Il Giornale di Santa Maria della Scala Periodico del Santa Maria della Scala di Siena Anno IX numero 29 Novembre 2008 Direttore responsabile Enrico Toti 29 La Magnanimità Domenico Beccafumi, Continenza di Scipione Africano, particolare, Lucca, Pinacoteca Nazionale L’anno scorso, inaugurando le giornate “Alla Ricerca del Buon Governo”, avevamo scelto la virtù della pace come centro attorno a cui fare ruotare le diverse iniziative, tale era la sua centralità nell’affresco di Lorenzetti e il suo riferimento obbligato nel discutere di bene pubblico nella società odierna. Quest’anno la scelta è ca- duta su una virtù assai più desueta e poco nota, a volte difficile da comprendere e collocare, quella della magnanimità. Eppure, questa virtù, ci ha permesso di creare un ponte esplicito con il passato – quando la magnanimità era una virtù citata, ricercata, rispettata – ma anche di interrogarci su alcuni aspetti della società di oggi in cui la sua presenza sarebbe oltremodo preziosa. La mostra sulla “generosità” di Scipione, raffigurata più e più volte in epoca umanistica e rinascimentale, è un elemento di questo passaggio della virtù della magnanimità che dal mondo classico giunge fino a noi. Ripercorrendo i diversi significati che la magnanimità può avere – grandez- za d’animo, generosità, propensione al perdono e alla riconciliazione – la rassegna di quest’anno ha permesso di incontrare personalità di grande rilievo, che nel mondo e in Italia si sono trovati nella possibilità, o nella necessità, di affrontare in modo originale e anche personale il senso e la portata di questa virtù un po’ dimenticata. In una città come Siena, dove il ruolo della Fondazione Monte dei Paschi è sotto gli occhi di tutti, abbiamo scelto di parlare di “generosità” e di come le fondazioni internazionali siano lo strumento privilegiato di questa odierna magnanimità, con George Soros, la cui fondazione ha accompagnato e accompagna la transizione alla democrazia di decine di paesi, e con Giuseppe Guzzetti, il presidente dell’associazione che riunisce in Italia le fondazioni e casse di risparmio. La loro assenza fisica, dovuta a impegni impellenti legati alla crisi economica in corso, non ha impedito una loro presenza attiva e vivace, con un'intervista fatta ad hoc dal primo per la città di Siena e con l'intervento in videoconferenza del secondo. Altrettanto importanti gli incontri dedicati alla riconciliazioni nelle realtà di post-conflitto, o alla possibilità di perdono – individuale e collettivo – per le vittime del terrorismo; come anche l’affrontare di nuovo il tema del colonialismo italiano e della nostra mancanza di magnanimità, in quei frangenti, grazie a due opere – una narrativa e una di fumetti – di autori amati e letti dal grande pubblico. Grandi personalità come Alex Boraine (il "vice" di Desmond Tutu nella Commissione per la verità e la riconciliazione del Suadfrica), scrittori famosi come Carlo Lucarelli, persone di grande profilo e impegno morale (come Benedetta Tobagi), affiancati da altri protagonisti hanno caratterizzato un dibattito profondo e vivace su alcuni temi chiave della politica e della cultura contemporanea. Un’intera mattinata è stata lasciata agli studenti del liceo scientifico G. Galilei, che hanno presentato i lavori e le ricerche svolte sulla magnanimità a Siena insieme ai loro docenti, mostrando la ricchezza e le potenzialità di un percorso educativo non vincolato e non penalizzato da scelte ministeriali che impoveriscono e offendono. Gli spettacoli che si sono succeduti nel corso delle serate hanno affiancato testi e attori di prestigio e respiro internazionale (Giorgio Albertazzi) con produzioni autonome e originali (l'Antologia della Magnanimità curata da Alfonso Berardinelli e con la regia di Maurizio Panici) e con interventi di personalità e artisti di grande fascino che a Siena non erano mai venuti (Vittorio Sermonti che ha letto il Canto X dell'Inferno e Vladimir Derevianko che ha portato la magia della danza del Maggio fiorentino). A questi spettacoli si sono affiancati quelli per bambini al teatro del Costone, oltre al ciclo di film al Nuovo Pendola, che si era aperto con una brillante opera di montaggio curata da Mario Sesti sulla magnanimità del cinema italiano. La lezione conclusiva di Tzvetan Todorov ha offerto, in anteprima, l’ultima riflessione di questo grande intellettuale europeo, concludendo nel modo più degno cinque giornate che hanno visto una folta partecipazione di pubblico e che sono state capaci - ci sembra secondo le previsioni e le intenzioni - di coinvolgere pubblici diversi e di rispondere a quell'articolata domanda di cultura che è presente da sempre nella nostra città. Marcello Flores D’Arcais SIENA Il Giornale di Santa Maria della Scala pag. 2 I “segni” del pellegrino Tra l’VIII e il XIV secolo la via Francigena, quel complesso sistema viario, culturale ed economico che collega la penisola italiana ai paesi d’oltralpe, come è noto, strutturò anche gran parte del territorio toscano, svolgendo tra l’altro un ruolo fondamentale nella costruzione dell’Europa di oggi. Di questa grande arteria si è parlato moltissimo, ma credo che resti ancora molto da indagare, da studiare e da valorizzare ulteriormente quella fittissima rete di scambi che avveniva lungo i vari percorsi dove furono edificate nuove città, si svilupparono processi economici, si diffusero esperienze artistiche o nuove acquisizioni tematiche. Le “vie” o i cammini dei pellegrini e dei viandanti facilitavano la compenetrazione di idee, mentalità, creazioni e prodotti cultu- Il Giornale di Santa Maria della Scala Periodico del Santa Maria della Scala di Siena Anno Nono Numero 29 Novembre 2008 Direttore Responsabile Enrico Toti Autorizzazione del Tribunale di Siena n. 693 del 17 marzo 2000 Segreteria di redazione Nora Giordano Hanno collaborato a questo numero Debora Barbagli Mauro Civai Marcello Flores D’Arcais Lorenzo Fusi Enrico Toti Fotografie Studio Lensini, Siena Progetto grafico Rauch Design Impaginazione grafica AL.SA.BA Grafiche, Siena Realizzazione lastre CTP e Stampa AL.SA.BA Grafiche, Siena Comune di Siena Complesso museale di Santa Maria della Scala piazza Duomo, 2 - Siena tel. 0577/224811 - 224830 224835 fax. 0577/224829 [email protected] www.santamariadellascala.com rali; inoltre la loro religiosità si manifestava con l’affermazione sempre più netta dello spirituale sul temporale, oltreché con un nuovo misticismo immaginifico. Il viaggio necessitava naturalmente della presenza di luoghi di ricovero e quindi, sin dall’alto Medioevo, venne a crearsi una fitta rete di ospitalità viaria. I monasteri servivano anche da luoghi di sosta, da ospizi, da ricovero temporaneo per malati, mentre il clero aveva il dovere della hospitalitas sia nelle chiese urbane che nelle pievi rurali, le quali avranno un ruolo fondamentale nell’organizzazione del territorio. Il tracciato francigeno in Toscana coinvolgeva circa 1500 siti, di cui 300 costituivano le emergenze più significative. Siena, e in particolare l’ospedale di Santa Maria della Scala, era la tappa più importante della Francigena in Toscana. Nel tratto senese erano dislocati anche una serie di piccoli ospedali, circa ottanta, di varie dimensioni e quasi tutti istituiti grazie a lasciti e donazioni. Tra i vari studi storici usciti in questi anni riguardanti la vita che si svolgeva lungo la strada, risulta esemplare il volume di Gabriella Piccinni e Lucia Travaini, Il libro del Pellegrino, nel quale vengono messe a fuoco le caratteristiche e le abitudini dei pellegrini che transitavano dal Santa Maria della Scala, la loro provenienza, il loro rapporto con il denaro, l’accoglienza e l’assistenza in un grande ospedale europeo, il rapporto di fiducia che si instaurava con il deposito del denaro, le finalità del viaggio e le descrizioni del frate di tur- no, annotate appunto in questo prezioso manoscritto, documento davvero importantissimo per la ricerca storica di questo periodo. Come accennato, moltissimi sono gli aspetti di sicuro interesse, ancora da studiare, che ruotano intorno al tema del viaggio in epoca medievale. Ad esempio, con il rituale della partenza, la benedizione della borsa e del mantello, la consegna del bastone caratteristico – il bordone – da parte del sacerdote, veniva sancita l’appartenenza del pellegrino a una categoria speciale e privilegiata di fedeli. L’abbigliamento e la benedizione erano infatti considerati anche un segno simbolico della protezione divina durante il viaggio, invocata durante l’investitura pubblica che precedeva la grande avventura dell’uomo in viaggio. Sono però soprattutto i Domenico di Bartolo, La distribuzione della limosina, particolare, 1441, Santa Maria della Scala, Pellegrinaio SIENA Il Giornale di Santa Maria della Scala “segni”, lungo la strada che consentono simbolicamente al pellegrino di entrare in contatto con una dimensione “superiore” alla condizione umana, permettendogli in qualche modo di sentirsene parte. Uno di quelli maggiormente rappresentati lungo le strade è infatti il Cristo che costituisce l’immagine ideale per il pellegrino e il simbolo più importante della spiritualità medievale (basti pensare al Volto Santo di Lucca). Ancora un tema particolarmente interessante del viaggio è l’abbigliamento: la bisaccia (un sacchetto di pelle per il pane, un po’ di denaro da cedere eventualmente in elemosina e da utilizzare per il pagamento dei pedaggi) e appunto il bordone, con la parte inferiore metallica per far presa sul terreno e per difesa dal “male” e dagli assalti di bestie. Gli oggetti e i segni più distintivi del pellegrino diventano comunque spesso parte integrante dell’abbigliamento, come abituale era la conchiglia jacopea che veniva posta sul cappello (usata anche come scodella portatile), a indicare che si era arrivati fino a Santiago di Compostella. Spesso i pellegrini portavano anche un rametto di palma per sottolineare la loro provenienza dalla Terra Santa, o addirittura un’ampolla con l’acqua del Giordano. Chi era stato a Roma portava ritagli di stoffa che venivano calati sulla tomba dei santi martiri, divenendo così reliquie per il contatto. Oltre a placchette votive di piombo e stagno con le immagini dei santi, le medagliette con il Volto Santo (la cosiddetta Veronica), le pazienze (piccoli quadrati di stoffa benedetti retti da fettucce) o gli scapolari (strisce di panno aperte al centro per lasciar passare la testa e pendenti sia sul petto sia sulla schiena), i pellegrini una volta giunti a Roma, avevano a disposizione anche i Mirabilia, una sorta di guida ad uso dei romei per orientarsi in città. Arrivati in San Pietro erano inoltre ansiosi di compiere i rituali e le pratiche devozionali come il calo dei frammenti di stoffa sulle tombe dei martiri. Per documentare l’avvenuto pellegrinaggio essi si munivano delle lettere testimoniali, oltreché di segni di riconoscimento. Ancora oggi ai fedeli che arrivano in Galizia, a Santiago di Compostella, dopo aver percorso a piedi almeno gli ultimi dieci chilometri, viene consegnato un libretto in cui è documentato l’avvenuto pellegrinaggio. Un ulteriore tema di grande interesse riguardante il pellegrinaggio è quello ico- nografico. L’iconografia religiosa è infatti ricchissima di santi pellegrini; ad esempio, uno dei più venerati è San Rocco. Oltre sessanta località italiane portano addirittura il suo nome e circa tremila tra chiese, oratori e cappelle gli sono state dedicate. Secondo la tradizione, il santo nacque a metà del Trecento a Montpellier, da un’agiata famiglia e, rimasto orfano a 18 anni, avrebbe venduto il patrimonio per donare il ricavato ai poveri e sarebbe partito in pellegrinaggio verso Roma percorrendo appunto la via Francigena. Durante il percorso, passando anche per Siena, e ci piace immaginare anche dal Santa Maria della Scala, avrebbe quindi prestato soccorso agli appestati in un ospedale di Acquapendente. Questa cittadina dell’alto Lazio costituirebbe tra l’al- pag. 3 tro l’unica località italiana ricordata da tutte le fonti antiche come il luogo del primo episodio della vita di San Rocco in Italia. Enrico Toti Domenico di Bartolo, Il pranzo dei poveri, particolare, 1443/44, Santa Maria della Scala, Pellegrinaio Bibliografia Federica Piantoni, La via Francigena, Roma 1995 Compostella, rivista del Centro Italiano di studi compostellani, n. 22, gennaio-giugno 1997 Mario d’Onofrio (a cura di), Romei e Giubilei, il pellegrinaggio medievale a San Pietro, catalogo della mostra di Roma, Palazzo Venezia, ottobre 1999-febbraio 2000, Milano 1999 Gabriella Piccinni, Lucia Travaini, Il libro del Pellegrino (Siena 1382-1446). Affari, uomini, monete nell’ospedale di Santa Maria della Scala, Napoli 2003 SIENA Il Giornale di Santa Maria della Scala pag. 4 La continenza di Scipione Il tema della magnanimitas nell’arte italiana Si è aperta nei Magazzini del Sale una interessante mostra curata da Mauro Civai, con la collaborazione di Marilena Caciorgna Tra le tante peculiarità che rendono l’arte senese veramente unica nella sua evoluzione vi è senza dubbio lo spessore concettuale che in ogni tempo l’ha guidata. Si tratta infatti di un’arte colta, ricca di riferimenti teorici e simbolici in ognuna delle sue numerose tendenze e articolazioni, capace di dimostrare, ove ce ne fosse bisogno, della qualità intellettuale e della ricchezza di conoscenze di una classe dirigente peraltro ben consapevole e ben fiera del proprio ruolo. D’altra parte il ciclo lorenzettiano del “Buon governo”, che tanto mirabilmente si sviluppa sulle pareti della Sala dei Nove di Palazzo Pubblico, altro non è che l’immagine riflessa di uomini del Medioevo intenti a ricercare un ideale di perfezione per tentare di renderlo concreto attraverso l’attività del governare. Nel corso di questa avventura gli stessi uomini attin- gevano a piene mani dai modelli classici, resi disponibili al sapere degli studiosi da un tempo relativamente breve. Ma tra le tante cose che si iniziano a fare nella Siena medievale o che comunque qui si fanno per la prima volta in un modo più ponderato e complesso c’è anche il ricorso alle fonti e agli illustri modelli suggeriti dalla cultura antica per illustrare e, di seguito, orientare la vita dei contemporanei. Un’altra particolarità dell’arte senese e soprattutto quella definita civile è sicuramente l’insistita cura con cui si propongono all’ampia serie di destinatari dei messaggi molti dei temi oggetto delle pitture. Si fa di tutto perché la gente apprenda ciò che si vuole loro comunicare, ricorrendo a illustrare i personaggi nel loro contesto fisico e temporale, che è un’altra novità non da poco, e ancora facendo parlare molte delle figure attraverso un esteso apparato didascalico che correda gran parte dei cicli più importanti. Non si vuole insomma correre il rischio che qualcuno possa sostenere di non aver capito, rendendo impossibile il sottrarsi agli ammaestramenti. Il lavoro che con Marilena Caciorgna, collaudata esperta di queste tematiche, abbiamo impostato sulla “Continenza di Scipione” come esempio di magnanimitas per riproporlo nel quadro delle iniziative volte ad approfondire la eventuale persistenza delle virtù del Buon Governo dei Nove nella nostra attualità, nasce fondamentalmente da questi presupposti. Si vuole richiamare una particolarità in merito a un argomento non facile, decisamente allusivo, costantemente pervaso di elevato senso etico pur venendo letto in modo non uni- voco nelle varie epoche prese in considerazione. Alla Magnanimitas raffigurata nella Sala dei Nove da Ambrogio Lorenzetti come dispensatrice di riconoscimenti, nel nostro percorso virtuale si aggiunge l’immagine allegorica eseguita meno di un secolo dopo da Taddeo di Bartolo sulle pareti dell’Anticappella di Palazzo Pubblico, dove la Virtù è nello stesso momento occupata a perdonare gli acquiescenti, ma anche a debellare i superbi. Seguono le fisionomie di tre condottieri, Curio Dentato, Furio Camillo, Scipione Africano, protagonisti della storia romana in quanto annientatori dei principali nemici di Roma. Ma sarà fondamentalmente Scipione Africano a dare prova del suo comportamento magnanimo nella pittura del Cinquecento e dei secoli successivi. L’eroe, dopo la conquista di Carthago Nova, in Spagna, rinuncia infatti a disporre di una fanciulla di grande bellezza, assegnatagli come bottino di guerra. Saputo infatti del fidanzamento della giovane con un principe locale coetaneo, Scipione la restituisce al promesso sposo insieme a una cospicua dote consistente nell’ammontare del riscatto consegnato dai genitori. L’episodio, assai rappresentato nell’arte senese e italiana, è significativamente in bilico tra una destinazione pubblica e un’altra molto privata. Quella pubblica consiste nel richiamo ai potenti perché non approfittino di questo loro potere ai danni degli amministrati e dei dipendenti, ma prediligano di esercitare gli aspetti più generosi del ruolo loro riservato. Quella molto privata, volta a esaltare le virtù connesse al matrimonio, sta a significare che ogni guerra va combattuta in primo luogo contro noi stessi, perché è compito molto più difficile il superarsi rispetto a quello, ben più banale, di vincere il nemico, compreso quello più aggressivo. Mauro Civai Taddeo di Bartolo, Scipione Africano, particolare, Siena, Palazzo Pubblico, Anticappella SIENA Il Giornale di Santa Maria della Scala pag. 5 Una mostra del giovane artista francese Cyprien Gaillard Cyprien Gaillard, Desniansky Raion, dvd 2007, 29’, courtesy l’artista e Cosmic (Bugada & Cargnel), Paris sms contemporanea, il Centro di arte contemporanea del Santa Maria della Scala, ospita dal 13 dicembre 2008 fino al 1 marzo 2009 la prima personale in un’istituzione italiana del giovane artista francese Cyprien Gaillard (Parigi, 1980). Si tratta della seconda esposizione organizzata dal Centro senese incentrata sullo spazio urbano, dopo la retrospettiva dedicata all’opera di Gordon Matta-Clark, che ha riscosso un unanime consenso di pubblico e di critica. Questa nuova mostra mette in risalto le relazioni fra le pratiche artistiche e le strategie visive adottate negli anni Settanta e il presente, oltre a costituire un ulteriore momento di riflessione su temi cogenti come l’utilizzo e l’occupazione dello spazio pubblico, il paesaggio urbano, i rapporti fra centro e periferia, la convivenza metropolitana, le politiche abitative e l’urbanistica. Cyprien Gaillard, così come lo stesso Matta-Clark, è artista poliedrico e si muove a suo agio fra i più svariati linguaggi espressivi. In questa sede si è scelto di dare maggiore risalto alla produzione filmica, presentando alcune delle opere più recenti e significative, che trovano una stupenda ambientazione nelle sale di San Galgano e Sant’Ansano, giusto accanto al Pellegrinaio. Una serie di schermi sospesi accoglie l’osservatore in una fuga d’immagini che, come in una carrellata cinematografica, lo accompagnano in un crescendo emotivo. Alla serie di silenziose esplosioni della serie Real Remnants of Fictive War (che avvolge ‘bucolici’ paesaggi in una nube candida di fumo), segue il video The Lake Arches, dove a una spensierata giornata passata sulle sponde di un lago che ha come sfondo un’architettura dechirichiana1 fa da finale uno strano e cruento incidente. C’è un certo gusto punk, un sottotono di violenza metropolitana e una forma di riscatto sociale ‘vandalico’, in queste sequenze. Con i suoi interventi Gaillard cerca un elemento di rottura con la tradizione e inclina decisamente verso l’‘orrido’, l’inquietante, facendo rientrare così di diritto il proprio lavoro all’interno della categoria del sublime. Nella sala successiva il silenzio è rotto per dare spazio al film Desniansky Raion (2007), che è accompagnato da un’intensa colonna sonora, espressamente composta dal musicista/cantante Koudlam, che batte il tempo dei tre atti di quest’opera. Girato fra Belgrado, Desniansky (un sobborgo di Kiev) e Parigi, il film ruota intorno all’estraniante paesaggio dei sobborghi urbani, un nonluogo utopico e – per certi versi – fallimentare, che ora ci attrae ora ci repelle al ritmo incalzante della musica di fondo. Chiudono la mostra una serie di fotografie di grande formato, allestite negli spazi di collegamento del Santa Maria della Scala. Di particolare interesse, visto il contesto in cui sono presentate, è La Grande Allée du Chateau de Oiron (2008), una foto che documenta il viale che conduce a una dimora storica – notificata e considerata patrimonio artistico e architettonico nazionale – che l’artista ha lastricato con i detriti derivanti dalla demolizione di un edificio popolare della cittadina di Issy-les-Moulineaux. Alla fine del percorso, risuona, stentorea, una domanda: Cosa è giusto conservare o demolire? E chi è che può ergersi, oggi, a giudice? Lorenzo Fusi 1. Si tratta di un edificio progettato da Ricardo Boffil. SIENA Il Giornale di Santa Maria della Scala pag. 6 La lente di Freud una originale mostra in Palazzo Squarcialupi Andy Warhol, Sigmund Freud, 1980, Milano, Fondazione Antonio Mazzotta Dal 27 novembre 2008 al 23 febbraio 2009, è aperta al pubblico nei locali espositivi di Palazzo Squarcialupi la mostra La lente di Freud. Una galleria dell’inconscio, promossa dal Comune di Siena e dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena e curata da Giorgio Bedoni. Si tratta di circa duecento opere grafiche e originali (incisioni, xilografie, chine e acquerelli su carta) della Fondazione Antonio Mazzotta di Milano. La mostra si inserisce nel filone di studi psicoanalitici sull’arte e la creatività inaugurata da Sigmund Freud. Da quando il celebre psicanalista dedicò una parte rilevante dei suoi scritti alla creatività, ai temi dell’illusione estetica e del simbolico, allo studio analitico di opere e autori, come sottolinea il curatore Giorgio Bedoni, il dialogo tra arte e psicoanalisi è continuato ininterrotto, pur con alterna fortuna e intensità. Un dialogo contrassegnato da una straordinaria produzione di osservazioni e ricerche che da Freud in avanti individua un paradosso fecondo: è oggi infatti diffusa la consapevolezza che malgrado questa grande produzione non si disponga di un sapere psicoanalitico sistematico sull’arte e sui processi creativi. Tutto questo è, per certi versi, un indubbio vantaggio, impedendo atteggiamenti semplificatori e posizioni riduzionistiche sull’ordine simbolico dell’opera e sull’autore stesso che di fatto verrebbero rinchiusi entro anguste griglie “psicologistiche”. L’intero corpus teorico freudiano, ovviamente non riducibile ai “soli” scritti sull’arte, ha storicamente suscitato un grande inte- resse negli artisti, in modo particolare in alcuni delle avanguardie del Novecento, individuando reciprocità e coincidenze, fraintendimenti e incomprensioni, come quella ormai nota tra Freud e Breton, producendo, tuttavia, congetture feconde in un campo di studi dichiaratamente transdisciplinare: si pensi, tra i molti, agli scritti di Karl Abraham e di Ernst Kris, di Marion Milner e di Donald Winnicott. Sono esemplari, in questa prospettiva, gli studi novecenteschi sul sogno e l’illusione estetica, l’interesse degli artisti e degli storici per i temi del fantastico e del visionario a partire dallo sguardo freudiano, in uno scenario oggi nuovo e aperto, pur nelle rispettive appartenenze, a suggestioni e a contaminazioni. Sul piano del metodo, come osserva Fausto Petrella, “la mobilità richiesta alla riflessione analitica per far ‘parlare’ un’opera comporta l’attraversarne i vari livelli e connessioni”: uno sguardo polisemico, dunque, che contempli le fonti storiche e antropologiche, la dimensione formale e quella iconologica, consapevoli che il lavoro dell’arte estende i confini dell’esperienza senza doversi affidare, per quanto possibile, a idee precostituite di verità” Se il segno, prosegue Giorgio Bedoni, come ricorda Freud, è la via regia per accedere all’inconscio, molte delle opere in mostra si aggirano, a vario titolo, attorno alla visibilità estetica dell’esperienza onirica, situandola in scenari personali, storici e culturali ben caratterizzati. Così nell’itinerario dantesco di Bruegel, Salomon Resnik vede all’opera “l’illusionista dei sensi e della visione del mondo” alle prese con “diavolerie” e curiosità dell’ignoto che, in altra forma, turberanno ancora i sonni e i sogni della ragione illuminista al tempo di Goya. In questo scenario si colloca appunto la mostra, con opere e artisti sottoposti allo sguardo della lente freudiana, che si offrono ad una rivisitazione con l’obiettivo di sollecitare commenti critici e ipotesi interpretative, di individuare suggestioni e coincidenze sul piano storico e culturale. Le opere e gli artisti sono affidati alla lettura critica di alcuni tra i più autorevoli specialisti del settore: Mauricio Abadi ci parla di Dante, Simona Argentieri di Alfred Kubin, Francesco Barale di Max Klinger, Giorgio Bedoni di Francisco Goya, Giuseppe Civitarese e Giovanni Foresti di Gorge Grosz, Paola Golinelli di Richard Muller, Fausto Petrella di Giovan Battista Piranesi e Salomon Resnik di Peter Bruegel. Particolare attenzione sarà dedicata al percorso didattico dell’esposizione che guiderà il visitatore lungo lo sguardo che gli autori hanno avuto sugli artisti. Pannelli esplicativi suggeriranno e solleticheranno il visitatore accompagnandolo da una sezione all’altra della mostra. SIENA Il Giornale di Santa Maria della Scala pag. 7 Una guida agli ambienti e ai materiali per il museo archeologico Sono passati ormai più di sette anni dall’inaugurazione del nuovo allestimento del museo archeologico all’interno del Santa Maria della Scala. Già ospitato all’interno dell’ospedale, di cui dal 1993 occupava il piano terra di Palazzo Squarcialupi, esso è stato destinato, grazie al felice connubio tra Comune di Siena e Soprintendenza Archeologica della Toscana, all’allora appena recuperati ambienti affacciati sul Chiasso di Sant’Ansano. Il museo archeologico senese ha però alle spalle una lunga storia, che ne documenta il legame viscerale con le più prestigiose istituzioni locali (la Biblioteca Comunale, l’Accademia dei Fisiocritici), la passione degli eruditi locali e le vicende di importanti famiglie senesi. Senza tacere l’apporto determinante -certo sempre ricordato, ma mai abbastanza per l’importanza avuta – di chi ne fu principale promotore e attore, Ranuccio Bianchi Bandinelli, e con lui, il podestà Fabio Bargagli Petrucci e il soprintendente alle Anti- chità dell’Etruria Antonio Minto. Attraverso sedi diverse, ipotizzate o reali (tra tutte la reale e fondamentale sede di via della Sapienza, di cui ancora si conserva la lapide murata con l’indicazione del museo), e il lavoro appassionato di quanti nel corso dei decenni se ne sono occupati, il patrimonio archeologico ha infine risalito la strada verso piazza del Duomo, per trovare sede all’interno dell’antico ospedale senese. Di questo viaggio si è dato conto nella parte iniziale della nuova guida al museo archeologico, da poco pubblicata, che è stata pensata, a sette anni dall’apertura della nuova esposizione e dopo un primo catalogo edito in quell’occasione, come accompagnamento attraverso i cunicoli del Santa Maria, destinati ad ospitare le vestigia dell’archeologia del territorio senese. Proprio per questo si è voluto intersecare ed anzi far precedere l’illustrazione dei materiali esposti da una introduzione ai lavori che hanno portato al recupero de- gli ambienti ormai a tutti noti come cunicoli e da un’imprescindibile trattazione della storia e delle funzioni dei cunicoli stessi attraverso i secoli. È anche questo un viaggio cha a partire dall’”elemento unificatore” costituito dalla cosiddetta strada interna ci guida, dietro i portali, in un susseguirsi di stretti corridoi e vasti ambienti un tempo adibiti a cellieri, destinati alle scorte ospedaliere, guardarobba, utilizzati come magazzini di ogni sorta di oggetti, granai etc. La parte riservata nella guida alla visita al museo, infine, segue fedelmente l’attuale allestimento, a partire da Siena e il suo territorio, le finestre sulla Val d’Elsa e il Chianti e le collezioni private ottonovecentesche, confluite a più riprese nel museo, attraverso introduzioni generali a carattere storico e archeologico e approfondimenti su classi di materiali, contesti, nuclei tematici. D. Barbagli-G.C. Cianferoni (a cura di), Siena, Santa Maria della Scala. Guida al Museo Archeologico, Cinisello Balsamo (MI) 2008 (saggi e contributi di D. Barbagli, T. Campioni, G.C. Cianferoni, M. Clerici Rusconi, M. Iozzo, I. M. Ominelli, B. Sordini, E. Toti, C. Viglietti). Debora Barbagli Nella foto: Uno dei cunicoli dell’ospedale con in primo piano urne etrusche in travertino (foto di Francesco Castagna).