a cura di Roberto Gamba
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Brescia: nuovo impianto natatorio
luglio 2005 – novembre 2005
Il Comune di Brescia ha bandito un concorso per la progettazione preliminare, su un’area di
sua proprietà, in località Mompiano, di un nuovo complesso
natatorio, costituito da impianto
coperto, dotato di vasche interne, tribuna spettatori da 1.000
posti e servizi, nonché da lido
estivo con vasche esterne e attrezzature di carattere ludico e
di svago, come previsto dal Piano Regolatore.
Il progetto doveva essere articolato in modo da consentire la
suddivisione, in fase attuativa,
in due lotti funzionali. Il costo
previsto è di euro 4.300.000.
Per partecipare, i concorrenti
dovevano possedere determinati requisiti relativi al fatturato professionale; all’espletamento di
servizi di progettazione, di direzione lavori e contabilità, coordinamento sicurezza; al proprio
personale tecnico utilizzato.
La giuria era composta da
Aurelio Galfetti, Claudio Marianini, Roberto Nalli, Enzo Ragni,
Giovanni Ziletti. I premi sono stati
di euro 30.000, 9.000, 4.500 e
altri cinque del valore di 2.500
euro ciascuno.
1° classificato (foto 1-3)
Camillo Botticini (Brescia),
Francesco Craca, Arianna
Foresti, Nicola Martinoli,
Studio Montanari
collaboratori: Michela Cibaldi,
Paola Bettinsoli
con lo spazio della strada, dove
un accesso separato per giocatori e pubblico scava l’angolo,
mostrando una loggia, mentre
verso l’ingresso alle piscine
coperte e al bar–centro fitness,
l’erosione del volume apre una
piccola piazza.
Lo spazio aperto del lido e delle
piscine esterne si lega con quello interno, caratterizzandosi come
un parco, dove il piano verde si
inclina secondo geometrie che
ne enfatizzano i caratteri, permettendone un’agevole fruizione in rapporto all’esposizione al
sole dei bagnanti, costituendo
un’integrazione tra il disegno dei
percorsi, dei piani verdi e degli
specchi d’acqua.
La logica che caratterizza il complesso sistema di luoghi destinati all’attività natatoria, ricerca una
condizione di porosità, intesa
quale integrazione tra piscine
interne e lido attraverso l’utilizzo
di patii e nel trattamento della
copertura che valorizza al meglio
la luce zenitale.
La compattezza del sistema è
contrapposta ad un’assoluta permeabilità, capace di dialogare
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2° classificato
Klaus Schuwerk (Napoli-Berlino), Giampiero Lagnese,
SM Ingegneria srl (Claudio Modena), Itaca Spa (Roberto
Bellucci Sessa)
3° classificato (foto 4-6)
Franco Garbari (Brescia),
Alessandro Barbieri, Giulia
Saleri, Giovanni Dal Pozzolo,
Edoardo Bignetti
La composizione dei fronti deriva dall’utilizzazione dell’intera
facciata sud-ovest come “muro
di Trombe”, pelle permeabile agli
infrarossi e muro interno accumulatore di calore ad alta inerzia
termica; quindi elemento bioclimatico passivo. Le aree verdi
e gli elementi naturali diventano
parte integrante del progetto. Lo
sviluppo su più piani è indispensabile per salvaguardare un’area
esterna dimensionalmente insuf-
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ficiente. Le pareti vetrate sono
rivolte quasi tutte a nord-nordovest. Molti sono gli accorgimenti bioclimatici: i rilievi artificiali, inverditi con piante a foglie
caduche; il terreno accostato
ad alcune pareti, la consistente
sporgenza della gronda e il
“muro di Trombe”; i serramenti
apribili, lungo tutto il perimetro
delle vasche interne; la vetrata
dell’ingresso posta in arretrato
rispetto al corpo murario e i consistenti aggetti sopra di essa; la
copertura della piscina apribile
per la luce e la ventilazione; il
giardino pensile sulla copertura;
il verde e la superficie di evaporazione dell’acqua.
7
Edificio polifunzionale dell’Istituto
zooprofilattico “Bruno Ubertini” di Brescia
agosto – novembre 2005
Era richiesta la progettazione
preliminare di un nuovo edificio
polifunzionale, costituito da sala
conferenze, locali di pertinenza,
sala riunioni, uffici amministrativi
e accessori, che potesse essere rappresentativo per l’ente
banditore (Istituto zooprifilattico
sperimentale della Lombardia e
dell’Emilia Romagna, “Bruno
Ubertini”) e consentire di ospitare convegni, corsi di formazione e giornate di studio. Era
richiesta attenzione ai princìpi
della biocompatibilità (alla salute delle persone) ed alla ecosostenibilità (risparmio di energia
e risorse naturali).Il costo com-
plessivo previsto per l’opera era
di euro 3.680.000.
Potevano partecipare progettisti in gruppo, dotati di requisiti
di fatturato, di un’esperienza
decennale in servizi di progettazione, di direzione lavori, contabilità, coordinamento sicurezza, di personale tecnico utilizzato. La commissione giudicatrice era composta da Paola
Copeta, presidente, Gianfranco
Matelloni, Francesco Pezzagno, Gaetano Bertolazzi, Davide Pedretti.
Erano previsti premi di euro
24.000 per il vincitore; al secondo classificato euro 9.000; al
terzo euro 7.000.
1° classificato (foto 7-8)
Giulia de Appolonia
(Pordenone)
con Gabriele Del Mese
(Arup srl), Gaetano Miccichè,
Paolo Mestriner, Andrea Busi
135 metri, e fa da fondale ad
un’area pubblica destinata a
parco urbano tra via Bianchi e
via Lamarmora: una sorta di
“muro abitato” che sul fronte
ovest permette la crescita di
edera stagionale. Per quanto
riguarda gli spazi aperti ed il parcheggio, si è scelta una soluzione che consente la convivenza
tra il verde e la sosta dei veicoli:
il parcheggio, arricchito da ampie zone d’erba, è ombreggiato
da strutture metalliche a sostegno di rampicanti fioriti (glicine,
gelsomino, bouganville).
Il disegno del suolo, oltre a diventare uno degli elementi ordinatori di questa parte di città, si
rende leggibile anche dagli edifici limitrofi.
Il progetto sviluppa un edificio
polifunzionale che ospita direzione, area amministrativa e tre
spazi per conferenze distinti:
una sala da 300, una da 80 e
una da 50 posti.
Il centro convegni è trattato
come una struttura flessibile e
trasformabile, a seconda delle
esigenze, in una sala da 600
posti, in due da 300, o in quattro sale da 100.
Il corpo uffici si presenta, invece, come una lunga “stecca” di
8
2° classificato (foto 9-11)
Franco Garbari (Brescia)
con Alessandro Barbieri,
Giulia Saleri, Giovanni Dal
Pozzolo, Edoardo Bignetti
Il progetto ricerca una possibile
integrazione con le aree verdi e
gli spazi a giardino previsti dalla
programmazione a scala urbanistica.
L’integrazione compositiva è perseguita con le prospettive, ben
diverse, di naturalità e con assi
principali pedonali, che vengono
separati dai flussi veicolari, evidenziati e resi coerenti con l’insieme.
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L’intervento diventa un segno di
discontinuità con l’esistente agglomerato ma, allo stesso tempo,
elemento ordinatore del futuro
verde pubblico, sul quale si apre
con la massima permeabilità,
chiudendosi invece, con una
lunga collina alberata e fiorita,
verso l’edificato esistente. Due
edifici distinti, di tipologie diverse:
uno per convegni/istruzione, l’altro per la funzione amministrativa/ricreativa. Volumi tipologicamente diversi per rispondere a
esigenze e usi differenziati e
autonomi, ma che si trovano sotto la stessa copertura, che li unifica nella diversità.
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OSSERVATORIO CONCORSI
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4° classificato
Gianni Fornarini, Stefano Bulgaro, Pierfrancesco Derelli,
Eugenio Fausti, Nevio Gamba, Fabio Gatti, Roberto Gringiani,
Cristina Fornarini, Paola Testa, Fabrizio Malara
5° classificato
Laboratorio di Ricerca Metropolitana (Manuel Lodi, Danilo
Cupioli, Silvia Rizzo, Paola Pilotto), Studio Ferrari Brocajoli srl
6° classificato
Piola Engineering srl, Studio Altieri srl, Giulio Altieri
7° classificato
Luigi Fioramanti, Lenzi Consultant srl, Giancarlo Battista, Giulio Serafini, Maria Elena Fisicaro, Giovanni Mattia Urso,
Gabriele Pugliesi
8° classificato
Eugenio Sagliocca, Cantarelli Moro & Partners srl, ITECS srl,
Tesis srl, Studio ass. Capriotti e Galli, Mariachiara Bonetti
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3° classificato (foto 12-13)
Camillo Botticini (Brescia),
Franco Sangalli, Stefano
Ferracini, Nicola Martinoli,
Studio Montanari
Viene superato il concetto di
edificio isolato a favore di un
sistema di spazi che definisca
una realtà insediativa di riferimento dove l’architettura divenga un’occasione di natura non
solo funzionale e formale, ma
anche integrativa. Per ottenere
questo risultato si è operato sui
tre elementi fondamentali che
rappresentano il sistema insediativo: la collocazione sul lato est
del lotto di un limite fisico costi-
tuito dal corpo da adibire a uffici.
Secondo elemento dell’insieme
è il corpo del Centro conferenze
che esprime e sintetizza nella
forma la propria funzione.
Terzo elemento del sistema,
importante per restituire una rinnovata condizione all’area, è la
possibile interrelazione con il
parco previsto tra via Lamarmora e gli edifici rivolti verso via S.
Zeno. L’impianto è concepito
come un insieme in cui i diversi
elementi che lo compongono,
pur mantenendo un’autonomia
formale, nell’aggregarsi assumono un’articolazione spaziale ed
architettonica dalla forte caratterizzazione identitaria e unitaria.
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Brivio (Lc): sistemazione
della “Tromba di Beverate”
maggio 2005 (iscrizione)
novembre 2005 (esito)
La “Tromba”, una piccola vasca
di raccolta delle acque dell’antico pozzo, è stata una delle principali fonti di approvvigionamento di acqua fino agli anni
’60 per gli abitanti di Beverate
(frazione di Brivio). Il suo particolare funzionamento è stato
sostituito negli anni ’70 da un
semplice rubinetto, tutt’oggi collegato e rifornito dall’acquedotto comunale.
Con questo concorso di progettazione è stata chiesta una
proposta per la realizzazione di
un nuovo alloggiamento dell’antica vasca, per darle valore
come luogo di approvvigionamento dell’acqua, ma anche
come luogo d’incontro e di socializzazione. La spesa massima
per la realizzazione è stata fissata in euro 17.000.
In considerazione del fatto che
il tema di progetto non è esclusivamente architettonico, è stato
obbligatorio il coinvolgimento
nei gruppi di lavoro di artisti. È
stata richiesta una tavola in formato A1.
La giuria era composta da: Ugo
Panzeri, Roberto Bonfanti, Marco
Manzoni, Aldo Consonni, Giovanni Casati, Sergio Fumagalli,
Giuseppe Riva, Silvano Mariani,
Enrico Sesana.
I premi sono stati di 4.500, 1.000
e 500 euro. Il bando è stato
redatto in conformità con il “Decalogo dei Concorsi” approvato
dall’Assemblea dei Presidenti
degli Ordini degli Architetti lombardi. Terzo classificato è risultato Rodolfo Sicilia, con Francesco Gemelli; segnalato il progetto di Paola Mencacci, con
Tonino Mattioli, Gabriele Troisi,
Tonino Bucciarelli.
Anche se la fontana è già stata
spostata in passato, ora si è
voluto mantenerla nell’attuale
sito, asimmetrico rispetto all’accenno di ninfeo. Questo per il
fatto che oggi viene vissuta
come storica la posizione attuale. Si è, quindi, enfatizzata la
mancanza di simmetria tra il
ninfeo e il muro di recinzione e
tra la fontana e il ninfeo. Sedute
di forma linearmente degradante sono state collocate lateralmente alla fontana come completamento. È stato realizzato
un getto d’acqua a forma di lama
che cade nel bacino in pietra,
scorrendo su un piano inclinato
fissato all’interno del muro. Il
muro alle spalle della fontana è
stato sagomato in modo da
ricavare un vuoto che riprende
la forma del suo contorno. Si è
ricavata la sagoma del “riflesso”
svuotando il muro e ponendo la
fontana sotto-sopra: l’acqua
esce dal riflesso per entrare nel
catino della fontana. A completamento del ninfeo viene sostituita una parte della recinzione
metallica, con muratura della
stessa tipologia dell’esistente.
Una leggera copertura definisce
il volume impegnato dalla fontana e dalla pertinente zona in cui
le persone possono vivere il
luogo.
2° classificato (foto 17-19)
Mattia Colombo (Lecco),
Bruno Cesana
collaboratori: Barbara Dell’Oro,
Maurizio Romanò
(collaboratore-artista), Moreno
Marrazzo
La vasca esistente viene affiancata, ai lati, da tre copie identiche realizzate in rame, le cui
lente, costanti e progressive
modificazioni cromatiche sottolineano, con la loro ripetizione, la
forma e la funzione della fontana originaria.
Le quattro vasche sono accolte
nella concavità attualmente in
essere; questa viene rivestita
con cemento lisciato, scandito
da fughe, che di notte diventano
gli elementi che illuminano l’installazione.
La veletta viene rimossa: in questo modo è possibile “riprendere” in altezza la concavità esistente, al fine di segnalare verticalmente l’intervento.
Una quinta, realizzata in calcestruzzo colorato in pasta con
toni rosa chiaro, segue per un
tratto l’arco che costituisce il
limite dell’area d’intervento,
identificato e marcato da un
bindero di porfido a lastre. Questo setto, leggermente arcuato, oltre a delimitare lateralmente il fronte dell’intervento, individua quasi una porta d’ingresso alla “Tromba” e protegge
l’area dal flusso veicolare più
intenso.
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OSSERVATORIO CONCORSI
1° classificato (foto 14-16)
David Sotomayor (Torino),
Francesco Cottone, Alberto
Samarotto, Emiliano Coccolo
32
Lo spirito catturato
della fabbrica
Guido Morpurgo (a cura di)
Progetto Bicocca. Headquarter
Pirelli Real Estate
Skira, Milano, 2005
pp. 154, € 36,00
Il quarto volume dei “Quaderni
della Bicocca” è dedicato alla
sede generale della Pirelli R.E.,
l’edificio progettato da Gregotti
Associati che segna simbolicamente il compimento del ventennale processo di trasformazione della grande area industriale milanese.
Un progetto emblematico per la
sua capacità di riassumere l’intero
intervento urbano di cui è caposaldo, traducendo in architettura la strategia di piano che fonda
il disegno del nuovo insediamento sulle tracce del vecchio.
Un edificio sorprendente, risultato di una sofisticata operazione
architettonica che ha portato a
includere nel corpo del nuovo
“quartier generale” della Pirelli un
componente vitale della fabbrica
sottratto al decadimento della
sua funzione tecnica per vigilare,
come lo spirito antico di un antenato, sull’area rigenerata.
Il libro, costruito con un raffinato
montaggio di testi e immagini
da Guido Morpurgo (autore, tra
l’altro, del volume Gregotti Associati 1953-2003, Rizzoli-Skira
2004) assume l’Headquarter
come punto di vista per rivisitare la complessa vicenda del
Progetto Bicocca ma va ben
oltre l’oggetto specifico della
sua trattazione. Superando l’im-
postazione più compassata dei
volumi precedenti, propone
un’approfondita riflessione critica a più voci lungo i diversi sentieri tematici che intorno all’opera si intrecciano.
In apertura il saggio di Salvatore
Veca registra il trasferimento di
valori operato dal progetto e
pone in termini filosofici la questione del rapporto tra persistenza e metamorfosi, che forma l’asse concettuale delle
pagine successive. La ricostruzione dello “stato di fatto” è affidata alla descrizione della Bicocca abbandonata di Reyner Banham (1986), alla rievocazione
dei “paesaggi urbani” di Sironi,
e ad una ricca rassegna antolo-
gica che scava nella memoria
della Milano industriale e del
suo declino.
Tra gli autorevoli contributi spiccano i commenti ispirati degli
amici architetti. In modi diversi
Ungers, Bohigas, Snozzi, Siza,
Ciriani, Purini e Piano interpretano i molteplici significati associati alla “cattura” della vecchia
torre evaporativa rimisurata nel
nuovo volume cartesiano, richiamando i riferimenti architettonici
della figura morfologica finale.
L’ampia analisi critica è integrata da una sequenza di testimonianze degli architetti e degli
ingegneri che hanno preso parte
alle diverse fasi del progetto e
all’evento della sua realizzazione. Ne traspare l’ostinata ricerca di sintesi e coerenza tecnica
che ha consentito di dare sostanza ed esattezza all’idea iniziale
verificandone la tenuta nel corso del tempo.
Carlo Alberto Maggiore
Una terra di
“produttiva bellezza”
Marida Brignani, Luciano Roncai,
Luigi Briselli
Un giardino nell’Europa.
La provincia di Cremona
Delmiglio, Persico Dosimo (Cr),
2005
pp. 320, € 55,00
Il suggestivo titolo del libro si
ispira al pensiero dei riformatori
milanesi del “Caffè” che avevano ipotizzato la trasformazione
della pianura lombarda in una
“sequenza ininterrotta di giardini”, ovvero di luoghi capaci di
unire valore estetico e funzione
produttiva. In effetti, il termine
“giardino” ben si adatta al territorio agricolo Cremonese, che
con la regolare geometria delle
sue campagne e la sua “utile
bellezza” ha tanto affascinato i
visitatori stranieri (persino Thomas Jefferson).
Delimitato dal tracciato di tre
importanti fiumi come Po, Adda
e Oglio, il Cremonese è però un
“immenso deposito di fatiche”,
come scriveva Cattaneo nel XIX
sec., che “per nove decimi non
è opera della natura; è opera
delle nostre mani”. A partire dall’antica trama centuriale disegnata dai Romani, si sono via
via innestati i successivi interventi di antropizzazione e infrastrutturazione del territorio
secondo parametri razionali
intrinsechi alle condizioni morfologiche del territorio. È il caso,
ad esempio, della fittissima rete
dei canali di irrigazione e delle
molteplici tecniche di gestione
delle acque, “patrimonio tipico
della cultura lombarda”, ricorda
Luciano Roncai, o del sistema
viario, coerentemente incardi-
nato al reticolo delle acque. Tutte opere realizzate grazie anche
a un particolare regime di proprietà fondiaria vigente fin dal
Medioevo e talmente efficace
da non essere modificato nemmeno dal governo napoleonico
e austriaco.
Dall’Ager Cremonensis ad oggi,
il testo ci porta alla scoperta di
una delle poche aree d’Europa
in cui, scrive Marida Brignani, il
paesaggio agrario “si è autodifeso, conservando una struttura
antichissima, stratificata e perfettamente leggibile”, senza rinunciare a una equilibrata modernizzazione.
Gli autori accolgono una “pluralità di sguardi” per offrire una
“visione stereoscopica” quanto più fedele alla complessità
del reale, ritrovando, così, capitoli “ufficiali” della storia (dagli
studi di Leonardo sull’Adda alle
moderne opere idrauliche come
lo stabilimento di San Matteo
delle Chiaviche del Portaluppi) e
cronache “minori” (come l’ingegnosa tecnica contadina della
marcita o la funzionale organizzazione delle antiche ville e cascine, simile al modello veneto). La
raffinata e curatissima edizione
valorizza bene le splendide fotografie di Luigi Briselli, coautore,
a pieno titolo, del volume.
Sonia Milone
Lingua e architettura
Adrian Forty
Parole e edifici. Un vocabolario
per l’architettura moderna
Pendragon, Bologna, 2005
pp. 362, € 32,00
Il sottotitolo Un vocabolario per
l’architettura moderna riassume,
in poche parole, il senso di questo studio che si concentra sul-
un discorso teorico, così come
di un’opera architettonica (Viollet le Duc e Quatremère de
Quincy, i più importanti), l’autore sceglie alcuni termini, quelli
utilizzati più frequentemente
dalla critica “modernista”, e li
analizza a partire dal senso che
essi hanno assunto nel corso
della storia per arrivare a spiegarne il significato odierno. Ed è
forse, proprio in quest’ultima
parte che è facile capire quanto
le parole e la costruzione del
progetto si completino e compenetrino vicendevolmente, quanto
cioè la lingua non possa essere
pensata come un ente accessorio all’architettura.
Martina Landsberger
Album Milano
AA. VV.
Milano Architettura città
e paesaggio
Mancosu, Roma 2006
pp. 192, € 6,00
a quella moderna. In questo itinerario i personaggi con cui ci si
imbatte sono rappresentati da
alcune parole chiave – maschile,
femminile, disegno, forma, ecc.
– che sono state utilizzate per
descrivere le opere di ogni tempo. La parola, la lingua, in questo viaggio è la protagonista in
quanto, diversamente dal disegno comprensibile solo da
pochi, risulta accessibile a tutti.
Infatti, per citare Lewis Carroll,
ogni parola viene utilizzata per il
preciso significato che le è stato
attribuito: “significa esattamente
quello che ho scelto di farle
significare”. Lo studio di Forty,
comprende però, oltre a questo
particolare viaggio nel parlare e
nello scrivere, anche una sorta
di dizionario.
A partire, sicuramente, dalla
conoscenza e dallo studio delle
precedenti opere che si sono
cimentate con la definizione dei
termini utili alla costruzione di
Con questo bel volume tascabile e popolare si può percorrere
e scoprire la storia, gli episodi
della vita “moderna” della nostra
città, le relazioni del tempo e dei
luoghi. Come si fa per avvicinarsi ad uno scrittore attraverso le
immagini raccolte negli “album”
della Pleiade. È raccolta qui una
“storia” raccontata da figure
che può ben completare la serie
essenziale di testi e di guide su
Milano. Un libretto da raccomandare ai visitatori più colti,
come ai più distratti lettori di
fumetti o cacciatori di icone,
sicuramente indispensabile agli
architetti e agli studenti.
Si tratta in primo luogo di una
serie di immagini di riferimento
che si articola in schede per temi
e periodi dal XIV al XXI secolo.
Una scelta che indica la necessità di soffermarsi sui caratteri originari della forma della città e
del territorio, dal suo immaginario, testimoniati dalle tracce permanenti nell’edificato, per potere
dare un giudizio sul tempo presente e sulla forma della città.
Per poterne dare ragione. Un
giudizio partigiano sintetizzato
nella pianta del progetto del
Pistocchi per la piazza del Duomo che apre il testo. Ma non
mancano sette itinerari per anda-
re a zonzo fra gli edifici moderni.
E poi ci sono delle schede che
provano a descrivere la modificazione più recente, non tanto
quella dei progetti in corso, ma
quella degli usi che hanno mutato la città e l’architettura dall’interno. Né manca una chiosa
fuori sacco sulle riscritture del
restauro... E altro ancora. Tutto
ciò nel tentativo di uscire da
un’impasse ben descritta da un
piccolo scritto di De Carlo che
interrompe la narrazione laddove
il Beruto delinea il suo piano nel
testo. Sembrerebbe un po’ troppo per un libretto così piccolo
ma non mi pare proprio vista la
chiarezza minimalista del risultato, la confusione e la poca generosità editoriale che ci circonda.
Giulio Barazzetta
Storie di colori
Manlio Brusatin
Colore senza nome
Marsilio, Venezia, 2006
pp. 164, € 18,00
Manlio Brusatin torna, dopo più
di venti anni dalla pubblicazione
della sua Storia dei colori, sull’argomento cromatico. Là l’indagine era anche rivolta all’aspetto materiale dei colori,
quale saluto al “ritorno alla pittura”, qui il ragionamento del
critico si fa ancora più ampio e
riguarda in generale i rapporti
con l’arte: “Il colore ci parla di
come è e di come sarà fatta
l’arte, anche se essa non ha
ancora un nome per quello che
sarà”. Il discorso si riferisce ad
una concezione estensiva dell’arte stessa, evidenziando l’incertezza delle sue differenti
definizioni che potranno forse
utilizzare proprio il colore quale
comune campo di azione.
Dal nero lezione di tenebre, Arte
abissale, L’uomo dei colori, Il
colore cieco, Un colore mai visto,
Colori supplementari sono i capitoli in cui il libro è strutturato. La
presentazione Storia dell'uomo
dei colori, in forma di racconto
breve, e il saggio conclusivo Per
un’arte senza nome, sorta di
manifesto critico, costituiscono
gli estremi della sua composizione. Libro non facile poiché, in
costante oscillazione fra vari
campi del sapere, dalla filosofia,
all'estetica, alla storia dell’arte e
a tratti riferito alla stessa opera
complessiva di Brusatin, propone, in questa ricchezza di riferimenti e aperture tematiche
suscitati dal tema del colore, la
sua più evidente caratteristica.
Fonte continua di suggestioni, il
libro affronta la questione del
colore in termini complessi sostenendo con forza argomentativa
come “il colore non viene dopo la
forma né è un effetto del movimento, ma trascina la forma e il
movimento, rendendo tali movimento e forma, oltre che rendendosi tale”.
Dopo una lunga cromofobia, “da
parti opposte sia dalle tecniche
del restauro che dal colore pubblicitario del design, il colore ha
ripreso il suo corpo e la sua immagine, quasi esageratamente”,
conclude Brusatin in un passaggio riferibile anche alla stessa
architettura, in cui la questione
del colore non sembra sempre
essere oggetto di una riflessione
particolarmente approfondita.
Maurizio Carones
33
OSSERVATORIO LIBRI
l’analisi della “lingua” – e non
del linguaggio – dell’architettura.
L’ipotesi da cui parte Adrian
Forty, professore di Storia dell’Architettura presso la Barlett
School of Architecture, University College di Londra, è che
esista una relazione tra architettura e lingua, che, in sostanza,
le parole che vengono utilizzate
per parlare dell’architettura la
descrivano tanto precisamente
da influenzare il nostro modo di
leggere e pensare l’edificio. A
riprova di questa teoria, l’autore
compie una sorta di viaggio attraverso temi e questioni che
hanno contraddistinto “il linguaggio, scritto e parlato” dell’architettura, da quella classica
a cura di Sonia Milone
34
Good luck
architecture!
Good N.E.W.S.
Milano, Palazzo della Triennale
viale Alemagna 6
16 maggio – 20 agosto 2006
Good N.E.W.S. è la complessa
e coraggiosa avventura che inaugura la terza edizione della
“Festa per l’architettura” presso
la Triennale di Milano: gli interrogativi formulati da Philippe Daverio accompagnano il percorso
informale, spettacolare e colto,
ideato dai curatori, Fulvio Irace
e Italo Rota con la collaborazione di Fausto Colombo e Luciano Patetta. L’esposizione, rutilante di suggestioni antiche e
contemporanee, è animata dalla volontà di stupire ogni tipo di
pubblico – dai conoscitori ai
non specialisti – e coinvolgerlo
nelle problematiche dell’architettura, riaffermando la centralità dell’uomo, osservatore e artefice del mondo che lo circonda.
Muovendosi dalla convinzione
che edifici e città vanno conosciuti “dal vivo”, i curatori hanno
selezionato un migliaio di immagini che, coadiuvate da modelli,
strumenti, trattati, oggetti di
design e installazioni, invitano il
visitatore a cercare una risposta
ai quesiti che affollano ogni sala,
ordinata per temi, senza distinzioni cronologiche. Che cos’è
l’architettura, qual è la sua origine, come la si comunica? Otto
ambienti rappresentano la condensazione di tali domande e
delle loro possibili risposte, a
partire dalla “sala delle proporzioni”, sinonimo di un ordine
che si raccorda al corpo umano,
per arrivare alla “sala dei ritratti
degli architetti”, uomini che aspirano demiurgicamente a creare
un ordine nel caos. A conferma
di questa necessità, il titolo
della mostra: Good N.E.W.S.
che unisce l’auspicio di fruttifere stagioni architettoniche all’acronimo dei segni cardinali, north,
east, west, south, che orientano
e quindi danno ordine al progetto architettonico. Immagini di
edifici e di città, frammenti visivi
della realtà colti dai fotografi
Gabriele Basilico, Olivo Barbieri,
Paolo Rosselli, si confrontano
con le loro miniature evocate
dai servizi da te e caffé di Aldo
Rossi per Alessi. Intorno sfilano
le “architetture” contenitive e
illustrative dei temi che animano
le diverse sale, come lo studiolo ligneo associato alle proporzioni, la tenda in acciaio per le
origini, la struttura in giunco per
la casa e la torre in acciaio di
Alessandro Mendini. Le immagini appese alle pareti si sollevano per fare luce su ulteriori interrogativi o altre possibili risposte
e costituiscono un preludio al
Manipolo di Fausto Colombo,
che permette di lavorare direttamente su immagini digitali,
spostandole e ingrandendole
virtualmente. È una mostra interattiva che addolcisce, dietro
un’immagine vivace e brillante,
la difficoltà del rigoroso lavoro
intellettuale sotteso.
Maria Teresa Feraboli
Figura e persuasione
Il Medioevo delle Cattedrali
Parma, Salone delle scuderie in
Pilotta
9 aprile – 16 luglio 2006
Curata da Arturo Carlo Quintavalle, in occasione dei 900 anni
dalla consacrazione della cattedrale di Parma, si apre nel
palazzo della Pilotta una grande
mostra sulla architettura, scultura, pittura, mosaico, miniatura
delle cattedrali fra secolo IX e
secolo XII. L’esposizione riunisce
eccezionalmente una sequenza
straordinaria di oltre 100 opere,
molte delle quali mai uscite
dalle loro sedi e non poche del
tutto inedite.
Ad essere raccontata attraver-
re, a fissare i fedeli con gli occhi
spalancati e le sue brillanti pupille di metallo, nell’imposizione di
un intenso, impressionante dialogo a distanza.
Amanzio Farris
Magritte a Como
René Magritte. L’impero delle luci
Como, Villa Olmo
via Cantoni 1
24 marzo – 16 luglio 2006
so questi capolavori è la storia
delle generazioni che portarono
avanti, durante la riforma Gregoriana, la più grande trasformazione di modelli e di racconto della Chiesa di Roma. Nel
duro confronto allora in atto tra
Chiesa e Impero, fu infatti assegnato alle forza dell’immagine il
compito strategico della persuasione di un intero popolo di
fedeli che non sapeva leggere.
Le figurazioni di un fascino strano, barbarico, i mostri bizzarri e
grandiosi, l’aspra decorazione
impostata sulle dimensioni di
architetture possenti: una straordinaria offensiva della persuasione, appunto, sostanziata nella dura pietra da artisti animati
da una fede ardente, come Wiligelmo o Nicholaus, con le loro
officine e i loro collaboratori.
E se nelle opere può risultare
grottesco qualche aspetto – per
l’accentuazione tipica del modo
romanico di gesti umani tanto
espliciti da sembrare caricaturali – questa rude, quasi elementare grammatica figurativa – sembra proprio costituire il segreto
della loro sublime, terribile eloquenza.
Interrogandoci, infine, se e in
quale misura quest’arte abbia
compiuto gli obiettivi emozionali
che ne costituivano la grandiosa
premessa, una risposta potrebbe esserci suggerita dall’imponente Cristo Crocifisso ligneo
proveniente da S. Savino di Piacenza, che possiamo immaginare con la sua enorme, tesa figura sospesa al di sopra dell’alta-
Con una media giornaliera di
oltre mille visitatori, la mostra
dedicata a Magritte si appresta
a superare il successo ottenuto
dalle due precedenti esposizioni dedicate a Miró e Picasso,
confermando l’importanza che
Como, in soli tre anni, ha assunto
nell’ambito del circuito degli
appuntamenti d’arte. Ospitato
nelle suggestive sale della settecentesca Villa Olmo, l’evento
è stato organizzato dall’Assessorato alla Cultura del Comune in
collaborazione con la Fondation
Magritte e i Musées Royaux des
Beaux Arts di Bruxelles.
Il titolo della mostra deriva da
una delle opere esposte, il celebre Impero delle luci del 1961,
dove il paesaggio notturno di
una casa con le finestre illuminate contraddice un cielo in
pieno giorno, creando un’atmosfera di inquietante sospensione che realizza perfettamente,
anche nella scelta del titolo, la
volontà di Magritte di impedire
di situare i suoi quadri “in una
regione rassicurante”.
Artista unico, ha indagato come
pochi altri la crisi dei linguaggi
moderni (Ceci n’est pas une pipe:
Sonia Milone
Città senza
architettura
Metropolitanscape.
Paesaggi urbani nell’arte
contemporanea
Torino, Palazzo Cavour
31 marzo – 2 luglio 2006
L’architettura sembra aver definitivamente abbandonato la scena del paesaggio urbano. Se
nella veduta della città antica e
moderna l’architettura era assoluta protagonista (da Piero
della Francesca a Canaletto, fino
al vedutismo tardo settecentesco, il paesaggio urbano è il
ritratto, reale o ideale, dell’architettura del suo tempo), già nelle
vedute urbane del tardo ’800 e
del ’900, l’architettura è una presenza sfuggente, che lascia spazio al movimento, alle tensioni e
alle contraddizioni della città
industriale (che cresce, sale,
perde il centro e lo ritrova altrove, dall’impressionismo al futurismo, dall’espressionismo alla
metafisica), fino a scomparire
quasi del tutto nella rappresentazione della città metropolitana contemporanea. Il paesaggio urbano di oggi, nella scelta
dei curatori, sembra aver perso
ogni interesse per la città come
fatto architettonico in sé, capace di suscitare sentimenti estetici ed emozioni, per ritrarre una
realtà mutevole, informe e discontinua, come scena in cui si
dibattono le inquietudini dell’uomo di oggi. La mostra si costruisce sull’assenza dell’architettura
e sulle tensioni che da questa
assenza sono generate: costruzione-distruzione (A. Rainer, F.
Thiel); realtà-sogno (N. De Maria, F. Melotti, I. Kabakov); luciombre (L. Kim e M. Wesley, G.
Matta-Clark); frammentarietàtotalità (M. Mullican); identitàestraneità (V. Export, A. Fridel,
D. Spaziani); sono le dicotomie
su cui si sviluppa e cresce quel
senso di spaesamento che
sembra essere il segno della
città contemporanea, senza differenze di tempo e di luogo (D.
Graham, S. Naim, P. Blake, F.
Jodice). L’architettura è solo
memoria, testimonianza del passato (B. e H. Becker, T. Ruff, T.
Struth, A. Gursky), oppure è altro
da sé (Christo, M. Merz), mentre
entrano a far parte della rappresentazione materiali sensibili,
ma invisibili all’occhio, planime-
trie, stradari, mappe, mappamondi, reali o mentali (Gilbert &
George, G. Kuitka, W. Kentridge, T. Hirschhorn, M. Pistoletto).
Unica eccezione la torre, cui è
dedicata una ricca e suggestiva
sezione: una sorta di icona del
paesaggio urbano globale da
Babele alle torri gemelle (T.
Cragg, R. Fetting, E. Allchurch,
M. Bajevic). Tutti i linguaggi sono
presenti (fotografia, video, pittura, scultura, installazioni e ogni
forma di contaminazione) con
opere talvolta assai poco “paesaggistiche”, ma di inquietante
bellezza.
Silvia Malcovati
Paolo Portoghesi
a Vicenza
Paolo Portoghesi architetto.
Natura e storia. Omaggio a
Palladio
Vicenza, Basilica Palladiana
piazza delle Erbe
22 aprile – 25 giugno 2006
“Una teca preziosa che racchiude la modernità, rispettando la
mia passione per l’Umanesimo
e la curiosità che è sempre alla
base della mia creazione artistica”. Così Paolo Portoghesi definisce la Basilica Palladiana di
Vicenza che ospita la mostra
con la quale l’architetto romano
si racconta.
Accolti da una musica d’organo, la prima sensazione è di
entrare all’interno dello strumento stesso, le cui canne sono simulate da tubi di cartone bianco
modulati in altezza; successivamente ci si rende conto che
l’ambiente ricreato corrisponde
ad una chiesa, la Chiesa del
Redentore di Venezia, un esplicito omaggio a Palladio, con cui
Paolo Portoghesi condivide la
nozione d’armonia delle forme
architettoniche.
Questa scelta, oltre a dare una
centralità ad uno spazio longitudinale, articola il percorso espositivo in diverse sezioni tematiche: l’abside è costituita dai pannelli illustrativi; nella navata centrale sono disposti i modelli; le
vetrine laterali, come piccole edicole, raccolgono i disegni, i libri
e gli oggetti “di design”; ai quattro angoli della sala sono proiet-
tate le sue foto di viaggio e
sequenze di schizzi selezionati.
Il ritratto di Paolo Portoghesi che
ne emerge è quello di una personalità poliedrica: architetto,
storico, teorico, animatore, fotografo. La sua esperienza trentennale, raccontata attraverso
settanta opere e numerose fotografie che svelano la sua attenzione per le linee e le forme degli
archetipi naturali, è finalizzata alla ricerca di un equilibrio tra architettura, natura e storia.
La stessa ricerca si può riscontrare in questa esposizione, dove
l’attenzione alla proporzione tra
involucro e allestimento, modulazione spaziale e riferimenti storici, testimoniano ancora una volta
il metodo progettuale dell’architetto romano.
Un’armonia che viene completata sia dalla musica sia dall’illuminazione, nella quale la luce
naturale e quella artificiale si
integrano perfettamente. Ogni
modello è illuminato da faretti
alogeni, mentre lampadari circolari giganti, sospesi al soffitto,
richiamano la luce diffusa di un
luogo sacro, cui tutto il modello
spaziale fa riferimento.
Maria Chiara D’Amico
35
OSSERVATORIO MOSTRE
M. Foucault ci scriverà un libro),
lo sdoppiamento fra realtà e
rappresentazione, l’evaporare
del mondo dietro a segni che
non sono più in grado di “affermare”. In questo senso, il suo è
un Surrealismo sui generis, che
non mira a liberare le pulsioni
dell’inconscio, ma ad analizzare
le strutture della visione: le sue
opere sono sguardi gettati sul
limite, sul punto estremo di non
ritorno della rappresentazione
occidentale, al confine fra senso
e non senso, logicità e illogicità,
verità e falsità.
È stato maestro insuperato nel
declinare in modi sempre sorprendenti la tecnica della “dislocazione”, che consiste, come
lui stesso ha spiegato in una
conferenza del 1938, nel “far
urlare il più possibile gli oggetti
più familiari”, grazie allo “choc
provocato dall’incontro di oggetti estranei fra loro”. Così ecco apparire lungo il percorso
espositivo della mostra la sua
ricca ricerca di spostamenti a
catena, incroci semantici e destabilizzazioni varie di ogni legge di
congruenza rispetto al reale,
che conduce lo spettatore in un
universo enigmatico e affascinante fatto di rocce che volano
a dispetto della gravità; di mutamenti innaturali di scala; di dispositivi ottici (specchi, quadri,
finestre, ombre) che tradiscono
anziché rifare il doppio; ecc. Ogni
visione è un sogno e potrebbe
svanire all’improvviso...
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