A. A. 2013-2014
SP 2014
Prof. ord. Uberto MOTTA
Corso monografico di letteratura moderna:
Manzoni tragico
mercoledí 17-19h, MIS 3028
Bibliografia (1)
TESTI
Alessandro Manzoni, Il conte di Carmagnola, ed. critica a cura di G.
Bardazzi, Milano, Mondadori, 1985.
A. Manzoni, Il conte di Carmagnola: 1820, a cura di G. Lonardi e P.
Azzolini, Venezia, Marsilio, 1989.
A. Manzoni, Il conte di Carmagnola, a cura di G. Sandrini, Milano,
Centro di Studi Manzoniani, 2004 (Edizione nazionale ed europea delle
opere di Alessandro Manzoni, 3).
A. Manzoni, Adelchi, a cura di G. Lonardi e P. Azzolini, Venezia, Marsilio,
1992.
Alessandro Manzoni, Adelchi, ed. critica a cura di I. Becherucci, Firenze,
Accademia della Crusca, 1998.
A. Manzoni, Opere, vol. 1, Poesie e tragedie, a cura di V. Boggione,
Torino, UTET, 2002.
A. Manzoni, Lettre à M. C*** sur l'unité de temps et de lieu dans la
tragédie, a cura di C. Riccardi, Roma, Salerno, 2008.
Bibliografia (2)
SAGGI CRITICI
G. Lonardi, L’esperienza stilistica del Manzoni tragico, Firenze,
Olschki, 1965.
L. Bottoni, Drammaturgia romantica. Il sistema letterario
manzoniano, Pisa, Pacini, 1984.
G. Lonardi, Ermengarda e il pirata, Bologna, Il Mulino, 1991.
G. Lonardi, Manzoni e l’esperienza del tragico, Modena,
Mucchi, 1995.
C. Annoni, Lo spettacolo dell’uomo interiore. Teoria e poesia
del teatro manzoniano, Milano, Vita e Pensiero, 1997.
G. Tellini, Manzoni, Roma, Salerno, 2007.
A. Guidotti, Manzoni teatrale, Lucca, Pacini Fazzi, 2012.
Calendario
19 febbraio: lezione sospesa
1) 26 febbraio
2) 5 marzo
3) 12 marzo
4) 19 marzo
5) 26 marzo
6) 2 aprile
7) 9 aprile
8) 16 aprile
23 aprile: vacanze di Pasqua
9) 30 aprile
10) 7 maggio
11) 14 maggio
12) 21 maggio
13) 28 maggio
• Il Conte di Carmagnola:
Inizio della stesura: 15 gennaio 1816 (nello stesso mese,
sulla “Biblioteca Italiana” Mme De Stäel pubblica l’articolo
Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni).
• Il contesto:
Nel 1769 è apparsa la Drammaturgia amburghese di
Gotthold Lessing (Hamburghische Dramaturgie), che
Manzoni legge nella trad. francese (di G. A. Junker) del
1785. Nel 1809 è apparso il Corso di letteratura
drammatica (Vorlesungen über dramatische Kunst und
Literatur) di August Wilhelm Schlegel (che Manzoni legge
nella traduzione francese di A. Necker de Saussure
apparsa nel 1814).
Nel 1776-1782 appare in 10 volumi la raccolta delle
Oeuvres complètes de Shakspeare, trad. fr. di Pierre
Letourneur, studiata da Manzoni.
A. Manzoni, Materiali estetici, parte V
Lessing […] vuole provare che in ogni caso è vera la massima di Aristotele che: Le malheur toutà-fait exempt de faute d'un homme vertueux n'est point un sujet pour la Tragédie; car cela est
odieux. Rivedere accuratamente questo passo sì in Aristotele che in Lessing […]. Esaminare più
ponderatamente quel passo del Lessing: La pensée qu'il puisse y avoir des hommes malheureux
sans la moindre faute de leur part est en elle-même affreuse. Les Payens avoient cherché à
éloigner d'eux cette noire idée autant que possible: et nous voudrions la nourrir, et nous amuser
à des spectacles qui la confirment? Nous, à qui la Religion et la raison doivent avoir persuadé
qu'elle est aussi fausse que blasphématoire? Questo motivo della Religione Cristiana che il
Lessing cita per confermare il suo sistema mi pare anzi che gli faccia contro. Il Cristianesimo
“Venendo in terra a illuminar le carte” [Rvf IV v. 5] ha talmente cambiate le idee e i sentimenti
intorno al bene e al male, all'utile e al dannoso che mi pare che convenga andar sempre cauti
assai nell'applicazione dei principj morali degli Scrittori Gentili. Questa vita mortale che il
Gentilesimo rappresentava come avente il principio e il fine in sè stessa, il Cristianesimo ce la fa
considerare come vita di preparazione. Quindi gli avvenimenti si riguardano non solo pel diletto
o pel dolore che arrecano con sè, ma ancora, anzi principalmente, pei rapporti loro colla vita
futura nella quale sola noi possiamo concepire il compimento d'ogni nostro destino. Quindi
quegli accidenti pei quali agli Ateniesi un uomo pareva un homme malheureux non bastano
perchè appaja a noi tale nel più esteso senso: perchè noi sappiamo considerare i dolori presenti
come espiazione dei falli da cui nemmeno i più puri vanno esenti, stromento di
perfezionamento in chi soffre, come preparazione a beni futuri, e quindi come veri beneficj
della Provvidenza. Questi mali poi oltre che non sono assoluti perchè non compiscono il destino
di chi gli sopporta, sono anche temperati assai da due virtù che sono de' più bei doni che Dio
abbia fatti agli uomini, la speranza e la rassegnazione che da essa viene.
Dante, Purg. VI, vv. 118-123
“E se licito m’è, o sommo Giove / che fosti in
terra per noi crucifisso, / son gli giusti occhi tuoi
rivolti altrove? / O è preparazion che ne l’abisso
/ del tuo consiglio fai per alcun bene / in tutto
de l’accorger nostro scisso?”.
Aristotele, Poetica, cap. 13
Poiché la composizione della tragedia più bella […] deve essere
imitazione di casi che destano terrore e pietà (giacché questo è
proprio di una tale imitazione), in primo luogo è chiaro che non si
debbono mostrare [1] né uomini dabbene [esemplari, degni di stima]
che passino dalla fortuna [buona sorte] alla sfortuna [sventura], perché
questa è cosa che non desta né terrore né pietà ma ripugnanza
[disgusto]; [2] né uomini malvagi che passino dalla sfortuna alla
fortuna, perché questo è il caso meno tragico di tutti in quanto non ha
niente di quel che dovrebbe avere, non destando né simpatia umana
né pietà né terrore; [3] ma nemmeno deve essere un uomo molto
malvagio a cadere dalla fortuna nella sfortuna, perché una simile
composizione avrebbe sì la simpatia umana [avrebbe sì senso morale],
ma non il terrore né la pietà, dei quali l’una [la pietà] si riferisce a chi
cade in disgrazia innocente [indegnamente] e l’altro a chi vi cade
essendo simile a noi; la pietà cioè si riferisce all’innocente mentre il
terrore al nostro simile, di modo che il caso in questione non sarà né
pietoso né terribile. Non resta dunque che colui che si trova nel mezzo
rispetto a questi estremi, e tale è chi né si distingue per virtù e per
giustizia né cade nella disgrazia per causa del vizio e della malvagità,
ma per un qualche errore [morale o intellettuale], sul tipo di coloro
che si trovano in grande reputazione e fortuna.
L. Castelvetro, La poetica d’Aristotele, 1570
[Aristotele] dice che non si deono gli uomini di santissima vita
rappresentare che trapassino da felicità a miseria, perciocché
questa […] sarebbe cosa […] abominevole, cioè sarebbe cosa che
indurrebbe gli uomini a credere che Dio non avesse provvidenza
speziale de’ suoi divoti e che fosse ingiusto. […] A che è da
rispondere brevemente che il comune popolo […] porta opinione
che egli [Dio] faccia ogni cosa giustamente e drizzi ogni cosa a
gloria sua e ad utile de’ suoi divoti. E perciò il popolo, quando
vede uno santo uomo patire, […] s’imagina che [1] quella
persona, santa in apparenza e di fuori, sia meno santa in secreto
e dentro e, come ipocrita, sia meritamente punita, o che quella
persona santa abbia fatti alcuni falli […], li quali Dio come giusto
giudice non voglia lasciare impuniti, o che [2] la persona santa
sia tentata con simili disavventure, accioché, sì come l’oro nel
fuoco s’affina, così ella nelle tentazioni migliori e si faccia più
perfetta, o che la persona santa sia così mal trattata, perché Dio
vuole col suo mal trattamento far rilucere la gloria sua.
A. Manzoni, Materiali estetici, parte V
Noi sappiamo considerare i dolori presenti come
espiazione dei falli da cui nemmeno i più puri vanno
esenti, stromento di perfezionamento in chi soffre,
come preparazione a beni futuri, e quindi come veri
beneficj della Provvidenza. Questi mali poi oltre che
non sono assoluti perchè non compiscono il destino
di chi gli sopporta, sono anche temperati assai da
due virtù che sono de' più bei doni che Dio abbia
fatti agli uomini, la speranza e la rassegnazione che
da essa viene.
A. Manzoni, Traccia del discorso sulla moralità
delle opere drammatiche (1816-1817)
La Religione […] insegna a chi l'ascolta di pregare […] per
l'oppresso e per l'oppressore, a riguardare [1] gli uomini i
più scellerati come creati anch'essi per la virtù, come
capaci di emendarsi e di seguirla, e [2] sè stesso come
capace dei più grandi errori qualora Dio lo abbandoni,
insegna a riguardar [3] tutti gli uomini come fratelli e se
gl’iniqui vogliono rompere questo santo vincolo ci
impone di [4] tenerci stretti a loro con quella carità che ha
per fondamento non il merito loro ma i precetti e gli
esempj di Gesù Cristo.
Aristotele, Poetica, cap. 9
Compito del poeta è di dire non le cose accadute ma
quelle che potrebbero accadere, cioè le possibili secondo
verosimiglianza o necessità. Ed infatti lo storico e il poeta
non differiscono per il fatto di dire l’uno in prosa e l’altro
in versi (giacché l’opera di Erodoto, se fosse posta in versi,
non per questo sarebbe meno storia, in versi, di quanto
non lo sia senza versi), ma differiscono in questo, che
l’uno dice le cose accadute e l’altro quelle che possono
accadere. E perciò la poesia è cosa più nobile e più
filosofica della storia, perché la poesia tratta piuttosto
dell’universale, mentre la storia del particolare.
L’universale poi è questo: quali specie di cose a quale
specie di persona capiti di dire o di fare secondo
verosimiglianza o necessità, al che mira la poesia pur
ponendo nomi propri, mentre invece è particolare che
cosa Alcibiade fece o che cosa patì.
Nella biblioteca di Manzoni
• De l’Allemagne di Mme de Stäel (1813)
• De la littérature du Midi de L’Europe di J.C.
Simonde de Sismondi (1813)
• Dialogo sulle unità drammatiche di luogo e di
tempo di Ermes Visconti (1819)
La tragedia tra Sette e Ottocento
• Vincenzo Monti, Aristodemo (1786), Galeotto
Manfredi (1788), Caio Gracco (1802)
• Ippolito Pindemonte, Arminio (1802)
• Ugo Foscolo, tre tragedie: Tieste (1797), Aiace
(1811), Ricciarda (1813)
• Manzoni, Conte di Carmagnola (1820) e Adelchi
(1823)
• Silvio Pellico, Francesca da Rimini (1815)
• Giovan Battista Niccolini, Polissena (1810) e
Nabucco (1819)
A. Manzoni, Prefazione a Il Conte di Carmagnola
Quando poi vennero coloro i quali, non badando all’autorità,
domandarono la ragione di queste regole, i fautori di esse non
seppero trovarne che una, ed è: che, assistendo lo spettatore
realmente alla rappresentazione di un’azione, diventa per lui
inverisimile che le diverse parti di questa azione avvengano in diversi
luoghi, e che essa duri per un lungo tempo, mentre egli sa di non
essersi mosso di luogo, e di avere impiegate solo poche ore ad
osservarla. Questa ragione è evidentemente fondata su di un falso
supposto, cioè che lo spettatore sia lì come parte dell’azione; quando
egli è, per così dire, una mente estrinseca che la contempla. La
verisimiglianza non deve nascere in lui dalle relazioni dell’azione col
suo modo attuale di essere, ma dai rapporti che le varie parti
dell’azione hanno fra di loro. Quando si considera che lo spettatore è
fuori dell’azione, l’argomento in favore delle unità svanisce.
11-13 marzo 2014: MasterDays
11-13 marzo 2014: Master-Days
13 marzo: 10-12h, MIS 3119, C. Giunta, La poesia medioevale, la
poesia moderna, la canzone
13 marzo: 14-15h, MIS 2120, Séance d’information
13 marzo: 16-18h, Hall d’honneur, Stands des Domaines d’Etudes
13 marzo: 18-19.30h, Aula Magna, Conférences et Débat, “Mots
de pouvoir – Pouvoir des mots” (C. Levrat; V. Reinhardt; N.
Jegerlehner)
20-21 marzo 2014, Convegno
“Tra grido e sogno. Forme
espressive e modelli
esperienziali dell’Allegria di
Giuseppe Ungaretti”
A. Manzoni, Materiali estetici, parte II
Parlerò ora del Coro introdotto in questa Tragedia, il quale, per non essere
nominati personaggi che lo compongono deve al lettore sembrare piuttosto un
capriccio e un enigma che altro; e adducendo i motivi per cui questo coro siasi
introdotto, mostrerò quale egli sia.
La vera essenza dei Cori Greci non è stata conosciuta che da qualche critico dei
nostri tempi che mostrando false e superficiali le ragioni che i critici anteriori ne
avevano date, ne dimostrarono le reali ed importanti. Io tradurrò qui alcuni
squarci su questo soggetto dal Corso di letteratura Drammatica del Sig. Schlegel, e
scelgo questo scrittore perchè (dei letti da me) è il primo che abbia data del Coro
questa idea, e perchè mi sembra ch'essa vi sia assai bene espressa. Il Coro è da
riguardarsi, dic'egli, come la personificazione dei pensieri morali che l'azione
ispira, come l'organo dei sentimenti del poeta che parla in nome della intera
comunità . E poco sotto: Vollero i Greci che in ogni opera il Coro (qual fosse la
parte sua propria ch'egli altronde vi facesse) fosse principalmente il
rappresentante del genio nazionale, e appresso il difensore della causa della
umanità: il Coro era insomma lo spettatore ideale: egli temperava le impressioni
troppo violente o dolorose d'una imitazione talvolta troppo vicina al vero, e
presentando allo spettatore reale il riflesso [delle sue proprie emozioni,] gliele
rimandava addolcite dal diletto d'una espressione lirica e armoniosa, e lo
conduceva così nel tempo più tranquillo della contemplazione .
Il Conte di Carmagnola: le fonti storiche
• J.C. Simonde de Sismondi, Histoire des
républiques italiennes du moyen âge, vol. VIII,
1809
• Pietro Verri, Storia di Milano, 1783-85
• Francesco Monaco, Vite de’ famosi capitani
d’Italia, 1805
• Carlo Tenivelli, Biografia piemontese, 1784-92
Notizie storiche
Nulla d'autentico si ha sull'innocenza o sulla reità di questo grand'uomo. Era da
aspettarsi che gli storici veneziani, che volevano scrivere e viver tranquilli,
l'avrebbero trovato colpevole. Essi esprimono quest'opinione come una cosa di
fatto, e con quella negligenza che è naturale a chi parla in favore della forza. Senza
perdersi in congetture, asseriscono che il Carmagnola fu convinto coi tormenti, coi
testimoni e con le sue proprie lettere. Di questi tre mezzi di prova, il solo che si
sappia di certo essere stato adoprato è l'infamissimo primo, quello che non prova
nulla.
Ma oltre la mancanza assoluta di testimonianze dirette, storiche, che confermino la
reità del Carmagnola, molte riflessioni la fanno parere improbabile. Né i Veneziani
hanno rivelato mai quali fossero le condizioni del tradimento pattuito; né da altra
parte s'è saputo mai nulla d'un tale trattato. Quest'accusa è isolata nella storia, e
non si appoggia a nulla, se non a qualche svantaggio di guerra, il quale anche si
spiega senza ricorrere a questa supposizione: e sarebbe una legge stravagante non
meno che atroce, quella che volesse imputato a perfidia del generale ogni evento
infelice. […] Una riconciliazione segreta con un uomo che gli era stato orribilmente
ingrato, e che aveva tentato di farlo ammazzare, un patto di far la guerra da
stracco, anzi di lasciarsi battere, non s'accordano con l'animo impetuoso, attivo,
avido di gloria del Carmagnola. Il Duca non era perdonatore; e il Carmagnola, che lo
conosceva meglio d'ogni altro, non avrebbe mai potuto credere a una
riconciliazione stabile e sicura con lui. Il disegno di ritornare con Filippo offeso non
poteva mai venire in mente a quell'uomo, che aveva esperimentate le retribuzioni
di Filippo beneficato.
A. Manzoni, lettera all’abate Gaetano Giudici (7.II.1820)
Un uomo d’animo forte ed elevato e desideroso di grandi
imprese, che si dibatte colla debolezza e colla perfidia dei suoi
tempi, e con istituzioni misere, improvvide, irragionevoli, ma
astute, e già fortificate dall’abitudine e dal rispetto, e dagli
interessi di quelli che hanno l’iniziativa della forza.
Il Conte di Carmagnola: 1820-1845
• Revisione della punteggiatura
• Revisione della grafia (accenti: se>sé; apocope:
nei>ne’; elisione: mi avvelena>m’avvelena;
riduzione delle maiuscole di rispetto: Re>re;
riduzione del dittongo mobile: cuore>core)
• Riduzione dei pronomi personali soggetto (io
dico>dico)
• Revisione del lessico: picciol>piccol, debbe>deve,
stilo>stile, accaggia>avvenga, dinanzi>davanti,
serbatelo>tenetelo, voglia>volere
G. Bardazzi, Introduzione a
Il Conte di Carmagnola (1985)
La storia del Carmagnola perde insomma i propri
contorni specifici, diventa storia di un corpus, di un
progetto che travalica ormai l’individualità dei singoli
componimenti; diventa storia, se si vuole, di una
ossessione culturale. Se esiste, per così dire, una geologia
del testo, certo è che le spinte endogene del Carmagnola
culminano e si esauriscono nella orografia disegnata dalla
stampa Ferrario del ’20. Ed è alla stampa Ferrario che
pertanto si delega il compito di rappresentare la tragedia
nella forma compiuta, bastando per le varianti posteriori
di quasi un trentennio offerte dalle Opere varie una fascia
dell’apparato.
Il Conte di Carmagnola, I 2:
due metafore ‘iper-connotate’
v. 120: col mio sangue acquistato
Atti degli Ap. 20,18ss (discorso di Paolo agli anziani di Efeso): "Voi sapete
come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai in
Asia e per tutto questo tempo: ho servito il Signore con tutta umiltà, tra
le lacrime e tra le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei. […]
Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere
ciò che là mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi
attesta che mi attendono catene e tribolazioni. Non ritengo tuttavia la
mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il
servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù. […] Vegliate su voi stessi e su
tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi
a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue. Io
so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non
risparmieranno il gregge».
v. 122: fatto avean siepe intorno al trono
Dante, Inf. XXXIII 83 (nel girone dei traditori politici, l’invettiva di Dante
contro Pisa dopo il discorso di Ugolino): «muovasi la Capraia e la
Gorgona, / e faccian siepe ad Arno in su la foce».
Il Conte di Carmagnola, I 2
una sentenza lapidaria
v. 186: ardir prudenza or fia
François Just Marie Raynouard, Les États de Blois
ou la mort du duc de Guise (1809), V 8: «Je porte
cet auguste et sacré caractère, / il ne m’est point
permis de craindre; je dois voir, / non quel est
mon péril, mais quel est mon devoir; / je ne
m’appartiens plus, j’appartiens à la France.
/ Hésiter, c’est péril; hasarder, c’est prudence »
Il Conte di Carmagnola, I 3
il dubbio di Marino (vv. 239-241)
B. Constant, Wallstein, I 2
Géraldin (envoyé par l’Empereur)
Ah! malheur à l'état qui dans son imprudence
Au bras armé pour lui remet sa confiance!
Jour funeste où ma voix, implorant sa valeur,
Mit aux pieds d'un soldat l'empire et l'empereur!
Dès lors, de son orgueil démêlant l'artifice,
Je vis que sous nos pas s'ouvrait un précipice.
Il Conte di Carmagnola, I 5
una dichiarazione iperbolica
vv. 340-2: «quest’alma terra [<quest’alta
terra<questa nobil madre] / m’ha nel suo glorioso
antico grembo / accolto»
Rvf 128 v. 9: «diletto almo paese» (Leopardi,
All’Italia [sett. 1818: I ed. 1819] vv. 132-3: «e molle
/ fosse del sangue mio quest’alma terra»)
Par. XI 1-12 («O insensata cura de’ mortali /…/
quando, da tutte queste cose sciolto, / con Beatrice
m’era suso in cielo / cotanto gloriosamente
accolto»)
Il Conte di Carmagnola, I 5 353: Credi ad un uom che t’ama
cfr. Constant, Wallstein, II 1 (Gallas a Eallstein)
Il Conte di Carmagnola, I 5 382-3
dove / semina l’ira, il pentimento miete
Giobbe 4,8: chi semina affanni, li raccoglie; Prov.
22,8: chi semina l’ingiustizia, raccoglie la miseria
Il Conte di Carmagnola, I 5 396
accarezzarlo
Cfr. Machiavelli, Discorsi III 6,10: «le minacce
offendono più i principi, e sono cagione di più
efficace congiure che le offese: da che uno
principe si debbe guardare; perché gli uomini si
hanno o accarezzare o assicurarsi di loro; e non li
ridurre mai in termine che gli abbiano a pensare
che bisogni loro o morire o far morire altrui».
Il Conte di Carmagnola, II 5
v. 281: «ch’io bramai tanto» cfr. Della Casa, Rime 61 1-6
«Di là, dove per ostro e pompa e oro / fra genti inermi ha perigliosa
guerra, / fuggo io mendico e solo, e di quella esca / ch'i' bramai
tanto, sazio, a queste querce / ricorro, vago omai di miglior cibo,
/ per aver posa almen questi ultimi anni».
vv. 283-284: «che ogni adito era chiuso, e che deriso / solo, io
partiva, e non sapea per dove» cfr. Mt 27,31: Dopo averlo deriso, lo
spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero
via per crocifiggerlo.
v. 286: «ingrato» cfr. Constant, Wallstein, I 1
«Monarque trop ingrat! Jaloux de sa fortune, / Tu voulus en voiler la
splendeur importune. […] Tu désarmas le bras qui t'avait trop servi».
Il Conte di Carmagnola: Atto II, Coro
Forma metrica: 16 strofe di otto decasillabi (con accenti
di 3,6, 9 e cesura dopo la 4° sillaba), divisi in due quartine
dalla rima tronca in 4a e 8a posizione; schema
ABAC’BDDC’
Il decasillabo: metro raro nella tradizione italiana, dal
ritmo incalzante ma anche austero e solenne (Quadrio: il
metro delle «cose spaventevoli e rovinose»)
Contenuto: «La battaglia di Maclodio – come il massacro
moderno di Waterloo, che dietro quella s’indovina, come
tutte le guerre, in cui innocenti sono chiamati a morire
senza ragione – ripete il dramma della passione di Cristo
(evocata del testo, esplicitamente, a monito della
condizione di tutti gli uomini)» (V. Boggione)
Il Conte di Carmagnola: Atto II, Coro 1-8
Inf. VI 95-99, rima (angelica)
tromba : (etterno) rimbomba
Ger. lib. XX 31, «Fer le trombe
cristiane il primo invito, /
risposer l’altre ed accettar la
guerra»
Quinci spunta per l'aria un vessillo; Inf. XXXI 1, Vexilla regis
prodeunt inferni
Quindi un altro s'avanza spiegato:
Ger. lib. I 64, «Vedi appresso
Ecco appare un drappello schierato; spiegar l’alto vessillo»
S'ode a destra uno squillo di tromba;
A sinistra risponde uno squillo:
D'ambo i lati calpesto rimbomba
Da cavalli e da fanti il terren.
Ecco un altro che incontro gli vien.
G. Pasquali, Pagine stravaganti, 1968
«La lingua della poesia greca è per la parte
maggiore non dedotta dall’uso contemporaneo
ma da Omero».
G.B. Conte (1974):
1) allusione integrativa = sovrapposizione
armonica e fusione delle voci (equivalenza)
2) allusione riflessiva = comparazione dialogica e
a volte conflittuale (differenziazione)
G. B. Conte, Memoria dei poeti e sistema letterario, 1974
Perché entri in funzione il meccanismo attivo dell’arte allusiva,
il poeta deve chiedere e ottenere la collaborazione del lettore.
L’allusione si realizzerà così come voluto e preciso,
imprescindibile, riferimento ad una «memoria dotta»
presupposta nel lettore o nell’ascoltatore: si configurerà come
desiderio di risvegliare una vibrazione all’unisono tra la
memoria del poeta e quella del suo lettore in rapporto a una
situazione poetica cara ad entrambi.
Ma la situazione può complicarsi: l’allusività può non esaurirsi
in se stessa ma servire a mediare un rapporto emulativo nei
riguardi della tradizione così rammentata. In tal caso, della
tradizione essa mira a circoscrivere uno spazio limitato,
prescelto per il confronto: si allude a un momento o a una
forma conosciuti, non solo per recuperarli armonizzando la
loro risonanza ad un nuovo contesto, ma anche per superarli
in un rapporto fatto di opposizione o di differenziazione, o
almeno variando.
Il Conte di Carmagnola: il lessico del Coro (1)
v. 22: Gen 4,8-11, «Caino disse al fratello Abele: "Andiamo in
campagna!". Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il
fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: "Dov`è Abele,
tuo fratello?". Egli rispose: "Non lo so. Sono forse il guardiano di mio
fratello?". Riprese: "Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello
grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per
opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello».
vv. 25-26: Tibullo I X, 1-2, «Quis fuit, horrendos primus qui protulit
enses? / Quam ferus et vere ferreus ille fuit!»
v. 28: Lc 23,34, «Iesus autem dicebat: “ Pater, dimitte illis, non enim
sciunt quid faciunt ”»; Purg. III 84 , «e lo ’mperché non sanno».
v. 34: Prov 20,3, «Honor est homini separari a contentionibus;
omnes autem stulti miscentur contumeliis».
v. 39: Mt 26,47, «ecce Iudas, unus de Duodecim, venit, et cum eo
turba multa cum gladiis et fustibus, missi a principibus sacerdotum et
senioribus populi».
Il Conte di Carmagnola: il lessico del Coro (2)
v. 56: Shakespeare, Macbeth II 3, «O horror, horror, horror! Tongue nor
heart cannot conceive nor name thee!»
v. 87 : Shakespeare, Richard III, V 5, «The brother blindly shed the brother's
blood».
v. 89: Monti, Caio Gracco, IV 158, «Odo intorno sonar le sue catene».
v. 92: Is 1,13-15, «Smettete di presentare offerte inutili; l'incenso per me è
un abominio, i noviluni, i sabati e le assemblee sacre: non posso sopportare
delitto e solennità. Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste; per me sono
un peso, sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io distolgo gli
occhi da voi. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre
mani grondano sangue».
v. 100: Tasso, GL III 10, «Ognun s’affretti, e l’arme prenda; / ecco, il nemico è
qui: mira la polve» (polve nel Coro al v. 95).
v. 107: Leopardi, Sopra il monumento di Dante v. 6, «Questa terra fatal».
v. 116: Inf. XXVI 136, «Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto» (Prov
10,24, «Al malvagio sopraggiunge il male che teme, il desiderio dei giusti
invece è soddisfatto»; Giobbe 20,5, «il trionfo degli empi è breve
e la gioia del perverso è d'un istante»).
v. 121: Gn 1,27, «Et creavit Deus hominem ad imaginem suam; ad imaginem
Dei creavit illum; masculum et feminam creavit eos».
v. 126: Gn 4,11, «Nunc igitur maledictus eris procul ab agro, qui aperuit os
suum et suscepit sanguinem fratris tui de manu tua!»
Il Conte di Carmagnola: il lessico del Coro (3):
Maladetto… contrista…
Dante, Inf. XI 19-27
Tutti son pien di spirti maladetti;
ma perché poi ti basti pur la vista,
intendi come e perché son costretti.
D'o gne malizia, ch'odio in cielo acquista,
ingiuria è 'l fine, ed ogne fin cotale
o con forza o con frode altrui contrista.
Ma perché frode è de l'uom proprio male,
più spiace a Dio; e però stan di sotto
li frodolenti, e più dolor li assale.
Di violenti il primo cerchio è tutto;
ma perché si fa forza a tre persone,
in tre gironi è distinto e costrutto
Il Conte di Carmagnola, atto IV
«L’azione dell’atto quarto si svolge agli inizi del
1432, a distanza di quasi cinque anni dagli
avvenimenti presentati negli atti secondo e terzo.
Dopo la vittoria di Maclodio, le corti militari del
Carmagnola subirono un declino clamoroso, specie
con il fallito tentativo di conquistare Cremona
(1431). Chiamato con un pretesto a Palazzo Ducale,
il Conte sarà imprigionato, processato e decapitato
come traditore della Repubblica (5 maggio 1432)»
(G. Tellini)
Il Conte di Carmagnola, atto IV
vv. 23-26: «Tutto che puote / por la patria in periglio, essere
inciampo all’alte mire sue, dargli sospetto, / è in nostra man». vv.
103-106: «Voi siete un uomo / di cui si teme, un che lo stato guarda
/ come un inciampo alla sua via».
PS 1827, cap. 1: Per una di queste stradicciuole, tornava bel bello dal
passeggio verso casa, in sulla sera del giorno 7 di novembre dell'anno
1628, don Abbondio, curato d'una delle terre accennate di sopra: il
nome di questa, nè il casato del personaggio, non si trovano nel
manoscritto, nè a questo luogo nè in seguito. Diceva tranquillamente
il suo ufizio, e alcuna volta, tra un salmo e l'altro, richiudeva il
breviario, tenendovi entro, per segno, l'indice della mano destra; e
messa poi questa nell'altra dietro le reni, proseguiva il suo cammino,
guardando a terra, e rigettando verso il muro col piede i ciottoli che
facevano inciampo nel sentiero.
Machiavelli, Discorsi, III 35: Quali pericoli si portano nel farsi capo a consigliare una
cosa; e, quanto ella ha più dello istraordinario, maggiori pericoli vi si corrono
Parlerò […] di quegli pericoli che portano i cittadini, o quelli che consigliano uno
principe a farsi capo d'una diliberazione grave ed importante, in modo che tutto il
consiglio di essa sia imputato a lui. Perché, giudicando gli uomini le cose dal fine,
tutto il male che ne risulta s'imputa allo autore del consiglio; e, se ne risulta bene,
ne è commendato: ma di lunge il premio non contrappesa a il danno. […]
È cosa adunque certissima, che quegli che consigliano una republica, e quegli che
consigliano uno principe, sono posti intra queste angustie, che, se non consigliano
le cose che paiono loro utili, o per la città o per il principe, sanza rispetto, e'
mancano dell'ufficio loro; se le consigliano, e' gli entrano in pericolo della vita e
dello stato: essendo tutti gli uomini in questo ciechi, di giudicare i buoni e i cattivi
consigli dal fine. E pensando in che modo ei potessono fuggire o questa infamia o
questo pericolo, non ci veggo altra via che pigliare le cose moderatamente, e non ne
prendere alcuna per sua impresa, e dire la opinione sua sanza passione, e sanza
passione con modestia difenderla […]. Quando tu faccia così, non è ragionevole che
uno principe ed uno popolo del tuo consiglio ti voglia male.
Is 8,11-15: Poiché così il Signore mi disse, quando mi aveva preso per mano
e mi aveva proibito di incamminarmi nella via di questo popolo: "Non
chiamate congiura ciò che questo popolo chiama congiura, non temete
ciò che esso teme e non abbiate paura". Il Signore degli eserciti, lui solo
ritenete santo. Egli sia l'oggetto del vostro timore, della vostra paura. Egli
sarà laccio e pietra d'inciampo e scoglio che fa cadere per le due case di
Israele, laccio e trabocchetto per chi abita in Gerusalemme. Tra di loro
molti inciamperanno, cadranno e si sfracelleranno, saranno presi e
catturati.
Ger 6, 20-21: «Perché mi offrite incenso portato da Saba e la preziosa
cannella che giunge da un paese lontano? I vostri olocausti non mi sono
graditi e non mi piacciono i vostri sacrifici". Perciò, dice il Signore: "Ecco,
io porrò per questo popolo pietre di inciampo, in esse inciamperanno
insieme padri e figli; vicini e amici periranno".
Rom 6,30-33: Che diremo dunque? Che i pagani, che non ricercavano la
giustizia, hanno raggiunto la giustizia: la giustizia però che deriva dalla
fede; mentre Israele, che ricercava una legge che gli desse la giustizia, non
è giunto alla pratica della legge. E perché mai? Perché non la ricercava
dalla fede, ma come se derivasse dalle opere. Hanno urtato così contro la
pietra d'inciampo, come sta scritto: Ecco che io pongo in Sion una pietra di
scandalo e un sasso d'inciampo; ma chi crede in lui non sarà deluso.
Il Conte di Carmagnola, atto V
• Scena 1: confronto notturno tra il Doge, Marino e
il Conte nella Sala del Consiglio → l’accusa di
tradimento
• Scena 2: nella casa del Conte, a Venezia, la figlia
Matilde e la moglie Antonietta
• Scena 3: G.F. Gonzaga, luogotenente del Conte,
porta l’annuncio della sventura a Matilde e
Antonietta → momento della rivelazione tragica
• Scena 4: il Conte da solo in prigione → l’ora
solenne del dolore
• Scena 5: il congedo del Conte dalla moglie e dalla
figlia, in prigione, prima dell’esecuzione →
rinuncia alla vendetta a favore del perdono
Cronologia manzoniana: novembre 1820-settembre 1823
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7 nov. 1820 – 4 genn. 1821: I atto Adelchi (le date sull’autografo: Braid. VS X 2)
Marzo (15-17): Marzo 1821
Aprile: II atto Adelchi e inizio Fermo e Lucia
2-27 giugno: III atto Adelchi
3-17 luglio 1821: IV atto Adelchi
18-20 luglio: Cinque maggio
2 agosto-21 settembre: V atto Adelchi (mancano ancora i due cori)
3 novembre: inizio revisione Adelchi e ipotesi di una terza tragedia, Spartaco
13 dic. 1821 – 11 gennaio 1822: II coro Adelchi
15-19 gennaio 1822: I coro Adelchi
Febbraio-aprile: revisione definitiva dell’Adelchi
Maggio-settembre: Fermo e Lucia (2 maggio: autorizzazione della censura alla
stampa di Adelchi)
26 sett.-2 ott. 1822: Pentecoste
Ottobre 1822: edizione dell’Adelchi, con dedica alla moglie Enrichetta,
preceduto dalle Notizie storiche e accompagnato dal Discorso sur alcuni punti
della storia longobardica in Italia
Novembre 1822-settembre 1823: ripresa e conclusione del Fermo e Lucia
«Beati gli afflitti perché saranno consolati» (Mt 5,4)
Questo è un segno del giusto giudizio di Dio, che vi
proclamerà degni di quel regno di Dio, per il quale ora
soffrite. E` proprio della giustizia di Dio rendere
afflizione a quelli che vi affliggono e a voi, che ora siete
afflitti, sollievo insieme a noi, quando si manifesterà il
Signore Gesù dal cielo con gli angeli della sua potenza
(II Tes 1,5-7).
Adelchi I 1: l’intertesto dantesco
• vv. 39-42, «Dolore / sopra dolor! Su queste
soglie, ahi! Troppe / memorie acerbe
affolleransi intorno a quell’anima offesa»
• vv. 49-50, «Tu al padre ed al fratel rimena /
quel desiato volto»
Inf. V: v. 109, «Quand’io intesi quell’anime
offese» [travagliate dal tormento]; vv. 121-23,
«Nessun maggior dolore / che ricordarsi del
tempo felice / ne la miseria».
Il coro del III atto
• Stesura: 15-19 gennaio 1822 (con successive revisioni)
• Forma metrica: 11 sestine di dodecasillabi ; rime
AAB’CCB’; accenti abbastanza regolari in 2, 5, 8, 11
(scansione bimembre dei vv.; pochissime inarcature)
• Stile: arcaismi e latinismi; ossimori (ess. vv. 12, 58);
anafore e parallelismi (vv. 1-3, 40-41…); chiasmi (vv. 7,
11-12, 14, 23…)
• Quattro parti: 1 (vv. 1-18: descrizione oggettiva), 2
(vv. 19-30: punto di vista del volgo disperso), 3 (vv. 3154: allocuzione del coro), 4 (vv. 55-66: conclusione)
• Complessità dell’interpretazione ideologica
Il IV atto: la tragedia di Ermengarda
Scena I (vv. 210): Brescia, monastero di San Salvatore, Ermengarda e la sorella
Ansberga
Incipit (vv. 1-5): atmosfera foscoliana
v. 1, «Qui sotto il tiglio, qui»: cfr. Dei Sepolcri, vv. 62-69, «O bella Musa, ove sei
tu? Non sento/Spirar l'ambrosia, indizio del tuo Nume,/Fra queste piante ov'io
siedo e sospiro/ Il mio tetto materno. E tu venivi/ E sorridevi a lui sotto quel
tiglio/ Ch'or con dimesse frondi va fremendo/ Perchè non copre, o Dea, l'urna
del vecchio/ Cui già di calma era cortese e d'ombre» (anche Ortis II 10: «Jer sera
dunque io passeggiava con quel vecchio venerando nel sobborgo orientale della
città sotto un boschetto di tigli».
vv. 3-5, «Intendo… vita»: cfr. Dei Sepolcri, vv. 121-122, «perché gli occhi
dell’uom cercan morendo / il Sole; e tutti l’ultimo sospiro / mandano i petti alla
fuggente luce» (così già Didone in Eneide IV 690-692).
v. 73, importante rifacimento tassiano
Ger. Lib. XII 66, «Amico, hai vinto: io ti perdon… perdona/ tu ancora, al corpo no,
che nulla pave,/ a l’alma sì; deh! Per lei prega, e dona/ battesmo a me ch’ogni
mia colpa lave».
dal v. 133: il delirio di Ermengarda
Stile patetico (lessico aulico; fitta presenza di verbi esclamativi, imperativi,
interrogativi; libera alternanza di tempi presenti e passati)
Il coro del IV atto
• Stesura: 13 dicembre 1821-11 gennaio 1822
• Forma metrica: 20 strofe di sei settenari ; rime a’’bc’’bd’’e’
(con gli ultimi versi di ogni strofa, sempre tronchi, rimanti a
coppie) ; schema impiegato da G. Parini in due odi e,
raramente, in altri autori del XVIII sec., ma identico a quello
del Cinque maggio (luglio 1821)
• Stile: aggettivi anteposti ai sostantivi in sede metrica forte
(13-14, 15-16, 33-34, 67-68, 71-72, 103-104…); chiasmi (12, 25-26, 62-63,, 75-76…), latinismi di derivazione illustre
(13-14 ansia mente), verbo alla fine della frase (35-36),
anticipazione del complemento oggetto (89-90).
• Tre parti: vv. 1-24 (il trapasso di Ermengarda e il commento
dell’autore), vv. 25-84 (l’affollarsi incalzante dei ricordi), vv.
85-120 (la sofferenza come via di santificazione)
V 8, vv. 352-357
• Foscolo, Ortis: «Quando e doveri e diritti stanno sulla
punta della spada, il forte scrive le leggi col sangue» (II
10, 6); «Noi chiamiamo pomposamente virtù tutte
quelle azioni che giovano alla sicurezza di chi comanda,
e alla paura di chi serve. I governi impongono giustizia;
ma potrebbero eglino imporla se per regnare non
l’avessero prima violata?» (II 19, 8).
• Osea, IV 1-3: «il Signore ha un processo con gli abitanti
del paese. Non c’è infatti sincerità né amore del
prossimo, nè conoscenza di Dio nel paese. Si giura, si
mentisce, si uccide, si ruba, si commette adulterio, si fa
strage e si versa sangue su sangue. Per questo è in
lutto il paese e chiunque vi abita langue insieme con gli
animali della terra e con gli uccelli del cielo; perfino i
pesci del mare periranno».
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Conte di Carmagnola