LE
POLITICA SOCIALE
POLITICHE PREVIDENZIALI
Prof. Carmelo Bruni
Un sistema pensionistico consiste in un
complesso di strutture e processi che, nel rispetto
di regole formali, trasferiscono denaro per
garantire una sicurezza economica a coloro che si
trovano in una condizione di rischio:
•perché hanno superato una certa età anagrafica;
•perché hanno superato una certa soglia d'età
lavorativa;
•perché sono invalidi;
•perché hanno perso un loro caro.
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Le forme previdenziali
Pensione di
vecchiaia
PREMORIENZA
Pensione
indiretta
Pensione di
Pensione di
anzianità
reversibilità
(anticipata)
Pensione sociale
Pensione di
base
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VECCHIAIA
INVALIDITÀ
Pensione
d'invalidità
previdenziale
Pensione
d'invalidità civile
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Il mantenimento del reddito e la sicurezza economica
può essere costruita in due modi differenti:
1. Facendo risparmiare ai lavoratori una parte del loro
reddito, accumularlo e successivamente utilizzarlo
quando terminano la vita lavorativa (sistema a
capitalizzazione: le risorse versate - solitamente sotto
forma di contributi - da parte degli individui sono
accumulate in conti individuali, investite sui mercati
finanziari, e - rivalutate secondo il rendimento degli
investimenti – vengono poi convertite in rendita al
momento del pensionamento);
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2. Facendo scambiare una quota del reddito da lavoro
con una garanzia che al momento del pensionamento
otterranno (più o meno) quanto versato in precedenza
(sistema a ripartizione: i lavoratori versano i contributi
ad un determinato tempo t e questi vengono
immediatamente utilizzati per il pagamento delle
prestazioni ai pensionati nello stesso momento t; i
lavoratori ottengono però il diritto a ricevere una
pensione quando, al tempo t + 1, essi stessi si
ritireranno dall'attività.)
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Per quanto riguarda i trattamenti, possiamo rifarci a 3
sistemi diversi:
•a somma fissa: indipendentemente dai contributi
versati (pensione di base o sociale);
•a sistema retributivo: in cui l’importo dipende dal
reddito percepito, l’ultimo o una media degli ultimi
anni o una media di tutta la vita;
•a sistema contributivo: in cui l’importo dipende da
quanto è stato versato nel corso della vita lavorativa.
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Nel sistema a capitalizzazione, quindi, le somme
sono cumulate nel tempo, rivalutate, e poi distribuite
secondo un sistema che può essere:
•a prestazione/retribuzione definita (in cui il livello
della pensione è funzionale alla retribuzione
percepita, nell’ultimo anno o come media di n anni);
•a contribuzione definita, in cui invece di stabilire
l’importo della pensione, se ne stabilisce la
contribuzione (cosicché l’importo dipende da quanto
accumulato: chi guadagna di più cumula di più).
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Nel sistema a ripartizione, invece, il denaro
viene prelevato dai lavoratori attivi e distribuito
contestualmente ai pensionati, secondo
•un sistema retributivo;
•o un sistema contributivo.
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Retributivo
Contributivo
Ripartizione
Sistema
retributivo
Sistema
contributivo
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Ne emerge la seguente tipologia:
Capitalizzazione
A prestazione
definita
A contribuzione
definita
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Esistono 3 pilastri che gestiscono il sistema
previdenziale: pubblico, privato-individuale e
complementare;
Il pilastro pubblico si sostanzia in 2 differenti livelli:
il primo si fonda sui contributi versati dai lavoratori che
da diritto ad una pensione (vecchiaia e anzianità),
il secondo riguarda l’erogazione di prestazioni
assistenziali volte a mantenere la persona al di sopra
del livello di sopravvivenza (la pensione sociale, oggi
sostituita dall’assegno sociale dal 1.1.96);
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Il secondo pilastro è costituito dalle forme
pensionistiche a capitalizzazione ad adesione collettiva.
In particolare, vanno citati i fondi chiusi (o negoziali o
occupazionali), che vengono istituiti attraverso la
contrattazione collettiva tra sindacati e datori di lavoro,
e i fondi aperti nel caso di adesione collettiva da parte di
lavoratori appartenenti ad una stessa azienda ovvero
ad un medesimo settore produttivo;
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Il terzo pilastro è invece il terreno (privato)
della previdenza a capitalizzazione individuale
(complementare) per quei lavoratori che
vogliano garantirsi una ulteriore rendita per la
vecchiaia. Il ventaglio delle alternative è
rappresentato dalle polizze pensionistiche
individuali (PIP) introdotte nel 2000, dai fondi
aperti, nel caso di adesione individuale, e
dalle polizze assicurative sulla vita;
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Dal punto di vista storico si dà una progressiva
affermazione dei sistemi previdenziali in cui le
variabili cruciali sono:
•caratteristiche economiche (crescita);
•caratteristiche demografiche (giovinezza);
•caratteristiche politiche (pressioni elettorali)
Da cui derivano:
•base contributiva occupazionale (bismarckiani);
•base fiscale (beveridgiani).
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Una prima tendenza fu il rafforzamento degli
schemi previdenziali a tutela degli anziani e
degli invalidi ispirati ai due modelli:
•“bismarckiani”: tesi al mantenimento del
reddito, pagate dai lavoratori mediante
contributi e con remunerazioni legate al reddito;
•“beveridgeani”: tesi alla prevenzione della
povertà, pagate da tutti i cittadini mediante la
fiscalità e con remunerazioni a somma fissa.
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In Italia il primo schema si ebbe per i
dipendenti dello Stato già a partire dal 1864.
Fu esteso nel 1919 a tutti i lavoratori dipendenti
con un reddito mensile fino a 350 lire ed età
pari a 65 anni.
Caratteristica tipica fu l’allargamento a
categorie diverse di lavoratori, che diede vita a
sistemi diversi per categoria.
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L’avvento del fascismo produsse:
Riorganizzazione amministrativa: INFPS;
Estensione della copertura a redditi più
elevati;
Introduzione della “pensione di reversibilità”
Diversificazione dell’età pensionabile (60
uomini, 55 donne)
Finanziamento sulle spalle dei datori: 2/3
contro 1/3.
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Il periodo dal 1945 al 1975 fu caratterizzato dalla progressiva
espansione delle tutele.
Alla fine della guerra dominano gli schemi pubblici
(monopilastro), poco articolati e di importo modesto.
Con la diffusione dei consumi di massa e l’ampliarsi del
ceto medio, fu necessario:
ampliare le prestazioni concesse (estensione anche ai
lavoratori agricoli, autonomi, etc.);
introdurre nuove modalità di gestione e finanziamento (da
capitalizzazione a ripartizione);
incrementare i contributi trasferiti (da contributivo a
retributivo);
rafforzare gli schemi di base (pensione sociale e pensione di
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base).
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Le conseguenze generali furono:
1) ibridazione dei sistemi (le pensioni di base sono
finanziate col fisco in sistemi bismarckiani; gli importi
degli schemi beveridgeani sono aumentati con schemi
retributivi);
2) duplicità del sistema (assistenziale di base, ma
mantenendo i differenziali di status già presenti nel
contesto lavorativo dato dal sistema retributivo);
3) ingresso di nuovi gestori (compaiono i pilastri privato e
complementare).
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In Italia lo sviluppo della previdenza ha seguito tre direttrici
principali:
1) l’estensione della copertura al fine di tutelare tutte le
categorie di lavoratori, compresi i lavoratori autonomi;
2) la creazione di una rete di protezione di base, un
sistema assistenziale, fondato su 2 interventi:
l’integrazione al minimo (1952) e la pensione sociale
(dal 1969, oggi, dal 2006, assegno sociale: per il 2014 è
pari a € 447,61 mensili, cioè € 5.818,93 annui);
3) l’aumento degli importi e la riduzione dei requisiti
d’accesso: baby pensioni dal 1956 (20 anni U e 15 D) e
la pensione di anzianità dal 1965, il passaggio al
sistema a ripartizione e retributivo dal 1969 (L. 153/69) 18
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In tutto questo vale la particolarità tutta italiana di
utilizzare le pensioni quali strumenti per coagulare e
attrarre consenso politico. Questo è connesso alla
peculiare situazione politica del nostro paese,
caratterizzata da:
1) Democrazia bloccata (conventio ad escludendum);
2) Pluralismo polarizzato (cioè un grande partito al
centro, di maggioranza, e partiti più piccoli a destra
e a sinistra con i quali questo si allea).
In questa polarità si sono inseriti altri, potenti, “gruppi
di interesse”: sindacati, Coldiretti, che hanno premuto
affinché venissero garantiti “diritti” ai loro iscritti.
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Le conseguenze per il sistema sono state quasi
esiziali:
a) voragine della spesa previdenziale;
b) squilibri tra diritti e doveri tra generazioni e tra
categorie;
c) deficit spending.
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I sistemi previdenziali a ripartizione si fondano su
alcuni fattori determinanti per la loro salute:
•esogeni : la presenza di lavoratori occupati
regolarmente che contribuiscono con una parte del
loro stipendio alla costruzione del fondo (proprio
l’occupazione e la stabilità lavorativa sono entrati
in crisi, ma anche la struttura demografica, cioè
l’ammontare dei contribuenti attuali e futuri è
cambiata) e, dall’altro lato, la consistenza
demografica dei beneficiari (invecchiamento della
popolazione);
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•Dal punto di vista endogeno, invece, contano
l’organizzazione del sistema (ripartizione o
capitalizzazione, retributivo o contributivo) e
l’ammontare delle pensioni.
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Le risposte a questi problemi sono stati di duplice natura:
1. L'aumento delle aliquote contributive (cioè delle
entrate, anche grazie a trasferimenti pubblici) ha
rappresentato il principale provvedimento adottato dai
governi per fronteggiare la crisi previdenziale nel
periodo che va dalla metà degli anni ‘70 ai primi anni
‘90;
2. L’alternativa (a causa dell’impossibilità di vessare
troppo i contribuenti) è stata costituita dal
contenimento/riduzione della spesa (UE; passaggio da
Keynes a Friedman e al pareggio di bilancio).
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A partire dagli anni ’90 è possibile individuare 2 percorsi
alternativi di riforma dei sistemi pensionistici pubblici a
ripartizione:
1) il primo punta su una modifica dei parametri cioè: a)
innalzamento dell’età pensionabile; b) diminuzione degli
importi agendo sulle aliquote, sul numero di anni di
contribuzione per il calcolo dell’ammontare, sulla
modifica dell’indicizzazione dell’ammontare finale; c)
legame più stretto tra versamenti e pensione ricevuta
(da retributivo a contributivo e aumento degli anni di
contribuzione)
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2) la seconda direttrice ha riguardato la modifica
strutturale del sistema, si è passati da un sistema
a ripartizione a uno a capitalizzazione, con
l’introduzione di sistemi alternativi di gestione
affidati ai pilastri non pubblici (con questa
soluzione, però, appare il problema del doppio
pagamento).
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La crisi giunge alla fine degli anni ’80:
•crescita della spesa;
•crescita della ricchezza monetaria ma non reale;
•modifiche demografiche;
•frammentazione normativa e prestazionale (autonomi:
agricoli, artigiani, commercianti: scarsi contributi,12,5%,
ma passaggio al retributivo; per gli altri, elevate
retribuzioni a fine carriera);
•peso del meccanismo retributivo: che induceva a
premiare negli ultimi anni di carriera;
•scarsa contribuzione a fronte dell’elevato ammontare
delle pensioni (baby pensioni e anzianità)
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SITUAZIONE FINO AL 1992
Aliquote
Contribut.
Calcolo
Aziende
Private
55 D.
60 U.
35 D.
35 U.
26,22%:
Ultimi 5 anni
Amministr.
Centrale
Amministr.
Locali
Lavoratori
autonomi
65 D.
65 U.
60 D.
60 U.
60 D.
65 U.
20 (15) D.
20 U.
20 D.
25 U.
35 D.
35 U.
7%
lavoratore
7%
lavoratore
12%
2/3 al datore
1/3 al
lavoratore
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VECCHIAIA ANZIANITA
(Età anag.) (Età contr.)
Ultimo mese
Ultimo mese
Ultimi 10
anni
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SITUAZIONE DOPO IL 1992
Aliquote
Contribut.
Calcolo
Aziende
Private
60 D.
65 U.
35 D.
35 U.
26,22%:
Ultimi 10
anni
Amministr.
Centrale
Amministr.
Locali
Lavoratori
autonomi
65 D.
65 U.
60 D.
60 U.
60 D.
65 U.
35 D.
35 U.
20 D.
25 U.
35 D.
35 U.
7%
lavoratore
7%
lavoratore
12%
2/3 al datore
1/3 al
lavoratore
Ultimi 10
anni
Ultimo
mese
Ultimi 10
anni
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VECCHIAIA ANZIANITA
(Età anag.) (Età contr.)
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Oltre a ciò la riforma del 1992 ha comportato:
a) indicizzazione delle pensioni al tasso d'inflazione,
non più all'aumento delle retribuzioni;
b) estensione da 15 a 20 anni del periodo contributivo
minimo per accedere alle pensioni di vecchiaia tanto
per i lavoratori dipendenti quanto per gli autonomi;
c) introduzione del divieto di cumulo tra pensione e
reddito da lavoro.
Inoltre, ha riguardato l’introduzione dei pilastri non
pubblici, complementari: fondi chiusi e aperti;
Per evitare il doppio pagamento? Il TFR può essere
utilizzato per i fondi pensione.
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Bilancio della riforma Amato
a) È il primo provvedimento realmente sottrattivo;
b) Ha introdotto il primo quadro regolativo per la
previdenza complementare a capitalizzazione;
c) Ha determinato lo sdoppiamento della policy
previdenziale su due direttrici: riforma del 1°
pilastro pubblico e dei pilastri complementari a
capitalizzazione.
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Alla fine di settembre 1994 viene definito un disegno di
legge che delega il primo governo Berlusconi a
riformare le pensioni. Tale progetto è imperniato su tre
punti fondamentali:
a) disincentivo a ritirarsi anticipatamente dal lavoro
attraverso il canale delle pensioni di anzianità;
b) riduzione dell'aliquota di rendimento dal 2 all'1,75%
per i lavoratori con più di 15 anni di contributi;
c) sostituzione del meccanismo d'indicizzazione al
tasso d'inflazione con un nuovo meccanismo che
collega
le
pensioni
soltanto
all'inflazione
programmata;
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Il governo Dini, subentrato nel 1995, prevede una
riforma fondata su 3 punti (L. 335/95):
1. la modificazione del metodo di calcolo delle
prestazioni (da retributivo a contributivo; + o - 18
anni di contributi: lotta alla iniquità; 2035);
2. la revisione della disciplina delle pensioni d'anzianità
(prolungamento della vita lavorativa in un’età
compresa tra i 57 e i 65 anni, e a questa età si
prende il massimo: incentivo a differire);
3. la
separazione
istituzionale
e
finanziaria
dell'assistenza dalla previdenza (Assegno Sociale)
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Le riforme degli anni Novanta hanno evitato il collasso
del sistema agendo su due versanti:
1) sostenibilità finanziaria e contenimento dei costi;
2) armonizzazione
normativa
ed
equità
intragenerazionale
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