o Aquil ne L’ PAROLE E FATTI DALLE SCUOLE LIBERE In redazione: Rosario Mazzeo, Enrico Leonardi, Angela Belussi. Anno XVIII n. 47 - Marzo 2008 - € 0,50 La scuola "L'Aurora-Bachelet" è a Cernusco sul Naviglio in Via Mosè Bianchi/Via Buonarroti Tel: 02 92111020 - Fax: 02 9238883 - E-Mail: [email protected] - www.aurorabachelet.it Supplemento a "Libertà di educazione" Editore CeSeD, Autorizzazione Trib. di Milano n. 153 del 15/4/1997 Direttore responsabile: F. Tagliabue Direttore: Giuseppe Meroni Impaginazione e grafica: Cobri Srl Stampa: Jona Srl - Paderno D. (Mi) dalla prima pagina A proposito di Galileo . . . . . . . . . . . . 10 le classi raccontano | la scuola elementare Lettera sul compito urgente dell’educazione . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Laboratorio di giochi linguistici . . . . . . 10 Fisica: che spettacolo! . . . . . . . . . . . . 11 Geometria, materia complicata? No, se il percorso è adeguato . . . . . . . .15 Liberi, lieti, forti . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Sudoku . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Il matematico che è in me! . . . . . . . . . 16 L’educazione è un profumo . . . . . . . . . 4 Guardiamo cosa c’è fuori dal Pianeta Terra . . . . . . . . . . . . . . . . 11 famiglie in azione | genitori & figli indice Il preside intervistato da Voce Amica . . . . 6 A proposito dei fatti della “Sapienza”. . . .12 “Si può vivere così”? Una domanda e una sfida . . . . . . . . . 18 le classi raccontano | la scuola media Facciamo luce sulla materia . . . . . . . . .12 Amare il mondo . . . . . . . . . . . . . . . .19 Il Signore degli Anelli . . . . . . . . . . . . . 8 Un comune vigile urbano . . . . . . . . . . .13 Gita didattica in famiglia . . . . . . . . . . . 8 Scatti d’autore . . . . . . . . . . . . . . . . .14 Internet, e-mail, chat, blog… Navigare è un pericolo? . . . . . . . . . . . .19 27 gennaio, giorno della Memoria . . . . . . 9 Colori e pennelli! . . . . . . . . . . . . . . .14 Un’amicizia che continua . . . . . . . . . . 20 Il cammino di un popolo . . . . . . . . . . . 9 Lingua straniera 2 . . . . . . . . . . . . . . .14 Donacibo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 ▼ EDITORIALE ▼ Un compito per tutti: educare e lasciarsi educare ▼ Con una Lettera scritta nel mese di gennaio ed indirizzata alla Diocesi e alla città di Roma Benedetto XVI ha richiamato ancora una volta tutti gli uomini di buona volontà sul compito urgente dell’educazione. La ragione l’ha spiegata il Papa stesso l’ultima domenica di febbraio: “Educare non è mai stato facile e oggi sembra diventare sempre più difficile: perciò non pochi genitori e insegnanti sono tentati di rinunciare al proprio compito, e non riescono più nemmeno a comprendere quale sia veramente la missione loro affidata. Troppe incertezze e troppi dubbi, infatti, circolano nella nostra società e nella nostra cultura, troppe immagini distorte sono veicolate dai mezzi di comunicazione sociale. Diventa difficile, così, proporre alle nuove generazioni qualcosa di valido e di certo, delle regole di comportamento e degli obiettivi per i quali meriti spendere la propria vita”. Pensiamo che il miglior servizio che possiamo rendere ai nostri lettori sia in questo momento riproporre il testo della lettera pontificia. In essa possiamo ritrovare alcune indicazioni, semplici e concrete, sugli aspetti fondamentali e comuni dell’opera educativa. Tutti. Innanzitutto i genitori a cui Benedetto XVI ricorda che il loro reciproco amore è “il primo e grande dono di cui hanno bisogno i figli, per crescere se- reni, acquisire fiducia in se stessi e fiducia nella vita e imparare così ad essere a loro volta capaci di amore autentico e generoso. Il bene che volete ai figli deve poi darvi lo stile e il coraggio del vero educatore, con una coerente testimonianza di vita ed anche con la fermezza necessaria per temprare il carattere delle nuove generazioni, aiutandole a distinguere con chiarezza il bene dal male ed a costruirsi a loro volta delle solide regole di vita, che le sostengano nelle prove future. Così farete ricchi i vostri figli dell’eredità più preziosa e duratura, che consiste nell’esempio di una fede quotidianamen- te vissuta.” In secondo luogo i docenti a cui il Papa chiede di avere un concetto alto e grande del loro impegnativo lavoro, nonostante le difficoltà, le incomprensioni, le delusioni che troppo spesso sperimentano. “Insegnare, infatti, significa andare incontro a quel desiderio di conoscere e di capire che è insito nell’uomo e che nel bambino, nell’adolescente, nel giovane si manifesta in tutta la sua forza e spontaneità. Il vostro compito, perciò, non può limitarsi a fornire delle nozioni e delle informazioni, lasciando da parte la grande domanda riguardo alla verità, soprattutto a quella verità che può essere di guida nella vita. Siete infatti, a pieno titolo, degli educatori: a voi, in stretta sintonia con i genitori, è affidata la nobile arte della formazione della persona. In particolare, quanti insegnano nelle scuole cattoliche portino dentro di sé e traducano in azione quotidiana quel progetto educativo che ha al proprio centro il Signore Gesù e il suo Vangelo.” In terzo luogo tutti gli altri educatori a cui il pontefice ricorda che l’educazione “ è un rapporto segue a pag 2 2 Aquilone L’ marzo 2008 dalla prima pagina Vaticano, 21 gennaio 2008 Lettera sul compito urgente dell’educazione anche un’atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Diventa difficile, allora, trasmettere da una generazione all’altra qualcosa di valido e di certo, regole di comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali costruire la propria vita. Papa Benedetto XVI ▬ Cari fedeli di Roma, ho pensato di rivolgermi a voi con questa lettera per parlarvi di un problema che voi stessi sentite e sul quale le varie componenti della nostra Chiesa si stanno impegnando: il problema dell’educazione. Abbiamo tutti a cuore il bene delle persone che amiamo, in particolare dei nostri bambini, adolescenti e giovani. Sappiamo infatti che da loro dipende il futuro di questa nostra città. Non possiamo dunque non essere solleciti per la formazione delle nuove generazioni, per la loro capacità di orientarsi nella vita e di discernere il bene dal male, per la loro salute non soltanto fisica ma anche morale. Educare però non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande “emergenza educativa”, confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita. Viene spontaneo, allora, incolpare le nuove generazioni, come se i bambini che nascono oggi fossero diversi da quelli che nascevano nel passato. Si parla inoltre di una “frattura fra le generazioni”, che certamente esiste e pesa, ma che è l’effetto, piuttosto che la causa, della mancata trasmissione di certezze e di valori. Dobbiamo dunque dare la colpa agli adulti di oggi, che non sarebbero più capaci di educare? E’ forte certamente, sia tra i genitori che tra gli insegnanti e in genere tra gli educatori, la tentazione di rinunciare, e ancor prima il rischio di non comprendere nemmeno quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. In realtà, sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei giovani, che pur esistono e non devono essere nascoste, ma Segue dalla prima Un compito per tutti: educare e lasciarsi educare ▬... tra persone nel quale, con il crescere degli anni, entrano sempre più in gioco la libertà e la responsabilità di coloro che vengono educati. Perciò, con grande affetto, mi rivolgo a voi, fanciulli, adolescenti e giovani, per ricordarvi che voi stessi siete chiamati ad essere gli artefici della vostra crescita morale, culturale e spirituale. Sta a voi, dunque, accogliere liberamente nel cuore, nell’intelligenza e nella vita il patrimonio di verità, di bontà e di bellezza che si è formato attraverso i secoli e che ha in Gesù Cristo la sua pietra angolare. Sta a voi rinnovare e sviluppare ulteriormente questo patrimonio, liberandolo dalle tante menzogne e brutture che spesso lo rendono irriconoscibile e provocano in voi diffidenza e delusione. Sappiate comunque che in questo non facile cammino non siete mai soli: vi sono vicini non soltanto i vostri genitori, insegnanti, sacerdoti, amici e formatori, ma soprattutto quel Dio che ci ha creato e che è l’ospite segreto dei nostri cuori. Egli illumina dal di dentro la nostra intelligenza, Egli orienta al bene la nostra libertà, che spesso avvertiamo fragile e incostante, Egli è la vera speranza e il fondamento solido della nostra vita. Di Lui, anzitutto, ci possiamo fidare.” ■ Cari fratelli e sorelle di Roma, a questo punto vorrei dirvi una parola molto semplice: Non temete! Tutte queste difficoltà, infatti, non sono insormontabili. Sono piuttosto, per così dire, il rovescio della medaglia di quel dono grande e prezioso che è la nostra libertà, con la responsabilità che giustamente l’accompagna. A differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell’ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell’uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale. Quando però sono scosse le fondamenta e vengono a mancare le certezze essenziali, il bisogno di quei valori torna a farsi sentire in modo impellente: così, in concreto, aumenta oggi la domanda di un’educazione che sia davvero tale. La chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli; la chiedono tanti insegnanti, che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole; la chiede la società nel suo complesso, che vede messe in dubbio le basi stesse della convivenza; la chiedono nel loro intimo gli stessi ragazzi e giovani, che non vogliono essere lasciati soli di fronte alle sfide della vita. Chi Aquilone L’ dalla prima pagina 3 marzo 2008 Prosegue il cammino iniziato due anni fa con le conversazioni sull’educazione Liberi, lieti, forti crede in Gesù Cristo ha poi un ulteriore e più forte motivo per non avere paura: sa infatti che Dio non ci abbandona, che il suo amore ci raggiunge là dove siamo e così come siamo, con le nostre miserie e debolezze, per offrirci una nuova possibilità di bene. Cari fratelli e sorelle, per rendere più concrete queste mie riflessioni, può essere utile individuare alcune esigenze comuni di un’autentica educazione. Essa ha bisogno anzitutto di quella vicinanza e di quella fiducia che nascono dall’amore: penso a quella prima e fondamentale esperienza dell’amore che i bambini fanno, o almeno dovrebbero fare, con i loro genitori. Ma ogni vero educatore sa che per educare deve donare qualcosa di se stesso e che soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro volta capaci di autentico amore. Già in un piccolo bambino c’è inoltre un grande desiderio di sapere e di capire, che si manifesta nelle sue continue domande e richieste di spiegazioni. Sarebbe dunque una ben povera educazione quella che si limitasse a dare delle nozioni e delle informazioni, ma lasciasse da parte la grande domanda riguardo alla verità, soprattutto a quella verità che può essere di guida nella vita. Anche la sofferenza fa parte della verità della nostra vita. Perciò, cercando di tenere al riparo i più giovani da ogni difficoltà ed esperienza del dolore, rischiamo di far crescere, nonostante le nostre buone intenzioni, persone fragili e poco generose: la capacità di amare corrisponde infatti alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme. Arriviamo così, cari amici di Roma, al punto forse più delicato dell’opera educativa: trovare un giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina. Senza regole di comportamento e di vita, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, non si for- ma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che non mancheranno in futuro. Il rapporto educativo è però anzitutto l’incontro di due libertà e l’educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà. Man mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un giovane; dobbiamo dunque accettare il rischio della libertà, rimanendo sempre attenti ad aiutarlo a correggere idee e scelte sbagliate. Quello che invece non dobbiamo mai fare è assecondarlo negli errori, fingere di non vederli, o peggio condividerli, come se fossero le nuove frontiere del progresso umano. L’educazione non può dunque fare a meno di quell’autorevolezza che rende credibile l’esercizio dell’autorità. Essa è frutto di esperienza e competenza, ma si acquista soprattutto con la coerenza della propria vita e con il coinvolgimento personale, espressione dell’amore vero. L’educatore è quindi un testimone della verità e del bene: certo, anch’egli è fragile e può mancare, ma cercherà sempre di nuovo di mettersi in sintonia con la sua missione. Carissimi fedeli di Roma, da queste semplici considerazioni emerge come nell’educazione sia decisivo il senso di responsabilità: responsabilità dell’educatore, certamente, ma anche, e in misura che cresce con l’età, responsabilità del figlio, dell’alunno, del giovane che entra nel mondo del lavoro. E’ responsabile chi sa rispondere a se stesso e agli altri. Chi crede cerca inoltre, e anzitutto, di rispondere a Dio che lo ha amato per primo. La responsabilità è in primo luogo personale, ma c’è anche una responsabilità che condividiamo insieme, come cittadini di una stessa città e di una nazione, come membri della famiglia umana e, se siamo credenti, come figli di un unico Dio e membri della Chiesa. Di fatto le idee, gli stili di vita, le leggi, gli orientamenti complessivi della società in cui viviamo, e l’immagine che essa dà di se stessa attraverso i mezzi di comunicazione, esercitano un grande influsso sulla formazione delle nuove generazioni, per il bene ma spesso anche per il male. La società però non è un’astrazione; alla fine siamo noi stessi, tutti insieme, con gli orientamenti, le regole e i rappresentanti che ci diamo, sebbene siano diversi i ruoli e le responsabilità di ciascuno. C’è bisogno dunque del contributo di ognuno di noi, di ogni persona, famiglia o gruppo sociale, perché la società, a cominciare da questa nostra città di Roma, diventi un ambiente più favorevole all’educazione. Vorrei infine proporvi un pensiero che ho sviluppato nella recente Lettera enciclica “Spe salvi” sulla speranza cristiana: anima dell’educazione, come dell’intera vita, può essere solo una speranza affidabile. Oggi la nostra speranza è insidiata da molte parti e rischiamo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini “senza speranza e senza Dio in questo mondo”, come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani di Efeso (Ef 2,12). Proprio da qui nasce la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa: alla radice della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita. Non posso dunque terminare questa lettera senza un caldo invito a porre in Dio la nostra speranza. Solo Lui è la speranza che resiste a tutte le delusioni; solo il suo amore non può essere distrutto dalla morte; solo la sua giustizia e la sua misericordia possono risanare le ingiustizie e ricompensare le sofferenze subite. La speranza che si rivolge a Dio non è mai speranza solo per me, è sempre anche speranza per gli altri: non ci isola, ma ci rende solidali nel bene, ci stimola ad educarci reciprocamente alla verità e all’amore. Vi saluto con affetto e vi assicuro uno speciale ricordo nella preghiera, mentre a tutti invio la mia Benedizione. ■ Quest’anno dopo aver incontrato Don Eugenio Nembrini molti genitori hanno espresso il desiderio di approfondire la domanda: ‘Chi è l’adulto, dov’è l’adulto, a che bisogni deve rispondere?’, così il 18 febbraio, presso la scuola, si sono incontrate una trentina di famiglie. Proponiamo il racconto di una mamma. Tiziana Giudici, genitore - “E’ tardissimo! Sono tornata dal lavoro, ho appena finito di cucinare, mangiare, sparecchiare, far partire la lavatrice, stendere i panni, fare due telefonate, portare Simone dal dentista… ed è già ora di preparare la cena!!! Sono stanchissima e stasera c’è anche l’incontro a scuola… cosa faccio? Quasi quasi non vado, in fondo per oggi la mia parte l’ho fatta... mm…. un’occhiata al titolo ‘Conversazioni sull’esperienza di educazione nostra e dei figli’… educazione nostra… mah in che senso… magari mi faccio raccontare dal Preside poi!” Ma il tarlo di perdere un’occasione l’avevo, mangio velocemente, sparecchio, lascio disposizioni per la serata e via di corsa a sentire qualcosa sui figli… chissà mai che ci sia qualche trucchetto per facilitare la vita! Ma il Preside Mazzeo inizia così: “Siamo qui come persone per educarci e non tanto nel ruolo di genitori. L’educazione sembra sempre un affare da esperti. Esperto nell’educazione è ciascuno di noi. Esperto: che ha esperienza!” E così inizia la serata di conversazione, proprio un dialogo. Alcuni tra noi, “esperti”, raccontano la loro esperienza. Molti fanno domande. Ecco gli appunti di risposte tra un intervento e l’altro: “Non togliere la fatica ai figli. Libertà anche di sbagliare. Amare sempre la libertà di tuo figlio. Educarsi anche tra adulti per crescere nel rapporto tra adulti. Guardare al proprio figlio come altro da sé: non è cosa tua.” Un’ora intensa e densa di tanti spunti per ripensare sia a se stessi sia al rapporto con i propri figli. Ci vuole una sintesi, così il prof. Mazzeo partendo dalla propria esperienza, ci lascia una traccia di riflessione e di lavoro. Rimanda alla lettera del Papa alla diocesi di Roma e alla conversazione con don Eugenio Nembrini. E conclude: “ A noi interessa che i nostri figli diventino uomini cioè: liberi, lieti e forti. Quale progetto per loro dunque? Che si realizzi ciò per cui Dio li ha fatti! La pretesa non è mai giusta in assoluto: l’attesa sì! Non pretesa ma attesa. L’attesa è sempre grande e se c’è attesa, c’è sempre stupore e gratitudine per come i nostri figli diventano grandi e noi siamo sempre più richiamati ad intraprendere la strada della verità e la ricerca della bellezza.”! ■ Aquilone L’ 4 dalla prima pagina marzo 2008 Una proposta affascinante solo questo muove la libertà dell’uomo L’educazione è un profumo E. L. - Chi è l’adulto? Dov’è l’adulto? A quale bisogno può e deve rispondere? A queste domande, riproposte da Alberto Invernizzi, presidente dell’ A3B, don Eugenio ha risposto raccontando la sua esperienza. “In questa vicenda, ci siamo proprio dentro tutti. La mia vita, come la vostra, non è dipesa dalla scuola, grazie a Dio, ma da quello che nel tempo è emerso. Io ho vissuto sempre con davanti mio padre e mia madre che erano realmente degli educatori. Eppure loro hanno fatto, come tutti allora, la terza elementare, avevano dieci figli, mio padre era ammalato di sclerosi a placche. Questa era la situazione di casa mia. Perché vi dico questo? Perché, nel tempo, permane tutto quello che di bene e di grande uno ha respirato. Amo dire che l’educazione, per un adulto, è stare di fronte a una persona che profuma. L’educazione è un gusto, un respiro, l’educazione è un profumo. E come la puzza dà fastidio a tutti, il profumo, ovunque tu sia, piace, senza bisogno di spiegarlo, non lo devi raccontare. E’ come quando passi vicino a quei panifici dove a distanza senti il profumo di pane. Non c’è bisogno di dire niente, di spiegare niente. Di fronte a una luna piena, a un cielo stellato o a un tramonto o a un’alba, non devi spiegare nulla. Vi assicuro che in tutte le parti del mondo funziona così. Don Carròn ogni tanto ci fa l’esempio della scarpa stretta. Il piede capisce subito che la scarpa va stretta. Tutti noi siamo in grado di capire se qualcosa ci va stretto. Ma guardate che è talmente semplice, che siamo tutti tentati di dire: “No, è impossibile”. Abbiamo parlato di un problema enorme: dell’educazione, dei ragazzi, dei disastri che ci sono in giro, e io vi dico che la questione è di una semplicità allarmante. Vi faccio un esempio di casa mia: quando partivo per il Kazakistan, il mio papà era ammalato, con mille problemi, con dieci figli, con tutte le preoccupazioni di tutti i genitori; quan- L’Associazione “Amici Aurora- Bachelet” si è presentata pubblicamente proponendo il 5 dicembre 2007 un incontro all’Auditorium Maggioni sul tema: “Ho bisogno di un adulto! ”. Riportiamo alcuni passi della relazione di Don Eugenio Nembrini, missionario per più di dieci anni in Kazakistan e attuale rettore dell’Istituto Sacro Cuore di Milano, e della conversazione tra lui e i presenti accorsi numerosi per l’occasione. do mi è arrivato il visto nel ‘95, il mio papà è all’ospedale e sta morendo. Allora non so se partire o meno. Lui sapeva che aveva pochi mesi di vita e allora vado in ospedale a trovarlo. Gli dico: “Papà, mi è arrivato il visto e settimana prossima dovrei partire, però non mi sento tranquillo. Cosa dici?” Con la sua semplicità mi dice: “Guarda Eugenio, io ho vissuto tutta la mia vita per Cristo. (Si noti che il mio papà non ha mai parlato di Cristo) Adesso tocca a te: vai tranquillo”. “Papà, forse non hai capito. Il Kazakistan non è qui dietro l’angolo. Stai morendo, non ci vediamo più”. Allora mi ha proprio allontanato dal letto, piangendo, e mi ha detto: “Ti ho detto di partir tranquillo. Ciao, ci vediamo in Paradiso. Fine”. E io sono partito per il Kazakistan con negli occhi il mio papà così. Ho raccontato l’ultimo incontro per dire chi è stato mio padre. Un respiro, un gusto, un modo di usare il tempo, di usare la casa, un modo di aprire la casa. Un modo di guardare le persone che entravano, un modo di rispettare la chiesa, un modo di pregare. Quando è morta la mia mamma, le donne di paese arrivano tutte a dire il rosario come si usa in paese: avemariasantamaria. Dopo un po’ salta su il mio papà: “Ferme donne, adesso pregate come dico io”. È stato lì quattro giorni a dire rosari. Il rosario si dice così. Un modo di pregare, di guardare la realtà. Sempre la mia mamma, prima di morire mi ha chiamato lì vicino al letto e mi ha detto: “Eugenio, sai perché siete dieci fratelli? Sai perché io e il papà abbiamo fatto tanti figli? Abbiamo fatto dieci figli perché io e il papà ci vogliamo bene”. Da ragazzino tutti questi fatti non erano oggetto dei nostri discorsi, però siamo cresciuti tutti dentro questo sguardo, questo amore, questo rispetto per le cose di tutti i giorni, della realtà di tutti i giorni: del tempo, del prete, del Natale. Eravamo una famiglia grande che abitava in un quartiere piccolo, in un appartamento piccolo. Ma a Natale una stanza era tutta per il presepe, e ne avevamo solo tre. Dormivamo per terra, ma doveva essere evidente che a Natale Gesù arrivava. Lo spazio era per Gesù, per il presepio, per questa novità assoluta. Bene, ma se è un respiro, un clima, un gusto, perché è così difficile, complicato, drammatico veder crescere dei ragazzini, dei giovani lieti, certi di qualcosa di grande per la vita? Dove sta il problema? Vorrei che stasera capissimo un po’ l’origine di questo tarlo. Se è vero che l’educazione è un gusto così, stasera andate tutti a casa, guardatevi allo specchio e dite: “Ma io, veramente, che cosa guardo?” Non a parole, tanto devi rispondere solo a te stesso e al Padreterno, A chi guardo? Quando mi alzo al mattino, cosa spero davvero per questa giornata? A cosa affido il mio compimento, non quello dei miei figli o di mio marito? Che cosa aspetto da questa giornata? E scopriremo tutti che la situazione è drammatica! Che non aspettiamo più niente. Siamo noi un popolo di adulti che non ci sono più. Certo che ci siamo, per l’amor di Dio, e facciamo tutto per i nostri figli, ci mancherebbe. Madre natura funziona ancora. Ma capite, questo gusto, questa certezza… “Ho passato tutto il giorno guardando come guardavi tu” Dopo aver parlato del padre e della Madre don Eugenio ha cominciato a raccontare la sua esperienza in Kazakistan. Ecco il primo episodio: “Ero con un centinaio di ragazzi, miei studenti, che ho portato in gita al Gran Canyon del Kazakistan: un posto bellissimo, come quello del Colorado, che però nessuno di loro aveva mai visto, perché in quegli anni erano tutti molto poveri, e le città erano chiuse. Ma anche perché la steppa o certi posti lontani, per tradizione, erano abitati dagli spiriti, quindi bisognava stare alla larga. Arrivo lì dopo cinque ore di pullman con questo centinaio di ragazzi, non battezzati, né religiosi. Tre quarti di loro erano musulmani ma sostanzialmente atei, però erano gente, gente con un cuore, liberi e contenti di essere lì con me. Dico a loro: “Siamo qui oggi per una cosa straordinaria: andiamo a vedere un posto di cui i vostri vecchi avevano paura, siamo proprio i primi che così organizzati siamo venuti qui apposta per vedere. Allora è impressionante pensare che questo posto in fondo in fondo c’è per noi. Perché al posto, in sé, che sia bello non gliene importa assolutamente niente, non lo sa. Lo sappiamo noi che siamo qui a guardare”. Allora dicevo loro di vivere la giornata lieti e osservando. Tornando a casa alla sera, a una ragazza che vedevo un po’ pensierosa, chiedo: “Ma non sei contenta?” “No, no”, mi risponde, “è stato bellissimo, però ho visto poco”. “Come hai visto poco? Tutto il giorno avanti e indietro...” “Sì, perché io non so guardare. Allora ho passato tutto il giorno guardando come guardavi tu. Che bello!” segue a pag 6 6 Non è la definizione più bella di che cos’è l’educazione? Di che cosa deve muovere un uomo adulto. Ci sono i figli che guardano a noi così?... Mi pare che tutta la questione educativa si possa racchiudere in questa vicenda. Di fronte a un uomo certo, che la vita la guarda, la osserva, i figli lasciano scattare il miracolo della bocca spalancata di fronte a una cosa grande, a una cosa bella… Detto questo rimangono tutti i problemi. Non è che detto questo di sicuro ti crescerà il figlio bravo. C’è una grande questione: vivere così mette in grado i tuoi figli di giocare veramente la propria libertà. “ “Qual è la differenza tra rispettare la libertà e lasciar fare?” A questo punto gli viene posta la domanda che nel rapporto educativo emerge spesso in modo drammatico. E’ la domanda sulla libertà senza la quale non c’è l’uomo. “Pensa a te. Tu cosa desideri? Non c’è un limite: io voglio essere libero. Io ho trovato gente che non mi ha mai detto: “C’è la libertà fino a lì”. La libertà non è un dosaggio, una candeggina da dosare più o meno per ottenere dei jeans più o meno chiari. La libertà è la libertà. Erano in 5000 quel giorno, tutti affascinati da quell’uomo lì, che quel giorno ne aveva fatta una proprio bella: aveva moltiplicato i pani e i pesci. E Gesù aveva cominciato a spiegare questa questione della libertà o la questione di un rapporto, di un affetto. E gli ha proposto: “Se voi volete diventare uomini, dovete restare con me, dovete mangiare me”. Infatti se ne vanno via tutti. Rimangono in dodici, tutti con la testa bassa, perché non erano più intelligenti degli altri e non avevano capito niente neanche loro, probabilmente vergognosi, dispiaciuti per Gesù. E Gesù gli dice: “Volete andarvene anche voi?” “Maestro, lontano da te, che vita faccio?” Noi dobbiamo amare la libertà fino a questo punto. Amarla perché possa essere libera, non perché questo ci fa stare tranquilli. Qualche esempio. Quando i figli a 14/15 anni si fanno la morosa, siete contenti, anzi li invitate in casa, addirittura, sto scoprendo, li invitate in ferie. “Ma è una brava ragazza… conosco la famiglia”. A 15 anni se uno passa la vita con la morosa è deficiente, perché Aquilone L’ marzo 2008 dalla prima pagina Una realtà educativa sul territorio Il preside intervistato da Voce Proponiamo ai lettori del nostro giornale un’intervista pubblicata su “Voce Amica” di dicembre 2007, nella sezione dedicata alla Città. Aquilone L’ dalla prima pagina marzo 2008 e Amica “L’Aurora-Bachelet” nella persona del suo dirigente scolastico Prof. Rosario Mazzeo ha presentato la sua proposta educativa rispondendo alle domande della redazione. 7 a 15 anni ci sono il mondo, gli amici, strutturalmente c’è molto di più che una morosa o un moroso. Invece se piace a voi siete contenti. Anche rispetto a questo esempio, noi dobbiamo mettere in moto il figlio in modo tale che ami e gusti così tanto la vita che sarà in grado di fare innamorare. Più tuo figlio è un bel tipo... Le mezze calzette fanno innamorare le mezze calzette! Tu devi giocare con il figlio per arrivare lì. È tutto un gioco di libertà, un rischio di tutti i giorni. Perché quello che hai deciso oggi non va bene domani, quello che hai fatto per il primo non va bene per il secondo. Devi metterti in gioco tu. Devi amare la sua libertà a tal punto che rischi anche tu la tua libertà. Con una caratteristica: che tanto sbagliamo tutti. Tutti, sempre. Oh allora se sbagliamo tutti sempre… Ma dove sta il problema? Ad esempio, la scelta dopo la terza media. L’orientamento! Certo, noi insegnanti dobbiamo dare per legge un’indicazione: guarda, ci sembra che tuo figlio sia più portato per questo. Noi dobbiamo giocare tutto su questa questione: non so cosa sarà bene o cosa male, ma so che senza il gusto della libertà non sarà mai un uomo grande. Questo lo devo amare e dopo rischia. Sbagli? E allora? Hai sbagliato scuola? La cambi. E’ così difficile? Che ne so cos’è meglio! Non lo sai neanche tu! Sta’ tranquilla, sta’ libera. Però guarda che quello che decidiamo di fare, non può essere l’esito del nostro stato d’animo o di un progetto che abbiamo sul figlio, sulla realtà, sulle cose, perché questo è drammatico, anche se lo lasci libero. Perché tuo figlio respira questo progetto. Ve l’assicuro: se scavi in chi fa più fatica dentro la scuola, cosa trovi? Dei genitori che hanno delle pretese. Ma non dei genitori che gli dicono: “Guarda che devi”; lo respira. Hanno un’attesa: l’essere amico, piuttosto che essere cristiano, piuttosto che essere bravo. E’ una pretesa. E questo diventa soffocante! I più vivi non lo sopportano. Quindi tranquilla: verifica tutte le volte. Ho fatto così: è giusto? Sta muovendo la libertà di mio figlio, sta diventando un uomo più libero lui? E’ questa la verifica che devi fare. Non riesci da solo? Chiedi! Ti assicuro che da questo punto di vista non esistono regole se non l’amore tuo alla libertà e alla verità. ■ Aquilone L’ 8 marzo 2008 le classi raccontano | la scuola media le classi raccontano la scuola media Dal fantastico mondo di Tolkien A Ricetto di Candelo, città medioevale Il Signore degli Anelli Un’alunna di seconda media comunica il suo entusiasmo per l’autore con la recensione di questo famoso libro. Martina Sardelli, classe II B ▬ “Il Signore degli Anelli”, romanzo scritto da J.R.Tolkien, è suddiviso in tre parti: “La Compagnia dell’Anello”, “Le due Torri” e “Il Ritorno del Re”. È un racconto che si può definire epico e, soprattutto, verosimile perché, attraverso i suoi personaggi e le loro avventure, ambientate in un mondo fantastico simile al Medioevo, trasmette un significato che vale anche per noi. La storia inizia descrivendo gli hobbit, piccoli e allegri esseri che vivono sotto le colline. Uno di loro, Frodo Baggins, per una serie di circostanze, si ritrova fra le mani l’Unico Anello, l’Anello dominante forgiato da Sauron, il signore della Terra Nera. Così Frodo, aiutato anche dal misterioso stregone Gandalf, capisce che è suo compito e destino distruggere l’Anello nelle fauci infuocate del Monte Fato che si trova a Mordor. Tuttavia non parte da solo per questa avventura, ma viene accompagnato da una compagnia, che rappresenta tutti i popoli liberi della Terra di Mezzo, composta da Gandalf (la guida), quattro hobbit, due Gita didattica in famiglia Studiare non è cosa solo di scuola. L’esperienza di un’alunna che ha messo in pratica i consigli della Prof. per soddisfare il desiderio di capire e conoscere. Camilla Elia, classe II C uomini di Gondor (tra cui Aragorn), un elfo e un nano. A causa di una spiacevole disavventura, questa compagnia si divide e solo Frodo e il suo fedele servitore Sam partono per distruggere l’Anello, mentre gli altri partecipano alle due guerre più importanti della Terra di Mezzo. Il romanzo affronta diversi temi. Accenno a tre che considero veramente importanti. Il primo è la varietà del male, di cui l’autore rappresenta tre tipi: il male evidente e manifesto, incarnato da Sauron; quello traditore di Saruman che, sia per follia sia per i suoi biechi scopi, tradisce il Bene e successivamente anche il Male a cui aveva prestato servizio; e infine il male infido che corrompe Gollum, il quale compie malvagità solo per i suoi interessi e non sta dalla parte di nessuno. L’essere consumato dall’Anello rappresenta l’uomo corrotto e logorato dal peccato. In tutti e tre i casi è avvenuta una scelta, altro argomento che risalta molto nel libro. Ognuno di noi è libero di scegliere e di stare dalla parte di chi vuole, portando però il conseguente peso delle proprie scelte. Nel romanzo, a questo proposito, è chiaro il riferimento a Boromir che all’inizio si fa corrompere dal male ma poi, pentito, non esita a dare la sua vita per stare con il bene. Un altro tema fondamentale è l’amicizia e la fedeltà che sorge e unisce ciascun membro della compagnia. Ad esempio l’amicizia che nasce tra l’elfo e il nano, due razze che sin dall’antichità portano dei rancori, o la fedeltà di Sam verso il suo padrone Frodo che lo spinge a compiere coraggiose gesta salvandogli più volte la vita e mettendo a rischio la sua. Per questo motivo Sam è il mio personaggio preferito. “Il signore degli anelli” mi è molto piaciuto per la bravura di Tolkien nello scrivere che dà una vivida immagine di quello che sta raccontando, e fa immedesimare e gustare ogni minima parte della storia dei suoi personaggi. ■ ▬ La mia insegnante di Tecnologia ci dice sempre che la scuola dovrebbe essere imparare e poi vedere ciò che si è imparato. Per la festività di Ognissanti io e la mia famiglia siamo andati a Biella e, siccome stavo studiando il Medioevo, abbiamo visitato Ricetto di Candelo, una città medioevale che si trova lì vicino. Il termine Ricetto, dal latino “receptum” (ricovero, rifugio), indica un luogo difeso, circondato da fortificazioni. Il Ricetto di Candelo, infatti, è una struttura fortificata nata per iniziativa della popolazione, allo scopo di conservare e difendere i beni più preziosi della comunità: prodotti della terra, soprattutto vino e granaglie. Esattamente non si conosce la sua data di costruzione, ma sembra che risalga ad un periodo compreso tra la fine del XIII secolo e la prima metà del XIV secolo. Il ricetto, a pianta pentagonale, ha un perimetro di circa 467 m. e una superficie di 13.000 mq. Appena entrata attraverso l’unica grande torre-porta ho riconosciuto le torri, le mura con le merlature, le case attaccate l’una all’altra, le viuzze strette e fatte di sassi. Tutto mi appariva familiare. Varcata la torre-porta, mi sono trovata in una piazzetta pavimentata con le pietre tondeggianti del vicino torrente. Sulla destra, l’edificio più imponente che sovrastava tutti gli altri era la “casa del principe”, l’abitazione che Sebastiano Ferrero si fece costruire dopo aver ottenuto dal duca Filippo II Senza terra, nel 1496, l’investitura feudale. Le case erano costituite da locali unici sovrapposti, non comunicanti tra loro: erano le cellule del Ricetto. Il locale al piano superiore (solarium) veniva utilizzato per la conservazione delle granaglie. La cinta muraria seguiva tutto il perimetro del complesso e agli angoli c’erano le torri rotonde tutte aperte verso l’interno per agevolare l’opera dei difensori. La più antica torre era quella più alta, chiusa e modificata alla fine del XVI secolo per essere adattata a prigione. Avevo capito cosa intendeva dire la mia insegnante. Infatti, abbiamo dedicato molte lezioni alla civiltà italiana medioevale e io, in gita, ho ritrovato nella mia esperienza le conoscenze e le immagini che conservavo nella mente. Molto spesso andiamo in giro e non vediamo le cose; dovremmo, invece, sempre prestare molta attenzione a ciò che vediamo perché non si impara solo a scuola, e ciò che si vede rimane dentro di noi molto più a lungo se lo capiamo. Riconoscere tutto questo è stato possibile grazie al lavoro che ho fatto in classe, dove abbiamo studiato la struttura delle città. ■ Aquilone L’ le classi raccontano | la scuola media 9 marzo 2008 Attualità 27 gennaio, giorno della Memoria Il 27 gennaio si celebra, ormai da anni, il giorno della Memoria. In esso si ricorda, cioè si vuol fare memoria, la grave tragedia vissuta dal popolo ebreo durante la Seconda Guerra Mondiale. In quel periodo ad opera dei nazisti e dei loro alleati furono sterminati ben 6 milioni di ebrei. Bisogna ricordare che nel mondo, purtroppo, si sono verificate altre tragedie simili: lo sterminio degli Armeni, la repressione di Stalin e dei suoi successori ai danni dei presunti oppositori dei loro regimi. In nome di un’ideologia che porta l’uomo a essere giudice di un altro uomo, un popolo a sentirsi padrone di un altro popolo si spargono frutti di odio e di violenza. Significative sono le parole dello storico Huizinga (citando Goya): “Il sonno della ragione genera mostri”. Gli alunni delle classi terze hanno celebrato questa giornata con due momenti significativi: la partecipazione allo spettacolo teatrale presso l’Agorà di Cernusco e l’incontro con la Prof.ssa L. Beltrami docente di Lingua Italiana in Kazakistan. “Affittasi monolocale in zona ghetto” Michela Gariboldi, classe III C ▬ Lo spettacolo è stato realizzato per ricordare la condizione degli Ebrei che furono sempre discriminati e costretti, sin dal 70 d. C., a disperdersi, lontano dalla propria terra (diaspora). In particolare la storia è ambientata a Venezia nel lontano XVI secolo durante il periodo dell’ Inquisizione spagnola. In Spagna gli Ebrei venivano definiti “marrani”, cioè “maiali”. Questo per far capire quanto fossero disprezzati. Nei loro confronti c’è sempre stato un pregiudizio, basato su idee non corrispondenti a verità. Ad esempio venivano accusati di usura, poiché prestavano denaro, spesso anche a potenti, venivano guardati con sospetto poiché tutti sapevano leggere e scrivere ed erano dei validi medici. Dunque sono sempre stati considerati una razza inferiore, perché avevano valori e tradizioni diversi da qualsiasi altro popolo. La più grande strage degli Ebrei è avvenuta con Adolf Hitler, nella Seconda Guerra Mondiale, durante la quale ne vennero sterminati circa sei milioni. Questo fenomeno viene chiamato genocidio, cioè sterminio di una razza. Non solo gli Ebrei furono soggetti a queste persecuzioni, ma anche i neri, gli zingari, i malati di mente e gli handicappati, perché non portavano un contributo positivo all’umanità. La rappresentazione è stata originale, infatti i vari personaggi erano interpretati da un unico attore che, secondo le regole della Commedia dell’Arte, si esprimeva utilizzando vari dialetti e vari modi espressivi. Se da una parte i fatti riguardanti gli Ebrei sono stati esposti con attendibilità, dall’altra non è sembrato corretto mostrare della Chiesa e del Papa solo alcuni aspetti ridicoli o scandalistici. La scenografia, anche se costituita semplicemente da cinque parallelepipedi, che raffiguravano le case del ghetto veneziano, ha reso perfettamente l’idea di come gli Ebrei vivevano ed erano emarginati dalla vita comune, rinchiusi nei ghetti, circondati da un muro, per impedire loro di uscire. Molte colpe vennero date loro senza motivo e vennero sfruttati molte volte, obbligandoli a lavorare nei campi di sterminio o confiscando loro ogni sorta di beni che si erano procurati lavorando nelle loro piccole botteghe. tersi di sapere cosa sia giusto e cosa no, quali siano i desideri legittimi e quali, invece, debbano essere sradicati. A partire da questo momento, dunque, inizia una lotta, prima sotterranea, poi, dopo la caduta del regime, sempre più aperta, per ritrovare e affermare l’identità nazionale, per non essere una massa indistinta, gente senza nome. più ardite e moderne sperimentazioni architettoniche, i Paesi occidentali sono spesso partner importanti economicamente (il Kazakistan è ricco di uranio, petrolio e carbone), la gente ricca sfida il degrado viario (tutte le vie assomigliano a tracciati di percorsi rallistici) sfrecciando su potenti SUV, mentre ancora molti sono i poveri e i disoccupati, e incombono gravi problemi sociali (alcolismo, inesistenza della famiglia, instabilità del lavoro). Ma l’uomo è sempre quell’inestinguibile desiderio di felicità e pienezza, in ogni circostanza, ad ogni latitudine. Arriva l’ultima domanda: è felice, professoressa, in una terra così diversa dall’Italia, lontano dalla famiglia, dagli amici? La risposta è certa, raggiante, tanto da sembrare una sfida: se fai quello che ami, e stai con le persone a cui vuoi bene - nuovi amici, eppure così familiari - le vita è bella, piena di speranza. ■ La visione di questo spettacolo ha aiutato a comprendere meglio ciò che ingiustamente è accaduto e a riflettere su noi stessi e sull’uomo in generale che, quando perde la ragione, diventa un mostro. ■ Il cammino di un popolo A.Z. ▬ Fare scuola vuol dire essere aperti all’imprevisto, perché ogni giorno può accadere di scoprire qualcosa di nuovo... o di incontrare persone eccezionali, sentendole amiche e vicine come se le conoscessi da sempre. E’ accaduto a noi professori e ai ragazzi delle classi terze incontrando la prof.ssa Lucia Beltrami, docente che ha insegnato alla Bachelet e che, da sette anni, vive e lavora ad Almathy, in Kazakistan. La professoressa ha voluto tenere una diversa lezione in ogni classe, partendo di volta in volta dalle domande poste dai ragazzi. In III B la sfida si annuncia interessante, perché Marco vuole sapere, subito, per quale motivo si possa fare una scelta così strana, quasi scomoda, quando, in fondo, si ha già tutto. E la professoressa non si sottrae alla sfida e non tiene per sé alcun particolare: dichiara che la decisione di partire è nata dall’invito di alcuni amici e che, a distanza di anni, è contenta di essere lì per la possibilità di dire ad ogni persona che incontra che c’è una speranza per ognuno, anche quando la realtà è dura, faticosa. Dopo queste parole si instaura un interessante dialogo, sostenuto dalla curiosità dei ragazzi e dall’innegabile fascino della storia che, fatto dopo fatto, la docente racconta trasportandoci tutti in mezzo a questa terra in cui la luna piena sembra davvero più grande, sospesa sulla steppa che si estende come un mare di silenzio sotto di lei. Ogni particolare, di quest’insolita lezione, dell’incontro con questa donna cordiale e decisa, è interessante, degno di nota e di memoria: dagli aspetti geografici (il Kazakistan è un territorio talmente ampio che racchiude in sé tutti gli estremi della geogra- fia) al nome stesso, pronunciato correttamente e spiegato nella sua etimologia, dalla storia alla popolazione originariamente nomade, gente che ha nel sangue il vivere senza costrizioni, come il vento che spazza i grandi deserti centrali o ghiaccia le zone più a nord. Proprio intrecciando questi ultimi dati, non è possibile tacere gli anni in cui il Paese è stato inglobato dalla Repubblica Sovietica, al servizio dei piani quinquennali e del grande popolo russo. È la dittatura comunista, che costringe migliaia di kazaki ad una sedentarizzazione forzata e a una vita di contadini, dato che, già da Lenin, il Kazakistan era stato destinato ad essere il granaio di tutta la Russia. Gli anni del regime sono anni di violenza e deportazione, nascoste dietro l’apparenza di un benessere alla portata di tutti, di una sicurezza e della felicità garantita dallo Stato, che proprio per questo può permet- Dal 1991, data in cui è stato eletto il Presidente della repubblica kazaka, è iniziata un’epoca nuova, e il Paese, come un adolescente che si butti per la prima volta nelle sfide della vita, non nasconde le sue contraddizioni, ma pulsa pieno di desideri, di speranze e di bisogni. Vivendo, dunque, in Kazakistan all’alba del terzo millennio non si può non rimanere colpiti dai segni di questo nuovo cammino e dalle antica vestigia del grande gigante comunista: in città palazzoni sovietici si ergono di fianco alle Aquilone L’ 10 le classi raccontano | la scuola media marzo 2008 Attualità Alunni della III C ▬ Con il Prof. Tornaghi abbiamo colto un aspetto molto interessante: quando si sentono opinioni contrastanti su un fatto o su una persona, il modo più corretto per affrontare le questioni è andare alle fonti; in questo caso cercare scritti della persona di cui si parla. Infatti ci sono stati letti alcuni documenti, in parte parafrasati perché scritti in italiano antico, per capire le difficoltà degli uomini di quell’epoca di trovare le ragioni di una teoria rivoluzionaria (la teoria copernicana) che sembrava contraddire l’esperienza quotidiana di tutti: la Terra non sembra girare e vediamo il movimento del Sole. Sapevamo che Galileo Galilei aveva sostenuto la teoria copernicana, ora abbiamo capito alcune delle sue ragioni. La prima: attraverso l’utilizzo del telescopio, che lui puntò per primo verso il cielo, ha scoperto le Lune di Giove e questo gli ha permesso di affermare che non tutti i corpi celesti girano intorno alla Terra. La seconda: i risultati di un esperimento sottocoperta di una nave, che descrive nel “Dialogo sui Massimi Sistemi”, per spiegare come mai la terra non sembra girare. Galileo Galilei non ha dimostrato che la Terra si muove, ma che non c’è contraddizione tra i fatti dell’esperienza quotidiana e la teoria del movimento della Terra intorno al Sole. La vera dimostrazione che la Terra giri intorno al Sole è stata trovata nel 1838, molto tempo dopo la morte di Galileo, quando F. Bessel calcolò la parallasse annua di una stella. Per capire la posizione della Chiesa nei confronti della nota vicenda può essere utile leggere la lettera in cui il Card. Rober- A proposito di Galileo Dopo l’incontro con il prof. F. Tornaghi gli alunni raccontano ciò che hanno imparato di nuovo su questo grande scienziato. to Bellarmino nel 1615 invita il Sig. Galileo Galilei a parlare della teoria di Copernico ex suppositione fino a quando non ne troverà la dimostrazione e aggiunge: “Dico che quando ci fusse vera demonstratione che il sole stia nel centro del mondo e la terra nel terzo cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole, allhora bisogneria andar con molta considerazione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che non l’intendiamo, che dire, sia falso quello che si dimostra… et in caso di dubbio non si dee lasciare la Scrittura Santa, esposta da’ Santi Padri…” Galileo dunque fu inquisito per aver dato per certo ciò che in realtà non era stato ancora dimostrato. Il prof. Tornaghi ha raccontato gli ultimi momenti della vita dello scienziato. “A settant’anni arriva a Roma (13 febbraio 1633) e alloggia presso l’ambasciata e si costituisce al Sant’Uffizio (11 aprile) e al contrario delle usanze non viene imprigionato, ma alloggia nell’appartamento del Divertirsi con le parole e con le lingue Laboratorio di giochi linguistici Il venerdì pomeriggio per un paio di settimane un gruppo di quattro studenti di prima e di seconda (Maria, Alessandro, Marta, Maddalena) si fermano a scuola per imparare le lingue giocando con le loro prof. M. F. ▬ Tutto è iniziato con una breve introduzione sul significato e sulla storia degli enigmi, con le caratteristiche generali e le regole comuni. In seguito gli alunni hanno provato a risolvere giochi di parole e indovinelli. In breve tempo si è passati dal giocare al “costruire”: con le conoscenze linguistiche acquisite a scuola nelle tre lingue (italiano, inglese e spagnolo) e con qualche [ Esperimento proposto da Galilei. Fiscale, sito nello stesso edificio dell’Inquisizione e il 22 giugno del 1633 viene giudicato colpevole di aver ignorato l’ammonimento del Cardinal Bellarmino: la condanna prevede l’abiura e prevede come pena di recitare per tre anni una volta alla settimana i sette salmi penitenziali. In realtà già il 3 ottobre la figlia Suor Maria Celeste comunica di assumersi l’onere della recita di questi salmi “per levare a Vostra Signoria questo pensiero”. A dicembre dello stesso anno è nella sua villa “il gioiello” ad Arcetri, nella periferia di Firenze, dove riprenderà la sua attività scientifica e scriverà la sua opera fondamentale “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze”. Dopo la sua morte vengono fatte molte scoperte e nel 1822 viene autorizzato l’insegnamento del sistema copernicano nelle università cattoliche. Nel 1992 Giovanni Paolo II parla del caso di Galileo come di “una tragica reciproca incomprensione” che, anche in forza dei recenti studi “appartiene ormai al passato” e rilancia il tema dei rapporti scienza e fede, con la consapevolezza che la scienza si trova ad affrontare temi sempre più complessi in ogni disciplina. Il caso Galileo Galilei è stato rimesso in discussione per l’ennesima riduttiva interpretazione di ciò che ha detto Papa Benedetto XVI, da parte di alcuni docenti dell’Università “La Sapienza” a Roma. Di ciò hanno parlato soprattutto gli alunni delle classi terze in seguito alla lettura di testi e all’incontro con il Prof. Tornaghi. ■ chiarimento in più, hanno potuto loro stessi creare rompicapi. Hanno iniziato subito con gli anagrammi nei tre idiomi e così poi hanno creato una successione di parole legate tra loro con i criteri del gioco del “bersaglio” della “Settimana Enigmistica”. Ecco alcuni esempi di anagrammi: in inglese sulle parti del corpo: are-ear keen-knee sink-skin … o in spagnolo con i nomi di persona: Armonia-Mariano Matar-Marta Nada-Adán Questo è solo un piccolo assaggio di tutto quello che è emerso in questo laboratorio. Il divertimento è assicurato e tutto quello che si fa è semplicemente capovolgere, smontare, rimontare, modificare, aggiungere, togliere e, in alcuni casi, inventare parole. È una bella sfida di ingegno perché tutti si mettono in gioco manifestando abilità logiche e approfondendo le conoscenze lessicali. ■ Aquilone L’ le classi raccontano | la scuola media 11 marzo 2008 Scienza Fisica: che spettacolo! In seconda media solitamente alla Bachelet si propone la conoscenza di alcuni aspetti della realtà che ci circonda attraverso lo studio della fisica, materia che molti di loro studieranno in modo sistematico ed approfondito nelle scuole superiori. “ Quest’anno abbiamo cercato di capire innanzitutto di cosa si occupa la fisica – spiega la prof. Cristina Ferrarini - e già questo non è stato semplice; infatti la fisica si occupa di quei fenomeni, e soltanto di quelli, che possono essere studiati, tramite delle grandezze fisiche, cioè grandezze che caratterizzano quel fenomeno e che siamo in grado di misurare.” Subito dopo l’uscita didattica all’Arsenale militare di La Spezia, avvenuta nelle prime settimane di scuola – aggiunge la prof. Ester Leonardi - era scaturita in alcuni studenti la domanda: ”Come mai alcuni oggetti galleggiano ed altri no?”. Da qui è nato un interesse a conoscere più da vicino alcuni fenomeni. Partendo poi da varie esperienze, per esempio osservando come funzionano alcuni giochini reperibili nelle uova di cioccolato, si sono introdotte alcune grandezze fisiche fondamentali e si sono riconosciute alcune relazioni tra di esse”. abbiamo assistito ad uno spettacolo: “Facciamo luce sulla materia”prodotto dal Teatro del “Abbiamo anche proposto nei mesi scorsi la storia della vita di alcuni scienziati: Archimede e Galileo. – riprende la prof. Ferrarini - In particolare abbiamo approfondito la conoscenza di Galileo attraverso le spiegazioni del prof. Franco Tornaghi, coautore del libro “Galileo Galilei mito e realtà”, che ha illustrato alcuni esperimenti progettati dallo scienziato. Infine Divertirsi con i numeri Visita all’Osservatorio Astronomico Guardiamo cosa c’è fuori dal Pianeta Terra Una sera, dopo aver cenato, la III C con la prof. Ferrarini si è recata all’Osservatorio astronomico di Cernusco. Francesco Tullii classe III C ▬ Un astrofilo (appassionato d’astronomia) ha proiettato una presentazione in Power Point su tutti i pianeti e i pianeti nani (in base alle definizioni dell’ agosto 2006 dell’International Astronomical Union) del Sistema Solare, da Mercurio ad Eris. Oltre a mostrare e spiegare tutte le caratteristiche principali, ha illustrato anche molte curiosità sui pianeti, sui loro satelliti, sulla loro orbita e molto altro. Ha raccontato delle sonde che sono state lanciate nello spazio, e delle spedizioni (non umane) su Marte. Inoltre ha fatto vedere molte foto scattate dalla Nasa o da Hubble, in cui si vedevano, nitidi, i pianeti e altri oggetti. “Poi siamo saliti nella cupola dell’osservatorio contenente un telescopio - racconta uno dei partecipanti -. La cupola, che aveva una parte scoperta per vedere, si poteva ruotare per puntare il telescopio sull’oggetto desiderato. Per fortuna il cielo era limpido e si potevano vedere bene le stelle. Attraverso il telescopio abbiamo visto Saturno con i suoi anelli, molto piccolo nel telescopio, e una sua luna Titano, di cui si vedeva solo un puntino bianco; e dopo anche la Luna, e si potevano vedere molto bene i crateri e le distese pianeggianti: i “mari”. Così abbiamo dato inizio al lavoro d’astronomia in scienze”. Un’ultima curiosità: forse non tutti sanno che dal 2006 in base alla nuova definizione di pianeta dell’International Astronomical Union, in cui si dice che “un pianeta è un corpo che orbita intorno ad una stella, sufficientemente grande da avere forma sferica e che ha allontanato altri oggetti dalla zona circostante alla sua orbita”, nel nostro sistema solare i pianeti sono otto, infatti Plutone (scoperto nel 1930) è stato declassato e viene chiamato pianeta nano insieme a Cerere ed Eris. ■ Sole di Milano in collaborazione con il Dipartimento di Fisica dell’Università degli studi di Milano. Sudoku Il Club dei matematici, nato quest’anno alla Bachelet, propone un passatempo per tutti. sperimentato il Sudoku come passatempo di massa è stata - ed era forse inevitabile - il Giappone, dove il puzzle numerico ha debuttato nel 1984. Oggi a Tokyo circolano diverse riviste interamente dedicate al Sudoku, particolarmente apprezzato dai giapponesi come alternativa alle parole incrociate, di fatto impossibili con la scrittura a ideogrammi. Le dimensioni dello schema possono variare: la versione classica prevede una griglia di 9x9, ma si possono avere anche griglie da 4x4 a 16x16. Per risolvere un Sudoku occorre di norma un tempo che varia tra i dieci e i trenta minuti. Ma per un rompicapo del livello «diabolico» i tempi si possono anche dilatare notevolmente. Ora prova a giocare (la soluzione al prossimo Aquilone). ■ Alunni II e III ▬ Il Sudoku è un gioco sviluppato in Giappone, ma le vere origini risalgono al XVII secolo e all’intuizione del matematico svizzero Eulero. Consiste nell’allineare i numeri dall’1 al 9 nelle caselle di uno speciale diagramma a riquadri, avendo cura di evitare che lo stesso numero si ripeta nella stessa riga, nella stessa colonna e nello stesso riquadro. Secondo gli esperti è anche un ottimo metodo di allenamento per il cervello. Uno studio del Rush Alzheimer’s Disease Centre di Chicago, ad esempio, ha dimostrato che giocare con costanza a Sudoku può ridurre fino al 33% il rischio di Alzheimer. La nazione che per prima ha 5 3 4 8 9 1 7 2 3 1 9 6 4 5 8 2 6 7 4 8 9 2 3 6 5 3 7 9 1 7 Aquilone L’ 12 I Cercatori d’Oro Poesia e scienza A proposito dei fatti della “Sapienza” Facciamo luce sulla materia - “I Cercatori d’oro” è una esperienza di aggregazione libera, guidata da alcuni docenti, che da molti anni è presente a scuola. Sono suddivisi in più gruppi ognuno dei quali si ispira ad un Santo del quale assume il nome. Ha come momento fisso di ritrovo il giovedì pomeriggio, quando i ragazzi che ne fanno parte, si fermano a scuola. Insieme mangiano, giocano, fanno i compiti e si aiutano a giudicare tutta la vita e le cose che accadono a partire dall’esperienza cristiana. Quando è accaduto il fatto de “La Sapienza” uno dei gruppi, dopo aver cercato di capire a fondo cosa era successo, ha deciso di scrivere un volantino, firmarlo con il proprio nome, distribuirlo nelle classi, invitando tutti ad una riflessione. Riportiamo il volantino. ■ le classi raccontano | la scuola media marzo 2008 D i gennaio il diciotto siamo andati, tutti e ventotto con lo zaino e con la penna in mano, al Teatro del Sole di Milano. All’ inizio si sono presentati i tre attori, nelle vesti di veri professori. In ritardo, uno dei tre è arrivato, ma al suo arrivo le formule tutti e tre ci han presentato. Della materia e dei suoi aspetti ci hanno raccontato, con divertenti giocosi esperimenti ce ne hanno parlato; e così noi attenti e zitti con occhio incredulo abbiamo osservato. Il primo esperimento i palloncini aveva considerato: la materia ha cambiato il suo stato, da liquida prima a solida si è trasformata poi da solida a liquida è ritornata da liquida a gassosa è evaporata… ma che grande trovata! Questi esperimenti han voluto mostrare perché ad una conclusione ci volevano portare. Abbiamo notato, che non di tutti si può sapere il proprio stato: sillyputty e budino, con quest’ ultimo i tre professori si sono riempiti il pancino. Una cosa pericolosa poi desideravano provare: con l’azoto liquido i cambiamenti di stato volevano tentare. Che grandi geni, ce l’ hanno fatta, e io sono rimasta stupefatta! Ecco il tentativo di una descrizione in versi dello spettacolo a cui hanno assistito gli alunni di seconda media. Maddalena Boscolo classe II Avanti con gli esperimenti, gli scienziati che grandi portenti! Tiran fuori un laser rosso che ti può trafiggere un osso sul muro l’han puntato, ed il talco sopra gli han spruzzato. Abbiamo capito che della luce il raggio si può guardare, basta il fascio bianco osservare… Da cosa è fatta la luce bianca ?!? Con un prisma fantastico, ci han fatto vedere i colori come se fossero dei fiori La luce bianca era formata dal verde, rosso e blu, ora lo puoi vedere anche tu! Un altro esperimento molto divertente, veniva fatto con un metodo efficiente: un pezzo di ghiaccio dentro un acquario, è stato un esperimento straordinario. Vedere il suo scioglimento grazie ad un cambiamento, cosa direste voi? La densità tra l’acqua e l’ aria “ha mandato tutto all’ aria”… Noi vogliamo davvero sapere, se quell’acqua ora si può bere. Proiettando un raggio laser nell’ acqua vederlo sembra riflesso ecco di nuovo una scoperta straordinaria: la rifrazione, che visione! Il termine fa paura ma è solo un’ impressione, perché tutti siamo coinvolti con una grande attenzione: infilato un laser nel tubo di plastica sembra che si divida per una strana tattica. Preparatevi perché questo esperimento, ha portato in sala un gran turbamento parla degli occhi di un serpente che vedono più di noi sicuramente. Alla fine le lenti della polarizzazione fanno un gran successone, le giri da una parte e non vedi niente, le giri dall’altra parte e vedi finemente. Per finire non posso tralasciare l’ emozione di volare; fra le gambe metti degli specchi e ti sembrerà di volare sui tetti! Che bella esperienza, è proprio entusiasmante tutta la scienza! ■ Aquilone L’ le classi raccontano | la scuola media 13 marzo 2008 Lezioni di educazione stradale Un comune vigile urbano Alunni classe III C ▬ Lo sapevate che in qualunque momento di un viaggio (sia a piedi che a bordo di un veicolo) – si chiede Riccardo Negrelli - dovete dare la precedenza a destra? Beh io no! E la cosa mi ha stupito molto. Quindi la regola non è che il più forte o quello che strombazza di più ha la precedenza bensì quello che si trova alla vostra destra. O così almeno c’è scritto sul codice stradale. La bicicletta, per esempio, è un veicolo e come tale deve andare sulla strada (non sul marcia-piede= luogo destinato ai pedoni) ed essendo, appunto, un veicolo deve seguire ogni regola scritta sul codice. Se non lo fa è a suo rischio e pericolo andare in giro. Non tanto perché rischia una multa ma perché può danneggiare gli altri.” “ Subito dalla prima lezione ci ha colpito – spiega Giovanni Tornaghi - come il vigile facesse vedere o meglio, spiegasse tramite delle immagini, alcuni concetti. Questa modalità ha aiutato tutti a capire meglio gli argomenti e a ribadire l’importanza che hanno le immagini in un ambito come l’educazione stradale (ad esempio nella segnaletica orizzontale e verticale).” Altro aspetto che ha stupito tutti è il fatto che il vigile era chiaro, semplice e completo nella sua spiegazione, non tralasciava i piccoli particolari e soprattutto si basava (e insegnava a prendere decisioni) sul Codice stradale rispettando ogni sua riga. “E’ stato molto interessante questo lavoro per me – aggiunge Giovanni - e mi è sembrato un breve prologo degli aspetti che ci toccherà studiare per fare la patente. Per alcuni questo lavoro sarà risultato noioso, comunque si è rivelato (e si rivelerà) molto utile.“ Dopo l’ultima lezione alcuni alunni hanno posto domande al Sig. Marco Bianchi riguardo alla sua esperienza personale di vigile o altre riguardanti aspetti del Codice Stradale Quando ha capito che voleva fare il Vigile Urbano e che cosa l’ha spinta a fare questo mestiere? Il comune vigile urbano, ora “Con la scusa del “patentino” per la bicicletta abbiamo imparato alcune tra le regole del codice della strada. Soprattutto abbiamo capito che in strada occorre: 1) buon senso 2) rispetto per gli altri 3) conoscenza del codice stradale.” L’intervista al Vigile Sig. Bianchi, docente del corso alla Bachelet. denominato agente di polizia locale, è un lavoro che ho intrapreso all’età di 27 anni in parte per necessità e in parte perché, dopo aver fatto il servizio militare come Carabiniere, che per molti aspetti può essere considerato affine al vigile, mi sono reso conto che questo mestiere mi piaceva e poteva essere adatto a me. Così dopo aver assolto al servizio militare ed essermi laureato, ho svolto quanto necessario per intraprendere questa carriera. Qual è il percorso che si fa per diventare Vigile Urbano? E’ difficile la carriera di Vigile? A differenza dei lavori svolti per ditte private, il lavoro nell’ente pubblico prevede una selezione basata su un concorso a cui si può partecipare se si è in possesso dei requisiti richiesti (ad es. diploma di scuola secondaria di 2° grado, cittadinanza italiana, conoscenza di una lingua straniera…). Nel mio caso si è trattato di un Corso – Concorso organizzato da tre Comuni per l’assunzione di sei agenti di polizia locale, ovvero superato un test di preselezione con domande di cultura generale, la selezione è stata svolta alla fine di un corso propedeutico. La durata di quest’ultimo è stata di circa tre mesi durante i quali sono stati affrontati, nelle lezioni quotidiane, gli argomenti relativi a questo lavoro (ad es.: Codice Penale, Codice della Strada, Edilizia, Ecologia, Commercio,…). Quindi alla fine del corso è stato effettuato un esame consistente in una prova scritta ed una prova orale e con le valutazioni ottenute è stata determinata una graduatoria da cui i Comuni hanno attinto per assumere gli agenti nel Corpo di Polizia Locale. Il concorso da me superato mi ha conferito la qualifica di agente, ma nel Corpo oltre a questo “grado” c’è anche quello di ufficiale che gestisce i servizi e coordina il personale. A loro volta gli ufficiali sono coordinati dal Comandante che è la figura apicale del Comando. L’anzianità di servizio non è un elemento determinante per poter aumentare di grado, ciò è possibile sempre attraverso concorsi. Il suo lavoro è motivato solo da un senso civico? Il senso civico dovrebbe motivare tutti coloro che appartengono ad una società quale la nostra; certo per un “Vigile” è una componente importante che lo spinge ad effettuare con professionalità il proprio lavoro. Personalmente potrei aggiungere che un’altra motivazione è data dal possedere un forte senso di giustizia e di rispetto delle regole. Quali episodi di trasgressione del Codice stradale l’hanno maggiormente colpita nella sua esperienza di Vigile? L’immaginazione certo porta subito a pensare ad episodi di trasgressione gravi a tal punto da provocare feriti o addirittura morti sulla strada, purtroppo posso dire di aver rilevato incidenti di tale gravità, ma le trasgressioni del codice stradale che maggiormente mi colpiscono nella mia esperienza quotidiana sono le mancanze più banali e semplici (quali l’uso del telefonino, il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, la sosta “selvaggia”…) che il cittadino si ostina a compiere senza rendersi conto delle situazioni pericolose che genera per se stesso e per gli altri utenti della strada. Come considera l’esperienza vissuta con gli alunni della Bachelet? Aver lavorato con i ragazzi della scuola “Bachelet”, col fine di educarli all’utilizzo della strada, è stata sicuramente un’esperienza molto positiva, sia per l’opportunità di aver potuto far conoscere meglio il ruolo dell’agente di polizia locale, sia perché gli allievi hanno dimostrato interesse verso gli argomenti trattati. Quello che mi posso augurare, alla fine di questa esperienza, è di aver sensibilizzato i ragazzi adolescenti, attuali ma soprattutto futuri utenti della strada, ad un comportamento corretto e rispettoso del codice. Il fatto che ora, quando mi incontrano per strada, mi salutano affettuosamente, mi fa capire di aver trasmesso loro qualcosa di più che semplici nozioni di un breve corso di educazione stradale, ovvero di aver cancellato l’immagine negativa-nemica trasmessa loro per anni dai genitori, dai nonni e a volte da alcuni insegnanti con l’intento di intimorirli, e di aver fatto emergere il lato umano-sociale che contraddistingue coloro che svolgono questo mestiere con professionalità e dedizione. ■ Aquilone L’ 14 le classi raccontano | la scuola media marzo 2008 Una nuova attività opzionale: la “Bottega artigiana” Passione e tecnica per diventare pittore Scatti d’autore Colori e pennelli! Da febbraio 2008 è iniziato un laboratorio per imparare la differenza tra una foto e una “bella foto”. Da fine gennaio, ogni mercoledì, alcuni ragazzi di prima seconda e terza media partecipano al Laboratorio d’arte di pittura, con la guida del prof. G. Vitali. Andrea Gozzi Sofia Bellucci classe I B classe II C ▬ Si tratta di un laboratorio di fotografia digitale tenuto dal prof. Miccinesi, insegnante di tecnica, che ha suscitato molto interesse e curiosità tra i ragazzi di quasi tutte le classi, che si sono iscritti in molti. Lo scopo di questo laboratorio è di insegnare come si fotografa; voi penserete: “E’ facilissimo, lo sanno fare tutti”, invece no; qui insegnano come fotografare gruppi, sequenze, ritratti, ecc… E’ un laboratorio che insegna che quando si fotografa, la prospettiva è tutto, e che niente è “superficiale”, che la foto va curata nei minimi dettagli. Non è facile, ma si può apprendere. In questo laboratorio si prova ad imparare a fare tutte le cose fondamentali per un’ottima foto, e ci si diverte a scattare foto, riprenderle e inventare nuove prospettive. Qui si guarda la foto in un altro modo, con più serietà, e si capisce che tutti sono capaci di fare una foto, ma non tutti sanno fare una bella foto. Ormai con la fotografia digitale si può fare tutto, ma con i nuovi ▬ Hanno iniziato a conoscersi raccontandosi i loro interessi. Questo li ha aiutati a raccogliere e scambiarsi immagini. Hanno proseguito provando a disegnare il loro ritratto, copiato da una loro foto, sulla tela. Poi hanno scelto due colori per alternarli nel disegno. L’esito è che hanno cominciato a dipingere su tela con le tempere. Vesistemi, tipo Photoshop o alcune modalità della macchina fotografica, è molto più difficile, ma una volta appreso come funziona il sistema è notevolmente più comodo e veloce. Nessuno tra i ragazzi avrebbe mai pensato ad un simile laboratorio, ma come scelta è stata veramente azzeccata in tutto e per tutto. Secondo molti ragazzi iscritti al laboratorio è stata un’ottima idea e tutti trovano che sia anche molto divertente. In questo laboratorio si ride anche molto spesso, tuttavia si mantiene un atteggiamento di apprendimento, imparando in modo simpa- tico. La maggior parte dei ragazzi si sono iscritti non sapendo esattamente di cosa si trattasse, ma non se ne sono pentiti. È stata un’ottima idea! ■ dremo i loro “capolavori” nello stand alla fiera di San Giuseppe che si terrà a Cernusco il 16 marzo. In questi giorni, dopo aver terminato il ritratto, hanno ripreso il lavoro di pittura puntando la loro attenzione su una foto di una “cosa” ritenuta interessante. Antonio Vitale, uno dei partecipanti al laboratorio, racconta: “ A me è piaciuto moltissimo perché l’ho trovata un’ esperienza utile per imparare tecniche nuove e per approfondire una mia passione. E’ anche un’occasione per condividere questo mio interesse con i miei compagni di laboratorio. Mi sono iscritto al laboratorio per provare una nuova esperienza con i miei amici e per approfondire la mia conoscenza in arte.” ■ Alla Bachelet si studiano inglese e spagnolo M. F. ▬ Perché proprio lo spagnolo? Perché è una lingua romanza il cui lessico e strutture grammaticali sono simili all’italiano, quindi per gli studenti è più attraente e questo ne facilita lo studio. Inoltre è chiara l’utilità di tale lingua, basta pensare che nel mondo ci sono più di 300 milioni di persone che la parlano. Come si articola l’insegnamento? Come punto di riferimento seguiamo la modalità della lingua inglese: si parte dall’ apprendimento delle strutture linguistiche e dalla riflessione su di esse; in seguito cerchiamo di avvicinare Lingua straniera 2 Nella scuola secondaria di 1° grado è stato introdotto quattro anni fa l’insegnamento della seconda lingua straniera. Abbiamo chiesto alle professoresse Locatelli e Fossali alcuni chiarimenti e curiosità sulla scelta della lingua spagnola. i ragazzi al mondo ispanico attraverso la lettura e/o ascolto di dialoghi, testi letterari, visione di filmati in lingua e conversazioni con i nostri alunni. Ovviamente tutto è proporzionato con il tempo a nostra disposizione (due ore alla settimana) e alla risposta degli alunni. Ecco appunto, gli alunni come reagiscono a questa proposta? In questi pochi anni di insegnamento abbiamo notato che a qualunque età lo spagnolo desta una grande curiosità e fascino. Sarà, certo, per la somiglianza di forme grammaticali ma anche per una vicinanza culturale. Questo succede anche nella fase delle medie; i ragazzi infatti sono molto partecipi e riesco- no anche dopo poco tempo ad orientarsi leggendo, scrivendo e comprendendo le informazioni essenziali di brevi testi parlati e scritti. Sono queste soddisfazioni che danno lo stimolo e l’entusiasmo nello studio. Quindi è una lingua facile? Più semplice di altre lingue europee, ma occorrono comunque impegno e studio. Insomma questo è quello che esigiamo. Dopo le medie molti alunni probabilmente non continueranno lo studio dello spagnolo. Adesso potrebbe sembrare un eccessivo peso di studio che poi non verrà concluso… E’ vero. Nella maggior parte delle scuole superiori non insegnano spagnolo. D’altra parte, quello che proponiamo adesso è difficile che vada perduto nel tempo, quindi “un domani” se si presentasse l’occasione sarà più facile riprenderlo con “l’infarinatura” data alle medie. È un’occasione da non perdere, un bagaglio culturale e uno strumento in più per comunicare e dialogare con una bella fetta di mondo. ■ Aquilone L’ le classi raccontano | la scuola elementare 15 marzo 2008 le classi raccontano la scuola elementare L’esperienza dei sensi Geometria, materia complicata? No, se il percorso è adeguato Perché “fare” geometria con bambini di scuola elementare? Non sarebbe meglio rimandare di qualche anno l’affronto di questo aspetto, ritenuto dai più tanto complicato, a quando i bambini hanno raggiunto una maggiore capacità di astrazione? L’obiezione porta in sé una verità: la capacità di astrarre e di rappresentare cresce con lo sviluppo delle forme del pensiero, ma questa considerazione non dovrebbe costituire un’obiezione ad una proposta di lavoro, ma piuttosto un dato imprescindibile per introdurre e svolgere un percorso adeguato nei contenuti e nelle forme metodologiche… L’insegnante parla di ciò che è avvenuto e che sta avvenendo con i suoi alunni, oggi in III elementare. Sarah Bragonzi insegnante classe III ▬ Sono ormai tre anni che lavoro con i miei alunni e non ho ancora smesso di stupirmi. Di che cosa parla la geometria? Di “oggetti del nostro pensiero che si formano per astrazione attraverso l’esperienza dei sensi.” Ci ha spiegato la prof.ssa P. Longo nel corso di aggiornamento durato tutto l’anno scorso all’Aurora Ecco allora la chiave per comprendere come affrontare la “temuta materia” in una scuola elementare: partire dall’esperienza. Cosa è risultato necessario per intraprendere questo percorso disciplinare? Innanzitutto il partire per me da solide basi teoriche (i concetti geometrici) e il dare spazio a ciò che un bambino già possedeva come bagaglio della propria vita vissuta, alla fantasia, alla voglia di sperimentare, di osservare, di ascoltare, in altre parole a tutto ciò che nasceva strada facendo in noi insegnanti e nei miei alunni. La proposta sistematica di un’esperienza di geometria ha preso avvio in classe Prima con un laboratorio guidato dall’ insegnante di Educazione motoria durante il quale i bambini, attraverso giochi – esercizi individuali e di piccolo gruppo, hanno preso coscienza del proprio corpo che come tutti gli oggetti esistenti nella realtà occupa uno spazio, un volume e ha tre dimensioni. Ai bambini è stato chiesto non solo di giocare, sperimentare, inventare nuove situazioni, ma anche di raccontare oralmente e rappresentare attraverso il disegno le diverse esperienze vissute per fissarle e rielaborarle, rendendole ancora più proprie. Questo passaggio ha rappresentato l’ avvio alla simbolizzazione della realtà come forma di astrazione. In classe Seconda abbiamo lavorato sulla posizione degli oggetti nello spazio partendo dal punto di vista. E’ la posizione degli oggetti che cambia o a far cambiare la descrizione di un paesaggio, di un percorso… è la posizione dell’osservatore, di chi racconta? Le diverse esperienze corpo- ree sperimentate hanno dato a concetti spaziali quali davanti – dietro, destra – sinistra, già familiari ai bambini, un significato più profondo. Ormai siamo in Terza e il cammino è ben avviato. Riprendendo il lavoro svolto gli anni scorsi abbiamo approfondito i concetti di volume, di tre dimensioni, di linea e attraverso le impronte delle facce di un solido (una scatoletta) è stato introdotto il pas- saggio da tre a due dimensioni. In questo modo è risultata facilitata l’individuazione del contorno (il futuro perimetro) e della superficie interna (l’area) di una figura piana. Lavorando sul contorno abbiamo poi osservato i diversi tipi di linee che, seppur in un contesto diverso, avevamo già incontrato lo scorso anno rappresentando i percorsi. Ora, dopo tanta “esperienza dei sensi” possiamo dare nomi precisi (solido, poligono, retta, segmento…) alle forme e agli elementi geometrici e possiamo introdurre le prime definizioni proprio perché i bambini sono capaci di fare generalizzazioni e passi di astrazione. Ogni proposta di costruzione, di osservazione, di rielaborazione è terreno fertile per il fiorire di domande e di intuizioni: i bambini durante il lavoro chiedono, fanno ipotesi e talvolta, senza rendersene conto, anticipano i passi successivi. La proposta di geometria si rivela ogni giorno di più un percorso ricco che paradossalmente più diventa astratto più ci costringe a stare alla realtà, a non prescindere dai dati acquisiti e da quelli che abbiamo davanti. Ancora una volta stiamo sperimentando che tutto ci può aiutare a conoscere noi stessi e la realtà che ci circonda…anche la tanto temuta geometria! ■ Aquilone L’ 16 le classi raccontano | la scuola elementare marzo 2008 Problemi? Uno strumento privilegiato per imparare a rispondere alla realtà quotidiana Il matematico che è in me! L’insegnamento della matematica incrementa l’incontro e la conoscenza del mondo che ci circonda attraverso la scoperta e l’organizzazione di relazioni e di regole già esistenti nel reale. Così nell’insegnamento della matematica si parte dalla realtà, dal dato, da ciò che c’è: tutto è da scoprire, nominare, ordinare e rappresentare. Nella scuola elementare il bambino è guidato a fare esperienza della realtà cioè a fare, a pensare, ipotizzare, provare, progettare, verificare, sino alla consapevolezza dell’utilità dell’azione matematica per risolvere efficacemente qualsiasi situazione operativa le circostanze della vita quotidiana gli offrano. L’insegnante della classe terza ci spiega perché il problema sia uno strumento da privilegiare nella proposta matematica. Giulia Muzzi insegnante classe III A ▬ In classe terza il problema è un punto fondamentale del lavoro per due ragioni. Innanzitutto perché a partire da situazioni problematiche che sollecitano una risposta personale del bambino, da una parte si riprendono, consolidano e approfondiscono i concetti matematici già affrontati, dall’altra se ne introducono di nuovi. In secondo luogo il problema rappresenta lo strumento privilegiato per una esperienza unitaria e sintetica rispetto alla padronanza e comprensione linguistica, alle capacità logiche, alle abilità tecniche operative, alla convenzione e alla scelta di strategie personali motivate. L’esemplificazione riportata di seguito, può aiutare a com- prendere il valore educativo, teso cioè alla costruzione della persona nella sua interezza, dell’esperienza matematica. Al termine del percorso del primo quadrimestre è stato proposto ai bambini di pensare e scrivere le azioni che quotidianamente compiono quando addizionano, sottraggono, moltiplicano e dividono. Queste azioni sono poi state riunite in una tabella. In un secondo momento ciascun alunno ha scelto una o più fra le azioni individuate e, ripensando alla propria esperienza, ha scritto il testo di un problema. Per verificare la logicità dell’intuizione iniziale è stato chiesto a ognuno di risolvere il proprio problema ed eventualmente di modificarne i dati. LE AZIONI MATEMATICHE ADDIZIONARE SOTTRARRE • aggiungere • unire • costruire • mettere insieme • creare • ammucchiare • raggruppare • “fare” il contrario della sottrazione • crescere • riempire • regalare • condividere • mischiare • togliere • mangiare • disfare • rompere • distruggere • prendere • cancellare • buttare • bruciare • perdere • strappare • cavare • spazzare • spezzare • consumare • rubare • scacciare • spaccare • diminuire • allontanare • spostare • regalare • vendere • tagliare • scaricare • morire • calcolare la differenza • “fare” il contrario della addizione • mettere da parte • sciogliere • eliminare • scartare MOLTIPLICARE • aggiungere lo stesso numero più volte • schierare • “fare” le tabelline • duplicare • raggruppare • “fare” il contrario della divisione DIVIDERE • ripartire • distribuire • suddividere • dare in parti uguali • tagliare • separare • raggruppare • “fare” il contrario della moltiplicazione Aquilone L’ le classi raccontano | la scuola elementare I testi sono e continuano ad essere usati nelle esercitazioni quotidiane. Inoltre dalla loro lettura sono emersi nuovi aspetti, come ad esempio il lavoro sui dati superflui e sulla domanda implicita, che sono divenuti punti di approfondimento. Questo lavoro è stato efficace perché ha mosso l’originalità e l’iniziativa personale del bambino e gli ha fatto sperimentare la possibilità della riuscita. Ecco alcune situazioni problematiche ipotizzate dagli alunni: 1) RICEVERE-MANGIARE (Piermatteo P.) Un bambino regala 10 pacchetti di dolci a Francesco. In ogni pacchetto ci sono 4 scatole e in ognuna si trovano 10 cioccolatini. Quanti cioccolatini riceve Francesco? 2) METTERE DA PARTE (Andrea C.) Ieri nel negozio di mio papà è entrato un cliente e gli ha chiesto 22 bracciali. Mio papà ha tirato fuori i suoi 187 bracciali. Al cliente ne piacevano 139; allora gli altri sono stati messi da parte. Quanti bracciali ha messo da parte il papà? (Presenza del dato superfluo) 3) RICEVERE (Camilla) Per la cena di Capodanno tutti e 9 i cognati della mamma vengono a mangiare la pizza al trancio. La mamma compera: una sca- 17 marzo 2008 tola di pizza margherita, una scatola di pizza 4 stagioni e una scatola di pizza al salame piccante; ogni scatola contiene 42 fette. Quante fette riceve ogni cognato? (Domanda implicita) 4) COSTRUIRE- DISTRIBUIRE (Maria) Per il compleanno di Elena, Anna costruisce 13 portachiavi, 17 braccialetti e 14 orecchini. Quanti oggetti costruisce Anna? Quando arrivano le 9 amiche di Elena, Anna distribuisce loro gli oggetti costruiti. Quanti oggetti riceverà ogni bambina invitata? 5)ESSERCI-ANDARE (Giovanni) Al cimitero ci sono 94 morti; nel paese muoiono altre 38 persone. Quanti morti ci sono nel cimitero? Se 40 anime vanno all’inferno e 30 al purgatorio, quante ne vanno in paradiso? (Domanda implicita) 6) COSTRUIRE- PRENDERE (Irene) Per il compleanno la mamma regala a Laura 32 cubi rossi, 22 cubi gialli e 12 cubi verdi. Con quanti cubi Laura può costruire la torre? Poi il suo fratellino ne prende 27. Quanti cubi rimangono sulla torre? 7) COSTRUIRE-DISTRUGGERE (Alessandro) In un villaggio della Mezzaluna fertile i muratori costruiscono 93 case. Durante la stagione delle piog- ge i fiumi straripano e distruggono 33 case. Quante case rimangono in piedi? Se ne ricostruiscono 14, quante case ci saranno nel villaggio? ■ Aquilone L’ 18 marzo 2008 famiglie in azione | genitori & figli famiglie in azione genitori & figli All’Auditorium “Maggioni” presentazione pubblica del libro di Don Giussani “Si può vivere così”? Una domanda e una sfida E. L. ▬ La serata, organizzata dai Centri culturali della Martesana, in collaborazione con www.culturacattolica.it e con la Scuola “L’Aurora-Bachelet”, si è svolta il 25 febbraio 2008 a Cernusco sul Naviglio, in un auditorium affollato ed attento. Le tracce dei due interventi sono state proposte da Davide Perillo, giornalista e moderatore dell’incontro, che ha ripreso il titolo e il sottotitolo del libro. “Si può vivere così?” è una domanda aperta, non il lamento per una condizione umana faticosa. E “Uno strano approccio all’esistenza cristiana” indica da un lato l’originalità del testo, che raccoglie dal vivo una serie di incontri di don Giussani con un centinaio di giovani orientati alla verginità; dall’altro un “andare controcorrente” rispetto alla mentalità dominante. Le sottolineature del primo relatore, Claudio Morpurgo, ex presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche d’Italia, sono state numerose e appassionate, spesso collegate a brani biblici. Che cosa hanno imparato quei cento giovani radunati attor- Due protagonisti della cultura italiana si sono confrontati con “uno strano approccio all’esistenza cristiana”. no al Maestro don Giussani? Che Dio c’entra con tutto: “la Sua Presenza gloriosa riempie il mondo” (Isaia 6,3): il nostro mondo, così pieno di male, dove non Dio è morto, ma l’uomo. Giussani ripone al centro l’uomo, la singola persona, che è essenziale nel disegno di Dio. E l’uomo singolo diventa partner di Dio nella santificazione del quotidiano, soprattutto col lavoro, che è un atto religioso. “Seguendo il grande maestro di umanità, don Giussani, non dobbiamo aver paura di lottare per un nuovo umanesimo”, ha concluso Morpurgo, “perché senza guardare in Cielo l’uomo smarrisce l’orizzonte... Non ‘si può’, ma ‘si deve’ vivere così, mettendoci in gioco, rischiando, valorizzando la nostra libertà”. “Su questa domanda: si può vivere così? don Giussani” ha detto Alberto Savorana, direttore del mensile di CL “Tracce”, “ha investito e scommesso la sua reputazione di prete e di uomo. Ha lanciato a tutti noi una sfida: “Vi va di verificare con me se questo corrisponde ai desideri più profondi del vostro cuore?. Io vi voglio accompagnare in questo”. Il primo luogo comu- ne che Giussani smantella è che “La fede non c’entra con la ragione”, pregiudizio terribile accettato tranquillamente, ma falsissimo. La fede è un modo di conoscere che noi usiamo molto più frequentemente dell’esperienza diretta: conosco qualcosa perché mi fido di un testimone. La fede è quindi una forma naturale di conoscenza indiretta, in cui il vero problema semmai è la credibilità di chi testimonia: mi posso fidare di lui? La fede si gioca davanti a Cristo perché in un incontro carico di stupore riconosco la risposta eccezionale al mio desiderio di felicità, e sono chiamato con la mia libertà a dire di sì. E oggi, come è possibile questo? Incontrando le “fragili ma reali maschere di quella Presenza”, i nostri volti di Cristiani, di Chiesa viva”. La serata, ricca del presentimento di qualcosa di bello, di vero, di interessante – come ha detto concludendo Davide Perillo – avrà un seguito: infatti ci si è dati appuntamento per il 13 marzo alle 21 alla “Bachelet” per accogliere quella sfida legata al nostro Destino: “Si può vivere così?” ■ Aquilone L’ famiglie in azione | genitori & figli Incontro con Don Gabriele Mangiarotti, direttore del sito www.culturacattolica.it Un’alleanza per l’educazione Amare il mondo Lettera di una mamma che ha partecipato al Convegno organizzato sotto il patrocinio della Regione Lombardia da Enti che, a vario titolo, si occupano di scuola (A.GE., A.GE.S.C., Diesse, Famiglie per l’Accoglienza, Forum delle Associazioni familiari, Sindacato delle Famiglie). Letizia Sanvito Barazzetta, genitore - Una delle frasi che più mi hanno colpito è di Hannah Arendt e recita: “Educazione è il punto in cui si decide se amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità.”. Difficile restare indifferenti, non fosse altro che per dire: “Non capisco”. Che l’educare abbia molto a che vedere con l’amore e la responsabilità, è del tutto evidente a chiunque abbia dei figli, ma il mondo, cosa c’entra?” Poi, man mano che si succedono gli interventi dei relatori (due mamme, un preside di scuola media superiore e il responsabile per la scuola della Compagnia delle Opere), mentre vengono evocate situazioni scandalose e scandalistiche che troppo spesso i mass media ci propinano come unica realtà della scuola, mentre sfilano i dati di una crisi del sistema scolastico italiano che sembra senza prospettive immediate di soluzione, appare sempre più evidente che senza assumersi il peso del “mondo” non può esserci vera educazione. Il “mondo”, infatti, è il clima che ci circonda e soprattutto che respirano i nostri figli. Non si può pensare di tirarli fuori prendendoli per i capelli né di metterli sotto una campana di vetro fino a 34 anni (al convegno ho appreso con stupore che è questa l’età attualmente considerata dai rilevatori statistici come discrimine tra la gioventù e l’età adulta e ho pensato con un brivido che io, a 34 anni, avevo già tre figli!), occorre mettersi al loro fianco con tutta l’intelligenza e l’amore di cui disponiamo e allearsi. Ecco, è proprio “alleanza” il termine che, dal titolo del convegno in giù, ho sentito ricorrere con maggior frequenza. Alleanza a vari livelli, ma principalmente tra famiglia e scuola, tra educatori naturali e comunità educante, tra chi è titolare effettivo e giuridico del diritto-dovere di educare e quel soggetto che viene scelto come più idoneo per competenza e professiona- lità a istruire, educando però al contempo in una prospettiva sintonica. Ho ripensato a 15 anni fa quando io e mio marito abbiamo scelto questo “partner” con cui condividere l’educazione dei nostri figli, alla ferita che comporta capire che io non basto, che occorre affidarli a dei maestri, che necessariamente avranno su di loro uno sguardo diverso dal mio. Devo potermi fidare di questi maestri, ma devo anche lasciarmi guidare dal loro giudizio. Mettendomi in discussione ogni volta, giocando il mio ruolo di madre in ogni spazio, in ogni interstizio, piccolo o grande, diventando sempre più consapevole della mia funzione e urgendo il maestro a fare altrettanto nella sua. Perché in gioco c’è mio figlio. Solo col tempo questa alleanza mi si è chiarita, così come tempo ha richiesto capire che ci si doveva alleare tra genitori, perché da soli è impossibile, non si regge. Per un risultato utile, occorre però che l’alleanza sia leale, chiara e permanente, senza sacche di riserve più o meno nascoste. Non basta dire “ho scelto quel che mi sembra migliore, adesso se la sbrighino loro, tanto più che li pago” (perché nella nostra scuola c’è anche questa aggravante). Così come sarebbe assolutamente controproducente per il figlio vedere contraddette operativamente le indicazioni di chi è stato scelto come maestro perché “so io quel che serve a mio figlio (e siccome pago, si fa come dico io)”. Ho estremizzato due rischi che venivano indicati unanimemente nel convegno come i più diffusi e pericolosi solo per semplificare, ma sono tentazioni che io per prima ho vissuto e superato imparando a fidarmi e vedendo altri genitori che facevano altrettanto. Sfogliando i documenti del convegno, mi si presentano infiniti altri spunti e già aspetto con impazienza gli atti per poterli ulteriormente approfondire. In- 19 marzo 2008 Internet, e-mail, chat, blog… Navigare è un pericolo? Di fronte ai rapidi cambiamenti della comunicazione un a-fondo sui rapporti tra educazione ed Internet. vito chiunque fosse interessato, a richiedere alla Segreteria della Bachelet un agile libretto (una quarantina di pagine in tutto) dal titolo “Scuola-Genitori: un’alleanza possibile?” che raccoglie alcuni utilissimi contributi di docenti, genitori ecc. utilizzati per preparare il convegno di cui sopra. Non mancheranno le occasioni per riparlarne. ■ BUSSOLA PER I NAVIGANTI Per non essere irretiti dalla rete CONSIGLI AI GENITORI n “Cammina l’uomo quando sa bene dove andare”. Internet è uno strumento al servizio di uomini coscienti dello scopo, che usano tutto senza paura. o Non lasciare soli i ragazzi davanti a Internet: condividere un cammino educativo aiutandoli con criteri chiari. p Educare lo sguardo: sfidare i ragazzi a non accontentarsi di sciattezza o banalità, ma a cercare una bellezza più vera. q Non demonizzare Internet, ma mostrare un modo più umano, più avvincente, più affascinante di usarlo. r Scoprire i volti che stanno dietro un sito, un blog, ricordando che il virtuale è al servizio del reale e non viceversa. CONSIGLI AI RAGAZZI n Non fare di Internet l’orizzonte della propria vita, ma conoscerlo per metterlo al proprio servizio. o Evitare le chat inutili e generiche, le perdite di tempo sciocche e insulse: comunicare è mettere in gioco la propria umanità. p Non usare Internet per fuggire la realtà, ma per entrare sempre di più in essa. q Non nascondersi dietro l’illusione dell’anonimato per vivere una vita virtuale fittizia. r Fare la fatica di verificare ciò che la rete comunica: non essere creduloni solo perché “è su Internet”. E. L. - Giovedì 28 febbraio 2008 presso la scuola Bachelet si è svolto un incontro sulle problematiche educative legate alla nuova situazione dei ragazzi, coinvolti sempre più dal mondo di Internet. Il Preside Rosario Mazzeo ha motivato le ragioni di una serata che ha visto don Gabriele Mangiarotti, responsabile del sito www.culturacattolica.it, raccontare la propria esperienza ormai più che decennale nel mondo di Internet: essere adulti che educano continuamente, e usare la ragione fino in fondo per sostenere la persona, rendendola forte di fronte alle nuove sfide che la società pone. Don Gabriele è partito dall’episodio biblico della Torre di Babele: nella società tecnologicamente avanzata il potere vuole uniformare il linguaggio imponendo la dittatura del relativismo, divenuto ormai “relativismo aggressivo” (M. Introvigne): “Tu devi pensare come diciamo noi”. Il mondo della comunicazione è spesso al servizio di questa concezione. Di solito si indica nella pornografia il pericolo più grave per i nostri ragazzi che navigano in Internet; ma è ancora più grave il fatto che si cada nelle mani di uomini che respirano e comunicano una mentalità per cui relativismo e nichilismo tendono a divenire il modo comune di pensare. Anche rispetto a questo scenario, è straordinario il modo con cui il Papa richiama continuamente la responsabilità educativa di educatori e genitori. Internet può essere uno strumento per l’omologazione culturale, ma anche per valorizzare esperienze di appartenenza forte e di responsabilità, di ricerca di bellezza e di apertura di incontri reali, come testimonia la storia di www.culturacattolica.it. Le modalità di fruizione di Internet sono ormai svariatissime: documentazione, divertimento, utilizzo di programmi, posta, blog, chat... E’ necessario non lasciare soli i nostri ragazzi, lavorare con loro: non con paura dello strumento, non solo con paletti e istruzioni per l’uso, ma condividendo un cammino educativo per diventare protagonisti. E’ una sfida in cui occorre mostrare un modo più vero di vivere e di utilizzare uno strumento che, se usato con intelligenza, può rivelarsi una risorsa straordinaria di crescita e di ricchezza per la persona. Le risposte alle numerosissime domande emerse a conclusione della relazione di don Gabriele sono sintetizzate nel “decalogo per i navigatori” che riportiamo di fianco. ■ 20 Aquilone L’ marzo 2008 famiglie in azione | genitori & figli Nairobi-Cernusco Un’amicizia che continua Nel mese di dicembre 2007 Mr. Anthony Maina, preside della “Little Prince”, scuola gemella dell’Aurora Bachelet, è venuto a Milano insieme ad alcuni amici di Avsi per un Convegno, poi si è trasferito a Cernusco, ospite della famiglia Mariani, e ha vissuto una decina di giorni la vita della scuola. “La prima cosa che è balzata agli occhi e al cuore è stata una grande affinità - ci ha raccontato Letizia Sanvito del Consiglio di Amministrazione della cooperativa che gestisce la scuola - nonostante le differenti condizioni culturali, geografiche, economiche ci si è trovati in sintonia per una comune passione educativa”. Per questo motivo ha creato molto dolore la situazione che si è venuta a creare in Kenia, proprio subito dopo la partenza dell’amico Anthony, che tramite una fitta corrispondenza informava via via delle difficoltà vissute anche dagli alunni della “Little Prince”. Le notizie drammatiche che arrivano tramite email alla scuola e i mass-media hanno spinto i ragazzi a dire quasi tutte le mattine una preghiera composta dai missionari di San Carlo, presenti in Nairobi. La riportiamo per condividerla con i nostri lettori, in particolare con i genitori: A. B. ▬ Il gemellaggio tra le due scuole, infatti, non è vissuto come un’opera filantropica, un sostegno di chi può a chi è in difficoltà, ma è proprio questo scoprirsi sulla stessa strada. Antonhy durante il suo soggiorno, ha vissuto molti momenti di approfondimento sui metodi, i percorsi delle scuole paritarie in Italia, accompagnato ai mille incontri cui è solito partecipare il Prof. Mazzeo, Preside della Bachelet. Al mattino la sua presenza nelle classi è diventata familiare sia nei momenti di lavoro che in quelli di gioco. Dirette dalla Prof. Piazza alcune classi gli hanno dedicato delle canzoni accompagnandole con l’arpa. Le prime e le seconde hanno scritto lettere in inglese. Le terze medie hanno usufruito delle lezioni sull’Africa sempre in lingua inglese. Non sono mancati gli appuntamenti conviviali, come la cena con gli amministratori e alcuni membri dell’Associazione Amici dell’Aurora-Bachelet, gli incontri con alcune famiglie e le visite alla città. Sicuramente il Prof. Anthony e la scuola “Little Prince” sono ormai entrati nella vita di tutti all’Aurora-Bachelet ed è cresciuta la consapevolezza che ciò che accomuna queste due realtà è una amicizia, di più, una fratellanza. Successo dell’iniziativa del Banco di Solidarietà “Enzo Piccinini” Donacibo Davide Ciceri, classe II A, Scuola Bachelet ▬ Con il gesto, promosso da alcuni volontari del banco di Solidarietà di Gessate “Enzo Piccinini”, è stata proposta alle classi prime e seconde, la raccolta di prodotti alimentari non deperibili da destinare alle famiglie che non possono permettersi di fare una spesa regolare e adeguata ai propri bisogni. Tutti gli alunni hanno portato, liberamente, i prodotti alimentari consigliati che, dopo essere stati raccolti e inscatolati, sono stati ritirati da alcuni volontari del banco di solidarietà, che ha organizzato questa iniziativa nella nostra zona. Il Donacibo è uno dei modi di raccogliere gli alimenti rivolto in particolare ai ragazzi, perché possano capire quanto è importante donare, condividere un bisogno. Come è stato spiegato, partecipando a questo gesto si può sperimentare se veramente ci si sente più felici a fare atti di carità perché partendo da una semplice e concreta necessità, si può condividere il senso della vita e scoprire che, in fondo, tutti gli uomini, anche poveri, hanno il desiderio di essere amati. Spesso accade, infatti, che chi porta il pacco inizia a conoscere la famiglia che ogni mese incontra, parlando della vita quotidiana; da qui nasce il desiderio di approfondire questa amicizia. Questa è l’esperienza che accomuna tutti i volontari del banco ed è proprio tale pienezza che li ha spinti a proporre questo semplice gesto a migliaia di ragazzi, affinché anche loro possano sperimentare la felicità di amare qualcuno. E’ stato un gesto molto significativo, anche per chi già lo conosceva attraverso la giornata della Colletta Alimentare, occasione per rinnovare la bellezza di rendere felice chi ci è vicino. ■ “Chiediamo a te, Signore, che l’Africa non sia ancora una volta bagnata dal sangue dei popoli, e ti chiediamo soprattutto che i battezzati vivano il loro Battesimo come fonte di perdono e di riconciliazione, e una nuova generazione possa crescere e guidare questa nazione verso un presente e un futuro più luminosi. … Ti chiediamo di fermare gli animi di coloro che vogliono soltanto dominare, e di fermare la morte che nasce dalla loro volontà di vendetta e prevaricazione. L’Africa ha già troppo sofferto perché debba ancora una volta essere segnata da queste piaghe che difficilmente poi si rimarginano. Per l’intercessione di tua Madre, e di san Giuseppe, Patrono della Chiesa, chiediamo a te, o Signore, di benedire questi popoli e di convertirli alla tua verità. Amen” ■