a cura di Roberto Gamba 28 Brescia: nuovo impianto natatorio luglio 2005 – novembre 2005 Il Comune di Brescia ha bandito un concorso per la progettazione preliminare, su un’area di sua proprietà, in località Mompiano, di un nuovo complesso natatorio, costituito da impianto coperto, dotato di vasche interne, tribuna spettatori da 1.000 posti e servizi, nonché da lido estivo con vasche esterne e attrezzature di carattere ludico e di svago, come previsto dal Piano Regolatore. Il progetto doveva essere articolato in modo da consentire la suddivisione, in fase attuativa, in due lotti funzionali. Il costo previsto è di euro 4.300.000. Per partecipare, i concorrenti dovevano possedere determinati requisiti relativi al fatturato professionale; all’espletamento di servizi di progettazione, di direzione lavori e contabilità, coordinamento sicurezza; al proprio personale tecnico utilizzato. La giuria era composta da Aurelio Galfetti, Claudio Marianini, Roberto Nalli, Enzo Ragni, Giovanni Ziletti. I premi sono stati di euro 30.000, 9.000, 4.500 e altri cinque del valore di 2.500 euro ciascuno. 1° classificato (foto 1-3) Camillo Botticini (Brescia), Francesco Craca, Arianna Foresti, Nicola Martinoli, Studio Montanari collaboratori: Michela Cibaldi, Paola Bettinsoli con lo spazio della strada, dove un accesso separato per giocatori e pubblico scava l’angolo, mostrando una loggia, mentre verso l’ingresso alle piscine coperte e al bar–centro fitness, l’erosione del volume apre una piccola piazza. Lo spazio aperto del lido e delle piscine esterne si lega con quello interno, caratterizzandosi come un parco, dove il piano verde si inclina secondo geometrie che ne enfatizzano i caratteri, permettendone un’agevole fruizione in rapporto all’esposizione al sole dei bagnanti, costituendo un’integrazione tra il disegno dei percorsi, dei piani verdi e degli specchi d’acqua. La logica che caratterizza il complesso sistema di luoghi destinati all’attività natatoria, ricerca una condizione di porosità, intesa quale integrazione tra piscine interne e lido attraverso l’utilizzo di patii e nel trattamento della copertura che valorizza al meglio la luce zenitale. La compattezza del sistema è contrapposta ad un’assoluta permeabilità, capace di dialogare 3 2° classificato Klaus Schuwerk (Napoli-Berlino), Giampiero Lagnese, SM Ingegneria srl (Claudio Modena), Itaca Spa (Roberto Bellucci Sessa) 3° classificato (foto 4-6) Franco Garbari (Brescia), Alessandro Barbieri, Giulia Saleri, Giovanni Dal Pozzolo, Edoardo Bignetti La composizione dei fronti deriva dall’utilizzazione dell’intera facciata sud-ovest come “muro di Trombe”, pelle permeabile agli infrarossi e muro interno accumulatore di calore ad alta inerzia termica; quindi elemento bioclimatico passivo. Le aree verdi e gli elementi naturali diventano parte integrante del progetto. Lo sviluppo su più piani è indispensabile per salvaguardare un’area esterna dimensionalmente insuf- 1 2 4 5 ficiente. Le pareti vetrate sono rivolte quasi tutte a nord-nordovest. Molti sono gli accorgimenti bioclimatici: i rilievi artificiali, inverditi con piante a foglie caduche; il terreno accostato ad alcune pareti, la consistente sporgenza della gronda e il “muro di Trombe”; i serramenti apribili, lungo tutto il perimetro delle vasche interne; la vetrata dell’ingresso posta in arretrato rispetto al corpo murario e i consistenti aggetti sopra di essa; la copertura della piscina apribile per la luce e la ventilazione; il giardino pensile sulla copertura; il verde e la superficie di evaporazione dell’acqua. 7 Edificio polifunzionale dell’Istituto zooprofilattico “Bruno Ubertini” di Brescia agosto – novembre 2005 Era richiesta la progettazione preliminare di un nuovo edificio polifunzionale, costituito da sala conferenze, locali di pertinenza, sala riunioni, uffici amministrativi e accessori, che potesse essere rappresentativo per l’ente banditore (Istituto zooprifilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, “Bruno Ubertini”) e consentire di ospitare convegni, corsi di formazione e giornate di studio. Era richiesta attenzione ai princìpi della biocompatibilità (alla salute delle persone) ed alla ecosostenibilità (risparmio di energia e risorse naturali).Il costo com- plessivo previsto per l’opera era di euro 3.680.000. Potevano partecipare progettisti in gruppo, dotati di requisiti di fatturato, di un’esperienza decennale in servizi di progettazione, di direzione lavori, contabilità, coordinamento sicurezza, di personale tecnico utilizzato. La commissione giudicatrice era composta da Paola Copeta, presidente, Gianfranco Matelloni, Francesco Pezzagno, Gaetano Bertolazzi, Davide Pedretti. Erano previsti premi di euro 24.000 per il vincitore; al secondo classificato euro 9.000; al terzo euro 7.000. 1° classificato (foto 7-8) Giulia de Appolonia (Pordenone) con Gabriele Del Mese (Arup srl), Gaetano Miccichè, Paolo Mestriner, Andrea Busi 135 metri, e fa da fondale ad un’area pubblica destinata a parco urbano tra via Bianchi e via Lamarmora: una sorta di “muro abitato” che sul fronte ovest permette la crescita di edera stagionale. Per quanto riguarda gli spazi aperti ed il parcheggio, si è scelta una soluzione che consente la convivenza tra il verde e la sosta dei veicoli: il parcheggio, arricchito da ampie zone d’erba, è ombreggiato da strutture metalliche a sostegno di rampicanti fioriti (glicine, gelsomino, bouganville). Il disegno del suolo, oltre a diventare uno degli elementi ordinatori di questa parte di città, si rende leggibile anche dagli edifici limitrofi. Il progetto sviluppa un edificio polifunzionale che ospita direzione, area amministrativa e tre spazi per conferenze distinti: una sala da 300, una da 80 e una da 50 posti. Il centro convegni è trattato come una struttura flessibile e trasformabile, a seconda delle esigenze, in una sala da 600 posti, in due da 300, o in quattro sale da 100. Il corpo uffici si presenta, invece, come una lunga “stecca” di 8 2° classificato (foto 9-11) Franco Garbari (Brescia) con Alessandro Barbieri, Giulia Saleri, Giovanni Dal Pozzolo, Edoardo Bignetti Il progetto ricerca una possibile integrazione con le aree verdi e gli spazi a giardino previsti dalla programmazione a scala urbanistica. L’integrazione compositiva è perseguita con le prospettive, ben diverse, di naturalità e con assi principali pedonali, che vengono separati dai flussi veicolari, evidenziati e resi coerenti con l’insieme. 9 L’intervento diventa un segno di discontinuità con l’esistente agglomerato ma, allo stesso tempo, elemento ordinatore del futuro verde pubblico, sul quale si apre con la massima permeabilità, chiudendosi invece, con una lunga collina alberata e fiorita, verso l’edificato esistente. Due edifici distinti, di tipologie diverse: uno per convegni/istruzione, l’altro per la funzione amministrativa/ricreativa. Volumi tipologicamente diversi per rispondere a esigenze e usi differenziati e autonomi, ma che si trovano sotto la stessa copertura, che li unifica nella diversità. 29 OSSERVATORIO CONCORSI 6 30 10 13 4° classificato Gianni Fornarini, Stefano Bulgaro, Pierfrancesco Derelli, Eugenio Fausti, Nevio Gamba, Fabio Gatti, Roberto Gringiani, Cristina Fornarini, Paola Testa, Fabrizio Malara 5° classificato Laboratorio di Ricerca Metropolitana (Manuel Lodi, Danilo Cupioli, Silvia Rizzo, Paola Pilotto), Studio Ferrari Brocajoli srl 6° classificato Piola Engineering srl, Studio Altieri srl, Giulio Altieri 7° classificato Luigi Fioramanti, Lenzi Consultant srl, Giancarlo Battista, Giulio Serafini, Maria Elena Fisicaro, Giovanni Mattia Urso, Gabriele Pugliesi 8° classificato Eugenio Sagliocca, Cantarelli Moro & Partners srl, ITECS srl, Tesis srl, Studio ass. Capriotti e Galli, Mariachiara Bonetti 11 3° classificato (foto 12-13) Camillo Botticini (Brescia), Franco Sangalli, Stefano Ferracini, Nicola Martinoli, Studio Montanari Viene superato il concetto di edificio isolato a favore di un sistema di spazi che definisca una realtà insediativa di riferimento dove l’architettura divenga un’occasione di natura non solo funzionale e formale, ma anche integrativa. Per ottenere questo risultato si è operato sui tre elementi fondamentali che rappresentano il sistema insediativo: la collocazione sul lato est del lotto di un limite fisico costi- tuito dal corpo da adibire a uffici. Secondo elemento dell’insieme è il corpo del Centro conferenze che esprime e sintetizza nella forma la propria funzione. Terzo elemento del sistema, importante per restituire una rinnovata condizione all’area, è la possibile interrelazione con il parco previsto tra via Lamarmora e gli edifici rivolti verso via S. Zeno. L’impianto è concepito come un insieme in cui i diversi elementi che lo compongono, pur mantenendo un’autonomia formale, nell’aggregarsi assumono un’articolazione spaziale ed architettonica dalla forte caratterizzazione identitaria e unitaria. 12 Brivio (Lc): sistemazione della “Tromba di Beverate” maggio 2005 (iscrizione) novembre 2005 (esito) La “Tromba”, una piccola vasca di raccolta delle acque dell’antico pozzo, è stata una delle principali fonti di approvvigionamento di acqua fino agli anni ’60 per gli abitanti di Beverate (frazione di Brivio). Il suo particolare funzionamento è stato sostituito negli anni ’70 da un semplice rubinetto, tutt’oggi collegato e rifornito dall’acquedotto comunale. Con questo concorso di progettazione è stata chiesta una proposta per la realizzazione di un nuovo alloggiamento dell’antica vasca, per darle valore come luogo di approvvigionamento dell’acqua, ma anche come luogo d’incontro e di socializzazione. La spesa massima per la realizzazione è stata fissata in euro 17.000. In considerazione del fatto che il tema di progetto non è esclusivamente architettonico, è stato obbligatorio il coinvolgimento nei gruppi di lavoro di artisti. È stata richiesta una tavola in formato A1. La giuria era composta da: Ugo Panzeri, Roberto Bonfanti, Marco Manzoni, Aldo Consonni, Giovanni Casati, Sergio Fumagalli, Giuseppe Riva, Silvano Mariani, Enrico Sesana. I premi sono stati di 4.500, 1.000 e 500 euro. Il bando è stato redatto in conformità con il “Decalogo dei Concorsi” approvato dall’Assemblea dei Presidenti degli Ordini degli Architetti lombardi. Terzo classificato è risultato Rodolfo Sicilia, con Francesco Gemelli; segnalato il progetto di Paola Mencacci, con Tonino Mattioli, Gabriele Troisi, Tonino Bucciarelli. Anche se la fontana è già stata spostata in passato, ora si è voluto mantenerla nell’attuale sito, asimmetrico rispetto all’accenno di ninfeo. Questo per il fatto che oggi viene vissuta come storica la posizione attuale. Si è, quindi, enfatizzata la mancanza di simmetria tra il ninfeo e il muro di recinzione e tra la fontana e il ninfeo. Sedute di forma linearmente degradante sono state collocate lateralmente alla fontana come completamento. È stato realizzato un getto d’acqua a forma di lama che cade nel bacino in pietra, scorrendo su un piano inclinato fissato all’interno del muro. Il muro alle spalle della fontana è stato sagomato in modo da ricavare un vuoto che riprende la forma del suo contorno. Si è ricavata la sagoma del “riflesso” svuotando il muro e ponendo la fontana sotto-sopra: l’acqua esce dal riflesso per entrare nel catino della fontana. A completamento del ninfeo viene sostituita una parte della recinzione metallica, con muratura della stessa tipologia dell’esistente. Una leggera copertura definisce il volume impegnato dalla fontana e dalla pertinente zona in cui le persone possono vivere il luogo. 2° classificato (foto 17-19) Mattia Colombo (Lecco), Bruno Cesana collaboratori: Barbara Dell’Oro, Maurizio Romanò (collaboratore-artista), Moreno Marrazzo La vasca esistente viene affiancata, ai lati, da tre copie identiche realizzate in rame, le cui lente, costanti e progressive modificazioni cromatiche sottolineano, con la loro ripetizione, la forma e la funzione della fontana originaria. Le quattro vasche sono accolte nella concavità attualmente in essere; questa viene rivestita con cemento lisciato, scandito da fughe, che di notte diventano gli elementi che illuminano l’installazione. La veletta viene rimossa: in questo modo è possibile “riprendere” in altezza la concavità esistente, al fine di segnalare verticalmente l’intervento. Una quinta, realizzata in calcestruzzo colorato in pasta con toni rosa chiaro, segue per un tratto l’arco che costituisce il limite dell’area d’intervento, identificato e marcato da un bindero di porfido a lastre. Questo setto, leggermente arcuato, oltre a delimitare lateralmente il fronte dell’intervento, individua quasi una porta d’ingresso alla “Tromba” e protegge l’area dal flusso veicolare più intenso. 14 17 18 19 15 16 31 OSSERVATORIO CONCORSI 1° classificato (foto 14-16) David Sotomayor (Torino), Francesco Cottone, Alberto Samarotto, Emiliano Coccolo 32 Lo spirito catturato della fabbrica Guido Morpurgo (a cura di) Progetto Bicocca. Headquarter Pirelli Real Estate Skira, Milano, 2005 pp. 154, € 36,00 Il quarto volume dei “Quaderni della Bicocca” è dedicato alla sede generale della Pirelli R.E., l’edificio progettato da Gregotti Associati che segna simbolicamente il compimento del ventennale processo di trasformazione della grande area industriale milanese. Un progetto emblematico per la sua capacità di riassumere l’intero intervento urbano di cui è caposaldo, traducendo in architettura la strategia di piano che fonda il disegno del nuovo insediamento sulle tracce del vecchio. Un edificio sorprendente, risultato di una sofisticata operazione architettonica che ha portato a includere nel corpo del nuovo “quartier generale” della Pirelli un componente vitale della fabbrica sottratto al decadimento della sua funzione tecnica per vigilare, come lo spirito antico di un antenato, sull’area rigenerata. Il libro, costruito con un raffinato montaggio di testi e immagini da Guido Morpurgo (autore, tra l’altro, del volume Gregotti Associati 1953-2003, Rizzoli-Skira 2004) assume l’Headquarter come punto di vista per rivisitare la complessa vicenda del Progetto Bicocca ma va ben oltre l’oggetto specifico della sua trattazione. Superando l’im- postazione più compassata dei volumi precedenti, propone un’approfondita riflessione critica a più voci lungo i diversi sentieri tematici che intorno all’opera si intrecciano. In apertura il saggio di Salvatore Veca registra il trasferimento di valori operato dal progetto e pone in termini filosofici la questione del rapporto tra persistenza e metamorfosi, che forma l’asse concettuale delle pagine successive. La ricostruzione dello “stato di fatto” è affidata alla descrizione della Bicocca abbandonata di Reyner Banham (1986), alla rievocazione dei “paesaggi urbani” di Sironi, e ad una ricca rassegna antolo- gica che scava nella memoria della Milano industriale e del suo declino. Tra gli autorevoli contributi spiccano i commenti ispirati degli amici architetti. In modi diversi Ungers, Bohigas, Snozzi, Siza, Ciriani, Purini e Piano interpretano i molteplici significati associati alla “cattura” della vecchia torre evaporativa rimisurata nel nuovo volume cartesiano, richiamando i riferimenti architettonici della figura morfologica finale. L’ampia analisi critica è integrata da una sequenza di testimonianze degli architetti e degli ingegneri che hanno preso parte alle diverse fasi del progetto e all’evento della sua realizzazione. Ne traspare l’ostinata ricerca di sintesi e coerenza tecnica che ha consentito di dare sostanza ed esattezza all’idea iniziale verificandone la tenuta nel corso del tempo. Carlo Alberto Maggiore Una terra di “produttiva bellezza” Marida Brignani, Luciano Roncai, Luigi Briselli Un giardino nell’Europa. La provincia di Cremona Delmiglio, Persico Dosimo (Cr), 2005 pp. 320, € 55,00 Il suggestivo titolo del libro si ispira al pensiero dei riformatori milanesi del “Caffè” che avevano ipotizzato la trasformazione della pianura lombarda in una “sequenza ininterrotta di giardini”, ovvero di luoghi capaci di unire valore estetico e funzione produttiva. In effetti, il termine “giardino” ben si adatta al territorio agricolo Cremonese, che con la regolare geometria delle sue campagne e la sua “utile bellezza” ha tanto affascinato i visitatori stranieri (persino Thomas Jefferson). Delimitato dal tracciato di tre importanti fiumi come Po, Adda e Oglio, il Cremonese è però un “immenso deposito di fatiche”, come scriveva Cattaneo nel XIX sec., che “per nove decimi non è opera della natura; è opera delle nostre mani”. A partire dall’antica trama centuriale disegnata dai Romani, si sono via via innestati i successivi interventi di antropizzazione e infrastrutturazione del territorio secondo parametri razionali intrinsechi alle condizioni morfologiche del territorio. È il caso, ad esempio, della fittissima rete dei canali di irrigazione e delle molteplici tecniche di gestione delle acque, “patrimonio tipico della cultura lombarda”, ricorda Luciano Roncai, o del sistema viario, coerentemente incardi- nato al reticolo delle acque. Tutte opere realizzate grazie anche a un particolare regime di proprietà fondiaria vigente fin dal Medioevo e talmente efficace da non essere modificato nemmeno dal governo napoleonico e austriaco. Dall’Ager Cremonensis ad oggi, il testo ci porta alla scoperta di una delle poche aree d’Europa in cui, scrive Marida Brignani, il paesaggio agrario “si è autodifeso, conservando una struttura antichissima, stratificata e perfettamente leggibile”, senza rinunciare a una equilibrata modernizzazione. Gli autori accolgono una “pluralità di sguardi” per offrire una “visione stereoscopica” quanto più fedele alla complessità del reale, ritrovando, così, capitoli “ufficiali” della storia (dagli studi di Leonardo sull’Adda alle moderne opere idrauliche come lo stabilimento di San Matteo delle Chiaviche del Portaluppi) e cronache “minori” (come l’ingegnosa tecnica contadina della marcita o la funzionale organizzazione delle antiche ville e cascine, simile al modello veneto). La raffinata e curatissima edizione valorizza bene le splendide fotografie di Luigi Briselli, coautore, a pieno titolo, del volume. Sonia Milone Lingua e architettura Adrian Forty Parole e edifici. Un vocabolario per l’architettura moderna Pendragon, Bologna, 2005 pp. 362, € 32,00 Il sottotitolo Un vocabolario per l’architettura moderna riassume, in poche parole, il senso di questo studio che si concentra sul- un discorso teorico, così come di un’opera architettonica (Viollet le Duc e Quatremère de Quincy, i più importanti), l’autore sceglie alcuni termini, quelli utilizzati più frequentemente dalla critica “modernista”, e li analizza a partire dal senso che essi hanno assunto nel corso della storia per arrivare a spiegarne il significato odierno. Ed è forse, proprio in quest’ultima parte che è facile capire quanto le parole e la costruzione del progetto si completino e compenetrino vicendevolmente, quanto cioè la lingua non possa essere pensata come un ente accessorio all’architettura. Martina Landsberger Album Milano AA. VV. Milano Architettura città e paesaggio Mancosu, Roma 2006 pp. 192, € 6,00 a quella moderna. In questo itinerario i personaggi con cui ci si imbatte sono rappresentati da alcune parole chiave – maschile, femminile, disegno, forma, ecc. – che sono state utilizzate per descrivere le opere di ogni tempo. La parola, la lingua, in questo viaggio è la protagonista in quanto, diversamente dal disegno comprensibile solo da pochi, risulta accessibile a tutti. Infatti, per citare Lewis Carroll, ogni parola viene utilizzata per il preciso significato che le è stato attribuito: “significa esattamente quello che ho scelto di farle significare”. Lo studio di Forty, comprende però, oltre a questo particolare viaggio nel parlare e nello scrivere, anche una sorta di dizionario. A partire, sicuramente, dalla conoscenza e dallo studio delle precedenti opere che si sono cimentate con la definizione dei termini utili alla costruzione di Con questo bel volume tascabile e popolare si può percorrere e scoprire la storia, gli episodi della vita “moderna” della nostra città, le relazioni del tempo e dei luoghi. Come si fa per avvicinarsi ad uno scrittore attraverso le immagini raccolte negli “album” della Pleiade. È raccolta qui una “storia” raccontata da figure che può ben completare la serie essenziale di testi e di guide su Milano. Un libretto da raccomandare ai visitatori più colti, come ai più distratti lettori di fumetti o cacciatori di icone, sicuramente indispensabile agli architetti e agli studenti. Si tratta in primo luogo di una serie di immagini di riferimento che si articola in schede per temi e periodi dal XIV al XXI secolo. Una scelta che indica la necessità di soffermarsi sui caratteri originari della forma della città e del territorio, dal suo immaginario, testimoniati dalle tracce permanenti nell’edificato, per potere dare un giudizio sul tempo presente e sulla forma della città. Per poterne dare ragione. Un giudizio partigiano sintetizzato nella pianta del progetto del Pistocchi per la piazza del Duomo che apre il testo. Ma non mancano sette itinerari per anda- re a zonzo fra gli edifici moderni. E poi ci sono delle schede che provano a descrivere la modificazione più recente, non tanto quella dei progetti in corso, ma quella degli usi che hanno mutato la città e l’architettura dall’interno. Né manca una chiosa fuori sacco sulle riscritture del restauro... E altro ancora. Tutto ciò nel tentativo di uscire da un’impasse ben descritta da un piccolo scritto di De Carlo che interrompe la narrazione laddove il Beruto delinea il suo piano nel testo. Sembrerebbe un po’ troppo per un libretto così piccolo ma non mi pare proprio vista la chiarezza minimalista del risultato, la confusione e la poca generosità editoriale che ci circonda. Giulio Barazzetta Storie di colori Manlio Brusatin Colore senza nome Marsilio, Venezia, 2006 pp. 164, € 18,00 Manlio Brusatin torna, dopo più di venti anni dalla pubblicazione della sua Storia dei colori, sull’argomento cromatico. Là l’indagine era anche rivolta all’aspetto materiale dei colori, quale saluto al “ritorno alla pittura”, qui il ragionamento del critico si fa ancora più ampio e riguarda in generale i rapporti con l’arte: “Il colore ci parla di come è e di come sarà fatta l’arte, anche se essa non ha ancora un nome per quello che sarà”. Il discorso si riferisce ad una concezione estensiva dell’arte stessa, evidenziando l’incertezza delle sue differenti definizioni che potranno forse utilizzare proprio il colore quale comune campo di azione. Dal nero lezione di tenebre, Arte abissale, L’uomo dei colori, Il colore cieco, Un colore mai visto, Colori supplementari sono i capitoli in cui il libro è strutturato. La presentazione Storia dell'uomo dei colori, in forma di racconto breve, e il saggio conclusivo Per un’arte senza nome, sorta di manifesto critico, costituiscono gli estremi della sua composizione. Libro non facile poiché, in costante oscillazione fra vari campi del sapere, dalla filosofia, all'estetica, alla storia dell’arte e a tratti riferito alla stessa opera complessiva di Brusatin, propone, in questa ricchezza di riferimenti e aperture tematiche suscitati dal tema del colore, la sua più evidente caratteristica. Fonte continua di suggestioni, il libro affronta la questione del colore in termini complessi sostenendo con forza argomentativa come “il colore non viene dopo la forma né è un effetto del movimento, ma trascina la forma e il movimento, rendendo tali movimento e forma, oltre che rendendosi tale”. Dopo una lunga cromofobia, “da parti opposte sia dalle tecniche del restauro che dal colore pubblicitario del design, il colore ha ripreso il suo corpo e la sua immagine, quasi esageratamente”, conclude Brusatin in un passaggio riferibile anche alla stessa architettura, in cui la questione del colore non sembra sempre essere oggetto di una riflessione particolarmente approfondita. Maurizio Carones 33 OSSERVATORIO LIBRI l’analisi della “lingua” – e non del linguaggio – dell’architettura. L’ipotesi da cui parte Adrian Forty, professore di Storia dell’Architettura presso la Barlett School of Architecture, University College di Londra, è che esista una relazione tra architettura e lingua, che, in sostanza, le parole che vengono utilizzate per parlare dell’architettura la descrivano tanto precisamente da influenzare il nostro modo di leggere e pensare l’edificio. A riprova di questa teoria, l’autore compie una sorta di viaggio attraverso temi e questioni che hanno contraddistinto “il linguaggio, scritto e parlato” dell’architettura, da quella classica a cura di Sonia Milone 34 Good luck architecture! Good N.E.W.S. Milano, Palazzo della Triennale viale Alemagna 6 16 maggio – 20 agosto 2006 Good N.E.W.S. è la complessa e coraggiosa avventura che inaugura la terza edizione della “Festa per l’architettura” presso la Triennale di Milano: gli interrogativi formulati da Philippe Daverio accompagnano il percorso informale, spettacolare e colto, ideato dai curatori, Fulvio Irace e Italo Rota con la collaborazione di Fausto Colombo e Luciano Patetta. L’esposizione, rutilante di suggestioni antiche e contemporanee, è animata dalla volontà di stupire ogni tipo di pubblico – dai conoscitori ai non specialisti – e coinvolgerlo nelle problematiche dell’architettura, riaffermando la centralità dell’uomo, osservatore e artefice del mondo che lo circonda. Muovendosi dalla convinzione che edifici e città vanno conosciuti “dal vivo”, i curatori hanno selezionato un migliaio di immagini che, coadiuvate da modelli, strumenti, trattati, oggetti di design e installazioni, invitano il visitatore a cercare una risposta ai quesiti che affollano ogni sala, ordinata per temi, senza distinzioni cronologiche. Che cos’è l’architettura, qual è la sua origine, come la si comunica? Otto ambienti rappresentano la condensazione di tali domande e delle loro possibili risposte, a partire dalla “sala delle proporzioni”, sinonimo di un ordine che si raccorda al corpo umano, per arrivare alla “sala dei ritratti degli architetti”, uomini che aspirano demiurgicamente a creare un ordine nel caos. A conferma di questa necessità, il titolo della mostra: Good N.E.W.S. che unisce l’auspicio di fruttifere stagioni architettoniche all’acronimo dei segni cardinali, north, east, west, south, che orientano e quindi danno ordine al progetto architettonico. Immagini di edifici e di città, frammenti visivi della realtà colti dai fotografi Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, Paolo Rosselli, si confrontano con le loro miniature evocate dai servizi da te e caffé di Aldo Rossi per Alessi. Intorno sfilano le “architetture” contenitive e illustrative dei temi che animano le diverse sale, come lo studiolo ligneo associato alle proporzioni, la tenda in acciaio per le origini, la struttura in giunco per la casa e la torre in acciaio di Alessandro Mendini. Le immagini appese alle pareti si sollevano per fare luce su ulteriori interrogativi o altre possibili risposte e costituiscono un preludio al Manipolo di Fausto Colombo, che permette di lavorare direttamente su immagini digitali, spostandole e ingrandendole virtualmente. È una mostra interattiva che addolcisce, dietro un’immagine vivace e brillante, la difficoltà del rigoroso lavoro intellettuale sotteso. Maria Teresa Feraboli Figura e persuasione Il Medioevo delle Cattedrali Parma, Salone delle scuderie in Pilotta 9 aprile – 16 luglio 2006 Curata da Arturo Carlo Quintavalle, in occasione dei 900 anni dalla consacrazione della cattedrale di Parma, si apre nel palazzo della Pilotta una grande mostra sulla architettura, scultura, pittura, mosaico, miniatura delle cattedrali fra secolo IX e secolo XII. L’esposizione riunisce eccezionalmente una sequenza straordinaria di oltre 100 opere, molte delle quali mai uscite dalle loro sedi e non poche del tutto inedite. Ad essere raccontata attraver- re, a fissare i fedeli con gli occhi spalancati e le sue brillanti pupille di metallo, nell’imposizione di un intenso, impressionante dialogo a distanza. Amanzio Farris Magritte a Como René Magritte. L’impero delle luci Como, Villa Olmo via Cantoni 1 24 marzo – 16 luglio 2006 so questi capolavori è la storia delle generazioni che portarono avanti, durante la riforma Gregoriana, la più grande trasformazione di modelli e di racconto della Chiesa di Roma. Nel duro confronto allora in atto tra Chiesa e Impero, fu infatti assegnato alle forza dell’immagine il compito strategico della persuasione di un intero popolo di fedeli che non sapeva leggere. Le figurazioni di un fascino strano, barbarico, i mostri bizzarri e grandiosi, l’aspra decorazione impostata sulle dimensioni di architetture possenti: una straordinaria offensiva della persuasione, appunto, sostanziata nella dura pietra da artisti animati da una fede ardente, come Wiligelmo o Nicholaus, con le loro officine e i loro collaboratori. E se nelle opere può risultare grottesco qualche aspetto – per l’accentuazione tipica del modo romanico di gesti umani tanto espliciti da sembrare caricaturali – questa rude, quasi elementare grammatica figurativa – sembra proprio costituire il segreto della loro sublime, terribile eloquenza. Interrogandoci, infine, se e in quale misura quest’arte abbia compiuto gli obiettivi emozionali che ne costituivano la grandiosa premessa, una risposta potrebbe esserci suggerita dall’imponente Cristo Crocifisso ligneo proveniente da S. Savino di Piacenza, che possiamo immaginare con la sua enorme, tesa figura sospesa al di sopra dell’alta- Con una media giornaliera di oltre mille visitatori, la mostra dedicata a Magritte si appresta a superare il successo ottenuto dalle due precedenti esposizioni dedicate a Miró e Picasso, confermando l’importanza che Como, in soli tre anni, ha assunto nell’ambito del circuito degli appuntamenti d’arte. Ospitato nelle suggestive sale della settecentesca Villa Olmo, l’evento è stato organizzato dall’Assessorato alla Cultura del Comune in collaborazione con la Fondation Magritte e i Musées Royaux des Beaux Arts di Bruxelles. Il titolo della mostra deriva da una delle opere esposte, il celebre Impero delle luci del 1961, dove il paesaggio notturno di una casa con le finestre illuminate contraddice un cielo in pieno giorno, creando un’atmosfera di inquietante sospensione che realizza perfettamente, anche nella scelta del titolo, la volontà di Magritte di impedire di situare i suoi quadri “in una regione rassicurante”. Artista unico, ha indagato come pochi altri la crisi dei linguaggi moderni (Ceci n’est pas une pipe: Sonia Milone Città senza architettura Metropolitanscape. Paesaggi urbani nell’arte contemporanea Torino, Palazzo Cavour 31 marzo – 2 luglio 2006 L’architettura sembra aver definitivamente abbandonato la scena del paesaggio urbano. Se nella veduta della città antica e moderna l’architettura era assoluta protagonista (da Piero della Francesca a Canaletto, fino al vedutismo tardo settecentesco, il paesaggio urbano è il ritratto, reale o ideale, dell’architettura del suo tempo), già nelle vedute urbane del tardo ’800 e del ’900, l’architettura è una presenza sfuggente, che lascia spazio al movimento, alle tensioni e alle contraddizioni della città industriale (che cresce, sale, perde il centro e lo ritrova altrove, dall’impressionismo al futurismo, dall’espressionismo alla metafisica), fino a scomparire quasi del tutto nella rappresentazione della città metropolitana contemporanea. Il paesaggio urbano di oggi, nella scelta dei curatori, sembra aver perso ogni interesse per la città come fatto architettonico in sé, capace di suscitare sentimenti estetici ed emozioni, per ritrarre una realtà mutevole, informe e discontinua, come scena in cui si dibattono le inquietudini dell’uomo di oggi. La mostra si costruisce sull’assenza dell’architettura e sulle tensioni che da questa assenza sono generate: costruzione-distruzione (A. Rainer, F. Thiel); realtà-sogno (N. De Maria, F. Melotti, I. Kabakov); luciombre (L. Kim e M. Wesley, G. Matta-Clark); frammentarietàtotalità (M. Mullican); identitàestraneità (V. Export, A. Fridel, D. Spaziani); sono le dicotomie su cui si sviluppa e cresce quel senso di spaesamento che sembra essere il segno della città contemporanea, senza differenze di tempo e di luogo (D. Graham, S. Naim, P. Blake, F. Jodice). L’architettura è solo memoria, testimonianza del passato (B. e H. Becker, T. Ruff, T. Struth, A. Gursky), oppure è altro da sé (Christo, M. Merz), mentre entrano a far parte della rappresentazione materiali sensibili, ma invisibili all’occhio, planime- trie, stradari, mappe, mappamondi, reali o mentali (Gilbert & George, G. Kuitka, W. Kentridge, T. Hirschhorn, M. Pistoletto). Unica eccezione la torre, cui è dedicata una ricca e suggestiva sezione: una sorta di icona del paesaggio urbano globale da Babele alle torri gemelle (T. Cragg, R. Fetting, E. Allchurch, M. Bajevic). Tutti i linguaggi sono presenti (fotografia, video, pittura, scultura, installazioni e ogni forma di contaminazione) con opere talvolta assai poco “paesaggistiche”, ma di inquietante bellezza. Silvia Malcovati Paolo Portoghesi a Vicenza Paolo Portoghesi architetto. Natura e storia. Omaggio a Palladio Vicenza, Basilica Palladiana piazza delle Erbe 22 aprile – 25 giugno 2006 “Una teca preziosa che racchiude la modernità, rispettando la mia passione per l’Umanesimo e la curiosità che è sempre alla base della mia creazione artistica”. Così Paolo Portoghesi definisce la Basilica Palladiana di Vicenza che ospita la mostra con la quale l’architetto romano si racconta. Accolti da una musica d’organo, la prima sensazione è di entrare all’interno dello strumento stesso, le cui canne sono simulate da tubi di cartone bianco modulati in altezza; successivamente ci si rende conto che l’ambiente ricreato corrisponde ad una chiesa, la Chiesa del Redentore di Venezia, un esplicito omaggio a Palladio, con cui Paolo Portoghesi condivide la nozione d’armonia delle forme architettoniche. Questa scelta, oltre a dare una centralità ad uno spazio longitudinale, articola il percorso espositivo in diverse sezioni tematiche: l’abside è costituita dai pannelli illustrativi; nella navata centrale sono disposti i modelli; le vetrine laterali, come piccole edicole, raccolgono i disegni, i libri e gli oggetti “di design”; ai quattro angoli della sala sono proiet- tate le sue foto di viaggio e sequenze di schizzi selezionati. Il ritratto di Paolo Portoghesi che ne emerge è quello di una personalità poliedrica: architetto, storico, teorico, animatore, fotografo. La sua esperienza trentennale, raccontata attraverso settanta opere e numerose fotografie che svelano la sua attenzione per le linee e le forme degli archetipi naturali, è finalizzata alla ricerca di un equilibrio tra architettura, natura e storia. La stessa ricerca si può riscontrare in questa esposizione, dove l’attenzione alla proporzione tra involucro e allestimento, modulazione spaziale e riferimenti storici, testimoniano ancora una volta il metodo progettuale dell’architetto romano. Un’armonia che viene completata sia dalla musica sia dall’illuminazione, nella quale la luce naturale e quella artificiale si integrano perfettamente. Ogni modello è illuminato da faretti alogeni, mentre lampadari circolari giganti, sospesi al soffitto, richiamano la luce diffusa di un luogo sacro, cui tutto il modello spaziale fa riferimento. Maria Chiara D’Amico 35 OSSERVATORIO MOSTRE M. Foucault ci scriverà un libro), lo sdoppiamento fra realtà e rappresentazione, l’evaporare del mondo dietro a segni che non sono più in grado di “affermare”. In questo senso, il suo è un Surrealismo sui generis, che non mira a liberare le pulsioni dell’inconscio, ma ad analizzare le strutture della visione: le sue opere sono sguardi gettati sul limite, sul punto estremo di non ritorno della rappresentazione occidentale, al confine fra senso e non senso, logicità e illogicità, verità e falsità. È stato maestro insuperato nel declinare in modi sempre sorprendenti la tecnica della “dislocazione”, che consiste, come lui stesso ha spiegato in una conferenza del 1938, nel “far urlare il più possibile gli oggetti più familiari”, grazie allo “choc provocato dall’incontro di oggetti estranei fra loro”. Così ecco apparire lungo il percorso espositivo della mostra la sua ricca ricerca di spostamenti a catena, incroci semantici e destabilizzazioni varie di ogni legge di congruenza rispetto al reale, che conduce lo spettatore in un universo enigmatico e affascinante fatto di rocce che volano a dispetto della gravità; di mutamenti innaturali di scala; di dispositivi ottici (specchi, quadri, finestre, ombre) che tradiscono anziché rifare il doppio; ecc. Ogni visione è un sogno e potrebbe svanire all’improvviso...