No 0 ­ Primavera 2021
Intervento del Gran Maestro
Bennu: la nostra rivista
Purificare la Luna
Ecce Homo - Annotazioni (cap. I)
L'Ain e i suoi riflessi
La principessa perduta - racconto cabalistico
Ordine Martinista Cohen
www.ordinemar nistacohen.it
BENNU
No 0 ­ Primavera 2021
BENNU
è il notiziario dell'Ordine Martinista
Cohen dedicato agli studi sul
Martinismo e sulla Tradizione.
È uno spazio di incontro fra quanti,
animati da interno desiderio,
vogliono condividere la propria
esperienza con coloro che sono in
cammino o si apprestano a farlo, nel
solco della Tradizione.
Sommario
Editoriale
- Perchè una rivista dell'Ordine Martinista Cohen
- Bennu: la nostra rivista
Rassegna Martinista
- Purificare la Luna
- Ecce Homo - Annotazioni sul primo capitolo
La scelta degli articoli pubblicati su
questo numero è stata eseguita da:
Rigel S:::I:::I::: - Iperion S:::I:::I:::
L'editing e la pubblicazione online
sono a cura di:
Iperion S:::I:::I::: - Bes S:::I:::
Le immagini e la grafica sono curate
da:
Eros S:::I::: - Hathor I:::I:::
Hanno scritto su questo numero
della rivista:
Rigel S:::I:::I::: - Iperion S:::I:::I:::
Igneus S:::I:::I::: - Bes S:::I:::
Samas S:::I::: - Emmanuel S:::I:::
Arie' A:::I:::
La responsabilità degli articoli è lasciata interamente ai
singoli autori e non impegna, per il loro contenuto,
l'Ordine Martinista Cohen.
Sentieri della Tradizione
- L'Ain e i suoi riflessi
- La Principessa perduta - racconto cabalistico
La Parola ritrovata
- Introduzione sommaria all'Ordine Martinista
Contributi
- L'ottava lettera di Raimondo de Sangro sul Lume Eterno
- Il Trilume - Nota al cap. IV al "Degli Errori e delle Verità"
Vita dell'Ordine
- Calendario operativo
Il presente no ziario:
‐ non ha cara ere di periodicità
‐ non con ene pubblicità
‐ non è in vendita
‐ ha diffusione esclusivamente online
‐ non diffonde o scambia informazioni sulle a uali condizioni poli che/economiche/sociali del Paese
‐ non cos tuisce testata giornalis ca o prodo o editoriale ai sensi della legge 62/2001.
Alcune immagini o tes sono tra da internet e, pertanto, considera di pubblico dominio. Qualora la loro pubblicazione violasse eventuali diri
vogliate comunicarlo via mail (info@ordinemar nistacohen.it) e saranno immediatamente rimossi.
di autore,
BENNU
Editoriale
Perché una Rivista
dell’Ordine Martinista Cohen
In questi ultimi anni l’Ordine Martinista
Cohen è cresciuto, nuove Sorelle e nuovi
Fratelli hanno deciso di percorrere la propria
Via Iniziatica seguendo il sentiero tracciato
dalla nostra Tradizione.
Comunicare con tutti non è facile, soprattutto
in un periodo, come quello in cui stiamo
vivendo, ove ci viene
impedito di riunirci
(anche se certi surrogati
degli incontri cui siamo
abituati – vedi le riunioni
in remoto che abbiamo
iniziato ad organizzare –
hanno un po’ attenuato
questa separazione), per
cui si è comunque sentita
la necessità di realizzare
un lavoro comune che,
con cadenza periodica,
riesca a portare ad ogni
membro del N:::V:::O:::
un messaggio, una
proposta di studio, una
riflessione riguardo
tematiche a noi care.
L'obiettivo che ci
prefiggiamo, con
l’edizione di questa
Rivista, è quello di
stimolare ciascuno di noi
ad indagare, a riflettere, ed a comprendere
tematiche di non sempre facile assimilazione.
Di certo tale fase “orizzontale”, di studio, non
può essere considerata come esaustiva
riguardo al nostro percorso interiore tendente
al proprio ascenso, ma, è innegabile che,
molto spesso, questa sia la premessa
indispensabile affinché si possa intravvedere
la Luce.
Noi non siamo i depositari della Verità. Noi
non giudichiamo ciò che è giusto e ciò che è
sbagliato.
Noi siamo dei ricercatori itineranti che si
identificano più con l’Eremita, nona lama del
Tarocco – che cammina, da
solo, facendosi luce con una
flebile lanterna, fiducioso
nelle proprie possibilità e
con la ragionevole certezza di
raggiungere la propria meta,
che con il Signore Trionfante
sul Carro, raffigurato nella
settima lama, rappresentante
l’Iniziato che ha superato la
Dualità, e per questo
percorre con sicurezza la sua
via.
Noi siamo dei ricercatori
della Verità che si
impegnano,
quotidianamente, affinché si
possa affermare sempre di
più il bene, il vero, il bello.
È quindi con questo spirito,
nello scrivere nella nostra
Rivista, pubblicando il
proprio pensiero riguardo
una tematica Martinista, che
noi ci accingiamo a compiere un atto di
servizio nei confronti di tutte le Sorelle ed i
Fratelli, ma anche nei confronti di uomini e
donne di desiderio che non appartengono al
N:::V:::O:::, ma che, come noi, “ricercano”,
ed in questo ci impegniamo ad offrire il
meglio della nostra Conoscenza.
3
Cosmogonia Eliopolitana. Erodoto ci dà una
testimonianza riguardo la natura e le fattezze
della Fenice.
La Rivista è aperta a tutti.
Ad ogni grado. Ciascuno può dare il proprio
contributo, se lo desidera. L’unica cosa che si
chiede è che ciascuno, quando propone il
proprio pensiero o il proprio studio, presenti
l'elaborato, il proprio lavoro, il proprio
vissuto, evitando stucchevoli operazioni di
“copia–incolla” che, negli ultimi anni, stanno
andando molto di moda.
Il nostro auspicio è che molte Sorelle e
Fratelli diano il loro contributo alla riuscita di
questa nostra comune iniziativa.
La pubblicazione della Rivista non avrà una
specifica cadenza (per evitare problematiche
normative del settore editoriale), ma sarà
funzionale alle esigenze dell'Ordine e dei suoi
appartenenti.
Perché Bennu
Nelle sue Storie, durante un suo viaggio in
Egitto, ci racconta che: “vi è anche un… uccello
sacro, chiamato Fenice. Io non l'ho visto, se non
dipinto; infatti appare presso di loro raramente,
ogni cinquecento anni, a detta degli abitanti di
Eliopoli: compare, dicono, quando gli muore il
padre. Se è come la dipingono, ecco il suo aspetto e
le sue dimensioni: le penne delle ali sono in parte
color oro, in parte rosse; per sagoma e per grandezza
è assai simile all'aquila”.
Questo mitico uccello, cui si riferisce Erodoto,
il quale, non avendo evidentemente la
padronanza della lingua egiziana, viene
identificato come “Fenice”, mentre gli
Egiziani lo appellano con il termine “Bennu”.
Da quel momento, seguendo quanto asserito
erroneamente da Erodoto, in pratica in tutte
le civiltà, Bennu viene riconosciuto come
“Fenice” e rappresentato simile ad un rapace,
oppure ad una specie di uccello tropicale, dai
variopinti colori.
Di certo gli Egiziani avevano posto Bennu in
una posizione particolarmente importante
Da sempre il mito della Fenice che risorge
dalle fiamme è stato considerato l’archetipo
della rigenerazione – fisica e spirituale –
aspetto qualificante della palingenesi umana.
Ci è sembrato quindi quanto mai opportuno
utilizzare questo simbolo di rinnovamento e
di rinascita proprio per indicare in un unico
elemento le nostre aspirazioni, l’obiettivo cui
tende il nostro Desiderio, cui si indirizza la
nostra Volontà.
Abbiamo però ritenuto necessario restituire al
tutto una verità storica e tradizionale, che nel
corso dei secoli è stata ampiamente
rimaneggiata – a volte per ignoranza e spesso
per convenienza – in modo che il Martinista,
che cerca di compenetrare l’essenza di tale
simbolo, non sia fuorviato in questa sua
difficile e complessa opera.
La mitica Fenice, così è stata chiamata dai
greci, conosciuta anche come Uccello di Fuoco,
oppure come Araba Fenice, è strettamente
legata ai misteri della Creazione degli Antichi
Egiziani, ai primi eventi descritti dalla
4
nella loro Teologia, ed in particolare questo
misterioso uccello figura nella Teologia
Eliopolitana, secondo la quale, come ci
documentano i Testi delle Piramidi, la potenza
di Atum, dio creatore, Potenza unica, sino a
quel momento in uno stato di potenzialità, si
manifesta ed inizia la sua creazione,
attraverso Bennu, misterioso uccello
immortale che sorge dalle acque del Nun.
Ed è proprio Bennu che, quale
personificazione della Forza Vitale, si pone al
vertice della pietra Ben–ben che emerge da
queste acque primordiali diventando, in
questo, la Potenza, o Forza Vitale in atto,
espressa da Atum. Proprio per tale sua
rappresentazione della potenza di Atum,
Bennu viene denominato Spirito di Ra, e
rappresenta l’Anima Universale che
accompagna i defunti nel Duat, l’aldilà.
Bennu, l’uccello immortale, non sorge
quindi come comunemente viene
raffigurato, dalle fiamme, bensì dalle sue
Sacre Acque.
Bennu viene rappresentato dagli Egizi
inizialmente come un piccolo uccello, molto
simile ad un passero (e questo solo nelle prime
dinastie) per poi essere definitivamente
raffigurato come un Airone Cenerino (Ardea
cinerea oppure Ardea purpurea).
Il nome Bennu, assegnato a questo vero e
proprio Principio di Vita, non è certamente
casuale1.
La radice ben
(i geroglifici della gamba
e dell’acqua) significa infatti copulare, generare e
da questa radice si ottiene anche colui che
genera,
cioè l’uomo.
Come si può facilmente rilevare il geroglifico
che indica l’uomo è esattamente identico a
quello di Bennu: cambia solo il determinativo
(in Bennu c’è l’Airone, mentre per l’Uomo vi
è un uomo accucciato). È evidente che la
natura dell’energia riproduttiva presente
nell’uomo sia la stessa che promana da Bennu
La ripetizione della radice ben (cioè ben­ben,
che sappiamo essere la roccia ove si è
posizionato Bennu al momento della
creazione e che identifica anche la piramide
posta in cima agli obelischi) con il
determinativo del Sole,
significa: “Luce del Dio (nel Tempio di Sokar)”.
Proprio per questa sua assimilazione alla
Potenza Unica, luminosa, che si manifesta “in
basso” con la potenza generatrice dell’Uomo,
Bennu viene identificato con il Sole, il quale
appare agli occhi umani sempre lo stesso,
invariabilmente ogni giorno, eterno.
Secondo quanto contenuto nel Libro dei
Morti, Bennu guida le anime nel Duat e ne
determina la loro resurrezione, come è
asserito nel Cap. XXIXB: "…Parole dette da N .:
Io sono Bennu, l’Anima di Ra, che guida i beati
nel Duat, che consente ad Osiride di tornare
indietro sulla terra”.
La presenza di Bennu come guida, definito
“Anima di Ra”, riesce quindi – anche se non
viene specificato a quali condizioni ed in
5
quali casi – a far “risorgere” animicamente il
defunto (il quale, come di consueto, si
identifica con Osiride). L'assimilazione di
Bennu a Osiride (e quindi anche
l’assimilazione da parte del defunto con
Bennu), porta quindi alla conquista
dell’immortalità animica; questa asserzione si
può rilevare nei Testi dei Sarcofagi, ove si può
infatti leggere:
"...Io sono questo grande Bennu che è in Eliopoli.
Chi è? È Osiride che prende in considerazione ciò
che esiste… Ciò che esiste è l'eternità e la
perpetuità...".
defunto). Si rileva inoltre che, in aggiunta alla
protezione che Bennu fornisce ai morti, il
defunto possa trasformarsi addirittura lui
stesso in Bennu, come specificato nel Cap.
LXXXIII del Libro dei Morti, il cui titolo recita:
"Formula per essere trasformato in Bennu Reale”.
Quando arriva il momento in cui l’uomo
diventa cosciente del proprio essere, il
Principio di Vita, che permea ogni cosa a
livello indifferenziato, assume una
connotazione specifica, unica, si
individualizza; questo salto di qualità gli
consente di non “confondersi” con tutta la
forza vitale che compone l’Universo.
La vita che lo anima, pur
essendo identica alla vita
presente in un animale, in un
vegetale o in una roccia, cioè
della stessa natura, viene
definita, in quest’uomo, in una
precisa ed unica individualità.
Per l’uomo che è riuscito a
conquistare questo stato, ciò
significa, secondo la tradizione
sacerdotale dell’Antico Egitto,
entrare in comunione con
Bennu, essere un tutt’uno con
l’Anima Universale.
Questo è il messaggio che ci è
stato tramandato, e che è stato
fatto proprio, sotto diversi aspetti
e modi di comunicare, da
numerose Tradizioni e Religioni.
La nostra Tradizione Martinista,
derivante dagli insegnamenti di
Martinez de Pasqually, ci ha
tramandato un “passaggio”
sostanziale e decisivo riguardo il
risultato che si ottiene
percorrendo la via Iniziatica: il contatto con la
“Chose”.
La teurgia martinezista prevede che al
raggiungimento di un determinato livello di
operatività possa verificarsi una illuminazione,
l’acquisizione di un diverso stato di coscienza,
L’identificazione con Bennu diventa a questo
punto essenziale in quanto questo magico e
misterioso volatile è lo “strumento” che
consente di uscire dal Regno dei Morti, dal
Duat al sorgere del Sole (e quindi, uscendo
dalla metafora, a far vivere animicamente il
6
un qualcosa di sostanziale, importante,
aspetto questo che non viene mai
specificato né da Martinez né dai suoi
discepoli.
Questa nuova acquisizione di
consapevolezza e di conoscenza,
oggettivamente difficile – se non
impossibile da definire ­ è l’effetto che
deriva dal contatto con l’Anima
Universale, questo Principio di Luce e
di Vita che permea tutto ciò che esiste,
che dà la Conoscenza assoluta, che gli
Antichi Egizi hanno chiamato Bennu, e
con diverse sfumature, gli Gnostici
Pleroma, i Cristiani Spirito Santo, gli
Induisti Vidya.
È proprio per avere sempre presente
questo aspetto di vera e propria
manifestazione di Vita e di comunione
con la parte luminosa che si trova
dentro di noi (la Pietra Nascosta),
aspetto questo che trascende le
Tradizioni, il Tempo e lo Spazio, che
abbiamo chiamato la nostra rivista con
il nome di BENNU, la Fenice,
paradigma e simbolo per eccellenza
della Rinascita Spirituale.
Rigel S:::I:::I:::
Gran Maestro
Note:
utilizzano il geroglifico del vaso, la cui fonetica è nu,
unitamente all’acqua, n, cioè Nun.
È quindi immediata l’assimilazione del nome Bennu
con il Nun, il non­luogo di provenienza di questo
principio di vita. Il geroglifico della gamba umana,
molto probabilmente, sta a significare che questa Forza
primordiale è della stessa natura, quindi analoga, a ciò
che dà la vita all’Uomo. In altri termini: Bennu è
presente nell’uomo.
1. I geroglifici che compongono la parola Bennu
sono tre: una gamba umana , l’acqua in
movimento
, ed un vaso, un recipiente
rotondo
(la quaglia che segue il vaso è un
complemento fonetico e l’uccello che termina la parola
è il determinativo, che specifica “cosa” significa il
geroglifico).
La teologia eliopolitana ci dice che, al momento della
creazione, Atum sorge dal Nun, oceano primordiale
ove non esiste né lo spazio né il tempo; per indicare
questo stato anteriore alla creazione gli Egiziani
7
BENNU: la nostra rivista
Ogni numero della
rivista riporterà degli articoli
che faranno sempre
riferimento a percorsi
tradizionali o della
Tradizione (come direbbe
qualcuno); gli argomenti
saranno coerenti al piano di
studi che ogni martinista
affronta nei libri o nel
vademecum di istruzione relativi al grado di
appartenenza.
Cara lettrice, caro lettore,
BENNU, la nuova
pubblicazione di scritti
martinisti che stai
virtualmente sfogliando,
prende vita da un profondo
"desiderio" del Gran Maestro
dell'Ordine Martinista
Cohen: Rigel S:::I:::I:::
Il "desiderio" va inteso non in senso
privatistico o di auto­compiacimento ma
come un atto di volontà indirizzato a rendere
più proficuo lo svolgimento dell'operatività
martinista individuale, sempre diretta verso
un percorso di reintegrazione dell'essere.
Non è da sottacere anche l'opportunità,
offerta dalla rivista, di ampliare e consolidare
lo spirito di comunanza e fratellanza che ogni
martinista, indipendentemente dall'Ordine di
appartenenza, deve coltivare e fare proprio.
Al martinista non mancano di certo gli
strumenti che l'Ordine pone a disposizione
per orientarsi verso questo obiettivo.
Allo stesso tempo, può risultare
vantaggioso avere, come ausilio e
accompagnamento a questi strumenti, anche
delle letture. Esse pur rappresentando il
particolare punto di vista di chi scrive, sono
sempre e comunque funzionali a un pensiero
più ampio, allorché non manifestano o
risvegliano un ri­cordo o una riflessione
interiore.
E se è vero che la pratica martinista è
essenzialmente individuale, mai, come in
questo particolare momento, dobbiamo
dimenticare che si può essere lontani
fisicamente ma vicini per comunanza
spirituale. È vero anche che si può essere
vicini fisicamente ma distanti, molto distanti
nella condivisione animica. Ma questa è
un'altra storia.
8
In funzione di questo duplice aspetto
(strumento di ausilio e di unione fraterna) la
rivista, suddivisa in "sezioni", è stata così
strutturata:
• Sentieri della Tradizione ­ saranno riportati
tutti quegli argomenti non strattamente
martinisti ma riconducibili nell'alveo della
Tradizione che al sapere profano e ideologico
oppone la conoscenza unitaria e unitiva;
• Editoriale ­ presentazione del numero
corrente della rivista e riferimento ad
argomenti specifici inerenti l'Ordine;
• La Parola ritrovata ­ ogni martinista è a
conoscenza dell'apporto che i Maestri Passati
hanno avuto nei confronti dell'Ordine. Va
ricordato chi ne ha ispirato la nascita e a chi
ne ha dato forma e organizzazione strutturale;
chi ha, anche a costo della vita, mantenuto
l'Ordine in occasione dei repentini e
incontrollabili mutamenti ambientali;
chi ha contribuito al suo sviluppo
docetico e rituale, non sempre
condiviso o condivisibile. Chi ci ha
preceduto, pur non tra di noi, è
sempre realmente presente fra noi.
Questa sezione vuole riproporre la
Parola e, con questa la memoria, di chi
ci ha consentito di percorrere questo
sentiero;
• Rassegna martinista ­ articoli inerenti il
simbolismo martinista, notizie sulla storia del
Martinismo e sulla vita dei Maestri Passati,
saggi riconducibili al percorso martinista;
Contributi ­ è stato detto che la rivista è
aperta a quanti, animati da spirito
fraterno, desiderano contribuire allo
sviluppo del Martinismo, magari
offrendo il proprio apporto costruttivo
e la propria esperienza. In questa
sezione saranno raccolti gli articoli
ricevuti da martinisti che, sebbene
non appartenenti al nostro Ordine,
hanno il "desiderio" di offrire la propria
collaborazione;
9
forma egoica e di vanità, abbia la capacità di
illuminare la dimensione più intima di ogni
lettrice e lettore, connettendosi più con la
parte che ama anziché con quella che vuole
essere amata, cosa che fa del martinista, un
martinista consapevole.
• Vita dell'Ordine ­ è ovvio che l'Ordine è
caratterizzato da incontri, congressi,
comunicazioni e quant'altro possa essere utile
alla sua organizzazione e vita fraterna. In
questa ultima parte della rivista saranno
pubblicate quelle notizie utili a tutti i fratelli/
sorelle per restare aggiornati sugli eventi
riguardanti l'andamento dell'Ordine e su
alcuni aspetti operativi.
Che la Luce che non si spegne mai, brilli
sempre nei vostri (e nostri) cuori.
Un Q:::F:::A::: di fronte le N:::S:::L:::
Così come concepita si spera che BENNU
possa divenire non solo la rivista dell'Ordine
Martinista Cohen, ma piuttosto una rivista del
Martinismo, il cui contenuto, scevro da ogni
Iperion S:::I:::I:::
Loggia Silentium ­ Collina di Pescara
10
Rassegna Martinista
BENNU
Purificare la Luna
stati ammessi nel N:::V:::O::: ­ di
risvegliarci dal lungo sonno che ci ha
accompagnato durante la nostra esistenza,
si tratta – ancora ­ di “ricevere la fiamma
ardente che ci consentirà di vincere la potenza
delle tenebre”.
Non dormire sotto i cipressi, / poiché non c’è sonno
nel mondo. / ... / Il corpo è l’ombra delle vesti / che
coprono il tuo essere profondo. / Viene la notte, che è
la morte / E l’ombra svanì senz’essere. / Vai nella notte
solo un contorno, / uguale a te senza volere. / Ma nella
Locanda dello Stupore / ti tolgono gli Angeli il
mantello. / Prosegui senza mantello sulle spalle, / con
quel poco che ti copre. / Allora gli Arcangeli del
Sentiero / ti svestono e ti la­sciano nudo. / Non hai
vesti, non hai niente, / hai soltanto il tuo corpo, che sei
tu. / Infine, nella fonda caverna, / gli Dei ti svestono
ancora. / Il tuo corpo cessa, anima esterna, / ma vedi
che sono a te simili. / ... / L’ombra delle tue vesti /
Rimase tra noi nella Sorte. / Non sei morto tra i
cipressi. / ... Neofita, non esiste morte.
(Fernando Pessoa, Iniziazione, 23 May 1932)
L’iniziazione è un’introduzione sulla via, è
un percorso che conduce il neofita dal
mondo del manifesto, del sensibile, al
mondo dell’immanifesto, dell’occulto, ma
non per questo meno reale del primo.
Tuttavia, questa introduzione nell’occulto,
questo passaggio dal manifesto
all’immanifesto, non riguarda tanto un
modo diverso di intendere il “mondo
intorno a noi”, quanto, piuttosto, un nuovo
modo di intendere il “mondo in noi”.
Si tratta, infatti, sub specie interioritatis, di
avere una nuova visione di noi stessi, si
tratta di assurgere a nuova vita o a Vita
Nova, come direbbe il Poeta, si tratta –
come abbiamo sentito pronunciare dal
nostro iniziatore, il giorno in cui siamo
11
Quando da postulanti e uomini di
desiderio abbiamo ascoltato queste parole,
allora ha avuto inizio il nostro percorso
iniziatico.
Quel giorno, nel normale stato di
coscienza e un po’ frastornato, il
postulante, divenuto associato, suppone di
non aver compreso niente o di aver
appreso poco. Invece, il seme del suo
albero è stato ben piantato e si svilupperà
a perfezione con il solo rispetto di quelle
poche e basilari regole, mentre le
successive iniziazioni faranno il resto.
facile assimilazione, capaci di incidere, a
livello subliminale, l’immaginazione del
neofita.
L’iniziazione che ci pregiamo di aver
ricevuto ­ con l’ammissione al N:::V:::O::: ­
non è l’iniziazione virtuale che caratterizza
altre organizzazioni, ma è un’iniziazione
reale in cui, oltre ad un corpus rituale, vi è
un carisma trasmesso dall’iniziatore al
discepolo, quella fiamma ardente che ci
viene consegnata, per il tramite
dell’iniziatore, alla presenza dei Maestri
Passati che ne sono i garanti e testimoni.
Ricevuta
l’iniziazione, il
cammino che si
prospetta per
l’associato, e
comune ad ogni
martinista,
consiste nel
purificare la Luna.
La pratica di
purificazione è
comune a tutti i
percorsi iniziatici,
a partire
dall'antichità.
Ad esempio, non
sappiamo molto
delle tecniche
utilizzate nel
pitagorismo, ma è certo che la pratica
principale consisteva in una serie di
purificazioni, applicate a diverso livello.
Il famoso silenzio imposto da Pitagora ai
neofiti era una delle pratiche di
purificazione che è stata travisata nel
tempo, magari impedendo ai neofiti di
prendere la parola in talune circostanze e
ambienti.
Invece, il silenzio pitagorico era più un
liberarsi dal superfluo, da un modo di
È un seme che con l’aiuto dell’acqua, del
giusto calore del Sole (fuoco), dell’aria e del
rifugio della terra, crescerà sino a divenire
un possente albero, per dare i suoi fiori e i
suoi frutti.
I simboli e gli stimoli, ricevuti durante
l’iniziazione, gli insegnamenti ricavati
dalle tornate di loggia ed i lavori, fungono
da semi per l’inconscio dell’associato ed è
per questo che si utilizzano dei simboli di
12
Purificazione di quella parte che noi
chiamiamo personalità, che non è
l’individuo permanente, l’Io spirituale, il
nostro Sè, ma l’Io apparente, l’insieme
cioè delle qualità e delle caratteristiche
che l’individuo raccoglie attorno a sé
durante il corso di ognuna delle sue
molteplici vite. Sono tutte maschere che
sovente trasporta con sé vita dopo vita,
tutto ciò che riprende quando torna ad
incarnarsi, tutto ciò che l’individualità
raccoglie attorno a sé durante la vita
terrena. Ecco che allora:
­ purificare la Luna è quella decisione
cosciente, quell’atto di volontà che ci
consente di scartare tutto ciò che è
temporaneo e che appartiene alla
personalità inferiore.
­ purificare la Luna significa che le passioni
e gli appetiti del corpo, le emozioni
inferiori che ci sballottolano come nave
pensare ed esprimersi fuorviante e
dispersivo a causa di un linguaggio
analitico, per dare spazio a un più
illuminante pensiero sintetico, capace di
lasciar cum­prendere le leggi riconducibili
all'Uno, alla Causa Prima.
In altri ambiti, la purificazione è stata
fraintesa e accumunata ad una modalità di
penitenza per pervenire ad una ostentata
promessa salvifica da un non meglio
specificato peccato o colpa, magari
tramandato dalla notte dei tempi.
La purificazione deve essere per l'iniziato,
e dunque per il martinista, l'inizio di un
percorso per mettere a nudo la sua parte
più intima. Più precisamente occorrerà
parlare di autopurificazione perché l'opera
è essenzialmente individuale.
Purificazione della parte più "bassa" della
sua natura, finché tutto ciò che è
sovrastruttura sia disfatto.
13
senza nocchiero in gran tempesta, atti i cui
moventi provengono dall’esterno, devono
essere conosciuti, dominati e tenuti sotto
controllo.
­ purificare la Luna è un lavoro di
spersonalizzazione che può riassumersi
nelle seguenti massime: io non sono il mio
corpo, io non sono le mie emozioni, io non sono
i miei pensieri.
Come ci ricorda il G:::M:::P::: Giovanni
Aniel, questo processo di
spersonalizzazione è un farsi vuoto affinché
la pienezza dell’Incondizionato cominci a fluire
in sé.
È questa una vera impresa di alchimia
interiore, di trans­umanazione o, per usare
le parole di L.C. de S.M., è opera di
elevazione verso le superiori regioni spirituali.
È la rigenerazione, preludio all’opera di
reintegrazione e identificazione con la
Vita Una auspicata da Martinez de
Pasqually.
A questa natura originaria, in cui
l’iniziato si trova in armonia con il suo
Principio, deve condurre il percorso
iniziatico, a ciò l’iniziato deve finalizzare i
suoi pensieri, le sue parole e le sue azioni.
In questa sintesi unitiva, come dice il Ph:::
Inc:::, l’immagine divina si riforma, l’anima
umana si rigenera, le bellezze dell’ordine si
riscoprono e la comunicazione tra Dio e l’uomo
è ristabilita.
Iperion S:::I:::I:::
Loggia Silentium ­ Collina di Pescara
14
Ecce Homo
Annotazioni sul primo capitolo
Nella feconda produzione letteraria di Louis­Claude
de Saint­Martin, "Ecce Homo" rappresenta, per
brevità e chiarezza di intenti, un’opera
imprescindibile per la comprensione del suo
messaggio. Capolavori come “L’uomo di desiderio”,
“Il nuovo uomo” e così via altri, trovano infatti in
questo libricino opportuna introduzione e utile
chiarificazione.
È un’opera molto breve, dove
è difficile trovare una parola
a caso, e nella quale
appunto alcuni dei veicoli
interiori del percorso cardiaco
vengono introdotti e
comunicati in maniera
partecipata.
Ma è ben più di questo.
Se il cuore è uno dei limen
tra il temporale e
l’atemporale, se vi è
nell’organismo mortale, o
presunto tale, un reale
tabernacolo alla Presenza del
suo archetipo eterno, non
dovremmo allora dubitare
che la proposta del Filosofo
Incognito ci farà transitare
per ampi solchi tradizionali,
che si estendono ben oltre dotte e pigre etichette o
parole messe una in fila all’altra. Seguiranno
pertanto, a scopo di invito alla lettura, nel corso dei
numeri della rivista dei brevi e ovviamente parziali
commenti ai capitoli di questo libro.]
Sempre interessante la figura di Pilato. Come
tante nei Vangeli possiamo ritrovarla con più
o meno intensità in noi stessi. La Maddalena,
Pietro che rinnega, Tommaso che vuole
toccare, il semplice Giuseppe che si fida dei
sogni e così via ci raccontano, nella
declinazione della tradizione cristiana,
parabole interiori spesso
ineluttabili per chi vuole, o
almeno crede di volere (già
è qualcosa in fondo!),
conoscere e conoscersi.
Pilato è, come dire,
politicamente e
umanamente disincantato,
ma era e resta incuriosito da
Gesù; ascoltatolo, certo a
modo suo, vorrebbe
addirittura liberarlo. Ma
questo lo avrebbe esposto,
lo avrebbe compromesso.
Quante lavate di mani nella
storia dell’umanità e della
nostra coscienza! Ma
insomma non ravvedo in
Pilato propriamente uno
sciocco a tutto tondo: è
“solo” spiritualmente
fermo. Come lo si resta interiormente in tutti
quei piccoli episodi in cui non lo
riconosciamo “in azione” in noi stessi, nel
nostro piccolo mondo interiore e quotidiano.
Che poi tanto piccolo non è… come ci
spiegherà LCSM in questo bel libricino
scritto per una Principessa che ne aveva tanto
bisogno.
Passo avanti. Di Pilato mi resti in questo
contesto, la sua espressione: “Ecco l’Uomo!”.
Gesù dunque uscì, portando la corona di spine
e il manto di porpora.
E Pilato disse loro: «Ecco l'uomo!».
15
La manifestazione di Dio in terra flagellata ed
umiliata, preda delle furie del popolo, della
superbia dei sepolcri imbiancati, dell’inerzia
dei mediocri, non poteva forse trovare in quel
contesto parole più adeguate, sigillo più
propizio, alla purificazione, alla memoria, alla
meditazione.
I primi paragrafi del capitolo sono fulminanti.
Intanto si capisce
subito che i passi del
Filosofo Incognito
esigono essere riletti
più volte per poter
infine ammirare, per
quanto ci è possibile,
la loro chiarezza.
La “scintilla di verità
che brilla nella nostra
facoltà di concezione” è
un raggio di quella
stessa fiaccola da
dove si esprimono le
verità di quegli
assiomi delle scienze
esatte e naturali che
sentiamo
oggettivamente veri.
Anzi
compenetrandosi, la
mente e gli assiomi
naturali, rendono più sensibile la loro
reciproca forza intrinseca (calore) e la loro
luminosità (atta alla comprensione). Che poi,
come il calore e la luce, non si uniscano
sempre è un altro conto! Ma sia le facoltà
della nostra mente che quella delle verità
parziali, esempio le leggi geometriche,
possono vivere di vita propria e non per
questo essere meno vere.
Dopodiché LCSM alza subito la posta, e
proprio di tanto, traslando opportunamente
il discorso “all’anima umana che con uno
slancio che non può dare a sé stessa che non
spontaneamente, è elevata sino all’intimo
sentimento dell’essere universale che
abbraccia tutto”.
La certezza di Dio non è messa in discussione,
LCSM descrive con sicumera un’esperienza
mistica che al contrario degli assiomi parziali,
non ha bisogno né di ulteriori interrogativi né
di ulteriori speculazioni. Perché la
Conoscenza non è mappa, non è nozione,
non è parola detta o scritta, quantunque
ispirata, che pure ci scaldi il cuore o ci apra la
mente. LCSM ci parla
in chiaro di uno
slancio dell’anima, ci
parla di un’elevazione
ad un intimo
sentimento. Mi resti
allora di ascoltare la
sua testimonianza,
riguardo questo
itinerario verso
l’Essere universale che
abbraccia tutto: “Dio
e l’uomo sono degli
esseri veri che
possono conoscersi
nella stessa luce ed
amarsi nello stesso
amore”.
Vi sono forse in questi
preziosi paragrafi di
introduzione dei
rimandi ai misteri
trinitari, che mi limito ad annotare al
momento.
Il Filosofo Incognito continua: non saranno
gli sragionamenti degli uomini alterati, non
sarà la privazione di tale sublime coscienza, a
renderla falsa!
I “tesori divini”, i “tesori di verità” esistono,
sta a noi attentamente vagliare e scegliere se
mettere “a profitto” questa potente
comunione, possibile e reale per il semplice
fatto che lascia nella nostra anima traccia e
coscienza di sé.
La parte centrale del capitolo mi ricorda, in
un certo senso, retaggi platonici. Ad alcune
considerazioni più divulgative e di spiegazione
seguono attente riflessioni sull’appoggio dei
16
opere” e che per noi possa essere “sublime
vantaggio” e “soddisfazione” quella di
“facilitare ed assecondare questa
manifestazione” interrogandone
accuratamente testimonianza e segni.
Ed ecco la conclusione del capitolo I, di un
libro che probabilmente vuole far riconoscere
innanzitutto dell’umana miseria, ma che nel
contempo dichiara subito la Dignità
dell’Uomo.
“Chi altri più dell’uomo potrebbe essere
degno della nostra attenzione e rivelarci le
più grandi realtà?”; di quell’Uomo “dal quale
paiono uscire viventi dal suo pensiero e dal
suo cuore innumerevoli fiumi di fuoco”... e
così via.
segni e delle testimonianze esterne. LCSM
mette subito in guardia gli aspiranti filosofi:
“non confondete il medium con il principio,
l’organo della manifestazione con la fonte di
questa manifestazione”.
Ma ugualmente evidenzia grande importanza
alla percezione di tali segni, quasi essenziali
“nella regione temporale in cui siamo”.
Insomma siamo su un piano meta­percettivo e
di riflessione molto sottile, ma del quale i
nostri rituali riportano certamente ed
opportunamente traccia.
Mi viene subito in mente:
Perché come dice il Filosofo Incognito “Noi abbiamo
la necessità che vi siano fra gli uomini segni visibili,
agenti sostanziali ed esseri reali rivestiti come noi
della forma sensibile, ma che, nello stesso tempo,
siano depositari delle virtù prime che l’uomo ha
perduto e che cerca incessantemente intorno a sé”.
In realtà questa frase rileggendola bene apre
anche ad altre prospettive… il discorso di
LCSM resta più basato, o almeno così io
leggo, su una introduzione ad una percezione
pratica, platonica delle idee, per non affogare
nell’”immensità degli oggetti che ci
circondano”.
Viene inoltre distinta un’anima animale e
sensibile alla quale i nostri organi materiali
trasmettono l’impressione delle forme e delle
immagini e quindi un’anima pensante che ha
il potere di analizzare tali impressioni al fine di
individuare quali fatti attestino, o quali realtà
portino a manifestazione.
Viene ripetuta insomma quella “grande verità”
che “tutti gli oggetti che ci circondano sono
l’espressione di un’idea”.
Questo può dare anche, io credo, motivi
illuminanti alla nostra comune percezione ed
interazione con il mondo; ma anche alla
nostra meditazione e ritualità, alle traslazioni
simboliche (più vere del vero?) che viviamo
quotidianamente.
LCSM quindi ci ricorda che “la Saggezza
suprema ha delle idee e dei piani nelle sue
Siamo nel pieno di discorsi tradizionali, che
probabilmente si rivestirono nuovamente di
fulgida luce nel medioevo europeo neo­
platonico ed in tutte le correnti che ne
seguirono.
17
Vedremo nei seguenti capitoli come saranno
declinati tali proponimenti e quale viaggio
verrà proposto.
Al momento in tale dichiarazione d’intenti
mi sembra, anche, essere risuonato forte e
chiaro l’oracolare Nosce Te Ipsum nel suo senso
più alto.
Non voglio certo limitare o definire il
contesto storico­culturale di LCSM, che
evidentemente ci parla attraverso una sua
rivelazione cardiaca diretta, senza tempo, ma
non posso non sentire riecheggiare tutta una
serie di filosofi, artisti e maghi tanto cari ai
nostri studi: “L’uomo sembrando posto sotto
l’aspetto della divinità stessa, si propone
piuttosto come destinato a rifletterla
direttamente e, di conseguenza, a farcela
conoscere per intero”.
I proponimenti del libro arrivano dunque a
conclusione del capitolo: “raccogliamo
dunque le testimonianze dell’Uomo, non
lasciamolo prima di averlo accuratamente
interrogato, confrontiamo con lui stesso le
sue stesse deposizioni”.
Samas S:::I:::
Gruppo Nova Lux ­ Collina di Roma
18
Sentieri della Tradizione
BENNU
L'Ain e i suoi riflessi
All’origine di tutto nella tradizione cabalistica
vi è il nulla, l’Ain. Permutando queste tre
lettere in Ani il significato cambia nel
pronome personale “io”, come se il vuoto
originario e l’io siano i due punti del diametro
di un cerchio che parte dall’emanazione, arriva
alla mia coscienza, e ritorna al suo principio.
Inteso come qualcosa di perfetto al di là del
tempo e dello spazio che l’uomo non può
conoscere in nessun modo, David ben
Abraham ha­Lavan descrive così l’Ain :
“Ha più essere di ogni essere del mondo, ma è
semplice; e siccome ogni essere si riconosce nella
complessità viene assunto come il Nulla.”
Esiste così il Sole che non vediamo, il Sole
riflesso sugli oggetti e il raggio di Sole.
Ognuna di queste esistenze, chiamate Zahzaot,
possiede un nome:
• L’inconoscibile è Ain
• La proiezione come spazio (i nostri oggetti)
è Ain Soph
• La proiezione come tempo (il raggio) è Ain
Soph Aur
Nonostante l’assoluta impossibilità dell’uomo
di conoscere Ain, i cabalisti, in particolar
modo a partire da Isaac il Cieco, lo hanno
cercato attraverso un gioco di riflessi, come
quando contempliamo la presenza dell’astro
solare vedendone la luce sugli oggetti posati sul
tavolo o sulle pareti delle nostre abitazioni.
Questi raggi condividono con il Sole la loro
natura luminosa in una maniera che farà dire
a René Guenon in altro contesto tradizionale:
"La luce è essenzialmente una e la sua natura non è
diversa nel Sole e nei suoi raggi, i quali ultimi non si
distinguono se non in modo illusorio nei confronti
del Sole stesso." (Rivista di Studi Tradizionali,
1947).
Il senso di Ain che diventa Ani va in questa
stessa direzione.
Ain Soph, nome che pur indicando una delle
Luci di Ain è diventato per antonomasia il
nome di Dio, si è iniziato ad usare dal 1200
inizialmente come aggettivo per definire
qualcosa di infinito. Dal 1300 lo troviamo
quasi in tutte le pubblicazioni cabalistiche a
volte confuso con la Shekinah che, più
specificatamente, è la presenza di Dio nel
19
mondo, nell’uomo e nell’Universo ma che nei
percorsi più legati all’immanentismo tende a
coincidere con l’Assoluto. Se vogliamo
insistere sulla cosa è come se Ain Soph si
riferisse all’infinito e quindi ad una
condizione spiccatamente spaziale e Ain Soph
Aur all’eterno ossia al tempo.
creazione che è simile alla luce che cade sopra
gli oggetti.
Queste ultime due creazioni posseggono un
particolare contesto simbolico. Nel Sefer
Yetzirah infatti vengono incisi – Chalak ­ nel
fango, quindi togliendo qualcosa da una
materia già esistente formata da terra e acqua,
i 32 sentieri mistici di
Sapienza che generano
la Casa.
Successivamente
l’Eterno dà forma
all’Universo mediante
tre lettere Samekh, Peh
e Resh che formano le
parole Sepher – il testo,
Sephar – il numero, e
Sippur – la
comunicazione. Sepher
è l'elemento visivo, la
forma. Sephar è
l'elemento numerico/
ritmico e Sippur è la
vibrazione, il suono.
Queste tre lettere sono infine le radici della
parola Sephirah attraverso la quale la luce
acquisisce un suo colore che attesta una
specifica qualità.
Se quello che è stato scritto finora riguarda
una creazione che odora di fede in quanto
inconoscibile, ricordo l’importanza che per
l’ebraismo hanno le lettere e la loro
combinazione. Pertanto, ancora una volta,
assoluto inconoscibile e Io hanno la stessa
qualità e la creazione potrebbe quindi essere
vista come un ritorno, due semicirconferenze
che si completano nel cerchio.
Per questo, però, occorre un Sentiero.
Nel XV/XVI secolo si diffusero le prime
rappresentazioni grafiche cabalistiche a forma
di Albero anche grazie a opere come l’Ilan ha­
Gaddol di Meir Poppers e la Kabbalah
Denudata di Knorr Von Rosenroth.
Teniamo sempre in mente la coincidenza
qualitativa confermata dalla permutazione
delle tre lettere Ain in Ani, e riflettiamo sulla
aderenza semantica tra origine dell’universo e
origine dell’io. Quest’ultimo, quindi, ha una
consistenza vuota, meglio dire “silenziosa” per
il suo essere del mondo ma semplice e, così come
percepiamo l’esistenza di una persona
attraverso la sua voce, è in questa dimensione
ermetica di assoluto silenzio che percepiamo
l’esistenza originaria. Io sono quello.
La Creazione sott’intende l’avvenuta presenza
delle tre Zahzazot e infatti nel pensiero mistico
ebraico è triplicemente divisa. Esiste una
dimensione assoluta inconoscibile se non
mediante la perdita dell’Io da cui scaturisce la
creazione degli oggetti della Casa, la parola
Bereshit che ha per lettera iniziale la Beth, il cui
significato è appunto casa. Esiste, infine, una
20
La rappresentazione ad albero, l’Otz Chiim, ha
avuto l’indubbio vantaggio di identificare in
un colpo d’occhio il percorso della luce, il
raggio che si colora attraverso le Sefiroth
mediante dei percorsi di trasmutazione
interni chiamati canali, o Zinnot.
Osservando l’Albero Cabalistico, notiamo
alcune particolarità di cui spesso si legge e su
cui non è mai scontato riflettere.
E’ possibile innanzitutto dividere l’Albero in
tre colonne:
La colonna di destra è la colonna della Grazia,
formata dalla Saggezza (Hokmah), dalla
Grandezza, o dall’Amore (Gedullah) e dalla
Vittoria (Netzach). E’ la colonna delle forze
ampliatrici, positive di segno e maschili.
L’Espansione.
La colonna di sinistra è la colonna della
Severità, formata dall’Intelligenza (Binah), dal
Potere o dalla Severità (Gevurah) e dalla
Maestà (Hod). E’ la colonna delle forze
limitanti, negative di segno e femminili. Il
Contenimento.
Considerando il contenimento come l’utero
che accoglie il seme, in questo senso
femminile, e l’espandere come il seminare e
avendo contezza dei tre triangoli che si
vengono a formare a partire dal basso del
nostro albero, il triangolo naturale legato al
fisico, quello psichico legato all’anima e
quello dell’intelletto legato allo Spirito
vediamo inoltre come, a sinistra, Hod
contiene il naturale, Geburah lo psichico e
Binah l’intelletto così come, a destra, Netzach
amplia il naturale, Gedullah lo psichico e
Hokmah l’intelletto.
La colonna centrale, che sorregge l’intero
Albero è la colonna dell’Equilibrio e della
Bellezza, formata dalla Corona (Kether), dalla
Bellezza o dalla Misericordia (Tiphereth), dal
Fondamento o dal Giusto (Yesod) e infine dal
Regno (Malkuth).
Assume questo nome in quanto nel suo
proiettarsi equilibra le forze contenitrici e
quelle espansive.
Così Yesod equilibra Netzach e Hod; Tiphereth,
Gedullah e Gevurah; Kether, Hokmah e Binah.
L’Ani, l’Io, è attraverso i tre libri, ossia Sepher,
Sephar e Sippur, che contempla l’Eterno e
l’Infinito percependo l’inconoscibile. Questi
tre libri sono raccolti nella parola Sefirah.
Le Sefiroth sono vetri colorati, oggetti della
casa, che raccolgono la luce e le danno una
specifica qualità attraverso la quale il nostro
corpo, la nostra anima e il nostro intelletto si
proiettano in una direzione compiendo un
viaggio.
I tre triangoli, il naturale, lo psichico e
l’intellettuale, sono l’Ain, l'Ani, il Nulla che si
muta in Io. Questo avviene quando dal
parlare di Dio parliamo con Dio sino a essere
Dio. Questo è il serpente che si morde la
coda, la circonferenza chiusa, il ritorno che
mette fine al Tikkun.
Bes S:::I:::
Gruppo Anubi ­ Collina di Palermo
21
La Principessa perduta
Racconto esoterico-cabalistico
di Rebbe Nachman de Breslev (trad. fr. di Rabbi Israël Itshak Besançon)
Rabbi Nachman rispose e disse:
"Lungo la strada, raccontai una storia e tutti quelli
che l'udirono provarono un senso di pentimento".
Ecco, questa è la storia ...
""""C'era una volta un re che aveva sei figli e
una figlia. Questa ragazza era molto preziosa
per lui, e lui l'amava molto. Gli piaceva molto
la sua compagnia.
Un giorno, mentre erano insieme, il re si
arrabbiò con lei. E queste parole uscirono
dalla sua bocca:
"Possa il 'non­buono' portarti via!"
(Il non­buono ­ lo tov ‫) לא טוב‬
La sera [la principessa] andò nella sua stanza.
Il mattino dopo, nessuno sapeva dove fosse. Il
padre si addolorò terribilmente; andò a
cercarla di qua e di là...
Poiché aveva notato il profondo dolore del re,
intervenne il viceré e chiese [al re] di dargli
un servo, un cavallo e dei soldi per le sue
spese. Poi andò a cercarla.
La cercò, ricercò e cercò ancora, ... per molto
tempo ... fino a quando, non la trovò.""""
Dopo aver percorso una lunga strada, il
viceré, scoprì un castello con molti soldati in
piedi e intorno.
Questo castello era magnifico e i soldati
erano ben organizzati.
Temeva che le guardie non lo avrebbero
lasciato entrare.
Pensò e disse a se stesso: "Ci proverò!"
Lasciò il cavallo e si diresse verso la fortezza.
Gli fu permesso di passare. Non fu
trattenuto. Passò da una stanza all'altra senza
alcun ostacolo.
Ecco la storia della sua ricerca e della sua
scoperta...
""""Camminò a lungo [il viceré] nei deserti,
nei campi e nelle foreste. La cercò molto,
molto a lungo.
Stava camminando nel deserto quando vide
un sentiero sul lato. Pensò e disse a sé stesso:
"Ho viaggiato così a lungo in questo deserto senza
riuscire a trovarla! Prenderò questo sentiero! Forse
raggiungerò terre abitate? "
22
"Sì!" Rispose il vicerè. "Ti conosco, tu sei la
principessa che si è persa!"
Poi le chiese: "Come sei arrivata qui?"
"A causa della parola di mio padre ­ rispose la
principessa ­ "che il non­buono ti prenda", perché
qui è precisamente il posto che "non è buono!"
Il vicerè le raccontò quanto fosse triste suo
padre e per quanti anni l'avesse cercata.
Poi le chiese: "Come potrei farti uscire?"
"Sarai in grado di tirarmi fuori ­ rispose lei ­ solo
se scegli un luogo appartato e rimani lì per un anno
intero. Per tutto questo anno, dovrai struggerti per
me e pensare come tirarmi fuori. In ogni momento
della tua giornata, ti struggerai, desidererai e
spererai di tirarmi fuori di qui. E tu digiunerai.
Giunto l'ultimo giorno dell'anno, digiunerai di
nuovo e per ventiquattro ore ... non dovrai
dormire!"
Il vicerè andò via e seguì le indicazioni della
principessa. Poi, alla fine dell'anno, l'ultimo
giorno, digiunò e non dormì.
Si alzò e andò al castello della principessa per
riprenderla.
Lungo la strada vide un albero su cui erano
cresciute mele molto belle tanto da indurlo in
tentazione. Si avvicinò ... e ne mangiò una.
Arrivato nella sala d'accoglienza del re, vide il
re in trono con la sua corona, circondato da
molti soldati.
Tanti musicisti suonavano i loro strumenti,
era così bello, così meraviglioso ... né il re, né
nessun altro, gli dette importanza e lo
interrogò.
C'era una tavola imbandita con piatti
succulenti e appetitosi. Si accomodò alla
tavola e mangiò. Poi andò a stendersi in un
angolo per osservare il corso delgli eventi.
Vide che il re invitava la regina a raggiungerlo
e per questo un corteo si recava a prenderla.
La sala era invasa da un gran tumulto e da
una grande gioia.
I musicisti, alla vista della regina, prendevano
a suona re e cantare più forte!
Un trono veniva sistemato per lei accanto a
quello del re.
Ma questa regina ... era lei ... la principessa
scomparsa!
Il viceré la vide e la riconobbe. Anche la
regina, guardando i convenuti nella sala vide
l'uomo disteso nell'angolo e lo riconobbe.
Si alzò dal suo trono, andò da lui, lo toccò e
gli chiese: "Mi riconosci?"
23
Ci dovrebbe essere acqua. Ma il colore è rosso e
l'odore è quello del vino! "
Si avvicinò e assaggiò un po' dell'acqua di
fonte.
Immediatamente, crollò e si è addormentò
per molti anni ... settanta anni!
Molti soldati passarono con le loro
guarnigioni al seguito; il servo si nascose a
causa dei soldati.
Poi sopraggiunse una carrozza in cui era la
principessa.
Riconosciuto il servo, si fermò vicino a lui,
scese dalla carrozza e si
sedette accanto al vicerè.
Provò a lungo con tutte
le forze a svegliarlo, ma [il
viceré] non riusciva a
svegliarsi!
Lei cominciò a
rammaricarsi: "Tanta
fatica e tanto dolore, dato
che da così tanti anni si
sacrificava per tirarmi
fuori ... e per un solo giorno
ha davvero perso tutto! ­
pianse a lungo ‐ È pietoso
per lui ... e per me! È passato così tanto tempo da
quando sono qui! E non posso uscire! "
Quindi, si tolse una sciarpa dalla testa e ci
scrisse sopra, con le proprie lacrime; lei la
mise vicino a lui, si alzò e riprese il suo posto
nella sua carrozza.
E andò via.
Più tardi, [il viceré] si svegliò.
"Dove sono su questa terra?"chiese al domestico.
[Il domestico] gli raccontò tutta la storia ... dei
tanti soldati passati, poi della carrozza e del
pianto della principessa per lui ... del suo
rammarico: "Che peccato per lui e per me!".
Nel frattempo, guardò e vide accanto a lui la
sciarpa e chiese: "Da dove viene questa?"
Il servitore rispose: "L'ha lasciata la principessa;
ci ha scritto con le sue stesse lacrime!"
Non appena ebbe mangiato la mela, crollò e
fu preso dal sonno. Dormì molto a lungo. Il
suo servitore cercò di svegliarlo, ma non ci
riuscì.
Quando si riprese dal sonno, chiese al
servitore: "Dove sono, dove mi trovo?"
Il servitore gli raccontò tutta la storia, e disse:
"Hai dormito per molto tempo ... hai dormito per
diversi anni! Io ho vissuto mangiando questi frutti."
Il viceré, molto rattristato, ritornò
nuovamente al castello e la ritrovò [la
principessa].
Si lamentò e lo riproverò [la principessa]:
"Per un giorno solo, hai perso! Perché se tu fossi
venuto quel giorno, avresti potuto farmi uscire!
Oh! Non mangiare è una cosa molto difficile!
Soprattutto l'ultimo giorno: in questo momento, la
cattiva inclinazione (ietzer ha ra) diventa ancora
più forte ... quindi, torna indietro e scegli un posto;
devi stare lì per un altro anno! Poi l'ultimo giorno,
avrai il diritto di mangiare ... ma non dormire!
Tuttavia, non dovrai bere vino per non
addormentarti ­ perché la cosa principale è il sonno
[il non dormire]."
Se ne andò e fece così [il viceré].
L'ultimo giorno dell'anno, mentre stava
andando là, vide una sorgente che scorreva. Il
colore di questa fonte era rosso e l'odore era
quello del vino.
"Hai visto?" ­ disse al domestico ­ "È una fonte!
24
Il viceré, scoraggiato, pianse: "Esiste
sicuramente! Deve certamente esistere! "
Ma il gigante nuovamente lo scoraggiò. "Ti
hanno detto sciocchezze!"
Il viceré insistette: "Deve sicuramente esistere da
qualche parte!"
"Secondo me ­ disse il gigante ­ ti hanno detto
sciocchezze... ma tu insisti. Ascolta, io sono il
ministro di tutte le bestie selvagge. Ti farò un favore
e chiamerò qui tutte le bestie selvagge. Viaggiano
per il mondo intero; forse una di loro saprà
qualcosa di questa montagna e di questo castello."
Raccolse tutte le bestie selvagge dalla più
piccola alla più grande e chiese loro. Tutte
risposero di non averli mai visti.
"Vedi? Ti hanno detto sciocchezze! Se vuoi
ascoltarmi, torna indietro perché non lo troverai;
non esiste in questo mondo!"
Il viceré insistette molto: "Deve sicuramente
esistere!"
Il gigante gli disse: "Ho un fratello in questo
deserto. È il ministro di tutti gli uccelli. Forse lo
sanno, volano così in alto nell'aria. Forse hanno
visto questa montagna e questo castello. Vai da lui
e digli che ti ho mandato io da lui ."
Camminò per anni alla sua ricerca. Di nuovo,
incontrò un altro gigante che portava anche
lui un albero immenso e lo interrogò come il
primo. Gli raccontò tutta la storia e aggiunse
che suo fratello l'aveva inviato da lui.
Ma il gigante lo
scoraggiò dicendo che
non esisteva.
Il viceré insistette
molto: "Deve certamente
esistere!"
Il gigante gli rispose:
"Sono il ministro di tutti
gli uccelli. Li chiamerò,
forse loro lo sanno?"
Raccolse gli uccelli e
chiese a tutti, dal più
piccolo al più grande.
Il viceré afferrò la sciarpa e la sollevò
tendendola verso il sole. Cominciò a
distinguere le lettere. Lesse ciò che vi era stato
scritto: le sue lamentele, il suo rammarico, il
suo pianto ... e che ora, non era più al castello
ma doveva cercare una montagna in oro con
un castello di perle: "Lì, mi troverai!"
Abbandonò il suo servitore e andò a cercarla
da solo. La cercò per molti anni. Pensava che
dove ci sono uomini non avrebbe sicuramente
trovato montagne d'oro o castelli di perle.
Esperto di carte e mappe geografiche pensò:
"Andrò a cercare nei deserti."
Andò nei deserti e la cercò invano per molto
tempo. Dopo alcuni anni incontrò un uomo
molto alto le cui dimensioni non erano
umane. Portava con sé un enorme albero mai
visto di queste dimensioni nei luoghi visitati.
Quest'uomo [gigante] gli chiese: "Chi sei?"
"Sono un uomo!" rispose [il vicerè].
Il gigante si meravigliò e disse: "Sono stato in
questo deserto per molto tempo e non ho mai
incontrato un uomo!"
Il viceré raccontò tutta la storia ... che stava
cercando una montagna d'oro con un castello
di perle.
Il gigante rispose che una cosa del genere non
esisteva certamente!
Poi lo scoraggiò e gli disse: "Ti hanno raccontato
delle sciocchezze perché certamente non esiste!"
25
Rivolto al vicerè il ministro dei venti disse:
"Hai impiegato così tanto tempo e ti sei dato così
tanta pena! E ora avrai un ostacolo a causa della
mancanza di denaro! Ma voglio aiutarti. Ecco
questo vaso. Quando ne avrai bisogno immergi la
mano e ne ricaverai del denaro."
Quindi ordinò a questo vento di fare strada e
condurre il vicerè lassù. Il vento lo guidò fino
alla porta della città. C'erano soldati lì che
controllavano l'accesso.
Il vicerè affondò la mano nel vaso e prese dei
soldi da dare alle guardie con cui facilitò
l'accesso. Entrò nella città. Era bellissima!
Da un abitante affittò una ricca camera dove
sostare, perchè occorreva agire con
Intelligenza ­ con Saggezza ­ per fare
riguadagnare la libertà alla principessa!
Perché è ciò che va fatto.""""""""
Gli uccelli risposero che non conoscevano
questa montagna e questo castello. Il gigante
disse: "Vedi? Di certo non esiste in questo mondo!
Se vuoi ascoltarmi, torna indietro perché
sicuramente non esiste."
Ma il viceré insistette ancora: "Certamente,
certamente devono esistere sulla terra!"
Il gigante gli rispose: "In questo deserto, c'è mio
fratello che è il ministro di tutti i venti. I venti
corrono in tutto il mondo. Forse ne sapranno
qualcosa? "
Cercò ancora per molti anni. Di nuovo
incontrò un gigante che trasportava anche lui
un albero immenso e lo interrogò allo stesso
modo.
Gli raccontò tutta la storia. Anche questo
gigante lo scoraggiò. Ma il viceré lo implorò.
Il gigante gli promise di raccogliere tutti i
venti per lui e di chiedere loro. Li chiamò e
tutti i venti si presentarono. Chiese a tutti, ma
nessuno di loro sapeva nulla della montagna
o del castello. Il gigante gli disse: "Vedi? Ti
hanno raccontato delle storie!"
Il viceré iniziò a lamentarsi molto forte, ed
affermò : "So che esiste, con certezza! ..."
Nel mentre, giunse un
altro vento, in ritardo sugli
altri. Il ministro,
perentorio, chiese a questo
vento: "Perché vieni così
tardi? Eppure a voi tutti
avevo chiesto di giungere in
tempo! Perché non sei venuto
con loro "
Il vento gli rispose: "Ho
ritardato perché ho dovuto
portare una principessa su
una montagna in oro dove
c'era un castello in perle!"
Il viceré ebbe un sussulto di gioia.
Il ministro chiese al vento: "Come ci si arriva?"
"Ci vuole tanto denaro, è molto costoso!" [rispose il
vento].
Come è stata salvata, Rabbi Nachman non
l'ha mai scritto; ma alla fine la pricipessa è
stata fatta uscire.
Amen, Sela' 1!
Storia della Principessa Perduta è un racconto
esoterico­cabalistico di Rabbi Nachman di
Breslav (1772­1810), contenuto nel Sippurei
Ma'asiyot, 13 racconti in ebraico e yiddish
pieni di profondi significati mistici.
26
Viaggio.
Il Principe rappresenta anche l'Umanità o
quella parte di essa che decide di compiere il
Viaggio di ricerca ... che altro non è che un
viaggio di ritorno.
Diverse storie frammentarie sono incluse
anche nella traduzione di Rabbi Aryeh
Kaplan dei racconti completi di Rabbi
Nachman.
Questa versione di Storia della Principessa
Perduta è una traduzione, dall'ebraico in
francese, di Rabbi Israël Itshak Besançon.
Tempo fa la tradussi dal francese per pochi
amici e per raccontarla alle mie figlie.
Ecco una mia chiave di interpretazione.
La Shekina' ‫ ­ שכינה‬la Principessa , è in esilio
nella 10ª Sephira, Malkut ­ Il Regno...
Nella Kabbalah,
rappresenta il
principio femminile,
ricettivo e passivo,
del mondo divino.
È anche la moglie.
La sua unione con
la sesta sefira,
Tipheret o lo Sposo, è
la condizione
dell'armonia del
mondo divino, di
cui quella del
mondo inferiore è
solo un riflesso.
Il Cavallo ed il
Servitore,
rappresentano il
corpo fisico e la
struttura razionale
della mente
umana ... ma
questa, è solo una
delle possibili chiavi
interpretative.
Il Principe, elemento maschile, il Re, lo Sposo
sono rappresentati dalla sephira Tipheret
(magnificenza).
L'unione mistica del principio maschile e del
principio femminile simboleggia tutti gli sforzi
per pervenire all'unità divina, unico scopo del
Arie' A:::I::: ­ Gruppo Stanislas de Guaita ­
Collina di Bari
Note:
1. In ebraico, la parola Sela' significa "pausa", intesa
come un momento per riflettere, una sospensione dal
visibile, un chiudere la porta a tutto ciò che arreca
rumore dall'esterno.
27
BENNU
La Parola ritrovata
Introduzione sommaria
all'Ordine Martinista
L’Ordine Martinista è
l’espressione degli
insegnamenti di Martinez de
Pasqually, di L. C. de Saint
Martin e dei suoi Maestri, di
Papus, di Stanislao de Guaita
e dei loro ispiratori tutti
rifacentisi a quell’occultismo
occidentale che affonda le sue
radici nella tradizione egizio­
atlantidea e che è permeato dalla saggezza
esoterica proveniente da canali diversi,
segnalatamente dal canale gnostico­cristiano e
kabbalistico.
L'essenza di questi insegnamenti contenuti in
ponderose opere scritte, viene trasmessa
mediante una semplice cerimonia di iniziazione
rituale.
Il Martinista approfondirà in
seguito questi scopi non
fermandosi alla lettera, ma
penetrando dietro la
significazione nascosta
dall’antropomorfismo
utilizzato dai Maestri per
enunciarli. I mezzi che offre
per il raggiungimento di questi
scopi sono individuali e
collettivi, il Martinista cioè viene posto in
grado di compiere sia individualmente, sia in
comunione con gli altri membri dell’Ordine,
il lavoro di reintegrazione.
Scolasticamente — e quindi non
iniziaticamente — possiamo, su tale assunto,
costruire il seguente schema:
1. Lavoro individuale
a) Scoperta della vera natura e del vero essere
dell’uomo.
b) Lavoro di liberazione delle scorie che
imprigionano l’uomo qui «in basso», lavoro di
ordine interiore ed «operativo».
c) Contribuzione personale alla reintegrazione
universale mediante la partecipazione alle
operazioni.
2. Lavoro Collettivo realizzantesi mediante la
partecipazione attiva al lavoro di catena avente
come effetti:
d) L’intercambio energetico tra gli anelli della
catena.
e) L’utilizzazione delle energie singole
simpaticamente agenti per il potenziamento della
catena e per le operazioni di purificazione dell’aura
terrestre. Riti giornalieri, mensili, equinoziali.
Aperto agli uomini come alle donne, il
Martinismo è un raggruppamento iniziatico
che possiede:
­— una dottrina filosofica e mistica;
— un metodo di lavoro individuale e di
gruppo;
— una linea di ispirazione sulla quale i membri
debbono operare secondo le proprie possibilità
individuali.
Gli scopi principali che l’Ordine propone ai
suoi membri sono essenzialmente due:
1. — la riconciliazione e la reintegrazione
individuale;
2. — la reintegrazione universale.
28
Indipendentemente dalle «tecniche» usate
dall’iniziato egli potrà agire anche
«operativamente». Tale lavoro che comporta la
messa in azione di operazioni che, seguendo
gli schemi tradizionali (purificazioni, regime
alimentare, preghiera magicamente intesa,
allestimento di un luogo operatorio, ecc...) e
particolari rituali (segnalatamente
martinezisti) apporta all’operatore che ha un
cuore puro ed una fede sincera degli effetti
sensibili consistenti in genere in una visione
diretta di lampi e di glifi (i «passi») che
rappresentano dei segnali sul cammino della
reintegrazione e che confermano la validità
del lavoro e la sua progressione.
Tale schema che si fonda su convincimenti
personali, indipendentemente dalle Scuole, e
trova la sua giustificazione nello studio e nella
applicazione pratica degli insegnamenti
esistenti nella letteratura di ispirazione
martinista.
Sommariamente possiamo approfondire
quanto esposto nello schema sacrificando alla
chiarezza (e quindi peccando di leggerezza)
l’interiore profondità degli insegnamenti dei
Maestri Passati e di quelli viventi qui «in
basso».
a) L’uomo, per L. C. de S. Martin, è la somma
di tutti i problemi. È lui stesso un problema,
l’enigma degli enigmi. Non si può
comprendere l’uomo per mezzo della natura,
ma la natura per mezzo dell’uomo. Louis­
Claude de Saint Martin invita l’uomo a
considerare se stesso e ad analizzare la realtà
che avrà scoperto in tal modo. Così l’uomo
scoprirà il suo vero rango e percepirà
l’armonia del mondo secondo il famoso
adagio di Delfo. «Conosci te stesso e
conoscerai l’Universo e gli Dei!». L’uomo,
malgrado la sua «degradazione» porta sempre
con sé evidenti i segni della sua origine divina.
Incatenato sulla terra come Promoteo, esiliato
dal suo regno, quale fine si potrà proporre se
non quella della reintegrazione?
c) Il contributo alle operazioni per la
purificazione dell’aura terrestre avviene
mediante la partecipazione attiva (come
«operatore») a queste.
d) La catena martinista permette che si
stabilisca un intercambio energetico tra
fratello e fratello, tra fratello ed eggregore. Per
suo mezzo si creano inoltre quelle energie che
saranno utilizzate per gli scopi generali
dell’Ordine.
e) L’atmosfera astrale del nostro globo è
infestata:
1. dai pensieri negativi emessi dagli uomini;
2. dalle forze negative di esseri non corporei
(sono queste forze che generano i mali
dell’umanità e si frappongono alla sua
rapida ascesa evolutiva: guerre, odi razziali,
religiosi, sociali, di caste, di collettività,
desideri egoistici, ecc...).
Soltanto le operazioni teurgiche, veri e propri
esorcismi, sono in grado di combattere questa
negatività con successo. Operazioni teurgiche
collettivamente eseguite hanno una forza che
aumenta in senso geometrico in rapporto al
numero degli operatori e, spostando anche di
poco la polarità dell’ambiente «astrale»,
contribuiscono alla grande opera della
reintegrazione universale.
b) Una volta conosciuta la sua vera natura egli
non aspirerà che alla liberazione dalla prigione
e dopo aver indagato sui mezzi a sua
disposizione, inizierà quel lavoro di
decondizionamento, di decantazione e di
purificazione che lo condurrà, dopo aver
realizzato il noto quadruplice motto: osare,
tacere, sapere, volere, ad operare quella
trasmutazione di alchimia spirituale avente
come fine la strutturazione di un tipo d’uomo
differente dalla umanità media, certamente ad
essa superiore per evoluzione e per possibilità,
«riconciliato e reintegrato nelle sue primitive»
qualità e potenza.
29
La catena martinista può naturalmente
dedicare le sue energie positive a combattere
la negatività su tutti i piani, particolare
attenzione viene posta anche alle operazioni
di «guarigione».
l’intervento dell’Eggregoro di catena permette
che il «piccolo arcano» di per sé ineffabile venga
intuito dall’adepto o rivelato.
Il possesso del piccolo arcano naturale permette
l’avviamento all’ulteriore fase di lavoro.
Senza questa intuizione o rivelazione non v’è
possibilità di progresso in quanto nessun
essere vivente, nessun istruttore, può spiegare
chiaramente il segreto.
È solo l’appartenenza all’Ordine,
l’applicazione della «regola» e la pratica
costante che aprono queste possibilità.
È quindi risibile qualsiasi organizzazione che
si definisca iniziatica (indipendentemente
dalla denominazione ch’essa assuma) senza il
possesso effettivo degli Arcani e di un
Collegio Operativo in grado di trasmettere ai
chiamati le istruzioni relative al piccolo ed al
grande magistero.
Questa introduzione sugli scopi e sui mezzi
atti a conseguire tali scopi è certamente
carente, ma il completamento di questo
schema volutamente semplice, è compito del
Fratello che intraprende l’ascesa, attraverso la
comprensione degli insegnamenti successivi e
soprattutto attraverso la pratica indispensabile
per qualsiasi progresso.
Perciò ricordiamo ancora un passo del De
Guaita che è da meditare profondamente:
«Noi ti abbiamo “cominciato”: il ruolo degli
Iniziatori deve fermarsi qui. Se tu perverrai da
te stesso all’intelligenza degli Arcani, tu
meriterai il titolo di Adepto; ma sappi bene
ciò: è invano che il più sapiente dei Maestri ti
riveli le supreme formule della scienza e del
sapere magico; la Verità Occulta non si può
trasmettere con un discorso: ciascuno deve
evocarla, crearla e svilupparla in sé.
Infatti non dobbiamo sottacere una Verità
fondamentale, senza la quale la comprensione
effettiva del Martinismo sarebbe
desolatamente tradita e la verità è questa: nel
Martinismo si pone come scopo
fondamentale ed irrinunciabile la
reintegrazione per ottenere la quale si deve
giungere alla pratica trasmutatoria che in
termini più correnti e comprensibili è
alchimia.
Tu sei Iniziato: sei uno che gli altri hanno
messo sulla Via; sforzati di divenire Adepto;
uno cioè che ha conquistato la scienza da se
stesso, o, in altri termini, il Figlio delle sue
opere».
Nebo S:::I:::I::: ‐ Maestro Passato
Alla trasmutazione si giunge attraverso la
pratica (e mai attraverso la pura teorizzazione)
anche fideistica, la quale mediante
Tratto da: Francesco Brunelli, Il Martinismo e l'Ordine
Martinista, Editrice Volumnia, Perugia, 1980, pp.192­
195.
30
BENNU
L'ottava
Contributi
lettera di Raimondo de Sangro
sulla Lampada Eterna
Anche oggi si potrebbe costruire una
lampada al fosforo, con gli stessi principi di
quelle che chiamano macchine anatomiche
ma che io feci costruire, più con i miei
principi ermetici che con quelli scientifici
(che non conosco bene) ma che per affinità
simbolica (ciò che in alto è come ciò che in basso)
si possono comunque parificare.
Cara,
era l’agosto de 1754.
Nella mia stanza sotterranea ero solo con il
mio lume, che avevo fabbricato con una
sostanza imparentata con la nascita di una
galassia che è la nostra dimora.
Cara Signora Celeste, sapendo che noi siamo
in questa galassia, uniti saranno i nostri volti
che saranno i nostri ricordi.
Il mio lume è fatto di fosforo, e non deve
avere ossigeno, di cui non si alimenta, e dal
silenzio della mia camera di riflessione.
Nel ciclo delle esistenze il tempo si è fermato,
ed è solo l‘eternità l’unico parametro in cui il
mio lume risplende.
La scienza è forse l’unica verità?
L’aver rinunciato ai miei amati termini
ermetici esprime forse chiaramente una verità
qualsiasi?
La conoscenza ci porta ancora agli antenati
egizi, della valle dei re, che sono riusciti a dare
eternità ai corpi.
Non potrebbero forse, con i medesimi
materiali, aver costruito una lampada
inestinguibile?
Igneus S:::I:::I:::
Reggente Libere Logge Martiniste Toscane
N.d.c.
Le lettere alchemiche sul Lume Eterno sono l'unico
scritto esoterico redatto da Raimondo de Sangro, nel
1753, di proprio pugno.
Le lettere ritrovate con cui il principe informava della
sua scoperta Giovanni Giraldi, accademico della
Crusca, sono sette.
Igneus, in questo suo articolo, immagina e propone
l'ultima lettera del carteggio fra i due studiosi.
Ovviamente, l'interpretazione è lasciata ai singoli: si
potrebbe ­ ad esempio ­ paragonare il candeliere al
corpo, la candela all'anima (o allo spirito) e la fiamma
allo spirito (o all'anima).
31
Il Trilume
Note al cap. IV di "Degli Errori e delle Verità"
di Rebbe Nachman de Breslev (trad. fr. di Rabbi Israël Itshak Besançon)
Ho annunciato questa causa attiva e intelligente
dicendo che ha un'azione universale, sia sulla natura
corporea che sulla natura pensante. Essa è, in effetti, la
prima delle cause temporali e senza la quale nessuno
degli esseri esistenti nel tempo, può sussistere; agisce su di
essi attraverso la legge stessa della sua esistenza e per i
diritti che le dà la sua destinazione nell'universo. Quindi
sia che gli esseri che abitano questo universo la
concepiscano sia che non la concepiscano, non ve n'è uno
che non ne riceva gli aiuti, e poiché essa è attiva e
intelligente, bisogna che gli esseri pensanti partecipino ai
suoi favori come gli esseri che non lo sono
Come poter loro porgere un pensiero che
affonda le sue radici in una realtà eterna
sempre esistente, ma ormai sempre più
lontana a causa di una aggressione
tecnologica che ci disumanizza sempre di più?
(Louis­Claude de Saint­Martin ­ Degli errori e della Verità)
Il caro Ovidio La Pera (Yohannes S:::I:::I:::) è
passato oltre il velo il 20 giugno dello scorso
anno, dopo una lunga malattia e invalidità.
L’anno appena trascorso, come per molti, è
stato molto pesante.
Gli sono stata vicino fino alla fine e non è
stato facile. Dopo la sua morte ho impiegato
tre mesi per riprendermi, anche fisicamente.
Nella sua soffitta ho trovato otto scatoloni
pieni di “Degli Errori e della Verità” di Saint­
Martin, freschi (si fa per dire) di stampa.
Li ho presi e ho iniziato a sparpagliarli in tutta
Italia, sulle panchine, sui treni, nei luoghi
frequentati da molti.
Beh, si vede che questo è servito a mettere in
moto qualcosa perché da allora gruppi
esoterici di varia natura hanno iniziato ad
interessarsi a Saint­Martin.
Poi, verso ottobre, ho avvertito io un impulso.
Ho sentito che dovevo riprendere in mano
proprio quel libro.
Tutto nato dopo una frase di un fratello che si
poneva l’interrogativo riguardo alla docetica e
della trasmissione: cosa diamo a chi viene?
Ho sentito che questo potevo provare a fare: il
linguaggio di Saint­Martin oltre che esser
difficile è poco comprensibile anche perché
ha una struttura francese e del settecento.
Ovidio ha fatto una traduzione fedelissima,
perché non voleva tradire il Maestro, ma ciò
scoraggia molti.
Ho pensato allora di snellire il linguaggio,
come avevo fatto a suo tempo col “Della
triplice vita”, con “Dei tre principi”, e con
“Chiave” del Bohme.
Con Ovidio avevamo fatto allora un lavoro a
tenaglia nel senso che uno traduceva e l’altro
32
purtroppo, è sempre più
lontana. Perciò siamo
preda delle paure, e della
nostra mente, il cui
tessuto perlopiù è fatto
di paura (con anche una
piccola parte sana che
serve per svolgere la
funzione per cui era
nata). La fiducia nella
forza della vita, vita
racchiusa nelle forme,
che le trascende, ma che
si esprime mediante esse,
è la fonte di ogni
coraggio: mai frenare con
la paura il flusso
dell’esistenza.
Di quel fiume possiamo saggiamente
imparare a conoscerne le leggi per non esser
travolti dai gorghi e per nuotarvi senza
affondare, rispettandolo, ma mai esserne
spaventati in modo cieco ed esserne travolti
(“l’uomo del torrente”), perché il nostro compito
è farlo esprimere attraverso la nostra forma:
un fiume non è né male né bene, la sua
acqua va solo contenuta e assecondata.
Una frase del Bohme mi martella sempre in
testa “l’eterno giace nel tempo e per suo mezzo si
manifesta”.
Vi vedo il senso della croce: l’eterno è la
verticale, il tempo l’orizzontale, che scorre, il
punto centrale è ciascuno di noi che in quel
momento ha il compito di esprimere, qui su
questa terra, la vita che gli pulsa nel petto.
La paura uccide questa vita, e la uccide se
non la manifesta, se non la esprime.
Vita è espressione, e ogni fiore la esprime
nella forma della sua anima, senza nessuna
invidia per la forma di un altro, perché
ciascuno ha il suo senso, il suo posto.
Quindi ho iniziato questo lavoro a novembre.
Nel suo sviluppo mi si è affacciata alla mente
correggeva e viceversa (e ci
ho pure “litigato” molto),
perché anche lì voleva
riportare il linguaggio tale
e quale, ma così facendo
era impossibile leggere. Mi
ricordo che trovai un
intero capitolo totalmente
senza punteggiatura (per
correttezza dissi la cosa in
una nota a piè di pagina).
In corso d’opera mi sono
poi resa conto che oltre
che tentare di sciogliere il
linguaggio poteva esser
utile inserire dei
commenti.
Per poter penetrare gli
scritti di questo Maestro, come anche quelli di
altri che lavorano appunto sul linguaggio (tipo
Scaligero), occorre una forte concentrazione.
Noi ormai siamo abituati agli scritti mordi e
fuggi di Facebook: si legge veloce e si passa di
palo in frasca continuamente. Lo faccio anche
io e osservo in me la penosa nebbia che
avvolge il cervello dopo un po’ di tempo che ci
applichiamo in questa operazione (e bisogna
fare molta attenzione a non tenerci gli occhi
sopra fissi, perché oltre che il blocco della
cervicale, siamo continuamente bombardati
da immagini subliminali che passano nello
scorrere veloce).
I Maestri acquisiscono le loro qualità
penetrative perché il loro essere contempla la
natura (e anche Saint­Martin dice di restare
connessi con la natura per mantenerci
armonici) e concentra il pensiero sui
particolari che scorge in essa, trovandone le
leggi.
Noi siamo microcosmo, e il fuori è per noi
specchio rivelatore delle leggi da cui siamo
costituiti.
Ora, questa connessione con la vita,
33
la meravigliosa idea di una collaborazione di
più spiriti: ho pensato che altri fratelli
avrebbero potuto tentare di fare lo stesso con
altri testi.
Se siamo un gruppetto possiamo terminare
tutta l’opera in un relativo breve tempo e
metterla a servizio di molti, e in questo
momento grave per l’umanità che sta
perdendo se stessa non sarebbe male lasciare
qualcosa che può ridare un allineamento.
Lancio perciò qui un appello: se qualche
fratello se la sente possiamo collaborare, sia
sul testo che sto prendendo in esame sia sugli
altri.
Attualmente sto affrontando il quinto
capitolo. Non è un lavoro che può esser svolto
velocemente perché Saint­Martin usa termini
molto precisi e bisogna stare attentissimi alle
sfumature del linguaggio per coglierne il
senso. E per le mie capacità più di poche
pagine alla volta non riesco a contenerle.
Poi, “coglierne il senso”…diciamo che faccio
quello che posso con la miglior intenzione
possibile, comunque è vero che mentre leggi
in quello stato arrivano delle luci inattese, e le
ho riportate tutte, anche se spesso la paura
voleva appunto frenarmi sulla loro
esternazione: non c’è da fare né bella né
brutta figura, si è ciò che si è, e se una idea è
fallace, potrà ben rifiutarla chi la legge, se
invece può avere un pizzico di qualcosa,
magari può essere il “la” per far ampliare un
pensiero o per creare qualcosa.
Punto fondamentale su tutto il pensiero di
Saint­Martin è la Volontà, e l’adesione alla
causa attiva e intelligente.
La prima è la peculiarità intima dell’Uomo,
non è da confondersi coi “vorrei”.
L’uomo è caduto per via della volontà che ha
scelto la morte, può ritornare all’eterno grazie
a una volontà non più asservita all’egoismo
che lo separa dalle altre creature, ma che si
unisce alla Causa attiva e intelligente che lo
assiste e ne dirige gli atti nella dimensione
temporale, e che lo rende effettivamente
microcosmo.
La causa attiva e intelligente nel tavolo
martinista penso sia da vedersi nel trilume.
Riporto parte di una mia nota all’interno del
quarto capitolo:
“l’uomo è depositario della scintilla che è
della stessa qualità del fuoco d’Amore che ha
creato l’universo, ma la percezione di questa
scintilla è rara, perchè ci accontentiamo di
vivere ascoltando le paure della mente. In
realtà è solo grazie alla scintilla che posso
accendere qualsiasi altra luce.
Il trilume può essere veramente “acceso” solo
grazie a questa scintilla, che in un certo modo
lo “ingravida”.
La scintilla della vita può
dare altra vita.
La luce della “saggezza” (che
è la prima luce delle tre) si
genera solo se siamo in
connessione con la forza
della vita che è dentro di
noi, e senza questa
accensione Reale, non esiste
nessuna “bellezza” e nessuna
“forza”.
Ecco che l’Uomo è tale solo se rispetta il
numero Quattro: l’Uno, la scintilla eterna
divina che è in lui + il Tre, la sua azione che
si compie nel tempo”.
Spero di essere stata utile, un fraterno
abbraccio
Emmanuel S:::I:::
O:::M:::E:::C:::
34
BENNU
Vita dell'Ordine
35
Scarica

BENNU Nr 0