti concentrano la loro attenzione sui processi mentali che si sviluppano nella mente umana, cercando di esplorarli attraverso la tecnica dello “strema of conscjousness”. Questa riguarda quell'area della mente umana che sta al di là della comunicazione e che non è quindi controllata razionalmente né logicamente ordinata. Le tecniche usate per esprimere il flusso di coscienza includono il " flash back ", la storia nella storia, l’uso di similitudini e metafore e di una particolare punteggiatura. Il metodo utilizzato per tradurre in parole il flusso di coscienza è il monologo interiore che disdegna spesso i passaggi logici, la sintassi formale e la punteggiatura convenzionale proprio per riflettere la sequenza caotica dei pensieri. James Joyce andò oltre, con l'uso del monologo interiore diretto, nel quale passa improvvisamente da un pensiero ad un altro senza alcun apparente rispetto delle regole grammaticali e sintattiche della lingua. Ammiratore di Walter Pater, Joyce fu influenzato dall'estetismo, soprattutto nel suo estremo interesse per la forma e nell'idea della totale indipendenza dell'arte dalla morale, sebbene dell'estetismo non condividesse il credo dell' " Arte per l'Arte " poiché per lui l'arte era necessariamente uno strumento di conoscenza. • Il ruolo dell'artista non era quello di insegnare ma di presentare la realtà in tutti i suoi aspetti nel modo più impersonale ed oggettivo possibile e di lasciare al lettore la possibilità di comprenderla attraverso la sua personale percezione. Gli aspetti formali del romanzo erano quindi per Joyce estremamente importanti. Nelle sue opere adottò tecniche differenti, dalla narrazione in terza persona allo strema of conscjousness e differenti stili linguistici. " Ulysses ", scritto nel 1922, è considerato il capolavoro di Joyce e il punto di arrivo della sua sperimentazione. E' ambientato a Dublino e descrive gli eventi di un singolo giorno, il 16 giugno 1904, seguendo il percorso fisico e psicologico dei tre personaggi principali: Lepold Bloom, un uomo comune, sua moglie Molly e l’artista Stephen Dedalus. Il romanzo si apre con Dedalus che, rifiutato il padre, è alla ricerca di una figura che possa sostituirlo. La seconda parte descrive le attività giornaliere di Leopold dal momento in cui esce da casa per recarsi al lavoro al suo incontro con Dedalus. Leopold conduce quest''ultimo a casa dove sua moglie Molly è già a letto. Il romanzo, che non ha un intreccio tradizionale, è basato sui dettagli insignificanti della vita di tutti i giorni e della vita interiore dei personaggi. E' scritto con una varietà di stili e tecniche, è realistico ma anche altamente simbolico ed una chiave per la sua interpretazione è data dal parallelo con l'odissea omerica. I suoi 18 capitoli, infatti, corrispondono ad altrettanti episodi del poema omerico; Leopoldo Bloom rappresenta Ulisse, Molly Penelope e Stephen il figlio Telemaco. Ma l'eroe di Joyce è un uomo comune e le sue avventure sono gli avvenimenti della vita di un giorno qualunque in una città moderna. Alla fine della giornata egli fa ritorno a casa da una moglie infedele. Il monologo di Molly appartiene all'ultima parte del romanzo, intitolata Penelope, e ne è la conclusione. I pensieri e le impressioni di Molly sono presentati così come affiorano nella sua mente. L'autore non interviene mai a spiegarli, commentarli e ordinarli, raggiungendo in tal modo il massimo dell'oggettività. Essi non seguono né un ordine cronologico, passando dal presente al futuro immediato a specifici episodi del passato, né un ordine di causa-effetto. Le caratteristiche più evidenti del monologo sono: l'assenza di punteggiatura e di connessioni logiche, l’uso della prima persona, la ricorrenza di certe parole ed immagini. “ULYSSES" • • "Ulysses" è la chiave di volta della carriera artistica di James Joyce, e uno dei grandi successi della letteratura del XX secolo. Composto a Trieste e a Zurigo durante la I guerra mondiale e completato a Parigi dopo il conflitto, l'epica di Joyce esprime pienamente il caos e il dramma di "un mondo in transizione".L'opera rappresenta il massimo approdo artistico dello SPERIMENTALISMO linguistico e dell'analisi psicologica dell'autore che, rifacendosi alle peregrinazioni dell'Ulisse omerico, trasforma quelle peripezie nei movimenti di Leopold Bloom e del giovane Stephen Dedalus, per le strade di Dublino. I due personaggi sono destinati ad incontrarsi per una sorta di reciproco richiamo: l'uno, Leopold (Ulisse), rappresenta il "padre" che va alla ricerca del figlio, essendogliene morto uno in tenera età; l'altro, Stephen (Telemaco), raffigura il "figlio", che va alla ricerca di un padre che possa compensarne le carenze affettive e gli squilibri mentali ed interiori. Tutto ciò accade nell'arco dell'intera giornata del 16 giugno 1904 nella città di Dublino, dove avvengono l'incontro e la reciproca identificazione dell'uno nell'altro, con il finale ricongiungimento a casa di Leopold e di sua moglie Molly (Penelope). • Joyce imposta l'opera su una suddivisione in tre momenti: • • • la prima parte, "Telemachia", ovvero il figlio alla ricerca del padre; la seconda parte, "Odissea", ovvero le peregrinazioni di Leopold alla ricerca del figlio; la terza parte, "Nostos", cioè il ritorno dei due a casa. • E proprio lo stesso Joyce, nel 1918, a proposito del romanzo, lo definirà come un' "Odissea moderna": si era rifatto ad Omero per guidare gli inquieti vagabondaggi del suo eroe moderno, Leopold Bloom. L'opera, però, non nasceva come un caso isolato, bensì si collocava come continuazione di due opere precedenti, "Dubliners" e "A portrait of the artist as a young man". Ne ereditava gli spunti autobiografici e le vicende interiori di alcuni personaggi, come Stephen Dedalus, ma, allo stesso tempo, ne approfondiva anche l'analisi psicologica, allargando lo sguardo alla città e smascherando la realtà desolata che essa racchiudeva e i suoi effetti sull'individualità. • E la singola giornata che Joyce descrive riassume in sé tutti i valori negativi della moderna società postbellica: oramai non c'è più posto per l'autenticità dei rapporti umani, ma solo per le ipocrisie, per le volgarità, per le alienazioni, per il rifugio nelle fantasticherie sessuali (come in Molly Bloom), capaci di compensarw la tristezza e la mancanza d'amore. Ed è proprio in questo caso che si può parlare dell'"Ulysses" come "Odissea moderna": non più l'eroe classico, risoluto nei propri intenti, fermo nelle certezze, uomo d'ingegno e di grande forza interiore; ma l'uomo del '900, con la coscienza frantumata e i valori dissacrati, con le paure e le inquietudini; "l'uomo che ai mari sterminati sostituisce l'opprimente città, che trasforma il mito nella caotica società urbana". Ed è su quest'uomo che si posa l'occhio di Joyce, come testimone impietoso, ma anche sofferto, della crisi della nostra civiltà. Analizzando l'intera opera, mi è piaciuto soffermarmi sul famosissimo "MONOLOGO INTERIORE DI MOLLY BLOOM", nella parte finale del libro, rappresentante il disordinato e tumultuoso scorrere notturno dei flussi mentali della donna. E' difficile dare una caratterizzazione logico-razionale ad un contenuto mentale che si presenta come un "flusso di coscienza", come un'immediata registrazione del pensiero, colto nelle sue libere e analogiche associazioni in uno stato di dormiveglia. Siamo nella parte terminale dell'opera: il personaggio è rappresentato in un momento di insonnia alle due e un quarto di notte, nel pieno delle sue divagazioni sul sonno. Ed ecco, in un susseguirsi simultaneo di immagini, i cinesi che già si stanno alzando, data la differenza di fuso orario tra Dublino e la Cina; l'angelus dublinese che sta quasi per suonare; la "sveglia di quelli accanto" che "al primo chicchirichì si fa uscire il cervello a forza di far fracasso" ed, infine, il tentativo di contare per addormentarsi. Dal nulla, poi, come frutto dell'inconscio, sorgono nella mente di Molly simbolismi floreali, che si configurano nell'idea di "una bella piantina" e nel desiderio di sentirsi circondata da rose. Tutto ciò nasconde la straordinarietà del personaggio, amante della natura e sensibile verso "ogni specie di forme e odori e colori", segno, questi, della presenza regolatrice di Dio, negato dagli "atei" che, comunque, non hanno alcun potere sulla natura da riuscire ad "impedire che domani sorga il sole". • • Ed è a questo punto che la naturalità e la femminilità di Molly emergono, definendosi meglio come vera e propria sensualità. La libera associazione di idee, infatti, si focalizza sull'immagine del sole che, prima è visto come fatto astronomico, poi si trasforma nel simbolo del calore passionale, "e il sole splende per te disse lui". Affiora il ricordo del primo bacio datole dal marito 16 anni prima, immersi nello scenario naturale dei rododendri, il cui colore rosso si tinge di simbolismi sessuali, perché segno della passione. E di qui il pensiero corre verso il primo rapporto amoroso con il marito, tra il profumo del suo petto femminile, i battiti impazziti del cuore del giovane e l'inno finale alla vita e alla speranza, scandito dal cadere vorticoso di quei "sì", nei quali si condensa tutto l'impeto istintuale, la fisicità travolgente e l'accettazione incondizionata del suo essere donna. La grande rivoluzione dell'"Ulysses" si ha, proprio, nella particolare tecnica narrativa di cui si serve Joyce, lo "stream of consciousness", il "flusso di coscienza", e di cui il monologo di Molly è il migliore esempio. Esso si risolve nell'adesione immediata dello scrittore allo svolgersi dei pensieri, delle percezioni sensoriali, degli stati d'animo, delle emozioni, delle associazioni di pensieri, colte in una zona della psiche in cui le parole scorrono fluide e libere, caotiche e disordinate, prive di strutture causali e consequenziali. Ciò significa, quindi, disgregare sintatticamente la frase, abolire la punteggiatura, sperimentare nuovi linguaggi e nuovi stili, deformare le parole ed eliminare ogni ordine logico-grammaticale. Con il flusso di coscienza il narratore funge da "registratore del pensiero", riproducendolo allo stato puro, nel suo attuarsi. E' questo un "viaggio all'interno della coscienza", dove l'autore "si è proposto non soltanto di rendere, nei minimi particolari, con estrema precisione e bellezza, gli spettacoli e i suoni tra cui si muovono i suoi personaggi, ma, rivelandoci il mondo come essi lo percepiscono, di scoprire quel vocabolario e quel ritmo che, unici, possano rappresentare il pensiero di ognuno." E l'arte di Joyce è pienamente riuscita nei suoi intenti. Joyce a Trieste • Joyce arrivò a Trieste per la prima volta il 20 ottobre 1904, attratto dalla possibilità di ottenere un posto di insegnante presso la locale Berlitz School. Purtroppo, però, il posto che gli era stato prospettato non era disponibile ed egli fu indirizzato a Pola - la principale base navale austriaca sulla costa istriana - dove da poco avevano aperto una nuova sede della scuola. A Pola Joyce rimase fino agli inizi di marzo del 1905 quando finalmente - potè rientrare a Trieste in tempo per la nascita, il 27 luglio 1905, del primo figlio avuto dalla sua compagna, Nora Barnacle, cui venne dato il nome di Giorgio. • Ben presto, in ottobre, la famiglia si allargò a comprendere il fratello di James, Stanislaus, che a sua volta si trasferì dall'Irlanda nella città adriatica e a sua volta ottenne un posto di insegnante alla Berlitz School. Nel giugno del 1906 James e Nora si trasferirono a Roma, dove Joyce aveva trovato un impiego presso la Nast, Kolb & Schumacher Bank, ma già nel marzo del 1907 fecero ritorno a Trieste. In aprile di quell'anno, Joyce ebbe occasione di tenere delle conferenze per conto dell'Università Popolare e in maggio riuscì a far pubblicare Chamber Music. Sempre in maggio, Joyce si ammalò gravemente di una “febbre reumatica”, che lo rese inabile per molti mesi. Il 26 luglio nacque la figlia Lucia. Durante questo periodo Joyce iniziò a rimaneggiare Stephen Hero e il Portrait, tentò di pubblicare Dubliners e, nel corso dell'autunno 1907, lasciò la Berlitz School per insegnare privatamente a diversi allievi della buona borghesia, fra cui Italo Svevo. Nell’agosto 1908 Nora ebbe un aborto e la coppia perse il terzo figlio. In questo terribile anno Joyce cominciò a prendere lezioni di canto al Conservatorio di Musica di Trieste con il maestro triestino Romeo Bartoli e nel luglio 1909 prese parte al quintetto dell’opera Die Meistersinger von Nürnberg di Wagner. Nell’estate del 1909 Joyce si recò a Dublino per presentare il figlio Giorgio alla sua famiglia, ritornandovi una seconda volta in autunno per sovrintendere all’apertura del cinema "Volta": un'iniziativa imprenditoriale promossa dallo stesso Joyce e destinata a un rapido fallimento. Rientrato a Trieste nel gennaio del 1910, trascorse i due anni successivi continuando a insegnare privatamente in una scuola serale e tentando più volte di pubblicare Dubliners. Nel febbraio del '12 tenne altre conferenze all’ Università Popolare, occupandosi di Blake e Defoe. In aprile si recò a Padova per sostenere gli esami di abilitazione che gli avrebbero permesso di insegnare nelle scuole statali italiane; superò la prova in modo brillante, ma invano, perché il suo titolo di studio non fu riconosciuto in Italia. Nell’estate del 1912 ritornò in Irlanda con Nora e Lucia, facendo tappa anche a Galway. • In settembre, dopo il ritorno a Trieste, la famiglia Joyce si trasferì in via Bramante, 4. Dal novembre 1912 fino al febbraio 1913, Joyce diede una serie di conferenze su Amleto, mentre nell'ottobre di quel 1913 iniziò ad insegnare alla Scuola Superiore di Commercio Revoltella. È del dicembre 1913 il primo contatto con il poeta americano Ezra Pound, che desiderava pubblicare alcuni dei suoi versi e, a partire da questo momento, la fortuna letteraria di James Joyce ebbe una decisa impennata: il suo Portrait of the Artist as a Young Man, appena portato a termine, venne pubblicato a puntate su "The Egoist" nel 1914 e Dubliners vide finalmente la luce nel maggio di quell’anno. Inoltre, in quel periodo, Joyce scrisse Exiles e iniziò a progettare e a stendere alcune parti di Ulysses. Allo scoppio della prima Guerra Mondiale, tuttavia, la situazione della famiglia Joyce si fece una volta di più precaria: già nel dicembre del 1914 Stanislaus, in quanto suddito di un paese nemico, fu internato; il fratello maggiore non subì la stessa sorte, ma la Scuola Revoltella chiuse nel 1915 per mancanza di studenti e insegnanti e i Joyce dovette lasciare Trieste alla volta di Zurigo alcune settimane dopo. La famiglia potè fare ritorno a Trieste solo nell’ottobre 1919, rimanendovi fino al giugno del 1920. Durante questo periodo Joyce riprese a insegnare alla Scuola Revoltella. Scrisse Nausicaa e Oxen of the Sun, due episodi dell'Ulysses, e iniziò l’episodio intitolato Circe. Tuttavia Joyce non si sentiva più a casa propria in questa sua città adottiva e, dopo aver incontrato Ezra Pound a Sirmione, si lasciò convincere a trasferirsi a Parigi. Non sarebbe mai più ritornato a Trieste, ma avrebbe mantenuto i contatti con i suoi amici triestini fino agli ultimi giorni della sua vita. • • PANORAMA Quando Joyce lasciò Trieste per l’ultima volta nel luglio 1920, quasi 16 anni dopo il suo primo arrivo nella città adriatica nell’ottobre 1904, stava abbandonando il luogo dove aveva scritto e aveva visto pubblicate tutte le sue opere giovanili – Chamber Music, Dubliners, Portrait of the Artist as a Young Man, Exiles e Giacomo Joyce e dove aveva steso i primi, importantissimi episodi di Ulysses, il romanzo che ha cambiato il corso della letteratura moderna già prima del 1922, data della sua pubblicazione. Non solo: stava anche lasciando la città nella quale, all’ età di 38 anni, aveva trascorso la maggior parte della sua vita adulta. • Quando parliamo del rapporto fra lo scrittore James Joyce e la città di Trieste, quindi, stiamo parlando di un aspetto estremamente significativo non solo della sua biografia ma anche della sua evoluzione in quanto autore, oltre che di un dato essenziale per comprendere a fondo alcune caratteristiche delle sue opere. Se Dublino fu la città dove la personalità di Joyce venne creata e plasmata, Trieste è quella dove si sviluppò e maturò; il luogo in cui, per dirlo con le parole del noto romanziere irlandese Colm Toibin, «Joyce crebbe». Trieste fu il periplum di Joyce come il Mediterraneo era stato quello di Ulisse; fu il luogo in cui navigò per più di dieci anni, in cui conobbe molte persone che dovevano avere un ruolo importante nella sua vita. Fu il luogo in cui ebbe molte esperienze diverse e fondamentali: qui divenne padre di due bambin,i perdendone però un terzo in seguito ad un aborto; qui incontrò la malattia, la dura povertà e una lunga serie di problemi personali e letterari, ma conobbe anche un crescente numero di successi. A Trieste fu insegnante, conferenziere, giornalista, impiegato, studente di canto, traduttore, aspirante imprenditore (oltre che "marito", padre, fratello e amico - o conoscente - di molti componenti dell’élite economica, politica e intellettuale della città). A Trieste Joyce sviluppò e perfezionò la sua arte, traendo molta della sua ispirazione da fatti, persone e luoghi che vi vide ed elaborandone i caratteri nelle sue rivoluzionarie opere. La 1° guerra mondiale Il 28 Giugno 1914 l’Arciduca d’Austria Francesco Ferdinando, erede al trono asburgico era in visita ufficiale a Sarajevo, in Bosnia. Un gruppo di studenti organizzò un attentato e uno di loro, Gavril Prinzip, mischiatosi nella folla riuscì a uccidere l’Arciduca e a ferire gravemente la moglie.Gli attentatori lottavano per l’indipendenza della Bosnia e dell’Erzegovina, due paesi annessi all’Impero austro-ungarico pochi anni prima. Essi erano stati aiutati da un regno slavo della penisola balcanica, la Serbia mirava a espellere l’Austria dalla penisola balcanica ed assumere il ruolo di stato guida di quell’area. Per questa ragione l’Austria ritenne la Serbia responsabile dell’attentato e il 28 Luglio bombardò Belgrado, la sua capitale. In realtà l’assassinio non fu che un semplice pretesto per scatenare una guerra che era già nell’aria da tempo e che appariva come conseguenza quasi inevitabile della scelte politiche ed economiche effettuate dalle grandi potenze industriali nel trentennio precedente. Le cause politiche del conflitto erano il contrasto tre Austria e Russia per il controllo dei Balcani e il contrasto tra Germania e Francia per le regioni dell’Alsazia e la Lorena.A queste ragioni politiche se ne aggiungevano altre di natura economica: ogni potenza infatti desiderava accaparrarsi nuovi mercati per la vendita dei prodotti e nuove regioni da cui trarre materie prime. La guerra non rimase un conflitto circoscritto ai due contendenti ma si estese rapidamente, coinvolgendo tutte le potenze europee. In pochi giorni si verificò una catena di dichiarazioni di guerra: la Russia intervenne in favore della Serbia dichiarando guerra all’Austria, la Germania in nome della Triplice Alleanza entrò in guerra contro la Russia e contro la Francia. L’entrata in guerra della Francia chiamò in causa l’Inghilterra. In pochi mesi tutti gli Stati europei entrarono in guerra in conseguenza del fatto che dagli inizi del secolo l’Europa era divisa in due blocchi contrapposti: l’Intesa tra Francia, Inghilterra e Russia e la Triplice Alleanza tra Austria, Germania, e Italia. Ora, le possibilità erano due: o guerra o pace generale, ma le ostilità fra Austria e Serbia sembravano favorire la prima prospettiva. Ma la guerra generale uscì dai confini europei infatti il 23 agosto il Giappone scese in guerra a fianco dell’Intesa . scoppiava cosi la prima guerra mondiale. La situazione di tensione tra le grandi potenze portò ad una politica sempre più aggressiva, che scatenò una corsa agli armamenti. L’esplosione della guerra dipese anche dalla diffusione del nazionalismo che però di trasformò in aggressività imperialistica e in spirito di potenza, in odio per lo straniero e il razzismo ma soprattutto nell’esaltazione della guerra. In un primo tempo il governo italiano dichiarò la sua neutralità perchè sebbene fosse legata ad Austria e Germania nella Triplice alleanza gli accordi prevedevano che ognuno dei tre stati sarebbero dovuti intervenire a fianco degli altri soltanto in caso di guerra difensiva. Via via che il conflitto si andava allargando l’Italia si divise tra neutralisti e interventisti. Facevano parte del fronte interventista i liberali più conservatori guidati da Salandra e da Sonnino e appoggiati dal re e quindi dai nazionalisti. Gli interventisti democratici invece, vedevano nella guerra l’occasione per completare l’unità d’Italia. Vi erano poi alcuni gruppi di socialisti rivoluzionari guidati da Benito Mussolini che vedevano la guerra come l’inizio di un processo sociale rivoluzionario. Mentre erano neutralisti i liberali Giolittiani i quali ritenevano che l’Italia avrebbe potuto ottenere per via negoziale dall’Austria quelle concessioni territoriali che gli interventisti si proponevano di conquistare con una guerra. Infatti Giolitti era convinto che la guerra sarebbe stata molto lunga. Gli interventisti svolsero un’intensa opera di propaganda. Il 26 Aprile 1915il ministro Sonnino si accordò con l’Intesa all’insaputa del parlamento, firmando il Patto di Londra, in cui l’Italia si impegnava a entrare in guerra entro un mese e avrebbe ottenuto, in caso di vittoria molte acquisizioni territoriali. Il 24 Maggio 1915 l’Italia entrò in guerra a fianco dell’Intesa. L’esercito italiano si schierò su un fronte di oltre 600 chilometri sul confine nord-orientale. Col passare del tempo appariva ormai chiaro che la guerra di trincea non avrebbe mai portato a vittorie definite. La Francia e l’Inghilterra avevano praticato un blocco del commercio marittimo ai danni dell’imperi centrali sequestrando i prodotti di guerra. Ogni tentativo della flotta tedesca di lasciare i porti del mare del Nord veniva sistematicamente stroncato dalle corrazzate inglesi. Così la Germania diede inizio alla guerra sottomarina, condotta con i piccoli ma micidiali sottomarini U-Boote. La caratteristica principale del conflitto del 1914-18 è che esso coinvolse non soltanto eserciti e governi, ma anche le popolazioni civili. La guerra di trincea, costosa e logorante , imponeva sacrifici non soltanto ai soldati: in quasi tutti i paesi la popolazione soffrì gravi restrizioni. Nel 1917 la situazione alimentare divenne particolarmente critica in Austria e in Germania ma anche in Russia e in Italia le cose non andavano meglio. Alle difficoltà per reperire i generi alimentari si aggiungeva un generale rialzo dei prezzi. Si diffusero anche malattie come il tifo la tubercolosi e il colera. All’inizio la guerra era stata accolta in ogni paese con entusiasmo, anche grazie all’intensa opera di propaganda a favore del conflitto. Anche i partiti socialisti europei malgrado la loro iniziale opposizione, avevano poi appoggiato la scelta di entrare in guerra. Nel frattempo però l’immobilismo della guerra di trincea sembrava allontanare la fine del conflitto. In Francia, Inghilterra e Italia si formarono dei governi coalizione nazionale, ma malgrado questi provvedimenti, l’opposizione alla guerra continuava a crescere. I lavoratori entrarono in sciopero e dettero vita a manifestazioni spesso violente. Anche l’atteggiamento dei soldati al fronte iniziò a cambiare e si diffuse un clima di rassegnazione e di ribellione. Si incominciarono a vedere anche diversi episodi di diserzione. IL 1917 fu un anno molto difficile la rivoluzione russa e l’intervento degli stati uniti nel conflitto furono eventi molto importanti per l’evoluzione della guerra. Il 3 marzo del 1918 venne definitivamente firmata la pace tra russi e tedeschi la resa della Russia andava a favore degli imperi centrali ma un peso maggiore ebbe la decisione degli Stati Uniti di entrare in guerra a fianco dell’intesa. Fin dall’inizio del conflitto gli aiuti economici degli americani erano stati fondamentali per gli eserciti anglofrancesi. Quando nel 1915 i sottomarini tedeschi affondarono per sbaglio la navepasseggeri inglese Lusitania il presidente Wilson aveva avvertito la Germania che se fossero continuati gli attacchi sottomarini gli Stati Uniti sarebbero intervenuti. Nel 1917 per bloccare rifornimenti americani all’Inghilterra la Germania aveva annunciato una guerra sottomarina totale,che prevedeva l’affondamento i tutte le navi di qualunque tipo.Con questa guerra sottomarina gli Stati Uniti volevano salvaguardare la libertà di commercio. Dopo il ritiro della Russia, Austria e Germania hanno concentrato tutte le loro forze sul Fronte italiano; Il 24 ottobre fu sferrato un attacco a Caporetto a cui L’esercito italiano affiancato da Cadorna non riuscì a resistere. La “rotta” di Caporetto testimoniò la disorganizzazione,l’incapacità strategica e la mancanza di compattezza delle truppe italiane. Quando tutto sembrava perduto il paese diede prova di un forte capacità di reazione e formò un governo di solidarietà nazionale con a capo Vittorio Emanuele Orlando. Cadorna fu destituito e il comando dell’esercito fu affidato al generale Armando Diaz. Per ottenere di nuovo la fiducia dei soldati il governo promise vantaggi economici per il dopo guerra, inclusa una distribuzione di terre ai contadini. Grazie a questo progetto e ad una mobilitazione eccezionale Diaz riuscì ad arginare la rotta delle truppe italiane. Nella primavera del 1918 l’esercito tedesco sferrò una grande offensiva per cercare dei piegare la Francia. Tra Marzo e Luglio il fronte occidentale venne sfondato più volte e le truppe tedesche penetrarono nelle linee degli anglofrancesi; I quali sferrarono un violento e vittorioso contrattacco che sfondò il fronte tedesco. L’imperatore tedesco propose un armistizio, ma il comando dell’Intesa pretese una resa totale. Dopo aver resistito con successo agli attacchi austriaci L’esercito italiano Riuscì a sconfiggerli definitivamente a Vittorio Veneto il 24 ottobre 1918. L’Austria firmò l’armistizio il 4 Novembre 1918 e la Germania l’11. La grande guerra era finita ma si lasciava alle spalle una pesante eredità di distruzioni economiche, di conflitti sociali e di tensioni politiche. LE TAPPE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE Il periodo che precedette il primo conflitto mondiale fu caratterizzato da unperiodo relativamente stabile e pacifico, che degenerò a partire dal 1914: il mondo intero fu letteralmente sconvolto in proporzioni fino allora ancora sconosciute. Sono molte le ragioni per cui la Prima Guerra Mondiale, conosciuta anche con il nome di “Grande Guerra” si differenziò nettamente da tutte quelle che la precedettero. Per la prima volta furono coinvolte in un conflitto nato nel cuore dell'Europa anche le potenze extra-europee, come Giappone e Stati Uniti. Inoltre la 1 Guerra Mondiale fu caratterizzata dall'utilizzo da parte di tutte le nazioni coinvolte di uno spiegamento di forze senza precedenti e dall’utilizzo di nuove armi: gli aerei, inventati pochi decenni prima, i carri armati e sottomarini. Fu introdotto anche l’utilizzo delle più devastanti armi chimiche. Ma il motivo principale che differenzio la Prima Guerra Mondiale da tutti gli altri conflitti antecedenti furono gli effetti: si trattò proprio di una guerra “totale”, che coinvolse tutta la compagine degli Stati belligeranti: non solo a livello bellico, ma anche economico, amministrativo e politico. Notevole, inoltre, l’utilizzo di mirate campagne propagandistiche. Le cause del conflitto sono da ricercarsi, da una parte, nella crisi dei rapporti internazionali europei, dall’altra, nella rapida e significativa ascesa della Germania a potenza navale, con conseguenti ripercussioni sul mondo coloniale. Inoltre, nei movimenti nazionalisti e irredentisti, specie nelle seguenti zone strategiche dell’Europa: Balcani, Alsazia, Lorena, Trentino e Trieste. Il pretesto fu dato dall’attentato a Sarajevo, ai danni dell’erede al trono austriaco Francesco Ferdinando, da parte di un indipendentista slavo. L’Austria mandò immediatamente un ultimatum alla Serbia, la quale, rifiutandosi di scendere a patti, emise la dichiarazione di guerra il 28 luglio del 1914. Il sistema delle alleanze fu presto stabilito. Da una parte si schierarono l’Austria e la Germania, dall’altra l’Inghilterra, la Francia e la Russia, mobilitate in difesa della Serbia. La Germania invase quindi la Francia, passando attraverso il Belgio e violandone così la neutralità, cosa che suscitò molto scalpore soprattutto in Inghilterra, che per questo motivo scese in campo al fianco delle truppe francesi. L’intenzione tedesca era di portare avanti una “guerra di movimento”, rapida e veloce, ma il tentativo fallì: il conflitto si rivelò lungo ed estenuante, in quel che fu definita una “Guerra di Trincea”. Dopo l’avanzata tedesca in Francia ed il blocco continentale operato dalla flotta inglese, nel 1915 anche l’Italia entra in guerra. In quel periodo l’opinione pubblica era divisa i due fazioni, da una parte c’erano i “neutralisti”, dall’altra gli “interventisti”. Il 26 aprile del 1915, il governo italiano si alleò segretamente con la Triplice Intesa (Inghilterra, Francia, Russia), stipulando il Patto di Londra. Attraverso tale accordo, l’Italia si impegnava nella guerra contro l’Austria ed, in caso di vittoria, avrebbe dovuto ottenere le terre irredente di Trentino, l’Alto Adige, Trieste, Istria e della la città di Valona, in Albania. Il 23 maggio le truppe italiane entrarono in guerra. Sul fronte italo-austriaco, il conflitto si presentò subito estremamente lento, combattuto nelle trincee scavate nelle montagne del Friuli da soldati reclutati tra le fasce più povere della popolazione. Il sistema delle alleanze fu presto stabilito. Da una parte si schierarono l’Austria e la Germania, dall’altra l’Inghilterra, la Francia e la Russia, mobilitate in difesa della Serbia. La Germania invase quindi la Francia, passando attraverso il Belgio e violandone così la neutralità, cosa che suscitò molto scalpore soprattutto in Inghilterra, che per questo motivo scese in campo al fianco delle truppe francesi. L’intenzione tedesca era di portare avanti una “guerra di movimento”, rapida e veloce, ma il tentativo fallì: il conflitto si rivelò lungo ed estenuante, in quel che fu definita una “Guerra di Trincea”. Dopo l’avanzata tedesca in Francia ed il blocco continentale operato dalla flotta inglese, nel 1915 anche l’Italia entra in guerra. In quel periodo l’opinione pubblica era divisa i due fazioni, da una parte c’erano i “neutralisti”, dall’altra gli “interventisti”. Il 26 aprile del 1915, il governo italiano si alleò segretamente con la Triplice Intesa (Inghilterra, Francia, Russia), stipulando il Patto di Londra. Attraverso tale accordo, l’Italia si impegnava nella guerra contro l’Austria ed, in caso di vittoria, avrebbe dovuto ottenere le terre irredente di Trentino, l’Alto Adige, Trieste, Istria e della la città di Valona, in Albania. Il 23 maggio le truppe italiane entrarono in guerra. Sul fronte italo-austriaco, il conflitto si presentò subito estremamente lento, combattuto nelle trincee scavate nelle montagne del Friuli da soldati reclutati tra le fasce più povere della popolazione. Nel 1917, si ribaltò la situazione, con l’ingresso nel conflitto degli Stati Uniti a fianco della Triplice Intesa ed il ritiro della Russia, impegnata entro i propri confini con la Rivoluzione. L’offensiva austriaca divenne sempre più pressante, finché l’esercito italiano subì la famosa sconfitta di Caporetto, il 24 ottobre del 1917, con gravi ripercussioni anche sulla vita economica e sociale del Paese. Ebbero infatti inizio una serie di scioperi e di manifestazioni, tali da costringere il governo a fare grandi promesse ai soldati, al fine di risollevarne il morale, evitando defezioni ed ammutinamenti. Il 1918 fu l’anno decisivo del conflitto, che ne segnò anche la conclusione della Prima Guerra Mondiale con la vittoria della Francia. Sul fronte italo-austriaco, l’esercito italiano, guidato dal un nuovo generale Armando Diaz, riuscì a conquistare Trento e Trieste, stipulando un armistizio con l’Austria e giungendo finalmente alla pace. La Conferenza di Pace di Parigi penalizzò duramente i paesi perdenti, in particolar modo la Germania, facendo prevalere gli interessi delle due potenze europee: Francia ed Inghilterra. All’Italia furono concessi i territori di Trentino, Alto Adige, Trieste ed Istria. Dallo smembramento dell’impero austro-ungarico nacquero quindi nuove realtà territoriali e politiche: l’Ungheria, la Cecoslovacchia e la Jugoslavia. Rimase però sospesa la questione della città di Fiume, poiché non ne venne prevista l’annessione all’Italia. Fu così che, nel settembre del 1919, un gruppo di volontari guidato dal poeta Gabriele D’Annunzio, prese possesso della città, instaurandovi un governo definito “Reggenza del Carnaro”. In seguito, la città di Fiume venne liberata con il trattato di Rapallo, stipulato tra Italia e Jugoslavia. A livello internazionale, ad ogni modo, le soluzioni dei diversi trattati di pace si dimostrarono poco rispettose nei confronti delle varie identità nazionali, alimentando le cause che spinsero le potenze mondiali a scontrarsi in un nuovo e devastante conflitto mondiale. Concezione di Totalitarismo e Democrazia nel XX° secolo La manifestazione storica del Totalitarismo in quest’ultimo secolo ha assorbito connotazioni completamente differenti rispetto al Totalitarismo antico nella Grecia e Roma antica, anche se le analogie con esse non mancano certamente. Il termine Totalitarismo venne utilizzato inizialmente da Benito Mussolini per indicare quel regime volto all’unificazione della società tramite anche la violenza e con basi l’antidemocrazia e antiliberalità. Tuttavia nei corsi dei decenni si sono fatte lettura alquanto superficiali ed errate riguardanti il fenomeno del totalitarismo. Dopo il secondo conflitto mondiale, venne utilizzato durante la Guerra Fredda da parte dei Paesi liberali per accomunare, in modo propagandistico, tutti quei Paesi facenti parti al blocco sovietico. Al contrario un regime totalitario ha delle caratteristiche piuttosto differenti da quelle degli Stati sovietici. L’origine del blocco Sovietico e di quello Occidentale, in particolare, fu dovuto alla spartizione dell’Europa da parte dei vincitori del conflitto mondiale, fu quasi un Totalitarismo nato per necessità di un ordine che era stato destabilizzato dalla guerra. Il Totalitarismo sovietico post-stalinista era differente dal regime di Stalin già per tipologia, non era un totalitarismo negativo assoluto, ma era un totalitarismo negativo rappresentativo o oligarchico cioè presentava un grandissimo apparato burocratico, e il potere esecutivo era effettivamente in mano ad un partito unico. Il totalitarismo stalinista come quello hitleriano e mussoliniano era ben differente da quei totalitarismi sviluppatosi nella seconda metà del ‘900. Il termine totalitarismo, quindi, negli ultimi 50 anni è stato altamente abusato e spropriato dei suoi effettivi valori. Il totalitarismo divenne ciò che è negativo, o il male manifestato nella politica e nella cultura; questa concezione venne ampliata soprattutto dagli Stati Uniti, come già detto, dopo il conflitto mondiale. Si cercò, cioè, di dividere la sfera politica mondiale, in due sfere caratteristiche e valori completamente differenti: l’una doveva esse necessariamente la manifestazione del bene, dell’unica speranza di giustizia, la “protettrice” della democrazia, rappresentata dai Paesi liberali anglo-sassoni; l’altra, invece, doveva essere l’essenza del bisogno, della povertà e miseria. Quindi questa netta contraddizione fece nascere continue alleanze internazionali di tipo militare per il reciproco timore; effettivamente il vero senso del bene e del male era morto ed era nato il senso dell’opportuno bene e dell’opportuno male. Non a caso prima della fine della II^ Guerra Mondiale il termine totalitarismo era usato per associare i regimi nazisti e fascisti, ritenuti il male manifestato sulla Terra; con la distruzione di questi sistemi opportunamente il male è stato identificato in un altro sistema, cioè quello comunista; d’altra parte anche il regime comunista identificò nell’ottica ideologica il male negli Stati Uniti, come Paese volto verso l’imperialismo. Dunque, lo scontro tra ideologia, quella dialettica continua, ha deformato la vera essenza della Democrazia e del Totalitarismo, trasformandoli in ciò che effettivamente non sono. Le modalità di origine dei Totalitarismi moderni Data la difficoltà nell’interpretare i Totalitarismi moderni come essenze pure dello stesso totalitarismo dovremmo, innanzi tutto, dividere sia cronologicamente e categoricamente i vari tipi di totalitarismi nati e sviluppati in questo secolo. Nella prima metà del ‘900 si verificò una situazione di disordine politico, sociale ed economico causata dalla prima guerra mondiale, ma anche dalla caduta della Borsa di Wall Street nel ’29 e dello sviluppo dell’ideologia marxista. In un situazione così destabilizzante i Totalitarismi trovarono terreno fertile in cui mettere radici. Il primo fu il regime fascista di Mussolini in Italia, dopo la celeberrima Marcia su Roma nel 1922, Vittorio Emanuele II consegnò il mandato di formare il governo, dunque nella totale legalità, a Mussolini. Il regime fascista fu con molta probabilità un Totalitarismo negativo assoluto anche se ci sono risvolti di tipo oligarchico, proprio perché si formò intorno alla figura del Duce una elite di dirigenti che nella pratica amministravano la politica interna italiana. Nei fatti, almeno inizialmente, il regime fascista fu appoggiato solo da una piccola rappresentanza della massa costituita da imprenditori, industriali, borghesia generale e coltivatori diretti, tuttavia, la loro volontà di potere era manifestata da una violenza che sfociava nel fenomeno dello squadrismo, in cui gruppi di fascisti sopprimevano i diffidenti politici e culturali. Nel 1933 Adolf Hitler sale al potere, anch’egli come Mussolini per vie legali. Quello di Hitler fu nei fatti il vero Totalitarismo negativo assoluto, la figura del Fhurer acquistò lati divini, la sua forza carismatica fece unire in un grande nazionalismo l’intera Germania umiliata per le sovvenzioni contenute nel Patto di Versailles. Il potere di Hitler gettava radici mistiche che lo facevano seguire ciecamente da un intero popolo, la repressione della violenza e la voglia di vendetta era stata oggettivata verso un capo carismatico spalleggiato da un ideologia che inneggiava alla razza ariana come la unica degna di comandare sul mondo intero. Per quanto riguarda il regime comunista di Stalin la situazione fu differente. Infatti egli dovette fronteggiare già un contesto politico di tipo oligarchico dopo la morte di Lenin nel 1921. La strategia di Stalin non fu quella di premere sul popolo per entrare a pieni titoli nel potere assoluto ma sull’oligarchia sovietica. Una volta entrato non esitò ad eliminare i suoi oppositori sia per quanto riguarda il loro pensiero che sia fisicamente, il “caso Trolskji” è emblematico. Una volta consolidato il potere nel Partito, nella sua struttura infatti l’Unione Sovietica era ancora un Totalitarismo negativo rappresentativo, cambiò strategia affermandosi anche tra il popolo; imponendo la propria figura mitizzandola quasi in modo divinatorio. A differenza degli altri regimi totalitari moderni, lo stalinismo non si generò e consolidò nella massa (oclocrazia) ma in un apparato politico già preesistente. Il regime stalinista nell’Unione Sovietica degli anni ’20 e ’30 Una differenza essenziale del regime stalinista verso gli altri regimi totalitari del XX° secolo è soprattutto l’obiettivo sociale. Esso si poneva, infatti, l’obiettivo di non mantenere la struttura sociale che si era instaurata nella Russia degli Zar costituita da aristocratici, borghesi, operai e contadini, ma, come nei più alti principi della Rivoluzione russa, di pianificare e riformare del tutto il tessuto sociale, rendendolo un ammasso di cemento unico, con cultura, idee politiche e culturali omogenee, e proprio questo fu l’obiettivo essenziale di Josef Stalin. Dopo la morte di Lenin nel 1924 all’interno del Partito Comunista si scatenò una lotta di successione conclusasi con l’affermazione di Stalin. Infatti nel Partito erano emerse due figure di grande spicco valorizzate dal fatto che erano grandi compagni e collaboratori di Lenin; una era appunto quella di Stalin, l’altra quella di Trockji. I due si scontrarono politicamente per le loro strategie diverse, Stalin voleva una politica basata sulla risoluzione dei problemi interni sociali ed economici del territorio russo, Trockji invece voleva continuare la Rivoluzione del Proletariato espandendola in tutta Europa (Rivoluzione permanente). Stalin, tuttavia, non trovò molti ostacoli per insediarsi al potere, per mezzo dell’oppressione, anche fisica, di tutti i suoi oppositori politici all’interno del Partito, a differenza degli altri regimi i dissidenti non erano all’esterno della struttura statale ma all’interno. Lo stesso Trockji fu prima emarginato nella vita politica, poi ucciso da un sicario di Stalin in Messico nel 1940. La politica interna di Stalin si incentrò soprattutto sull’economia e sulla pianificazione o statalizzazione della società. Il primo obiettivo fu la collettivizzazione forzata delle campagne; nella società russa infatti si erano affermati dei piccoli proprietari terrieri, i Kulaki, che vennero praticamente travolti dalla rivoluzione russa prima e dalla politica di Stalin dopo. Tutti i beni dei kulaki vennero confiscati e divisi tra la popolazione contadina, mentre si cercò di eliminare la classe sociale dei kulaki in quanto classe. Moltissimi vennero trasferiti in Siberia dove per fame o per freddo morivano mentre lavoravano, in condizione di schiavitù, alla costruzione di opere pubbliche come ferrovie, dighe, centrali elettriche e canali; molti altri invece i più diffidenti vennero uccisi direttamente con fucilazioni di massa sommarie. Il programma di collettivizzazione prevedeva che il contadino doveva dare allo Stato dei quantitativi minimi di raccolti, chi li avesse superati aveva diritto a premi; tuttavia si verificò un atteggiamento restio da parte dei contadini che furono oggetto di campagne di punizione da parte di funzionari statali ed operai. Secondo punto del programma di sviluppo economico interno di Stalin fu l’industrializzazione forzata dell’URSS che fu anche uno dei motivi per cui l’Unione Sovietica non venne coinvolta nella crisi del ’29. Per giustificare questa politica Stalin si rifece anche all’ideologia marxista, in quanto lo stesso Marx affermava che per raggiungere la completa rivoluzione del proletariato bisognava aver raggiunto un livello industriale alto. La scelta economica fu pianificata dal partito e divisa in “piani quinquennali” in base ai quali ogni 5 anni bisognava aver raggiunto un obiettivo prefissato di sviluppo industriale. In 5 anni, cioè tra il 1928 e il 1933, la produzione industriale doveva essere cresciuta del 180% mentre il reddito nazionale del 103%. Per cui ogni tipo di risorsa venne riversata nell’industria pesante. Tuttavia si assistette ad un fallimento relativo di questa programmazione, anche se gli enormi sforzi avevano portato la Russia, tra le più grandi potenze mondiali, perché riuscì a tenersi fuori dalla crisi del ’29 che coinvolse particolarmente i regimi occidentali liberali. Il regime stalinista alla pari degli altri regimi totalitari attuò una strategia di oppressione verso i dissidenti del regime e costruì una grande struttura propagandistica. I sovietici alla pari dei nazisti, possedevano dei campi di concentramento che prendevano il nome di Gulag i quali rappresentavano in sé un strumento di terrore per reprimere nel nascere ogni attività avversa al regime. Se l’essenza dei Gulag sovietici era la stessa dei Lager nazisti, tuttavia, avevano obiettivi diversi. La struttura dei Gulag era un mezzo utile al regime per pianificare del tutto la società trasformandola nella “società del proletariato”. Infatti vennero coinvolti tutti gli individui ritenuti non appartenenti al proletariato e quindi estraneo alla nuova realtà socialista, in questa lista rientravano gli artigiani, i commercianti, piccoli imprenditori e professionisti, si puntava alla distruzione della società ritenuta vecchia e degradata per formarne una nuova fondata sul proletariato, erano persone non oppositori del regime, ma ritenute non adatte alla nuova realtà; inoltre vennero trasferiti nei gulag anche minoranze etniche e religiose; mentre la persecuzione nazista si basava principalmente sulla razza, quelle russa poneva le sue fondamenta su una persecuzione di tipo sociale. Entrambi, tuttavia, si ponevano l’obiettivo, per mezzo dei campi di concentramento, di arrivare ad una società, ritenuta a loro avviso, più giusta. Per quanto riguarda la propaganda era fondata sul culto della figura di Stalin, che venne di fatto divinizzata; fu riproposto come il “capo del proletariato mondiale”, l’unico capace di portare la rivoluzione proletaria in tutto il mondo. La cultura vene vista come una strumento propagandistico e di regime. Nacque in questo modo il realismo socialista che si poneva l’obiettivo di decantare le virtù del socialismo e della rivoluzione, e di istruire in tal senso la popolazione, lodando gli obiettivi raggiunti dal regime. Tutto ciò naturalmente sotto stretta osservanza del partito. Ortodonzia < esempio di raddrizzamento dei denti> L'Ortodonzia L'Ortodonzia è "la branca dell'Odontoiatria che tratta della prevenzione, diagnosi e terapia delle anomalie di sviluppo delle ossa mascellari e dei difetti di posizione dei denti al fine di stabilire una normale occlusione dentaria ed un soddisfacente profilo della faccia." Questa è la definizione che da l'American Association of Orthodontics. In termini più semplici, l'Ortodonzia si occupa delle malocclusioni, allo scopo di: correggere la posizione dei denti; migliorare le funzioni dell'apparato stomatognatico: respirazione, fonetica, masticazione, deglutizione; correggere i disturbi dell'articolazione temporo-mandibolare; migliorare l'estetica. L'ortodonzia è divisa in molti rami, classificati in base al mezzo terapeutico o al fine. A seconda dello scopo ultimo, l'ortodonzia può essere divisa in tre rami: Ortodonzia intercettiva: consiste nel correggere le malocclusioni precocemente, eliminando abitudini viziate ed orientando le ossa mascellari verso una crescita corretta; Ortodonzia classica: consiste nel correggere le malocclusioni che non sono state trattate precocemente; Ortodonzia preprotesica: consiste nel migliorare l'occlusione dentaria, al fine di ottimizzare la riabilitazione protesica. In base al mezzo terapeutico, l'ortodonzia può essere distinta in: Ortodonzia mobile: utilizza apparecchi rimovibili dal paziente. Spesso l'ortodonzia mobile rappresenta la prima fase del trattamento e viene utilizzata, ad esempio, allo scopo di allargare o restringere il palato, correggere il morso; Ortodonzia fissa: utilizza apparecchi fissi che vengono cementati o incollati sui denti. L'Ortodonzia fissa ha lo scopo di correggere i rapporti tra i denti e sempre più spesso, a questi trattamenti ricorrono pazienti adulti per migliorare l'estetica. La NORMOCCLUSIONE Il fine dell'Ortognatodonzia è la NORMOCCLUSIONE. Come molti possono pensare, il concetto di normocclusine, non è limitato al semplice raggiungimento di una buona estetica e di un buon ingranaggio dentale, ma va oltre. Secondo molti Autori, "raggiungere la normocclusione significa ottenere l'armonia statica e dinamica tra le strutture basalineuromuscolari dentali e i tessuti molli." Ciò significa, quindi, rispettare non solo la funzionalità dei denti, ma anche quella di tutti i muscolo tra loro concatenati. Quando si parla di malocclusione, quindi, s'intende letteralmente una "cattiva occlusione", ma il termine oggi giorno, non è limitato a quelle anomalie dentali che riguardano l'ingranaggio degli elementi superiori con gli inferiori, ma anche semplici disallineamenti o affollamenti dentali che compromettono l'estetica. Le malocclusioni dentali, se non diagnosticate e corrette in tempo, possono avere ripercussione sui muscoli dell'apparato odontostomatognatico, e, vista la complessità del sistema muscolare umano, può modificare anche la postura (scoliosi, lordosi, dolori di schiena, etc.) o produrre sintomi patologici (cefalea, dolori cervicali, etc.). Nella storia dell'odontoiatria, molti specialisti hanno cercato di standardizzare le malocclusioni, tanto che oggi esistono innumerevoli classificazioni delle malocclusioni, basati su altrettanti criteri. Per la nostra argomentazione, ne analizzeremo due, tra le più importanti e conosciute: la classificazione di Angle e la classificazione di Benangiano. Classificazione di Angle Nei primi anni del '900, il dr. Edward H. Angle, propose la classificazione che porta il suo nome. Lo studio più conosciuto per quanto riguarda lo standard di riferimento delle posizioni, si basa sul fatto che, in una dentatura decidua perfetta, il primo molare superiore, erompe a 6 anni in una posizione definita e stabile, stabilendo così la posizione degli altri denti posteriore, e determinando così la chiave di occlusione posteriore. In base al rapporto che intercorre quindi tra la cuspide mesio-vestibolare del primo molare superiore, e il solco mesio-vestibolare del primo molare inferiore, Angle, classificò i tipi di occlusione in tre classi: I CLASSE:detta anche Normocclusione, si ha un rapporto di prima classe quando la cuspide mesio-vestibolare del primo molare superiore, ingrana con il solco mesio-vestibolare del primo molare inferiore. II CLASSE:o Disto-occlusione, si ha quando la cuspide mesiovestibolare del primo molare superiore, occlude mesialmente al solco mesio-vestibolare del primo molare inferiore. Questa classe, a seconda della posizione degli anteriori, è divisa in due sottoclassi dette divisioni: II CLASSE - I DIVISIONE: si ha una seconda classe, a livello posteriore, ed un aumento dell'overjet negli anteriori. II CLASSE - II DIVISIONE: si ha sempre, a livello posteriore, una seconda classe, ma si presenta un'assenza di overjet a livello anteriore, determinata dalla palatoversione dei frontali superiori. III CLASSE: detta anche mesio-occlusione, si ha quando la cuspide mesiovestibolare del primo molare superiore ingrana distalmente al solco mesiovestibolare del primo molare inferiore. Classificazione di Benangiano Le anomalie del complesso dento-maxillo-facciale, sono state divise dal Benangiano, in base alle variazioni dimensionali di esso, rispetto alla norma ed alla conseguente variazione del loro rapporto spaziale. Le tre classi sono suddivise in: anomalie sagittali, trasversali e verticale. 1. ANOMALIE SAGITTALI Si è in presenza di anomalie sagittali quando si ha una diminuzione o un aumento del diametro longitudinale di una o di tutte le arcate dentali. Quando la variazione interessa solo l'arcata superiore, l'aumento può essere prodotto da un prognatismo, dovuto cioè ad un avanzamento del mascellare, o una vestibolarizzazione degli anteriori superiori. la diminuzione può essere dovuta ad una palatizzazione dei denti superiori, o una retrusione del mascellare. Se l'aumento dimensionale riguarda solo l'arcata inferiore, l'aumento può essere dovuto ad un progenismo, cioè ad un avanzamento della mandibola o ad una vestibolarizzazione dei denti anteriori inferiori. La diminuzione dimensionale, può essere causata invece da una retrusione della mandibola o una lingualizzazione degli anteriori inferiori. Quando la variazione riguarda entrambe le arcate, si parla in genere di biprotrusione. 2. ANOMALIE TRASVERSALI Le anomalie trasversali riguardano l'aumento o la diminuzione del diametro trasversale delle arcate. L'aumento del diametro trasversale porta ad un'espansione che può essere unilaterale o bilaterale. la diminuzione del diametro, produce una contrazione che, come l'espansione, può essere unilaterale o bilaterale. Per l'arcata superiore, il risultato della contrazione bilaterale è la micrognazia. tale contrazione può essere associata ad un prognatismo, dando luogo al cosiddetto palato ogivale. Quando la variazione interessa solo l'arcata inferiore, si può avere sia un aumento che una diminuzione del diametro, con conseguenti espansioni e contrazioni, che possono essere unilaterali o bilaterali. In caso di contrazione bilaterale, si è in presenza di microgenismo. Quando la variazione dimensionale interessa entrambe le arcate, si ha una contrazione bimascellare, che può essere uni o bilaterale. 3. ANOMALIE VERTICALI Le anomalie verticale interessano l'aumento o la diminuzione dell'overbite, cioè della sovrocclusione dei dei denti anteriori. Nel caso di un aumento di tale dimensione, si ha un morso profondo o deep-bite. Nel caso, invece, di una diminuzione di tale dimensione, fino a valori negativi si ha un morso aperto o open-bite. EZIOLOGIA delle MALOCCLUSIONI Con il termine EZIOLOGIA, s'intende la scienza che studia le cause delle malattie. Le cause delle disarmonie cranio-facciali, o malposizioni dentali, possono essere di due tipi: Congenite Acquisite Le cause congenite sono presenti già alla nascita e risultano quindi delle predisposizioni genetiche. Tra le cause congenite molti Autori sono concordi nell'annoverare alcune influenze meccaniche, presenti nella vita intrauterina, tali da ripercuotersi sulla formazione di anomalie dentali. la pressione del liquido amniotico influisce sullo sviluppo del cervello e dell'asse trasversale del corpo. un'aderenza amniotica o un'interposizione dei tessuti possono dar luogo a fessure nel palato o nel labbro poiché ne viene compromessa la fusione facciale e del palato. Oltre a queste fessure possono presentarsi delle anomalie a livello dentale o dell'occlusione, poiché queste fessure solitamente si formano fra laterali e canini, e si presenteranno così delle anomalie che colpiscono proprio l'incisivo laterale che può mancare o risultare deformato. Le cause acquisite insorgono durante i primi mesi, o anni di vita. le cause acquisite, possono essere principalmente di tre tipi: 1. 2. 3. Patologiche Funzionali Locali Le cause patologiche sono rappresentate dalla presenza di malattie specifiche. Ad esempio, l'iperfunzione ipofisaria dà luogo ad una crescita longitudinale del mascellare inferiore (acromegalia) o provocare una crescita generalizzata che porta al gigantismo. Un'altro esempio di causa patologica e l'osteomielite, un'infiammazione del tessuto osseo, che se si manifesta nell'infanzia, può compromettere lo sviluppo dei denti. Le cause funzionali sono rintracciabili in abitudini viziate come il vizio di succhiare il dito o il succhiotto. Queste due abitudini, aumentando la pressione sugli incisivi superiore, possono portare ad una inclinazione vestibolare degli incisivi. Spesso, nei bimbi, e comune la persistenza della deglutizione infantile, cioè l'interposizione della lingua tra le arcate durante la deglutizione, che può causare un morso aperto. Alle cause locali, sono riconducibili la perdita precoce dei denti, o la perdita dei denti, non seguiti da un trattamento protesico. Le malocclusioni più frequenti Diastema Linea mediana deviata Morso aperto Sovragetto (Overjet) Morso incrociato laterale Affollamento (Mancanza di spazio) Sovramorso (Overbite, progenismo) Sovramorso (Overbite, progenismo) Morso profondo LA PREVENZIONE DELLE MALOCCLUSIONI Abitudini viziate - succhiamento del dito – succhiotto L'attività di suzione è per il neonato non solo funzionale alla nutrizione ma, più in generale, al suo totale benessere psicoorganismico. Essa gli conferisce tranquillità e sicurezza. In quest'epoca di vita può essere considerata fisiologica, dato che il succhiamento del pollice avviene anche durante la gravidanza, presentandosi nell'embrione già a quattordici settimane di vita intrauterina. Se però nel corso dello sviluppo non viene ridotta al minimo, fino alla sua interruzione definitiva, può agire come agente deformante delle arcate dentarie e dei mascellari in crescita. Per capire il perché esiste la necessità d'interrompere l'attività di suzione nel passaggio dall'età neonatale a quella infantile, vanno conosciuti i cambiamenti che intervengono in questo periodo di sviluppo sul meccanismo nutritivo. Nutrizione neonatale: poppamento La fase orale della nutrizione neonatale si compie in maniera totalmente inconscia, con i caratteri del riflesso neuromotorio incondizionato. Il neonato poco dopo la nascita inizia un comportamento esplorativo nel cui corso, rispondendo a precisi stimoli, si orienta con il viso verso il seno materno, afferra con la bocca il capezzolo e inizia a nutrirsi "poppando", una modalità di estrazione e deglutizione del latte materno simile a quella che indichiamo come suzione: dopo aver sigillato il capezzolo tra lingua e palato aspira il latte con azione di pompaggio ritmico, eseguita abbassando e rialzando la mandibola. Presiede a ciò un meccanismo nervoso geneticamente programmato che contiene tutte le informazioni necessarie al comportamento nutritivo del bambino appena nato, funzionale alla sopravvivenza. Nutrizione tipo adulto: masticazione e deglutizione A differenza della fase orale della nutrizione neonatale la cui componente neuromotoria riflessa è già matura alla nascita, quella di tipo adulto, invece, matura nel corso dello svezzamento attraverso un lungo e complesso processo a cui partecipano i recettori propriocettivi della lingua stimolati dai denti da latte in eruzione: nel momento in cui erompono i denti incisivi da latte gli stimoli tattili che la lingua riceve dal loro contatto la portano a ritirarsi dalla precedente posizione tra le arcate mascellari edentule, funzionale al poppamento, e a portarsi all’interno delle arcate dentarie decidue. Anche il progressivo aumento di consistenza dei cibi durante lo svezzamento contribuisce alla maturazione dei meccanismi neuromotori della nutrizione adulta (essendo quella infantile più adatta all'ingestione di liquidi), la quale si compone, a maturazione ultimata, di due processi distinti e sequenziali, che sono “masticazione e deglutizione”. In molti bambini questo passaggio è quasi completato tra i 12 e i 15 mesi. Nutrizione di tipo adulto come processo di apprendimento Va sottolineato che la nutrizione adulta, a differenza di quella infantile che è già adattata alla nascita, necessita di un lungo periodo di apprendimento affinché diventi adatta, il cui corso può essere ostacolato da svariati fattori avversi ambientali. Tale cambiamento può compiersi in quanto il meccanismo neuromotorio che presiede al comportamento nutritivo del neonato è geneticamente programmato ad aprirsi alle modifiche adattative causate dai naturali cambiamenti dell'ambiente orale che avvengono nel periodo postnatale eruzione dei denti e cambio di consistenza dei cibi. Qualora sopraggiungano condizioni ostacolanti che impediscono le modifiche funzionali adattative del meccanismo nutritivo si realizza la disfunzione, che a sua volta agirà sulla predisposizione alla malocclusione. Uno studio americano su 2.000 bambini in età prescolare ha riscontrato che il 54% dei soggetti senza malocclusioni aveva comunque un'abitudine viziata. Si deve da ciò dedurre che la malfunzione periorale non determina costantemente un danno ma agisce come fenomeno deformante solo quando c'è una predisposizione verso un modello anormale di crescita sagittale, verticale o trasversa. Conclusioni Nel tempo in cui avviene il passaggio dalla nutrizione di tipo infantile, con la lingua tra le arcate mascellari edentule, a quella di tipo adulto, con la lingua all'interno delle arcate dentarie decidue, cioè nel corso dello svezzamento, devono cessare i comportamenti che tendono a mantenere e a rafforzare nel bambino gli atteggiamenti succhianti tipici del periodo neonatale: il succhiamento del dito o della lingua, l'uso del succhiotto e l'alimentazione prevalente al biberon. Il loro mantenimento ad oltranza ostacola il processo di maturazione del meccanismo nutritivo di tipo adulto, composto di masticazione e deglutizione dei cibi. Il protrarsi degli atteggiamenti succhianti esercita la lingua a funzionare tra le arcate dentarie decidue anziché al loro interno, e i muscoli facciali, in particolare il muscolo orbicolare delle labbra, il mentale e il buccinatore, diventano iperattivi nel tentativo di raggiungere e sigillare i bordi e la punta della lingua , così come necessario al neonato per eseguire il poppamento. Le alterazioni che in tal caso vengono a determinarsi nel tono dei muscoli facciali si ripercuotono sulle arcate dentarie decidue in formazione e sui mascellari in crescita, potendo portare a diversi e a volte severi quadri malocclusivi. DEGLUTIZIONE INFANTILE Con "deglutizione infantile" s'intende una disfunzione della muscolatura periorale che partecipa all'atto deglutitorio. Le modalità in cui avviene la deglutizione infantile somigliano più a quelle del neonato che all'adulto, con la lingua che s'interpone tra le arcate. La pemanenza del riflesso di deglutizione infantile ha un azione deformante sulle arcate dentarie in via di sviluppo e sui mascellari in crescita, anche se non sempre si esplica con la stessa intensità e forma. In bambini predisposti il mantenimento del riflesso di deglutizione infantile può esercitare un notevole effetto deformante, portando a importanti malocclusioni scheletrico dentali, sia sotto l'aspetto estetico che funzionale. La prevenzione delle malocclusioni dovrebbe prendere in considerazione il controllo dei fattori che possono influenzare negativamente la maturazione del riflesso di deglutizione tipico dell'adulto, che inizia all'epoca dello svezzamento, nel momento in cui erompono i primi denti da latte, e si completa, in alcuni casi, già a 15 mesi di vita. Gli autori anglosassoni parlano più in generale di "atteggiamento succhiante", per porre l'accento sulla presenza, anche al di fuori dell'atto deglutitorio, di atteggiamenti funzionali della muscolatura periorale tipici del succhiamento. La permanenza del riflesso di deglutizione infantile può essere facilitata da abitudini viziate come il succhiamento del dito e del succhiotto, ma anche da patologie respiratorie che provocano ostruzione al passaggio del flusso d'aria per via nasale, frequenti e spesso trascurate in età infantile. ABITUDINI VIZIATE Si definiscono abitudini viziate alcuni stili di comportamento normali in un determinato periodo di vita nel momento in cui si protraggono nel tempo. Si usa chiamarle abitudini viziate in quanto possono comportare danni alla crescita dento-scheletrica. Sono abitudini viziate, in questo senso, il succhiamento del dito, l'utilizzo del succhiotto, la nutrizione al biberon oltre il periodo normale di svezzamento.Vengono definite abitudini viziate, sempre in riferimento all'influenza negativa che esercitano sulla crescita dei mascellari e sullo sviluppo della dentizione, anche la permanenza del riflesso di deglutizione atipica, il morsicamento del labbro inferiore, l'onicofagia (morsicamento delle unghie). Attraverso l'abitudine viziata vengono esercitate pressioni abnormi e prolungate sulle arcate dentarie in via di sviluppo e sui mascellari in crescita, tanto che si possono determinare modifiche nelle posizioni dentali, alterazioni nella forma di arcata e nella crescita dei mascellari. L'abitudine viziata non sempre determina danni consistenti di crescita scheletrica. Uno studio americano su 2.000 bambini in età prescolare ha riscontrato che il 54% dei soggetti senza malocclusioni aveva comunque un'abitudine viziata. Si deve da ciò dedurre che la malfunzione periorale determinata dalle abitudini viziate non determina costantemente un danno ma agisce come fenomeno deformante solo quando c'è una predisposizione verso un modello anormale di crescita scheletrica sagittale (Malocclusioni di prima, seconda e terza classe), verticale (Malocclusioni con morso aperto o profondo) o trasversa Malocclusioni con morso contratto). L’apparecchio mobile L'Apparecchio I componenti di base di una placca ortodontica sono: la placca base in resina; i ganci di stabilizzazione; gli archi vestibolari; le molle; le viti ; Gli ausiliari. GANCIO DI ADAMS GANCIO A SFERA TERMINALE ARCO VESTIBOLARE VITE ORTODONTICA MOLLA La placca base in resina autopolimerizzabile ha lo spessore di circa 2-3mm. La placca può essere attiva o passiva, a seconda del ruolo che deve rivestire. Nella zona posteriore, occorre che la placca, compatibilmente con le necessità richieste, sia la più corta possibile, onde disturbare al minimo funzione e fonazione. I bordi della placca devono seguire i colletti dei denti, entrando in contatto per circa 2-2,5mm con gli elementi dentali. La progettazione della placca è funzione delle forze da sviluppare, degli ancoraggi e di tutti gli altri componenti. Nell'inferiore va posta attenzione al limite d'azione dei muscoli miloioidei e nella zona dei premolari e molari. I ganci ortodontici (o di stabilizzazione) sono i componenti che permettono all'apparecchio di rimanere stabile e quindi di poter rilasciare le forze desiderate. I ganci ortodontici vengono suddivisi in: primari, sono ganci che possono essere utilizzati da soli quali mezzi di stabilizzazione di un apparecchio ortodontico; accessori, sono mezzi di ritenzione che, da soli, non sono in grado di stabilizzare sufficientemente l'apparecchio. I principali mezzi di ritenzione comunemente utilizzati nella pratica quotidiana: GANCIO DI ADAMS: rappresenta il mezzo di ritenzione più utilizzato comunemente. E' composto da due passanti, uno mesiale e uno distale, che uscendo dal lato linguale si adagiano negli spazi interdentali, scendendo infine vestibolarmente a formare i peduncoli di ritenzione. I peduncoli devono ingaggiare i sottosquadri esistenti mesialmente e distalmente al dente, e sono collegati tra loro da un segmento di filo, detto ponte, che rappresenta la zona in cui il paziente deve appoggiare il dito indice per rimuovere l'apparecchio. per l'esecuzione di questo gancio, si utilizza filo da 0,7mm. Gli archi vestibolari sono in grado di svolgere di svolgere varie funzioni. Possono essere usati, a seconda dell'impiego cui sono destinati, quali mezzi di ritenzione accessori, componenti attivi allo spostamento dentale, appoggi per guidare l'eruzione dentale dei denti permanenti, ausiliari atti a sostenere trazioni elastiche. tutti gli archi vestibolari possono essere saldati agli altri componenti tramite brasatura, o essere bloccati all'interno della placca in resina. L'arco vestibolare semplice detto anche arco di Schwarz è costruto piegando il filo distalmente ai canini, in direzione palato-vestibolare, quindi, scendendo verso il fornice. Da qui, formando un ansa 2mm al di sotto del colletto dentale, si risale fino al centro della corona clinica, per poi correre orizzontalmente, grazie ad un angolo di 90° per tutto il gruppo frontale, fino al canino controlaterale, terminando nella zona palatale con un'ansa. Nelle parti che dovranno essere inglobate nella resina, vengono realizzate delle ritenzioni meccaniche. Per la sua ritenzione, si utilizza del filo da 0,8mm. Le molle sono componenti in filo, utilizzati per spostare gruppi di denti o singoli elementi. Sono modellate in varie forme e possono essere inglobate nella resina o brasate ad altri componenti metallici facenti parte dell'apparecchio. Questi ausiliari sono costruiti in filo duro-elastico o in filo da Crozat del diametro variabile da 0,5 a 0,9 mm. La differenza di diametro del filo utilizzato è data dal lavoro che le singole molle dovranno sviluppare e dalla forma che dovranno assumere; maggiore sarà la lunghezza del segmento di filo utilizzato per la costruzione della molla, maggiore sarà l'elasticità. Le viti ortodontiche possono essere considerate il vero "motore" dell'apparecchio ortodontico. Le viti vengono fabbricate in varie forme e dimensioni; le differenze di progettazione e costruzione derivano dalle diverse azioni terapeutiche che esse dovranno effettuare. L'azione richiesta alle viti ortodontiche è in genere quella di effettuare movimenti di espansione, contrazione, distalizzazione, mesializzazione, derotazione e inclinazione. Esse sono realizzate in acciaio inossidabile o in lega metallica. Ogni vite ortodontica è costruita per svolgere determinate funzioni. Vari tipi di apparecchi ORTODONZIA FISSA S'intende per ortodonzia fissa l'utilizzo di apparecchi per la correzione dei disallineamenti dentali che l'ortodonzista incolla o cementa ai denti, lasciandoceli per tutto il tempo del trattamento. Apparecchio fisso L'apparecchio ortodontico fisso più popolare è composto di attacchi metallici o ceramici che fissati ai denti vengono agganciati da strumenti meccanici: fili, elastici, molle e trazioni extraorali, in grado di portarli nelle posizioni corrette. Per mezzo dell'apparecchio fisso di ortodonzia il dente può essere spostato per grandi distanze, in tutte le direzioni e con ogni tipo di movimento, incluso quello corporeo, tanto che il suo uso permette la correzione di malposizionamenti dentali non trattabili con altri apparecchi. L'attacco ortodontico È l'elemento principale dell'apparecchio fisso. Esso presenta una base trattata in maniera tale da permettere l'adesione al dente, e un corpo nel quale sono ricavate due componenti fondamentali: la scanalatura a sezione rettangolare (slot) per l'inserimento di fili metallici e le alette per il trattenimento delle legature necessarie a bloccare i fili nell'attacco. L'attacco ortodontico è definito in inglese Twin Bracket Edgewise che tradotto è attacco gemellare di costa. Gemellare perché formato da una doppia coppia di alette, mentre "di costa" o "di taglio" fa riferimento alla possibilità di inserire nella sua scanalatura fili rettangolari dal lato più corto, essendo l'altezza di questa inferiore rispetto alla profondità. Ortodonzia linguale L'ortodonzia linguale è una metodica di ortodonzia fissa. Vengono utilizzati attacchi incollati sulla superficie dei denti che da verso la lingua, anziché, come nell'ortodonzia fissa tradizionale, sulla superficie esposta al sorriso. E' una tecnica di allineamento dei denti estetica. Alcune fasi del trattamento ortodontico Retrazione del premolare in ancoraggio massimo Retrazione del canino Allineamento Retrazione del gruppo frontale Ottimizzazione finale Prima del trattamento Occlusione finale Al termine del trattamento PROGETTAZIONE Come per la realizzazione di altri dispositivi protesici, quali protesi parziali e totali mobili, protesi su impianti, etc. l'odontoiatra, prima di decidere quale via terapeutica intraprendere, procede a degli esami a scopo diagnostico, cioè atti a valutare la situazione di partenza del paziente. Quando il paziente si presenta in studio, il clinico procederà ad un ESAME CLINICO, quindi valuterà visivamente, esternamente ed internamente al cavo orale del paziente, lo stato di tessuti ed elementi dentali, per definirne non solo classi di appartenenza delle arcate e del morso, ma anche eventuale presenza di sintomi o manifestazioni patologiche, affollamenti dentari, processi cariosi, stato dei tessuti e degli elementi che devono svolgere funzioni di rilevante importanza. Dopo il rilievo dell'impronta per il laboratorio e il successivo sviluppo dei modelli in gesso, l'odontoiatra passerà ad un esame di questi ultimi, allo scopo di definire e stabilire in modo più dettagliato i rapporti delle arcate. (ESAME DEI MODELLI). Successivamente, il medico prescriverà degli ESAMI RADIOGRAFICI, allo scopo di verificare la presenza di eventuali malformazioni osse. I I principali esami radiografici sono: ORTOPANTOMOGRAFIA: conosciuta comunemente come "panoramica", è una radiografia che permette di ottenere, su un'unica pellicola, in vista frontale, una visualizzazione di entrambe le ossa mascellari e delle strutture circostanti. Fornisce informazione generiche sulle strutture osse. TELERADIOGRAFIA: è chiamata "tele" perché la sorgente dei raggi si trova alla distanza di circa un metro, di modo che i raggi giungono sulle strutture ossee pressoché paralleli tra loro. è un esame preciso e fornisce una visualizzazione, in vista laterale, sulla quale il clinico effettua il tracciato cefalometrico. RADIOGRAFIA ENDORALE: il radiografo endorale è impiegato in combinazione con delle piccole lastre e fornisce una visione precisa di due elementi dentali al massimo. ORTOPANTOMOGRAFIA TELERADIOGRAFIA TRACCIATO CEFALOMETRICO Effettuati gli esami radiografici richiesti, il clinico può procedere ad un ESAME STRUMENTALE, che può avere scopo diagnostico e/o terapeutico. I principali esami strumentali sono: ELETTROMIOGRAFIA: questo esame serve a valutare lo stato fisiologico dei muscoli. è costituito da alcuni elettrodi che vengono posizionati sui muscoli digastrico, massetere, temporale e trapezio (quest'ultimo per verificare indirettamente lo pterigoideo interno). Il risultato è un quadro dell'attività muscolare del paziente, dal quale si possono determinare eventuali ipertonicità o ipotonicità e la simmetria destra e sinistra dei toni muscolari. CHINESIOGRAFIA: è costituito da una magnete che, fissato sul mento, produce un campo magnetico che viene rilevato da alcuni sensori che lo trasformano in grafico. Il medico fa aprire e chiudere la bocca al paziente, permettendo cosi ai sensori di captare diversi campi magnetici. TENS: la sigla significa "ElettroNeuroStimolazione Transcutanea", ed è costituita da due elettrodi posizionati sull'incisura sigmoidea, i quali, producendo piccoli impulsi ciclici a bassa intensità, stimolano la produzione di endorfine, rilassando così i muscoli ipertonici e ristabilendo il giusto tono fisiologico. Questo esame ha scopo sia diagnostico che terapeutico in quanto può essere utilizzato per curare eventuali stati di stress muscolare deli muscoli masticatori. Materiali per ortodonzia mobile Gli apparecchi mobili devono produrre delle forze sui denti o sulle ossa. Tali forze agiscono in un ambiente complesso, quale è il cavo orale. I materiali utilizzati, devono quindi avere determinate proprietà, quali: buona resistenza meccanica; buona resistenza agli ambienti corrosivi; buona resistenza agli sbalzi termici; inalterabilità chimica; costo relativamente contenuto; bassa conducibilità termica ed elettrica; minime variazioni dimensionali durante i processi di lavorazione. Per rispondere adeguatamente a questi requisiti, ottenendo i risultati desiderati, i materiali comunemente utilizzati nel campo dell'ortodonzia mobile sono: 1. 1.2. 1.3. 1.4. 1.5. 1.6. 2. 2.1. 2.2. 2.3. 2.4. Fili in acciaio inossidabile Classificazione Ferro e carbonio Trattamenti termici Acciai inossidabili Acciai inossidabili austenitici Resina per ortodonzia Strutture dei polimeri Polimerizzazione Stato amorfo e stato cristallino Resine acriliche autopolimerizzabili a base di polimetilmetacrilato 2.5. Manipolazione e proprietà Fili in acciaio inossidabile 1.2 Classificazione Esistono vari tipi di acciai, classificabili in base ad altrettanti criteri. Una classificazione comune degli acciai è quella che li divide, in base alla loro composizione chimica, in: Acciai semplici Acciai speciali Gli acciai semplici (o acciai comuni) oltre al ferro e al carbonio, contengono piccole percentuali di zolfo, fosforo, manganese (0,3 – 0,7%) e silicio (0,2 – 0,4%). Vengono classificati in base al contenuto di carbonio in: extradolci (da tracce a 0,15% di carbonio); dolci (da 0,16 a 0,25% di carbonio); semiduri (da 0,25 a 0,50% di carbonio); duri (0,51 – 0,75%) ed extraduri (oltre 0,75%). Gli acciai speciali, oltre al ferro, carbonio, silicio, manganese, zolfo (≤0,03%) e fosforo (≤0,03%), contengono, a seconda dell’impiego cui sono adibiti, opportuni elementi addizionati intenzionalmente in lega (Ni, Cr, W, Mo, V,…) in modo da presentare idonee caratteristiche a carico di rottura, resilienza, durezza, plasticità, resistenza a fatica.ecc… in base ai diversi usi, gli acciai speciali vengono classificati in: o Acciai da costruzione di uso generale o Acciai speciali da costruzione o Acciai da utensili o Acciai inossidabili o Acciai per usi particolari Ferro e carbonio La solubilità tra ferro e carbonio non ha una percentuale fissa, ma dipende dalla forma allotropica del ferro. Il ferro presenta delle forme allotropiche che sono importanti in quanto gli acciai sono caratterizzati da una serie di temperature, dette punti critici in cui subisce delle trasformazione allo stato solido. Analizziamo le modificazioni allotropiche: Ferro α che cristallizza nel sistema cubico a corpo centrato, risulta stabile dalla temperatura ambiente a 911°C. Ha un comportamento magnetico, che diventa paramagnetico dai 169°C ai 911°C; Ferro γ che cristallizza nel sistema cubico a facce centrate ed è stabile fra i 911°C e i 1392°C; Ferro σ che cristallizza nel sistema cubico a corpo centrato e risulta stabile dai 1392°C fino alla temperatura di fusione (1536°C). Tali forme allotropiche, come detto precedentemente, presentano diverse solubilità, allo stato solido, con il carbonio. Le forme allotropiche del ferro che presentano interesse nel campo tecnologico, sono: Ferro α: presenta un massimo di solubilità verso il carbonio di 0,04% a 123°C. La relativa soluzione solida è chiamata ferrite. Ferro γ: solubilizza un massimo di carbonio del 2,06% a 1140°C. La relativa soluzione solida prende il nome di austenite. Fili in acciaio inossidabile Trattamenti termici L’acciaio può essere sottoposto a svariati trattamenti termici, viste le molteplici finalità che può avere. La presenza o meno di specifici elementi in lega, può variare i risultati. I principali trattamenti termici effettuati sull’acciaio sono: Tempra (di durezza) Tale trattamento termico, consiste nel riscaldare l’acciaio fino a portarlo in campo austenitico, nel mantenerlo a tale temperatura per il tempo sufficiente a garantire in tutte le parti del pezzo la struttura austenitica,e nel seguente brusco raffreddamento in acqua. Il brusco raffreddamento ha lo scopo di fissare a temperatura ambiente la struttura tetragonale a corpo centrato. Tale struttura, che prende il nome di martensite, è caratterizzata da elevatissime durezza e fragilità, dovute alla distorsione reticolare dovuta all’eccessiva quantità di carbonio rispetto a quella ordinaria. Il grado di durezza varia in funzione del tenore di carbonio. Rinvenimento. L’eccessiva durezza della struttura martensitica richiede,in alcuni casi, un altrettanto trattamento che serve a favorire la diffusione degli atomi di carbonio con conseguente diminuzione delle tensioni e aumento della tenacità. Il trattamento termico di rinvenimento consiste in un riscaldamento del materiale ad una temperatura di circa 700°C (inferiore a quella della tempra di durezza), nella permanenza a tale temperatura per il tempo necessario a favorire la diffusione atomica del carbonio in eccesso, e in un raffreddamento più o meno rapido fino a temperatura ambiente. L’insieme dei trattamenti di tempra e rinvenimento è detto bonifica e conferisce all’acciaio un ottimo complesso di caratteristiche meccaniche. Ricottura. Ha la funzione di attenuare le tensioni interne dovute a deformazione plastiche (a freddo) e alle eterogeneità della composizione chimica. È eseguito riscaldando il materiale fino a portarlo in campo austenitico, nel mantenerlo a tale temperatura per il tempo necessario a permettere il passaggio alla forma γ di tutto il pezzo e nel raffreddarlo lentamente in forno. Normalizzazione. Ha lo scopo di ottenere una grana fine e regolare, tramite un riscaldamento del pezzo metallico fino al campo austenitico, nella permanenza a tale temperatura per il tempo strettamente necessario a permettere il passaggio dalla fase α alla fase γ e nel raffreddamento in aria. Acciai inossidabili Tra gli acciai speciali, quelli inossidabili sono quelli che trovano più largo uso in campo dentale, sia nelle lavorazioni allo stato solido, sia nella costruzione di parti di apparecchiature. Per acciai inossidabili s’intendono, in generale, quelle leghe ferro-cromo e ferro-cromo-nichel con contenuti di cromo dal 12 al 30% e di nichel dallo 0% al 35%. La loro principale caratteristica è l’elevata resistenza alla corrosione, dovuta alla capacità di tali acciai di passivarsi, cioè di creare una pellicola, sottile e aderente, di ossidi che proteggono il pezzo da ulteriori corrosioni. Tale comportamento è dovuto alla presenza del cromo che forma una pellicola di Cr2O3. In base alla loro struttura, gli acciai inossidabili possono essere divisi in: • Acciai inossidabili a struttura ferritica • Acciai inossidabili a struttura martensitica • Acciai inossidabili a struttura austenitica Solo la terza categoria di acciai inossidabili trova largo uso in campo dentale; i primi due gruppi di acciai inossidabili trovano soprattutto applicazione nella realizzazione di strumenti e parti di apparecchiature. Di particolare interesse sono gli acciai inossidabili a struttura austenitica nella realizzazione di ganci per apparecchi ortodontici. •Acciai inossidabili austenitici Sono definiti acciai inossidabili austenitici, quelle leghe ferro-cromo-nichel con contenuti di cromo dal 12 al 30% e di nichel dal 6 al 35% con struttura completamente austenitica. La costante presenza del nichel, che aumenta il campo di esistenza del ferro y (911- 1392°C), determinando un abbassamento dei punti critici, permette di portare l’austenite stabile a temperatura ordinaria anche con raffreddamenti lenti. La struttura austenitica è ottenuta industrialmente con un brusco raffreddamento dell’acciaio portato precedentemente alla temperatura di 1000°C e nello stazionamento a tale temperatura per il tempo necessario per assicurare in tutte le parti la struttura austenitica. Il brusco raffreddamento ha lo scopo di evitare la segregazione dei carburi di cromo lungo i bordi dei grani. Ciò determinerebbe una diminuzione di cromo nel grano, dovuta alla diffusione degli atomi di questo elemento verso il bordo. Se in tali zone la concentrazione di cromo scende sotto il 12%, la lega sarebbe soggetta, in ambienti opportuni, a corrosione intergranulare. Il 12% è quindi la percentuale minima che assicura la passivazione del cromo. La precipitazione dei carburi di cromo produce una diminuzione della tenacità e della plasticità della lega. Un acciaio che presenta alti tenori di carburi di cromo lungo i bordi dei grani è detto sensibilizzato. Allo scopo di attenuare il pericolo di formazione di carburi di cromo, e quindi della corrosione intergranulare, si può procedere in due modi: Riduzione del tenore di carbonio (< 0,03%); Introduzione in lega di elementi come titanio e niobio, che presentando maggior affinità chimica col carbonio rispetto al cromo, formano i rispettivi carburi che, distribuendosi uniformemente nella matrice, lasciano inalterata la percentuale di cromo. Gli acciai inossidabili austenitici al titanio o al niobio sono detti acciai stabilizzati. Resina per ortodonzia Strutture dei polimeri Gli alto polimeri possono presentare principalmente tre strutture: Struttura lineare. I monomeri sono legati tra loro come le maglie di una catena, quindi ogni unità monometrica è legata a una che la precede e a una che la segue. La disposizione finale di un polimero a struttura lineare è paragonabile ad una matassa disordinata di lunghi fili. Sono un esempio di polimero a struttura lineare il polietilene (PET) e il cloruro di polivinile (PVC). I polimeri a struttura lineare sono facilmente foggiabili sotto l’azione del calore e della pressione e presentano buona solubilità nei soventi di analoga struttura chimica. Struttura ramificata. Sono strutture lineari sulla cui catena macromolecolare sono aggiunte catene laterali di lunghezza variabile. Il comportamento di un polimero ramificato dipende dalla lunghezza della catena e dal “grado di ramificazione”: quanto più elevato è l’intreccio, tanto più risulterà compatta la struttura e minori solubilità, lavorabilità e sensibilità all’azione del calore. Struttura reticolata. Le varie macromolecole sono unite fra di loro da legami trasversali. Il movimento delle singole molecole risulterà limitato. Quanto maggiore è il numero di legami trasversali, ovvero quanto più elevato è il “grado di reticolazione”, tanto maggiori risultano densità, durezza e rigidità della struttura e minori la lavorabilità, la solubilità e la sensibilità al calore. Un esempio di resine a struttura reticolata è la resina fenolo-formaldeide, più nota come bakelite. La formazione di ponti trasversali può essere un processo maturale o artificiale. La vulcanizzazione della gomma è un processo di reticolazione indotto volutamente. Il deterioramento della gomma esposta all’atmosfera per lungo tempo è un processo di reticolazione spontaneo. Polimerizzazione La polimerizzazione, cioè il processo tramite cui si formano le macromolecole, può essere di due tipi: Polimerizzazione per addizione (o poliaddizione). Polimerizzazione per condensazione (o policondensazione). Nel processo di poliaddizione, le catene macromolecolari si accrescono per continua addizione di sempre nuove unità monometriche alle loro estremità, senza eliminazione di altre sostanze. Un esempio ci è fornito dal polietilene che si forma dal monomero etilene in opportune condizioni di temperatura e pressione con un’adatta sostanza iniziatrice. I polimeri che si formano per poliaddizione presentano sempre la stessa formula base e peso molecolare multiplo del composto di partenza. Nella polimerizzazione per addizione, l’attivazione iniziale delle molecole di monomero è ottenuta grazie alla presenza di opportune sostanze. A seconda della sostanza iniziatrice, i processi di poliaddizione si possono dividere in: Polimerizzazione radicalica. Estesamente impiegata in campo dentale sfrutta radicali liberi (particelle che hanno un elettrone spaiato nell’orbitale esterno). Tali radicali, rappresentati in genere da perossidi, possono essere attivati per via termica, cioè per azione del calore, per assorbimento di radiazioni (fotochimica, radiochimica) o per la presenza di iniziatori capaci di fornire radicali liberi. I perossidi si attivano a determinate temperature, ma possono essere attivati a temperatura ambiente con opportuni attivatori che, in campo dentale, sono rappresentati in genere dalle ammine. Polimerizzazione ionica. Sono processi di poliaddizione in cui adatte sostanze, reagendo con il monomero lo attivano generando composti di carattere ionico in grado di addizionare altri monomeri. Il processo si divide in anionico e cationico. Nel processo di policondensazione, l’unione delle unità monometriche è accompagnata dalla formazione e dall’eliminazione di piccole altre molecole (in genere H2O, HCl, NH3…). Perché si verifichi la policondensazione occorre che ogni molecola possegga almeno due gruppi funzionali capaci di reagire con altre molecole. Presentano tale forma di polimerizzazione le gomme da impronta al polisolfuro, le resine epossidiche. La reazione è in genere lenta e s’interrompe prima che le molecole abbiano raggiunto notevoli dimensioni. Stato amorfo e stato cristallino I polimeri con catene trasversali si presentano in genere allo stato amorfo (disordinato). In quelli a struttura lineare le catene macromolecolari possono non essere contorte, in uno stato, cioè, di completo disordine, ma essere per certi tratti ordinati, disposti le une parallele alle altre. Nei polimeri non si ha un ordinamento totale delle catene e quindi degli atomi, ma si hanno zone amorfe e zone cristalline, dette cristallini, fra loro alternate. La possibilità di ottenere cristallini dipende dalla struttura del polimero, dalle modalità di raffreddamento e da eventuali “trattamenti termici”. Il “grado di cristallinità”, ovvero la percentuale in peso di materiale che si trova allo stato cristallino, ha notevole influenza su alcune proprietà del polimero. In un polimero a struttura lineare, all’aumentare del grado di cristallinità, si ha in genere un certo aumento della fragilità, rigidità, durezza e resistenza al calore; mentre, all’aumentare delle zone amorfe, si ottiene un prodotto più flessibile e solubile, capace di assorbire energia meccanica, sottoforma di deformazioni plastiche. Le proprietà dei polimeri dipendono quindi: Dalla natura del monomero di partenza; Dal grado di polimerizzazione; Dalla struttura del polimero. Resine acriliche autopolimerizzabili a base di polimetilmetacrilato Le resine utilizzate in campo dentale per la realizzazione di basi per apparecchi mobili sono resine sintetiche. Più precisamente, si tratta di resine acriliche autopolimerizzabili a base di polimetilmetacrilato. Dette anche resine “a freddo”, le resine acriliche autopolimerizzabili vengono fornite sotto forma di polvere e liquido. Il liquido è costituito da metilmetacrilato, un composto organico che si presenta, a temperatura ambiente, incolore, trasparente, dall’odore penetrante e solubile in parecchi solventi organici. Presenta una temperatura di ebollizione di circa 100°C e una densità (a 25°C) di 0,939 – 0,950 g/cm3. Oltre al monomero, il liquido contiene anche: Un inibitore, in genere rappresentato dall’idrochinone, che ha la funzione di evitare la polimerizzazione accidentale del monomero durante la conservazione, a causa della luce ultravioletta o per azione del calore. Per tale motivo, il liquido viene fornito in boccette di vetro marrone scuro che, filtrando la luce, schermano quella ultravioletta. Di norma, inoltre, il monomero va conservato in frigorifero a circa 10°C; delle sostanze reticolanti, ovvero atte a generare legami trasversali fra le varie catene. La sostanza reticolante utilizzata principalmente in campo dentale è il glicoldimetilmetacrilato. Il polimero finale, grazie ai legami trasversali, presenterà maggior durezza e minor tendenza all’assorbimento dei liquidi. Il metilmetacrilato, reagendo con il glicoldimetilmetacrilato, tramite una reazione di copolimerizzazione (in quanto sono due monomeri diversi), da origine ad una resina termoindurente; • Sostanze plastificanti (dibutilftalato), con concentrazione ben regolata per • non abbassare eccessivamente le proprietà meccaniche e la temperature di transizione vetrosa; Un’attivatore chimico che ha il compito di attivare, a temperatura ambiente, il perossido presente nella polvere. In campo dentale, come attivatori, sono in genere utilizzate le ammine terziarie come le dimetil-paratoluidina. La polvere è costituita da polimetilmetacrilato (PMMA), ridotto in granuli, un polimero di poliaddizione a struttura lineare. Si presenta amorfo, incolore e trasparente, con una buona resistenza a molti reagenti in soluzione acquosa ed elevata resistenza agli agenti atmosferici. Il polimetilmetacrilato non resiste bene alle alte temperature e, a circa 300°C, subisce una “depolimerizzazione”, ridando il monomero di partenza; a 450°C circa 90% della sostanza si trasforma in monomero gassoso. Oltre al polimero, la polvere contiene: • Un iniziatore, rappresentato in genere da perossido di benzoile, la cui funzione è quella di produrre radicali liberi e attivare quindi, dopo la miscelazione, la polimerizzazione del metacrilato; • Degli opacizzanti (ossido di zinco, ossido di titanio,…) allo scopo di conferire adeguata opacità alla massa; • Dei pigmenti inorganici (solfuro di mercurio, ossido ferrino,…) per impartire una colorazione simile a quella dei tessuti orali; • Delle fibre (di nylon, acriliche,…) di colore rosso, per simulare i vasi sanguigni presenti nelle mucose orali. Manipolazione e proprietà Dopo la miscelazione e la zappatura, questo tipo di resine no richiedono cicli termici, in quanto la loro polimerizzazione avviene a temperatura ambiente e sotto pressione per 120 – 150 minuti. Per accelerare i tempi di realizzazione e per ottenere un prodotto privo di porosità, il manufatto in resina viene fatto polimerizzare in un recipiente a pressione d’aria, contenete acqua alla temperatura di 40 -50°C, per 10 – 30 minuti alla pressione di 2 bar. Le resine acriliche autopolimerizzabili presentano un tempo più breve di lavorazione allo stato plastico, bisogna perciò porre attenzione ai tempi di manipolazione. La polimerizzazione a temperatura ambiente presenta dei vantaggi, tra cui: • Assenza di porosità da ebollizione di monomero; • Contrazione di polimerizzazione minore rispetto alle resine acriliche a caldo; • Minori tensioni interne. Presentano inoltre un’espansione dovuta all’assorbimento di acqua, di poco superiore a quella delle resine polimerizzabili a caldo, mentre la solubilità in acqua è notevolmente superiore. La presenza dell’ammina terziaria comporta, nel tempo, un’alterazione del colore più marcata. La durezza e la resistenza delle resine polimerizzabili a freddo, che risulta inizialmente minore, diventa pressoché uguale a quelle delle resine polimerizzabili a caldo dopo quindici giorni circa, in quanto, alla temperatura orale, la polimerizzazione continua. OCCLUSIONE E POSTURA Correlazioni tra problemi gnatologici e postura Quando si parla di postura, s'intende la corretta successione articolare scheletrica indipendentemente dalla posizione del corpo nello spazio. Fisiologicamente, non dovrebbe esserci connessione tra atm e postura, se però la dentatura è posizionata patologicamente, questa connessione avrà luogo. Gli eventi più comunemente riscontrabili sono: Differenza di lunghezza tra i denti (pre-contatto). Se in una bocca ci sono dei pre-contatti, durante il movimento di chiusura, i muscoli masticatori agiranno asimmetricamente e con intensità superiore a quella richiesta fisiologicamente. L'attivazione muscolare asimmetrica ed in eccesso d'intensità, determinerà il coinvolgimento degli altri distretti, a partire dai muscoli del collo. Questo vuol dire che altre articolazioni subiranno le conseguenze delle forze traenti, le vertebre cervicali perderanno la loro posizione simmetrica, si potrà elevare una spalla e, se il processo durerà nel tempo, produrrà una serie di complesse alterazioni scheletriche della postura corporea. Eccessivo spazio libero tra i denti. In condizione di riposo i denti non dovrebbero essere a contatto ma presentare uno "spazio libero" di circa 2mm. Questa è la condizione ritenuta di riposo e fisiologica. Nel caso in cui lo spazio libero sia eccessivo, per mantenere uno spazio libero corretto, i muscoli dovranno essere perennemente in tensione. Per ovviare a questo sforzo continuo, il sistema muscolare, e soprattutto i muscoli posti al davanti della colonna cervicale, sposteranno il corpo in avanti. portare il capo in avanti, significa però spostare il baricentro corporeo. Per evitare la perdita di equilibrio, i muscoli sottostanti dovranno attivarsi modificando la sinusoide vertebrale, accentuando o diminuendo le lordosi fisiologiche. Anche in questo caso si avrà come conseguenza un'alterazione posturale. Diminuzione o assenza dello spazio libero. E' la situazione opposta a quella vista precedentemente. In questo caso si attiveranno i muscoli posti posteriormente alla colonna cervicale in modo da arretrare il capo. In questo modo le arcate si distanziano, scaricando lo sforzo sui muscoli ioidei. Anche qui, il baricentro si sposterà, stavolta posteriormente; i muscoli dei distretti sottostanti, si attiveranno anche in questo caso per mantenere l'equilibrio agendo sull'intera colonna vertebrale e alterando la verticalità dei segmenti corporei. La conseguenza sarà un'alterazione posturale. Tutti gli squilibri posturali visti possono a loro volta generare l'insorgenza di patologie ortopediche (scoliosi, lombalgie, cervicalgie, ecc) che potremmo definire secondarie ad un primario coinvolgimento patologico dell'apparato buccale. Connessione tra postura e atm. I meccanismi visti finora possono anche agire al contrario, potrebbe cioè verificarsi il caso in cui uno squilibrio muscolare proveniente da altri distretti corporei determini per i meccanismi di interconnessione muscolare problemi all’atm. Squilibri ortopedici più comuni SCOLIOSI È un incurvamento laterale della colonna vertebrale. Viene definita destroo sinistro-convessa a seconda del lato verso cui è rivolta la convessità della curva principale. Le scoliosi vengono suddivise in funzionali ed organiche. Le forme funzionali sono transitorie e possono essere curate intervenendo sulla causa. Sono evidenti quando il soggetto è in posizione eretta. Le forme organiche, permanenti, possono avere una causa ignota (forma idiopatica), o essere conseguenti a malformazioni congenite (vertebre a cuneo), a traumi (frattura di uno o più corpi vertebrali), a forme neoplastiche (cioè alla formazione di focolai cancerosi), a paralisi della muscolatura (poliomielite). La principale tra le forme organiche è quella idiopatica. LOMBALGIA Detta anche "lombaggine", è un dolore, acuto o cronico della zona bassa (cioè lombare) della schiena, accompagnato da rigidità, difficoltà di movimenti e contrattura dei muscoli. Si presenta come un dolore improvviso e lancinante quando il soggetto si china e impedisce il ritorno alla posizione eretta. Può interessa muscoli, tendini e dischi intervertebrali della regione lombare. Può essere dovuta a sollevamento di pesi, flessioni o esposizione improvvisa a calore, freddo o umidità. CEFALEA È il termine generico con il quale si indica il dolore localizzato in una parte qualsiasi della testa. Sebbene sia un sintomo comune, l'occasionale comparsa di cefalee, solo in una minima percentuale è indice di patologie più gravi, quali: commozione cerebrale, meningite, encefalite, tumore. Altre cause di cefalee possono essere disfunzioni del sistema neurovegetativo, tensione emotiva, un non corretto allineamento dei denti e delle arcate. LORDOSI Un modesto grado di lordosi è fisiologico nel tratto lombare della colonna vertebrale. La condizione patologica provoca un'esagerata incurvatura del dorso: le natiche sono prominenti, le spalle spinte verso l'indietro, la regione dorsale e quella lombare formano una curva pronunciata. La lordosi, di rado primitiva, può essere dovuta a paralisi dei muscoli sacrolombari, ma più spesso è un tentativo di compenso a una cifosi dorsale; può anche accompagnarsi ad affezioni croniche dell’anca. CIFOSI Utilizzato in medicina al posto di "ipercifosi", questo termine indica una condizione patologica di eccessiva curvatura della colonna vertebrale. Questa curvatura però, se non eccessivamente accentuata, è normalmente presente nella colonna vertebrale. Orthodontic appliances. Orthodontic appliances are mechanical structures ,in different shapes, studied to operate on the two maxillary bony structures(orthopaedic appliance) and/or dental units. These appliances can be classified according to the developed stresses and according to their structure. In the first case they are divided in active (mechanical or functional) and passive. The active mechanical appliances, fixed or removable, operate through external forces which interact with the natural forces to stimulate the planned action. The functional ones instead, operate modifying the direction of natural muscular stresses. Passive appliances, also called containment, are used as a consequence of a dental drawing or of an orthodontic treatment, as they do not develop stresses but only keep the pre-existing situation. Appliances belonging to the second group are divided into fixed, which are cemented on the teeth and can be removed only by the dentist, removable, which can be removed also by the patient, and mixed which are formed both by cemented and removable parts. Angle’s classification of malocclusion. Angle’s classification takes as a reference the relationship between upper and lower first molars or, if they are missing, between upper and lower canines, so that the former are defined as “key to malocclusion”. According to it, malocclusion can be divided into the following three classes. Class I: Class II: normocclusion,i.e mesio-distal first molar relationship normal. postnormal occlusion (inferior retrusion): this class presents two divisions. Division 1: lower first molar distal to upper first molar, causing a pronounced overjet of the upper central teeth. Division 2: lower first molar distal to upper first molar, but the upper central teeth are inclined inwards causing a deep overbite. Class III: prenormal occlusion (inferior protrusion), i.e lower first molar mesial to upper first molar.