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Aquil ne
L’
PAROLE E FATTI DALLE SCUOLE LIBERE
In redazione: Rosario Mazzeo, Enrico Leonardi,
Angela Belussi.
Anno XVIII n. 47 - Marzo 2008 - € 0,50
La scuola "L'Aurora-Bachelet" è a Cernusco sul Naviglio in Via Mosè Bianchi/Via Buonarroti
Tel: 02 92111020 - Fax: 02 9238883 - E-Mail: [email protected] - www.aurorabachelet.it
Supplemento a "Libertà di educazione"
Editore CeSeD, Autorizzazione
Trib. di Milano n. 153 del 15/4/1997
Direttore responsabile: F. Tagliabue
Direttore: Giuseppe Meroni
Impaginazione e grafica: Cobri Srl
Stampa: Jona Srl - Paderno D. (Mi)
dalla prima pagina
A proposito di Galileo . . . . . . . . . . . . 10
le classi raccontano | la scuola elementare
Lettera sul compito urgente
dell’educazione . . . . . . . . . . . . . . . . 2
Laboratorio di giochi linguistici . . . . . . 10
Fisica: che spettacolo! . . . . . . . . . . . . 11
Geometria, materia complicata?
No, se il percorso è adeguato . . . . . . . .15
Liberi, lieti, forti . . . . . . . . . . . . . . . . 3
Sudoku . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
Il matematico che è in me! . . . . . . . . . 16
L’educazione è un profumo . . . . . . . . . 4
Guardiamo cosa c’è fuori
dal Pianeta Terra . . . . . . . . . . . . . . . . 11
famiglie in azione | genitori & figli
indice
Il preside intervistato da Voce Amica . . . . 6
A proposito dei fatti della “Sapienza”. . . .12
“Si può vivere così”?
Una domanda e una sfida . . . . . . . . . 18
le classi raccontano | la scuola media
Facciamo luce sulla materia . . . . . . . . .12
Amare il mondo . . . . . . . . . . . . . . . .19
Il Signore degli Anelli . . . . . . . . . . . . . 8
Un comune vigile urbano . . . . . . . . . . .13
Gita didattica in famiglia . . . . . . . . . . . 8
Scatti d’autore . . . . . . . . . . . . . . . . .14
Internet, e-mail, chat, blog…
Navigare è un pericolo? . . . . . . . . . . . .19
27 gennaio, giorno della Memoria . . . . . . 9
Colori e pennelli! . . . . . . . . . . . . . . .14
Un’amicizia che continua . . . . . . . . . . 20
Il cammino di un popolo . . . . . . . . . . . 9
Lingua straniera 2 . . . . . . . . . . . . . . .14
Donacibo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
▼ EDITORIALE
▼
Un compito per tutti:
educare e lasciarsi educare
▼
Con una Lettera scritta nel mese di gennaio
ed indirizzata alla Diocesi e alla città di Roma
Benedetto XVI ha richiamato ancora una volta
tutti gli uomini di buona volontà sul compito
urgente dell’educazione.
La ragione l’ha spiegata il Papa
stesso l’ultima domenica di febbraio: “Educare non è mai stato
facile e oggi sembra diventare
sempre più difficile: perciò non
pochi genitori e insegnanti sono
tentati di rinunciare al proprio
compito, e non riescono più
nemmeno a comprendere quale
sia veramente la missione loro
affidata. Troppe incertezze e
troppi dubbi, infatti, circolano
nella nostra società e nella nostra cultura, troppe immagini
distorte sono veicolate dai mezzi di comunicazione sociale.
Diventa difficile, così, proporre
alle nuove generazioni qualcosa
di valido e di certo, delle regole
di comportamento e degli obiettivi per i quali meriti spendere la
propria vita”.
Pensiamo che il miglior servizio
che possiamo rendere ai nostri
lettori sia in questo momento
riproporre il testo della lettera pontificia. In essa possiamo
ritrovare alcune indicazioni,
semplici e concrete, sugli aspetti
fondamentali e comuni dell’opera educativa. Tutti.
Innanzitutto i genitori a cui
Benedetto XVI ricorda che
il loro reciproco amore è
“il primo e grande dono
di cui hanno bisogno i
figli, per
crescere se-
reni, acquisire fiducia in se stessi e fiducia nella vita e imparare
così ad essere a loro volta capaci
di amore autentico e generoso. Il
bene che volete ai figli deve poi
darvi lo stile e il coraggio del
vero educatore, con una coerente testimonianza di vita ed anche
con la fermezza necessaria per
temprare il carattere delle nuove
generazioni, aiutandole a distinguere con chiarezza il bene dal
male ed a costruirsi a loro volta
delle solide regole di vita, che le
sostengano nelle prove future.
Così farete ricchi i vostri figli
dell’eredità più preziosa
e duratura, che consiste
nell’esempio di una
fede quotidianamen-
te vissuta.”
In secondo luogo i docenti a cui
il Papa chiede di avere un concetto alto e grande del loro impegnativo lavoro, nonostante le
difficoltà, le incomprensioni, le
delusioni che troppo spesso sperimentano. “Insegnare, infatti,
significa andare incontro a quel
desiderio di conoscere e di capire che è insito nell’uomo e che
nel bambino, nell’adolescente,
nel giovane si manifesta in tutta la sua forza e spontaneità. Il
vostro compito, perciò, non può
limitarsi a fornire delle nozioni e
delle informazioni, lasciando da
parte la grande domanda riguardo alla verità, soprattutto
a quella verità
che può essere di guida nella
vita. Siete infatti, a pieno titolo,
degli educatori: a voi, in stretta
sintonia con i genitori, è affidata
la nobile arte della formazione
della persona. In particolare,
quanti insegnano nelle scuole
cattoliche portino dentro di sé e
traducano in azione quotidiana
quel progetto educativo che ha
al proprio centro il Signore Gesù
e il suo Vangelo.”
In terzo luogo tutti gli altri educatori a cui il pontefice ricorda
che l’educazione “ è un rapporto
segue a pag 2
2
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L’
marzo 2008
dalla prima pagina
Vaticano, 21 gennaio 2008
Lettera sul compito urgente
dell’educazione
anche un’atmosfera diffusa, una
mentalità e una forma di cultura
che portano a dubitare del valore della persona umana, del
significato stesso della verità e
del bene, in ultima analisi della
bontà della vita. Diventa difficile, allora, trasmettere da una
generazione all’altra qualcosa
di valido e di certo, regole di
comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali costruire la
propria vita.
Papa Benedetto XVI
▬ Cari fedeli di Roma,
ho pensato di rivolgermi a voi
con questa lettera per parlarvi
di un problema che voi stessi
sentite e sul quale le varie componenti della nostra Chiesa si
stanno impegnando: il problema
dell’educazione. Abbiamo tutti
a cuore il bene delle persone che
amiamo, in particolare dei nostri
bambini, adolescenti e giovani.
Sappiamo infatti che da loro dipende il futuro di questa nostra
città. Non possiamo dunque non
essere solleciti per la formazione delle nuove generazioni, per
la loro capacità di orientarsi nella vita e di discernere il bene dal
male, per la loro salute non soltanto fisica ma anche morale.
Educare però non è mai stato
facile, e oggi sembra diventare
sempre più difficile. Lo sanno
bene i genitori, gli insegnanti, i
sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande
“emergenza educativa”, confermata dagli insuccessi a cui
troppo spesso vanno incontro i
nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare
con gli altri e di dare un senso
alla propria vita. Viene spontaneo, allora, incolpare le nuove
generazioni, come se i bambini
che nascono oggi fossero diversi da quelli che nascevano nel
passato. Si parla inoltre di una
“frattura fra le generazioni”, che
certamente esiste e pesa, ma che
è l’effetto, piuttosto che la causa, della mancata trasmissione
di certezze e di valori.
Dobbiamo dunque dare la colpa agli adulti di oggi, che non
sarebbero più capaci di educare? E’ forte certamente, sia tra
i genitori che tra gli insegnanti
e in genere tra gli educatori, la
tentazione di rinunciare, e ancor
prima il rischio di non comprendere nemmeno quale sia il loro
ruolo, o meglio la missione ad
essi affidata. In realtà, sono in
questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o
dei giovani, che pur esistono e
non devono essere nascoste, ma
Segue dalla prima
Un compito per tutti:
educare e lasciarsi educare
▬... tra persone nel quale, con il crescere degli anni, entrano sempre più in gioco la libertà e la responsabilità di coloro che vengono educati. Perciò, con
grande affetto, mi rivolgo a voi, fanciulli, adolescenti e giovani, per ricordarvi che
voi stessi siete chiamati ad essere gli artefici della vostra crescita morale, culturale
e spirituale. Sta a voi, dunque, accogliere liberamente nel cuore, nell’intelligenza
e nella vita il patrimonio di verità, di bontà e di bellezza che si è formato attraverso
i secoli e che ha in Gesù Cristo la sua pietra angolare. Sta a voi rinnovare e sviluppare ulteriormente questo patrimonio, liberandolo dalle tante menzogne e brutture
che spesso lo rendono irriconoscibile e provocano in voi diffidenza e delusione.
Sappiate comunque che in questo non facile cammino non siete mai soli: vi sono
vicini non soltanto i vostri genitori, insegnanti, sacerdoti, amici e formatori, ma
soprattutto quel Dio che ci ha creato e che è l’ospite segreto dei nostri cuori. Egli
illumina dal di dentro la nostra intelligenza, Egli orienta al bene la nostra libertà,
che spesso avvertiamo fragile e incostante, Egli è la vera speranza e il fondamento
solido della nostra vita. Di Lui, anzitutto, ci possiamo fidare.” ■
Cari fratelli e sorelle di Roma,
a questo punto vorrei dirvi una
parola molto semplice: Non
temete! Tutte queste difficoltà,
infatti, non sono insormontabili.
Sono piuttosto, per così dire, il
rovescio della medaglia di quel
dono grande e prezioso che è la
nostra libertà, con la responsabilità che giustamente l’accompagna. A differenza di quanto
avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi
possono sommarsi a quelli del
passato, nell’ambito della formazione e della crescita morale
delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell’uomo è
sempre nuova e quindi ciascuna
persona e ciascuna generazione
deve prendere di nuovo, e in
proprio, le sue decisioni. Anche
i più grandi valori del passato
non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e
rinnovati attraverso una, spesso
sofferta, scelta personale.
Quando però sono scosse le fondamenta e vengono a mancare le
certezze essenziali, il bisogno di
quei valori torna a farsi sentire in
modo impellente: così, in concreto, aumenta oggi la domanda
di un’educazione che sia davvero tale. La chiedono i genitori,
preoccupati e spesso angosciati
per il futuro dei propri figli; la
chiedono tanti insegnanti, che
vivono la triste esperienza del
degrado delle loro scuole; la
chiede la società nel suo complesso, che vede messe in dubbio le basi stesse della convivenza; la chiedono nel loro intimo
gli stessi ragazzi e giovani, che
non vogliono essere lasciati soli
di fronte alle sfide della vita. Chi
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Prosegue il cammino iniziato due anni fa
con le conversazioni sull’educazione
Liberi, lieti, forti
crede in Gesù Cristo ha poi un
ulteriore e più forte motivo per
non avere paura: sa infatti che
Dio non ci abbandona, che il
suo amore ci raggiunge là dove
siamo e così come siamo, con le
nostre miserie e debolezze, per
offrirci una nuova possibilità di
bene.
Cari fratelli e sorelle, per rendere più concrete queste mie
riflessioni, può essere utile individuare alcune esigenze comuni di un’autentica educazione.
Essa ha bisogno anzitutto di
quella vicinanza e di quella fiducia che nascono dall’amore:
penso a quella prima e fondamentale esperienza dell’amore
che i bambini fanno, o almeno
dovrebbero fare, con i loro genitori. Ma ogni vero educatore
sa che per educare deve donare
qualcosa di se stesso e che soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a
diventare a loro volta capaci di
autentico amore.
Già in un piccolo bambino
c’è inoltre un grande desiderio di sapere e di capire, che si
manifesta nelle sue continue
domande e richieste di spiegazioni. Sarebbe dunque una ben
povera educazione quella che si
limitasse a dare delle nozioni e
delle informazioni, ma lasciasse
da parte la grande domanda riguardo alla verità, soprattutto a
quella verità che può essere di
guida nella vita.
Anche la sofferenza fa parte della verità della nostra vita. Perciò,
cercando di tenere al riparo i più
giovani da ogni difficoltà ed
esperienza del dolore, rischiamo di far crescere, nonostante le
nostre buone intenzioni, persone
fragili e poco generose: la capacità di amare corrisponde infatti
alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme.
Arriviamo così, cari amici di
Roma, al punto forse più delicato dell’opera educativa: trovare
un giusto equilibrio tra la libertà
e la disciplina. Senza regole di
comportamento e di vita, fatte
valere giorno per giorno anche
nelle piccole cose, non si for-
ma il carattere e non si viene
preparati ad affrontare le prove
che non mancheranno in futuro.
Il rapporto educativo è però anzitutto l’incontro di due libertà
e l’educazione ben riuscita è
formazione al retto uso della libertà. Man mano che il bambino
cresce, diventa un adolescente
e poi un giovane; dobbiamo
dunque accettare il rischio della libertà, rimanendo sempre
attenti ad aiutarlo a correggere
idee e scelte sbagliate. Quello
che invece non dobbiamo mai
fare è assecondarlo negli errori,
fingere di non vederli, o peggio
condividerli, come se fossero le
nuove frontiere del progresso
umano.
L’educazione non può dunque
fare a meno di quell’autorevolezza che rende credibile l’esercizio dell’autorità. Essa è frutto
di esperienza e competenza,
ma si acquista soprattutto con
la coerenza della propria vita e
con il coinvolgimento personale, espressione dell’amore vero.
L’educatore è quindi un testimone della verità e del bene: certo,
anch’egli è fragile e può mancare, ma cercherà sempre di nuovo
di mettersi in sintonia con la sua
missione.
Carissimi fedeli di Roma, da
queste semplici considerazioni
emerge come nell’educazione
sia decisivo il senso di responsabilità: responsabilità dell’educatore, certamente, ma anche, e
in misura che cresce con l’età,
responsabilità del figlio, dell’alunno, del giovane che entra
nel mondo del lavoro. E’ responsabile chi sa rispondere a
se stesso e agli altri. Chi crede
cerca inoltre, e anzitutto, di rispondere a Dio che lo ha amato
per primo.
La responsabilità è in primo
luogo personale, ma c’è anche
una responsabilità che condividiamo insieme, come cittadini
di una stessa città e di una nazione, come membri della famiglia umana e, se siamo credenti,
come figli di un unico Dio e
membri della Chiesa. Di fatto le
idee, gli stili di vita, le leggi, gli
orientamenti complessivi della
società in cui viviamo, e l’immagine che essa dà di se stessa
attraverso i mezzi di comunicazione, esercitano un grande
influsso sulla formazione delle
nuove generazioni, per il bene
ma spesso anche per il male. La
società però non è un’astrazione; alla fine siamo noi stessi, tutti insieme, con gli orientamenti,
le regole e i rappresentanti che
ci diamo, sebbene siano diversi
i ruoli e le responsabilità di ciascuno. C’è bisogno dunque del
contributo di ognuno di noi, di
ogni persona, famiglia o gruppo
sociale, perché la società, a cominciare da questa nostra città
di Roma, diventi un ambiente
più favorevole all’educazione.
Vorrei infine proporvi un pensiero che ho sviluppato nella
recente Lettera enciclica “Spe
salvi” sulla speranza cristiana:
anima dell’educazione, come
dell’intera vita, può essere solo
una speranza affidabile. Oggi
la nostra speranza è insidiata
da molte parti e rischiamo di
ridiventare anche noi, come gli
antichi pagani, uomini “senza
speranza e senza Dio in questo
mondo”, come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani di Efeso
(Ef 2,12). Proprio da qui nasce
la difficoltà forse più profonda
per una vera opera educativa:
alla radice della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di
fiducia nella vita.
Non posso dunque terminare
questa lettera senza un caldo
invito a porre in Dio la nostra
speranza. Solo Lui è la speranza
che resiste a tutte le delusioni;
solo il suo amore non può essere
distrutto dalla morte; solo la sua
giustizia e la sua misericordia
possono risanare le ingiustizie e
ricompensare le sofferenze subite. La speranza che si rivolge a
Dio non è mai speranza solo per
me, è sempre anche speranza
per gli altri: non ci isola, ma ci
rende solidali nel bene, ci stimola ad educarci reciprocamente
alla verità e all’amore.
Vi saluto con affetto e vi assicuro uno speciale ricordo nella
preghiera, mentre a tutti invio la
mia Benedizione. ■
Quest’anno dopo aver incontrato Don Eugenio
Nembrini molti genitori hanno espresso il
desiderio di approfondire la domanda: ‘Chi
è l’adulto, dov’è l’adulto, a che bisogni deve
rispondere?’, così il 18 febbraio, presso la scuola,
si sono incontrate una trentina di famiglie.
Proponiamo il racconto di una mamma.
Tiziana Giudici, genitore
-
“E’ tardissimo! Sono tornata dal lavoro, ho appena finito di cucinare, mangiare, sparecchiare, far partire la lavatrice, stendere i panni,
fare due telefonate, portare Simone dal dentista… ed è già ora di
preparare la cena!!! Sono stanchissima e stasera c’è anche l’incontro
a scuola… cosa faccio? Quasi quasi non vado, in fondo per oggi la
mia parte l’ho fatta... mm…. un’occhiata al titolo ‘Conversazioni
sull’esperienza di educazione nostra e dei figli’… educazione nostra… mah in che senso… magari mi faccio raccontare dal Preside
poi!”
Ma il tarlo di perdere un’occasione l’avevo, mangio velocemente,
sparecchio, lascio disposizioni per la serata e via di corsa a sentire
qualcosa sui figli… chissà mai che ci sia qualche trucchetto per facilitare la vita!
Ma il Preside Mazzeo inizia così: “Siamo qui come persone per educarci e non tanto nel ruolo di genitori. L’educazione sembra sempre un affare da esperti. Esperto nell’educazione è ciascuno di noi.
Esperto: che ha esperienza!”
E così inizia la serata di conversazione, proprio un dialogo. Alcuni tra
noi, “esperti”, raccontano la loro esperienza. Molti fanno domande.
Ecco gli appunti di risposte tra un intervento e l’altro: “Non togliere
la fatica ai figli. Libertà anche di sbagliare. Amare sempre la libertà
di tuo figlio. Educarsi anche tra adulti per crescere nel rapporto tra
adulti. Guardare al proprio figlio come altro da sé: non è cosa tua.”
Un’ora intensa e densa di tanti spunti per ripensare sia a se stessi sia
al rapporto con i propri figli.
Ci vuole una sintesi, così il prof. Mazzeo partendo dalla propria
esperienza, ci lascia una traccia di riflessione e di lavoro. Rimanda
alla lettera del Papa alla diocesi di Roma e alla conversazione con
don Eugenio Nembrini. E conclude: “ A noi interessa che i nostri
figli diventino uomini cioè: liberi, lieti e forti. Quale progetto per
loro dunque? Che si realizzi ciò per cui Dio li ha fatti! La pretesa
non è mai giusta in assoluto: l’attesa sì! Non pretesa ma attesa. L’attesa è sempre grande e se c’è attesa, c’è sempre stupore e gratitudine per come i nostri figli diventano grandi e noi siamo sempre più
richiamati ad intraprendere la strada della verità e la ricerca della
bellezza.”! ■
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Una proposta affascinante solo questo muove la libertà dell’uomo
L’educazione è un profumo
E. L.
-
Chi è l’adulto? Dov’è l’adulto? A quale bisogno può e deve
rispondere?
A queste domande, riproposte
da Alberto Invernizzi, presidente dell’ A3B, don Eugenio
ha risposto raccontando la sua
esperienza.
“In questa vicenda, ci siamo
proprio dentro tutti.
La mia vita, come la vostra,
non è dipesa dalla scuola, grazie a Dio, ma da quello che nel
tempo è emerso. Io ho vissuto
sempre con davanti mio padre
e mia madre che erano realmente degli educatori. Eppure loro
hanno fatto, come tutti allora, la
terza elementare, avevano dieci
figli, mio padre era ammalato di
sclerosi a placche. Questa era la
situazione di casa mia. Perché vi
dico questo? Perché, nel tempo,
permane tutto quello che di bene
e di grande uno ha respirato.
Amo dire che l’educazione, per
un adulto, è stare di fronte a una
persona che profuma.
L’educazione è un gusto, un
respiro, l’educazione è un profumo. E come la puzza dà fastidio a tutti, il profumo, ovunque
tu sia, piace, senza bisogno di
spiegarlo, non lo devi raccontare. E’ come quando passi vicino
a quei panifici dove a distanza
senti il profumo di pane. Non
c’è bisogno di dire niente, di
spiegare niente. Di fronte a una
luna piena, a un cielo stellato o
a un tramonto o a un’alba, non
devi spiegare nulla. Vi assicuro
che in tutte le parti del mondo
funziona così.
Don Carròn ogni tanto ci fa
l’esempio della scarpa stretta.
Il piede capisce subito che la
scarpa va stretta. Tutti noi siamo
in grado di capire se qualcosa
ci va stretto. Ma guardate che
è talmente semplice, che siamo
tutti tentati di dire: “No, è impossibile”.
Abbiamo parlato di un problema
enorme: dell’educazione, dei ragazzi, dei disastri che ci sono
in giro, e io vi dico che la questione è di una semplicità allarmante. Vi faccio un esempio di
casa mia: quando partivo per il
Kazakistan, il mio papà era ammalato, con mille problemi, con
dieci figli, con tutte le preoccupazioni di tutti i genitori; quan-
L’Associazione “Amici Aurora- Bachelet” si è presentata
pubblicamente proponendo il 5 dicembre 2007 un
incontro all’Auditorium Maggioni sul tema: “Ho bisogno
di un adulto! ”. Riportiamo alcuni passi della relazione
di Don Eugenio Nembrini, missionario per più di
dieci anni in Kazakistan e attuale rettore dell’Istituto
Sacro Cuore di Milano, e della conversazione tra lui e i
presenti accorsi numerosi per l’occasione.
do mi è arrivato il visto nel ‘95,
il mio papà è all’ospedale e sta
morendo. Allora non so se partire o meno. Lui sapeva che aveva
pochi mesi di vita e allora vado
in ospedale a trovarlo. Gli dico:
“Papà, mi è arrivato il visto e
settimana prossima dovrei partire, però non mi sento tranquillo.
Cosa dici?”
Con la sua semplicità mi dice:
“Guarda Eugenio, io ho vissuto
tutta la mia vita per Cristo. (Si
noti che il mio papà non ha mai
parlato di Cristo) Adesso tocca a
te: vai tranquillo”.
“Papà, forse non hai capito.
Il Kazakistan non è qui dietro
l’angolo. Stai morendo, non
ci vediamo più”. Allora mi ha
proprio allontanato dal letto,
piangendo, e mi ha detto: “Ti ho
detto di partir tranquillo. Ciao, ci
vediamo in Paradiso. Fine”.
E io sono partito per il Kazakistan con negli occhi il mio papà
così. Ho raccontato l’ultimo incontro per dire chi è stato mio
padre. Un respiro, un gusto, un
modo di usare il tempo, di usare la casa, un modo di aprire la
casa. Un modo di guardare le
persone che entravano, un modo
di rispettare la chiesa, un modo
di pregare.
Quando è morta la mia mamma,
le donne di paese arrivano tutte a dire il rosario come si usa
in paese: avemariasantamaria.
Dopo un po’ salta su il mio papà:
“Ferme donne, adesso pregate
come dico io”. È stato lì quattro
giorni a dire rosari. Il rosario si
dice così. Un modo di pregare,
di guardare la realtà.
Sempre la mia mamma, prima di
morire mi ha chiamato lì vicino
al letto e mi ha detto: “Eugenio,
sai perché siete dieci fratelli? Sai
perché io e il papà abbiamo fatto
tanti figli? Abbiamo fatto dieci
figli perché io e il papà ci vogliamo bene”.
Da ragazzino tutti questi fatti
non erano oggetto dei nostri discorsi, però siamo cresciuti tutti
dentro questo sguardo, questo
amore, questo rispetto per le
cose di tutti i giorni, della realtà di tutti i giorni: del tempo,
del prete, del Natale. Eravamo
una famiglia grande che abitava in un quartiere piccolo, in
un appartamento piccolo. Ma a
Natale una stanza era tutta per il
presepe, e ne avevamo solo tre.
Dormivamo per terra, ma doveva essere evidente che a Natale
Gesù arrivava. Lo spazio era per
Gesù, per il presepio, per questa
novità assoluta.
Bene, ma se è un respiro, un clima, un gusto, perché è così difficile, complicato, drammatico
veder crescere dei ragazzini, dei
giovani lieti, certi di qualcosa di
grande per la vita? Dove sta il
problema?
Vorrei che stasera capissimo un
po’ l’origine di questo tarlo. Se è
vero che l’educazione è un gusto
così, stasera andate tutti a casa,
guardatevi allo specchio e dite:
“Ma io, veramente, che cosa
guardo?” Non a parole, tanto
devi rispondere solo a te stesso
e al Padreterno, A chi guardo?
Quando mi alzo al mattino, cosa
spero davvero per questa giornata? A cosa affido il mio compimento, non quello dei miei figli
o di mio marito? Che cosa aspetto da questa giornata?
E scopriremo tutti che la situazione è drammatica! Che non
aspettiamo più niente. Siamo
noi un popolo di adulti che non
ci sono più. Certo che ci siamo,
per l’amor di Dio, e facciamo
tutto per i nostri figli, ci mancherebbe. Madre natura funziona
ancora. Ma capite, questo gusto,
questa certezza…
“Ho passato tutto il giorno guardando come guardavi tu”
Dopo aver parlato del padre e
della Madre don Eugenio ha
cominciato a raccontare la sua
esperienza in Kazakistan. Ecco
il primo episodio:
“Ero con un centinaio di ragazzi,
miei studenti, che ho portato in
gita al Gran Canyon del Kazakistan: un posto bellissimo, come
quello del Colorado, che però
nessuno di loro aveva mai visto,
perché in quegli anni erano tutti molto poveri, e le città erano
chiuse. Ma anche perché la steppa o certi posti lontani, per tradizione, erano abitati dagli spiriti, quindi bisognava stare alla
larga. Arrivo lì dopo cinque ore
di pullman con questo centinaio
di ragazzi, non battezzati, né religiosi. Tre quarti di loro erano
musulmani ma sostanzialmente
atei, però erano gente, gente
con un cuore, liberi e contenti
di essere lì con me. Dico a loro:
“Siamo qui oggi per una cosa
straordinaria: andiamo a vedere
un posto di cui i vostri vecchi
avevano paura, siamo proprio i
primi che così organizzati siamo
venuti qui apposta per vedere.
Allora è impressionante pensare
che questo posto in fondo in fondo c’è per noi. Perché al posto,
in sé, che sia bello non gliene
importa assolutamente niente,
non lo sa. Lo sappiamo noi che
siamo qui a guardare”. Allora
dicevo loro di vivere la giornata
lieti e osservando.
Tornando a casa alla sera, a
una ragazza che vedevo un po’
pensierosa, chiedo: “Ma non sei
contenta?”
“No, no”, mi risponde, “è stato
bellissimo, però ho visto poco”.
“Come hai visto poco? Tutto il
giorno avanti e indietro...”
“Sì, perché io non so guardare.
Allora ho passato tutto il giorno
guardando come guardavi tu.
Che bello!”
segue a pag 6
6
Non è la definizione più bella di che cos’è l’educazione?
Di che cosa deve muovere un
uomo adulto.
Ci sono i figli che guardano a
noi così?... Mi pare che tutta
la questione educativa si possa
racchiudere in questa vicenda.
Di fronte a un uomo certo, che
la vita la guarda, la osserva, i
figli lasciano scattare il miracolo della bocca spalancata di
fronte a una cosa grande, a una
cosa bella…
Detto questo rimangono tutti i
problemi. Non è che detto questo di sicuro ti crescerà il figlio
bravo. C’è una grande questione: vivere così mette in grado i
tuoi figli di giocare veramente
la propria libertà. “
“Qual è la differenza tra rispettare la libertà e lasciar fare?”
A questo punto gli viene posta
la domanda che nel rapporto
educativo emerge spesso in
modo drammatico. E’ la domanda sulla libertà senza la
quale non c’è l’uomo.
“Pensa a te. Tu cosa desideri?
Non c’è un limite: io voglio
essere libero. Io ho trovato
gente che non mi ha mai detto: “C’è la libertà fino a lì”.
La libertà non è un dosaggio,
una candeggina da dosare più
o meno per ottenere dei jeans
più o meno chiari. La libertà è la libertà. Erano in 5000
quel giorno, tutti affascinati da
quell’uomo lì, che quel giorno
ne aveva fatta una proprio bella: aveva moltiplicato i pani e i
pesci. E Gesù aveva cominciato a spiegare questa questione
della libertà o la questione di
un rapporto, di un affetto. E gli
ha proposto: “Se voi volete diventare uomini, dovete restare
con me, dovete mangiare me”.
Infatti se ne vanno via tutti. Rimangono in dodici, tutti con la
testa bassa, perché non erano
più intelligenti degli altri e non
avevano capito niente neanche
loro, probabilmente vergognosi, dispiaciuti per Gesù. E Gesù
gli dice: “Volete andarvene anche voi?”
“Maestro, lontano da te, che
vita faccio?”
Noi dobbiamo amare la libertà fino a questo punto. Amarla
perché possa essere libera, non
perché questo ci fa stare tranquilli.
Qualche esempio. Quando i
figli a 14/15 anni si fanno la
morosa, siete contenti, anzi li
invitate in casa, addirittura, sto
scoprendo, li invitate in ferie.
“Ma è una brava ragazza…
conosco la famiglia”. A 15
anni se uno passa la vita con
la morosa è deficiente, perché
Aquilone
L’
marzo 2008
dalla prima pagina
Una realtà educativa sul territorio
Il preside intervistato da Voce
Proponiamo ai lettori del nostro giornale un’intervista
pubblicata su “Voce Amica” di dicembre 2007, nella sezione dedicata
alla Città.
Aquilone
L’
dalla prima pagina
marzo 2008
e Amica
“L’Aurora-Bachelet” nella persona del suo dirigente scolastico
Prof. Rosario Mazzeo ha presentato la sua proposta educativa
rispondendo alle domande della redazione.
7
a 15 anni ci sono il mondo, gli
amici, strutturalmente c’è molto
di più che una morosa o un moroso. Invece se piace a voi siete
contenti.
Anche rispetto a questo esempio, noi dobbiamo mettere in
moto il figlio in modo tale che
ami e gusti così tanto la vita che
sarà in grado di fare innamorare.
Più tuo figlio è un bel tipo... Le
mezze calzette fanno innamorare le mezze calzette! Tu devi
giocare con il figlio per arrivare
lì. È tutto un gioco di libertà, un
rischio di tutti i giorni. Perché
quello che hai deciso oggi non
va bene domani, quello che hai
fatto per il primo non va bene
per il secondo.
Devi metterti in gioco tu. Devi
amare la sua libertà a tal punto
che rischi anche tu la tua libertà.
Con una caratteristica: che tanto
sbagliamo tutti. Tutti, sempre.
Oh allora se sbagliamo tutti
sempre…
Ma dove sta il problema? Ad
esempio, la scelta dopo la terza
media. L’orientamento! Certo,
noi insegnanti dobbiamo dare
per legge un’indicazione: guarda, ci sembra che tuo figlio sia
più portato per questo. Noi dobbiamo giocare tutto su questa
questione: non so cosa sarà bene
o cosa male, ma so che senza il
gusto della libertà non sarà mai
un uomo grande. Questo lo devo
amare e dopo rischia. Sbagli? E
allora? Hai sbagliato scuola? La
cambi. E’ così difficile?
Che ne so cos’è meglio! Non
lo sai neanche tu! Sta’ tranquilla, sta’ libera. Però guarda che
quello che decidiamo di fare,
non può essere l’esito del nostro
stato d’animo o di un progetto che abbiamo sul figlio, sulla
realtà, sulle cose, perché questo
è drammatico, anche se lo lasci
libero. Perché tuo figlio respira
questo progetto.
Ve l’assicuro: se scavi in chi fa
più fatica dentro la scuola, cosa
trovi? Dei genitori che hanno
delle pretese. Ma non dei genitori che gli dicono: “Guarda che
devi”; lo respira. Hanno un’attesa: l’essere amico, piuttosto che
essere cristiano, piuttosto che
essere bravo. E’ una pretesa. E
questo diventa soffocante! I più
vivi non lo sopportano. Quindi
tranquilla: verifica tutte le volte.
Ho fatto così: è giusto? Sta muovendo la libertà di mio figlio, sta
diventando un uomo più libero
lui? E’ questa la verifica che devi
fare. Non riesci da solo? Chiedi!
Ti assicuro che da questo punto
di vista non esistono regole se
non l’amore tuo alla libertà e
alla verità. ■
Aquilone
L’
8
marzo 2008
le classi raccontano | la scuola media
le classi raccontano
la scuola media
Dal fantastico mondo di Tolkien
A Ricetto di Candelo, città medioevale
Il Signore degli Anelli
Un’alunna di seconda media comunica il suo
entusiasmo per l’autore con la recensione di questo
famoso libro.
Martina Sardelli, classe II B
▬ “Il Signore degli Anelli”, romanzo scritto da
J.R.Tolkien, è suddiviso in
tre parti: “La Compagnia
dell’Anello”, “Le due Torri”
e “Il Ritorno del Re”.
È un racconto che si può
definire epico e, soprattutto,
verosimile perché, attraverso
i suoi personaggi e le loro avventure, ambientate in un mondo
fantastico simile al Medioevo,
trasmette un significato che vale
anche per noi.
La storia inizia descrivendo gli
hobbit, piccoli e allegri esseri
che vivono sotto le colline. Uno
di loro, Frodo Baggins, per una
serie di circostanze, si ritrova fra
le mani l’Unico Anello, l’Anello
dominante forgiato da Sauron,
il signore della Terra Nera. Così
Frodo, aiutato anche dal misterioso stregone Gandalf, capisce
che è suo compito e destino distruggere l’Anello nelle fauci
infuocate del Monte Fato che
si trova a Mordor. Tuttavia non
parte da solo per questa avventura, ma viene accompagnato da
una compagnia, che rappresenta
tutti i popoli liberi della Terra di
Mezzo, composta da Gandalf
(la guida), quattro hobbit, due
Gita didattica
in famiglia
Studiare non è cosa solo di scuola. L’esperienza
di un’alunna che ha messo in pratica i consigli
della Prof. per soddisfare il desiderio di capire e
conoscere.
Camilla Elia, classe II C
uomini di Gondor (tra cui Aragorn), un elfo e un nano. A causa
di una spiacevole disavventura,
questa compagnia si divide e
solo Frodo e il suo fedele servitore Sam partono per distruggere
l’Anello, mentre gli altri partecipano alle due guerre più importanti della Terra di Mezzo.
Il romanzo affronta diversi temi.
Accenno a tre che considero veramente importanti. Il primo è
la varietà del male, di cui l’autore rappresenta tre tipi: il male
evidente e manifesto, incarnato
da Sauron; quello traditore di
Saruman che, sia per follia sia
per i suoi biechi scopi, tradisce
il Bene e successivamente anche il Male a cui aveva prestato
servizio; e infine il male infido
che corrompe Gollum, il quale
compie malvagità solo per i suoi
interessi e non sta dalla parte di
nessuno. L’essere consumato
dall’Anello rappresenta l’uomo
corrotto e logorato dal peccato.
In tutti e tre i casi è avvenuta una
scelta, altro argomento che risalta molto nel libro. Ognuno di
noi è libero di scegliere e di stare
dalla parte di chi vuole, portando
però il conseguente peso delle
proprie scelte. Nel romanzo, a
questo proposito, è chiaro il riferimento a Boromir che all’inizio
si fa corrompere dal male ma
poi, pentito, non esita a dare la
sua vita per stare con il bene.
Un altro tema fondamentale è
l’amicizia e la fedeltà che sorge
e unisce ciascun membro della
compagnia. Ad esempio l’amicizia che nasce tra l’elfo e il nano,
due razze che sin dall’antichità
portano dei rancori, o la fedeltà di Sam verso il suo padrone
Frodo che lo spinge a compiere
coraggiose gesta salvandogli più
volte la vita e mettendo a rischio
la sua. Per questo motivo Sam è
il mio personaggio preferito.
“Il signore degli anelli” mi è
molto piaciuto per la bravura
di Tolkien nello scrivere che dà
una vivida immagine di quello
che sta raccontando, e fa immedesimare e gustare ogni minima
parte della storia dei suoi personaggi. ■
▬ La mia insegnante di Tecnologia ci dice sempre che la scuola
dovrebbe essere imparare e poi vedere ciò che si è imparato. Per
la festività di Ognissanti io e la mia famiglia siamo andati a Biella
e, siccome stavo studiando il Medioevo, abbiamo visitato Ricetto
di Candelo, una città medioevale che si trova lì vicino.
Il termine Ricetto, dal latino “receptum” (ricovero, rifugio), indica
un luogo difeso, circondato da fortificazioni. Il Ricetto di Candelo,
infatti, è una struttura fortificata nata per iniziativa della popolazione, allo scopo di conservare e difendere i beni più preziosi della comunità: prodotti della terra, soprattutto vino e granaglie.
Esattamente non si conosce la sua data di costruzione, ma sembra che risalga ad un periodo compreso tra la fine del XIII secolo e
la prima metà del XIV secolo.
Il ricetto, a pianta pentagonale, ha un perimetro di circa 467 m. e
una superficie di 13.000 mq.
Appena entrata attraverso l’unica grande torre-porta ho riconosciuto le torri, le mura con le merlature, le case attaccate l’una
all’altra, le viuzze strette e fatte di sassi. Tutto mi appariva familiare.
Varcata la torre-porta, mi sono trovata in una piazzetta pavimentata con le pietre tondeggianti del vicino torrente. Sulla destra,
l’edificio più imponente che sovrastava tutti gli altri era la “casa
del principe”, l’abitazione che Sebastiano Ferrero si fece costruire
dopo aver ottenuto dal duca Filippo II Senza terra, nel 1496, l’investitura feudale.
Le case erano costituite da locali unici sovrapposti, non comunicanti tra loro: erano le cellule del Ricetto. Il locale al piano superiore (solarium) veniva utilizzato per la conservazione delle granaglie.
La cinta muraria seguiva tutto il perimetro del complesso e agli
angoli c’erano le torri rotonde tutte aperte verso l’interno per agevolare l’opera dei difensori.
La più antica torre era quella più alta, chiusa e modificata alla fine
del XVI secolo per essere adattata a prigione.
Avevo capito cosa intendeva dire la mia insegnante. Infatti, abbiamo dedicato molte lezioni alla civiltà italiana medioevale e io, in
gita, ho ritrovato nella mia esperienza le conoscenze e le immagini che conservavo nella mente.
Molto spesso andiamo in giro e non vediamo le cose; dovremmo,
invece, sempre prestare molta attenzione a ciò che vediamo perché non si impara solo a scuola, e ciò che si vede rimane dentro di
noi molto più a lungo se lo capiamo.
Riconoscere tutto questo è stato possibile grazie al lavoro che ho
fatto in classe, dove abbiamo studiato la struttura delle città. ■
Aquilone
L’
le classi raccontano | la scuola media
9
marzo 2008
Attualità
27 gennaio, giorno della Memoria
Il 27 gennaio si celebra, ormai da anni, il giorno
della Memoria. In esso si ricorda, cioè si vuol fare
memoria, la grave tragedia vissuta dal popolo
ebreo durante la Seconda Guerra Mondiale. In
quel periodo ad opera dei nazisti e dei loro alleati
furono sterminati ben 6 milioni di ebrei.
Bisogna ricordare che nel mondo, purtroppo, si
sono verificate altre tragedie simili: lo sterminio
degli Armeni, la repressione di Stalin e dei suoi
successori ai danni dei presunti oppositori dei
loro regimi. In nome di un’ideologia che porta
l’uomo a essere giudice di un altro uomo, un
popolo a sentirsi padrone di un altro popolo si
spargono frutti di odio e di violenza. Significative
sono le parole dello storico Huizinga (citando
Goya): “Il sonno della ragione genera mostri”.
Gli alunni delle classi terze hanno celebrato
questa giornata con due momenti significativi:
la partecipazione allo spettacolo teatrale presso
l’Agorà di Cernusco e l’incontro con la Prof.ssa
L. Beltrami docente di Lingua Italiana in
Kazakistan.
“Affittasi monolocale in zona ghetto”
Michela Gariboldi,
classe III C
▬ Lo spettacolo è stato realizzato per ricordare la condizione
degli Ebrei che furono sempre
discriminati e costretti, sin dal
70 d. C., a disperdersi, lontano
dalla propria terra (diaspora). In
particolare la storia è ambientata a Venezia nel lontano XVI
secolo durante il periodo dell’
Inquisizione spagnola. In Spagna gli Ebrei venivano definiti
“marrani”, cioè “maiali”. Questo per far capire quanto fossero
disprezzati.
Nei loro confronti c’è sempre
stato un pregiudizio, basato su
idee non corrispondenti a verità.
Ad esempio venivano accusati di
usura, poiché prestavano denaro,
spesso anche a potenti, venivano
guardati con sospetto poiché tutti sapevano leggere e scrivere ed
erano dei validi medici.
Dunque sono sempre stati considerati una razza inferiore, perché avevano valori e tradizioni
diversi da qualsiasi altro popolo.
La più grande strage degli Ebrei
è avvenuta con Adolf Hitler, nella Seconda Guerra Mondiale,
durante la quale ne vennero sterminati circa sei milioni. Questo
fenomeno viene chiamato genocidio, cioè sterminio di una
razza.
Non solo gli Ebrei furono soggetti a queste persecuzioni, ma
anche i neri, gli zingari, i malati
di mente e gli handicappati, perché non portavano un contributo
positivo all’umanità.
La rappresentazione è stata originale, infatti i vari personaggi
erano interpretati da un unico attore che, secondo le regole della
Commedia dell’Arte, si esprimeva utilizzando vari dialetti e
vari modi espressivi.
Se da una parte i fatti riguardanti
gli Ebrei sono stati esposti con
attendibilità, dall’altra non è
sembrato corretto mostrare della Chiesa e del Papa solo alcuni
aspetti ridicoli o scandalistici.
La scenografia, anche se costituita semplicemente da cinque
parallelepipedi, che raffiguravano le case del ghetto veneziano,
ha reso perfettamente l’idea di
come gli Ebrei vivevano ed erano emarginati dalla vita comune,
rinchiusi nei ghetti, circondati
da un muro, per impedire loro
di uscire. Molte colpe vennero
date loro senza motivo e vennero sfruttati molte volte, obbligandoli a lavorare nei campi
di sterminio o confiscando loro
ogni sorta di beni che si erano
procurati lavorando nelle loro
piccole botteghe.
tersi di sapere cosa sia giusto e
cosa no, quali siano i desideri
legittimi e quali, invece, debbano essere sradicati. A partire da
questo momento, dunque, inizia
una lotta, prima sotterranea, poi,
dopo la caduta del regime, sempre più aperta, per ritrovare e affermare l’identità nazionale, per
non essere una massa indistinta,
gente senza nome.
più ardite e moderne sperimentazioni architettoniche, i Paesi
occidentali sono spesso partner
importanti economicamente (il
Kazakistan è ricco di uranio, petrolio e carbone), la gente ricca
sfida il degrado viario (tutte le
vie assomigliano a tracciati di
percorsi rallistici) sfrecciando
su potenti SUV, mentre ancora
molti sono i poveri e i disoccupati, e incombono gravi problemi sociali (alcolismo, inesistenza della famiglia, instabilità del
lavoro). Ma l’uomo è sempre
quell’inestinguibile desiderio di
felicità e pienezza, in ogni circostanza, ad ogni latitudine.
Arriva l’ultima domanda: è felice, professoressa, in una terra
così diversa dall’Italia, lontano dalla famiglia, dagli amici?
La risposta è certa, raggiante,
tanto da sembrare una sfida: se
fai quello che ami, e stai con le
persone a cui vuoi bene - nuovi
amici, eppure così familiari - le
vita è bella, piena di speranza. ■
La visione di questo spettacolo
ha aiutato a comprendere meglio ciò che ingiustamente è accaduto e a riflettere su noi stessi
e sull’uomo in generale che,
quando perde la ragione, diventa
un mostro. ■
Il cammino di un popolo
A.Z.
▬ Fare scuola vuol dire essere aperti all’imprevisto, perché
ogni giorno può accadere di
scoprire qualcosa di nuovo... o
di incontrare persone eccezionali, sentendole amiche e vicine
come se le conoscessi da sempre. E’ accaduto a noi professori
e ai ragazzi delle classi terze incontrando la prof.ssa Lucia Beltrami, docente che ha insegnato
alla Bachelet e che, da sette
anni, vive e lavora ad Almathy,
in Kazakistan.
La professoressa ha voluto tenere una diversa lezione in ogni
classe, partendo di volta in volta
dalle domande poste dai ragazzi.
In III B la sfida si annuncia interessante, perché Marco vuole
sapere, subito, per quale motivo si possa fare una scelta così
strana, quasi scomoda, quando,
in fondo, si ha già tutto. E la
professoressa non si sottrae alla
sfida e non tiene per sé alcun
particolare: dichiara che la decisione di partire è nata dall’invito
di alcuni amici e che, a distanza
di anni, è contenta di essere lì
per la possibilità di dire ad ogni
persona che incontra che c’è
una speranza per ognuno, anche
quando la realtà è dura, faticosa.
Dopo queste parole si instaura
un interessante dialogo, sostenuto dalla curiosità dei ragazzi
e dall’innegabile fascino della
storia che, fatto dopo fatto, la
docente racconta trasportandoci
tutti in mezzo a questa terra in
cui la luna piena sembra davvero
più grande, sospesa sulla steppa
che si estende come un mare di
silenzio sotto di lei.
Ogni particolare, di quest’insolita lezione, dell’incontro con
questa donna cordiale e decisa,
è interessante, degno di nota e di
memoria: dagli aspetti geografici (il Kazakistan è un territorio
talmente ampio che racchiude in
sé tutti gli estremi della geogra-
fia) al nome stesso, pronunciato
correttamente e spiegato nella
sua etimologia, dalla storia alla
popolazione originariamente
nomade, gente che ha nel sangue
il vivere senza costrizioni, come
il vento che spazza i grandi deserti centrali o ghiaccia le zone
più a nord. Proprio intrecciando
questi ultimi dati, non è possibile tacere gli anni in cui il Paese
è stato inglobato dalla Repubblica Sovietica, al servizio dei
piani quinquennali e del grande
popolo russo. È la dittatura comunista, che costringe migliaia
di kazaki ad una sedentarizzazione forzata e a una vita di contadini, dato che, già da Lenin, il
Kazakistan era stato destinato
ad essere il granaio di tutta la
Russia. Gli anni del regime sono
anni di violenza e deportazione, nascoste dietro l’apparenza
di un benessere alla portata di
tutti, di una sicurezza e della
felicità garantita dallo Stato, che
proprio per questo può permet-
Dal 1991, data in cui è stato
eletto il Presidente della repubblica kazaka, è iniziata un’epoca
nuova, e il Paese, come un adolescente che si butti per la prima
volta nelle sfide della vita, non
nasconde le sue contraddizioni,
ma pulsa pieno di desideri, di
speranze e di bisogni. Vivendo,
dunque, in Kazakistan all’alba
del terzo millennio non si può
non rimanere colpiti dai segni di
questo nuovo cammino e dalle
antica vestigia del grande gigante comunista: in città palazzoni
sovietici si ergono di fianco alle
Aquilone
L’
10
le classi raccontano | la scuola media
marzo 2008
Attualità
Alunni della III C
▬ Con il Prof. Tornaghi abbiamo colto un aspetto molto interessante: quando si sentono opinioni contrastanti su un fatto o
su una persona, il modo più corretto per affrontare le questioni è
andare alle fonti; in questo caso
cercare scritti della persona di
cui si parla. Infatti ci sono stati
letti alcuni documenti, in parte
parafrasati perché scritti in italiano antico, per capire le difficoltà
degli uomini di quell’epoca di
trovare le ragioni di una teoria
rivoluzionaria (la teoria copernicana) che sembrava contraddire
l’esperienza quotidiana di tutti:
la Terra non sembra girare e vediamo il movimento del Sole.
Sapevamo che Galileo Galilei
aveva sostenuto la teoria copernicana, ora abbiamo capito alcune delle sue ragioni. La prima:
attraverso l’utilizzo del telescopio, che lui puntò per primo verso il cielo, ha scoperto le Lune
di Giove e questo gli ha permesso di affermare che non tutti i
corpi celesti girano intorno alla
Terra. La seconda: i risultati di
un esperimento sottocoperta di
una nave, che descrive nel “Dialogo sui Massimi Sistemi”, per
spiegare come mai la terra non
sembra girare.
Galileo Galilei non ha dimostrato che la Terra si muove, ma che
non c’è contraddizione tra i fatti
dell’esperienza quotidiana e la
teoria del movimento della Terra
intorno al Sole.
La vera dimostrazione che la
Terra giri intorno al Sole è stata
trovata nel 1838, molto tempo
dopo la morte di Galileo, quando F. Bessel calcolò la parallasse
annua di una stella.
Per capire la posizione della
Chiesa nei confronti della nota
vicenda può essere utile leggere
la lettera in cui il Card. Rober-
A proposito di Galileo
Dopo l’incontro con il prof. F. Tornaghi gli alunni raccontano ciò che
hanno imparato di nuovo su questo grande scienziato.
to Bellarmino nel 1615 invita
il Sig. Galileo Galilei a parlare
della teoria di Copernico ex
suppositione fino a quando non
ne troverà la dimostrazione e
aggiunge: “Dico che quando ci
fusse vera demonstratione che il
sole stia nel centro del mondo e
la terra nel terzo cielo, e che il
sole non circonda la terra, ma
la terra circonda il sole, allhora bisogneria andar con molta
considerazione in esplicare le
Scritture che paiono contrarie,
e più tosto dire che non l’intendiamo, che dire, sia falso quello che si dimostra… et in caso
di dubbio non si dee lasciare
la Scrittura Santa, esposta da’
Santi Padri…”
Galileo dunque fu inquisito per
aver dato per certo ciò che in
realtà non era stato ancora dimostrato.
Il prof. Tornaghi ha raccontato
gli ultimi momenti della vita dello scienziato. “A settant’anni arriva a Roma (13 febbraio 1633)
e alloggia presso l’ambasciata e
si costituisce al Sant’Uffizio (11
aprile) e al contrario delle usanze non viene imprigionato, ma
alloggia nell’appartamento del
Divertirsi con le parole e con le lingue
Laboratorio
di giochi linguistici
Il venerdì pomeriggio per un paio di settimane un gruppo di quattro
studenti di prima e di seconda (Maria, Alessandro, Marta, Maddalena)
si fermano a scuola per imparare le lingue giocando con le loro prof.
M. F.
▬ Tutto è iniziato con una breve introduzione sul significato e
sulla storia degli enigmi, con le
caratteristiche generali e le regole comuni. In seguito gli alunni
hanno provato a risolvere giochi
di parole e indovinelli. In breve
tempo si è passati dal giocare al
“costruire”: con le conoscenze
linguistiche acquisite a scuola
nelle tre lingue (italiano, inglese e spagnolo) e con qualche
[ Esperimento proposto da Galilei.
Fiscale, sito nello stesso edificio
dell’Inquisizione e il 22 giugno
del 1633 viene giudicato colpevole di aver ignorato l’ammonimento del Cardinal Bellarmino:
la condanna prevede l’abiura e
prevede come pena di recitare
per tre anni una volta alla settimana i sette salmi penitenziali.
In realtà già il 3 ottobre la figlia
Suor Maria Celeste comunica di
assumersi l’onere della recita di
questi salmi “per levare a Vostra
Signoria questo pensiero”. A dicembre dello stesso anno è nella
sua villa “il gioiello” ad Arcetri,
nella periferia di Firenze, dove
riprenderà la sua attività scientifica e scriverà la sua opera fondamentale “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due
nuove scienze”.
Dopo la sua morte vengono fatte
molte scoperte e nel 1822 viene autorizzato l’insegnamento
del sistema copernicano nelle
università cattoliche. Nel 1992
Giovanni Paolo II parla del caso
di Galileo come di “una tragica
reciproca incomprensione” che,
anche in forza dei recenti studi
“appartiene ormai al passato”
e rilancia il tema dei rapporti
scienza e fede, con la consapevolezza che la scienza si trova ad
affrontare temi sempre più complessi in ogni disciplina.
Il caso Galileo Galilei è stato rimesso in discussione per l’ennesima riduttiva interpretazione di
ciò che ha detto Papa Benedetto
XVI, da parte di alcuni docenti
dell’Università “La Sapienza”
a Roma. Di ciò hanno parlato
soprattutto gli alunni delle classi terze in seguito alla lettura di
testi e all’incontro con il Prof.
Tornaghi. ■
chiarimento in più, hanno potuto loro stessi creare rompicapi.
Hanno iniziato subito con gli
anagrammi nei tre idiomi e così
poi hanno creato una successione di parole legate tra loro con i
criteri del gioco del “bersaglio”
della “Settimana Enigmistica”.
Ecco alcuni esempi di anagrammi:
in inglese sulle parti del corpo:
are-ear keen-knee sink-skin
… o in spagnolo con i nomi di
persona: Armonia-Mariano Matar-Marta Nada-Adán
Questo è solo un piccolo assaggio di tutto quello che è emerso
in questo laboratorio.
Il divertimento è assicurato e
tutto quello che si fa è semplicemente capovolgere, smontare,
rimontare, modificare, aggiungere, togliere e, in alcuni casi,
inventare parole.
È una bella sfida di ingegno
perché tutti si mettono in gioco
manifestando abilità logiche e
approfondendo le conoscenze
lessicali. ■
Aquilone
L’
le classi raccontano | la scuola media
11
marzo 2008
Scienza
Fisica: che spettacolo!
In seconda media
solitamente alla
Bachelet si propone la
conoscenza di alcuni
aspetti della realtà che
ci circonda attraverso
lo studio della fisica,
materia che molti di
loro studieranno in
modo sistematico ed
approfondito nelle
scuole superiori. “
Quest’anno abbiamo
cercato di capire
innanzitutto di cosa
si occupa la fisica
– spiega la prof.
Cristina Ferrarini - e
già questo non è stato
semplice; infatti la
fisica si occupa di quei
fenomeni, e soltanto
di quelli, che possono
essere studiati, tramite
delle grandezze fisiche,
cioè grandezze che
caratterizzano quel
fenomeno e che siamo
in grado di misurare.”
Subito dopo l’uscita
didattica all’Arsenale
militare di La Spezia,
avvenuta nelle prime
settimane di scuola
– aggiunge la prof.
Ester Leonardi - era
scaturita in alcuni
studenti la domanda:
”Come mai alcuni
oggetti galleggiano
ed altri no?”.
Da qui è nato un
interesse a conoscere
più da vicino alcuni
fenomeni. Partendo poi
da varie esperienze, per
esempio osservando
come funzionano alcuni
giochini reperibili nelle
uova di cioccolato, si
sono introdotte alcune
grandezze fisiche
fondamentali e si sono
riconosciute alcune
relazioni tra di esse”.
abbiamo assistito
ad uno spettacolo:
“Facciamo luce sulla
materia”prodotto
dal Teatro del
“Abbiamo anche
proposto nei mesi
scorsi la storia della
vita di alcuni scienziati:
Archimede e Galileo.
– riprende la prof.
Ferrarini - In particolare
abbiamo approfondito
la conoscenza di
Galileo attraverso le
spiegazioni del prof.
Franco Tornaghi,
coautore del libro
“Galileo Galilei mito e realtà”, che
ha illustrato alcuni
esperimenti progettati
dallo scienziato. Infine
Divertirsi con i numeri
Visita all’Osservatorio Astronomico
Guardiamo cosa c’è fuori dal Pianeta Terra
Una sera, dopo aver cenato, la III C con la prof. Ferrarini si è recata
all’Osservatorio astronomico di Cernusco.
Francesco Tullii classe III C
▬ Un astrofilo (appassionato
d’astronomia) ha proiettato una
presentazione in Power Point
su tutti i pianeti e i pianeti nani
(in base alle definizioni dell’
agosto 2006 dell’International
Astronomical Union) del Sistema Solare, da Mercurio ad Eris.
Oltre a mostrare e spiegare tutte
le caratteristiche principali, ha
illustrato anche molte curiosità sui pianeti, sui loro satelliti,
sulla loro orbita e molto altro.
Ha raccontato delle sonde che
sono state lanciate nello spazio,
e delle spedizioni (non umane)
su Marte. Inoltre ha fatto vedere
molte foto scattate dalla Nasa o
da Hubble, in cui si vedevano,
nitidi, i pianeti e altri oggetti.
“Poi siamo saliti nella cupola
dell’osservatorio contenente un
telescopio - racconta uno dei partecipanti -. La cupola, che aveva
una parte scoperta per vedere, si
poteva ruotare per puntare il telescopio sull’oggetto desiderato.
Per fortuna il cielo era limpido e
si potevano vedere bene le stelle.
Attraverso il telescopio abbiamo
visto Saturno con i suoi anelli,
molto piccolo nel telescopio,
e una sua luna Titano, di cui si
vedeva solo un puntino bianco; e
dopo anche la Luna, e si potevano vedere molto bene i crateri e
le distese pianeggianti: i “mari”.
Così abbiamo dato inizio al lavoro d’astronomia in scienze”.
Un’ultima curiosità: forse non
tutti sanno che dal 2006 in base
alla nuova definizione di pianeta
dell’International Astronomical
Union, in cui si dice che “un
pianeta è un corpo che orbita
intorno ad una stella, sufficientemente grande da avere forma
sferica e che ha allontanato altri
oggetti dalla zona circostante
alla sua orbita”, nel nostro sistema solare i pianeti sono otto,
infatti Plutone (scoperto nel
1930) è stato declassato e viene
chiamato pianeta nano insieme a
Cerere ed Eris. ■
Sole di Milano in
collaborazione con il
Dipartimento di Fisica
dell’Università degli
studi di Milano.
Sudoku
Il Club dei matematici, nato quest’anno alla
Bachelet, propone un passatempo per tutti.
sperimentato il Sudoku come
passatempo di massa è stata
- ed era forse inevitabile - il
Giappone, dove il puzzle numerico ha debuttato nel 1984.
Oggi a Tokyo circolano diverse
riviste interamente dedicate al
Sudoku, particolarmente apprezzato dai giapponesi come
alternativa alle parole incrociate, di fatto impossibili con la
scrittura a ideogrammi.
Le dimensioni dello schema
possono variare: la versione
classica prevede una griglia di
9x9, ma si possono avere anche griglie da 4x4 a 16x16.
Per risolvere un Sudoku occorre di norma un tempo che varia
tra i dieci e i trenta minuti. Ma
per un rompicapo del livello
«diabolico» i tempi si possono
anche dilatare notevolmente.
Ora prova a giocare (la soluzione al prossimo Aquilone). ■
Alunni II e III
▬ Il Sudoku è un gioco sviluppato in Giappone, ma le vere
origini risalgono al XVII secolo
e all’intuizione del matematico svizzero Eulero. Consiste
nell’allineare i numeri dall’1 al
9 nelle caselle di uno speciale
diagramma a riquadri, avendo
cura di evitare che lo stesso
numero si ripeta nella stessa
riga, nella stessa colonna e
nello stesso riquadro.
Secondo gli esperti è anche un
ottimo metodo di allenamento
per il cervello. Uno studio del
Rush Alzheimer’s Disease Centre di Chicago, ad esempio, ha
dimostrato che giocare con
costanza a Sudoku può ridurre
fino al 33% il rischio di Alzheimer.
La nazione che per prima ha
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Aquilone
L’
12
I Cercatori d’Oro
Poesia e scienza
A proposito
dei fatti della
“Sapienza”
Facciamo luce
sulla materia
-
“I Cercatori d’oro” è una
esperienza di aggregazione libera, guidata da alcuni docenti,
che da molti anni è presente a
scuola. Sono suddivisi in più
gruppi ognuno dei quali si ispira
ad un Santo del quale assume il
nome. Ha come momento fisso
di ritrovo il giovedì pomeriggio,
quando i ragazzi che ne fanno
parte, si fermano a scuola. Insieme mangiano, giocano, fanno i
compiti e si aiutano a giudicare
tutta la vita e le cose che accadono a partire dall’esperienza
cristiana.
Quando è accaduto il fatto de
“La Sapienza” uno dei gruppi, dopo aver cercato di capire
a fondo cosa era successo, ha
deciso di scrivere un volantino,
firmarlo con il proprio nome, distribuirlo nelle classi, invitando
tutti ad una riflessione.
Riportiamo il volantino. ■
le classi raccontano | la scuola media
marzo 2008
D
i gennaio il diciotto
siamo andati, tutti e ventotto
con lo zaino e con la penna in mano,
al Teatro del Sole di Milano.
All’ inizio si sono presentati i tre attori,
nelle vesti di veri professori.
In ritardo, uno dei tre è arrivato,
ma al suo arrivo le formule
tutti e tre ci han presentato.
Della materia e dei suoi aspetti ci hanno raccontato,
con divertenti giocosi esperimenti ce ne hanno parlato;
e così noi attenti e zitti con occhio incredulo abbiamo osservato.
Il primo esperimento i palloncini aveva considerato:
la materia ha cambiato il suo stato,
da liquida prima a solida si è trasformata
poi da solida a liquida è ritornata
da liquida a gassosa è evaporata…
ma che grande trovata!
Questi esperimenti han voluto mostrare
perché ad una conclusione ci volevano portare.
Abbiamo notato,
che non di tutti si può sapere il proprio stato:
sillyputty e budino,
con quest’ ultimo i tre professori si
sono riempiti il pancino.
Una cosa pericolosa poi desideravano provare:
con l’azoto liquido i cambiamenti
di stato volevano tentare.
Che grandi geni, ce l’ hanno
fatta,
e io sono rimasta stupefatta!
Ecco il tentativo di una descrizione in versi dello
spettacolo a cui hanno assistito gli alunni di
seconda media.
Maddalena Boscolo
classe II
Avanti con gli esperimenti,
gli scienziati che grandi portenti!
Tiran fuori un laser rosso
che ti può trafiggere un osso
sul muro l’han puntato,
ed il talco sopra gli han spruzzato.
Abbiamo capito che della luce
il raggio si può guardare,
basta il fascio bianco osservare…
Da cosa è fatta la luce
bianca ?!?
Con un prisma fantastico,
ci han fatto vedere i colori
come se fossero dei fiori
La luce bianca era formata
dal verde, rosso e blu,
ora lo puoi vedere anche tu!
Un altro esperimento molto divertente,
veniva fatto con un metodo efficiente:
un pezzo di ghiaccio dentro un acquario,
è stato un esperimento straordinario.
Vedere il suo scioglimento
grazie ad un cambiamento, cosa direste voi?
La densità tra l’acqua e l’ aria “ha mandato tutto all’ aria”…
Noi vogliamo davvero sapere,
se quell’acqua ora si può bere.
Proiettando un raggio laser nell’ acqua
vederlo sembra riflesso
ecco di nuovo una scoperta straordinaria:
la rifrazione, che visione!
Il termine fa paura ma è solo un’ impressione,
perché tutti siamo coinvolti
con una grande attenzione:
infilato un laser nel tubo di plastica
sembra che si divida per una strana tattica.
Preparatevi perché questo esperimento,
ha portato in sala un gran turbamento
parla degli occhi di un serpente
che vedono più di noi sicuramente.
Alla fine le lenti della polarizzazione
fanno un gran successone,
le giri da una parte e non vedi niente,
le giri dall’altra parte e vedi finemente.
Per finire non posso tralasciare
l’ emozione di volare;
fra le gambe metti degli specchi
e ti sembrerà di volare sui tetti!
Che bella esperienza,
è proprio entusiasmante tutta la scienza! ■
Aquilone
L’
le classi raccontano | la scuola media
13
marzo 2008
Lezioni di educazione stradale
Un comune vigile urbano
Alunni classe III C
▬ Lo sapevate che in qualunque momento di un viaggio (sia
a piedi che a bordo di un veicolo) – si chiede Riccardo Negrelli
- dovete dare la precedenza a destra? Beh io no! E la cosa mi ha
stupito molto. Quindi la regola
non è che il più forte o quello
che strombazza di più ha la precedenza bensì quello che si trova
alla vostra destra. O così almeno
c’è scritto sul codice stradale.
La bicicletta, per esempio, è un
veicolo e come tale deve andare
sulla strada (non sul marcia-piede= luogo destinato ai pedoni)
ed essendo, appunto, un veicolo
deve seguire ogni regola scritta
sul codice. Se non lo fa è a suo
rischio e pericolo andare in giro.
Non tanto perché rischia una
multa ma perché può danneggiare gli altri.”
“ Subito dalla prima lezione ci ha
colpito – spiega Giovanni Tornaghi - come il vigile facesse vedere o meglio, spiegasse tramite
delle immagini, alcuni concetti.
Questa modalità ha aiutato tutti
a capire meglio gli argomenti e a
ribadire l’importanza che hanno
le immagini in un ambito come
l’educazione stradale (ad esempio nella segnaletica orizzontale
e verticale).”
Altro aspetto che ha stupito tutti
è il fatto che il vigile era chiaro,
semplice e completo nella sua
spiegazione, non tralasciava i
piccoli particolari e soprattutto
si basava (e insegnava a prendere decisioni) sul Codice stradale
rispettando ogni sua riga.
“E’ stato molto interessante questo lavoro per me – aggiunge
Giovanni - e mi è sembrato un
breve prologo degli aspetti che
ci toccherà studiare per fare la
patente. Per alcuni questo lavoro
sarà risultato noioso, comunque
si è rivelato (e si rivelerà) molto
utile.“
Dopo l’ultima lezione alcuni
alunni hanno posto domande
al Sig. Marco Bianchi riguardo
alla sua esperienza personale di
vigile o altre riguardanti aspetti
del Codice Stradale
Quando ha capito che voleva
fare il Vigile Urbano e che cosa
l’ha spinta a fare questo mestiere?
Il comune vigile urbano, ora
“Con la scusa del “patentino” per la bicicletta abbiamo
imparato alcune tra le regole del codice della strada.
Soprattutto abbiamo capito che in strada occorre: 1) buon
senso 2) rispetto per gli altri 3) conoscenza del codice
stradale.” L’intervista al Vigile Sig. Bianchi, docente del
corso alla Bachelet.
denominato agente di polizia
locale, è un lavoro che ho intrapreso all’età di 27 anni in parte
per necessità e in parte perché,
dopo aver fatto il servizio militare come Carabiniere, che per
molti aspetti può essere considerato affine al vigile, mi sono
reso conto che questo mestiere
mi piaceva e poteva essere adatto a me. Così dopo aver assolto
al servizio militare ed essermi
laureato, ho svolto quanto necessario per intraprendere questa carriera.
Qual è il percorso che si fa per
diventare Vigile Urbano? E’
difficile la carriera di Vigile?
A differenza dei lavori svolti per
ditte private, il lavoro nell’ente
pubblico prevede una selezione
basata su un concorso a cui si
può partecipare se si è in possesso dei requisiti richiesti (ad es.
diploma di scuola secondaria di
2° grado, cittadinanza italiana,
conoscenza di una lingua straniera…).
Nel mio caso si è trattato di un
Corso – Concorso organizzato
da tre Comuni per l’assunzione
di sei agenti di polizia locale,
ovvero superato un test di preselezione con domande di cultura
generale, la selezione è stata
svolta alla fine di un corso propedeutico. La durata di quest’ultimo è stata di circa tre mesi durante i quali sono stati affrontati,
nelle lezioni quotidiane, gli argomenti relativi a questo lavoro
(ad es.: Codice Penale, Codice
della Strada, Edilizia, Ecologia,
Commercio,…).
Quindi alla fine del corso è stato
effettuato un esame consistente
in una prova scritta ed una prova
orale e con le valutazioni ottenute è stata determinata una graduatoria da cui i Comuni hanno
attinto per assumere gli agenti
nel Corpo di Polizia Locale.
Il concorso da me superato mi
ha conferito la qualifica di agente, ma nel Corpo oltre a questo
“grado” c’è anche quello di
ufficiale che gestisce i servizi
e coordina il personale. A loro
volta gli ufficiali sono coordinati
dal Comandante che è la figura
apicale del Comando.
L’anzianità di servizio non è un
elemento determinante per poter
aumentare di grado, ciò è possibile sempre attraverso concorsi.
Il suo lavoro è motivato solo da
un senso civico?
Il senso civico dovrebbe motivare tutti coloro che appartengono
ad una società quale la nostra;
certo per un “Vigile” è una componente importante che lo spinge
ad effettuare con professionalità
il proprio lavoro. Personalmente
potrei aggiungere che un’altra
motivazione è data dal possedere un forte senso di giustizia e di
rispetto delle regole.
Quali episodi di trasgressione
del Codice stradale l’hanno
maggiormente colpita nella sua
esperienza di Vigile?
L’immaginazione certo porta
subito a pensare ad episodi di
trasgressione gravi a tal punto
da provocare feriti o addirittura
morti sulla strada, purtroppo posso dire di aver rilevato incidenti
di tale gravità, ma le trasgressioni del codice stradale che maggiormente mi colpiscono nella
mia esperienza quotidiana sono
le mancanze più banali e semplici (quali l’uso del telefonino,
il mancato utilizzo delle cinture
di sicurezza, la sosta “selvaggia”…) che il cittadino si ostina
a compiere senza rendersi conto
delle situazioni pericolose che
genera per se stesso e per gli altri
utenti della strada.
Come considera l’esperienza
vissuta con gli alunni della Bachelet?
Aver lavorato con i ragazzi della scuola “Bachelet”, col fine di
educarli all’utilizzo della strada,
è stata sicuramente un’esperienza molto positiva, sia per l’opportunità di aver potuto far conoscere meglio il ruolo dell’agente
di polizia locale, sia perché gli
allievi hanno dimostrato interesse verso gli argomenti trattati.
Quello che mi posso augurare,
alla fine di questa esperienza, è
di aver sensibilizzato i ragazzi
adolescenti, attuali ma soprattutto futuri utenti della strada,
ad un comportamento corretto e
rispettoso del codice.
Il fatto che ora, quando mi incontrano per strada, mi salutano
affettuosamente, mi fa capire di
aver trasmesso loro qualcosa di
più che semplici nozioni di un
breve corso di educazione stradale, ovvero di aver cancellato
l’immagine
negativa-nemica
trasmessa loro per anni dai genitori, dai nonni e a volte da
alcuni insegnanti con l’intento di intimorirli, e di aver fatto
emergere il lato umano-sociale
che contraddistingue coloro che
svolgono questo mestiere con
professionalità e dedizione. ■
Aquilone
L’
14
le classi raccontano | la scuola media
marzo 2008
Una nuova attività opzionale: la “Bottega artigiana”
Passione e tecnica per diventare pittore
Scatti d’autore
Colori e pennelli!
Da febbraio 2008 è iniziato un laboratorio per imparare
la differenza tra una foto e una “bella foto”.
Da fine gennaio, ogni mercoledì, alcuni ragazzi
di prima seconda e terza media partecipano al
Laboratorio d’arte di pittura, con la guida del prof.
G. Vitali.
Andrea Gozzi
Sofia Bellucci
classe I B
classe II C
▬ Si tratta di un laboratorio di
fotografia digitale tenuto dal
prof. Miccinesi, insegnante di
tecnica, che ha suscitato molto
interesse e curiosità tra i ragazzi di quasi tutte le classi, che si
sono iscritti in molti.
Lo scopo di questo laboratorio è
di insegnare come si fotografa;
voi penserete: “E’ facilissimo,
lo sanno fare tutti”, invece no;
qui insegnano come fotografare
gruppi, sequenze, ritratti, ecc…
E’ un laboratorio che insegna
che quando si fotografa, la prospettiva è tutto, e che niente è
“superficiale”, che la foto va curata nei minimi dettagli. Non è
facile, ma si può apprendere.
In questo laboratorio si prova
ad imparare a fare tutte le cose
fondamentali per un’ottima foto,
e ci si diverte a scattare foto, riprenderle e inventare nuove prospettive.
Qui si guarda la foto in un altro
modo, con più serietà, e si capisce che tutti sono capaci di fare
una foto, ma non tutti sanno fare
una bella foto.
Ormai con la fotografia digitale
si può fare tutto, ma con i nuovi
▬ Hanno iniziato a conoscersi
raccontandosi i loro interessi.
Questo li ha aiutati a raccogliere e scambiarsi immagini.
Hanno proseguito provando a
disegnare il loro ritratto, copiato da una loro foto, sulla tela.
Poi hanno scelto due colori per
alternarli nel disegno. L’esito è
che hanno cominciato a dipingere su tela con le tempere. Vesistemi, tipo Photoshop o alcune
modalità della macchina fotografica, è molto più difficile, ma
una volta appreso come funziona il sistema è notevolmente più
comodo e veloce.
Nessuno tra i ragazzi avrebbe mai
pensato ad un simile laboratorio,
ma come scelta è stata veramente azzeccata in tutto e per tutto.
Secondo molti ragazzi iscritti
al laboratorio è stata un’ottima
idea e tutti trovano che sia anche molto divertente. In questo
laboratorio si ride anche molto
spesso, tuttavia si mantiene un
atteggiamento di apprendimento, imparando in modo simpa-
tico.
La maggior parte
dei ragazzi si sono
iscritti
non sapendo
esattamente di
cosa si
trattasse,
ma non se
ne sono
pentiti.
È stata
un’ottima
idea! ■
dremo i loro “capolavori” nello
stand alla fiera di San Giuseppe che si terrà a Cernusco il 16
marzo. In questi giorni, dopo
aver terminato il ritratto, hanno ripreso il lavoro di pittura
puntando la loro attenzione su
una foto di una “cosa” ritenuta
interessante.
Antonio Vitale, uno dei partecipanti al laboratorio, racconta: “ A me è piaciuto moltissimo perché l’ho trovata un’
esperienza utile per imparare
tecniche nuove e per approfondire una mia
passione.
E’ anche un’occasione per condividere questo
mio interesse
con i miei compagni di laboratorio.
Mi sono iscritto
al laboratorio
per provare una
nuova esperienza con i miei
amici e per approfondire la
mia conoscenza
in arte.” ■
Alla Bachelet si studiano inglese e spagnolo
M. F.
▬ Perché proprio lo spagnolo?
Perché è una lingua romanza il
cui lessico e strutture grammaticali sono simili all’italiano,
quindi per gli studenti è più
attraente e questo ne facilita lo
studio. Inoltre è chiara l’utilità di
tale lingua, basta pensare che nel
mondo ci sono più di 300 milioni di persone che la parlano.
Come si articola l’insegnamento?
Come punto di riferimento seguiamo la modalità della lingua
inglese: si parte dall’ apprendimento delle strutture linguistiche
e dalla riflessione su di esse; in
seguito cerchiamo di avvicinare
Lingua straniera 2
Nella scuola secondaria di 1° grado è stato introdotto quattro anni fa
l’insegnamento della seconda lingua straniera. Abbiamo chiesto alle
professoresse Locatelli e Fossali alcuni chiarimenti e curiosità sulla
scelta della lingua spagnola.
i ragazzi al mondo ispanico attraverso la lettura e/o ascolto di
dialoghi, testi letterari, visione di
filmati in lingua e conversazioni
con i nostri alunni. Ovviamente
tutto è proporzionato con il tempo a nostra disposizione (due
ore alla settimana) e alla risposta
degli alunni.
Ecco appunto, gli alunni come
reagiscono a questa proposta?
In questi pochi anni di insegnamento abbiamo notato che a
qualunque età lo spagnolo desta
una grande curiosità e fascino.
Sarà, certo, per la somiglianza
di forme grammaticali ma anche per una vicinanza culturale. Questo succede anche nella
fase delle medie; i ragazzi infatti
sono molto partecipi e riesco-
no anche dopo poco tempo ad
orientarsi leggendo, scrivendo e
comprendendo le informazioni
essenziali di brevi testi parlati e
scritti. Sono queste soddisfazioni che danno lo stimolo e l’entusiasmo nello studio.
Quindi è una lingua facile?
Più semplice di altre lingue europee, ma occorrono comunque
impegno e studio. Insomma
questo è quello che esigiamo.
Dopo le medie molti alunni
probabilmente non continueranno lo studio dello spagnolo.
Adesso potrebbe sembrare un
eccessivo peso di studio che poi
non verrà concluso…
E’ vero. Nella maggior parte
delle scuole superiori non insegnano spagnolo. D’altra parte,
quello che proponiamo adesso
è difficile che vada perduto nel
tempo, quindi “un domani” se
si presentasse l’occasione sarà
più facile riprenderlo con “l’infarinatura” data alle medie. È
un’occasione da non perdere,
un bagaglio culturale e uno strumento in più per comunicare e
dialogare con una bella fetta di
mondo. ■
Aquilone
L’
le classi raccontano | la scuola elementare
15
marzo 2008
le classi raccontano
la scuola elementare
L’esperienza dei sensi
Geometria, materia complicata?
No, se il percorso è adeguato
Perché “fare” geometria con bambini di scuola
elementare? Non sarebbe meglio rimandare di qualche
anno l’affronto di questo aspetto, ritenuto dai più tanto
complicato, a quando i bambini hanno raggiunto una
maggiore capacità di astrazione?
L’obiezione porta in sé una verità: la capacità di astrarre
e di rappresentare cresce con lo sviluppo delle forme
del pensiero, ma questa considerazione non dovrebbe
costituire un’obiezione ad una proposta di lavoro, ma
piuttosto un dato imprescindibile per introdurre e
svolgere un percorso adeguato nei contenuti e nelle
forme metodologiche… L’insegnante parla di ciò che è
avvenuto e che sta avvenendo con i suoi alunni, oggi in III
elementare.
Sarah Bragonzi
insegnante classe III
▬ Sono ormai tre anni che lavoro con i miei alunni e non ho
ancora smesso di stupirmi.
Di che cosa parla la geometria?
Di “oggetti del nostro pensiero
che si formano per astrazione
attraverso l’esperienza dei sensi.” Ci ha spiegato la prof.ssa
P. Longo nel corso di aggiornamento durato tutto l’anno scorso
all’Aurora
Ecco allora la chiave per comprendere come affrontare la “temuta materia” in una scuola elementare: partire dall’esperienza.
Cosa è risultato necessario per
intraprendere questo percorso
disciplinare? Innanzitutto il partire per me da solide basi teoriche (i concetti geometrici) e il
dare spazio a ciò che un bambino già possedeva come bagaglio
della propria vita vissuta, alla
fantasia, alla voglia di sperimentare, di osservare, di ascoltare,
in altre parole a tutto ciò che
nasceva strada facendo in noi
insegnanti e nei miei alunni.
La proposta sistematica di
un’esperienza di geometria ha
preso avvio in classe Prima
con un laboratorio guidato dall’
insegnante di Educazione motoria durante il quale i bambini, attraverso giochi – esercizi
individuali e di piccolo gruppo,
hanno preso coscienza del proprio corpo che come tutti gli
oggetti esistenti nella realtà occupa uno spazio, un volume e
ha tre dimensioni. Ai bambini è
stato chiesto non solo di giocare,
sperimentare, inventare nuove
situazioni, ma anche di raccontare oralmente e rappresentare
attraverso il disegno le diverse
esperienze vissute per fissarle e
rielaborarle, rendendole ancora
più proprie. Questo passaggio
ha rappresentato l’ avvio alla
simbolizzazione della realtà
come forma di astrazione.
In classe Seconda abbiamo lavorato sulla posizione degli oggetti nello spazio partendo dal
punto di vista. E’ la posizione
degli oggetti che cambia o a far
cambiare la descrizione di un
paesaggio, di un percorso… è
la posizione dell’osservatore, di
chi racconta?
Le diverse esperienze corpo-
ree sperimentate hanno dato a
concetti spaziali quali davanti
– dietro, destra – sinistra, già familiari ai bambini, un significato
più profondo.
Ormai siamo in Terza e il cammino è ben avviato. Riprendendo il lavoro svolto gli anni scorsi
abbiamo approfondito i concetti
di volume, di tre dimensioni, di
linea e attraverso le impronte
delle facce di un solido (una scatoletta) è stato introdotto il pas-
saggio da tre a due dimensioni.
In questo modo è risultata facilitata l’individuazione del contorno (il futuro perimetro) e della
superficie interna (l’area) di una
figura piana. Lavorando sul contorno abbiamo poi osservato i
diversi tipi di linee che, seppur
in un contesto diverso, avevamo
già incontrato lo scorso anno
rappresentando i percorsi.
Ora, dopo tanta “esperienza
dei sensi” possiamo dare nomi
precisi (solido, poligono, retta,
segmento…) alle forme e agli
elementi geometrici e possiamo
introdurre le prime definizioni
proprio perché i bambini sono
capaci di fare generalizzazioni e
passi di astrazione.
Ogni proposta di costruzione, di
osservazione, di rielaborazione
è terreno fertile per il fiorire di
domande e di intuizioni: i bambini durante il lavoro chiedono,
fanno ipotesi e talvolta, senza
rendersene conto, anticipano i
passi successivi.
La proposta di geometria si rivela ogni giorno di più un percorso
ricco che paradossalmente più
diventa astratto più ci costringe
a stare alla realtà, a non prescindere dai dati acquisiti e da quelli
che abbiamo davanti.
Ancora una volta stiamo sperimentando che tutto ci può aiutare a conoscere noi stessi e la
realtà che ci circonda…anche la
tanto temuta geometria! ■
Aquilone
L’
16
le classi raccontano | la scuola elementare
marzo 2008
Problemi? Uno strumento privilegiato per imparare a rispondere alla realtà quotidiana
Il matematico che è in me!
L’insegnamento della matematica
incrementa l’incontro e la conoscenza
del mondo che ci circonda attraverso la
scoperta e l’organizzazione di relazioni
e di regole già esistenti nel reale. Così
nell’insegnamento della matematica
si parte dalla realtà, dal dato, da ciò
che c’è: tutto è da scoprire, nominare,
ordinare e rappresentare.
Nella scuola elementare il bambino è
guidato a fare esperienza della realtà
cioè a fare, a pensare, ipotizzare,
provare, progettare, verificare, sino alla
consapevolezza dell’utilità dell’azione
matematica per risolvere efficacemente
qualsiasi situazione operativa le
circostanze della vita quotidiana gli
offrano. L’insegnante della classe
terza ci spiega perché il problema sia
uno strumento da privilegiare nella
proposta matematica.
Giulia Muzzi
insegnante classe III A
▬ In classe terza il problema è
un punto fondamentale del lavoro per due ragioni. Innanzitutto
perché a partire da situazioni
problematiche che sollecitano
una risposta personale del bambino, da una parte si riprendono,
consolidano e approfondiscono
i concetti matematici già affrontati, dall’altra se ne introducono
di nuovi.
In secondo luogo il problema
rappresenta lo strumento privilegiato per una esperienza
unitaria e sintetica rispetto alla
padronanza e comprensione linguistica, alle capacità logiche,
alle abilità tecniche operative,
alla convenzione e alla scelta di
strategie personali motivate.
L’esemplificazione
riportata
di seguito, può aiutare a com-
prendere il valore educativo,
teso cioè alla costruzione della
persona nella sua interezza, dell’esperienza matematica.
Al termine del percorso del primo quadrimestre è stato proposto
ai bambini di pensare e scrivere
le azioni che quotidianamente
compiono quando addizionano,
sottraggono, moltiplicano e dividono.
Queste azioni sono poi state riunite in una tabella.
In un secondo momento ciascun
alunno ha scelto una o più fra le
azioni individuate e, ripensando
alla propria esperienza, ha scritto il testo di un problema.
Per verificare la logicità dell’intuizione iniziale è stato chiesto
a ognuno di risolvere il proprio
problema ed eventualmente di
modificarne i dati.
LE AZIONI MATEMATICHE
ADDIZIONARE
SOTTRARRE
• aggiungere • unire • costruire
• mettere insieme • creare •
ammucchiare • raggruppare •
“fare” il contrario della sottrazione
• crescere • riempire • regalare •
condividere • mischiare
• togliere • mangiare • disfare •
rompere • distruggere • prendere
• cancellare • buttare • bruciare
• perdere • strappare • cavare •
spazzare • spezzare • consumare
• rubare • scacciare • spaccare •
diminuire • allontanare • spostare
• regalare • vendere • tagliare •
scaricare • morire • calcolare la
differenza • “fare” il contrario della
addizione • mettere da parte •
sciogliere • eliminare • scartare
MOLTIPLICARE
• aggiungere lo stesso numero più
volte • schierare • “fare” le tabelline
• duplicare • raggruppare • “fare” il
contrario della divisione
DIVIDERE
• ripartire • distribuire • suddividere
• dare in parti uguali • tagliare •
separare • raggruppare • “fare” il
contrario della moltiplicazione
Aquilone
L’
le classi raccontano | la scuola elementare
I testi sono e continuano ad
essere usati nelle esercitazioni
quotidiane.
Inoltre dalla loro lettura sono
emersi nuovi aspetti, come ad
esempio il lavoro sui dati superflui e sulla domanda implicita,
che sono divenuti punti di approfondimento.
Questo lavoro è stato efficace
perché ha mosso l’originalità e
l’iniziativa personale del bambino e gli ha fatto sperimentare la
possibilità della riuscita.
Ecco alcune situazioni problematiche ipotizzate dagli alunni:
1) RICEVERE-MANGIARE
(Piermatteo P.)
Un bambino regala 10 pacchetti di dolci a Francesco.
In ogni pacchetto ci sono 4
scatole e in ognuna si trovano
10 cioccolatini.
Quanti cioccolatini riceve Francesco?
2) METTERE DA PARTE
(Andrea C.)
Ieri nel negozio di mio papà è
entrato un cliente e gli ha chiesto 22 bracciali.
Mio papà ha tirato fuori i suoi
187 bracciali.
Al cliente ne piacevano 139;
allora gli altri sono stati messi
da parte.
Quanti bracciali ha messo da
parte il papà?
(Presenza del dato superfluo)
3) RICEVERE
(Camilla)
Per la cena di Capodanno tutti e 9 i cognati della mamma
vengono a mangiare la pizza
al trancio.
La mamma compera: una sca-
17
marzo 2008
tola di pizza margherita, una
scatola di pizza 4 stagioni e
una scatola di pizza al salame
piccante; ogni scatola contiene 42 fette.
Quante fette riceve ogni cognato?
(Domanda implicita)
4) COSTRUIRE- DISTRIBUIRE
(Maria)
Per il compleanno di Elena,
Anna costruisce 13 portachiavi,
17 braccialetti e 14 orecchini.
Quanti oggetti costruisce
Anna?
Quando arrivano le 9 amiche
di Elena, Anna distribuisce
loro gli oggetti costruiti.
Quanti oggetti riceverà ogni
bambina invitata?
5)ESSERCI-ANDARE
(Giovanni)
Al cimitero ci sono 94 morti;
nel paese muoiono altre 38
persone.
Quanti morti ci sono nel cimitero?
Se 40 anime vanno all’inferno
e 30 al purgatorio, quante ne
vanno in paradiso?
(Domanda implicita)
6) COSTRUIRE- PRENDERE
(Irene)
Per il compleanno la mamma
regala a Laura 32 cubi rossi, 22
cubi gialli e 12 cubi verdi.
Con quanti cubi Laura può costruire la torre?
Poi il suo fratellino ne prende
27. Quanti cubi rimangono sulla torre?
7) COSTRUIRE-DISTRUGGERE
(Alessandro)
In un villaggio della Mezzaluna
fertile i muratori costruiscono
93 case.
Durante la stagione delle piog-
ge i fiumi straripano e distruggono 33 case. Quante case
rimangono in piedi?
Se ne ricostruiscono 14, quante case ci saranno nel villaggio? ■
Aquilone
L’
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marzo 2008
famiglie in azione | genitori & figli
famiglie in azione
genitori & figli
All’Auditorium “Maggioni” presentazione pubblica del libro di Don Giussani
“Si può vivere così”?
Una domanda e una sfida
E. L.
▬ La serata, organizzata dai
Centri culturali della Martesana,
in collaborazione con www.culturacattolica.it e con la Scuola
“L’Aurora-Bachelet”, si è svolta
il 25 febbraio 2008 a Cernusco
sul Naviglio, in un auditorium
affollato ed attento.
Le tracce dei due interventi sono
state proposte da Davide Perillo,
giornalista e moderatore dell’incontro, che ha ripreso il titolo e il
sottotitolo del libro. “Si può vivere così?” è una domanda aperta, non il lamento per una condizione umana faticosa. E “Uno
strano approccio all’esistenza
cristiana” indica da un lato l’originalità del testo, che raccoglie
dal vivo una serie di incontri di
don Giussani con un centinaio
di giovani orientati alla verginità; dall’altro un “andare controcorrente” rispetto alla mentalità
dominante.
Le sottolineature del primo relatore, Claudio Morpurgo, ex presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche d’Italia, sono
state numerose e appassionate,
spesso collegate a brani biblici.
Che cosa hanno imparato quei
cento giovani radunati attor-
Due protagonisti della cultura italiana si sono confrontati
con “uno strano approccio all’esistenza cristiana”.
no al Maestro don Giussani?
Che Dio c’entra con tutto: “la
Sua Presenza gloriosa riempie
il mondo” (Isaia 6,3): il nostro
mondo, così pieno di male, dove
non Dio è morto, ma l’uomo.
Giussani ripone al centro l’uomo, la singola persona, che è
essenziale nel disegno di Dio.
E l’uomo singolo diventa partner di Dio nella santificazione
del quotidiano, soprattutto col
lavoro, che è un atto religioso.
“Seguendo il grande maestro
di umanità, don Giussani, non
dobbiamo aver paura di lottare
per un nuovo umanesimo”, ha
concluso Morpurgo, “perché
senza guardare in Cielo l’uomo
smarrisce l’orizzonte...
Non ‘si può’, ma ‘si deve’ vivere così, mettendoci in gioco, rischiando, valorizzando la nostra
libertà”.
“Su questa domanda: si può
vivere così? don Giussani” ha
detto Alberto Savorana, direttore del mensile di CL “Tracce”,
“ha investito e scommesso la sua
reputazione di prete e di uomo.
Ha lanciato a tutti noi una sfida:
“Vi va di verificare con me se
questo corrisponde ai desideri
più profondi del vostro cuore?.
Io vi voglio accompagnare in
questo”. Il primo luogo comu-
ne che Giussani smantella è
che “La fede non c’entra con la
ragione”, pregiudizio terribile
accettato tranquillamente, ma
falsissimo. La fede è un modo di
conoscere che noi usiamo molto
più frequentemente dell’esperienza diretta: conosco qualcosa
perché mi fido di un testimone.
La fede è quindi una forma naturale di conoscenza indiretta, in
cui il vero problema semmai è la
credibilità di chi testimonia: mi
posso fidare di lui?
La fede si gioca davanti a Cristo
perché in un incontro carico di
stupore riconosco la risposta
eccezionale al mio desiderio di
felicità, e sono chiamato con la
mia libertà a dire di sì.
E oggi, come è possibile questo?
Incontrando le “fragili ma reali
maschere di quella Presenza”, i
nostri volti di Cristiani, di Chiesa viva”.
La serata, ricca del presentimento di qualcosa di bello, di vero,
di interessante – come ha detto
concludendo Davide Perillo
– avrà un seguito: infatti ci si è
dati appuntamento per il 13 marzo alle 21 alla “Bachelet” per
accogliere quella sfida legata al
nostro Destino: “Si può vivere
così?” ■
Aquilone
L’
famiglie in azione | genitori & figli
Incontro con Don Gabriele Mangiarotti, direttore
del sito www.culturacattolica.it
Un’alleanza per l’educazione
Amare il mondo
Lettera di una mamma che ha partecipato al Convegno organizzato sotto il
patrocinio della Regione Lombardia da Enti che, a vario titolo, si occupano
di scuola (A.GE., A.GE.S.C., Diesse, Famiglie per l’Accoglienza, Forum delle
Associazioni familiari, Sindacato delle Famiglie).
Letizia Sanvito Barazzetta,
genitore
-
Una delle frasi che più
mi hanno colpito è di Hannah
Arendt e recita: “Educazione è il
punto in cui si decide se amiamo
abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità.”.
Difficile restare indifferenti, non
fosse altro che per dire: “Non
capisco”. Che l’educare abbia
molto a che vedere con l’amore e la responsabilità, è del tutto
evidente a chiunque abbia dei figli, ma il mondo, cosa c’entra?”
Poi, man mano che si succedono gli interventi dei relatori (due
mamme, un preside di scuola
media superiore e il responsabile per la scuola della Compagnia
delle Opere), mentre vengono
evocate situazioni scandalose e
scandalistiche che troppo spesso
i mass media ci propinano come
unica realtà della scuola, mentre sfilano i dati di una crisi del
sistema scolastico italiano che
sembra senza prospettive immediate di soluzione, appare sempre più evidente che senza assumersi il peso del “mondo” non
può esserci vera educazione.
Il “mondo”, infatti, è il clima che
ci circonda e soprattutto che respirano i nostri figli. Non si può
pensare di tirarli fuori prendendoli per i capelli né di metterli
sotto una campana di vetro fino
a 34 anni (al convegno ho appreso con stupore che è questa l’età
attualmente considerata dai rilevatori statistici come discrimine
tra la gioventù e l’età adulta e ho
pensato con un brivido che io, a
34 anni, avevo già tre figli!), occorre mettersi al loro fianco con
tutta l’intelligenza e l’amore di
cui disponiamo e allearsi.
Ecco, è proprio “alleanza” il
termine che, dal titolo del convegno in giù, ho sentito ricorrere
con maggior frequenza. Alleanza a vari livelli, ma principalmente tra famiglia e scuola, tra
educatori naturali e comunità
educante, tra chi è titolare effettivo e giuridico del diritto-dovere di educare e quel soggetto che
viene scelto come più idoneo
per competenza e professiona-
lità a istruire, educando però
al contempo in una prospettiva
sintonica.
Ho ripensato a 15 anni fa
quando io e mio marito abbiamo scelto questo “partner” con
cui condividere l’educazione
dei nostri figli, alla ferita che
comporta capire che io non basto, che occorre affidarli a dei
maestri, che necessariamente
avranno su di loro uno sguardo
diverso dal mio. Devo potermi
fidare di questi maestri, ma devo
anche lasciarmi guidare dal loro
giudizio. Mettendomi in discussione ogni volta, giocando il mio
ruolo di madre in ogni spazio, in
ogni interstizio, piccolo o grande, diventando sempre più consapevole della mia funzione e
urgendo il maestro a fare altrettanto nella sua. Perché in gioco
c’è mio figlio.
Solo col tempo questa alleanza
mi si è chiarita, così come tempo ha richiesto capire che ci si
doveva alleare tra genitori, perché da soli è impossibile, non si
regge.
Per un risultato utile, occorre
però che l’alleanza sia leale,
chiara e permanente, senza sacche di riserve più o meno nascoste. Non basta dire “ho scelto
quel che mi sembra migliore,
adesso se la sbrighino loro, tanto più che li pago” (perché nella
nostra scuola c’è anche questa
aggravante). Così come sarebbe
assolutamente controproducente
per il figlio vedere contraddette
operativamente le indicazioni di
chi è stato scelto come maestro
perché “so io quel che serve a
mio figlio (e siccome pago, si fa
come dico io)”.
Ho estremizzato due rischi che
venivano indicati unanimemente
nel convegno come i più diffusi
e pericolosi solo per semplificare, ma sono tentazioni che io
per prima ho vissuto e superato
imparando a fidarmi e vedendo
altri genitori che facevano altrettanto.
Sfogliando i documenti del
convegno, mi si presentano infiniti altri spunti e già aspetto con
impazienza gli atti per poterli
ulteriormente approfondire. In-
19
marzo 2008
Internet, e-mail, chat, blog… Navigare
è un pericolo?
Di fronte ai rapidi cambiamenti della
comunicazione un a-fondo sui rapporti tra
educazione ed Internet.
vito chiunque fosse interessato,
a richiedere alla Segreteria della
Bachelet un agile libretto (una
quarantina di pagine in tutto) dal
titolo “Scuola-Genitori: un’alleanza possibile?” che raccoglie
alcuni utilissimi contributi di
docenti, genitori ecc. utilizzati
per preparare il convegno di cui
sopra.
Non mancheranno le occasioni
per riparlarne. ■
BUSSOLA PER I NAVIGANTI
Per non essere irretiti dalla rete
CONSIGLI AI GENITORI
n “Cammina l’uomo quando sa bene dove andare”.
Internet è uno strumento al
servizio di uomini coscienti
dello scopo, che usano tutto
senza paura.
o Non lasciare soli i ragazzi
davanti a Internet: condividere un cammino educativo
aiutandoli con criteri chiari.
p Educare lo sguardo: sfidare i ragazzi a non accontentarsi di sciattezza o banalità,
ma a cercare una bellezza più
vera.
q Non demonizzare Internet,
ma mostrare un modo più
umano, più avvincente, più
affascinante di usarlo.
r Scoprire i volti che stanno dietro un sito, un blog,
ricordando che il virtuale è
al servizio del reale e non viceversa.
CONSIGLI AI RAGAZZI
n Non fare di Internet l’orizzonte della propria vita, ma
conoscerlo per metterlo al
proprio servizio.
o Evitare le chat inutili e generiche, le perdite di tempo
sciocche e insulse: comunicare è mettere in gioco la propria umanità.
p Non usare Internet per fuggire la realtà, ma per entrare
sempre di più in essa.
q Non nascondersi dietro
l’illusione
dell’anonimato
per vivere una vita virtuale
fittizia.
r Fare la fatica di verificare
ciò che la rete comunica: non
essere creduloni solo perché
“è su Internet”.
E. L.
-
Giovedì 28 febbraio 2008
presso la scuola Bachelet si è
svolto un incontro sulle problematiche educative legate alla
nuova situazione dei ragazzi,
coinvolti sempre più dal mondo
di Internet. Il Preside Rosario
Mazzeo ha motivato le ragioni
di una serata che ha visto don
Gabriele Mangiarotti, responsabile del sito www.culturacattolica.it, raccontare la propria esperienza ormai più che decennale
nel mondo di Internet: essere
adulti che educano continuamente, e usare la ragione fino in
fondo per sostenere la persona,
rendendola forte di fronte alle
nuove sfide che la società pone.
Don Gabriele è partito dall’episodio biblico della Torre
di Babele: nella società tecnologicamente avanzata il potere
vuole uniformare il linguaggio imponendo la dittatura del
relativismo, divenuto ormai
“relativismo aggressivo” (M.
Introvigne): “Tu devi pensare
come diciamo noi”. Il mondo
della comunicazione è spesso
al servizio di questa concezione.
Di solito si indica nella pornografia il pericolo più grave per
i nostri ragazzi che navigano in
Internet; ma è ancora più grave
il fatto che si cada nelle mani di
uomini che respirano e comunicano una mentalità per cui relativismo e nichilismo tendono
a divenire il modo comune di
pensare. Anche rispetto a questo scenario, è straordinario il
modo con cui il Papa richiama
continuamente la responsabilità
educativa di educatori e genitori. Internet può essere uno strumento per l’omologazione culturale, ma anche per valorizzare
esperienze di appartenenza forte
e di responsabilità, di ricerca di
bellezza e di apertura di incontri
reali, come testimonia la storia
di www.culturacattolica.it. Le
modalità di fruizione di Internet
sono ormai svariatissime: documentazione, divertimento, utilizzo di programmi, posta, blog,
chat... E’ necessario non lasciare
soli i nostri ragazzi, lavorare
con loro: non con paura dello
strumento, non solo con paletti
e istruzioni per l’uso, ma condividendo un cammino educativo
per diventare protagonisti.
E’ una sfida in cui occorre mostrare un modo più vero di vivere e di utilizzare uno strumento
che, se usato con intelligenza,
può rivelarsi una risorsa straordinaria di crescita e di ricchezza
per la persona.
Le risposte alle numerosissime
domande emerse a conclusione
della relazione di don Gabriele
sono sintetizzate nel “decalogo
per i navigatori” che riportiamo
di fianco. ■
20
Aquilone
L’
marzo 2008
famiglie in azione | genitori & figli
Nairobi-Cernusco
Un’amicizia che continua
Nel mese di dicembre 2007 Mr. Anthony Maina, preside della “Little Prince”, scuola gemella dell’Aurora Bachelet, è venuto a
Milano insieme ad alcuni amici di Avsi per un Convegno, poi si è trasferito a Cernusco, ospite della famiglia Mariani, e ha vissuto
una decina di giorni la vita della scuola. “La prima cosa che è balzata agli occhi e al cuore è stata una grande affinità - ci ha
raccontato Letizia Sanvito del Consiglio di Amministrazione della cooperativa che gestisce la scuola - nonostante le differenti
condizioni culturali, geografiche, economiche ci si è trovati in sintonia per una comune passione educativa”.
Per questo motivo ha creato
molto dolore la situazione che
si è venuta a creare in Kenia,
proprio subito dopo la partenza
dell’amico Anthony, che tramite una fitta corrispondenza informava via via delle difficoltà
vissute anche dagli alunni della
“Little Prince”. Le notizie drammatiche che arrivano tramite email alla scuola e i mass-media
hanno spinto i ragazzi a dire quasi tutte le mattine una preghiera
composta dai missionari di San
Carlo, presenti in Nairobi. La
riportiamo per condividerla con
i nostri lettori, in particolare con
i genitori:
A. B.
▬ Il gemellaggio tra le due
scuole, infatti, non è vissuto
come un’opera filantropica, un
sostegno di chi può a chi è in
difficoltà, ma è proprio questo
scoprirsi sulla stessa strada.
Antonhy durante il suo soggiorno, ha vissuto molti momenti di
approfondimento sui metodi, i
percorsi delle scuole paritarie
in Italia, accompagnato ai mille
incontri cui è solito partecipare
il Prof. Mazzeo, Preside della
Bachelet.
Al mattino la sua presenza nelle classi è diventata familiare
sia nei momenti di lavoro che
in quelli di gioco. Dirette dalla
Prof. Piazza alcune classi gli
hanno dedicato delle canzoni
accompagnandole con l’arpa.
Le prime e le seconde hanno
scritto lettere in inglese. Le terze medie hanno usufruito delle
lezioni sull’Africa sempre in
lingua inglese.
Non sono mancati gli appuntamenti conviviali, come la cena
con gli amministratori e alcuni membri dell’Associazione
Amici dell’Aurora-Bachelet, gli
incontri con alcune famiglie e le
visite alla città.
Sicuramente il Prof. Anthony e
la scuola “Little Prince” sono
ormai entrati nella vita di tutti
all’Aurora-Bachelet ed è cresciuta la consapevolezza che ciò
che accomuna queste due realtà
è una amicizia, di più, una fratellanza.
Successo dell’iniziativa del Banco di Solidarietà “Enzo Piccinini”
Donacibo
Davide Ciceri,
classe II A, Scuola Bachelet
▬ Con il gesto, promosso da alcuni volontari del banco di Solidarietà di
Gessate “Enzo Piccinini”, è stata proposta alle classi prime e seconde,
la raccolta di prodotti alimentari non deperibili da destinare alle famiglie che non possono permettersi di fare una spesa regolare e adeguata
ai propri bisogni.
Tutti gli alunni hanno portato, liberamente, i prodotti alimentari consigliati che, dopo essere stati raccolti e inscatolati, sono stati ritirati da
alcuni volontari del banco di solidarietà, che ha organizzato questa iniziativa nella nostra zona. Il Donacibo è uno dei modi di raccogliere gli
alimenti rivolto in particolare ai ragazzi, perché possano capire quanto
è importante donare, condividere un bisogno.
Come è stato spiegato, partecipando a questo gesto si può sperimentare se veramente ci si sente più felici a fare atti di carità perché partendo
da una semplice e concreta necessità, si può condividere il senso della
vita e scoprire che, in fondo, tutti gli uomini, anche poveri, hanno il desiderio di essere amati. Spesso accade, infatti, che chi porta il pacco inizia a conoscere la famiglia che ogni mese incontra, parlando della vita
quotidiana; da qui nasce il desiderio di approfondire questa amicizia.
Questa è l’esperienza che accomuna tutti i volontari del banco ed è proprio tale pienezza che li ha spinti a proporre questo semplice gesto a
migliaia di ragazzi, affinché anche loro possano sperimentare la felicità
di amare qualcuno. E’ stato un gesto molto significativo, anche per chi
già lo conosceva attraverso la giornata della Colletta Alimentare, occasione per rinnovare la bellezza di rendere felice chi ci è vicino. ■
“Chiediamo a te, Signore, che
l’Africa non sia ancora una volta
bagnata dal sangue dei popoli,
e ti chiediamo soprattutto che i
battezzati vivano il loro Battesimo come fonte di perdono e
di riconciliazione, e una nuova
generazione possa crescere e
guidare questa nazione verso un
presente e un futuro più luminosi. … Ti chiediamo di fermare
gli animi di coloro che vogliono
soltanto dominare, e di fermare
la morte che nasce dalla loro volontà di vendetta e prevaricazione. L’Africa ha già troppo sofferto perché debba ancora una
volta essere segnata da queste
piaghe che difficilmente poi si
rimarginano. Per l’intercessione
di tua Madre, e di san Giuseppe,
Patrono della Chiesa, chiediamo
a te, o Signore, di benedire questi popoli e di convertirli alla tua
verità. Amen” ■
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