No 0 Primavera 2021 Intervento del Gran Maestro Bennu: la nostra rivista Purificare la Luna Ecce Homo - Annotazioni (cap. I) L'Ain e i suoi riflessi La principessa perduta - racconto cabalistico Ordine Martinista Cohen www.ordinemar nistacohen.it BENNU No 0 Primavera 2021 BENNU è il notiziario dell'Ordine Martinista Cohen dedicato agli studi sul Martinismo e sulla Tradizione. È uno spazio di incontro fra quanti, animati da interno desiderio, vogliono condividere la propria esperienza con coloro che sono in cammino o si apprestano a farlo, nel solco della Tradizione. Sommario Editoriale - Perchè una rivista dell'Ordine Martinista Cohen - Bennu: la nostra rivista Rassegna Martinista - Purificare la Luna - Ecce Homo - Annotazioni sul primo capitolo La scelta degli articoli pubblicati su questo numero è stata eseguita da: Rigel S:::I:::I::: - Iperion S:::I:::I::: L'editing e la pubblicazione online sono a cura di: Iperion S:::I:::I::: - Bes S:::I::: Le immagini e la grafica sono curate da: Eros S:::I::: - Hathor I:::I::: Hanno scritto su questo numero della rivista: Rigel S:::I:::I::: - Iperion S:::I:::I::: Igneus S:::I:::I::: - Bes S:::I::: Samas S:::I::: - Emmanuel S:::I::: Arie' A:::I::: La responsabilità degli articoli è lasciata interamente ai singoli autori e non impegna, per il loro contenuto, l'Ordine Martinista Cohen. Sentieri della Tradizione - L'Ain e i suoi riflessi - La Principessa perduta - racconto cabalistico La Parola ritrovata - Introduzione sommaria all'Ordine Martinista Contributi - L'ottava lettera di Raimondo de Sangro sul Lume Eterno - Il Trilume - Nota al cap. IV al "Degli Errori e delle Verità" Vita dell'Ordine - Calendario operativo Il presente no ziario: ‐ non ha cara ere di periodicità ‐ non con ene pubblicità ‐ non è in vendita ‐ ha diffusione esclusivamente online ‐ non diffonde o scambia informazioni sulle a uali condizioni poli che/economiche/sociali del Paese ‐ non cos tuisce testata giornalis ca o prodo o editoriale ai sensi della legge 62/2001. Alcune immagini o tes sono tra da internet e, pertanto, considera di pubblico dominio. Qualora la loro pubblicazione violasse eventuali diri vogliate comunicarlo via mail (info@ordinemar nistacohen.it) e saranno immediatamente rimossi. di autore, BENNU Editoriale Perché una Rivista dell’Ordine Martinista Cohen In questi ultimi anni l’Ordine Martinista Cohen è cresciuto, nuove Sorelle e nuovi Fratelli hanno deciso di percorrere la propria Via Iniziatica seguendo il sentiero tracciato dalla nostra Tradizione. Comunicare con tutti non è facile, soprattutto in un periodo, come quello in cui stiamo vivendo, ove ci viene impedito di riunirci (anche se certi surrogati degli incontri cui siamo abituati – vedi le riunioni in remoto che abbiamo iniziato ad organizzare – hanno un po’ attenuato questa separazione), per cui si è comunque sentita la necessità di realizzare un lavoro comune che, con cadenza periodica, riesca a portare ad ogni membro del N:::V:::O::: un messaggio, una proposta di studio, una riflessione riguardo tematiche a noi care. L'obiettivo che ci prefiggiamo, con l’edizione di questa Rivista, è quello di stimolare ciascuno di noi ad indagare, a riflettere, ed a comprendere tematiche di non sempre facile assimilazione. Di certo tale fase “orizzontale”, di studio, non può essere considerata come esaustiva riguardo al nostro percorso interiore tendente al proprio ascenso, ma, è innegabile che, molto spesso, questa sia la premessa indispensabile affinché si possa intravvedere la Luce. Noi non siamo i depositari della Verità. Noi non giudichiamo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Noi siamo dei ricercatori itineranti che si identificano più con l’Eremita, nona lama del Tarocco – che cammina, da solo, facendosi luce con una flebile lanterna, fiducioso nelle proprie possibilità e con la ragionevole certezza di raggiungere la propria meta, che con il Signore Trionfante sul Carro, raffigurato nella settima lama, rappresentante l’Iniziato che ha superato la Dualità, e per questo percorre con sicurezza la sua via. Noi siamo dei ricercatori della Verità che si impegnano, quotidianamente, affinché si possa affermare sempre di più il bene, il vero, il bello. È quindi con questo spirito, nello scrivere nella nostra Rivista, pubblicando il proprio pensiero riguardo una tematica Martinista, che noi ci accingiamo a compiere un atto di servizio nei confronti di tutte le Sorelle ed i Fratelli, ma anche nei confronti di uomini e donne di desiderio che non appartengono al N:::V:::O:::, ma che, come noi, “ricercano”, ed in questo ci impegniamo ad offrire il meglio della nostra Conoscenza. 3 Cosmogonia Eliopolitana. Erodoto ci dà una testimonianza riguardo la natura e le fattezze della Fenice. La Rivista è aperta a tutti. Ad ogni grado. Ciascuno può dare il proprio contributo, se lo desidera. L’unica cosa che si chiede è che ciascuno, quando propone il proprio pensiero o il proprio studio, presenti l'elaborato, il proprio lavoro, il proprio vissuto, evitando stucchevoli operazioni di “copia–incolla” che, negli ultimi anni, stanno andando molto di moda. Il nostro auspicio è che molte Sorelle e Fratelli diano il loro contributo alla riuscita di questa nostra comune iniziativa. La pubblicazione della Rivista non avrà una specifica cadenza (per evitare problematiche normative del settore editoriale), ma sarà funzionale alle esigenze dell'Ordine e dei suoi appartenenti. Perché Bennu Nelle sue Storie, durante un suo viaggio in Egitto, ci racconta che: “vi è anche un… uccello sacro, chiamato Fenice. Io non l'ho visto, se non dipinto; infatti appare presso di loro raramente, ogni cinquecento anni, a detta degli abitanti di Eliopoli: compare, dicono, quando gli muore il padre. Se è come la dipingono, ecco il suo aspetto e le sue dimensioni: le penne delle ali sono in parte color oro, in parte rosse; per sagoma e per grandezza è assai simile all'aquila”. Questo mitico uccello, cui si riferisce Erodoto, il quale, non avendo evidentemente la padronanza della lingua egiziana, viene identificato come “Fenice”, mentre gli Egiziani lo appellano con il termine “Bennu”. Da quel momento, seguendo quanto asserito erroneamente da Erodoto, in pratica in tutte le civiltà, Bennu viene riconosciuto come “Fenice” e rappresentato simile ad un rapace, oppure ad una specie di uccello tropicale, dai variopinti colori. Di certo gli Egiziani avevano posto Bennu in una posizione particolarmente importante Da sempre il mito della Fenice che risorge dalle fiamme è stato considerato l’archetipo della rigenerazione – fisica e spirituale – aspetto qualificante della palingenesi umana. Ci è sembrato quindi quanto mai opportuno utilizzare questo simbolo di rinnovamento e di rinascita proprio per indicare in un unico elemento le nostre aspirazioni, l’obiettivo cui tende il nostro Desiderio, cui si indirizza la nostra Volontà. Abbiamo però ritenuto necessario restituire al tutto una verità storica e tradizionale, che nel corso dei secoli è stata ampiamente rimaneggiata – a volte per ignoranza e spesso per convenienza – in modo che il Martinista, che cerca di compenetrare l’essenza di tale simbolo, non sia fuorviato in questa sua difficile e complessa opera. La mitica Fenice, così è stata chiamata dai greci, conosciuta anche come Uccello di Fuoco, oppure come Araba Fenice, è strettamente legata ai misteri della Creazione degli Antichi Egiziani, ai primi eventi descritti dalla 4 nella loro Teologia, ed in particolare questo misterioso uccello figura nella Teologia Eliopolitana, secondo la quale, come ci documentano i Testi delle Piramidi, la potenza di Atum, dio creatore, Potenza unica, sino a quel momento in uno stato di potenzialità, si manifesta ed inizia la sua creazione, attraverso Bennu, misterioso uccello immortale che sorge dalle acque del Nun. Ed è proprio Bennu che, quale personificazione della Forza Vitale, si pone al vertice della pietra Ben–ben che emerge da queste acque primordiali diventando, in questo, la Potenza, o Forza Vitale in atto, espressa da Atum. Proprio per tale sua rappresentazione della potenza di Atum, Bennu viene denominato Spirito di Ra, e rappresenta l’Anima Universale che accompagna i defunti nel Duat, l’aldilà. Bennu, l’uccello immortale, non sorge quindi come comunemente viene raffigurato, dalle fiamme, bensì dalle sue Sacre Acque. Bennu viene rappresentato dagli Egizi inizialmente come un piccolo uccello, molto simile ad un passero (e questo solo nelle prime dinastie) per poi essere definitivamente raffigurato come un Airone Cenerino (Ardea cinerea oppure Ardea purpurea). Il nome Bennu, assegnato a questo vero e proprio Principio di Vita, non è certamente casuale1. La radice ben (i geroglifici della gamba e dell’acqua) significa infatti copulare, generare e da questa radice si ottiene anche colui che genera, cioè l’uomo. Come si può facilmente rilevare il geroglifico che indica l’uomo è esattamente identico a quello di Bennu: cambia solo il determinativo (in Bennu c’è l’Airone, mentre per l’Uomo vi è un uomo accucciato). È evidente che la natura dell’energia riproduttiva presente nell’uomo sia la stessa che promana da Bennu La ripetizione della radice ben (cioè benben, che sappiamo essere la roccia ove si è posizionato Bennu al momento della creazione e che identifica anche la piramide posta in cima agli obelischi) con il determinativo del Sole, significa: “Luce del Dio (nel Tempio di Sokar)”. Proprio per questa sua assimilazione alla Potenza Unica, luminosa, che si manifesta “in basso” con la potenza generatrice dell’Uomo, Bennu viene identificato con il Sole, il quale appare agli occhi umani sempre lo stesso, invariabilmente ogni giorno, eterno. Secondo quanto contenuto nel Libro dei Morti, Bennu guida le anime nel Duat e ne determina la loro resurrezione, come è asserito nel Cap. XXIXB: "…Parole dette da N .: Io sono Bennu, l’Anima di Ra, che guida i beati nel Duat, che consente ad Osiride di tornare indietro sulla terra”. La presenza di Bennu come guida, definito “Anima di Ra”, riesce quindi – anche se non viene specificato a quali condizioni ed in 5 quali casi – a far “risorgere” animicamente il defunto (il quale, come di consueto, si identifica con Osiride). L'assimilazione di Bennu a Osiride (e quindi anche l’assimilazione da parte del defunto con Bennu), porta quindi alla conquista dell’immortalità animica; questa asserzione si può rilevare nei Testi dei Sarcofagi, ove si può infatti leggere: "...Io sono questo grande Bennu che è in Eliopoli. Chi è? È Osiride che prende in considerazione ciò che esiste… Ciò che esiste è l'eternità e la perpetuità...". defunto). Si rileva inoltre che, in aggiunta alla protezione che Bennu fornisce ai morti, il defunto possa trasformarsi addirittura lui stesso in Bennu, come specificato nel Cap. LXXXIII del Libro dei Morti, il cui titolo recita: "Formula per essere trasformato in Bennu Reale”. Quando arriva il momento in cui l’uomo diventa cosciente del proprio essere, il Principio di Vita, che permea ogni cosa a livello indifferenziato, assume una connotazione specifica, unica, si individualizza; questo salto di qualità gli consente di non “confondersi” con tutta la forza vitale che compone l’Universo. La vita che lo anima, pur essendo identica alla vita presente in un animale, in un vegetale o in una roccia, cioè della stessa natura, viene definita, in quest’uomo, in una precisa ed unica individualità. Per l’uomo che è riuscito a conquistare questo stato, ciò significa, secondo la tradizione sacerdotale dell’Antico Egitto, entrare in comunione con Bennu, essere un tutt’uno con l’Anima Universale. Questo è il messaggio che ci è stato tramandato, e che è stato fatto proprio, sotto diversi aspetti e modi di comunicare, da numerose Tradizioni e Religioni. La nostra Tradizione Martinista, derivante dagli insegnamenti di Martinez de Pasqually, ci ha tramandato un “passaggio” sostanziale e decisivo riguardo il risultato che si ottiene percorrendo la via Iniziatica: il contatto con la “Chose”. La teurgia martinezista prevede che al raggiungimento di un determinato livello di operatività possa verificarsi una illuminazione, l’acquisizione di un diverso stato di coscienza, L’identificazione con Bennu diventa a questo punto essenziale in quanto questo magico e misterioso volatile è lo “strumento” che consente di uscire dal Regno dei Morti, dal Duat al sorgere del Sole (e quindi, uscendo dalla metafora, a far vivere animicamente il 6 un qualcosa di sostanziale, importante, aspetto questo che non viene mai specificato né da Martinez né dai suoi discepoli. Questa nuova acquisizione di consapevolezza e di conoscenza, oggettivamente difficile – se non impossibile da definire è l’effetto che deriva dal contatto con l’Anima Universale, questo Principio di Luce e di Vita che permea tutto ciò che esiste, che dà la Conoscenza assoluta, che gli Antichi Egizi hanno chiamato Bennu, e con diverse sfumature, gli Gnostici Pleroma, i Cristiani Spirito Santo, gli Induisti Vidya. È proprio per avere sempre presente questo aspetto di vera e propria manifestazione di Vita e di comunione con la parte luminosa che si trova dentro di noi (la Pietra Nascosta), aspetto questo che trascende le Tradizioni, il Tempo e lo Spazio, che abbiamo chiamato la nostra rivista con il nome di BENNU, la Fenice, paradigma e simbolo per eccellenza della Rinascita Spirituale. Rigel S:::I:::I::: Gran Maestro Note: utilizzano il geroglifico del vaso, la cui fonetica è nu, unitamente all’acqua, n, cioè Nun. È quindi immediata l’assimilazione del nome Bennu con il Nun, il nonluogo di provenienza di questo principio di vita. Il geroglifico della gamba umana, molto probabilmente, sta a significare che questa Forza primordiale è della stessa natura, quindi analoga, a ciò che dà la vita all’Uomo. In altri termini: Bennu è presente nell’uomo. 1. I geroglifici che compongono la parola Bennu sono tre: una gamba umana , l’acqua in movimento , ed un vaso, un recipiente rotondo (la quaglia che segue il vaso è un complemento fonetico e l’uccello che termina la parola è il determinativo, che specifica “cosa” significa il geroglifico). La teologia eliopolitana ci dice che, al momento della creazione, Atum sorge dal Nun, oceano primordiale ove non esiste né lo spazio né il tempo; per indicare questo stato anteriore alla creazione gli Egiziani 7 BENNU: la nostra rivista Ogni numero della rivista riporterà degli articoli che faranno sempre riferimento a percorsi tradizionali o della Tradizione (come direbbe qualcuno); gli argomenti saranno coerenti al piano di studi che ogni martinista affronta nei libri o nel vademecum di istruzione relativi al grado di appartenenza. Cara lettrice, caro lettore, BENNU, la nuova pubblicazione di scritti martinisti che stai virtualmente sfogliando, prende vita da un profondo "desiderio" del Gran Maestro dell'Ordine Martinista Cohen: Rigel S:::I:::I::: Il "desiderio" va inteso non in senso privatistico o di autocompiacimento ma come un atto di volontà indirizzato a rendere più proficuo lo svolgimento dell'operatività martinista individuale, sempre diretta verso un percorso di reintegrazione dell'essere. Non è da sottacere anche l'opportunità, offerta dalla rivista, di ampliare e consolidare lo spirito di comunanza e fratellanza che ogni martinista, indipendentemente dall'Ordine di appartenenza, deve coltivare e fare proprio. Al martinista non mancano di certo gli strumenti che l'Ordine pone a disposizione per orientarsi verso questo obiettivo. Allo stesso tempo, può risultare vantaggioso avere, come ausilio e accompagnamento a questi strumenti, anche delle letture. Esse pur rappresentando il particolare punto di vista di chi scrive, sono sempre e comunque funzionali a un pensiero più ampio, allorché non manifestano o risvegliano un ricordo o una riflessione interiore. E se è vero che la pratica martinista è essenzialmente individuale, mai, come in questo particolare momento, dobbiamo dimenticare che si può essere lontani fisicamente ma vicini per comunanza spirituale. È vero anche che si può essere vicini fisicamente ma distanti, molto distanti nella condivisione animica. Ma questa è un'altra storia. 8 In funzione di questo duplice aspetto (strumento di ausilio e di unione fraterna) la rivista, suddivisa in "sezioni", è stata così strutturata: • Sentieri della Tradizione saranno riportati tutti quegli argomenti non strattamente martinisti ma riconducibili nell'alveo della Tradizione che al sapere profano e ideologico oppone la conoscenza unitaria e unitiva; • Editoriale presentazione del numero corrente della rivista e riferimento ad argomenti specifici inerenti l'Ordine; • La Parola ritrovata ogni martinista è a conoscenza dell'apporto che i Maestri Passati hanno avuto nei confronti dell'Ordine. Va ricordato chi ne ha ispirato la nascita e a chi ne ha dato forma e organizzazione strutturale; chi ha, anche a costo della vita, mantenuto l'Ordine in occasione dei repentini e incontrollabili mutamenti ambientali; chi ha contribuito al suo sviluppo docetico e rituale, non sempre condiviso o condivisibile. Chi ci ha preceduto, pur non tra di noi, è sempre realmente presente fra noi. Questa sezione vuole riproporre la Parola e, con questa la memoria, di chi ci ha consentito di percorrere questo sentiero; • Rassegna martinista articoli inerenti il simbolismo martinista, notizie sulla storia del Martinismo e sulla vita dei Maestri Passati, saggi riconducibili al percorso martinista; Contributi è stato detto che la rivista è aperta a quanti, animati da spirito fraterno, desiderano contribuire allo sviluppo del Martinismo, magari offrendo il proprio apporto costruttivo e la propria esperienza. In questa sezione saranno raccolti gli articoli ricevuti da martinisti che, sebbene non appartenenti al nostro Ordine, hanno il "desiderio" di offrire la propria collaborazione; 9 forma egoica e di vanità, abbia la capacità di illuminare la dimensione più intima di ogni lettrice e lettore, connettendosi più con la parte che ama anziché con quella che vuole essere amata, cosa che fa del martinista, un martinista consapevole. • Vita dell'Ordine è ovvio che l'Ordine è caratterizzato da incontri, congressi, comunicazioni e quant'altro possa essere utile alla sua organizzazione e vita fraterna. In questa ultima parte della rivista saranno pubblicate quelle notizie utili a tutti i fratelli/ sorelle per restare aggiornati sugli eventi riguardanti l'andamento dell'Ordine e su alcuni aspetti operativi. Che la Luce che non si spegne mai, brilli sempre nei vostri (e nostri) cuori. Un Q:::F:::A::: di fronte le N:::S:::L::: Così come concepita si spera che BENNU possa divenire non solo la rivista dell'Ordine Martinista Cohen, ma piuttosto una rivista del Martinismo, il cui contenuto, scevro da ogni Iperion S:::I:::I::: Loggia Silentium Collina di Pescara 10 Rassegna Martinista BENNU Purificare la Luna stati ammessi nel N:::V:::O::: di risvegliarci dal lungo sonno che ci ha accompagnato durante la nostra esistenza, si tratta – ancora di “ricevere la fiamma ardente che ci consentirà di vincere la potenza delle tenebre”. Non dormire sotto i cipressi, / poiché non c’è sonno nel mondo. / ... / Il corpo è l’ombra delle vesti / che coprono il tuo essere profondo. / Viene la notte, che è la morte / E l’ombra svanì senz’essere. / Vai nella notte solo un contorno, / uguale a te senza volere. / Ma nella Locanda dello Stupore / ti tolgono gli Angeli il mantello. / Prosegui senza mantello sulle spalle, / con quel poco che ti copre. / Allora gli Arcangeli del Sentiero / ti svestono e ti lasciano nudo. / Non hai vesti, non hai niente, / hai soltanto il tuo corpo, che sei tu. / Infine, nella fonda caverna, / gli Dei ti svestono ancora. / Il tuo corpo cessa, anima esterna, / ma vedi che sono a te simili. / ... / L’ombra delle tue vesti / Rimase tra noi nella Sorte. / Non sei morto tra i cipressi. / ... Neofita, non esiste morte. (Fernando Pessoa, Iniziazione, 23 May 1932) L’iniziazione è un’introduzione sulla via, è un percorso che conduce il neofita dal mondo del manifesto, del sensibile, al mondo dell’immanifesto, dell’occulto, ma non per questo meno reale del primo. Tuttavia, questa introduzione nell’occulto, questo passaggio dal manifesto all’immanifesto, non riguarda tanto un modo diverso di intendere il “mondo intorno a noi”, quanto, piuttosto, un nuovo modo di intendere il “mondo in noi”. Si tratta, infatti, sub specie interioritatis, di avere una nuova visione di noi stessi, si tratta di assurgere a nuova vita o a Vita Nova, come direbbe il Poeta, si tratta – come abbiamo sentito pronunciare dal nostro iniziatore, il giorno in cui siamo 11 Quando da postulanti e uomini di desiderio abbiamo ascoltato queste parole, allora ha avuto inizio il nostro percorso iniziatico. Quel giorno, nel normale stato di coscienza e un po’ frastornato, il postulante, divenuto associato, suppone di non aver compreso niente o di aver appreso poco. Invece, il seme del suo albero è stato ben piantato e si svilupperà a perfezione con il solo rispetto di quelle poche e basilari regole, mentre le successive iniziazioni faranno il resto. facile assimilazione, capaci di incidere, a livello subliminale, l’immaginazione del neofita. L’iniziazione che ci pregiamo di aver ricevuto con l’ammissione al N:::V:::O::: non è l’iniziazione virtuale che caratterizza altre organizzazioni, ma è un’iniziazione reale in cui, oltre ad un corpus rituale, vi è un carisma trasmesso dall’iniziatore al discepolo, quella fiamma ardente che ci viene consegnata, per il tramite dell’iniziatore, alla presenza dei Maestri Passati che ne sono i garanti e testimoni. Ricevuta l’iniziazione, il cammino che si prospetta per l’associato, e comune ad ogni martinista, consiste nel purificare la Luna. La pratica di purificazione è comune a tutti i percorsi iniziatici, a partire dall'antichità. Ad esempio, non sappiamo molto delle tecniche utilizzate nel pitagorismo, ma è certo che la pratica principale consisteva in una serie di purificazioni, applicate a diverso livello. Il famoso silenzio imposto da Pitagora ai neofiti era una delle pratiche di purificazione che è stata travisata nel tempo, magari impedendo ai neofiti di prendere la parola in talune circostanze e ambienti. Invece, il silenzio pitagorico era più un liberarsi dal superfluo, da un modo di È un seme che con l’aiuto dell’acqua, del giusto calore del Sole (fuoco), dell’aria e del rifugio della terra, crescerà sino a divenire un possente albero, per dare i suoi fiori e i suoi frutti. I simboli e gli stimoli, ricevuti durante l’iniziazione, gli insegnamenti ricavati dalle tornate di loggia ed i lavori, fungono da semi per l’inconscio dell’associato ed è per questo che si utilizzano dei simboli di 12 Purificazione di quella parte che noi chiamiamo personalità, che non è l’individuo permanente, l’Io spirituale, il nostro Sè, ma l’Io apparente, l’insieme cioè delle qualità e delle caratteristiche che l’individuo raccoglie attorno a sé durante il corso di ognuna delle sue molteplici vite. Sono tutte maschere che sovente trasporta con sé vita dopo vita, tutto ciò che riprende quando torna ad incarnarsi, tutto ciò che l’individualità raccoglie attorno a sé durante la vita terrena. Ecco che allora: purificare la Luna è quella decisione cosciente, quell’atto di volontà che ci consente di scartare tutto ciò che è temporaneo e che appartiene alla personalità inferiore. purificare la Luna significa che le passioni e gli appetiti del corpo, le emozioni inferiori che ci sballottolano come nave pensare ed esprimersi fuorviante e dispersivo a causa di un linguaggio analitico, per dare spazio a un più illuminante pensiero sintetico, capace di lasciar cumprendere le leggi riconducibili all'Uno, alla Causa Prima. In altri ambiti, la purificazione è stata fraintesa e accumunata ad una modalità di penitenza per pervenire ad una ostentata promessa salvifica da un non meglio specificato peccato o colpa, magari tramandato dalla notte dei tempi. La purificazione deve essere per l'iniziato, e dunque per il martinista, l'inizio di un percorso per mettere a nudo la sua parte più intima. Più precisamente occorrerà parlare di autopurificazione perché l'opera è essenzialmente individuale. Purificazione della parte più "bassa" della sua natura, finché tutto ciò che è sovrastruttura sia disfatto. 13 senza nocchiero in gran tempesta, atti i cui moventi provengono dall’esterno, devono essere conosciuti, dominati e tenuti sotto controllo. purificare la Luna è un lavoro di spersonalizzazione che può riassumersi nelle seguenti massime: io non sono il mio corpo, io non sono le mie emozioni, io non sono i miei pensieri. Come ci ricorda il G:::M:::P::: Giovanni Aniel, questo processo di spersonalizzazione è un farsi vuoto affinché la pienezza dell’Incondizionato cominci a fluire in sé. È questa una vera impresa di alchimia interiore, di transumanazione o, per usare le parole di L.C. de S.M., è opera di elevazione verso le superiori regioni spirituali. È la rigenerazione, preludio all’opera di reintegrazione e identificazione con la Vita Una auspicata da Martinez de Pasqually. A questa natura originaria, in cui l’iniziato si trova in armonia con il suo Principio, deve condurre il percorso iniziatico, a ciò l’iniziato deve finalizzare i suoi pensieri, le sue parole e le sue azioni. In questa sintesi unitiva, come dice il Ph::: Inc:::, l’immagine divina si riforma, l’anima umana si rigenera, le bellezze dell’ordine si riscoprono e la comunicazione tra Dio e l’uomo è ristabilita. Iperion S:::I:::I::: Loggia Silentium Collina di Pescara 14 Ecce Homo Annotazioni sul primo capitolo Nella feconda produzione letteraria di LouisClaude de SaintMartin, "Ecce Homo" rappresenta, per brevità e chiarezza di intenti, un’opera imprescindibile per la comprensione del suo messaggio. Capolavori come “L’uomo di desiderio”, “Il nuovo uomo” e così via altri, trovano infatti in questo libricino opportuna introduzione e utile chiarificazione. È un’opera molto breve, dove è difficile trovare una parola a caso, e nella quale appunto alcuni dei veicoli interiori del percorso cardiaco vengono introdotti e comunicati in maniera partecipata. Ma è ben più di questo. Se il cuore è uno dei limen tra il temporale e l’atemporale, se vi è nell’organismo mortale, o presunto tale, un reale tabernacolo alla Presenza del suo archetipo eterno, non dovremmo allora dubitare che la proposta del Filosofo Incognito ci farà transitare per ampi solchi tradizionali, che si estendono ben oltre dotte e pigre etichette o parole messe una in fila all’altra. Seguiranno pertanto, a scopo di invito alla lettura, nel corso dei numeri della rivista dei brevi e ovviamente parziali commenti ai capitoli di questo libro.] Sempre interessante la figura di Pilato. Come tante nei Vangeli possiamo ritrovarla con più o meno intensità in noi stessi. La Maddalena, Pietro che rinnega, Tommaso che vuole toccare, il semplice Giuseppe che si fida dei sogni e così via ci raccontano, nella declinazione della tradizione cristiana, parabole interiori spesso ineluttabili per chi vuole, o almeno crede di volere (già è qualcosa in fondo!), conoscere e conoscersi. Pilato è, come dire, politicamente e umanamente disincantato, ma era e resta incuriosito da Gesù; ascoltatolo, certo a modo suo, vorrebbe addirittura liberarlo. Ma questo lo avrebbe esposto, lo avrebbe compromesso. Quante lavate di mani nella storia dell’umanità e della nostra coscienza! Ma insomma non ravvedo in Pilato propriamente uno sciocco a tutto tondo: è “solo” spiritualmente fermo. Come lo si resta interiormente in tutti quei piccoli episodi in cui non lo riconosciamo “in azione” in noi stessi, nel nostro piccolo mondo interiore e quotidiano. Che poi tanto piccolo non è… come ci spiegherà LCSM in questo bel libricino scritto per una Principessa che ne aveva tanto bisogno. Passo avanti. Di Pilato mi resti in questo contesto, la sua espressione: “Ecco l’Uomo!”. Gesù dunque uscì, portando la corona di spine e il manto di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l'uomo!». 15 La manifestazione di Dio in terra flagellata ed umiliata, preda delle furie del popolo, della superbia dei sepolcri imbiancati, dell’inerzia dei mediocri, non poteva forse trovare in quel contesto parole più adeguate, sigillo più propizio, alla purificazione, alla memoria, alla meditazione. I primi paragrafi del capitolo sono fulminanti. Intanto si capisce subito che i passi del Filosofo Incognito esigono essere riletti più volte per poter infine ammirare, per quanto ci è possibile, la loro chiarezza. La “scintilla di verità che brilla nella nostra facoltà di concezione” è un raggio di quella stessa fiaccola da dove si esprimono le verità di quegli assiomi delle scienze esatte e naturali che sentiamo oggettivamente veri. Anzi compenetrandosi, la mente e gli assiomi naturali, rendono più sensibile la loro reciproca forza intrinseca (calore) e la loro luminosità (atta alla comprensione). Che poi, come il calore e la luce, non si uniscano sempre è un altro conto! Ma sia le facoltà della nostra mente che quella delle verità parziali, esempio le leggi geometriche, possono vivere di vita propria e non per questo essere meno vere. Dopodiché LCSM alza subito la posta, e proprio di tanto, traslando opportunamente il discorso “all’anima umana che con uno slancio che non può dare a sé stessa che non spontaneamente, è elevata sino all’intimo sentimento dell’essere universale che abbraccia tutto”. La certezza di Dio non è messa in discussione, LCSM descrive con sicumera un’esperienza mistica che al contrario degli assiomi parziali, non ha bisogno né di ulteriori interrogativi né di ulteriori speculazioni. Perché la Conoscenza non è mappa, non è nozione, non è parola detta o scritta, quantunque ispirata, che pure ci scaldi il cuore o ci apra la mente. LCSM ci parla in chiaro di uno slancio dell’anima, ci parla di un’elevazione ad un intimo sentimento. Mi resti allora di ascoltare la sua testimonianza, riguardo questo itinerario verso l’Essere universale che abbraccia tutto: “Dio e l’uomo sono degli esseri veri che possono conoscersi nella stessa luce ed amarsi nello stesso amore”. Vi sono forse in questi preziosi paragrafi di introduzione dei rimandi ai misteri trinitari, che mi limito ad annotare al momento. Il Filosofo Incognito continua: non saranno gli sragionamenti degli uomini alterati, non sarà la privazione di tale sublime coscienza, a renderla falsa! I “tesori divini”, i “tesori di verità” esistono, sta a noi attentamente vagliare e scegliere se mettere “a profitto” questa potente comunione, possibile e reale per il semplice fatto che lascia nella nostra anima traccia e coscienza di sé. La parte centrale del capitolo mi ricorda, in un certo senso, retaggi platonici. Ad alcune considerazioni più divulgative e di spiegazione seguono attente riflessioni sull’appoggio dei 16 opere” e che per noi possa essere “sublime vantaggio” e “soddisfazione” quella di “facilitare ed assecondare questa manifestazione” interrogandone accuratamente testimonianza e segni. Ed ecco la conclusione del capitolo I, di un libro che probabilmente vuole far riconoscere innanzitutto dell’umana miseria, ma che nel contempo dichiara subito la Dignità dell’Uomo. “Chi altri più dell’uomo potrebbe essere degno della nostra attenzione e rivelarci le più grandi realtà?”; di quell’Uomo “dal quale paiono uscire viventi dal suo pensiero e dal suo cuore innumerevoli fiumi di fuoco”... e così via. segni e delle testimonianze esterne. LCSM mette subito in guardia gli aspiranti filosofi: “non confondete il medium con il principio, l’organo della manifestazione con la fonte di questa manifestazione”. Ma ugualmente evidenzia grande importanza alla percezione di tali segni, quasi essenziali “nella regione temporale in cui siamo”. Insomma siamo su un piano metapercettivo e di riflessione molto sottile, ma del quale i nostri rituali riportano certamente ed opportunamente traccia. Mi viene subito in mente: Perché come dice il Filosofo Incognito “Noi abbiamo la necessità che vi siano fra gli uomini segni visibili, agenti sostanziali ed esseri reali rivestiti come noi della forma sensibile, ma che, nello stesso tempo, siano depositari delle virtù prime che l’uomo ha perduto e che cerca incessantemente intorno a sé”. In realtà questa frase rileggendola bene apre anche ad altre prospettive… il discorso di LCSM resta più basato, o almeno così io leggo, su una introduzione ad una percezione pratica, platonica delle idee, per non affogare nell’”immensità degli oggetti che ci circondano”. Viene inoltre distinta un’anima animale e sensibile alla quale i nostri organi materiali trasmettono l’impressione delle forme e delle immagini e quindi un’anima pensante che ha il potere di analizzare tali impressioni al fine di individuare quali fatti attestino, o quali realtà portino a manifestazione. Viene ripetuta insomma quella “grande verità” che “tutti gli oggetti che ci circondano sono l’espressione di un’idea”. Questo può dare anche, io credo, motivi illuminanti alla nostra comune percezione ed interazione con il mondo; ma anche alla nostra meditazione e ritualità, alle traslazioni simboliche (più vere del vero?) che viviamo quotidianamente. LCSM quindi ci ricorda che “la Saggezza suprema ha delle idee e dei piani nelle sue Siamo nel pieno di discorsi tradizionali, che probabilmente si rivestirono nuovamente di fulgida luce nel medioevo europeo neo platonico ed in tutte le correnti che ne seguirono. 17 Vedremo nei seguenti capitoli come saranno declinati tali proponimenti e quale viaggio verrà proposto. Al momento in tale dichiarazione d’intenti mi sembra, anche, essere risuonato forte e chiaro l’oracolare Nosce Te Ipsum nel suo senso più alto. Non voglio certo limitare o definire il contesto storicoculturale di LCSM, che evidentemente ci parla attraverso una sua rivelazione cardiaca diretta, senza tempo, ma non posso non sentire riecheggiare tutta una serie di filosofi, artisti e maghi tanto cari ai nostri studi: “L’uomo sembrando posto sotto l’aspetto della divinità stessa, si propone piuttosto come destinato a rifletterla direttamente e, di conseguenza, a farcela conoscere per intero”. I proponimenti del libro arrivano dunque a conclusione del capitolo: “raccogliamo dunque le testimonianze dell’Uomo, non lasciamolo prima di averlo accuratamente interrogato, confrontiamo con lui stesso le sue stesse deposizioni”. Samas S:::I::: Gruppo Nova Lux Collina di Roma 18 Sentieri della Tradizione BENNU L'Ain e i suoi riflessi All’origine di tutto nella tradizione cabalistica vi è il nulla, l’Ain. Permutando queste tre lettere in Ani il significato cambia nel pronome personale “io”, come se il vuoto originario e l’io siano i due punti del diametro di un cerchio che parte dall’emanazione, arriva alla mia coscienza, e ritorna al suo principio. Inteso come qualcosa di perfetto al di là del tempo e dello spazio che l’uomo non può conoscere in nessun modo, David ben Abraham haLavan descrive così l’Ain : “Ha più essere di ogni essere del mondo, ma è semplice; e siccome ogni essere si riconosce nella complessità viene assunto come il Nulla.” Esiste così il Sole che non vediamo, il Sole riflesso sugli oggetti e il raggio di Sole. Ognuna di queste esistenze, chiamate Zahzaot, possiede un nome: • L’inconoscibile è Ain • La proiezione come spazio (i nostri oggetti) è Ain Soph • La proiezione come tempo (il raggio) è Ain Soph Aur Nonostante l’assoluta impossibilità dell’uomo di conoscere Ain, i cabalisti, in particolar modo a partire da Isaac il Cieco, lo hanno cercato attraverso un gioco di riflessi, come quando contempliamo la presenza dell’astro solare vedendone la luce sugli oggetti posati sul tavolo o sulle pareti delle nostre abitazioni. Questi raggi condividono con il Sole la loro natura luminosa in una maniera che farà dire a René Guenon in altro contesto tradizionale: "La luce è essenzialmente una e la sua natura non è diversa nel Sole e nei suoi raggi, i quali ultimi non si distinguono se non in modo illusorio nei confronti del Sole stesso." (Rivista di Studi Tradizionali, 1947). Il senso di Ain che diventa Ani va in questa stessa direzione. Ain Soph, nome che pur indicando una delle Luci di Ain è diventato per antonomasia il nome di Dio, si è iniziato ad usare dal 1200 inizialmente come aggettivo per definire qualcosa di infinito. Dal 1300 lo troviamo quasi in tutte le pubblicazioni cabalistiche a volte confuso con la Shekinah che, più specificatamente, è la presenza di Dio nel 19 mondo, nell’uomo e nell’Universo ma che nei percorsi più legati all’immanentismo tende a coincidere con l’Assoluto. Se vogliamo insistere sulla cosa è come se Ain Soph si riferisse all’infinito e quindi ad una condizione spiccatamente spaziale e Ain Soph Aur all’eterno ossia al tempo. creazione che è simile alla luce che cade sopra gli oggetti. Queste ultime due creazioni posseggono un particolare contesto simbolico. Nel Sefer Yetzirah infatti vengono incisi – Chalak nel fango, quindi togliendo qualcosa da una materia già esistente formata da terra e acqua, i 32 sentieri mistici di Sapienza che generano la Casa. Successivamente l’Eterno dà forma all’Universo mediante tre lettere Samekh, Peh e Resh che formano le parole Sepher – il testo, Sephar – il numero, e Sippur – la comunicazione. Sepher è l'elemento visivo, la forma. Sephar è l'elemento numerico/ ritmico e Sippur è la vibrazione, il suono. Queste tre lettere sono infine le radici della parola Sephirah attraverso la quale la luce acquisisce un suo colore che attesta una specifica qualità. Se quello che è stato scritto finora riguarda una creazione che odora di fede in quanto inconoscibile, ricordo l’importanza che per l’ebraismo hanno le lettere e la loro combinazione. Pertanto, ancora una volta, assoluto inconoscibile e Io hanno la stessa qualità e la creazione potrebbe quindi essere vista come un ritorno, due semicirconferenze che si completano nel cerchio. Per questo, però, occorre un Sentiero. Nel XV/XVI secolo si diffusero le prime rappresentazioni grafiche cabalistiche a forma di Albero anche grazie a opere come l’Ilan ha Gaddol di Meir Poppers e la Kabbalah Denudata di Knorr Von Rosenroth. Teniamo sempre in mente la coincidenza qualitativa confermata dalla permutazione delle tre lettere Ain in Ani, e riflettiamo sulla aderenza semantica tra origine dell’universo e origine dell’io. Quest’ultimo, quindi, ha una consistenza vuota, meglio dire “silenziosa” per il suo essere del mondo ma semplice e, così come percepiamo l’esistenza di una persona attraverso la sua voce, è in questa dimensione ermetica di assoluto silenzio che percepiamo l’esistenza originaria. Io sono quello. La Creazione sott’intende l’avvenuta presenza delle tre Zahzazot e infatti nel pensiero mistico ebraico è triplicemente divisa. Esiste una dimensione assoluta inconoscibile se non mediante la perdita dell’Io da cui scaturisce la creazione degli oggetti della Casa, la parola Bereshit che ha per lettera iniziale la Beth, il cui significato è appunto casa. Esiste, infine, una 20 La rappresentazione ad albero, l’Otz Chiim, ha avuto l’indubbio vantaggio di identificare in un colpo d’occhio il percorso della luce, il raggio che si colora attraverso le Sefiroth mediante dei percorsi di trasmutazione interni chiamati canali, o Zinnot. Osservando l’Albero Cabalistico, notiamo alcune particolarità di cui spesso si legge e su cui non è mai scontato riflettere. E’ possibile innanzitutto dividere l’Albero in tre colonne: La colonna di destra è la colonna della Grazia, formata dalla Saggezza (Hokmah), dalla Grandezza, o dall’Amore (Gedullah) e dalla Vittoria (Netzach). E’ la colonna delle forze ampliatrici, positive di segno e maschili. L’Espansione. La colonna di sinistra è la colonna della Severità, formata dall’Intelligenza (Binah), dal Potere o dalla Severità (Gevurah) e dalla Maestà (Hod). E’ la colonna delle forze limitanti, negative di segno e femminili. Il Contenimento. Considerando il contenimento come l’utero che accoglie il seme, in questo senso femminile, e l’espandere come il seminare e avendo contezza dei tre triangoli che si vengono a formare a partire dal basso del nostro albero, il triangolo naturale legato al fisico, quello psichico legato all’anima e quello dell’intelletto legato allo Spirito vediamo inoltre come, a sinistra, Hod contiene il naturale, Geburah lo psichico e Binah l’intelletto così come, a destra, Netzach amplia il naturale, Gedullah lo psichico e Hokmah l’intelletto. La colonna centrale, che sorregge l’intero Albero è la colonna dell’Equilibrio e della Bellezza, formata dalla Corona (Kether), dalla Bellezza o dalla Misericordia (Tiphereth), dal Fondamento o dal Giusto (Yesod) e infine dal Regno (Malkuth). Assume questo nome in quanto nel suo proiettarsi equilibra le forze contenitrici e quelle espansive. Così Yesod equilibra Netzach e Hod; Tiphereth, Gedullah e Gevurah; Kether, Hokmah e Binah. L’Ani, l’Io, è attraverso i tre libri, ossia Sepher, Sephar e Sippur, che contempla l’Eterno e l’Infinito percependo l’inconoscibile. Questi tre libri sono raccolti nella parola Sefirah. Le Sefiroth sono vetri colorati, oggetti della casa, che raccolgono la luce e le danno una specifica qualità attraverso la quale il nostro corpo, la nostra anima e il nostro intelletto si proiettano in una direzione compiendo un viaggio. I tre triangoli, il naturale, lo psichico e l’intellettuale, sono l’Ain, l'Ani, il Nulla che si muta in Io. Questo avviene quando dal parlare di Dio parliamo con Dio sino a essere Dio. Questo è il serpente che si morde la coda, la circonferenza chiusa, il ritorno che mette fine al Tikkun. Bes S:::I::: Gruppo Anubi Collina di Palermo 21 La Principessa perduta Racconto esoterico-cabalistico di Rebbe Nachman de Breslev (trad. fr. di Rabbi Israël Itshak Besançon) Rabbi Nachman rispose e disse: "Lungo la strada, raccontai una storia e tutti quelli che l'udirono provarono un senso di pentimento". Ecco, questa è la storia ... """"C'era una volta un re che aveva sei figli e una figlia. Questa ragazza era molto preziosa per lui, e lui l'amava molto. Gli piaceva molto la sua compagnia. Un giorno, mentre erano insieme, il re si arrabbiò con lei. E queste parole uscirono dalla sua bocca: "Possa il 'nonbuono' portarti via!" (Il nonbuono lo tov ) לא טוב La sera [la principessa] andò nella sua stanza. Il mattino dopo, nessuno sapeva dove fosse. Il padre si addolorò terribilmente; andò a cercarla di qua e di là... Poiché aveva notato il profondo dolore del re, intervenne il viceré e chiese [al re] di dargli un servo, un cavallo e dei soldi per le sue spese. Poi andò a cercarla. La cercò, ricercò e cercò ancora, ... per molto tempo ... fino a quando, non la trovò."""" Dopo aver percorso una lunga strada, il viceré, scoprì un castello con molti soldati in piedi e intorno. Questo castello era magnifico e i soldati erano ben organizzati. Temeva che le guardie non lo avrebbero lasciato entrare. Pensò e disse a se stesso: "Ci proverò!" Lasciò il cavallo e si diresse verso la fortezza. Gli fu permesso di passare. Non fu trattenuto. Passò da una stanza all'altra senza alcun ostacolo. Ecco la storia della sua ricerca e della sua scoperta... """"Camminò a lungo [il viceré] nei deserti, nei campi e nelle foreste. La cercò molto, molto a lungo. Stava camminando nel deserto quando vide un sentiero sul lato. Pensò e disse a sé stesso: "Ho viaggiato così a lungo in questo deserto senza riuscire a trovarla! Prenderò questo sentiero! Forse raggiungerò terre abitate? " 22 "Sì!" Rispose il vicerè. "Ti conosco, tu sei la principessa che si è persa!" Poi le chiese: "Come sei arrivata qui?" "A causa della parola di mio padre rispose la principessa "che il nonbuono ti prenda", perché qui è precisamente il posto che "non è buono!" Il vicerè le raccontò quanto fosse triste suo padre e per quanti anni l'avesse cercata. Poi le chiese: "Come potrei farti uscire?" "Sarai in grado di tirarmi fuori rispose lei solo se scegli un luogo appartato e rimani lì per un anno intero. Per tutto questo anno, dovrai struggerti per me e pensare come tirarmi fuori. In ogni momento della tua giornata, ti struggerai, desidererai e spererai di tirarmi fuori di qui. E tu digiunerai. Giunto l'ultimo giorno dell'anno, digiunerai di nuovo e per ventiquattro ore ... non dovrai dormire!" Il vicerè andò via e seguì le indicazioni della principessa. Poi, alla fine dell'anno, l'ultimo giorno, digiunò e non dormì. Si alzò e andò al castello della principessa per riprenderla. Lungo la strada vide un albero su cui erano cresciute mele molto belle tanto da indurlo in tentazione. Si avvicinò ... e ne mangiò una. Arrivato nella sala d'accoglienza del re, vide il re in trono con la sua corona, circondato da molti soldati. Tanti musicisti suonavano i loro strumenti, era così bello, così meraviglioso ... né il re, né nessun altro, gli dette importanza e lo interrogò. C'era una tavola imbandita con piatti succulenti e appetitosi. Si accomodò alla tavola e mangiò. Poi andò a stendersi in un angolo per osservare il corso delgli eventi. Vide che il re invitava la regina a raggiungerlo e per questo un corteo si recava a prenderla. La sala era invasa da un gran tumulto e da una grande gioia. I musicisti, alla vista della regina, prendevano a suona re e cantare più forte! Un trono veniva sistemato per lei accanto a quello del re. Ma questa regina ... era lei ... la principessa scomparsa! Il viceré la vide e la riconobbe. Anche la regina, guardando i convenuti nella sala vide l'uomo disteso nell'angolo e lo riconobbe. Si alzò dal suo trono, andò da lui, lo toccò e gli chiese: "Mi riconosci?" 23 Ci dovrebbe essere acqua. Ma il colore è rosso e l'odore è quello del vino! " Si avvicinò e assaggiò un po' dell'acqua di fonte. Immediatamente, crollò e si è addormentò per molti anni ... settanta anni! Molti soldati passarono con le loro guarnigioni al seguito; il servo si nascose a causa dei soldati. Poi sopraggiunse una carrozza in cui era la principessa. Riconosciuto il servo, si fermò vicino a lui, scese dalla carrozza e si sedette accanto al vicerè. Provò a lungo con tutte le forze a svegliarlo, ma [il viceré] non riusciva a svegliarsi! Lei cominciò a rammaricarsi: "Tanta fatica e tanto dolore, dato che da così tanti anni si sacrificava per tirarmi fuori ... e per un solo giorno ha davvero perso tutto! pianse a lungo ‐ È pietoso per lui ... e per me! È passato così tanto tempo da quando sono qui! E non posso uscire! " Quindi, si tolse una sciarpa dalla testa e ci scrisse sopra, con le proprie lacrime; lei la mise vicino a lui, si alzò e riprese il suo posto nella sua carrozza. E andò via. Più tardi, [il viceré] si svegliò. "Dove sono su questa terra?"chiese al domestico. [Il domestico] gli raccontò tutta la storia ... dei tanti soldati passati, poi della carrozza e del pianto della principessa per lui ... del suo rammarico: "Che peccato per lui e per me!". Nel frattempo, guardò e vide accanto a lui la sciarpa e chiese: "Da dove viene questa?" Il servitore rispose: "L'ha lasciata la principessa; ci ha scritto con le sue stesse lacrime!" Non appena ebbe mangiato la mela, crollò e fu preso dal sonno. Dormì molto a lungo. Il suo servitore cercò di svegliarlo, ma non ci riuscì. Quando si riprese dal sonno, chiese al servitore: "Dove sono, dove mi trovo?" Il servitore gli raccontò tutta la storia, e disse: "Hai dormito per molto tempo ... hai dormito per diversi anni! Io ho vissuto mangiando questi frutti." Il viceré, molto rattristato, ritornò nuovamente al castello e la ritrovò [la principessa]. Si lamentò e lo riproverò [la principessa]: "Per un giorno solo, hai perso! Perché se tu fossi venuto quel giorno, avresti potuto farmi uscire! Oh! Non mangiare è una cosa molto difficile! Soprattutto l'ultimo giorno: in questo momento, la cattiva inclinazione (ietzer ha ra) diventa ancora più forte ... quindi, torna indietro e scegli un posto; devi stare lì per un altro anno! Poi l'ultimo giorno, avrai il diritto di mangiare ... ma non dormire! Tuttavia, non dovrai bere vino per non addormentarti perché la cosa principale è il sonno [il non dormire]." Se ne andò e fece così [il viceré]. L'ultimo giorno dell'anno, mentre stava andando là, vide una sorgente che scorreva. Il colore di questa fonte era rosso e l'odore era quello del vino. "Hai visto?" disse al domestico "È una fonte! 24 Il viceré, scoraggiato, pianse: "Esiste sicuramente! Deve certamente esistere! " Ma il gigante nuovamente lo scoraggiò. "Ti hanno detto sciocchezze!" Il viceré insistette: "Deve sicuramente esistere da qualche parte!" "Secondo me disse il gigante ti hanno detto sciocchezze... ma tu insisti. Ascolta, io sono il ministro di tutte le bestie selvagge. Ti farò un favore e chiamerò qui tutte le bestie selvagge. Viaggiano per il mondo intero; forse una di loro saprà qualcosa di questa montagna e di questo castello." Raccolse tutte le bestie selvagge dalla più piccola alla più grande e chiese loro. Tutte risposero di non averli mai visti. "Vedi? Ti hanno detto sciocchezze! Se vuoi ascoltarmi, torna indietro perché non lo troverai; non esiste in questo mondo!" Il viceré insistette molto: "Deve sicuramente esistere!" Il gigante gli disse: "Ho un fratello in questo deserto. È il ministro di tutti gli uccelli. Forse lo sanno, volano così in alto nell'aria. Forse hanno visto questa montagna e questo castello. Vai da lui e digli che ti ho mandato io da lui ." Camminò per anni alla sua ricerca. Di nuovo, incontrò un altro gigante che portava anche lui un albero immenso e lo interrogò come il primo. Gli raccontò tutta la storia e aggiunse che suo fratello l'aveva inviato da lui. Ma il gigante lo scoraggiò dicendo che non esisteva. Il viceré insistette molto: "Deve certamente esistere!" Il gigante gli rispose: "Sono il ministro di tutti gli uccelli. Li chiamerò, forse loro lo sanno?" Raccolse gli uccelli e chiese a tutti, dal più piccolo al più grande. Il viceré afferrò la sciarpa e la sollevò tendendola verso il sole. Cominciò a distinguere le lettere. Lesse ciò che vi era stato scritto: le sue lamentele, il suo rammarico, il suo pianto ... e che ora, non era più al castello ma doveva cercare una montagna in oro con un castello di perle: "Lì, mi troverai!" Abbandonò il suo servitore e andò a cercarla da solo. La cercò per molti anni. Pensava che dove ci sono uomini non avrebbe sicuramente trovato montagne d'oro o castelli di perle. Esperto di carte e mappe geografiche pensò: "Andrò a cercare nei deserti." Andò nei deserti e la cercò invano per molto tempo. Dopo alcuni anni incontrò un uomo molto alto le cui dimensioni non erano umane. Portava con sé un enorme albero mai visto di queste dimensioni nei luoghi visitati. Quest'uomo [gigante] gli chiese: "Chi sei?" "Sono un uomo!" rispose [il vicerè]. Il gigante si meravigliò e disse: "Sono stato in questo deserto per molto tempo e non ho mai incontrato un uomo!" Il viceré raccontò tutta la storia ... che stava cercando una montagna d'oro con un castello di perle. Il gigante rispose che una cosa del genere non esisteva certamente! Poi lo scoraggiò e gli disse: "Ti hanno raccontato delle sciocchezze perché certamente non esiste!" 25 Rivolto al vicerè il ministro dei venti disse: "Hai impiegato così tanto tempo e ti sei dato così tanta pena! E ora avrai un ostacolo a causa della mancanza di denaro! Ma voglio aiutarti. Ecco questo vaso. Quando ne avrai bisogno immergi la mano e ne ricaverai del denaro." Quindi ordinò a questo vento di fare strada e condurre il vicerè lassù. Il vento lo guidò fino alla porta della città. C'erano soldati lì che controllavano l'accesso. Il vicerè affondò la mano nel vaso e prese dei soldi da dare alle guardie con cui facilitò l'accesso. Entrò nella città. Era bellissima! Da un abitante affittò una ricca camera dove sostare, perchè occorreva agire con Intelligenza con Saggezza per fare riguadagnare la libertà alla principessa! Perché è ciò che va fatto."""""""" Gli uccelli risposero che non conoscevano questa montagna e questo castello. Il gigante disse: "Vedi? Di certo non esiste in questo mondo! Se vuoi ascoltarmi, torna indietro perché sicuramente non esiste." Ma il viceré insistette ancora: "Certamente, certamente devono esistere sulla terra!" Il gigante gli rispose: "In questo deserto, c'è mio fratello che è il ministro di tutti i venti. I venti corrono in tutto il mondo. Forse ne sapranno qualcosa? " Cercò ancora per molti anni. Di nuovo incontrò un gigante che trasportava anche lui un albero immenso e lo interrogò allo stesso modo. Gli raccontò tutta la storia. Anche questo gigante lo scoraggiò. Ma il viceré lo implorò. Il gigante gli promise di raccogliere tutti i venti per lui e di chiedere loro. Li chiamò e tutti i venti si presentarono. Chiese a tutti, ma nessuno di loro sapeva nulla della montagna o del castello. Il gigante gli disse: "Vedi? Ti hanno raccontato delle storie!" Il viceré iniziò a lamentarsi molto forte, ed affermò : "So che esiste, con certezza! ..." Nel mentre, giunse un altro vento, in ritardo sugli altri. Il ministro, perentorio, chiese a questo vento: "Perché vieni così tardi? Eppure a voi tutti avevo chiesto di giungere in tempo! Perché non sei venuto con loro " Il vento gli rispose: "Ho ritardato perché ho dovuto portare una principessa su una montagna in oro dove c'era un castello in perle!" Il viceré ebbe un sussulto di gioia. Il ministro chiese al vento: "Come ci si arriva?" "Ci vuole tanto denaro, è molto costoso!" [rispose il vento]. Come è stata salvata, Rabbi Nachman non l'ha mai scritto; ma alla fine la pricipessa è stata fatta uscire. Amen, Sela' 1! Storia della Principessa Perduta è un racconto esotericocabalistico di Rabbi Nachman di Breslav (17721810), contenuto nel Sippurei Ma'asiyot, 13 racconti in ebraico e yiddish pieni di profondi significati mistici. 26 Viaggio. Il Principe rappresenta anche l'Umanità o quella parte di essa che decide di compiere il Viaggio di ricerca ... che altro non è che un viaggio di ritorno. Diverse storie frammentarie sono incluse anche nella traduzione di Rabbi Aryeh Kaplan dei racconti completi di Rabbi Nachman. Questa versione di Storia della Principessa Perduta è una traduzione, dall'ebraico in francese, di Rabbi Israël Itshak Besançon. Tempo fa la tradussi dal francese per pochi amici e per raccontarla alle mie figlie. Ecco una mia chiave di interpretazione. La Shekina' שכינהla Principessa , è in esilio nella 10ª Sephira, Malkut Il Regno... Nella Kabbalah, rappresenta il principio femminile, ricettivo e passivo, del mondo divino. È anche la moglie. La sua unione con la sesta sefira, Tipheret o lo Sposo, è la condizione dell'armonia del mondo divino, di cui quella del mondo inferiore è solo un riflesso. Il Cavallo ed il Servitore, rappresentano il corpo fisico e la struttura razionale della mente umana ... ma questa, è solo una delle possibili chiavi interpretative. Il Principe, elemento maschile, il Re, lo Sposo sono rappresentati dalla sephira Tipheret (magnificenza). L'unione mistica del principio maschile e del principio femminile simboleggia tutti gli sforzi per pervenire all'unità divina, unico scopo del Arie' A:::I::: Gruppo Stanislas de Guaita Collina di Bari Note: 1. In ebraico, la parola Sela' significa "pausa", intesa come un momento per riflettere, una sospensione dal visibile, un chiudere la porta a tutto ciò che arreca rumore dall'esterno. 27 BENNU La Parola ritrovata Introduzione sommaria all'Ordine Martinista L’Ordine Martinista è l’espressione degli insegnamenti di Martinez de Pasqually, di L. C. de Saint Martin e dei suoi Maestri, di Papus, di Stanislao de Guaita e dei loro ispiratori tutti rifacentisi a quell’occultismo occidentale che affonda le sue radici nella tradizione egizio atlantidea e che è permeato dalla saggezza esoterica proveniente da canali diversi, segnalatamente dal canale gnosticocristiano e kabbalistico. L'essenza di questi insegnamenti contenuti in ponderose opere scritte, viene trasmessa mediante una semplice cerimonia di iniziazione rituale. Il Martinista approfondirà in seguito questi scopi non fermandosi alla lettera, ma penetrando dietro la significazione nascosta dall’antropomorfismo utilizzato dai Maestri per enunciarli. I mezzi che offre per il raggiungimento di questi scopi sono individuali e collettivi, il Martinista cioè viene posto in grado di compiere sia individualmente, sia in comunione con gli altri membri dell’Ordine, il lavoro di reintegrazione. Scolasticamente — e quindi non iniziaticamente — possiamo, su tale assunto, costruire il seguente schema: 1. Lavoro individuale a) Scoperta della vera natura e del vero essere dell’uomo. b) Lavoro di liberazione delle scorie che imprigionano l’uomo qui «in basso», lavoro di ordine interiore ed «operativo». c) Contribuzione personale alla reintegrazione universale mediante la partecipazione alle operazioni. 2. Lavoro Collettivo realizzantesi mediante la partecipazione attiva al lavoro di catena avente come effetti: d) L’intercambio energetico tra gli anelli della catena. e) L’utilizzazione delle energie singole simpaticamente agenti per il potenziamento della catena e per le operazioni di purificazione dell’aura terrestre. Riti giornalieri, mensili, equinoziali. Aperto agli uomini come alle donne, il Martinismo è un raggruppamento iniziatico che possiede: — una dottrina filosofica e mistica; — un metodo di lavoro individuale e di gruppo; — una linea di ispirazione sulla quale i membri debbono operare secondo le proprie possibilità individuali. Gli scopi principali che l’Ordine propone ai suoi membri sono essenzialmente due: 1. — la riconciliazione e la reintegrazione individuale; 2. — la reintegrazione universale. 28 Indipendentemente dalle «tecniche» usate dall’iniziato egli potrà agire anche «operativamente». Tale lavoro che comporta la messa in azione di operazioni che, seguendo gli schemi tradizionali (purificazioni, regime alimentare, preghiera magicamente intesa, allestimento di un luogo operatorio, ecc...) e particolari rituali (segnalatamente martinezisti) apporta all’operatore che ha un cuore puro ed una fede sincera degli effetti sensibili consistenti in genere in una visione diretta di lampi e di glifi (i «passi») che rappresentano dei segnali sul cammino della reintegrazione e che confermano la validità del lavoro e la sua progressione. Tale schema che si fonda su convincimenti personali, indipendentemente dalle Scuole, e trova la sua giustificazione nello studio e nella applicazione pratica degli insegnamenti esistenti nella letteratura di ispirazione martinista. Sommariamente possiamo approfondire quanto esposto nello schema sacrificando alla chiarezza (e quindi peccando di leggerezza) l’interiore profondità degli insegnamenti dei Maestri Passati e di quelli viventi qui «in basso». a) L’uomo, per L. C. de S. Martin, è la somma di tutti i problemi. È lui stesso un problema, l’enigma degli enigmi. Non si può comprendere l’uomo per mezzo della natura, ma la natura per mezzo dell’uomo. Louis Claude de Saint Martin invita l’uomo a considerare se stesso e ad analizzare la realtà che avrà scoperto in tal modo. Così l’uomo scoprirà il suo vero rango e percepirà l’armonia del mondo secondo il famoso adagio di Delfo. «Conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dei!». L’uomo, malgrado la sua «degradazione» porta sempre con sé evidenti i segni della sua origine divina. Incatenato sulla terra come Promoteo, esiliato dal suo regno, quale fine si potrà proporre se non quella della reintegrazione? c) Il contributo alle operazioni per la purificazione dell’aura terrestre avviene mediante la partecipazione attiva (come «operatore») a queste. d) La catena martinista permette che si stabilisca un intercambio energetico tra fratello e fratello, tra fratello ed eggregore. Per suo mezzo si creano inoltre quelle energie che saranno utilizzate per gli scopi generali dell’Ordine. e) L’atmosfera astrale del nostro globo è infestata: 1. dai pensieri negativi emessi dagli uomini; 2. dalle forze negative di esseri non corporei (sono queste forze che generano i mali dell’umanità e si frappongono alla sua rapida ascesa evolutiva: guerre, odi razziali, religiosi, sociali, di caste, di collettività, desideri egoistici, ecc...). Soltanto le operazioni teurgiche, veri e propri esorcismi, sono in grado di combattere questa negatività con successo. Operazioni teurgiche collettivamente eseguite hanno una forza che aumenta in senso geometrico in rapporto al numero degli operatori e, spostando anche di poco la polarità dell’ambiente «astrale», contribuiscono alla grande opera della reintegrazione universale. b) Una volta conosciuta la sua vera natura egli non aspirerà che alla liberazione dalla prigione e dopo aver indagato sui mezzi a sua disposizione, inizierà quel lavoro di decondizionamento, di decantazione e di purificazione che lo condurrà, dopo aver realizzato il noto quadruplice motto: osare, tacere, sapere, volere, ad operare quella trasmutazione di alchimia spirituale avente come fine la strutturazione di un tipo d’uomo differente dalla umanità media, certamente ad essa superiore per evoluzione e per possibilità, «riconciliato e reintegrato nelle sue primitive» qualità e potenza. 29 La catena martinista può naturalmente dedicare le sue energie positive a combattere la negatività su tutti i piani, particolare attenzione viene posta anche alle operazioni di «guarigione». l’intervento dell’Eggregoro di catena permette che il «piccolo arcano» di per sé ineffabile venga intuito dall’adepto o rivelato. Il possesso del piccolo arcano naturale permette l’avviamento all’ulteriore fase di lavoro. Senza questa intuizione o rivelazione non v’è possibilità di progresso in quanto nessun essere vivente, nessun istruttore, può spiegare chiaramente il segreto. È solo l’appartenenza all’Ordine, l’applicazione della «regola» e la pratica costante che aprono queste possibilità. È quindi risibile qualsiasi organizzazione che si definisca iniziatica (indipendentemente dalla denominazione ch’essa assuma) senza il possesso effettivo degli Arcani e di un Collegio Operativo in grado di trasmettere ai chiamati le istruzioni relative al piccolo ed al grande magistero. Questa introduzione sugli scopi e sui mezzi atti a conseguire tali scopi è certamente carente, ma il completamento di questo schema volutamente semplice, è compito del Fratello che intraprende l’ascesa, attraverso la comprensione degli insegnamenti successivi e soprattutto attraverso la pratica indispensabile per qualsiasi progresso. Perciò ricordiamo ancora un passo del De Guaita che è da meditare profondamente: «Noi ti abbiamo “cominciato”: il ruolo degli Iniziatori deve fermarsi qui. Se tu perverrai da te stesso all’intelligenza degli Arcani, tu meriterai il titolo di Adepto; ma sappi bene ciò: è invano che il più sapiente dei Maestri ti riveli le supreme formule della scienza e del sapere magico; la Verità Occulta non si può trasmettere con un discorso: ciascuno deve evocarla, crearla e svilupparla in sé. Infatti non dobbiamo sottacere una Verità fondamentale, senza la quale la comprensione effettiva del Martinismo sarebbe desolatamente tradita e la verità è questa: nel Martinismo si pone come scopo fondamentale ed irrinunciabile la reintegrazione per ottenere la quale si deve giungere alla pratica trasmutatoria che in termini più correnti e comprensibili è alchimia. Tu sei Iniziato: sei uno che gli altri hanno messo sulla Via; sforzati di divenire Adepto; uno cioè che ha conquistato la scienza da se stesso, o, in altri termini, il Figlio delle sue opere». Nebo S:::I:::I::: ‐ Maestro Passato Alla trasmutazione si giunge attraverso la pratica (e mai attraverso la pura teorizzazione) anche fideistica, la quale mediante Tratto da: Francesco Brunelli, Il Martinismo e l'Ordine Martinista, Editrice Volumnia, Perugia, 1980, pp.192 195. 30 BENNU L'ottava Contributi lettera di Raimondo de Sangro sulla Lampada Eterna Anche oggi si potrebbe costruire una lampada al fosforo, con gli stessi principi di quelle che chiamano macchine anatomiche ma che io feci costruire, più con i miei principi ermetici che con quelli scientifici (che non conosco bene) ma che per affinità simbolica (ciò che in alto è come ciò che in basso) si possono comunque parificare. Cara, era l’agosto de 1754. Nella mia stanza sotterranea ero solo con il mio lume, che avevo fabbricato con una sostanza imparentata con la nascita di una galassia che è la nostra dimora. Cara Signora Celeste, sapendo che noi siamo in questa galassia, uniti saranno i nostri volti che saranno i nostri ricordi. Il mio lume è fatto di fosforo, e non deve avere ossigeno, di cui non si alimenta, e dal silenzio della mia camera di riflessione. Nel ciclo delle esistenze il tempo si è fermato, ed è solo l‘eternità l’unico parametro in cui il mio lume risplende. La scienza è forse l’unica verità? L’aver rinunciato ai miei amati termini ermetici esprime forse chiaramente una verità qualsiasi? La conoscenza ci porta ancora agli antenati egizi, della valle dei re, che sono riusciti a dare eternità ai corpi. Non potrebbero forse, con i medesimi materiali, aver costruito una lampada inestinguibile? Igneus S:::I:::I::: Reggente Libere Logge Martiniste Toscane N.d.c. Le lettere alchemiche sul Lume Eterno sono l'unico scritto esoterico redatto da Raimondo de Sangro, nel 1753, di proprio pugno. Le lettere ritrovate con cui il principe informava della sua scoperta Giovanni Giraldi, accademico della Crusca, sono sette. Igneus, in questo suo articolo, immagina e propone l'ultima lettera del carteggio fra i due studiosi. Ovviamente, l'interpretazione è lasciata ai singoli: si potrebbe ad esempio paragonare il candeliere al corpo, la candela all'anima (o allo spirito) e la fiamma allo spirito (o all'anima). 31 Il Trilume Note al cap. IV di "Degli Errori e delle Verità" di Rebbe Nachman de Breslev (trad. fr. di Rabbi Israël Itshak Besançon) Ho annunciato questa causa attiva e intelligente dicendo che ha un'azione universale, sia sulla natura corporea che sulla natura pensante. Essa è, in effetti, la prima delle cause temporali e senza la quale nessuno degli esseri esistenti nel tempo, può sussistere; agisce su di essi attraverso la legge stessa della sua esistenza e per i diritti che le dà la sua destinazione nell'universo. Quindi sia che gli esseri che abitano questo universo la concepiscano sia che non la concepiscano, non ve n'è uno che non ne riceva gli aiuti, e poiché essa è attiva e intelligente, bisogna che gli esseri pensanti partecipino ai suoi favori come gli esseri che non lo sono Come poter loro porgere un pensiero che affonda le sue radici in una realtà eterna sempre esistente, ma ormai sempre più lontana a causa di una aggressione tecnologica che ci disumanizza sempre di più? (LouisClaude de SaintMartin Degli errori e della Verità) Il caro Ovidio La Pera (Yohannes S:::I:::I:::) è passato oltre il velo il 20 giugno dello scorso anno, dopo una lunga malattia e invalidità. L’anno appena trascorso, come per molti, è stato molto pesante. Gli sono stata vicino fino alla fine e non è stato facile. Dopo la sua morte ho impiegato tre mesi per riprendermi, anche fisicamente. Nella sua soffitta ho trovato otto scatoloni pieni di “Degli Errori e della Verità” di Saint Martin, freschi (si fa per dire) di stampa. Li ho presi e ho iniziato a sparpagliarli in tutta Italia, sulle panchine, sui treni, nei luoghi frequentati da molti. Beh, si vede che questo è servito a mettere in moto qualcosa perché da allora gruppi esoterici di varia natura hanno iniziato ad interessarsi a SaintMartin. Poi, verso ottobre, ho avvertito io un impulso. Ho sentito che dovevo riprendere in mano proprio quel libro. Tutto nato dopo una frase di un fratello che si poneva l’interrogativo riguardo alla docetica e della trasmissione: cosa diamo a chi viene? Ho sentito che questo potevo provare a fare: il linguaggio di SaintMartin oltre che esser difficile è poco comprensibile anche perché ha una struttura francese e del settecento. Ovidio ha fatto una traduzione fedelissima, perché non voleva tradire il Maestro, ma ciò scoraggia molti. Ho pensato allora di snellire il linguaggio, come avevo fatto a suo tempo col “Della triplice vita”, con “Dei tre principi”, e con “Chiave” del Bohme. Con Ovidio avevamo fatto allora un lavoro a tenaglia nel senso che uno traduceva e l’altro 32 purtroppo, è sempre più lontana. Perciò siamo preda delle paure, e della nostra mente, il cui tessuto perlopiù è fatto di paura (con anche una piccola parte sana che serve per svolgere la funzione per cui era nata). La fiducia nella forza della vita, vita racchiusa nelle forme, che le trascende, ma che si esprime mediante esse, è la fonte di ogni coraggio: mai frenare con la paura il flusso dell’esistenza. Di quel fiume possiamo saggiamente imparare a conoscerne le leggi per non esser travolti dai gorghi e per nuotarvi senza affondare, rispettandolo, ma mai esserne spaventati in modo cieco ed esserne travolti (“l’uomo del torrente”), perché il nostro compito è farlo esprimere attraverso la nostra forma: un fiume non è né male né bene, la sua acqua va solo contenuta e assecondata. Una frase del Bohme mi martella sempre in testa “l’eterno giace nel tempo e per suo mezzo si manifesta”. Vi vedo il senso della croce: l’eterno è la verticale, il tempo l’orizzontale, che scorre, il punto centrale è ciascuno di noi che in quel momento ha il compito di esprimere, qui su questa terra, la vita che gli pulsa nel petto. La paura uccide questa vita, e la uccide se non la manifesta, se non la esprime. Vita è espressione, e ogni fiore la esprime nella forma della sua anima, senza nessuna invidia per la forma di un altro, perché ciascuno ha il suo senso, il suo posto. Quindi ho iniziato questo lavoro a novembre. Nel suo sviluppo mi si è affacciata alla mente correggeva e viceversa (e ci ho pure “litigato” molto), perché anche lì voleva riportare il linguaggio tale e quale, ma così facendo era impossibile leggere. Mi ricordo che trovai un intero capitolo totalmente senza punteggiatura (per correttezza dissi la cosa in una nota a piè di pagina). In corso d’opera mi sono poi resa conto che oltre che tentare di sciogliere il linguaggio poteva esser utile inserire dei commenti. Per poter penetrare gli scritti di questo Maestro, come anche quelli di altri che lavorano appunto sul linguaggio (tipo Scaligero), occorre una forte concentrazione. Noi ormai siamo abituati agli scritti mordi e fuggi di Facebook: si legge veloce e si passa di palo in frasca continuamente. Lo faccio anche io e osservo in me la penosa nebbia che avvolge il cervello dopo un po’ di tempo che ci applichiamo in questa operazione (e bisogna fare molta attenzione a non tenerci gli occhi sopra fissi, perché oltre che il blocco della cervicale, siamo continuamente bombardati da immagini subliminali che passano nello scorrere veloce). I Maestri acquisiscono le loro qualità penetrative perché il loro essere contempla la natura (e anche SaintMartin dice di restare connessi con la natura per mantenerci armonici) e concentra il pensiero sui particolari che scorge in essa, trovandone le leggi. Noi siamo microcosmo, e il fuori è per noi specchio rivelatore delle leggi da cui siamo costituiti. Ora, questa connessione con la vita, 33 la meravigliosa idea di una collaborazione di più spiriti: ho pensato che altri fratelli avrebbero potuto tentare di fare lo stesso con altri testi. Se siamo un gruppetto possiamo terminare tutta l’opera in un relativo breve tempo e metterla a servizio di molti, e in questo momento grave per l’umanità che sta perdendo se stessa non sarebbe male lasciare qualcosa che può ridare un allineamento. Lancio perciò qui un appello: se qualche fratello se la sente possiamo collaborare, sia sul testo che sto prendendo in esame sia sugli altri. Attualmente sto affrontando il quinto capitolo. Non è un lavoro che può esser svolto velocemente perché SaintMartin usa termini molto precisi e bisogna stare attentissimi alle sfumature del linguaggio per coglierne il senso. E per le mie capacità più di poche pagine alla volta non riesco a contenerle. Poi, “coglierne il senso”…diciamo che faccio quello che posso con la miglior intenzione possibile, comunque è vero che mentre leggi in quello stato arrivano delle luci inattese, e le ho riportate tutte, anche se spesso la paura voleva appunto frenarmi sulla loro esternazione: non c’è da fare né bella né brutta figura, si è ciò che si è, e se una idea è fallace, potrà ben rifiutarla chi la legge, se invece può avere un pizzico di qualcosa, magari può essere il “la” per far ampliare un pensiero o per creare qualcosa. Punto fondamentale su tutto il pensiero di SaintMartin è la Volontà, e l’adesione alla causa attiva e intelligente. La prima è la peculiarità intima dell’Uomo, non è da confondersi coi “vorrei”. L’uomo è caduto per via della volontà che ha scelto la morte, può ritornare all’eterno grazie a una volontà non più asservita all’egoismo che lo separa dalle altre creature, ma che si unisce alla Causa attiva e intelligente che lo assiste e ne dirige gli atti nella dimensione temporale, e che lo rende effettivamente microcosmo. La causa attiva e intelligente nel tavolo martinista penso sia da vedersi nel trilume. Riporto parte di una mia nota all’interno del quarto capitolo: “l’uomo è depositario della scintilla che è della stessa qualità del fuoco d’Amore che ha creato l’universo, ma la percezione di questa scintilla è rara, perchè ci accontentiamo di vivere ascoltando le paure della mente. In realtà è solo grazie alla scintilla che posso accendere qualsiasi altra luce. Il trilume può essere veramente “acceso” solo grazie a questa scintilla, che in un certo modo lo “ingravida”. La scintilla della vita può dare altra vita. La luce della “saggezza” (che è la prima luce delle tre) si genera solo se siamo in connessione con la forza della vita che è dentro di noi, e senza questa accensione Reale, non esiste nessuna “bellezza” e nessuna “forza”. Ecco che l’Uomo è tale solo se rispetta il numero Quattro: l’Uno, la scintilla eterna divina che è in lui + il Tre, la sua azione che si compie nel tempo”. Spero di essere stata utile, un fraterno abbraccio Emmanuel S:::I::: O:::M:::E:::C::: 34 BENNU Vita dell'Ordine 35