A. A. 2013-2014 SP 2014 Prof. ord. Uberto MOTTA Corso monografico di letteratura moderna: Manzoni tragico mercoledí 17-19h, MIS 3028 Bibliografia (1) TESTI Alessandro Manzoni, Il conte di Carmagnola, ed. critica a cura di G. Bardazzi, Milano, Mondadori, 1985. A. Manzoni, Il conte di Carmagnola: 1820, a cura di G. Lonardi e P. Azzolini, Venezia, Marsilio, 1989. A. Manzoni, Il conte di Carmagnola, a cura di G. Sandrini, Milano, Centro di Studi Manzoniani, 2004 (Edizione nazionale ed europea delle opere di Alessandro Manzoni, 3). A. Manzoni, Adelchi, a cura di G. Lonardi e P. Azzolini, Venezia, Marsilio, 1992. Alessandro Manzoni, Adelchi, ed. critica a cura di I. Becherucci, Firenze, Accademia della Crusca, 1998. A. Manzoni, Opere, vol. 1, Poesie e tragedie, a cura di V. Boggione, Torino, UTET, 2002. A. Manzoni, Lettre à M. C*** sur l'unité de temps et de lieu dans la tragédie, a cura di C. Riccardi, Roma, Salerno, 2008. Bibliografia (2) SAGGI CRITICI G. Lonardi, L’esperienza stilistica del Manzoni tragico, Firenze, Olschki, 1965. L. Bottoni, Drammaturgia romantica. Il sistema letterario manzoniano, Pisa, Pacini, 1984. G. Lonardi, Ermengarda e il pirata, Bologna, Il Mulino, 1991. G. Lonardi, Manzoni e l’esperienza del tragico, Modena, Mucchi, 1995. C. Annoni, Lo spettacolo dell’uomo interiore. Teoria e poesia del teatro manzoniano, Milano, Vita e Pensiero, 1997. G. Tellini, Manzoni, Roma, Salerno, 2007. A. Guidotti, Manzoni teatrale, Lucca, Pacini Fazzi, 2012. Calendario 19 febbraio: lezione sospesa 1) 26 febbraio 2) 5 marzo 3) 12 marzo 4) 19 marzo 5) 26 marzo 6) 2 aprile 7) 9 aprile 8) 16 aprile 23 aprile: vacanze di Pasqua 9) 30 aprile 10) 7 maggio 11) 14 maggio 12) 21 maggio 13) 28 maggio • Il Conte di Carmagnola: Inizio della stesura: 15 gennaio 1816 (nello stesso mese, sulla “Biblioteca Italiana” Mme De Stäel pubblica l’articolo Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni). • Il contesto: Nel 1769 è apparsa la Drammaturgia amburghese di Gotthold Lessing (Hamburghische Dramaturgie), che Manzoni legge nella trad. francese (di G. A. Junker) del 1785. Nel 1809 è apparso il Corso di letteratura drammatica (Vorlesungen über dramatische Kunst und Literatur) di August Wilhelm Schlegel (che Manzoni legge nella traduzione francese di A. Necker de Saussure apparsa nel 1814). Nel 1776-1782 appare in 10 volumi la raccolta delle Oeuvres complètes de Shakspeare, trad. fr. di Pierre Letourneur, studiata da Manzoni. A. Manzoni, Materiali estetici, parte V Lessing […] vuole provare che in ogni caso è vera la massima di Aristotele che: Le malheur toutà-fait exempt de faute d'un homme vertueux n'est point un sujet pour la Tragédie; car cela est odieux. Rivedere accuratamente questo passo sì in Aristotele che in Lessing […]. Esaminare più ponderatamente quel passo del Lessing: La pensée qu'il puisse y avoir des hommes malheureux sans la moindre faute de leur part est en elle-même affreuse. Les Payens avoient cherché à éloigner d'eux cette noire idée autant que possible: et nous voudrions la nourrir, et nous amuser à des spectacles qui la confirment? Nous, à qui la Religion et la raison doivent avoir persuadé qu'elle est aussi fausse que blasphématoire? Questo motivo della Religione Cristiana che il Lessing cita per confermare il suo sistema mi pare anzi che gli faccia contro. Il Cristianesimo “Venendo in terra a illuminar le carte” [Rvf IV v. 5] ha talmente cambiate le idee e i sentimenti intorno al bene e al male, all'utile e al dannoso che mi pare che convenga andar sempre cauti assai nell'applicazione dei principj morali degli Scrittori Gentili. Questa vita mortale che il Gentilesimo rappresentava come avente il principio e il fine in sè stessa, il Cristianesimo ce la fa considerare come vita di preparazione. Quindi gli avvenimenti si riguardano non solo pel diletto o pel dolore che arrecano con sè, ma ancora, anzi principalmente, pei rapporti loro colla vita futura nella quale sola noi possiamo concepire il compimento d'ogni nostro destino. Quindi quegli accidenti pei quali agli Ateniesi un uomo pareva un homme malheureux non bastano perchè appaja a noi tale nel più esteso senso: perchè noi sappiamo considerare i dolori presenti come espiazione dei falli da cui nemmeno i più puri vanno esenti, stromento di perfezionamento in chi soffre, come preparazione a beni futuri, e quindi come veri beneficj della Provvidenza. Questi mali poi oltre che non sono assoluti perchè non compiscono il destino di chi gli sopporta, sono anche temperati assai da due virtù che sono de' più bei doni che Dio abbia fatti agli uomini, la speranza e la rassegnazione che da essa viene. Dante, Purg. VI, vv. 118-123 “E se licito m’è, o sommo Giove / che fosti in terra per noi crucifisso, / son gli giusti occhi tuoi rivolti altrove? / O è preparazion che ne l’abisso / del tuo consiglio fai per alcun bene / in tutto de l’accorger nostro scisso?”. Aristotele, Poetica, cap. 13 Poiché la composizione della tragedia più bella […] deve essere imitazione di casi che destano terrore e pietà (giacché questo è proprio di una tale imitazione), in primo luogo è chiaro che non si debbono mostrare [1] né uomini dabbene [esemplari, degni di stima] che passino dalla fortuna [buona sorte] alla sfortuna [sventura], perché questa è cosa che non desta né terrore né pietà ma ripugnanza [disgusto]; [2] né uomini malvagi che passino dalla sfortuna alla fortuna, perché questo è il caso meno tragico di tutti in quanto non ha niente di quel che dovrebbe avere, non destando né simpatia umana né pietà né terrore; [3] ma nemmeno deve essere un uomo molto malvagio a cadere dalla fortuna nella sfortuna, perché una simile composizione avrebbe sì la simpatia umana [avrebbe sì senso morale], ma non il terrore né la pietà, dei quali l’una [la pietà] si riferisce a chi cade in disgrazia innocente [indegnamente] e l’altro a chi vi cade essendo simile a noi; la pietà cioè si riferisce all’innocente mentre il terrore al nostro simile, di modo che il caso in questione non sarà né pietoso né terribile. Non resta dunque che colui che si trova nel mezzo rispetto a questi estremi, e tale è chi né si distingue per virtù e per giustizia né cade nella disgrazia per causa del vizio e della malvagità, ma per un qualche errore [morale o intellettuale], sul tipo di coloro che si trovano in grande reputazione e fortuna. L. Castelvetro, La poetica d’Aristotele, 1570 [Aristotele] dice che non si deono gli uomini di santissima vita rappresentare che trapassino da felicità a miseria, perciocché questa […] sarebbe cosa […] abominevole, cioè sarebbe cosa che indurrebbe gli uomini a credere che Dio non avesse provvidenza speziale de’ suoi divoti e che fosse ingiusto. […] A che è da rispondere brevemente che il comune popolo […] porta opinione che egli [Dio] faccia ogni cosa giustamente e drizzi ogni cosa a gloria sua e ad utile de’ suoi divoti. E perciò il popolo, quando vede uno santo uomo patire, […] s’imagina che [1] quella persona, santa in apparenza e di fuori, sia meno santa in secreto e dentro e, come ipocrita, sia meritamente punita, o che quella persona santa abbia fatti alcuni falli […], li quali Dio come giusto giudice non voglia lasciare impuniti, o che [2] la persona santa sia tentata con simili disavventure, accioché, sì come l’oro nel fuoco s’affina, così ella nelle tentazioni migliori e si faccia più perfetta, o che la persona santa sia così mal trattata, perché Dio vuole col suo mal trattamento far rilucere la gloria sua. A. Manzoni, Materiali estetici, parte V Noi sappiamo considerare i dolori presenti come espiazione dei falli da cui nemmeno i più puri vanno esenti, stromento di perfezionamento in chi soffre, come preparazione a beni futuri, e quindi come veri beneficj della Provvidenza. Questi mali poi oltre che non sono assoluti perchè non compiscono il destino di chi gli sopporta, sono anche temperati assai da due virtù che sono de' più bei doni che Dio abbia fatti agli uomini, la speranza e la rassegnazione che da essa viene. A. Manzoni, Traccia del discorso sulla moralità delle opere drammatiche (1816-1817) La Religione […] insegna a chi l'ascolta di pregare […] per l'oppresso e per l'oppressore, a riguardare [1] gli uomini i più scellerati come creati anch'essi per la virtù, come capaci di emendarsi e di seguirla, e [2] sè stesso come capace dei più grandi errori qualora Dio lo abbandoni, insegna a riguardar [3] tutti gli uomini come fratelli e se gl’iniqui vogliono rompere questo santo vincolo ci impone di [4] tenerci stretti a loro con quella carità che ha per fondamento non il merito loro ma i precetti e gli esempj di Gesù Cristo. Aristotele, Poetica, cap. 9 Compito del poeta è di dire non le cose accadute ma quelle che potrebbero accadere, cioè le possibili secondo verosimiglianza o necessità. Ed infatti lo storico e il poeta non differiscono per il fatto di dire l’uno in prosa e l’altro in versi (giacché l’opera di Erodoto, se fosse posta in versi, non per questo sarebbe meno storia, in versi, di quanto non lo sia senza versi), ma differiscono in questo, che l’uno dice le cose accadute e l’altro quelle che possono accadere. E perciò la poesia è cosa più nobile e più filosofica della storia, perché la poesia tratta piuttosto dell’universale, mentre la storia del particolare. L’universale poi è questo: quali specie di cose a quale specie di persona capiti di dire o di fare secondo verosimiglianza o necessità, al che mira la poesia pur ponendo nomi propri, mentre invece è particolare che cosa Alcibiade fece o che cosa patì. Nella biblioteca di Manzoni • De l’Allemagne di Mme de Stäel (1813) • De la littérature du Midi de L’Europe di J.C. Simonde de Sismondi (1813) • Dialogo sulle unità drammatiche di luogo e di tempo di Ermes Visconti (1819) La tragedia tra Sette e Ottocento • Vincenzo Monti, Aristodemo (1786), Galeotto Manfredi (1788), Caio Gracco (1802) • Ippolito Pindemonte, Arminio (1802) • Ugo Foscolo, tre tragedie: Tieste (1797), Aiace (1811), Ricciarda (1813) • Manzoni, Conte di Carmagnola (1820) e Adelchi (1823) • Silvio Pellico, Francesca da Rimini (1815) • Giovan Battista Niccolini, Polissena (1810) e Nabucco (1819) A. Manzoni, Prefazione a Il Conte di Carmagnola Quando poi vennero coloro i quali, non badando all’autorità, domandarono la ragione di queste regole, i fautori di esse non seppero trovarne che una, ed è: che, assistendo lo spettatore realmente alla rappresentazione di un’azione, diventa per lui inverisimile che le diverse parti di questa azione avvengano in diversi luoghi, e che essa duri per un lungo tempo, mentre egli sa di non essersi mosso di luogo, e di avere impiegate solo poche ore ad osservarla. Questa ragione è evidentemente fondata su di un falso supposto, cioè che lo spettatore sia lì come parte dell’azione; quando egli è, per così dire, una mente estrinseca che la contempla. La verisimiglianza non deve nascere in lui dalle relazioni dell’azione col suo modo attuale di essere, ma dai rapporti che le varie parti dell’azione hanno fra di loro. Quando si considera che lo spettatore è fuori dell’azione, l’argomento in favore delle unità svanisce. 11-13 marzo 2014: MasterDays 11-13 marzo 2014: Master-Days 13 marzo: 10-12h, MIS 3119, C. Giunta, La poesia medioevale, la poesia moderna, la canzone 13 marzo: 14-15h, MIS 2120, Séance d’information 13 marzo: 16-18h, Hall d’honneur, Stands des Domaines d’Etudes 13 marzo: 18-19.30h, Aula Magna, Conférences et Débat, “Mots de pouvoir – Pouvoir des mots” (C. Levrat; V. Reinhardt; N. Jegerlehner) 20-21 marzo 2014, Convegno “Tra grido e sogno. Forme espressive e modelli esperienziali dell’Allegria di Giuseppe Ungaretti” A. Manzoni, Materiali estetici, parte II Parlerò ora del Coro introdotto in questa Tragedia, il quale, per non essere nominati personaggi che lo compongono deve al lettore sembrare piuttosto un capriccio e un enigma che altro; e adducendo i motivi per cui questo coro siasi introdotto, mostrerò quale egli sia. La vera essenza dei Cori Greci non è stata conosciuta che da qualche critico dei nostri tempi che mostrando false e superficiali le ragioni che i critici anteriori ne avevano date, ne dimostrarono le reali ed importanti. Io tradurrò qui alcuni squarci su questo soggetto dal Corso di letteratura Drammatica del Sig. Schlegel, e scelgo questo scrittore perchè (dei letti da me) è il primo che abbia data del Coro questa idea, e perchè mi sembra ch'essa vi sia assai bene espressa. Il Coro è da riguardarsi, dic'egli, come la personificazione dei pensieri morali che l'azione ispira, come l'organo dei sentimenti del poeta che parla in nome della intera comunità . E poco sotto: Vollero i Greci che in ogni opera il Coro (qual fosse la parte sua propria ch'egli altronde vi facesse) fosse principalmente il rappresentante del genio nazionale, e appresso il difensore della causa della umanità: il Coro era insomma lo spettatore ideale: egli temperava le impressioni troppo violente o dolorose d'una imitazione talvolta troppo vicina al vero, e presentando allo spettatore reale il riflesso [delle sue proprie emozioni,] gliele rimandava addolcite dal diletto d'una espressione lirica e armoniosa, e lo conduceva così nel tempo più tranquillo della contemplazione . Il Conte di Carmagnola: le fonti storiche • J.C. Simonde de Sismondi, Histoire des républiques italiennes du moyen âge, vol. VIII, 1809 • Pietro Verri, Storia di Milano, 1783-85 • Francesco Monaco, Vite de’ famosi capitani d’Italia, 1805 • Carlo Tenivelli, Biografia piemontese, 1784-92 Notizie storiche Nulla d'autentico si ha sull'innocenza o sulla reità di questo grand'uomo. Era da aspettarsi che gli storici veneziani, che volevano scrivere e viver tranquilli, l'avrebbero trovato colpevole. Essi esprimono quest'opinione come una cosa di fatto, e con quella negligenza che è naturale a chi parla in favore della forza. Senza perdersi in congetture, asseriscono che il Carmagnola fu convinto coi tormenti, coi testimoni e con le sue proprie lettere. Di questi tre mezzi di prova, il solo che si sappia di certo essere stato adoprato è l'infamissimo primo, quello che non prova nulla. Ma oltre la mancanza assoluta di testimonianze dirette, storiche, che confermino la reità del Carmagnola, molte riflessioni la fanno parere improbabile. Né i Veneziani hanno rivelato mai quali fossero le condizioni del tradimento pattuito; né da altra parte s'è saputo mai nulla d'un tale trattato. Quest'accusa è isolata nella storia, e non si appoggia a nulla, se non a qualche svantaggio di guerra, il quale anche si spiega senza ricorrere a questa supposizione: e sarebbe una legge stravagante non meno che atroce, quella che volesse imputato a perfidia del generale ogni evento infelice. […] Una riconciliazione segreta con un uomo che gli era stato orribilmente ingrato, e che aveva tentato di farlo ammazzare, un patto di far la guerra da stracco, anzi di lasciarsi battere, non s'accordano con l'animo impetuoso, attivo, avido di gloria del Carmagnola. Il Duca non era perdonatore; e il Carmagnola, che lo conosceva meglio d'ogni altro, non avrebbe mai potuto credere a una riconciliazione stabile e sicura con lui. Il disegno di ritornare con Filippo offeso non poteva mai venire in mente a quell'uomo, che aveva esperimentate le retribuzioni di Filippo beneficato. A. Manzoni, lettera all’abate Gaetano Giudici (7.II.1820) Un uomo d’animo forte ed elevato e desideroso di grandi imprese, che si dibatte colla debolezza e colla perfidia dei suoi tempi, e con istituzioni misere, improvvide, irragionevoli, ma astute, e già fortificate dall’abitudine e dal rispetto, e dagli interessi di quelli che hanno l’iniziativa della forza. Il Conte di Carmagnola: 1820-1845 • Revisione della punteggiatura • Revisione della grafia (accenti: se>sé; apocope: nei>ne’; elisione: mi avvelena>m’avvelena; riduzione delle maiuscole di rispetto: Re>re; riduzione del dittongo mobile: cuore>core) • Riduzione dei pronomi personali soggetto (io dico>dico) • Revisione del lessico: picciol>piccol, debbe>deve, stilo>stile, accaggia>avvenga, dinanzi>davanti, serbatelo>tenetelo, voglia>volere G. Bardazzi, Introduzione a Il Conte di Carmagnola (1985) La storia del Carmagnola perde insomma i propri contorni specifici, diventa storia di un corpus, di un progetto che travalica ormai l’individualità dei singoli componimenti; diventa storia, se si vuole, di una ossessione culturale. Se esiste, per così dire, una geologia del testo, certo è che le spinte endogene del Carmagnola culminano e si esauriscono nella orografia disegnata dalla stampa Ferrario del ’20. Ed è alla stampa Ferrario che pertanto si delega il compito di rappresentare la tragedia nella forma compiuta, bastando per le varianti posteriori di quasi un trentennio offerte dalle Opere varie una fascia dell’apparato. Il Conte di Carmagnola, I 2: due metafore ‘iper-connotate’ v. 120: col mio sangue acquistato Atti degli Ap. 20,18ss (discorso di Paolo agli anziani di Efeso): "Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia e per tutto questo tempo: ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei. […] Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù. […] Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue. Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge». v. 122: fatto avean siepe intorno al trono Dante, Inf. XXXIII 83 (nel girone dei traditori politici, l’invettiva di Dante contro Pisa dopo il discorso di Ugolino): «muovasi la Capraia e la Gorgona, / e faccian siepe ad Arno in su la foce». Il Conte di Carmagnola, I 2 una sentenza lapidaria v. 186: ardir prudenza or fia François Just Marie Raynouard, Les États de Blois ou la mort du duc de Guise (1809), V 8: «Je porte cet auguste et sacré caractère, / il ne m’est point permis de craindre; je dois voir, / non quel est mon péril, mais quel est mon devoir; / je ne m’appartiens plus, j’appartiens à la France. / Hésiter, c’est péril; hasarder, c’est prudence » Il Conte di Carmagnola, I 3 il dubbio di Marino (vv. 239-241) B. Constant, Wallstein, I 2 Géraldin (envoyé par l’Empereur) Ah! malheur à l'état qui dans son imprudence Au bras armé pour lui remet sa confiance! Jour funeste où ma voix, implorant sa valeur, Mit aux pieds d'un soldat l'empire et l'empereur! Dès lors, de son orgueil démêlant l'artifice, Je vis que sous nos pas s'ouvrait un précipice. Il Conte di Carmagnola, I 5 una dichiarazione iperbolica vv. 340-2: «quest’alma terra [<quest’alta terra<questa nobil madre] / m’ha nel suo glorioso antico grembo / accolto» Rvf 128 v. 9: «diletto almo paese» (Leopardi, All’Italia [sett. 1818: I ed. 1819] vv. 132-3: «e molle / fosse del sangue mio quest’alma terra») Par. XI 1-12 («O insensata cura de’ mortali /…/ quando, da tutte queste cose sciolto, / con Beatrice m’era suso in cielo / cotanto gloriosamente accolto») Il Conte di Carmagnola, I 5 353: Credi ad un uom che t’ama cfr. Constant, Wallstein, II 1 (Gallas a Eallstein) Il Conte di Carmagnola, I 5 382-3 dove / semina l’ira, il pentimento miete Giobbe 4,8: chi semina affanni, li raccoglie; Prov. 22,8: chi semina l’ingiustizia, raccoglie la miseria Il Conte di Carmagnola, I 5 396 accarezzarlo Cfr. Machiavelli, Discorsi III 6,10: «le minacce offendono più i principi, e sono cagione di più efficace congiure che le offese: da che uno principe si debbe guardare; perché gli uomini si hanno o accarezzare o assicurarsi di loro; e non li ridurre mai in termine che gli abbiano a pensare che bisogni loro o morire o far morire altrui». Il Conte di Carmagnola, II 5 v. 281: «ch’io bramai tanto» cfr. Della Casa, Rime 61 1-6 «Di là, dove per ostro e pompa e oro / fra genti inermi ha perigliosa guerra, / fuggo io mendico e solo, e di quella esca / ch'i' bramai tanto, sazio, a queste querce / ricorro, vago omai di miglior cibo, / per aver posa almen questi ultimi anni». vv. 283-284: «che ogni adito era chiuso, e che deriso / solo, io partiva, e non sapea per dove» cfr. Mt 27,31: Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo. v. 286: «ingrato» cfr. Constant, Wallstein, I 1 «Monarque trop ingrat! Jaloux de sa fortune, / Tu voulus en voiler la splendeur importune. […] Tu désarmas le bras qui t'avait trop servi». Il Conte di Carmagnola: Atto II, Coro Forma metrica: 16 strofe di otto decasillabi (con accenti di 3,6, 9 e cesura dopo la 4° sillaba), divisi in due quartine dalla rima tronca in 4a e 8a posizione; schema ABAC’BDDC’ Il decasillabo: metro raro nella tradizione italiana, dal ritmo incalzante ma anche austero e solenne (Quadrio: il metro delle «cose spaventevoli e rovinose») Contenuto: «La battaglia di Maclodio – come il massacro moderno di Waterloo, che dietro quella s’indovina, come tutte le guerre, in cui innocenti sono chiamati a morire senza ragione – ripete il dramma della passione di Cristo (evocata del testo, esplicitamente, a monito della condizione di tutti gli uomini)» (V. Boggione) Il Conte di Carmagnola: Atto II, Coro 1-8 Inf. VI 95-99, rima (angelica) tromba : (etterno) rimbomba Ger. lib. XX 31, «Fer le trombe cristiane il primo invito, / risposer l’altre ed accettar la guerra» Quinci spunta per l'aria un vessillo; Inf. XXXI 1, Vexilla regis prodeunt inferni Quindi un altro s'avanza spiegato: Ger. lib. I 64, «Vedi appresso Ecco appare un drappello schierato; spiegar l’alto vessillo» S'ode a destra uno squillo di tromba; A sinistra risponde uno squillo: D'ambo i lati calpesto rimbomba Da cavalli e da fanti il terren. Ecco un altro che incontro gli vien. G. Pasquali, Pagine stravaganti, 1968 «La lingua della poesia greca è per la parte maggiore non dedotta dall’uso contemporaneo ma da Omero». G.B. Conte (1974): 1) allusione integrativa = sovrapposizione armonica e fusione delle voci (equivalenza) 2) allusione riflessiva = comparazione dialogica e a volte conflittuale (differenziazione) G. B. Conte, Memoria dei poeti e sistema letterario, 1974 Perché entri in funzione il meccanismo attivo dell’arte allusiva, il poeta deve chiedere e ottenere la collaborazione del lettore. L’allusione si realizzerà così come voluto e preciso, imprescindibile, riferimento ad una «memoria dotta» presupposta nel lettore o nell’ascoltatore: si configurerà come desiderio di risvegliare una vibrazione all’unisono tra la memoria del poeta e quella del suo lettore in rapporto a una situazione poetica cara ad entrambi. Ma la situazione può complicarsi: l’allusività può non esaurirsi in se stessa ma servire a mediare un rapporto emulativo nei riguardi della tradizione così rammentata. In tal caso, della tradizione essa mira a circoscrivere uno spazio limitato, prescelto per il confronto: si allude a un momento o a una forma conosciuti, non solo per recuperarli armonizzando la loro risonanza ad un nuovo contesto, ma anche per superarli in un rapporto fatto di opposizione o di differenziazione, o almeno variando. Il Conte di Carmagnola: il lessico del Coro (1) v. 22: Gen 4,8-11, «Caino disse al fratello Abele: "Andiamo in campagna!". Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: "Dov`è Abele, tuo fratello?". Egli rispose: "Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?". Riprese: "Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello». vv. 25-26: Tibullo I X, 1-2, «Quis fuit, horrendos primus qui protulit enses? / Quam ferus et vere ferreus ille fuit!» v. 28: Lc 23,34, «Iesus autem dicebat: “ Pater, dimitte illis, non enim sciunt quid faciunt ”»; Purg. III 84 , «e lo ’mperché non sanno». v. 34: Prov 20,3, «Honor est homini separari a contentionibus; omnes autem stulti miscentur contumeliis». v. 39: Mt 26,47, «ecce Iudas, unus de Duodecim, venit, et cum eo turba multa cum gladiis et fustibus, missi a principibus sacerdotum et senioribus populi». Il Conte di Carmagnola: il lessico del Coro (2) v. 56: Shakespeare, Macbeth II 3, «O horror, horror, horror! Tongue nor heart cannot conceive nor name thee!» v. 87 : Shakespeare, Richard III, V 5, «The brother blindly shed the brother's blood». v. 89: Monti, Caio Gracco, IV 158, «Odo intorno sonar le sue catene». v. 92: Is 1,13-15, «Smettete di presentare offerte inutili; l'incenso per me è un abominio, i noviluni, i sabati e le assemblee sacre: non posso sopportare delitto e solennità. Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste; per me sono un peso, sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue». v. 100: Tasso, GL III 10, «Ognun s’affretti, e l’arme prenda; / ecco, il nemico è qui: mira la polve» (polve nel Coro al v. 95). v. 107: Leopardi, Sopra il monumento di Dante v. 6, «Questa terra fatal». v. 116: Inf. XXVI 136, «Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto» (Prov 10,24, «Al malvagio sopraggiunge il male che teme, il desiderio dei giusti invece è soddisfatto»; Giobbe 20,5, «il trionfo degli empi è breve e la gioia del perverso è d'un istante»). v. 121: Gn 1,27, «Et creavit Deus hominem ad imaginem suam; ad imaginem Dei creavit illum; masculum et feminam creavit eos». v. 126: Gn 4,11, «Nunc igitur maledictus eris procul ab agro, qui aperuit os suum et suscepit sanguinem fratris tui de manu tua!» Il Conte di Carmagnola: il lessico del Coro (3): Maladetto… contrista… Dante, Inf. XI 19-27 Tutti son pien di spirti maladetti; ma perché poi ti basti pur la vista, intendi come e perché son costretti. D'o gne malizia, ch'odio in cielo acquista, ingiuria è 'l fine, ed ogne fin cotale o con forza o con frode altrui contrista. Ma perché frode è de l'uom proprio male, più spiace a Dio; e però stan di sotto li frodolenti, e più dolor li assale. Di violenti il primo cerchio è tutto; ma perché si fa forza a tre persone, in tre gironi è distinto e costrutto Il Conte di Carmagnola, atto IV «L’azione dell’atto quarto si svolge agli inizi del 1432, a distanza di quasi cinque anni dagli avvenimenti presentati negli atti secondo e terzo. Dopo la vittoria di Maclodio, le corti militari del Carmagnola subirono un declino clamoroso, specie con il fallito tentativo di conquistare Cremona (1431). Chiamato con un pretesto a Palazzo Ducale, il Conte sarà imprigionato, processato e decapitato come traditore della Repubblica (5 maggio 1432)» (G. Tellini) Il Conte di Carmagnola, atto IV vv. 23-26: «Tutto che puote / por la patria in periglio, essere inciampo all’alte mire sue, dargli sospetto, / è in nostra man». vv. 103-106: «Voi siete un uomo / di cui si teme, un che lo stato guarda / come un inciampo alla sua via». PS 1827, cap. 1: Per una di queste stradicciuole, tornava bel bello dal passeggio verso casa, in sulla sera del giorno 7 di novembre dell'anno 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, nè il casato del personaggio, non si trovano nel manoscritto, nè a questo luogo nè in seguito. Diceva tranquillamente il suo ufizio, e alcuna volta, tra un salmo e l'altro, richiudeva il breviario, tenendovi entro, per segno, l'indice della mano destra; e messa poi questa nell'altra dietro le reni, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e rigettando verso il muro col piede i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero. Machiavelli, Discorsi, III 35: Quali pericoli si portano nel farsi capo a consigliare una cosa; e, quanto ella ha più dello istraordinario, maggiori pericoli vi si corrono Parlerò […] di quegli pericoli che portano i cittadini, o quelli che consigliano uno principe a farsi capo d'una diliberazione grave ed importante, in modo che tutto il consiglio di essa sia imputato a lui. Perché, giudicando gli uomini le cose dal fine, tutto il male che ne risulta s'imputa allo autore del consiglio; e, se ne risulta bene, ne è commendato: ma di lunge il premio non contrappesa a il danno. […] È cosa adunque certissima, che quegli che consigliano una republica, e quegli che consigliano uno principe, sono posti intra queste angustie, che, se non consigliano le cose che paiono loro utili, o per la città o per il principe, sanza rispetto, e' mancano dell'ufficio loro; se le consigliano, e' gli entrano in pericolo della vita e dello stato: essendo tutti gli uomini in questo ciechi, di giudicare i buoni e i cattivi consigli dal fine. E pensando in che modo ei potessono fuggire o questa infamia o questo pericolo, non ci veggo altra via che pigliare le cose moderatamente, e non ne prendere alcuna per sua impresa, e dire la opinione sua sanza passione, e sanza passione con modestia difenderla […]. Quando tu faccia così, non è ragionevole che uno principe ed uno popolo del tuo consiglio ti voglia male. Is 8,11-15: Poiché così il Signore mi disse, quando mi aveva preso per mano e mi aveva proibito di incamminarmi nella via di questo popolo: "Non chiamate congiura ciò che questo popolo chiama congiura, non temete ciò che esso teme e non abbiate paura". Il Signore degli eserciti, lui solo ritenete santo. Egli sia l'oggetto del vostro timore, della vostra paura. Egli sarà laccio e pietra d'inciampo e scoglio che fa cadere per le due case di Israele, laccio e trabocchetto per chi abita in Gerusalemme. Tra di loro molti inciamperanno, cadranno e si sfracelleranno, saranno presi e catturati. Ger 6, 20-21: «Perché mi offrite incenso portato da Saba e la preziosa cannella che giunge da un paese lontano? I vostri olocausti non mi sono graditi e non mi piacciono i vostri sacrifici". Perciò, dice il Signore: "Ecco, io porrò per questo popolo pietre di inciampo, in esse inciamperanno insieme padri e figli; vicini e amici periranno". Rom 6,30-33: Che diremo dunque? Che i pagani, che non ricercavano la giustizia, hanno raggiunto la giustizia: la giustizia però che deriva dalla fede; mentre Israele, che ricercava una legge che gli desse la giustizia, non è giunto alla pratica della legge. E perché mai? Perché non la ricercava dalla fede, ma come se derivasse dalle opere. Hanno urtato così contro la pietra d'inciampo, come sta scritto: Ecco che io pongo in Sion una pietra di scandalo e un sasso d'inciampo; ma chi crede in lui non sarà deluso. Il Conte di Carmagnola, atto V • Scena 1: confronto notturno tra il Doge, Marino e il Conte nella Sala del Consiglio → l’accusa di tradimento • Scena 2: nella casa del Conte, a Venezia, la figlia Matilde e la moglie Antonietta • Scena 3: G.F. Gonzaga, luogotenente del Conte, porta l’annuncio della sventura a Matilde e Antonietta → momento della rivelazione tragica • Scena 4: il Conte da solo in prigione → l’ora solenne del dolore • Scena 5: il congedo del Conte dalla moglie e dalla figlia, in prigione, prima dell’esecuzione → rinuncia alla vendetta a favore del perdono Cronologia manzoniana: novembre 1820-settembre 1823 • • • • • • • • • • • • • • 7 nov. 1820 – 4 genn. 1821: I atto Adelchi (le date sull’autografo: Braid. VS X 2) Marzo (15-17): Marzo 1821 Aprile: II atto Adelchi e inizio Fermo e Lucia 2-27 giugno: III atto Adelchi 3-17 luglio 1821: IV atto Adelchi 18-20 luglio: Cinque maggio 2 agosto-21 settembre: V atto Adelchi (mancano ancora i due cori) 3 novembre: inizio revisione Adelchi e ipotesi di una terza tragedia, Spartaco 13 dic. 1821 – 11 gennaio 1822: II coro Adelchi 15-19 gennaio 1822: I coro Adelchi Febbraio-aprile: revisione definitiva dell’Adelchi Maggio-settembre: Fermo e Lucia (2 maggio: autorizzazione della censura alla stampa di Adelchi) 26 sett.-2 ott. 1822: Pentecoste Ottobre 1822: edizione dell’Adelchi, con dedica alla moglie Enrichetta, preceduto dalle Notizie storiche e accompagnato dal Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia Novembre 1822-settembre 1823: ripresa e conclusione del Fermo e Lucia «Beati gli afflitti perché saranno consolati» (Mt 5,4) Questo è un segno del giusto giudizio di Dio, che vi proclamerà degni di quel regno di Dio, per il quale ora soffrite. E` proprio della giustizia di Dio rendere afflizione a quelli che vi affliggono e a voi, che ora siete afflitti, sollievo insieme a noi, quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo con gli angeli della sua potenza (II Tes 1,5-7). Adelchi I 1: l’intertesto dantesco • vv. 39-42, «Dolore / sopra dolor! Su queste soglie, ahi! Troppe / memorie acerbe affolleransi intorno a quell’anima offesa» • vv. 49-50, «Tu al padre ed al fratel rimena / quel desiato volto» Inf. V: v. 109, «Quand’io intesi quell’anime offese» [travagliate dal tormento]; vv. 121-23, «Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria». Il coro del III atto • Stesura: 15-19 gennaio 1822 (con successive revisioni) • Forma metrica: 11 sestine di dodecasillabi ; rime AAB’CCB’; accenti abbastanza regolari in 2, 5, 8, 11 (scansione bimembre dei vv.; pochissime inarcature) • Stile: arcaismi e latinismi; ossimori (ess. vv. 12, 58); anafore e parallelismi (vv. 1-3, 40-41…); chiasmi (vv. 7, 11-12, 14, 23…) • Quattro parti: 1 (vv. 1-18: descrizione oggettiva), 2 (vv. 19-30: punto di vista del volgo disperso), 3 (vv. 3154: allocuzione del coro), 4 (vv. 55-66: conclusione) • Complessità dell’interpretazione ideologica Il IV atto: la tragedia di Ermengarda Scena I (vv. 210): Brescia, monastero di San Salvatore, Ermengarda e la sorella Ansberga Incipit (vv. 1-5): atmosfera foscoliana v. 1, «Qui sotto il tiglio, qui»: cfr. Dei Sepolcri, vv. 62-69, «O bella Musa, ove sei tu? Non sento/Spirar l'ambrosia, indizio del tuo Nume,/Fra queste piante ov'io siedo e sospiro/ Il mio tetto materno. E tu venivi/ E sorridevi a lui sotto quel tiglio/ Ch'or con dimesse frondi va fremendo/ Perchè non copre, o Dea, l'urna del vecchio/ Cui già di calma era cortese e d'ombre» (anche Ortis II 10: «Jer sera dunque io passeggiava con quel vecchio venerando nel sobborgo orientale della città sotto un boschetto di tigli». vv. 3-5, «Intendo… vita»: cfr. Dei Sepolcri, vv. 121-122, «perché gli occhi dell’uom cercan morendo / il Sole; e tutti l’ultimo sospiro / mandano i petti alla fuggente luce» (così già Didone in Eneide IV 690-692). v. 73, importante rifacimento tassiano Ger. Lib. XII 66, «Amico, hai vinto: io ti perdon… perdona/ tu ancora, al corpo no, che nulla pave,/ a l’alma sì; deh! Per lei prega, e dona/ battesmo a me ch’ogni mia colpa lave». dal v. 133: il delirio di Ermengarda Stile patetico (lessico aulico; fitta presenza di verbi esclamativi, imperativi, interrogativi; libera alternanza di tempi presenti e passati) Il coro del IV atto • Stesura: 13 dicembre 1821-11 gennaio 1822 • Forma metrica: 20 strofe di sei settenari ; rime a’’bc’’bd’’e’ (con gli ultimi versi di ogni strofa, sempre tronchi, rimanti a coppie) ; schema impiegato da G. Parini in due odi e, raramente, in altri autori del XVIII sec., ma identico a quello del Cinque maggio (luglio 1821) • Stile: aggettivi anteposti ai sostantivi in sede metrica forte (13-14, 15-16, 33-34, 67-68, 71-72, 103-104…); chiasmi (12, 25-26, 62-63,, 75-76…), latinismi di derivazione illustre (13-14 ansia mente), verbo alla fine della frase (35-36), anticipazione del complemento oggetto (89-90). • Tre parti: vv. 1-24 (il trapasso di Ermengarda e il commento dell’autore), vv. 25-84 (l’affollarsi incalzante dei ricordi), vv. 85-120 (la sofferenza come via di santificazione) V 8, vv. 352-357 • Foscolo, Ortis: «Quando e doveri e diritti stanno sulla punta della spada, il forte scrive le leggi col sangue» (II 10, 6); «Noi chiamiamo pomposamente virtù tutte quelle azioni che giovano alla sicurezza di chi comanda, e alla paura di chi serve. I governi impongono giustizia; ma potrebbero eglino imporla se per regnare non l’avessero prima violata?» (II 19, 8). • Osea, IV 1-3: «il Signore ha un processo con gli abitanti del paese. Non c’è infatti sincerità né amore del prossimo, nè conoscenza di Dio nel paese. Si giura, si mentisce, si uccide, si ruba, si commette adulterio, si fa strage e si versa sangue su sangue. Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue insieme con gli animali della terra e con gli uccelli del cielo; perfino i pesci del mare periranno».