Gli attori antichi: maschere e costumi
Calice-cratere lucano, ca.
400 a. C.
Cleveland Museum of Art
91.1
Medea si allontana sul
carro volante dopo aver
ucciso i figli. Nei vasi
dell’Italia meridionale
intorno al 400 a. C. le
rappresentazioni di
Medea si fanno frequenti
e di chiara ispirazione
teatrale, rivelata in
questo caso dal motivo
del carro, di probabile
invenzione euripidea, e
dalle vesti dei
personaggi, che sono
costumi di scena. Si
osservi rispetto al finale
della Medea l’importante
differenza consistente
nel fatto che i corpi dei
figli sono lasciati a terra,
e pianti dalla Nutrice,
mentre in Euripide essi
sono trasportati via dalla
madre che li seppellirà
nel santuario di Hera.
Le origini
Dioniso è un dio che ha
forti connessioni con la
vegetazione con i suoi
ritmi, e ci sono
testimonianze che ci
parlano di una sua
connessione specifica
con la vendemmia e il
vino. In tali contesti si
venerava in Atene
Dioniso Morychos, cioè
“imbrattato”, nel senso
che il viso del dio
veniva imbrattato della
feccia di vino. La cosa è
rilevante se si tiene
presente che alcune
testimonianze relative a
Tespi ci dicono che gli
attori usavano lo stesso
materiale per
mascherarsi. Esistono
inoltre numerose pitture
vascolari dalle quali
risulta che nel culto il
dio era rappresentato
da un albero cui veniva
appesa una maschera.
Coppa a figure rosse da Vulci, attribuita al pittore Makron,
Berlin F 2290, 490-480a.C. circa
Scena di rito dionisiaco. Le Menadi, munite di tirso e accompagnate da una
flautista, danzano davanti a una statua di Dioniso posta al centro del lato B. La
statua è semplicemente una maschera posta su un palo e vestita con chitone e
mantello. In basso c’è un piccolo altare decorato con una figura maschile
seduta, forse Dioniso stesso .
Chous da Anavyssos, 450-400 a. C. circa
Attribuito al Pittore di Eretria
Atene, Museo Nazionale, VS318
Il vaso raffigura i preparativi per una cerimonia
in onore di Dioniso. Su un tavolo sta appoggiata
una maschera del dio, che appare incoronato e
avvolto d’edera, con folta capigliatura e barba,
tratti del viso naturali.
Cratere Apulo a figure rosse, autore
anonimo, ca. 410-390 a.C.
New York. Metropolitan Museum
Dioniso è rappresentato con una maschera
in mano, mentre il dio Pan attinge con una
oinochoe da un cratere posto tra i due.
Chous a figure rosse da Eleusi,
420 a. C. circa
Museo di Eleusi.
Un bambino spaventa un altro
bimbo mostrandogli una
maschera. La raffigurazione
ricorda ciò che Aristofane dice
a proposito delle maschere
paurose dette mormolykeia,
che raffiguravano Mormo, una
specie di orco o “babau “che si
evocava per spaventare i
bambini.
La maschera tragica
Mosaico da Pompei
Napoli, Museo Nazionale
Maschera tragica. La maschera mostra tratti
del viso esasperati, con occhi sbarrati, orbite
scavate, bocca molto grande e spalancata, e
una grande massa di capelli accumulati sulla
fronte (il cosiddetto onkos).
Questa tipologia di maschera, a noi resa
familiare dall’iconografia ellenistica e romana,
non corrisponde all’aspetto della maschera
tragica del V secolo a. C.
Frammento di oinochoe a figure rosse da Atene, 470-460 a. C
Atene, Agorà P 11810.
Le maschere tragiche del tempo di Eschilo dovevano apparire
simili a quella raffigurata in questo frammento di vaso,
risalente al 470-460 a. C. La maschera rappresenta un
personaggio femminile, la cui pelle come di consueto è
bianca, ad indicare la non esposizione al sole di chi vive
nell’ambito della casa. Si noti la semplicità dell’acconciatura,
trattenuta da una fascia. Il materiale delle costruzioni era in
origine biacca, poi lino, cartapesta e cuoio. Non risulta che le
maschere fossero standardizzate in tipi, e abbiamo molti
indizi nei testi che rivelano l’esistenza di maschere realizzate
ad hoc per personaggi particolari.
Pelike da Cerveteri, attribuita al pittore della Phiale
475-425 a. C. circa
Boston (MA), Museum of Fine Arts, 98.883
Due giovani, probabilmente coreuti, indossano costumi da teatro, evidentemente femminili. Il
personaggio di sinistra ha già indossato la maschera e i calzari, quello di desta sta calzando gli stivali e
ha la maschera appoggiata a terra. Le maschere hanno tratti abbastanza naturali, bocca piccola, naso
regolare e capigliatura acconciata semplicemente con una fascia. Si noti come il giovane a destra abbia
fermato i propri capelli con una fascia per poter indossare più comodamente la maschera.
Frammento di cratere attico da Taranto,
400 a.C. circa
Martin von Wagner Museum der
Universität Würzburg, H 4781
Il vaso raffigura un gruppo di donne
abbigliate come coreute, alcune delle
quali hanno tra le mani le maschere, una
delle quali è ben visibile, ed è quella
raffigurata nel particolare. La maschera
ha tratti abbastanza naturali, bocca
aperta
non
molto
grande,
folta
capigliatura ricciola.
L’ “Attore di Taranto”
Frammento di cratere da Gnathia,
Taranto, prima metà del IV secolo
a.C.
Questa bella immagine, sulla quale
ritorneremo
a
proposito
del
costume, raffigura un attore del IV
secolo a.C., che sta per completare
il suo abbigliamento di scena
indossando la maschera di un
vecchio, e sembra contemplarla
per
ispirarsi
nella
resa
del
personaggio
(secondo
altri
interpreti invece l’attore ha finito
di recitare e si è appena tolto la
maschera).
La maschera ha tratti naturalistici,
e come spesso accade nei dipinti
vascolari, ha qualche somiglianza
con il viso dell’attore. Si noti la
capigliatura corta dell’attore, che
facilitava l’atto di indossare la
maschera.
A
quest’epoca
le
maschere
tragiche vanno standardizzandosi
in tipi, dei quali ci restano esempi
nelle
terrecotte
liparesi,
che
riproducono la tipologia delle
maschere tragiche del IV secolo.
Un gruppo di attori si reca a portare un’offerta al dio del teatro
Rilievo dal Pireo, 400 a. C. circa - Atene, Museo Archeologico
Anfora attica a figure nere,
probabilmente da Cere,
550 circa a. C.
Berlin, Antikensammlung 1697
Gruppo di tre uomini in costume
da cavalieri che cavalcano altri
uomini barbati travestiti da
cavalli, con l’accompagnamento
di un flautista. Questa immagine
precede di almeno cento anni i
Cavalieri di Aristofane, nei quali
si può immaginare che il Coro
avesse un aspetto simile. Gli
Ateniesi dovevano avere
familiarità con questo tipo di
mascherate animalesche.
Il vaso di Pronomos: una compagnia di attori pronta per mettere in scena un
dramma satiresco (fine V - inizio IV secolo a. C.)
(Cratere a volute, Napoli 3240 - immagine sviluppata in piano)
Questo celebre vaso raffigura un folto gruppo di personaggi in ambiente teatrale, disposti attorno alle figure divine di Dioniso e Arianna, sdraiati su un
divano. La figura centrale in basso è il flautista Pronomos, che certamente il pittore vuol porre in evidenza. Si distinguono poi due figure, una seduta (il
poeta Demetrio) e una in piedi con la cetra in mano (il citarista Carino). Dieci personaggi maschili sono vestiti da Satiri, con mutande ricoperte di pelo,
coda e fallo. Essi portano in mano ciascuno la propria maschera, che solo uno ha già indossato (quello che accenna un passo di danza). In basso a destra
si distingue un personaggio vestito, anch’esso con maschera in mano: si ritiene sia il Corifeo. Nella fila superiore un attore dal viso barbuto, vestito con
un costume irto di ciuffi di pelo bianco, con pelle di leopardo, tiene in mano una maschera di Satiro vecchio: è il Papposileno, capo dei satiri. Alla sua
sinistra si distingue Eracle, con pelle di leone e clava, e alla sinistra di Eracle un attore che ha in mano una maschera femminile. A sinistra di Dioniso,
un altro attore con elaborato costume tiene in mano una maschera dai capelli ricciolie ispidi. Il contesto è quello di un dramma satiresco.
Coppa attica a figure rosse con
immagine
di
un
Satiro
appartenente a un coro
di
dramma satirsco. Si ditinguono
bene la maschera barbuta
indossata
dal
coreuta,
il
gonnellino maculato che rende
l’idea del pelo animale, il fallo e
la coda equina
A partire dalla tarda età ellenistica, troviamo attestazioni iconografiche di maschere come quelle delle
figure sottostanti. I tratti del viso si fanno assai più forzati, con occhi sbarrati, orbite scavate,
sopracciglia inarcate, bocca molto grande e spalancata, e soprattutto una grande massa di capelli che si
eleva considerevolmente sulla fronte (detta in greco onkos). È probabile che la maschera si evolva in
questa direzione anche per rispondere alle modificazioni che si andavano realizzando negli edifici
teatrali, all’interno dei quali la skene era cresciuta in altezza, fino ad assumere, nei teatri romani
proporzioni monumentali. L’onkos, unito a calzari dalla suola molto alta, consentiva di dare all’attore
una dimensione maggiore evitando che venisse schiacciato dalle proporzioni della scena.
Mosaico da Pompei - Napoli, Museo Nazionale
Maschera maschile, forse di
tunisino
di
età
romana
Kunsthistorisches Museum
re.
-
Mosaico
Vienna,
Una compagnia di attori si prepara alla rappresentazione
Mosaico da Pompei, ca. 100-79 a. C. - Napoli, Museo Archeologico
Atene, Museo Nazionale 382. Rilievo con sei maschere tragiche dal teatro di Dioniso, I-II secolo d. C.
Si osservi in particolare la grandezza della bocca, la forzatura dell’espressione, e la capigliatura, che
anche se parzialmente danneggiata, doveva essere in tutte le maschere piuttosto imponente sulla
fronte.
A sinistra, maschere monumentali di epoca romana rinvenute nel teatro di Atene (Atene, Museo
Nazionale). A destra, disegni di maschere conservate al British Museum di Londra, quella di destra è una
maschera tragica.
Maschere tragiche dal teatro di Ostia
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