Riproduzione vietata - Aggiornato al 02.07.2015
Requisiti del diritto alla detrazione
Lucia Ripa
Imposte e
Tasse
La sentenza n. 11894/2014 ha affrontato la questione della rilevanza di errori formali nel disconoscimento del diritto
alla detrazione dell'IVA e ha concluso che ciò che deve sussistere, a tal fine, è la sostanza dell'operazione sottostante.
Alla CTP di Milano è stato sottoposto il caso di un avviso di accertamento volto a recuperare l'IVA detratta e chiesta a
rimborso.
Le ragioni addotte dall'Agenzia delle Entrate a sostegno della ripresa dell'IVA erano legate a discrasie di natura formale
(destinatario indicato in fattura non coincidente con la denominazione dichiarata all'Anagrafe tributaria e numero di
partita IVA riferito ad altra società del gruppo) ravvisate nei documenti acquisiti per effetto dell'istanza di rimborso
dell'IVA e che impedivano di poter detrarre l'IVA.
I giudici, accogliendo il ricorso, ribadiscono l'orientamento della Corte di Giustizia UE, secondo cui il sistema delle
detrazioni è inteso a sgravare interamente il soggetto passivo dall'onere dell'IVA dovuta o pagata nell'ambito di tutte le
sue attività economiche. Esso, infatti, garantisce la neutralità dell'imposizione per tutte le attività economiche, di
conseguenza non può soffrire limitazioni dovute a motivi formali quando, invece, i requisiti sostanziali siano soddisfatti.
La CTP ha ritenuto che i documenti allegati al ricorso permettessero di provare la natura delle operazioni ed il
conseguente assoggettamento ad IVA italiana, l'inerenza di tali acquisti con l'attività d'impresa, l'afferenza degli acquisti
alle operazioni attive, l'effettiva esistenza delle prestazioni così come previste contrattualmente ed il pagamento dei
corrispettivi.
Questa pronuncia è in sintonia con l'orientamento della Corte di Cassazione sulle irregolarità commesse in sede di
doppia registrazione delle fatture comunitarie, ritenute meramente formali e non recanti danno all'Erario, a condizione
che ricorrano i requisiti sostanziali.
Questi orientamenti, oltre ad essere di buon auspicio per un rinnovato approccio sostanziale agli adempimenti relativi
alle operazioni soggette ad IVA, offrono anche uno spunto pratico sotto un duplice profilo.
In primo luogo, offrono validi argomenti in sede di accertamento con adesione o di contenzioso per superare un
atteggiamento legalistico che non valorizza la sostanza del diritto alla detrazione e dei requisiti indicati nell'articolo 21 del
DPR 633/72 (basti pensare alle tante riprese fiscali basate sulla genericità della descrizione dell'operazione recata in
fattura).
In secondo luogo, offrono una bussola per orientare le attività di consulenza e controllo sulla documentazione contabile
del cliente: occorre valutare non solo la coincidenza dei requisiti formali, ma, soprattutto, l'inerenza dell'acquisto
all'attività d'impresa, l'afferenza rispetto alle operazioni attive, la coerenza con le previsioni contrattuali e il pagamento.
Questi sono gli elementi che devono esistere per poter esercitare il diritto alla detrazione; se essi mancano, non basterà
una forma impeccabile a consentire di detrarre l'IVA assolta a monte.
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Ganasce fiscali su auto del dipendente
Attilio Romano
Varie
E' discusso tra gli operatori se possa essere ritenuto legittimo, alla luce dell'art. 86, D.P.R. 29.09.1973, n. 602, il fermo
amministrativo di un autoveicolo di proprietà di un lavoratore dipendente che, non avendo altri mezzi di trasporto per
recarsi al lavoro, ritiene indispensabile il bene per svolgere normalmente la propria attività.
L'art. 86, c. 2, D.P.R. 29.09.1973, n. 602, modificato dall'art. 52, c. 1, lettera m-bis D.L. 21.06.2013, n. 69 (c.d. Decreto
"del Fare"), consente agli imprenditori ed ai professionisti di dimostrare che il fermo amministrativo riguarda un mezzo
strumentale nell'esercizio dell'attività economica così da paralizzare la misura cautelare esperita dall'agente di
riscossione.
Entro e non oltre i 30 giorni successivi alla notifica del preavviso di fermo amministrativo, il contribuente dovrà quindi
accedere presso i locali dell'agente di riscossione dimostrando che il bene è strumentale all'attività imprenditoriale o
professionale.
In via assolutamente interpretativa, si ritiene che la prova dell'utilizzo strumentale può essere fornita con l'esibizione
presso lo sportello dell'agente della riscossione di apposita istanza corredata da:
- copia della fattura di acquisto del mezzo;
- copia del certificato di proprietà del veicolo;
- copia del libretto di circolazione del mezzo che identifichi la codifica attribuita agli Uffici competenti;
- copia di stralcio del registro dei beni ammortizzabili (o registro degli acquisti) ove sia riscontrabile la presenza del
bene ammortizzabile (o già interamente ammortizzato).
La richiesta di cancellazione della misura cautelare dovrebbe, presumibilmente contenere adeguata illustrazione
delle obiettive esigenze operative che il bene soddisfa in grado di giustificare il legame di "strumentalità" e l'effettivo
utilizzo del veicolo nell'ambito dell'attività d'impresa o professionale.
Fermo sull'auto utilizzata dal lavoratore dipendente: valgono le medesime cautele?
Ci si chiede cosa accada se il provvedimento di fermo amministrativo è iscritto sull'autovettura di proprietà di un
dipendente.
Si pone, dunque, il problema di verificare se le regole previste dall'art. 86, c. 2, D.P.R. n. 602/73, possano essere
estese, in via analogica, anche ai contribuenti, persone fisiche non titolari di partita Iva, nel caso in cui l'autovettura
utilizzata rappresenti un bene strumentale per lo svolgimento dell'attività del lavoratore dipendente.
Nel silenzio del legislatore e della prassi amministrativa non si può non pervenire, in via meramente interpretativa, ad
una soluzione che privilegi il rispetto del principio generale di eguaglianza e ragionevolezza. In tale direzione, il
lavoratore dipendente presso un'azienda situata, per esempio, ad una certa distanza dal Comune di residenza, sfornito
di altri mezzi di trasporto per recarsi al lavoro, se raggiunto da un provvedimento di fermo amministrativo sull'autoveicolo
di proprietà potrà anch'egli dimostrare su base documentale il legame di riferibilità del veicolo " .. necessario al processo
lavorativo …".
In tali casi, quindi, il lavoratore dipendente riteniamo potrebbe legittimamente produrre al competente
Concessionario della riscossione apposita istanza corredata da copia della fattura di acquisto del mezzo, e da copia del
certificato di proprietà del veicolo, illustrando e documentando le ragioni che consentono di ritenere "indispensabile" il
mezzo di trasporto utilizzato (e gravato da provvedimento di fermo) per l'espletamento dell'attività di lavoro subordinato.
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Semplificazioni che complicano la vita a contribuenti e professionisti
Andrea Bongi
Imposte e
Tasse
È quello che succede, sempre più spesso purtroppo, nel momento in cui norme annunciate e qualificate come misure di
semplificazione degli adempimenti a carico dei contribuenti si rivelano, alla prova dei fatti, peggiori e più complicate
delle disposizioni che le precedevano.
E' il caso, tanto per restare all'attualità, della dichiarazione modello 730 precompilato. Quanti potrebbero oggi dire che
l'adempimento dichiarativo effettuato seguendo il percorso della precompilata è stato più snello e agevole rispetto alle
vecchie procedure ordinarie? Davvero pochi.
La sola richiesta di pin e password per l'accesso ai dati del modello precaricati sul sito internet delle Entrate si è rivelato
per molti contribuenti un vero e proprio calvario. Un professore universitario ha dichiarato alla stampa di aver impiego
oltre 5 ore soltanto per abilitarsi al sistema telematico di accesso alla precompilata.
Dopo l'abilitazione sono poi seguiti gli adempimenti e gli obblighi imposti a tutela della privacy, la scoperta di errori,
mancanze e incompletezze nei dati inseriti sui modelli precompilati che hanno finito per suggellare il classico "era meglio
utilizzare il vecchio modello cartaceo".
Per la verità qualcuno già all'indomani del varo del decreto semplificazioni – D.Lgs. 175/2014 – non aveva atteso gli
eventi e si era sbilanciato nel ribattezzare il nuovo modello "precomplicato" anziché precompilato.
I fatti e gli eventi successivi non hanno che confermato la bontà di tale affermazione.
Resta dunque da capire il perché quasi tutti i provvedimenti di semplificazione varati dagli esecutivi succedutisi negli
ultimi anni si sono poi rivelati dei veri e propri flop.
La spiegazione più immediata ed elementare al suddetto quesito è legata alla natura stessa dei provvedimenti che
annunciano semplificazioni in ambito tributario. Questi, infatti, anziché eliminare norme dall'ordinamento tributario ne
aggiungono di nuove che, seppur con l'intento di razionalizzare o semplificare le disposizioni già esistenti finiscono,
alla prova dei fatti, per aggiungersi a quelle già in vigore creando così ulteriori sovrapposizioni e caos normativo.
La vera semplificazione dovrebbe cioè eliminare norme, ripulire il codice tributario, razionalizzare le disposizioni esistenti
rendendo più semplice il compito, già di per sé gravoso, di adempiere alle obbligazioni tributarie.
Per assurdo, oggi in Italia è divenuto perfino difficile effettuare il materiale pagamento delle imposte. Si pensi, sempre
per richiamare uno degli ultimi provvedimenti sulle semplificazioni varati dall'esecutivo targato Matteo Renzi, alle nuove
disposizioni in vigore dal 1.10.2014 che obbligano anche i contribuenti non titolari di partita Iva a dover pagare le
imposte dovute unicamente tramite procedure telematiche in presenza di compensazioni o di importi dovuti superiori a
1.000 euro.
O ancora, sempre per citare una delle ultime trovate in ambito fiscale, la cessazione da parte degli uffici delle entrate del
servizio di trasmissione telematica delle dichiarazioni modello Unico a favore dei contribuenti interessati.
E allora ogni volta che un provvedimento in ambito tributario viene spacciato come "semplificazione" sarà opportuno
prenderne da subito le dovute distanze.
Subito dopo si tratterà di capire se con lo stesso si aggiungono o si tolgono nuove disposizioni normative ed infine
capire, se davvero di semplificazione si tratta, a chi la stessa si rivolge. Ovvero è semplificazione per i contribuenti o al
contrario è una semplificazione solo per il Fisco?
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Commercialista: un lavoro che piace ancora?
Massimo De Sanctis
Gestione
d'Impresa
Quanti professionisti demotivati ho incontrato in questi ultimi anni. Tante le cause. Tante le ragioni. Tante le situazioni
che hanno reso sempre più complicata ed esasperante l'attività del commercialista. Si può migliorare questa
situazione?
La motivazione al lavoro può essere definita come la spinta interiore che porta l'individuo ad applicarsi con impegno
nel lavoro. Può essere definita come una sorta di forza interna che stimola, regola e sostiene le principali azioni
compiute. Può essere descritto in modo ciclico: dall'origine del bisogno, l'individuo ricerca i mezzi per poterlo
soddisfare; quando il soggetto riesce a soddisfare il proprio bisogno rivaluta la situazione e verifica la presenza di nuovi
ed ulteriori bisogni. Essa è intrinseca all'individuo e non può essere indotta dall'esterno. Mediante interventi esterni si
riesce a sollecitarla o, al più, ad alimentarla.
E' fondamentale questa premessa perché chiarisce un concetto che fino a pochi anni fa non era mai stato preso in
considerazione: non esiste "motivazione indotta", esiste solo "auto motivazione".
Il concetto di "auto motivazione" venne presentato circa 10 anni fa al Forum mondiale HR ("Risorse Umane") dove,
annualmente, i Responsabili Risorse umane delle principali aziende globali si ritrovano per presentare le novità nella
gestione delle risorse umane. Si stabilì, al termine dei lavori, che: "La risorsa umana deve auto motivarsi perché non
solo l'azienda non è in grado di produrre "motivazione", ma anzi, molto spesso, è il primo elemento che provoca
demotivazione. Il clima aziendale, i cambi continui di mansioni, ruoli e di strategia generano stress e limitarsi a proporre
incentivi non basta a creare quel circolo virtuoso di cui la risorsa ha bisogno."
Per un commercialista l'elemento "azienda" può essere sostituito da: nuovi adempimenti; nuove scadenze; nuove
normative o nuove applicazioni di normative esistenti e soprattutto, nuovi compiti che poco hanno a che vedere con il
ruolo e le mansioni che, anni fa, l'avevano portato a intraprendere questa professione.
Aggiungiamo a questi elementi di stress, anche: una clientela che fatica sempre più a rispettare puntualmente i
pagamenti; difficoltà ad applicare tariffe corrette o nel riuscire a farsi pagare tutte le attività extra forfait; margini
operativi sempre più risicati; costi di struttura in aumento e una difficoltà ad acquisire nuovi clienti.
Tutto questo, negli ultimi anni, ha portato molti professionisti a manifestare una sempre più profonda insoddisfazione
verso la propria attività, proprio perché non la riconoscono più come tale.
Quindi, cosa fare?
3 cose: accettare il cambiamento; riscoprire il piacere dell'aggiornamento e crearsi la propria "isola felice".
Come fare?
Il mercato cerca sempre più degli specialisti? Mi specializzo. Ma lo faccio in qualcosa che mi piaccia, mi gratifichi
professionalmente, senza preoccuparmi dei ritorni economici. Quelli saranno una conseguenza, nel momento in cui il
mercato scoprirà che sono diventato uno specialista e anche bravo, perché lo farò con passione. L'obiettivo quotidiano,
con il tempo, diventerà quello di ritagliarmi il mio spazio per "approdare nella mia isola felice". Questi momenti di
serenità mi aiuteranno ad affrontare e superare meglio tutte le problematiche che la mia attività mi pone davanti. E
quando la mia specializzazione porterà anche dei ritorni economici (perché prima o poi questo accadrà), so che
nasceranno complicazioni e situazioni critiche, ma queste verranno superate con lo stress temporaneo della situazione,
non con quello stress latente, continuo che si ha quando si sta facendo qualcosa che non piace. Perché quello che sto
facendo, invece, mi piace. L'ho scelto io.
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