“The spatial distribution of
economic activities in the
European Union”
Pierre-Philippe Combes & Henry G. Overman
Handbook of Urban and Regional Economics, vol.4
Introduzione

Combes e Overman elaborano una rassegna dei principali
contributi sulla localizzazione delle attività economiche in
Europa (sinora studi in prevalenza su US)

Gli autori si pongono 3 obiettivi:
-
Descrivere i dati disponibili nell’Unione Europea;
-
-
Descrivere l’attuale localizzazione dell’attività economica
aggregata e settoriale e le variazioni nel tempo.
Analizzare le forze di concentrazione e di specializzazione
2
A) I database europei regionali

I database a livello europeo sono incompleti e confusi.

La fonte principale è l’Eurostat
http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/them
es
General and regional statistics
Regions and cities
Regional statistics, data, database
3
Regional statistics (reg)
Regional agriculture statistics (reg_agr)
Regional demographic statistics (reg_dem)
Regional economic accounts - ESA95 (reg_eco)
Regional education statistics (reg_educ)
Regional science and technology statistics (reg_sct)
Regional structural business statistics (reg_sbs)
Regional health statistics (reg_hlth)
Regional tourism statistics (reg_tour)
Regional transport statistics (reg_tran)
Regional labour market statistics (reg_lmk)
Regional labour costs statistics (reg_lcs)
Regional information society statistics (reg_isoc)
Regional migration statistics (reg_mig)
A) I database europei regionali

La classificazione regionale si basa sulla nomenclatura
dell’Eurostat delle Unità Territoriali per la statistica (NUTS).

Esistono:
-
-
78 NUTS1,
210 NUTS2,
1092 NUTS3,
NUTS4 è definito solo per un numero limitato di paesi,
98433 NUTS5

REGIO → dati a livello NUTS 2 o 3.
-
5
A) I database europei regionali

Cambridge Econometrics

OECD regional statistics
6
B) Distribuzione spaziale dell’attività
economica nell’Unione Europea.
1)
-
2)
-
Attività economica aggregata
Distribuzione dei redditi
Accesso al mercato
Attività economica settoriale
Metodologia standard (7 criteri)
Gli indici di Gini e di Krugman
Specializzazione regionale
Concentrazione industriale
8
1) Attività economica aggregata

Nella distribuzione dei redditi UE possiamo identificare:

un centro di regioni ricche che hanno alti GDP pro capite e
sono localizzati uno vicino all’altro;

una periferia povera costituita dalle regioni fuori dal centro.
9
Grafico 1: Pil pro capite e Pil nelle regioni NUTS2 (1996)
10
Indice di Theil
(o indice di Atkinson:
misure di entropia)

Per evidenziare il modello centro-periferia si utilizza l’indice di
Theil:
dato dal confronto per ogni regione r dell’attività economica
(misurata tramite il Pil) dell’industria f, rispetto a ciò che si
verificherebbe in caso di distribuzione perfetta tra le regioni.
[Useremo l’indice di concentrazione di Gini ]
11
Grafico 2: Indice di Theil per Pil pro capite regionale UE12
1982-1996
12
Indice di concentrazione di Gini
Corrado Gini propose l'indice di concentrazione che porta il suo nome (detto pure
coefficiente di Gini)
dove: P sono le frequenze cumulate relative; Q le quantità cumulate relative
che assume il valore 0 in presenza di equidistribuzione e il valore massimo
per cui è preferibile utilizzare l'indice relativo di concentrazione di Gini, definito
nell’intervallo 0-1.
Indice di concentrazione di Herfindahl-Hirschman
n
H   ( qi ) 2
i 1
dove qi è la quota del settore (regione) i
E’ usato soprattutto per misurare il grado di concorrenza presente in un determinato
mercato.
anche nella versione con le quote in %:
n
H   (qi *100) 2
i 1
2) L’accesso al mercato

Emergono 2 problemi chiave:
-
Quali sono le determinanti dello schema centro-periferia e delle sue
variazioni nel tempo?
Le variazioni nel tempo sono collegate ad una integrazione più profonda?
-


I ricercatori cercano di trovare una risposta alla questione in
termini di “accessibilità”.
Il potenziale di mercato misura l’accessibilità di diverse
località ai mercati nazionali.
15
INDICE DI DISPERSIONE
Il coefficiente di variazione o deviazione standard relativa, indicato con CV o
RSD, è un indice di dispersione che permette di confrontare misure di fenomeni
riferite a unità di misura differenti, in quanto si tratta di un numero puro (ovvero non
riferito ad alcuna unità di misura).
Viene definito, per un dato campione, come il rapporto tra la sua deviazione
standard (σ) e il valore assoluto della sua media aritmetica (µ):
2) L’accesso al mercato

Harris (1954) elabora la misura come la somma dell’attività
economica ponderata per la distanza da tutte le altre località.

Dove:
xj = attività economica nella località j
dij = la distanza tra le località i e j
-
17
2) L’accesso al mercato

Si ritiene che l’accessibilità spieghi lo schema centro-periferia
in termini di Pil pro-capite.

Nella figura 3 si può osservare la correlazione tra accessibilità
e schema centro-periferia. Anche in questo caso il potenziale
di mercato è più forte quando si considera il Pil pro capite.
18
Grafico 3: Potenziale di mercato del Pil pro capite e totale nelle regioni
europee NUTS2
19
2) L’accesso al mercato


Secondo i modelli di geografia economica l’accessibilità può
essere influenzata dall’integrazione.
Dalla letteratura emerge che l’integrazione è associata a
miglioramenti nell’accessibilità di tutte le località UE.

Le regioni del centro hanno migliorato l’accessibilità più
velocemente della periferia.
Mentre se si considerano indicatori di costo piuttosto che di
potenziale di mercato, queste affermazioni vengono ribaltate: i
costi sono diminuiti molto più velocemente nella periferia.

Hanson (2002) e Redding – Venables (2002)

20
C) Attività economica settoriale

Possiamo identificare gruppi di paesi UE con strutture simili
sebbene le differenze strutturali siano fortemente aumentate
tra gli anni ’70 e ’90 (più specializzazione).

Tra il 1980 e il 1990 circa il 50% delle regioni UE è diventate
più specializzato mentre il rimanente 50% è diventato meno
specializzato.

La concentrazione industriale varia ampiamente a seconda
del settore considerato. La maggior parte degli studi trovano
che il settore high tech è più concentrato nello spazio.

Tra il 1970 e il 1990 circa un terzo delle industrie UE è
diventato più concentrato, e la restante quota più dispersa.
21
I 7 criteri

Combes e Overman hanno delineato 7 criteri cui
dovrebbero attenersi le misure di concentrazione e
specializzazione:
1C: Le misure dovrebbero essere confrontabili tra attività.
2C: Le misure dovrebbero essere comparabili tra scale spaziali.
3C: La misura dovrebbe assumere un unico valore (noto) sotto
l’ipotesi nulla che non c’è una componente sistematica
nella localizzazione delle attività.(stocastica).
22
I 7 criteri
4C: Si dovrebbe riportare la significatività dei risultati
5C: Le misure non dovrebbero essere distorte da variazioni della
classificazione spaziale.
6C: Le misure non dovrebbero essere distorte da variazioni della
classificazione industriale.
7C: La misura dovrebbe assumere un unico valore (noto) sotto
l’ipotesi alternativa che c’è una componente sistematica
nella localizzazione delle attività.
23
I 7 criteri

Ad oggi non esiste alcuna misura che rispetti tutti i criteri, ma
sono comunque uno strumento utile per analizzare le misure
proposte.

Anche nel caso in cui si delinei una misura che rispetti tutte le
condizioni la difficoltà maggiore risiede nell’applicarla ai dati
del mondo reale.
24
Indice di specializzazione
(o Location quotient, Balassa Index, Gini, Krugman …)
i=regioni
j=settori
x= variabile di interesse
ISPij 
xij i xij
 j xij i  j xij
ISP normalizzato = (ISP - 1) / (ISP + 1)
Indice di specializzazione
 L’ipotesi implicata da entrambi gli indici è che ogni
localizzazione dovrebbe essere solo una versione ridotta su
scala della media “rappresentativa” delle regioni UE.
Limite:
- Il valore di questo indice dipende dalla distribuzione
dell’attività totale tra le località, rendendo difficili le
comparazioni.
 Vantaggio:
- Non dipende dalla dimensione del paese.
26
La specializzazione regionale

Sulla specializzazione regionale sono stati condotti vari studi
sia su singoli Stati che sull’Ue.

Molle (1997) calcola l’indice di Krugman per 96 regioni UE dal
1950 al 1990. Ottiene che la specializzazione diminuisce
continuamente nel periodo considerato, seppure a diverse
velocità.

Hallet (2000) analizza 119 regioni dal 1980 al 1995. I risultati
mostrano che 34 regioni diventano più specializzate mentre
85 meno.
27
La concentrazione industriale

Nel tempo alcune industrie sono diventate più concentrate nel
tempo e altre sono diventate meno concentrate.

Midelfart-Knarvik e altri (2003) calcolano i coefficienti assoluti di
concentrazione di Gini per 36 settori manifatturieri e trovano che la
concentrazione è aumentata per 12 industrie e diminuita per 24
industrie.


-
Molle (1997) effettua uno studio dal 1950 al 1990 utilizzando l’indice
di concentrazione di Krugman.
Risultati:
Diminuzione della concentrazione per la maggior parte dei settori
La concentrazione aumenta nei settori agricolo e tessile
I settori minerario e cibo, bevande e tabacco non hanno un
andamento chiaro.
28
Tabella 2: Concentrazione industriale tra i paesi UE
29
Caratteristiche delle industrie spazialmente concentrate


Riportiamo una sintesi dei principali risultati:
Intensità di lavoro, risorse e capitale: c’è poca evidenza che le
attività intensive di lavoro, capitale e risorse siano più concentrate.

Tecnologia: le industrie basate su tecnologia intensiva e scienza
sono più concentrate della media.

Rendimenti di scala crescenti: tutti gli studi eccetto quello di
Haaland (1999) trovano una correlazione positiva tra rendimenti di
scala crescenti e concentrazione spaziale.

Demand and cost linkages: i risultati sono discordanti. Brulhart
(1998) trova una concentrazione maggiore nelle aree con un più
ampio mercato potenziale; Midelfart-Knarvik et al. (2003) non
trovano correlazione né di domanda né di costo.
30
Caratteristiche
concentrate
delle
industrie
spazialmente

Barriere e liberalizzazione commerciale: i risultati sui costi di
transazione sono contradditori. In alcuni casi si mostra che le
barriere tariffarie e non tariffarie sono correlate alla concentrazione
in altri casi si ottiene il contrario.

Tutti questi risultati soffrono però di alcuni problemi:
Misure di sintesi (7C)
Numero ridotto di variabili esplicative
Variabili omesse
Endogeneità
Autocorrelazione spaziale
-
-
31
Conclusioni 1° parte

Finora abbiamo analizzato i modelli di localizzazione
spaziale in termini di attività economica e di modelli centroperiferia.

Abbiamo un’idea su quali tipi di attività economica sono
concentrati, ma non sappiamo se questi fatti ci rendano
diversi dalle altre economie del mondo e non aggiungono
molto alla teoria della localizzazione.

Passeremo ora a capire le determinanti della
concentrazione e della specializzazione nell’UE analizzando
le principali teorie.
32
Approccio teorico

Le principali teorie che si occupano di agglomerazione e
localizzazione sono:
-
Teoria tradizionale del commercio
Geografia economica
Economia urbana e spaziale
-
Queste teorie sono in grado di spiegare le forze che guidano la
localizzazione delle attività economiche:
- Dotazioni locali
- Interazioni all’interno dell’industria
- Interazione tra le industrie
33
Le dinamiche
nell’UE



-
della
localizzazione
La letteratura in questa parte del paper assume che le
esternalità locali influenzino la crescita locale.
La letteratura precedente ha cercato di determinare l’impatto
sulla crescita locale delle economie di localizzazione e delle
economie di urbanizzazione. Questo lavoro considera anche il
ruolo di altri fattori come la concorrenza locale o la
dimensione degli stabilimenti.
In particolare verranno analizzate:
Le determinanti della crescita di lungo periodo
Le dinamiche di breve periodo
34
Crescita di Lungo-Periodo


-

-
-
-
Glaeser et al. (1992), seguiti da Henderson et al. (1995),
regrediscono la crescita dell’occupazione totale su caratteristiche
economiche iniziali.
I lavori che presenteremo regrediscono la crescita
dell’occupazione per città e industria su:
un indice di specializzazione (interazioni all’interno dell’industria)
un indice di diversità industriale (interazioni tra le industrie)
I risultati per gli USA:
Glaeser et al. (1992) → la crescita locale è positivamente
influenzata dalla diversità e negativamente dalla dimensione degli
stabilimenti e dalla specializzazione.
Henderson et al. (1995) → si osservano economie di
localizzazione in tutte le 5 industrie studiate e di urbanizzazione
solo nel settore dell’alta tecnologia.
Diversi periodi temporali
Inclusione settore servizi
Raggruppamenti Vs industria per industria
35
Crescita di Lungo-Periodo

-
Risultati per UE:
Supportano i risultati di Glaeser et al. (1992) piuttosto che quelle di
Henderson et al. (1995).

Paci e Usai (2002) considerano i dati italiani per il periodo 1991-1996
sui sistemi locali del lavoro (784). Essi trovano un effetto positivo della
diversità industriale locale e un impatto negativo della specializzazione.
Contrariamente a Glaeser et al. (1992) trovano anche un effetto
positivo della dimensione dell’impresa.

Van Soest et al. (2002) lavorano con dati sui Paesi Bassi per gli anni
’90 e trovano un effetto simile per la diversità e la specializzazione e un
impatto negativo della dimensione degli stabilimenti (come in Glaeser et
al. (1992)).

Almeida (2001), usando dati per il periodo 1985-1994 per i 275
“cancelhos” portoghesi, trova che l’impatto delle caratteristiche locali
varia tra le attività. I servizi e la maggior parte dei settori manifatturieri
mostrano un effetto negativo della specializzazione e della dimensione
degli stabilimenti, e un impatto positivo della diversità.
36
Crescita di Lungo-Periodo




Il nostro interesse è rivolto in particolare alla produttività
pertanto lavorare sulla crescita dell’occupazione potrebbe
essere problematico perché shocks positivi della produttività
potrebbero avere un impatto negativo sulla crescita
dell’occupazione.
In più, alcuni effetti di agglomerazione possono avere un
impatto diretto sulla domanda di lavoro, senza influenzare la
produttività.
Se i dati sono disponibili, è chiaramente preferibile lavorare
direttamente sulla produttività.
De Lucio et al. (2002) trovano per la Spagna effetti di
concorrenza o diversità sulla crescita della produttività del
lavoro e un effetto a “U” per la specializzazione. Bassi livelli di
specializzazione riducono la crescita della produttività, mentre
alti livelli la favoriscono.
37
Crescita di Lungo-Periodo

Cingano e Schivardi (2002) studiano 784 Sistemi Locali del
Lavoro in Italia. Da questo studio possiamo trarre 2 contributi:
-
Primo, usando la crescita della produttività dei fattori totali
come variabile dipendente, mostrano che sia la
specializzazione sia la dimensione delle città hanno un
impatto positivo. Questo impatto positivo è osservato anche
sulla crescita dei salari. Per contro, le variabili della diversità,
della concorrenza e della dimensione degli stabilimenti non
sono significative.
-
Secondo, usando lo stesso campione, studiano le differenze
che si osservano quando la crescita dell’occupazione locale è
la variabile dipendente. Essi mostrano che gli effetti della
specializzazione e della dimensione delle città sono invertiti
(diventano negativi), mentre le altre caratteristiche locali
adesso hanno un impatto significativo sulla crescita
dell’occupazione totale.
38
Le dinamiche di Breve-Periodo

Henderson (1997) usa dati di serie storiche per 742 contee
urbane statunitensi tra il 1977 e il 1990.

Risultati:
forti economie di localizzazione che scompaiono dopo 6 anni.
L’introduzione simultanea della specializzazione e dei valori
ritardati della variabile dipendente porta però alcuni problemi
di interpretazione
Le economie di urbanizzazione sono minori ma durano più a
lungo
-
-

Combes et al. (2002) analizzano 341 livelli di aree di impiego
metropolitane francesi per 36 industrie manifatturiere e dei
servizi tra il 1984 e il 1993.
39
Le dinamiche di Breve-Periodo




Risultati:
l’occupazione “city industry” è il prodotto della dimensione media
degli stabilimenti per il numero di stabilimenti.
La crescita dell’occupazione totale può essere scomposta in
crescita interna (la crescita della dimensione degli stabilimenti
esistenti), e crescita esterna (la creazione di nuovi stabilimenti).
le economie di localizzazione vengono catturate solo attraverso
l’inclusione della variabile dipendente ritardata
Gli stabilimenti sembrano essere maggiori nelle aree dove
sono più numerosi, ma con dimensioni disuguali.
Grandi leader possono incoraggiare la crescita negli
stabilimenti più piccoli circostanti.
Ma il numero di stabilimenti cresce più velocemente nei luoghi
dove sono meno numerosi e di pari dimensioni.
40
Confronti USA-UE

Complessivamente, le economie di localizzazione sembrano
essere assenti nell’UE, come trovato da Glaeser et al. (1992)
per gli USA.

Altro punto in comune con gli USA sta nell’impatto positivo
della diversità sulla crescita locale del lavoro.

Inoltre sia nell’UE che negli USA i risultati variano
considerevolmente tra le industrie. Per esempio, le economie
di urbanizzazione sembrano essere più forti nelle industrie
high-tech e dei servizi che in quelle manifatturiere.
41
Conclusioni






Uno degli obiettivi di questo lavoro era quello di paragonare la geografia
economica dell’UE con quella degli USA.
DIFFERENZE
I lavori empirici suggeriscono due differenze fondamentali tra l’UE e gli
USA. I nostri mercati dei prodotti sono meno integrati e il nostro lavoro è
meno mobile.
Secondo la teoria queste due caratteristiche potrebbero essere sufficienti
per affermare che la Geografia Economica Europea è molto diversa da
quella degli USA. Ma l’evidenza empirica non ci permette di valutare se
questo è vero.
SOMIGLIANZE
I dati a livello micro suggeriscono che lo stesso tipo di industrie potrebbe
essere localizzatO sia nell’UE che negli USA.
Altri lavori suggeriscono che ci sono delle somiglianze tra UE e USA nel
funzionamento delle forze di agglomerazione e dispersione che
determinano la geografia economica.
Abbiamo visto inoltre che somiglianze tra le due aree esistono nella
relazione tra salari e densità, nelle determinanti delle differenze nei salari e
nelle dinamiche della crescita delle città sia nel breve che nel lungo periodo
42
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Indice di specializzazione