La famiglia romana
Pater familias
• Aveva totale potestas sui beni e sulle persone, che facevano
parte della famiglia.
• Aveva competenze esclusive sulla gestione del patrimonio
(anche sulla dote della moglie).
• Si occupava personalmente dell'educazione dei figli.
• Era il sacerdote della casa (compiva i sacrifici e dirigeva le
cerimonie religiose, in onore delle divinità del focolare).
• In caso d'adulterio della moglie era “obbligato” a divorziare.
• Poteva uccidere moglie e figli, con il consenso del tribunale
domestico, senza dover subire un processo.
• Poteva avere relazioni extraconiugali, liberamente, con schiave
e libere.
• I figli, maschi e femmine, erano del tutto sottomessi al padre.
Il dovere di un marito
Gellio, Notti attiche, I 6, 1
Si stava leggendo, alla presenza di molte e dotte persone, il discorso
che l'autorevole ed eloquente Metello Numidico rivolse al popolo
durante la sua censura sull'argomento del prender moglie, esortandolo
a contrarre matrimonio. [2] In tale orazione figurava questo passo: «Se
si potesse, o Quiriti, fare a meno della moglie, saremmo tutti esenti da
questa seccatura; ma come la natura ha disposto che non sia possibile
vivere né con loro tranquillamente né senza di loro in alcun modo,
così bisogna provvedere piuttosto alla perpetua salute che a un
effimero piacere».
Mater familias
• Funzione fondamentale della donna è quella di
• dare figli legittimi al marito.
• Dirigere il lavoro degli schiavi all'interno della casa.
• tessere la lana e confezionare abiti per sé e per i
membri della famiglia.
La posizione della mater familias
Dionisio di Alicarnasso, II 24
• la moglie che si fosse unita al marito con sacre nozze partecipava dei
suoi beni e dei suoi culti.
• una moglie virtuosa e in tutto obbediente al marito era padrona di casa
tanto quanto il marito, e dopo la morte del marito diveniva erede dei
suoi beni, come una figlia di quelli del padre
• se il marito moriva senza figli e senza aver fatto testamento, diventava
padrona di tutto quanto aveva lasciato; mentre se aveva dei figli,
diventava erede alla pari di loro.
• se si macchiava di una colpa aveva nel marito offeso il giudice e
l'arbitro dell'entità del castigo, E i suoi parenti giudicavano col marito
queste colpe, fra le quali vi era l'adulterio e, cosa che ai Greci sarebbe
apparsa la più piccola delle colpe; se fosse stata sorpresa a bere del
vino.
Il punto di vista di un “progressista”
Livio, Dalla fondazione della città, XXXIV, 7
Catone sosteneva che non c'è rivalità tra le singole donne, poiché nessuna
possiede nulla ... A esse non possono toccare né magistrature, né
sacerdozi, né trionfi, né decorazioni, né doni o bottino; l'eleganza, i monili,
l'acconciatura: queste sono le decorazioni delle donne, di queste si
rallegrano e si vantano, questo i nostri antenati hanno definito la “toilette”
femminile (mundus muliebris)! Che cos'altro fanno quando sono in lutto, se
non deporre la porpora e l'oro? Che cosa, se non indossarli di nuovo
quando il lutto è finito? Che cosa, quando partecipano a pubblici
ringraziamenti o a pubbliche suppliche, se non mettersi un abbigliamento
più elegante?...Giammai, in realtà, le donne si liberano della loro condizione
di sottomissione, finché i loro uomini sono in vita, e, comunque, esse stesse
detestano la libertà che è determinata dalla perdita dei mariti e dei figli.
Preferiscono che il loro abbigliamento sia sottoposto al vostro arbitrio che a
quello della legge; e voi dovete tenerle sotto il vostro controllo e la vostra
protezione, non in condizione di schiavitù; dovete preferire di esser chiamati
padri e mariti, piuttosto che padroni.
mundus muliebris
Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Signore eleganti
Avezzano, Museo civico
Roma, Museo Nazionale Romano
Da Lavinio
Parossismo del lusso
Matrone esemplari
CLE 52; CIL I2 I2II, VI I5346; ILS 8403.
Roma.
Hospes, quod deico, paullum est, asta ac pellege.
Heic est sepulcrum hau pulcrum pulcrai feminae.
Nomen parentes nominarunt Claudiam.
Suom mareitum corde deilexit souo.
Gnatos duos creauit. Horunc alterum
in terra linquit, alium sub terra locat.
Sermone lepido, tum autem incessu commodo.
Domum seruauit. Lanam fecit. Dixi. Abei.
Straniero, ho poco da dire: fermati e leggi. Questo è il sepolcro non bello
d'una donna che fu bella. I genitori la chiamarono Claudia. Amò il marito
con tutto il cuore. Mise al mondo due figli: uno lo lascia sulla terra, l'altro
l'ha deposto sotto terra. Amabile nel parlare, onesta nel portamento,
custodí la casa, filò la lana.
Ho finito, Va' pure.
CLE 546; CIL VI I2072.Roma.
…ANTONIAE SEVERAE CONIVGI.
Me propter maria, terras atque aspera caeli
sidera trasisti mediosque timenda per h[ostes
inuenisti uiam, hiemis nefanda tulisti,
o dulcis coniunx animo gratissima nos[tro.
Nomine consimilis, iugali flore beata,
casta pu[di]ca meos thalamos ac fomite a[moris
nondum suppleta cubilia sancta liquisti.
Saltem quod superest oro, scio namque [fauebis,
funde preces subolum ac uotis utere nostri [s,
ut longum uitae liceat transducere tempus.
…ALLA MOGLIE ANTONIA SEVERA.
Per amor mio, hai attraversato mari e terre e cieli inclementi; attraverso i nemici trovasti
arditamente la via; hai sopportato indicibili rigori del cielo, o dolce sposa, diletta all'anima mia.
Simile a un fiore nel nome, felice nel fiore del nostro legame, casta e pudica, non avevi ancora
saziato il fuoco del mio amore, poiché lasciasti prima del tempo il talamo consacrato.
Prego almeno ciò che di te sopravvive, poiché so che ci sarai benigna, di accogliere le preghiere
dei figli e trasmettere i voti nostri agli Dei, affinché ci sia concesso di vivere una lunga vita.
Laudatio “Turiae”
La posizione dei figli
Dionisio di Alicarnasso, II 26-27
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Il legislatore dei Romani diede, per così dire, ogni potere al padre sul figlio,
anche per tutta la vita, sia che ritenesse di scacciarlo, sia di batterlo, sia di
tenerlo vincolato ai lavori dei campi, sia di ucciderlo anche se per avventura
era già impegnato nella vita pubblica e anche se ricopriva le cariche supreme,
e anche se era stimato per il suo zelo verso il popolo.
In forza di questa legge alcuni mentre parlavano dai rostri su cose contrarie al
senato, ed essendo molto popolari per questo, furono tirati giù dalla tribuna e
portati via dai loro padri per subire la punizione che a questi più sembrava
opportuna. E mentre venivano portati via per i1 foro, nessuno dei presenti
poteva liberarli, né il console, né un tribuno, né i1 popolo da essi lusingato e
che riteneva ogni potere inferiore al proprio.
Inoltre il legislatore romano non si fermò a questo punto del potere concesso al
padre, ma permise al padre anche di vendere il figlio
Mariti “felici”
Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili, VII 1.
Della felicità
...La fortuna...volle che Quinto Metello nascesse nella città regina della terra, gli diede
nobilissimi genitori, vi aggiunse eccezionali doti d'animo e forze fisiche per poter esser pari
alle fatiche, gli fece ottenere come sposa una donna segnalata per pudicizia e prolificità, gli
largì l'onore del consolato, la carica di generale, l’ornamento di un prestigioso trionfo, fece sì
che vedesse nello stesso tempo tre figli consoli, uno anche censore e trionfatore, un quarto
pretore, che collocasse in matrimonio tre figlie e ne ricevesse tra le braccia i loro pargoli. Tanti
parti, tante culle, tante toghe virili, tante faci nuziali, tante cariche civili e militari, grandissima
copia, insomma, di motivi a rallegramenti: e intanto nessun lutto, nessun pianto, nessun motivo
di dolore...Una vita trascorsa così felicemente fu conclusa da una morte ad essa confacente:
spentosi serenamente in tardissima età tra i baci e gli amplessi dei suoi carissimi congiunti, fu
trasportato a spalla per la città e quindi posto sul rogo dai suoi figli e dai suoi generi.
Plinio il Vecchio, Storia naturale VII, 59-60.
• Quinto Metello Macedonico lasciò sei figli, undici nipoti e
ventisei parenti, compresi nuore e generi, che lo
chiamavano nel saluto mattutino "padre".
• Negli Atti del tempo del divo Augusto si trova che nel
dodicesimo consolato suo e del collega Sulla (5 d.C.), l' 11
Aprile, Gaio Crispinio Ilaro, un plebeo di Fiesole di libera
condizione, fece un sacrificio in Campidoglio, preceduto
da tutta la sua famiglia in schiera, composta da otto figli, di
cui due femmine, ventisette nipoti, diciotto pronipoti
maschi e otto femmine.
Amore coniugale
Sarcofago di Arnth
Tetnies e della moglie
Ramtha Visnai (370 a.C.)
(da Vulci)
Boston,
Museum of fine art
Sarcofago di Larth
Tetnies, figlio di Arnth e
della moglie Thanchvil
Tarnai
(340 a.C.)
(da Vulci)
Epitaffio di Allia
Potestas
CIL VI 37965 =
CLE 1988
Agli Dei Mani
di Allia Potestas, liberta di Aulo
1 Qui giace la Perugina, di cui nessuna fu più bella.
2 Tra molte a stento una o due sembrò (tanto)
3 operosa. Tu, tanto grande, sei contenuta in una piccola urnetta.
4 «O crudele signore della morte e tu dura Persefone,
5 perché rapite le cose buone e le malvagie restano?»
6 - è la domanda di tutti, a cui già sono stanco di rispondere 7 e versano lacrime, segno del loro animo gentile.
8 Forte, morigerata, parsimoniosa, irreprensibile, custode fidatissima,
9 curata in casa, fuori casa curata quanto basta, ben nota a tutti,
10 era la sola che potesse badare a tutte le faccende;
11 faceva parlare poco di sé, era sempre immune da critiche.
12 La prima a scendere dal letto, per ultima vi andava a dormire
13 dopo aver posto in ordine ogni cosa;
14 mai senza ragione la lana si allontanò dalle mani,
15 nessuna le fu superiore nel rispetto e nei sani costumi.
16 Non aveva un'eccessiva considerazione di sè, mai volle considerarsi libera.
17 Era di carnagione chiara, con occhi belli e capelli dorati,
18 e mantenne il viso di uno splendore eburneo
19 quale nessuna donna si dice abbia mai avuto,
20 e nel niveo petto aveva piccoli seni.
21 E che dire delle gambe? quelle di Atalanta, al suo confronto, erano addirittura ridicole.
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Non era restia, ma generosa nel suo amabile corpo.
Ebbe membra lisce, se ne tolse ogni pelo;
forse potrai incolparla di aver avuto mani ruvide:
niente le piaceva, se non ciò che aveva fatto da sé.
Non ebbe desiderio di sapere, pensava di bastare a se stessa,
e non attirò mai su di sé maldicenze, poiché non aveva mai commesso alcuna colpa.
Mentre era in vita mantenne l'affetto tra due giovani amanti,
cosicché divennero simili all'esempio di Pilade e di Oreste:
una sola casa li accoglieva, avevano un'unica anima.
Dopo la sua morte ora quegli stessi invecchiano separati l'uno dall'altro;
ciò che una tale donna costruì, ora parole offensive danneggiano.
Guardate a Troia, quello che un tempo fece una donna!
Mi sia concesso, vi prego, di valermi di grandi esempi in piccola cosa.
Il patrono, a cui non sei mai stata strappata dal cuore, piangendo senza tregua,
offre in dono a te, che sei morta, questi versi
che crede doni graditi ai defunti,
(il patrono) a cui nessuna donna, dopo di te, sembrò degna.
Egli, che vive senza di te, è come se vedesse da vivo i propri funerali.
Al braccio porta di continuo il tuo nome,
unico modo per trattenerti con sé, unita all'oro, POTESTAS.
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Tuttavia, qualunque valore avranno i miei elogi,
a lungo vivrai nei miei versetti.
In luogo tuo, per mia consolazione, tengo un'immagine,
che venero religiosamente e molte ghirlande le sono offerte,
quando verrò da te, (la tua statua) mi seguirà, compagna (nel sepolcro).
Ma tuttavia, me infelice, a chi demanderò tali riti funebri?
Se tuttavia ci sarà qualcuno a cui possa affidare un così grande incarico,
per questo solo motivo, pur avendoti perduta, mi sentirò forse felice.
Ahimé! hai vinto: la mia sorte è diventata la tua.
51 Chi oserà violare questa tomba, violerà anche gli dei:
52 questa (donna), onorata dall'iscrizione, credete, ha una divinità che la
protegge.
Amore e ragion di stato
Svetonio, vita di Tiberio, 7
Sposò Agrippina, figlia di Marco Agrippa e nipote di Cecilio Attico,
cavaliere romano a cui Cicerone indirizzò lettere che rimangono. Ma,
dopo di averne avuto il figlio Druso e sebbene con lei andasse d’accordo
ed ella fosse nuovamente incinta, fu costretto a ripudiarla e a sposare
subito Giulia figlia di Augusto; e ciò fece con molto accoramento, sia
perché era affezionato ad Agrippina e sia perché riprovava i costumi di
Giulia, ch'egli aveva veduta desiderosa di lui anche quando era col primo
marito; cosa che era pure pubblicamente nota. Ma anche dopo il divorzio
si dolse di aver allontanato Agrippina, e la sola volta che s'incontrò con lei
la seguì con occhi così intenti e accesi che fu provveduto perché da allora
in poi ella non gli capitasse più innanzi.
Delitti passionali
Tacito, Annali, XIII 44
ln quel tempo il tribuno della plebe Ottavio Sagitta, invaghitosi follemente di Ponzia,
donna maritata, l'induce con ricchi doni all’adulterio e poi ad abbandonare il marito,
promettendole di sposarla e accordandosi con lei per le nozze, Ma la donna, non
appena fu libera, si mette a cercare pretesti, adduce quale motivo l’opposizione del
padre e, nella speranza di sposare un uomo più ricco, ritira la sua promessa. Ed
ecco Ottavio ricorrere ora alle preghiere, ora alle minacce, a dichiarare di avere
perduto reputazione e sostanze: a lei affidava la sua vita, l'unica cosa che ancora gli
rimanesse. Respinto, le chiede una sola notte per placare la passione e trovare
infine pace. Fissata la notte, Ponzia dà incarico ad un’ancella fidata di sorvegliare la
sua camera; quivi entra Ottavio, accompagnato da un liberto e portando di nascosto
un pugnale. Allora, come avviene dove sono amore e collera, la notte passò in litigi,
preghiere, rimproveri, scuse e, in parte in effusioni: ad un tratto, quasi fuori di sé,
infiammato dalla passione, trafigge col ferro la donna che nulla sospettava,
spaventa con una ferita l’ancella che accorreva e si precipita fuori dalla stanza. Il
giorno seguente, come si ebbe notizia dell'assassinio, non vi furono dubbi
sull'uccisore, poiché si sapeva che si erano trovati insieme. Ma il liberto affermava di
aver commesso lui quel delitto e di aver voluto vendicare le ingiurie fatte al suo
padrone; e già la nobiltà del suo gesto aveva commosso alcuni, quando l'ancella,
riavutasi dalla ferita, svelò la verità. Denunciato ai consoli dal padre dell’uccisa,
come uscì di carica, fu condannato dal senato secondo le leggi sugli omicidi.
Un “giallo” insoluto
LIVIO VIII, I8
L'anno seguente, sotto il consolato di Marco Claudio Marcello e Tito Valerio (331
a.C.), fu terribile...Mentre i principali cittadini morivano di una malattia che aveva gli
stessi sintomi e quasi sempre esito letale, un'ancella dichiarò all'edile curule Quinto
Fabio Massimo che gli avrebbe rivelata la causa della epidemia, se le avesse
promesso che nessun danno le sarebbe venuto dalla denuncia. [5] Fabio subito riferì
la cosa ai consoli, i consoli al senato, il quale consentì a dare alla delatrice la garanzia
richiesta. [6] Essa allora rivelò che la città soffriva per un complotto di donne, e che
erano le matrone a preparare veleni; se volevano seguirla immediatamente, potevano
coglierle sul fatto. [7] Seguirono l'informatrice, e trovarono alcune matrone che
preparavano pozioni, e altri veleni nascosti, [8] Li portarono nel foro, e fecero
chiamare da un pubblico ufficiale circa venti matrone, in casa delle quali erano stati
trovati i veleni. Cercando due di esse, Cornelia e Sergia, entrambe di stirpe patrizia, di
sostenere che quelle erano pozioni salutari, la delatrice confutando le loro
affermazioni le invitò a bere, se volevano dimostrare che essa aveva inventato una
falsa accusa, [9] Allora presero un po' di tempo per consultarsi fra di loro, e fatta
allontanare la folla, riferirono la cosa alle altre; anche queste non rifiutarono di bere, e
davanti agli occhi di tutti ingoiata la pozione tutte perirono per il loro stesso inganno.
[I0] Le loro cameriere, tosto arrestate, denunciarono un gran numero di matrone, delle
quali circa centosettanta furono condannate.
Una possibile spiegazione
• Festo, p. 276 L.
• Praebia rursus Verrius vocari ait ea rimedia, quae Gaia Caecilia,
uxor Tarquini Prisci, invenisse existimatur, et inmiscuisse zonae suae,
qua praecincta statua eius est in aede Sancus, qui deus dius fidius
vocatur; ex qua zona periclitantes ramenta, sumunt. Ea, vocari ait
praebia, quod mala prohibeant.
• Verrio dice che sono chiamati praebia (amuleti) quei medicamenti che
si crede abbia trovato Gaia Cecilia, moglie di Tarquinio Prisco, e
inseriti nella sua cintura; ella appare (raffigurata) con quella cintura
nella statua che si trova nel tempio di Sancus, che viene anche
chiamato Dius Fidius, Da quella cintura coloro che sono in pericolo
prendono particelle. (Verrio) dice che si chiamano praebia perché
inibiscono le malattie.
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