Gli atleti hanno arterie di conduzione e di resistenza più grandi?
Mentre l’effetto dell’allenamento aerobico sulla crescita dei capillari è ben documentato, la
regolazione della resistenza vascolare e della pressione sono principalmente appannaggio delle
arteriole e delle piccole arterie a monte, la maggior parte delle quali si trova al di fuori
dell’interstizio muscolare. Questi vasi arteriosi si possono adattare all’allenamento
funzionalmente oppure mediante rimodellamento strutturale verso l’esterno.
È stato dimostrato che la capacità di vasodilatazione del muscolo dopo allenamento supera la
possibilità del cuore di aumentare la gettata cardiaca abbastanza da mantenere la pressione
arteriosa; questo sottolinea la plasticità dei vasi in risposta all’esercizio e suggerisce che
adattamenti arteriosi siano indispensabili per aumentare le performance atletiche. Si studiano le
variazioni dell’area complessiva dei vasi di resistenza misurando le risposte massime dopo
un’ischemia prolungata o durante esercizio in ischemia, ritenendo che uno stimolo massimale
possa rivelare le caratteristiche strutturali del letto vascolare.
Gli atleti mostrano un aumento della capacità massima di vasodilatazione.
Per esempio tennisti di alto livello hanno più vasodilatazione nel braccio preferito rispetto
all’altro: c’è un rimodellamento vascolare localizzato, indipendente dall’ipertrofia muscolare e da
vari fattori di regolazione. Quindi, c’è rimodellamento in risposta a stimoli locali ed intrinseci.
La capacità di dilatazione delle coronarie (risposta alla nitroglicerina) è maggiore nei corridori
anche se le dimensioni a riposo sono normali. Questo indica l’importanza di studiare le risposte
a stimoli dilatatori e indica anche che negli atleti c’è un maggiore tono di base perché aumenta
la risposta alla stimolazione alfa adrenergica, in parte per compensare la maggiore capacità
vasodilatatoria.
Vari studi dimostrano un aumento di diametro delle arterie di conduzione, ma soprattutto di
quelle più periferiche, suggerendo che la plasticità riguardi le arterie muscolari piuttosto che
quelle elastiche.
È molto evidente il ruolo dell’endotelio e dell’aumento ripetitivo dello shear stress nell’aumento
del diametro delle arterie. Dopo legatura dell’aorta nei conigli (per provocare ipertrofia
cardiaca) il flusso cala e il diametro dell’aorta diminuisce con meccanismo endotelio dipendente.
Lo shear della parete è autoregolato omeostaticamente in maniera dipendente dall’ossido
nitrico. Analoghi effetti si ottengono alterando il flusso con il calore.
In conclusione, lo shear stress è lo stimolo fisiologico principale per il rimodellamento vascolare.
Si modifica lo spessore di parete delle arterie degli atleti?
I risultati sono contrastanti, ma nell’insieme portano a concludere che lo spessore è ridotto in
tutte le arterie, per un effetto sistemico. Questo è stato identificato nell’aumento della pressione
pulsatoria, che, quando è costante come nell’ipertensione ha effetti deleteri (aterogenici), ma
quando è saltuario come durante l’esercizio migliora le caratteristiche di parete.
Le risposte funzionali (nitroglicerina o acetilcolina) non sembrano influenzate dall’esercizio nei
giovani ma lo sono negli anziani. L’allenamento potrebbe ritardare l’”invecchiamento” delle
arterie.
Una serie di esperimenti su animali suggerisce che l’adattamento funzionale delle arterie
potrebbe precedere quello strutturale ed esserne poi mascherato per la normalizzazione dello
shear stress.
CONCLUSIONE: gli atleti di endurance hanno arterie di conduzione più grandi, con pareti più
sottili. Queste modificazioni strutturali possono mascherare adattamenti funzionali.
Rappresentazione di dati ricavati da
un gruppo di atleti di élite: La
funzione delle grandi arterie, in
questo caso la dilatazione mediata
dal flusso (FMD%) non sembra
aumentata. Questo può essere
dovuto ad un problema di
“supernormalizzazione” della
funzione di arterie normali o a
modificazioni strutturali dell’arteria
che sopprimono la necessità di una
sovra regolazione funzionale. Per
esempio, le arterie degli atleti hanno
un diametro maggiore e un diverso
rapporto spessore/diametro rispetto
a soggetti uguali di controllo.
Pertanto, le arterie degli atleti
possono avere una funzione normale
ma su diversi set point strutturali
Rappresentazione di una “arteria di atleta” che associa un diametro maggiore e una parete
più sottile rispetto a quella di un soggetto sedentario.
Bisogna ricordare che questi dati si riferiscono ad atleti di endurance, mentre poco si sa sugli
effetti di allenamenti di forza sulle arterie. Non è sempre evidente che le gli atleti hanno
arterie più grandi a riposo, forse a causa di un maggior tono vasocostrittore basale
Variazioni del diametro (A) e dello spessore di parete (B)
dell’arteria femorale per uno spettro completo di attività
fisica, che va dall’atleta di endurance con diverse durate
dell’allenamento a vari modelli di inattività fisica. Notare
il rapido rimodellamento verso l’interno “dosedipendente”. Il rimodellamento della parete arteriosa ha
un andamento diverso rispetto a quello del diametro.
Il rimodellamento strutturale dei vasi e l’atrofia muscolare in risposta al decondizionamento
possono seguire vie simili.
Il decondizionamento comporta un aumento dello shear stress medio, quindi il rimodellamento
non può essere dovuto al valore assoluto dello shear stress. D’altra parte a riposo il flusso di
sangue nella maggior parte delle arterie periferiche è molto oscillante con una componente
anterograda (maggiore) in sistole ed una retrograda in diastole. Si ritiene che la componente
retrograda abbia effetti aterogenici: è stato dimostrato che l’esposizione acuta ad elevato shear
stress retrogrado diminuisce la funzione endoteliale in maniera dose dipendente. L’aumento del
flusso retrogrado è dovuto ad un aumento delle resistenze periferiche.
La pressione arteriosa è un altro potente stimolo emodinamico che contribuisce agli
adattamenti della parete arteriosa. Ci sono risultati contrastanti, ma sembra che un aumento
della pressione media provochi una deviazione dell’endotelio verso un fenotipo aterogenico.
Tuttavia in seguito a decondizionamento la pressione arteriosa non aumenta, almeno nel breve
termine, mentre la breve esposizione all’aumento della pressione media e pulsatoria (esercizio)
avrebbe effetti benefici sulle pareti. L’inattività fisica può anche aumentare lo stress ossidativo,
con tutte le sue conseguenze negative.
I dati disponibili indicano che l’inattività fisica porta ad un rapido rimodellamento verso
l’interno, dose dipendente, delle arterie di conduzione e di resistenza e ad un aumento dello
spessore di parete. Nei vasi di resistenza vi è un aumento delle influenze vasocostrittive
piuttosto che una riduzione di quelle vasodilatatorie.
BED REST
Variazioni del diametro della carotide
(nero) e della femorale (grigio) A:
diametro; B: rapporto intima/media;
C: rapporto normalizzato per il
diametro in soggetti di controllo, con
esercizio resistivo, con esercizio
vibratorio
Presentazione schematica di un’arteria prima (sinistra) e dopo esposizione prolungata
all’inattività: notare il lume ridotto, l’aumento dello spessore, la riduzione di compliance e le
variazioni endoteliali (per es. il maggiore contributo dei vasocostrittori alla regolazione del tono
vascolare), che causano un peggioramento dello stato di salute del vaso
Tracciato di velocità (A) e
andamento della forza di
taglio (B) durante il
rigonfiamento di una cuffia a
valle a 25, 50 o 75 mmHg. In
(C) è presentata la
diminuzione di FMD%
Experimental Physiology (2003) 88.5, 645–658.
Il significato dell’accrescimento e del rimodellamento dei vasi coronarici è intrinseco ai benefici
protettivi dell’esercizio. Per fare dei confronti, suddividiamo l’albero arterioso coronarico in
base alle dimensioni in: grandi arterie di conduzione (> 1000 µm), piccole arterie (300-1000 µm),
arterie di resistenza (150-300 µm), e grandi (100-150 µm), medie (50-100 µm) e piccole (10-50
µm) arteriole, che alimentano i capillari (circa 6 µm).
Il rimodellamento vascolare comprende 4 processi:
Angiogenesi: crescita di nuovi capillari da quelli esistenti, che comprende solo cellule endoteliali
e riguarda la microcircolazione.
Arterializzazione: con l’aumento di numero di questi vasi di scambio, alcuni si allargano e si
trasformano in arteriole, con l’aggiunta di muscolo liscio e altri elementi che li rendono in grado
di modificare il diametro.
Rimodellamento arterioso: le arterie di conduzione e di resistenza variano il loro diametro e lo
spessore modificando la composizione della parete sia per quanto riguarda le cellule (muscolo
liscio ed endotelio), sia la componente extracellulare.
Arteriogenesi: si verifica solo in seguito ad un’occlusione a monte. Piccole arterie e anastomosi
pre esistenti si allargano e diventano vasi collaterali tramite l’invasione di monociti, produzione
di fattori di crescita e successiva proliferazione di cellule endoteliali e di muscolo liscio,formando
una rete alternativa per il territorio escluso dall’occlusione.
Soltanto i primi tre processi sono fisiologici e rappresentano la risposta agli stimoli dell’esercizio.
Il rimodellamento indotto
dall’esercizio delle grandi
coronarie prossimali è
esemplificato dai risultati
dell’autopsia del corridore
Clarence DeMar (1961) che
aveva fatto più di 1000 gare di
distanza e 30 maratone in circa
50 anni: le sue coronarie erano
2-3 volte più grosse del
diametro normale.
L’aumento del diametro a
riposo e sotto dipiridamolo
(vasodilatatore periferico) è
stato confermato in numerosi
atleti.
Area di sezione (sinistra) e percentuale di dilatazione della
coronaria sinistra (LAD) dopo applicazione di dipiridamolo
(destra) in 16 maschi sedentari e 16 atleti di endurance
Diametri (sopra) e numero (sotto) di tutti i vasi
arteriosi per gli 11 ordini collegati in serie dalla
coronaria discendente anteriore sinistra. Analisi
morfometrica di calchi dei vasi. L’aumento del
numero e del diametro delle coronarie indotto
dall’esercizio riguarda rispettivamente i capillari
e le arteriole. La freccia indica il diametro < 300
µm, sotto al quale si tratta di arteriole di
resistenza.
Rapporto fra il peso del cuore e quello dei suoi vasi (stampo di plastica) per ratti
mantenuti in gabbia, oppure esercitati per 16 settimane a correre sulla ruota
(endurance) o ad alzare un peso per procurarsi il cibo (resistenza). Il rapporto
aumenta solo dopo allenamento aerobico.
Il quesito riguardante il numero di capillari fu
risolto da un esperimento sui maiali in cui è stato
seguito l’andamento temporale dell’angiogenesi
coronarica dopo un allenamento di endurance. La
crescita del DNA endoteliale ha un picco dopo una
settimana ma la densità dei capillari aumenta
dopo 3 settimane. L’area totale del letto arteriolare
aumentava del 37%, in parte per l’aumento del
numero delle piccole arterie (21-30 µm) e per i 4/5
per arterie un po’ più grandi (31-120 µm). Quindi,
l’aumento dei capillari è precoce ma transitorio. Il
breve periodo di aumento della densità capillare
può essere attribuito alla trasformazione di
capillari in arteriole mediante angiogenesi. In
conclusione, l’esercizio di endurance aumenta
soprattutto la sezione delle arteriole, che regolano
la resistenza al flusso e aumentano la capacità di
autoregolazione.
In alto: percentuale di capillari e piccole arteriole marcate per il DNA e cioè in proliferazione in
cuori di maiali allenati a correre su treadmill da 1 a 16 settimane. La proliferazione è massima a
1 settimana e diminuisce in seguito, ma le differenze restano significative. In basso: densità di
capillari e piccole arteriole negli stessi cuori; il numero aumenta solo alla 3^ settimana.
Schema dell’albero arterioso coronarico e dei capillari che distingue quali vasi aumentano di
diametro e quali di numero in risposta all’esercizio
L’adattamento all’esercizio attraverso aumento di capillari e di piccole arterie richiede la
proliferazione di cellule endoteliali e del muscolo liscio. Deve aumentare il numero delle cellule
e anche le loro dimensioni, la matrice extracellulare e ci deve essere un riaggiustamento delle
altre componenti. I segnali che scatenano questi processi di crescita comprendono l’ischemia e
l’ipossia, molecole di accrescimento e forze emodinamiche, come il flusso, la pressione, la
distensione e la compressione.
Ischemia. C’è la possibilità che durante l’esercizio, nonostante lo stretto accoppiamento fra il
metabolismo del cuore e il flusso coronarico, vi sia ischemia. Questo diventa particolarmente
plausibile ad alte frequenza cardiache, quando il tempo di diastole si riduce e la compressione
meccanica impedisce il flusso coronarico.
Fattori di crescita. Sono stati descritti numerosi fattori stimolati dall’esercizio, in particolare:
VEGF, FGF, TGF.
Forze fisiche. Durante uno sforzo, la circolazione coronarica subisce l’effetto di diverse forze
fisiche. L’aumento del riempimento diastolico stira le arterie di conduzione aumentandone la
lunghezza ma riducendone il diametro. D’altra parte, l’aumento del flusso aumenta la forza di
taglio.
Molto importante il ruolo dell’ossido nitrico non solo per la risposta acuta ma per il
rimodellamento
Alterazioni croniche del flusso sanguigno provocano cambiamenti nella stessa direzione del
diametro del lume. Questo adattamento indotto dal flusso serve a conservare i livelli basali di
shear stress (forza frizionale tangenziale alla parete) e modifica anche lo stress tangenziale
(forza perpendicolare) grazie alla legge di Laplace. Un aumento cronico del flusso (sperimentale)
riduce lo spessore dell’intima e della media: nell’insieme questo si chiama rimodellamento
arterioso espansivo.
Studi incrociati hanno documentato che giovani che hanno fatto allenamento di endurance
intenso hanno il diametro delle arterie degli arti interessati aumentato. Non si può dire però se
questo sia un effetto dell’allenamento oppure se la loro performance sia migliore grazie alle
arterie più grandi.
In questo studio si è indagato se le arterie sono più grandi anche negli adulti allenati e se tre
mesi di endurance training in sedentari modificano le arterie.
Diametro dell’arteria femorale (A) e
diametro normalizzato per la massa
totale della gamba (B) nei soggetti dello
studio
Rapporto intima/media (A) e rapporto
normalizzato per il diametro del lume
(B) nei soggetti dello studio
Diametro dell’arteria femorale prima e dopo l’allenamento
Rapporto intima/media femorale (A)
e rapporto normalizzato per il
diametro del lume (B) prima e dopo
l’allenamento
Lo stress ossidativo è uno stato di sbilanciamento dell’ossidazione nel quale la capacità
ossidante supera quella antiossidante e ne risulta un aumento della specie reattive dell’ossigeno
(ROS). I ROS sono stati coinvolti nella patogenesi di quasi tutte le fasi della formazione di lesioni
vascolari dell’aterosclerosi e dell’ipertensione. È chiaro che sono i macrofagi la principale fonte
di ROS, ma si è capito che praticamente tutte le cellule della parete vascolare (endoteliali,
muscolo liscio e avventizia) li possono produrre. I ROS hanno un ruolo fisiologico sulla parete
dei vasi e sono secondi messaggeri nella funzione endoteliale e nella crescita, sopravvivenza e
rimodellamento dei muscoli lisci e delle cellule endoteliali. Tutte queste risposte, quando
sfuggono al controllo, contribuiscono alla patologia vascolare. Il più importante ROS vascolare è
l’anione superossido (·O2-). Dismutato dalla superossidodismutasi (SOD) si trasforma in
perossido di ossigeno (acqua ossigenata H2O2), che è convertita in acqua dalla catalasi e dalla
glutatione perossidasi.
Generazione di specie reattive
dell’ossigeno (ROS).
Molti sistemi enzimatici hanno la
possibilità di generare ROS.
Questo diagramma illustra le
conseguenze strutturali e
funzionali dei ROS nella
ipertensione arteriosa. Un
aumento della produzione di
superossido, causato dalla
attivazione della NADPH ossidasi,
provoca disfunzione endoteliale
e rimodellamento vascolare
diminuendo la disponibilità di NO
e aumentando la produzione di
H2O2 e ONOO- (perossinitrito)
eNOS sintetasi dell’ossido nitrico
endoteliale; SOD superossido dismutasi:
VSMC muscolo liscio vasale; ECs cellule
endoteliali
I processi fisiologici coordinati dai ROS sono stati studiati in animali e nell’uomo e hanno
dimostrato il loro ruolo importante nello sviluppo dell’ipertensione perché favoriscono
alterazioni strutturali e funzionali alla base del rimodellamento con aumento del deposito di
matrice extracellulare, processi infiammatori e aumento della permeabilità endoteliale. I ROS
attivano le MMPs secrete in forma inattiva dai macrofagi e dai muscoli lisci (VSMC), che
degradano le membrane basali e l’elastina. Attivano le risposte derivanti dalla stimolazione dei
recettori dell’angiotensina. Il reostato dello stato redox delle cellule endoteliali è in primo luogo
regolato dall’interazione fra NO e ·O2-. Se il primo inibisce l’aggregazione delle piastrine e
l’adesione dei leucociti all’endotelio, l’aumento di permeabilità provoca stravaso di proteine
plasmatiche e infiammazione.
Le ossidasi NADPH vascolari sono enzimi costitutivi, ma la loro attività è regolata da fattori
umorali, quali angiotensina II, endotelina I e TNF-a. Ma l’attività NADPH è stimolata anche da
forze meccaniche, come lo shear stress laminare e oscillatorio. Sono coinvolti anche numerosi
fattori genetici. In conclusione, l’eccessiva produzione di ROS dovuta ad aumentata stimolazione
di NADPH ossidasi si associa all’ipertensione perché restringe le arterie e aumenta le resistenze
periferiche.
A - Attività dell’ossidasi NAPDH e ipertrofia vascolare nell’aorta di ratto. B – Sezioni
traverse di aorta da ratti normali (WKY9 e ipertesi (SHR)
Lo scopo di questa rassegna è di riassumere i meccanismi che stanno alla base degli adattamenti
vascolari all’esercizio. Da oltre dieci anni è noto che l’allenamento aumenta la vasodilatazione
endotelio-dipendente nelle arterie epicardiche del cane. Questa osservazione è stata
ripetutamente confermata ed è sempre più chiaro che l’attivazione dovuta all’esercizio della via
NO/cGMP è un importante meccanismo alla base degli effetti benefici dell’esercizio sui vasi.
Studi in vivo sull’animale e sull’uomo hanno dimostrato che l’esercizio aumenta l’espressione
dell’eNOS delle cellule endoteliali. La regolazione dell’espressione di eNOS è molto complessa.
Fra i fattori coinvolti: shear sress, lisofosfatidilcolina, analoghi del cGMP, lipoproteine, inibitori
della protein chinasi C e varie citochine. Il principale meccanismo consiste nelle variazioni di
frequenza e ampiezza delle forze fisiche che agiscono sui vasi, in particolare lo shear stress, a
causa dell’aumento della frequenza cardiaca e del flusso.
Un altro meccanismo che può contribuire all’aumento di eNOS dovuto all’esercizio è una
funzione scatenante dello stress ossidativo indotto dall’esercizio. L’esercizio non solo aumenta il
consumo di ossigeno ma anche la generazione di specie reattive dell’ossigeno come lo ione
superossido e l’acqua ossigenata (perossido di ossigeno): quest’ultima stimola la eNOS.
L’aumento di eNOS è un effetto transitorio, essendo massimo dopo 3 settimane, ma
scomparendo dopo 9 settimane di allenamento. Si ipotizza un rimodellamento strutturale che
“normalizza” lo shear stress. Inoltre, la risposta all’allenamento è molto maggiore in ratti
sedentari che in altri più attivi prima dell’allenamento.
È noto che ci sono polimorfismi (mutazioni geniche) riguardanti eNOS e alcuni individui hanno
una reattività vascolare normale in condizioni basali ma non l’aumentano in risposta
all’allenamento.
È stato dimostrato che l’attivazione di eNOS da parte dello shear stress non dipende da un
aumento del calcio intracellulare ma da una fosforilazione diretta dell’enzima, che può essere
indotta dall’esercizio.
L’esercizio acuto aerobico e anaerobico aumenta lo stress ossidativo dei vasi con conseguente
danneggiamento delle proteine, dei lipidi e degli acidi nucleici e del sistema del glutatione.
Questi effetti acuti sono controbilanciati da un aumento dei sistemi antiossidanti in seguito
all’allenamento
L’aumento dello stress ossidativo associato all’esercizio è fonte di preoccupazione quando si
prescrive esercizio a pazienti cardiovascolari (coronarie, insufficienza, stroke) e dimostra
l’importanza di una prescrizione individualizzata e di un’educazione del paziente sul programma
da seguire.
Variazioni indotte dall’esercizio sull’espressione e l’attività dell’endotelio vascolare e delle
proteine del muscolo liscio
È evidente che lo stress ossidativo dell’esercizio, che in principio può provocare danni tessutali,
contribuisce a modificazioni favorevoli dell’espressione genica vascolare dopo alcune settimane
di allenamento. Ci si chiede quindi se gli effetti antiossidanti dell’allenamento dipendano dallo
stress ossidativo intermittente sui vasi. L’acqua ossigenata nei vasi aumenta l’espressione
dell’eNOS e l’esercizio ripetuto a medio termine riduce vari segni di stress ossidativo, mentre
l’eNOS è cruciale per la produzione dell’antiossidante SOD-3. 4 settimane di esercizio riducono la
produzione della NADPH ossidasi (pro-ossidante) e dei recettori di tipo 1 dell’angiotensina II
(ossidanti), mentre aumentano quelli di tipo 2 (antiossidanti). Questi effetti sono reversibili
quando si torna ad un regime sedentario. In confronto ad altre terapie antiossidanti (es. vit. E)
l’esercizio è più efficace e meno costoso.
ALTRI EFFETTI
L’esercizio aumenta il numero (angiogenesi) e il diametro (arteriogenesi) dei vasi arteriosi dei
muscoli e del miocardio. Queste modificazioni strutturali si accompagnano a cambiamenti
funzionali che aumentano il flusso di sangue.
L’angiogenesi, che è transitoria, riguarda le arterie più piccole e i capillari. Sono implicati fattori
di crescita (VEGF, FGF, ANG) e i loro recettori, ma anche metalloproteinasi; sono mobilizzate
cellule progenitrici dal midollo emopoietico, che hanno un potente effetto angiogenetico.
Arterie più grandi, piccole arterie e arterie di conduttanza aumentano di calibro. L’induzione
dell’arteriogenesi è un adattamento vascolare importante perché si formano grandi tubi
conduttivi che possono compensare la perdita di funzione di arterie occluse: questo
meccanismo nei pazienti cardiovascolari è più importante dell’aumento dei capillari.
L’allenamento modifica le forze fisiche che agiscono sulla parete dei vasi: shear stress, pressione
transmurale e stiramento ciclico. Ogni volta che aumenta la frequenza cardiaca, queste forze
aumentano. Tutte queste forze hanno importanti effetti fisiologici sull’espressione genica e sulla
funzione delle cellule endoteliali e del muscolo liscio.
Le cellule endoteliali vascolari formano lo strato interno di tutti i vasi (e delle camere cardiache)
e pertanto sono direttamente sottoposte alle forze fisiche indotte dal flusso. In vitro,
l’esposizione prolungata alla forza di taglio (shear) laminare regola l’espressione di molti geni:
sono stati trovati 107 geni che modificano di almeno 2 volte la loro espressione rispetto a
condizioni in assenza di flusso; 60 aumentano e 47 diminuiscono e possono essere raggruppati
in 9 sottospeci funzionali. Sono sottoregolati (dallo shear stress) i geni dell’accrescimento e della
riproduzione cellulare, mentre quelli che presiedono al metabolismo e alla trasduzione di
segnali sono sopraregolati. Si genera quindi un fenotipo di cellule endoteliali che resistono
all’apoptosi, all’infiammazione e allo stress ossidativo. Non è detto che questa situazione si
ripeta in seguito all’allenamento perché in vivo le forze di taglio sono sempre presenti ma
aumentano di intensità e si modificano con maggiore frequenza, ma è certo che una certa
modificazione dell’espressione genica abbia luogo, come già visto. Le forze meccaniche attivano
numerose vie intracellulari fra cui MAP chinasi e provocano fosforilazioni sequenziali che
attivano fattori di trascrizione e l’espressione genica. La meccanotrasduzione è affidata ad
integrine , recettori di superficie che mediano l’adesione cellulare legandosi all’ECM e
presiedono all’angiogenesi, hanno effetti antiaterogenici e rimodellanti.
L’aumento delle forze fisiche indotto dall’esercizio può cambiare il fenotipo in particolare in
sezioni di vasi in cui il flusso è turbolento: le lesione atrosclerotiche si sviluppano in particolare
in zone di flusso turbolento e/o scarso flusso laminare: l’attrito oscillante (disordinato) può
addirittura ridurre eNOS. Certi tipi di flusso che si ritrovano in zone particolarmente esposte
all’aterogenesi (carotidi dell’anziano) producono onde di flusso con poco shear stress e
stimolano l’espressione di un fenotipo endoteliale proinfiammatorio, caratterizzato
dall’espressione aumentata di geni proinfiammatori come IL-8 …. TNF, PGF (placental) e CTGF
(connective tissue). Al contrario, zone dove il flusso è tipicamente laminare hanno un profilo
genico completamente diverso, come CNP (fatt. natriuretico C). Non è noto se l’esercizio abbia
un’influenza benefica anche sulle zone esposte a flusso turbolento, ma osservazioni indirette
sembrerebbero confermarlo.
Le cellule muscolari lisce dei vasi (VSM) sono meno esposte allo shear stress ma subiscono la
stessa pressione transmurale e lo stiramento ciclico. Pochi hanno studiato la trasduzione
biomeccanica sui muscoli lisci in vivo, ma vi sono molti studi in coltura, mediante applicazione di
diversi tipi di forza. Le VSM rispondono in maniera simile all’endotelio e regolano importanti
funzioni cellulari come proliferazione, apoptosi, gestione del calcio e risposte miogene alla
pressione. In vivo le VSM sono costantemente esposte a importanti forze fisiche, di cui l’esercizio
cambia intensità e frequenza. L’effetto più importante è una riduzione dei depositi intracellulari
di calcio e quindi una minore risposta a stimoli vasocostrittivi (endotelina e trombossano) nelle
coronarie.
Questo lavoro considera le modificazioni strutturali indotte dall’allenamento sul sistema
vascolare e i relativi meccanismi. È importante distinguere i diversi segmenti vascolari.
L’aumento di diametro di vasi esistenti (arteriogenesi) è un mezzo efficace per aumentare il
flusso, mentre l’espansione della rete capillare (angiogenesi) migliora gli scambi fra il sangue e i
tessuti. I principale fattori sono elencati nella tabella.
ARTERIOGENESI – non si tratta della distensione
dei tubi esistenti, ma di un aumento del calibro (o
diametro) e delle dimensioni delle pareti che
coinvolge i tre tipi di cellule che formano la parete
arteriosa: endoteliali, muscolo liscio e fibroblasti.
In genere, più aumenta il calibro, più la parete
diventa spessa, muscolare e fibrosa.
ANGIOGENESI – formazione di nuovi capillari da
quelli esistenti. È diversa dalla vasculogenesi, che
descrive la formazione ex novo di elementi
vascolari da precursori nel corso dello sviluppo. Ci
sono poche circostanze fisiologiche che
provocano angiogenesi, cioè il ciclo ovarico, lo
sviluppo della placenta e l’esercizio. L’angiogenesi
si basa su due meccanismi primari:
intussusception e gemmazione.
Intussusception è un processo per il quale un capillare si divide in due dall’interno, formando
una specie di pilastro o una divisione longitudinale al suo interno: le cellule endoteliali si
propagano all’interno e finiscono per formare due tubi. È il procedimento più semplice ed è
probabilmente il metodo principale durante l’accrescimento.
L‘angiogenesi per gemmazione è un processo nel quale cellule endoteliali attivate di un capillare
esistente si espandono verso la matrice circostante e formano un cordoncino, che poi si
trasforma in un tubo e rimane attaccato all’ECM. Naturalmente, perché diventi funzionante, è
necessario che si attacchi ad un altro capillare o ad una venula. Il capillare neoformato
inizialmente perde, ma maturando lo avvolgono i periciti e diventa un vero capillare.
Contemporaneamente, la membrana basale e l’ECM circostante devono essere degradati per
permettere la migrazione delle cellule endoteliali e la formazione del tubo. È quindi necessario il
coordinamento di processi multipli per il completamento della gemmazione.
C’è in genere corrispondenza fra la massima conduttanza idraulica in un muscolo e la sua
capacità aerobica. Il calibro dei vasi di conduzione corrisponde all’attività dei gruppi muscolari
che ne dipendono. L’aumento della capacità di flusso dei principali gruppi muscolari di atleti
molto allenati probabilmente contribuisce ad ottimizzare la performance
La capillarità nei muscoli attivi è aumentata in maniera significativa dall’allenamento. Un intenso
allenamento di resistenza però provocando ipertrofia muscolare potrebbe diminuire la
capillarità, ma questo non capita sempre. L’espansione della rete capillare migliora gli scambi
perché: 1) aumenta la superficie di diffusione, 2) riduce la distanza media di diffusione, 3)
aumenta il tempo per gli scambi diffusivi fra sangue e tessuti
L’angiogenesi aumenta la capillarità del
gastrocnemio del ratto dopo
allenamento aerobico. I capillari
appaiono come macchie o linee brune;
le fibre muscolari sono colorate in giallo
I vasi arteriosi si allargano in risposta all’aumento della pressione interna, che aumenta lo stress
radiale, ed all’aumento del flusso, che aumenta lo shear stress sulle cellule endoteliali.
L’efficacia della produzione endoteliale di NO è molto importante per permettere il
rimodellamento vascolare. Il fatto che l’esercizio cronico regola verso l’alto eNOS comporta una
maggiore responsività per il rimodellamento, rispetto a condizioni sedentarie.
INFIAMMAZIONE – elementi della risposta infiammatoria sono coinvolti nell’arteriogenesi,
almeno nei vasi collaterali dopo occlusione di un vaso maggiore: immediatamente dopo
l’occlusione c’è un’invasione di proteine chemiotattiche che attraggono i monociti, che
contribuiscono all’allargamento del vaso rilasciando potenti citochine (VEGF, FGF).
C’è una risposta infiammatoria nel muscolo all’inizio dell’allenamento, se l’esercizio è intenso,
inusuale e il muscolo è super utilizzato. Sembra però improbabile che questo sia importante per
l’espansione dei capillari, perché i dolori muscolari e l’infiammazione si risolvono in fretta e non
hanno più luogo continuando l’esercizio, mentre l’angiogenesi si completa in seguito.
Il VEGF è un potente mitogeno per le cellule endoteliali. È stato particolarmente studiato il suo
ruolo nella gemmazione, che si produce in vitro sotto il suo effetto. È anche un attrattore
chimico per la migrazione di cellule endoteliali e muscolari lisce.
Il VEFG aumenta nel muscolo di ratto dopo contrazione o dopo un singolo episodio di corsa
moderata su treadmill. L’mRNA del VEFG aumentava fino a 4 volte in 4 ore e ritornava ai valori di
controllo in 8 ore. Lo stesso aumento è stato trovato nell’uomo sano e con insufficienza cardiaca.
Il VEFG aumenta di più nei muscoli pallidi, ma i suoi livelli di base sono 3 volte maggiori in quelli
rossi.
Per l’angiogenesi è necessario anche il rimodellamento delle membrane e dell’ECM. La proteolisi
della membrana basale è regolata da MMPs, plasminogeno e urochinasi, ma questo processo
deve essere altamente regolato per evitare la perdita di integrità funzionale e si deve modificare
per permettere l’accomodamento di nuovi capillari: per questo sono importanti le TIMPs.
Uno dei più potenti stimoli per l’angiogenesi è l’ipossia, che esercita i suoi effetti prima di tutto
aumentando la produzione di VEGF. Abbassando la PO2 di cellule endoteliali in coltura si stimola
la proliferazione, la migrazione, la formazione di tubi mentre ritornando a una PO2 normale
tutto questo sparisce. L’ipossia fa aumentare fortemente un fattore di trascrizione (HIF-1 =
hypoxia induced factor), che stimola la trascrizione del gene del VEGF. Non sembra però che
questo effetto sia additivo rispetto a quello dell’esercizio. Quindi la relazione fra PO2 muscolare
durante l’esercizio, la stimolazione di VEFG e lo sviluppo di angiogenesi non è semplice.
Benché sia evidente che forze fisiche associate con lo shear stress o con lo stiramento
meccanico danno segnali che rimodellano i vasi, è stato difficile stabilire rapporti quantitativi,
perché gli stimoli sono difficili da misurare e da controllare.
La somministrazione prolungata di vasodilatatori nei ratti aumentava la capillarità. La natura di
questa risposta angiogenica al flusso è diversa da quella dovuta all’esercizio: nel primo caso
prevale l’intussusceptive angiogenesis e nel secondo la gemmazione. Inoltre, nel primo caso non
c’è rimodellamento dell’ECM, anche se è ugualmente stimolato il VEGF. Il sovraccarico del
muscolo porta ad angiogenesi con gemmazione ed è quindi ragionevole supporre che lo stimolo
meccanico promuova l’angiogenesi indipendentemente dal flusso.
Annu. Rev. Physiol. 2014. 76:2.1–2.18
Il primo sistema fisiologico che entra in funzione nello sviluppo embrionario dei mammiferi è
il sistema circolatorio, che deve essere formato quando l’embrione diventa troppo grande
perché l’ossigeno possa diffondere direttamente dai vasi uterini. In tutte le specie di metazoi
il fattore inducibile dall’ipossia (HIF-1) funziona come il principale regolatore dell’omeostasi
dell’ossigeno e ne controlla sia la distribuzione sia l’utilizzazione. Le tre componenti del
sistema circolatorio, cuore, vasi e sangue dipendono dall’HIF-1. L’attività dell’HIF-1 è indotta
dall’ipossia mediante alterazioni del suo mRNA nel cervello, cuore, rene, polmone e muscolo
scheletrico.
L’HIF-1 regola e coordina le risposte vascolari all’ipossia e all’ischemia, attivando la trascrizione
di numerosi geni che codificano per fattori di crescita e citochine angiogenetiche (rettangoli blu),
i quali si legano a recettori di superficie (rettangoli rossi) e mediano i loro effetti biologici sulle
cellule endoteliali (Ecs), sui muscoli lisci vasali (SMC) sulle cellule progenitrici dell’endotelio
(EPCs), sulle cellule staminali mesenchimali (MSCs) e su altre cellule derivate dal midollo
(BMDACs).
Scarica

ADATTAMENTI 4 (vnd.ms-powerpoint, it, 10949 KB, 12/10/13)