Evoluzione dei modelli organizzativi
 Le tre grandi questioni:
1. La questione industriale: dove i temi
portanti sono la tecnologia ed il consenso.
2. La questione burocratica: definita dalle
funzioni delle norme e dalle strategie dei soggetti.
3. La questione organizzativa: definita
dagli assi decisioni e risorse.
P. Puglisi - F. M. Stringa
1
Evoluzione dei modelli organizzativi
 La questione industriale:

Il tema comune di tutte le teorie è quello di affrontare i problemi
connessi agli effetti della tecnologia sul lavoro umano ed alle
condizioni che favoriscono il consenso dei lavoratori subalterni alla
erogazione di sforzo fisico e psichico.

Il percorso si snoda partendo dalla proposta estrema ed ossessiva
di Taylor, prosegue con le varie teorie del superamento del
taylorismo, tra tentativi di edulcorarlo e chi propone di superarlo con
nuovi stili direttivi, sino a giungere al sistema di produzione snella, il
famoso “modello giapponese”.
P. Puglisi - F. M. Stringa
2
Il Taylorismo
 L’imperioso bisogno di organizzare il lavoro è molto
recente. Tanti secoli di artigianato e manifatture non
avevano mai richiesto nulla del genere.
 Perché dunque è nata una organizzazione del lavoro
detta “ scientifica “ e proprio in USA?
 Frederick Winslow Taylor e l’OSL.
P. Puglisi - F. M. Stringa
3
Il Taylorismo
 Il contesto storico che spiega il sorgere di un
movimento per la
esecutiva del lavoro.
Concentrazione
industriale
rivoluzione
manageriale
ed
Spinta a produzione
di serie
Forza lavoro
non qualificata
Sindacati
P. Puglisi - F. M. Stringa
4
Il Taylorismo
 Il contesto storico
Progressi
tecnico
scientifici
Taylorismo
Processo
lavorativo
P. Puglisi - F. M. Stringa
5
Il Taylorismo
 I motivi del successo e gli obiettivi
Scienza applicata
all’industria
Metodo
Empiria
Arbitrio
P. Puglisi - F. M. Stringa
6
Il Taylorismo
 I motivi del successo e gli obiettivi
 Usare la scienza come criterio di prassi ma anche
come base legittimante delle nuove proposte
 Razionalizzare
le
linee
di
autorità
all’interno
dell’impresa
 Migliorare produzione e rendimento di impianti e
uomini attraverso la riorganizzazione ma anche con
la trasparenza totale di costi, procedure, tempi e
metodi di lavoro
P. Puglisi - F. M. Stringa
7
Il Taylorismo
 Si individuano due livelli di studio ed applicazione:
 Antropologico
 Organizzativo
P. Puglisi - F. M. Stringa
8
Il Taylorismo
 Principi fondamentali dell’OSL
Principio metodologico di base:
 ONE BEST WAY: esiste sempre un metodo unico e
migliore per risolvere problemi o eseguire operazioni
di qualunque genere.
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9
Il Taylorismo
 Principi fondamentali dell’OSL
1) Studio scientifico dei migliori metodi di lavoro,
tenendo presente caratteristiche di lavoratori e
macchine.
Formulazione della Misurazione Tempi e Metodi.
P. Puglisi - F. M. Stringa
10
Il Taylorismo
 Principi fondamentali dell’OSL
2) Selezione ed addestramento scientifico della
manodopera
P. Puglisi - F. M. Stringa
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Il Taylorismo
 Principi fondamentali dell’OSL
3) Ricerca di collaborazione tra dirigenti e manodopera
P. Puglisi - F. M. Stringa
12
Il Taylorismo
 Principi fondamentali dell’OSL
4) Riorganizzazione dell’apparato direttivo dell’impresa.
Dalla direzione gerarchica di tipo “militare” alla
direzione funzionale.
Restringimento dei campi di competenza.
Norme e procedure prestabilite dalla direzione
fissano le prestazioni lavorative.
Applicazione del principio di eccezione.(continua)
P. Puglisi - F. M. Stringa
13
Il Taylorismo
 Principi fondamentali dell’OSL
4) Rigida separazione tra progettazione ed esecuzione
del
lavoro.
La
programmazione
minuziosa
dei
carichi
determinazione
di
lavoro
e
(task
management), va effettuata dal corpo dirigenziale.
L’obiettivo è ottenere dal corpo esecutivo un lavoro
standardizzato e uniforme con rendimento ottimale.
P. Puglisi - F. M. Stringa
14
Il Taylorismo
 Riflessioni critiche
 Il Taylorismo rappresenta non solo una applicazione
metodologica sul lavoro operaio, ma anche una
concezione organizzativa completa.
 Taylor fonda l’approccio razionalistico al problema
organizzativo.
 Una rilettura del Taylorismo passa attraverso la
storicizzazione dello stesso.
P. Puglisi - F. M. Stringa
15
Il Taylorismo
 Riflessioni critiche
 I limiti di una impostazione volta ad un totale controllo
e determinazione della condotta umana.
 Il Taylorismo e la questione industriale. Esiste un
neo-Taylorismo dei servizi?
P. Puglisi - F. M. Stringa
16
Il movimento delle relazioni umane
 Rappresenta la scoperta di un aspetto
cui il Taylorismo aveva dato poco o nulla
spazio: quella componente del processo
produttivo definita “fattore umano”.
 Non fu però esente da critiche in quanto venne da molti
definita una sorta di ideologia manageriale, ovvero “una
costruzione teorica attenta ai problemi dei lavoratori
utilizzabile a scopi pratici per meglio legittimare il loro
sfruttamento”.
P. Puglisi - F. M. Stringa
17
Il movimento delle relazioni umane
 Il movimento finalizza, infatti, tutta la
sua attività di ricerca verso l’uso
manageriale delle nuove conoscenze.
 Ciò che colpisce, inoltre, è la risonanza che questa
scuola riscosse sia negli ambienti manageriali che
nella comunità scientifica a dispetto della esiguità e
gracilità delle prove empiriche su cui si regge.
P. Puglisi - F. M. Stringa
18
Il movimento delle relazioni umane
 Una delle principali spiegazioni di questo successo
può essere quello del bisogno di “consonanza
cognitiva” generatosi negli Stati Uniti degli anni 40.
Durezza delle prescrizioni che
regolavano il lavoro subalterno
in un’economia di mercato
(taylorismo)
Necessità di mantenere
il sistema economico
in essere
M.R.U.
Nobiltà dei valori
esaltati nella
democrazia americana
P. Puglisi - F. M. Stringa
19
Il movimento delle relazioni umane
 Ma al di là di alcune evidenti intenzioni manipolatorie
presenti nei protagonisti del movimento atte a
legittimare
un
ordine
manageriale
in
via
di
consolidamento, vi sono stati diversi spunti positivi da
mettere in evidenza.
P. Puglisi - F. M. Stringa
20
Il movimento delle relazioni umane
 Un concetto che,infatti, risultò estremamente chiaro a tutti
gli studiosi del movimento fu quello che:
i comportamenti organizzativi
vanno studiati mettendo a fuoco, prima di tutto,
le regole che le persone
riconoscono come operanti e valide.
P. Puglisi - F. M. Stringa
21
Il movimento delle relazioni umane
 Il secondo contributo di queste ricerche
sulla comprensione dei comportamenti
lavorativi
fu
quello
di
ottenere
uno
spostamento dell’ottica di chi gestiva il
personale dai ristretti confini dell’attività di
mero
controllo
del
reclutamento,
del
collocamento e disciplinare a quelli di
attività
impegnative
e
coinvolgenti
di
carattere psicologico e sociologico.
P. Puglisi - F. M. Stringa
22
Il movimento delle relazioni umane


In Italia, per esempio, il movimento fu “importato”
verso gli anni cinquanta con due scopi:
1.
Ottenere il consenso dei lavoratori, attraverso la
creazione di servizi aziendali quali mense, servizi
sanitari, modelli di comunicazione, attività ricreative ecc.
2.
Pratica di selezione, addestramento ed analisi delle
mansioni del personale.
Le sue teorie furono travolte dalle critiche che si
svilupparono nell’autunno del 69.
P. Puglisi - F. M. Stringa
23
Il movimento delle relazioni umane
 Un ulteriore grosso contributo prodotto dalle ricerche
del gruppo fu la scoperta dell’informale:
un insieme di regole comportamentali non scritte,
non sottoposto ad un sistema formalmente definito
ma che non necessariamente lo contrasta
che orienta le azioni dei gruppi sociali
in ambito lavorativo
P. Puglisi - F. M. Stringa
24
Il movimento delle relazioni umane
 Le vicende del M.R.U.
 Nel 1924 la direzione della Western Electric Company di
Hawthorne realizza una ricerca sul grado di connessione tra
illuminazione e rendimento degli operai.
 Era una ricerca evidentemente conforme allo spirito del scientific
management, con il ricorso alla scienza come strumento neutrale
di conoscenza di condizioni fisico-ambientali e l’assunzione degli
operai come soggetti passivi di esperimento.
P. Puglisi - F. M. Stringa
25
Il movimento delle relazioni umane
 Il risultato dell’esperimento condotto su tre gruppi di lavoro
sottoposti a variazione dell’intensità della luce produsse risultati
inaspettati e disorientanti per i tecnici dell’azienda che lo
condussero:
esisteva un “fattore umano”
fino ad allora trascurato
che agiva come variabile interveniente
 Si decise, quindi, che lo sviluppo delle ricerche sui rapporti tra
motivazioni psicologiche e rendimento lavorativo richiedeva
l’intervento prolungato di specialisti.
P. Puglisi - F. M. Stringa
26
Il movimento delle relazioni umane

I dirigenti della Western Electric affidarono quindi a Elton Mayo,
della Graduate School of Business Administration di Harward il
compito di approfondire le ricerche.
Il programma di ricerca si protrasse per oltre cinque anni
attraverso tre distinte ricerche:
1.
Sui fattori che favoriscono il rendimento operaio.
2.
Sui motivi di lamentela e di soddisfazione operaia
all’interno della fabbrica.
3.
Sui fattori di solidarietà od antagonismo informale tra gli
operai.
P. Puglisi - F. M. Stringa
27
Il movimento delle relazioni umane
1.
I fattori che favoriscono il rendimento operaio

Dei tre questo fu l’esperimento più criticato (condotto in maniera
metodologicamente poco corretta ed interrotto dalla grande crisi
del 29).

Lo scopo fu quello di accertare se i fattori più efficaci nello
stimolare il rendimento operaio siano di natura economica
(incentivi alla produzione) o di natura psico-sociale (affiatamento
nel lavoro di gruppo, supervisione amichevole, pause di lavoro).
Alla conclusione dell’esperimento la produzione media
oraria delle operaie sottoposte all’esperimento era
aumentata del 30%.
P. Puglisi - F. M. Stringa
28
Il movimento delle relazioni umane
 Conclusioni M.R.U.
 Critiche per aspetti non
considerati nella ricerca:
1.
2.
3.
L’aumento del rendimento operaio
dipende soprattutto dall’instaurarsi
di una supervisione amichevole e
quindi di migliorate relazioni
umane nel gruppo.
Un effetto minore è dato
dall’introduzione di pause di
lavoro.
Effetto molto limitato dell’incentivo
economico calcolato sul lavoro di
gruppo
1.
Interventi
disciplinari
management.
2.
Effetti
della
depressione
economica in corso.
3.
Manipolazione
psicologica
degli aspetti informali.
P. Puglisi - F. M. Stringa
del
29
Il movimento delle relazioni umane
3.
I fattori di solidarietà e di antagonismo informale
L’esperienza delle prime due ricerche aveva suggerito
l’importanza dei gruppi informali nella vita aziendale; i risultati di
questa indagine avrebbero esercitato una notevole influenza sui
successivi sviluppi della Sociologia industriale e del lavoro.
Conclusioni della ricerca:
A.
I soggetti posti in un gruppo di lavoro vanno considerati
come membri di un sistema sociale dotato di norme in
parte elaborate dal gruppo stesso. Tutte le attività svolte,
infatti, erano regolate da norme informali che
prescrivevano solidarietà ed omogeneità interna.
P. Puglisi - F. M. Stringa
30
Il movimento delle relazioni umane
B.
La
distinzione
tra
aspetti
formali
ed
informali
è
fondamentale per comprendere le dinamiche di gruppo, e
in particolare le pressioni alla omogeneità interna.
C.
Il gruppo attiva dei meccanismi di autodifesa contro
pressioni ed interferenze esterne miranti ad eliminare
benefici
informalmente
acquisiti
(aumento
della
produzione)
P. Puglisi - F. M. Stringa
31
Il movimento delle relazioni umane
 Effetto della ricerca
Superamento dell’assunto tayloriano della cosiddetta “ipotesi della
plebaglia” e quindi dell’organizzazione scientifica del lavoro come
strumento necessario per ottenere la massima quota di produzione.
La restrizione della produzione non è che
l’espressione di norme sociali
che agiscono a livello informale
per cercare di eludere il controllo organizzativo
P. Puglisi - F. M. Stringa
32
Il movimento delle relazioni umane
 Critiche alla ricerca
L’aver riconosciuto la natura sociale del restringimento dell’output
e l’enfasi sugli aspetti emozionali potevano far generare il sospetto
di favorire tentazioni manipolative dei lavoratori da parte della
direzione aziendale.
Accorte iniziative psicologiche potevano essere
un ben poco costoso surrogato
a mutamenti sostanziali nel livello delle paghe
o del contenuto e delle condizioni di lavoro.
P. Puglisi - F. M. Stringa
33
Il movimento delle relazioni umane
 L’ideologia delle Relazioni Umane
Con tutti i limiti più volte accennati i contributi e gli
stimoli verso una nuova cultura dell’agire
organizzativo indotti dagli studi del movimento, si
possono ricondurre a tre temi:
1.
2.
3.
Il fattore umano.
L’anomia della società industriale e la fabbrica
come istituzione reintegratrice.
Gli aspetti informali.
P. Puglisi - F. M. Stringa
34
Il movimento delle relazioni umane
1. Il fattore umano:
A.
La polemica con lo scientific management accusato di
considerare i lavoratori come puri erogatori di forza lavoro.
B.
Recupero del fattore umano (complesso dei fattori psicologici
latenti che condizionano il comportamento manifesto).
C.
Una maggiore attenzione dell’azienda alle esigenze psicologiche
dei soggetti ed all’ambiente micro-sociale può aumentare il
rendimento lavorativo più di incentivi economici.
D.
Creare un ambiente di lavoro privo di tensioni tra dipendenti e
dipendenti e gli stessi e l’azienda, con l’intervento di psicologi
aziendali.
P. Puglisi - F. M. Stringa
35
Il movimento delle relazioni umane
1. Il fattore umano:
A.
Descrizione della personalità dell’uomo priva di dimensioni
macro-sociali o di influenze strutturali capaci di fornire identità
collettive difformi da quelle dell’azienda.
B.
Chiunque sviluppi una “coscienza di appartenenza” che
trascende il piccolo mondo quotidiano, non sarà considerato
come un individuo che aderisce ad un progetto sociale
alternativo ma un essere afflitto da turbe psico-emotive generate
da frustrazioni micro-ambientali.
C.
Chi protesta e lotta contro il sistema aziendale (sempre che
questo si sia “umanizzato”) è sostanzialmente un disadattato per
motivi psicologici.
P. Puglisi - F. M. Stringa
36
Il movimento delle relazioni umane
2. L’anomia della società industriale
e la fabbrica come istituzione reintegratrice:
A.
La società industriale turbata da crisi e tensioni.
B.
Il concetto durkheimiano di anomia.
C.
La restaurazione di antichi valori attraverso istituzioni secondarie
caratteristiche del mondo moderno e liberista: le fabbriche.
D.
Essa dovrà occuparsi delle conseguenze sociali derivanti dalla
concentrazione urbana della manodopera, impegnandosi in
programmi sociali anche al di fuori del lavoro.
P. Puglisi - F. M. Stringa
37
Il movimento delle relazioni umane
3. Gli aspetti informali:
A.
La fitta rete di rapporti informali ed il loro rapporto con
l’integrazione sociale degli individui e la produzione.
B.
La conseguenza pratica dell’importanza accordata agli aspetti
informali è una politica aziendale volta a favorire la creazione di
gruppi di lavoro armonici e privi di grossi conflitti.
C.
Sviluppo di una professionalità della dirigenza adatta all’ascolto,
a saper consigliare, ad essere sensibili agli aspetti non sempre
evidenti delle interazioni nei gruppi e consultarsi con gli psicologi
d’azienda per la gestione delle situazioni “delicate”.
P. Puglisi - F. M. Stringa
38
Il movimento delle relazioni umane
 Gli esperimenti condotti alla Western Electric aprirono negli U.S.A
una intensa stagione di ricerche sul mondo della fabbrica: il morale
dei dipendenti, le motivazioni al lavoro, le relazioni informali nei
gruppi, i fattori psico-sociologici di integrazione o conflitto furono gli
argomenti più dibattuti.
 Il lavoro operaio continuò però a rimanere stupido ed oppressivo,
le gerarchie intatte, le relazioni industriali addomesticate ed i
benefici frutto di concessioni unilaterali e non contrattazione su
base paritaria.
Si comprende come al declino del taylorismo
come formula di produzione
seguì quello delle Relazioni Umane
come formula di controllo politico del lavoro.
P. Puglisi - F. M. Stringa
39
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
 I presupposti del pensiero di C. Barnard:
1.
La fondazione etica della società, ovvero il progressivo
declinare del individualismo utilitaristico a favore di una filosofia
che considera la società come un’entità cooperativa regolata da
principi morali.
2.
Il management non proprietario, cioè il modificarsi della
classe dirigente in campo economico, con la progressiva
distinzione tra proprietari e management.
P. Puglisi - F. M. Stringa
40
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
1. La fondazione etica della società
 Il darwinismo sociale come massima forma di
individualismo: la società come l’arena di lotta
per la sopravvivenza.
 La lotta per l’esistenza come presupposto per giustificare sia la
ricerca sfrenata del successo che il dominio autoritario sulla
manodopera, considerata massa infida ed ostile.
 Questi presupposti teorici, con la crescente complessità economica
e sociale non erano più sostenibili come strumenti di legittimazione
e comprensione dell’agire organizzativo.
P. Puglisi - F. M. Stringa
41
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
 Al commiato dal darwinismo sociale, contribuiscono dapprima
Taylor con il tentativo di assumere un metodo scientifico come
principio regolativo dell’agire imprenditoriale e poi E. Mayo con la
scoperta delle solidarietà informali del piccolo gruppo (e quindi con
il superamento dell’ipotesi della plebaglia).
 Barnard rappresenta un’altra tappa di questo percorso con
l’elaborazione di un pensiero manageriale fondato su una
concezione cooperativa del sistema aziendale.
 Nel suo pensiero risultano molto chiari i riferimenti alle teorie
funzionaliste di T. Parsons (La struttura dell’azione sociale, 1937),
massimo contributo teorico di quegli anni ad una costruzione
morale e non utilitaristica della società.
P. Puglisi - F. M. Stringa
42
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
2.

Il management non proprietario
La crescente complessità delle strutture e delle funzioni
organizzative nell’industria porta all’avvento di una figura sociale
nuova: il manager non proprietario.

La sua comparsa rende più complesse le strategie in azienda,
passando da uno schema dicotomico padronato-dipendenti ad
uno proprietà-management-dipendenti, dove il management
svolge una funzione autonoma che non necessariamente
coincide con il volere della proprietà.
P. Puglisi - F. M. Stringa
43
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
 Il pensiero di C. Barnard:
 Uno delle caratteristiche dell’uomo e quella di proporsi degli scopi
per trasformare l’ambiente in cui vive, incontrando, però, sempre
nuovi limiti (fisica, biologica, conoscitivi ecc.).
 Il modo più efficace per superare tali limiti è quello di passare dallo
sforzo dell’individuo isolato alla cooperazione tra più persone.
 Nel momento in cui cominciano a cooperare per il raggiungimento
di fini comuni, gli uomini entrano in una realtà sociale
qualitativamente diversa da quella definita dall’agire isolato.
Essi entrano nella realtà
delle organizzazioni formali
44
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
 La parabola del masso:
1.
L’azione individuale.
2.
L’azione cooperativa con fine personale che coincide
con quello comune.
3.
Fine collettivo (dell’organizzazione nel suo complesso)
e movente personale.
4.
L’azione cooperativa con fine personale che non
coincide con quello comune.
P. Puglisi - F. M. Stringa
45
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
 I due elementi centrali della costruzione
teorica di C. Barnard:
1. Livello
informale e livello formale dei
rapporti umani.
2. Distinzione tra fini organizzativi e moventi
personali
P. Puglisi - F. M. Stringa
46
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
1. Livello informale e formale dei rapporti umani:

Pur riconoscendo il contributo della scuola delle Relazioni
Umane, ne evidenzia i limiti in quanto essa pone l’accento solo
sulle relazioni informali, da sole insufficienti a generare il
comportamento cooperativo.

Inoltre Barnard restituisce all’organizzazione formale la funzione
della sede nella quale gli uomini, con consapevolezza,
stabiliscono una cooperazione e quindi anche una rete di
relazioni informali.

E’ la stessa organizzazione formale ad essere generatrice di
rapporti informali.
P. Puglisi - F. M. Stringa
47
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
2. Fini organizzativi e moventi personali:

Nel momento in cui il fine comune viene perseguito tramite
l’organizzazione formale, esso diventa il fine dell’organizzazione
e da esso vanno distinti i moventi per cui gli uomini partecipano
all’organizzazione.

Il fine dell’organizzazione non ha alcun significato per l’individuo,
ciò che lo ha è quali sacrifici gli impone e il beneficio tratto.

Da questa distinzione ne consegue che non ci si può limitare a
perseguire solo i fini impersonali dell’organizzazione ma che
vanno tenuti presenti anche i moventi dei singoli membri.
P. Puglisi - F. M. Stringa
48
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
Il problema quindi è quello di riuscire a
mobilitare consensualmente
un insieme di individui per un fine che non è il loro
e di offrire al contempo a tali individui
incentivi sufficienti a soddisfare
la loro motivazione a partecipare
P. Puglisi - F. M. Stringa
49
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
 Altri tre concetti della teoria di C. Barnard:
1.
Efficacia ed efficienza
2.
Il primato degli incentivi non materiali.
3.
Caratteristiche dell’autorità e funzioni del
dirigente.
P. Puglisi - F. M. Stringa
50
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
A. Efficacia ed efficienza
 Efficacia: misura in cui l’organizzazione raggiunge i
propri obiettivi. Avere un fine e riuscire a realizzarlo.
 Efficienza: misura in cui si soddisfano le motivazioni
individuali a far parte di un sistema cooperativo. Non quindi
un rapporto tra costo economico e risultato raggiunto,
come di consueto.
P. Puglisi - F. M. Stringa
51
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
2.
Il primato degli incentivi non materiali.

Comprendono gratificazioni morali, stima, prestigio, familiarità di
metodi e di atteggiamenti all’interno del sistema cooperativo ecc.

Seguendo una tesi fortemente “antimaterialistica”, Barnard
afferma che, una volta soddisfatte le necessità minime, “la pura
forza degli incentivi materiali è per la maggior parte degli uomini
estremamente debole… il denaro senza prestigio, distinzione,
posizione è chiaramente inefficace”.

Si tratta dunque di gestire l’insieme dei diversi incentivi secondo
modelli personalizzati, tra preferenze soggettive, vincoli di risorse
e scopi organizzativi.
P. Puglisi - F. M. Stringa
52
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
3.
Caratteristiche dell’autorità:

La fonte dell’autorità non risiede nella forza di imposizione di
colui che dirige ma nel fatto di essere accettata dai sottoposti.

L’autorità non consiste nell’occupare una posizione gerarchica
superiore, ma nel fatto che i sottoposti riconoscono un carattere
di “ordine” a particolari tipi di comunicazione che provengono da
quella posizione.

Colui il quale detiene posizioni di responsabilità deve conoscere
ed esercitare in maniera corretta la pratica della comunicazione.
P. Puglisi - F. M. Stringa
53
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
3. Funzioni del dirigente:

Assicurare un efficiente sistema di comunicazione.

Garantire l’acquisizione regolare e costante delle risorse
necessarie per il funzionamento dell’organizzazione.

Determinare i fini dell’organizzazione.
Le doti di comando consistono
in una complessità morale
e in un senso di responsabilità
superiori alla media
P. Puglisi - F. M. Stringa
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La Questione Industriale