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La Mappa del Tesoro
il segreto di Prashanti Nilayam ovvero
il significato simbolico dell’Ashram di Sai Baba
Il presente lavoro è una sorta di riassunto per immagini del libro sul Buon senso e ha
come scopo principale quello di condensare i significati simbolici di alcune delle strutture
che compongono l’Ashram di Sai Baba le quali, come vi ho detto fin dal primo capitolo, mi
hanno da un lato favorito la meditazione sul “Pranava Om” e dall’altro l’elaborazione del
cosiddetto “Gioco della Liberazione”, un progetto complesso che ha contraddistinto sia la
mia esperienza personale che professionale di questi ultimi vent’anni.
Questo “manuale” che ho scherzosamente chiamato “Mappa del Tesoro” è
espressamente dedicato ai devoti di Sai Baba che sono stati a Puttaparti, ma può essere
utilissimo anche a chi, andandoci ora, volesse verificare personalmente questa mia
interpretazione in merito al significato simbolico del suo Ashram, chiamato da lui:
“Prashanti Nilayam” e che, non a caso, significa “Dimora della Pace Suprema”.
Lo Schema o il Circuito dell’Om su cui si sviluppa il Gioco della Liberazione
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Qui sopra ho messo l’immagine della prima versione che avevo fatto negli anni ’90 dello
Schema Om, invece nella figura successiva ho inserito le strutture simboliche presenti
all’interno e all’esterno dell’Ashram che sono a mio avviso più significative e che ritengo
siano state poste da Sai Baba in maniera assolutamente precisa e ragionata.
Lo scopo della figura è di avere un’immediata visione d’insieme del lavoro svolto, più
avanti nel testo le immagini che la compongono verranno analizzate e spiegate
singolarmente.
Il circuito dell’Om con le strutture simboliche che lo costituiscono,
presenti all’interno e all’esterno dell’Asram di Sai Baba chiamato da lui:
Prashanti Nilayam e che significa Dimora della Pace Suprema.
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L’avvicinamento, la zona franca e l’ingresso al circuito.
Nella figura qui sotto troviamo in successione:
a) la porta d’ingresso a Puttaparti ovvero a Prashanti Nilayam che nello Schema Om si
trova sulla strada di avvicinamento (1) al Gioco o all’Ashram di Sai Baba;
b) la zona franca posta di fronte alla porta d’ingresso al Circuito dell’Om (2) al campo di
gioco o, per i cultori del Mahabaratha, l’ingresso al kurukshetra (il campo di battaglia
che risiede dentro il cuore di ciascuno di noi e dove quotidianamente si combatte
l’infinita guerra tra le forze del bene e del male);
c) la porta Ganesha cioè la porta d’ingresso vera e propria all’Ashram o al circuito
dell’Om (3) con le due ante famose, una per l’entrata e una per l’uscita.
L’avvicinamento (1), la zona franca (2) e l’ingresso al circuito (3).
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Qui sotto invece (3) oltre alla porta d’ingresso (detta in inglese Ganesha Gate) fotografata
in un altro momento della giornata (tutta aperta, con i seva guardiani e pure la polizia),
vediamo poi la strada (4) che costeggia il circuito dell’Om (il campo di gioco o il
kurukshetra di Prashanti Nilayam) e che dalla zona franca va fino alla porta del Gopuram
(5) che ho chiamato la “porta della liberazione”.
La porta di Ganesha (3) e “la via della liberazione” (4).
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In quest’altra foto vediamo meglio e dall’alto la porta del Gopuram (5) che è proprio a
fianco dell’uscita dalla Via di fuga o dell’illusione (6).
Il Gopuram con la “porta della liberazione” (5) e l’uscita dalla “via di fuga o dell’illusione” (6)
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nella fotografia qui sotto vediamo invece in prospettiva frontale la porta di uscita della Via
di fuga o dell’illusione (6) da cui parte la strada del “recupero al gioco” (4), la quale non è
altro che la strada della Liberazione, semplicemente percorsa al contrario, cioè dall’uscita
della Via di fuga o dell’illusione (6) fino al nuovo ingresso al gioco (3)
In pratica la stessa strada cambia significato simbolico a seconda della direzione percorsa.
La porta della liberazione sotto il Gopuram (5) e la porta di uscita dalla via di fuga
o dell’illusione (6) che immette nella via del recupero al gioco (4).
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A proposito della “Porta della Liberazione” (5) vorrei fare un piccolo cenno in merito alla
mia esperienza personale, se non altro per farvi capire da dove è scaturita e come si è
sviluppata la mia elaborazione del “”Gioco della Liberazione”, successiva alla mia
permanenza a Puttaparti e soprattutto del perché ho fatto questa premessa sulla struttura
esterna dell’Ashram invece di entrare e portarvi subito dentro.
Allora, quando sono andato la seconda volta in India sono arrivato a Puttaparti a sera
inoltrata; ero solo e inconsapevolmente ho cercato di entrare nell’Ashram dalla porta del
Gopuram (5) che in quel momento era stranamente aperta (nella figura qui sotto è aperta
ma è di giorno), il guardiano o il seva presente mi ha comunque detto che da lì non potevo
entrare e avrei invece dovuto prendere la strada di cui vi ho accennato più sopra (quella
del recupero, al numero 4) che cambia nome a seconda di come la si percorra ed entrare
dalla porta di Ganesha (quella a due ante al numero 3).
La via della liberazione, ovvero, la via del recupero (4) la porta della liberazione (5)
e la porta di uscita dalla via di fuga o dell’illusione (6)
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Con il senno del poi, ho capito che con quella semplice indicazione lui mi si stava dicendo
che simbolicamente dovevo prendere la via del recupero (4) in direzione della porta di
Ganesha, quindi di ri-entrare nel gioco sperando di guadagnare così la liberazione.
E così ho fatto, sono ri-entrato nell’Ashram dalla porta di Ganesha (3) che come detto è
posta di fronte alla zona franca (2) e ho scritto apposta che sono ri-entrato nel gioco (o
nel kurukshetra) in quanto già ci ero entrato una volta l’anno prima, ma senza successo (e
sul significato del termine “successo” avremo poi modo di parlarne).
La zona franca (2) la porta di Ganesha (3)
e la via della liberazione, ovvero, la via del recupero (4)
In ogni caso, quello che mi premeva confidarvi è che è stata proprio l’affermazione di quel
seva (“Non da qui devi entrare, ma dalla porta di Ganesha!”) che mi ha ulteriormente
confermato l’idea comparsa l’anno prima che all’interno dell’Ashram ci fossero dei percorsi
obbligati con un significato simbolico nascosto. Idea che come vi ho detto nel testo, mi era
originariamente venuta osservando la struttura a due ante della porta di Ganesha,
utilizzate separatamente una soltanto per l’entrata ed una soltanto per l’uscita (cancello
che rivediamo nella foto qui sopra in un altro momento della giornata).
Per dirlo in altro modo, spostandomi dalla porta aperta del Gopuram (5) in direzione della
porta di Ganesha (3) di fatto, nella mia realtà simbolica, era come se fossi in precedenza
uscito dalla via di fuga o dell’illusione (6) ed avessi percorso la strada del mio recupero al
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gioco (4) con lo scopo di realizzare la liberazione dalle pendenze che avevo accumulato
nei miei vari giochi terreni nel corso degli anni.
Come detto nel libro sul “Buon senso” questo “recupero” riguarda tutti coloro i quali, a furia
di percorrere la via di fuga o dell’illusione (ovviamente a seguito del tentativo di realizzare i
risultati immaginati piacevoli) continuano a scendere i gradini del DOWN (che come
vedremo meglio più avanti consiste nell’uscire dalla porta indicata nella foto con il numero
6) fino a quando la sofferenza (che è la stessa per tutti coloro che ritengono la
trasgressione un fatto positivo e aspirano al primato del proprio Ego) non li spinge a
orientarsi verso la spiritualità nel tentativo di trovare una soluzione alle tribolazioni
dell’esistenza.
La porta della liberazione (5) e la porta di uscita dalla via di fuga o dell’illusione (6)
E nel mio caso l’indicazione del seva, così semplice nel suo contenuto non faceva altro
che dirmi: “Se vuoi imparare a giocare, devi ri-entrare nel gioco e accettare di percorrere
abitualmente la Via della Verità o della prova di verifica. Solo allora ti potrai ripresentare in
maniera idonea di fronte alla Porta della Liberazione.
Non ci sono alternative: percorrere le altre strade implica sempre e comunque la
comparsa di ostacoli e complicazioni di tutti i generi!”.
E così ho fatto.
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Fin dalla mia permanenza nell’Ashram e poi per anni mi sono messo a meditare sulla Om
e sull’Ashram di Sai Baba e, in questo modo, sono riuscito a concepire il Gioco della
Liberazione che completava l’elaborazione del concetto di gioco che avevo già impostato
nel mio precedente libro intitolato “Il Gioco autentico”.
Tra l’altro, per i devoti che non fossero convinti del discorso che sto facendo, oppure che
vorrebbero avere un supporto nella parole di Sai Baba, proprio in questi giorni ho letto un
suo discorso del 29.9.1968 fatto in occasione della festa celebrativa della “bandiera” nel
quale anch’io ho avuto un’ulteriore conferma che il lavoro fatto sul significato simbolico
delle strade e delle costruzioni presenti nell’Ashram è tutt’altro che soltanto il prodotto
della mia fantasia.
Badate bene, non è che ne avessi bisogno, ma come a tutti i comuni mortali, anche a me
fa piacere trovare ogni tanto dei riscontri a sostegno delle mie tesi.
D’altra parte, proprio come tutti i credenti che cercano di interpretare il volere divino (o
come i non credenti che cercano di interpretare come funziona la fortuna, il destino, il
karma o chiamatelo come volete) mi sono sorpreso nel constatare la tempistica, nel senso
che proprio ora mentre stavo disegnando “la mappa del tesoro” mi è venuto tra le mani
questo discorso di Baba che non avevo mai letto prima, dove oltre a chiamare il suo
Ashram Prashanti Nilayam (che significa appunto “dimora della Pace Suprema”) lo
descriveva più di quarant’anni fa in termini simbolici più o meno come sto facendo io
adesso (parlando cioè di strade, di porte, cancelli, ecc.).
Perciò, a titolo di curiosità, per i devoti cito il passaggio significativo di questo discorso:
“Avete notato che qui a Prashanti Nilayam non ci sono mura di cinta, infatti, proprio come
dovrebbe essere, la gente può venire dal Signore da ogni direzione, senza permessi od
ostacoli. Ci sono però dei cancelli!
Le persone che approssimandosi all’ashram percorrono la strada che fa una curva, nel
complesso, portano come tutti un fardello di impulsi ereditati, di deformazioni acquisite,
sono spinte dal desiderio e stimolate dalla frusta a sei lingue della passione.
Costoro entrano dal primo cancello solo quando non sono più dominati dal “tamoguna”,
ossia quando il velo della loro illusione è stato un po’ scostato.
Da quel punto procedono verso il Nilayam e passano attraverso il secondo cancello dove
sono attratti dall’imponente costruzione, dal porticato, dalla statua situata al centro, tutte
cose che colpiscono il relativamente superiore “rajoguna”. Poi anche questo guna
decade nel momento in cui entrano nella sala, dove il “sattvaguna” conquista le loro
menti, grazie alle immagini sacre, ai dipinti, ai bhajan, al canto dei nomi del signore”.
Ma torniamo al circuito dell’Om.
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L’ingresso al circuito e la prima ruota dell’intelligenza
Subito dopo l’ingresso che si chiama appunto Ganesha Gate (il cancello di Ganesha), c’è
la statua di Ganesha (nella foto è seminascosta perché carica di ghirlande di fiori) posta
all’interno di una struttura che nella prima versione avevo chiamato ruota del tempo di
gioco. L’avevo però anche chiamata ruota dell’intelligenza 1 intendendola come la
capacità del soggetto di comprendere i significati simbolici che sostengono il gioco,
dunque non solo il suo aspetto temporale (tempo di inizio, durata e fine del gioco).
Inoltre, siccome al discorso fatto alla fine degli anni novanta, oggi ho aggiunto anche le
neuroscienze, ho potuto verificare che, per mantenere il rapporto corretto con la struttura
anatomica del cervello, qui ci troviamo sulla corteccia prefrontale. orbito-frontale, per
cui, piuttosto che di “ruota del tempo di gioco” bisognerebbe privilegiare la dicitura “ruota
dell’intelligenza 1” oppure parlare di ruota del gioco vera e propria che consiste nella
capacità di capire in qualsiasi momento tutti gli aspetti simbolici del gioco in cui siamo
inseriti o, più precisamente, di “capire e mettere in pratica”:
- Chi siamo (il ruolo rivestito all’interno del gioco);
- Cosa stiamo facendo (a che gioco stiamo giocando ufficialmente);
- Come lo dobbiamo fare (le regole del gioco da rispettare e i risultati da conseguire).
L’ingresso al circuito e la statua di Ganesha, ovvero, “la ruota dell’intelligenza 1”.
E visto che, come me, alcuni lettori sono rimasti affascinati dalla figura di Ganesha
accenniamo al suo significato simbolico.
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SIGNIFICATO SIMBOLICO DI GANESHA
Gli inglesi che invasero e colonizzarono l’India rimasero inorriditi nel vedere gli indiani che
adoravano questa divinità metà uomo e metà elefante con quattro braccia, che cavalca un
topo e considerarono la popolazione assolutamente ignorante e primitiva. E questo
atteggiamento andò avanti fino a quando alcuni studiosi occidentali (tra i quali uno dei più
autorevole è stato senz’altro il filosofo tedesco Max Muller) si resero conto del significato
simbolico non solo della figura di Ganesha ma di tutte le rappresentazioni delle divinità
hindù, fino a rimanerne totalmente affascinati; per questo motivo riproposero poi in Europa
con entusiasmo nei loro scritti la profondità della spiritualità indiana.
Ganesha e Mushika
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Come ho detto in un capitolo del libro sul “Buon senso” la figura di Ganesha è talmente
particolare e ricca di significati simbolici che viene apprezzata e accettata praticamente da
tutte le religioni presenti in India.
Ganesha è universalmente e indiscutibilmente il simbolo dell’intelligenza umana e qui
sotto ne offro un’immagine sulla quale faccio un rapido elenco dei significati simbolici delle
sue parti principali (ho detto principali, perché volendo ci sarebbero anche quelle
secondarie o accessorie che danno a Ganesha una complessità spettacolare).
Simbolismo di Ganesha e Mushika
Tra parentesi, vorrei sottolineare la figura di Mushika, il veicolo di Ganesha, che è un topo
il quale però, a differenza di tutti i topi del mondo che hanno un movimento frenetico ed un
appetito incontenibile, sta invece fermo, cioè Mushika viene rappresentato immobile di
fronte al cibo posto in abbondanza ai piedi di Ganesha e sta a mani giunte in attesa delle
sue indicazioni per poter mangiare.
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Come detto nel riquadro precedente, simbolicamente Mushika rappresenta l’Ego o la
mente dell’ uomo pacificata in quanto, per dirla in termini psicoanalitici, anziché seguire il
principio del piacere (con il quale si vuole tutto e subito, sempre e comunque) si segue
invece il principio di realtà (usando il quale ci si rende disponibili ad attendere, a
procrastinare o addirittura a rinunciare al piacere o al proprio interesse per un principio più
elevato).
Secondo i dettami della filosofia hindù Mushika rappresenta le tendenze tamasiche
(oscure) e rajasiche (attive, sensoriali e passionali) della mente trasformate in tendenze
satwiche (chiare, luminose, equilibrate), principalmente attraverso l’uso di Viveka (la
discriminazione) e Vairagyam (il distacco) nel senso che il topo, come si sa, cerca i propri
godimenti negli anfratti più bui e sporchi (è perciò tamasico) senza sosta (dunque
rajasico), invece quando si associa a Ganesha che è simbolo dell’intelligenza (quindi ricco
di Viveka e Vairagyam) diventa tranquillo, pacificato e obbediente ai dettami della ragione
e, in taluni casi, addirittura radioso (satwico).
Ma ritornando al circuito dell’Om, dalla statua di Ganesha parte una strada curvilinea che
gli gira attorno e porta il giocatore (l’Io simbolico o il ruolo) allo “START” dove avviene
“l’allineamento” che precede la partenza effettiva nel Gioco della Liberazione.
In basso si vede la statua di Ganesha che corrisponde alla “ruota dell’intelligenza 1”
in alto invece c’è la strada che gira attorno alla statua di Ganesha e che rappresenta
la cosiddetta “fase della preparazione” che precede la partenza effettiva nel gioco
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Prima di lasciare definitivamente la questione di Ganesha vorrei però offrirvi un’altra mia
scoperta, decisamente curiosa.
IL LINGAM DI GANESHA
Il soggetto giocatore (l’io), la preparazione e lo START
All’inizio il mio desiderio era di mettere sulla copertina del libro sul Buon senso (quello
scaricabile da internet intendo) non il cervello come poi ho fatto, ma la foto di un Lingam
materializzato da Sai Baba e che ho chiamato il Lingam di Ganesha.
Ora vi spiego il perché.
Questa qui sotto è la foto del Lingam materializzato da Baba in non so quale circostanza e
che, a quanto sembra, è stato posto su un supporto con del ghiaccio, di conseguenza,
sulla sua superficie si è formata dell’acqua di condensa e un rivolo di questa (che si vede
in primo piano al centro del lingam) ha stimolato la mia immaginazione, a tal punto che
nella macchia che si è creata ho intravisto la figura di Ganesha.
Il Lingam di Ganesha
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Per chi non avesse una fervida immaginazione, nella foto successiva ho tratteggiato
l’immagine di Ganesha per come l’ho vista io e non ho volutamente esagerato con lo
spessore della linea per non condizionare troppo l’osservatore,
A me sembra proprio la testa di un elefante con le sue classiche orecchie a sventola e la
proboscide, da qui, il mio riferimento immediato a Ganesha.
Ma le curiosità non finiscono qui, perché volutamente non ho disegnato l’orecchio destro in
quanto in quell’area ho visto un’altra cosa: una persona che cammina e lascio all’
osservatore immaginare di chi si tratti (o meglio, visto che ci sono, vi indirizzo un po’:
guardando la foto successiva, pensate a chi ha materializzato il lingam e forse riuscite a
vederlo).
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Andiamo però avanti con le scoperte: se facciamo un parallelo tra il Lingam e la fase
preparatoria dello Schema Om viene fuori, sempre a mio avviso ovviamente, che il
soggetto giocatore (l’Io) cammina e gira attorno alla statua di Ganesha, proprio come
avviene al mattino per i bhajan in processione dopo il Suprabatham, a Prashanti Nilayam.
Per rendere meglio l’idea, nella figura qui sotto ho sovrapposto il Lingam che ho appunto
chiamato di Ganesha con lo Schema Om, e potete capire perché di questo Lingam volevo
farne la copertina del libro sul buon senso.
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Per chi non l’avesse ancora capito, forse confrontando le due immagini in maniera
separata può risultare più chiaro:
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IL BIVIO E LA COLONNA DELLE REGOLE
là dove divergono “la via di fuga o dell’illusione” e
“la Via della Verità o della prova di verifica”.
Tornando allo Schema Om, subito dopo la partenza effettiva del gioco (lo START)
compare il bivio dove, guardando la colonna delle regole, troviamo:
- a sinistra e in alto, il risultato immaginato piacevole (simbolizzato nella figura da una
semiluna sulla quale si avvolge “il filo rosso del desiderio o della paura”;
- a destra e in basso invece, il risultato reale offerto dal gioco (che nel disegno ho
simbolizzato con un podio dorato sul quale c’è la scritta “premiazione”).
IL BIVIO E LA COLONNA DELLE REGOLE là dove divergono
“la via di fuga o dell’illusione” e “la via della Verità o della prova di verifica”
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All’altezza del bivio troviamo la colonna delle regole simbolizzata nell’Ashram con il
Sarvadharma (che letteralmente significa “tutti i dharma” ovvero tutte le regole che
strutturano le religioni più conosciute del mondo: cristianesimo, buddhismo, islamismo,
zoroastrismo e induismo) tale colonna fa divergere le due strade:
- a sinistra, la via di fuga o dell’illusione;
- a destra, la via della verità o della prova di verifica.
Il Sarvadharma
Questo simbolo sta semplicemente a indicare che per quanto possano essere diverse,
tutte le religioni sono fondate sulle stesse regole (fede in Dio, amore verso il prossimo,
altruismo, collaborazione, rispetto per lo stato, per le istituzioni, per la patria, rispetto per le
idee altrui, ecc. ecc.):
- regole che vengono rispettate tutte le volte in cui la strada presa è quella a destra del
Sarvadharma (dunque la via “retta” o “chiara”) detta da noi “la Via della Verità o della
prova di verifica”,
- regole che vengono trasgredite quando la via presa è invece quella a sinistra (la via
“sinistra” o “scura”), detta da noi “la via di fuga o dell’illusione”.
Tra l’altro, non è casuale che quest’ultima si chiami universalmente la via scura perché
solo al buio le illusioni possono acquisire luminosità o visibilità.
A conferma di ciò, vorrei ricordarvi che al cinematografo, i film (che come tutti sanno sono
una fonte inesauribile di sogni e illusioni), devono per forza essere visti al buio e quando
per motivi diversi la luce in sala si accende e interrompe la proiezione, tutto il pubblico,
improvvisamente riportato alla realtà, in coro protesta dicendo: “Luce! Luce!”.
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Sempre a tale riguardo, un tempo succedeva un fatto curioso: quando al cinema si
usavano ancora le pellicole e i proiettori avevano i cosiddetti carboncini che le potevano
infiammare, poteva accadere che la proiezione venisse interrotta proprio perché la
pellicola andava a fuoco.
Questo avvenimento, realmente spiacevole per tutti (pubblico e proprietari del cinema) lo
si vedeva persino in diretta nel senso che improvvisamente si vedeva la pellicola che
letteralmente iniziava a bruciare e lasciava inesorabilmente lo schermo bianco.
A quel punto la prima reazione del pubblico era quella di una bordata di fischi e urla che
però dopo un po’ si acquietavano, anche perché una volta che le luci si accendevano,
bisognava dare all’operatore il tempo di riparare la pellicola.
Quando ci riusciva, il film ripartiva con le luci ancora accese (era ovviamente una partenza
di prova del macchinista) ma il quel preciso istante, quando cioè il pubblico si accorgeva
della possibilità di riprendere il sogno interrotto, automaticamente urlava: “Luce! Luce!”.
IL RISULTATO IMMAGINATO PIACEVOLE
Nell’immagine precedente dello “Schema Om”, all’altezza del risultato immaginato
piacevole ho messo la foto di un edificio al tramonto che nella realtà corrisponde al museo
delle religioni di Puttaparti (denominato: The eternal heritage or the spiritual museum ).
Quando ero nell’Ashram lo vedevo in lontananza, messo sulla collina, ma non sapevo di
cosa si trattasse (e in quel momento nemmeno mi interessava chiederlo), più avanti però,
quando ho fatto lo “Schema Om” mi sono reso conto che l’unica struttura esistente che
poteva corrispondere al “risultato immaginato positivo” era quell’edificio, ma venendo a
sapere che era il museo delle religioni mi sono domandato: “E che c’entra con il risultato
desiderato o la paura?”.
In ogni caso siccome la sua posizione corrispondeva proprio a dove avrei messo il
risultato immaginato positivo, anche se non conoscevo ancora il perché della sua
collocazione, all’inizio della stesura di questo capitolo l’ho messo comunque (tanto per far
scena) e mi sono detto: “Poi si vedrà!”.
Il museo delle religioni The eternal heritage or the spiritual museum
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E così è stato fino a qualche giorno fa in cui ho avuto un’intuizione, credo corretta.
In pratica, visto che parliamo del significato simbolico dell’Ashram di Sai Baba il cui gioco
principale è quello spirituale, se mettiamo il museo delle religioni in quella posizione è
come se nel Gioco Spirituale che lui propone venisse fuori che le religioni potrebbero
essere considerate un risultato immaginato piacevole o al contrario una fonte di paure.
Vista dall’alto del Mandir (oggi coperto con un tetto e una vetrata mobile)
e in lontananza sulla collina il museo delle religioni
Ma perché le religioni dovrebbero essere considerate un risultato desiderabile o fonte di
paure?
Se ci pensiamo bene, tutte le religioni sono nate e sono state costruite sull’Ego (o sul
piano immaginario) dei discepoli o dei discendenti di un messia, un profeta o di un Avatar,
i quali “montandosi la testa” a vicenda (ricordate la fase della montatura di cui abbiamo
parlato nel libro sul buon senso?) perdono l’obiettività e si convincono che gli
insegnamenti ricevuti dal proprio Maestro siano gli unici veri e mai esistiti prima al mondo,
di conseguenza, che la gente nell’ignoranza dovrebbe essere risvegliata dalla “buona
novella”.
Di sicuro questo è avvenuto per i ministri di culto della Chiesa Cattolica i quali a furia di
“montarsi la testa” l’uno con l’altro, sono riusciti a gonfiare il proprio Ego a tal punto da
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arrivare a dire: “Solo la nostra religione è Vera! Le altre sono solo superstizioni!” oppure
“Solo nella Chiesa Cattolica c’è la salvezza! Chi sta fuori dalla Chiesa va all’inferno!”, e
alla domanda ovvia…”E i bambini morti senza essere stati educati alla religione?”; per non
farsi dei nemici più di quanti se ne erano già fatti con le assurdità precedenti, i teologi
hanno “astutamente” risposto: “I bambini vanno nel limbo!”.
Il problema però è che nessuno ha mai saputo cosa sia questo “limbo” e chi ne ha voluto
sapere di più ha ricevuto come risposta una serie di interpretazioni fumose in grado di
confondergli ancora di più il cervello.
Ma tutto questo succede perché la gente ignorante dovrebbe tenersi nella testa i propri
dubbi, senza porre fastidiose domande ai ministri di culto i quali sono già fin troppo
impegnati a salvare il mondo.
Ma non basta, perché sul versante pratico l’Ego dei cosiddetti “ferventi cattolici” è
diventato così grande e desideroso di rimanere tale che ha cercato di sottomettere alle
stesse convinzioni tutto il resto dell’umanità, o con le buone o con le cattive (per il loro
bene ovviamente) e perciò da questa idea nacquero e non sono ancora finite le guerre di
religione.
Questo fatto che tutti conoscono è un evidente controsenso, visto che non si può fare una
guerra, primo perché la guerra è sempre sbagliata, ma soprattutto in nome di una religione
qualsiasi, anche perché, come sta a simbolizzare il Sarvadharma, tutte le religioni sono
fondate su valori identici per tutti gli uomini della terra (i Valori Umani quali l’Amore, la
Verità, la Rettitudine, la Pace e la Non Violenza) che, tra l’altro, sono proprio i Valori che
stanno alla base degli insegnamenti di Sai Baba.
Non a caso, a suo dire, il messaggio fondamentale della sua venuta sulla terra è stato
spiegare a parole e dimostrare praticamente agli uomini con il suo esempio che:
ESISTE UN’UNICA RELIGIONE
LA RELIGIONE DELL’AMORE!
A titolo informativo la frase simbolo completa di Sai Baba è:
“ C’è un solo Dio ed è onnipresente!
C’è una sola religione, la religione dell’amore!
C’è una sola casta, la casta dell’umanità!
C’è un solo linguaggio, il linguaggio del cuore!”
In definitiva, dal punto di vista simbolico tutto ciò significa che siccome le religioni sono
sempre state gestite in maniera conflittuale e competitiva (cioè all’insegna dell’Ego)
l’egemonia o il predominio di una sull’altra ha rappresentato e rappresenta per i cosiddetti
fedeli (in particolare per i capi religiosi) un risultato immaginato piacevole.
Per capirci meglio: i cristiani e in particolare i cattolici da sempre hanno immaginano
piacevole un mondo fatto di soli cristiani, purtroppo però (o per fortuna) sulla loro strada
hanno trovato degli uomini (per esempio i musulmani) che la pensavano allo stesso modo,
i quali, a loro volta speravano (e sperano tuttora) di convertire il mondo intero all’Islam.
Quindi, questa idea irrispettosa della libertà di culto altrui, che significa auspicare un
mondo sotto il domino un’unica religione è di fatto un risultato desiderabile o immaginato
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positivo dall’Ego e, allo stesso tempo, una fonte inesauribile di paure sia legate alla vita
terrena che all’Aldilà (la punizione eterna dell’inferno con sofferenze e brutalità di tutti i
generi).
Ecco perché secondo me le religioni gestite in maniera egoica sono state messe da Sai
Baba all’interno di un museo posto sulla via sinistra del Sarvadharma.
Prima o poi però tutti capiranno il concetto di Baba (e cioè che “Esiste un’unica religione la
religione dell’amore!”) che è una riedizione semplificata del dettato Vedico pluri-millenario:
“Esiste un unico Dio anche se viene descritto e adorato in molti modi!” (ma anche solo di
Gesù: “Ama il tuo prossimo!”) e allora veramente le guerre cesseranno e le religioni
verranno tutte relegate in un museo, proprio come è stato rappresentato simbolicamente
nell’immagine qua sotto.
Il museo delle religioni (The eternal heritage or the spiritual museum)
visto in un’ottica o con un’inquadratura che ha lo scopo di sottolineare la distanza tra le religioni
gestite all’insegna dell’Ego e i problemi quotidiani della gente normale.
Passiamo invece ora alla Via della Verità o della prova di verifica.
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LA VIA DELLA VERITÀ O DELLA PROVA DI VERIFICA
Come dicevamo in precedenza, il Sarvadharma crea un bivio dal quale divergono due
strade: “La via della Verità o della prova di verifica” che va a destra (la retta via) e “la via
di fuga o dell’illusione” a sinistra (la via sinistra, appunto, o della trasgressione).
In questo contesto però, mi preme farvi osservare che la Via della Verità fiancheggia un
edificio sulla cui facciata c’è un altorilievo di Shiva Nataraja (Shiva danzante nell’intento di
distruggere un nano, simbolo dell’illusione e dell’ignoranza).
Il bivio creato dal Sarvadharma subito dopo lo START
Come vedremo meglio più avanti, ho voluto riportare il particolare della statua di Shiva per
far capire che per passare dalla Via della Verità o della prova di verifica bisogna
distruggere l’illusione, che nella pratica quotidiana corrisponde al desiderio per il
risultato immaginato piacevole, rappresentato simbolicamente nella statua da “un nano”
su cui danza Shiva stesso allo scopo di annientarlo definitivamente.
Come si vede nella foto precedente e nel particolare della foto qui sotto, l’altorilievo di
Shiva Nataraja è presente sulla facciata di un edificio che nella realtà è una grande sala
per le conferenze chiamata Poornachandra dove Sai Baba teneva molti dei suoi discorsi e
dove, durante le grandi assemblee, avvenivano le premiazioni delle personalità politiche,
degli studenti meritevoli e di tutti coloro i quali si erano distinti all’interno
dell’Organizzazione Internazionale.
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Sopra il Poornachandra con l’altorilievo di Shiva Nataraja e sotto una statua tradizionale
E visto che ci siamo, così come abbiamo fatto per Ganesha e Mushika, diamo qualche
breve cenno su alcuni aspetti simbolici della figura di Shiva.
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IL SIMBOLISMO DI SHIVA
A proposito di Shiva Nataraja, anche la sua immagine, così come quella di tutte le divinità
hindù, racchiude una serie di simboli che andrebbero specificati uno ad uno (a partire, per
esempio, dalla luna nei capelli, i capelli arruffati, i serpenti che gli cingono il collo e i polsi,
il tamburello in una mano, ecc. ecc.), spiegarli però esula dallo scopo del presente
“manualetto” perciò, per il momento, mi limiterò a sottolineare la figura del “nano”
calpestato da Shiva mentre danza.
Shiva Nataraja
Come si dice in un sito internet che parla appunto dei simboli che intervengono a costituire
la figura di di Shiva Nataraja
“… Oltre al piede sollevato, l'altro piede poggia su un capolavoro simbolico… il corpo
prostrato, schiacciato di un nano , tamasico, che sta a significare l'uomo non compiuto ,
rimasto a metà del suo sviluppo e che non ha compreso la funzione della vita (cioè, che
non affronta il "conosci te stesso" platonico).
In lingua tamili costui è muyalaka simbolo della disattenzione, della smemoratezza (in una
parola, del tamas).
29
In sanscrito è Apasmara Purusha alla lettera, l'uomo senza conoscenza, smemorato ,
letargico, ignorante (anche qui, in una parola, tamasico).
Apasmara (si noti l'alfa privativa sanscrita ) significa dunque disattenzione e simboleggia
l'ignoranza dell'uomo, la sua cecità nei confronti della vita, l’attaccamento alla
immediatezza materiale e soprattutto la sua costante illusione.
E’ però possibile uscire da sotto il Suo piede e, a tal proposito, è Siva stesso che fornisce
il jagatmudra (la mano con il pollice e l'indice congiunti a creare un cerchio) simbolo di
eterno, di completo, di non soggetto al temporale, al transeunte, all’ignoranza...”.
Qui sotto c’è nuovamente la rappresentazione della Via della Verità che passa tra il
Sarvadharma e il Poornachandra (la grande sala per le conferenze) su cui campeggia
l’altorilievo di Shiva Nataraja e, in alto, sul risultato immaginato piacevole di fianco alla Via
dell’illusione campeggia il museo delle religioni (The eternal heritage or the spiritual
museum) visto di giorno.
In basso: la Via della Verità che passa tra il Sarvadharma e il Poornachandra;
in alto: la Via dell’illusione che costeggia il museo delle religioni
(The eternal heritage or the spiritual museum)
30
L’INTELLIGENZA 2
(la ruota della fede)
Sempre osservando lo Schema Om vediamo chiaramente che la Via della Verità viene
percorsa dal soggetto (l’Io giocatore o ruolo) obbligatoriamente tenendo il filo blu del
gioco e, come sapete, solo dopo aver tagliato il filo rosso del desiderio per il risultato
immaginato piacevole, c’è da aggiungere che non si potrebbe percorrere agevolmente la
curva se il filo blu non poggiasse su un ulteriore supporto interno alla curva stessa che nel
nostro schema è una seconda ruota, simbolicamente sempre dell’intelligenza: la ruota
dell’intelligenza 2, appunto.
Quando c’ero io a Prashanti Nilayam la ruota dell’intelligenza 2 era rappresentata
proprio da una ruota che circondava un fior di loto (altro simbolo importante per la
religione hindù) e da un‘altra statua di Ganesha (simbolo, come detto, dell’intelligenza in
generale).
La colonna delle regole (il Sarvadharma) e il bivio
31
(là dove divergono “la Via della Verità o della prova di verifica” e “la via di fuga o dell’illusione”)
Ho detto che il fior di loto è un simbolo importante per gli indiani in quanto questo fiore ha
le radici che pescano nel fango dello stagno, ma lui risiede e sboccia sulla superficie dell’
acqua e, non facendosi toccare né dal fango e né dall’acqua, si schiude amorevolmente ai
primi raggi del sole.
Dal punto di vista simbolico l’acqua e il fango dello stagno rappresentano le tribolazioni
della terra, il sole invece rappresenta il divino o gli aspetti spirituali dell’esistenza, perciò il
loto sta a simbolizzare la posizione che dovrebbe avere l’uomo saggio (ma a noi
basterebbe anche solo maturo) il quale, pur vivendo sulla terra, non dovrebbe mai farsi
toccare dalle problematiche terrene più di tanto e dovrebbe il più possibile mantenere
intatta l’attenzione rivolta agli aspetti spirituali (a Dio, rappresentato dal sole).
Nella versione originaria questa seconda ruota dell’intelligenza l’avevo chiamata la ruota
della fede nome che è rimasto tale anche nell’ulteriore inserimento della componente
organica del cervello a quello psicologico. La validità dell’intuizione si è mantenuta intatta
in quanto la posizione di questa seconda ruota nella struttura anatomica del cervello
dovrebbe corrispondere al lobo temporale profondo (la prima ruota dell’intelligenza
invece era sulla corteccia prefrontale).
Nel libro sulle Intelligenze dell’Io e in quello sul Buon senso dopo aver sovrapposto anche
graficamente lo schema Om al cervello, abbiamo accennato che pure secondo le
neuroscienze il lobo temporale dovrebbe essere la sede della fede; e ciò lo si desume
dal fatto che alcune di forme di epilessia, che originano o coinvolgono il lobo temporale
profondo, sono collegate a manifestazioni di misticismo anche esasperato.
Trattandosi comunque di una ruota dell’intelligenza, nell’Ashram (e precisamente nel
cortile del Mandir) era simbolizzata da una statua di Ganesha posta di fronte a una ruota
con al centro un fior di loto.
Piazzale del Mandir prima della ristrutturazione,
con (in primo piano) la ruota dell’intelligenza 2 (la ruota della fede)
simbolizzata da Ganesha e un fior di loto (dietro, seminascosto).
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Ora, dato che nella foto qui sopra il fior di loto non lo si vede bene vi aggiungo alcune
vecchie foto, prese sempre da internet, di prima che il Mandir fosse completato:
- nella prima vedete la ruota della fede con il fior di loto centrale ed evidentemente
manca ancora la statua di Ganesha;
- nella seconda Baba dà il darshan e osserva i muratori impegnati nelle rifiniture;
- nella terza il Mandir è completato o quasi (mancano ancora, per esempio, le
costruzioni ai lati del tempio e le bandiere di cui parleremo più avanti).
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Un’altra curiosità simbolica.
Nella foto di quando io ero presente nell’Ashram, si vede anche che ai lati della statua di
Ganesha sono poste sei bandiere queste sei bandiere stavano a simbolizzare i supporti a
cui si dovrebbero legare i sei nemici interiori (i sei Ari-shadvarga), nemici che
andrebbero sconfitti appunto con l’intelligenza e che, secondo la tradizione hindù, sono:
- Kama, (desiderio e attaccamento)
- Krodha, (rabbia e odio)
- Lobha, (avarizia e avidità)
- Moha, (illusione, infatuazione e gelosia)
- Mada (egoismo e vanità)
- Maathsarya (invidia)
Piazzale del Mandir prima della ristrutturazione, con
la ruota dell’intelligenza 2 (la ruota della fede) e a lato della statua
di Ganesha le bandiere indicanti i sei nemici interiori (gli Ari-shadvarga),
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Per chi sa l’inglese qui di seguito ci sono un paio di citazioni in merito al significato dei sei
nemici interiori. La prima è tratta da un sito internet sull’induismo e dice:
“Arishadvarga — the six passions of mind or enemies of desire, kama (lust), krodha (anger), lobha (greed), moha (delusion), mada (pride) and matsarya (jealousy), the negative
characteristics which prevent man from realizing the atman (Reality that is his True Being).
kama — lust, craze, desire
krodha — anger, hatred
lobha — greed, miserliness, narrow minded
moha — delusory emotional attachment
mada or ahankara — pride, stubborn mindedness
matsarya — envy, jealousy, show or vanity, and pride”
Qui sotto invece ci sono le risposte di Sai Baba tratte dal libro "PRASNOTTARA VAHINI"
tradotto in italiano in un libro dal titolo “Domande e risposte” edito da Mother Sai.
Q. Swami! What are the traits of character that we have to avoid, that is to
say, which are the obstacles in the path of one who seeks Liberation from the
cycle of Birth and Death?
A. The six, the Ari-shadvarga: Kama, Krodha, Lobha,
Moha, Mada and Maathsarya; these are to be avoided.
Q. What exactly is Kama?
A. Desire for riches, property, honour, status, fame,
children; why list the lot? Attachment to all things of this sensory world,
this false, temporary, impure world.
Q. Krodha?
A. Yearning to harm others and cause ruin to them.
Q. And Lobha?
A. Determination that no one else should partake of even a small
fraction of what one has earned or what one has; also, that even in times of
distress, one's possessions should not be diminished by use.
Q. What is the meaning of Moha?
A. The delusion that some people are nearer to
one than others and the desire to please them more than others, leading to
exertions for earning and accumulating for their sake.
Q. Mada?
A. Mada means the swagger that develops when one feels that he has
either scholarship or strength or riches or fame, more than others. Even when
one has not got these, Mada makes men move about without reverence for elders
and consideration for others' feelings and craving only for one's own comfort
and security. Mada is extreme egoism.
Q. The last that you mentioned is Maathsarya.What does that mean, Swami?
A. When others are as happy as yourself, Maathsrya makes one miserable; one cannot
tolerate it.
(The excerpts are from "PRASNOTTARA VAHINI" by Bhagawan Sri Sathya Sai Baba)
Ma torniamo allo schema Om e parliamo della premiazione di chi riesce a percorrere la
completamente la Via della Verità o della prova di verifica.
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LA FINE DEL GIOCO
la premiazione e la liberazione
Nel libro sul Buon senso abbiamo ripetutamente detto che: il risultato positivo e reale
del gioco in tutti i giochi è identico e consiste nell’uscita dal gioco “liberi”, senza cioè
pendenze residue, in ogni caso, in tutti i giochi c’è un angolo dedicato alla premiazione
formale, ufficiale o simbolica che spesso ha la forma di podio.
Nella prima versione, non ricordando nell’Ashram di Sai Baba una struttura specifica per la
premiazione ho messo comunque un podio simbolico e l’ho messo in vicinanza della porta
di Ganesha (dal lato destro, il lato dell’uscita) così, tanto per indicare che già uscire dal
gioco liberi è di per sé una premiazione (o meglio è “La” premiazione).
Però, come anticipato, siccome in tutti i giochi c’è un’area dedicata alla premiazione
ufficiale, in questi giorni ci ho ripensato e mi è tornato in mente che nelle celebrazioni delle
festività a Prashanti Nilayam regolarmente Baba premiava ufficialmente qualcuno nel
Poornachandra (che è quella grande sala alle spalle della statua di Shiva Nataraja di cui
abbiamo parlato prima, posta sul lato della Via della Verità) oppure nel cortile del Mandir
(che nella mappa è quell’area che sta attorno alla ruota dell’intelligenza 2 (la ruota della
fede), di cui abbiamo parlato poco fa.
Inoltre, siccome dopo la ristrutturazione dell’Ashram il piazzale del Mandir è stato allargato
e coperto con una tettoia (e una vetrata mobile che si apre in caso di necessità) ed è stata
tolta la ruota centrale con la statua di Ganesha, tutto ciò mi ha indotto un’altra riflessione
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Piazzale interno del Mandir come appare dopo la ristrutturazione,
al centro si intravede la statua di Ganesha, ma la ruota dell’intelligenza 2 (la ruota della fede)
con le bandiere indicanti i sei nemici interiori (gli Ari-shadvarga) è stata eliminata,
simbolicamente sostituite, probabilmente, dalle statue dorate dei leoni
Allora, quando c’ero io, per accedere al cortile interno del Mandir esistevano degli accessi
laterali (a sinistra del tempio per gli uomini e a destra per le donne) ed una porta centrale
di cui non conoscevo né il significato e nemmeno le regole d’accesso che, all’epoca,
appariva così:
Porta principale di accesso al Mandir
prima della ristrutturazione dell’Ashram di Sai Baba
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Di primo acchito si può vedere che la porta è resa complessa dal punto di vista simbolico
dalla presenza di statue, bassorilievi, altorilievi, ecc. che andrebbero spiegati uno per uno
(per esempio i due angeli che tengono il simbolo dell’unità delle religioni con al centro il
Sarvadharma dovrebbero essere gli Asvin, i due gemelli che secondo la mitologia hindù
con il loro carro trasportano ogni mattina il sole, il quale, a sua volta, è simbolo dell’
intelligenza, proprio come l’uccello che campeggia sopra, di cui Baba ha dato una
spiegazione precisa in un suo discorso, ma ne parleremo in altra occasione, e così via).
In ogni caso, rivedere quella porta (la cui foto l’ho recuperata da un vecchissimo libretto
indiano che parlava di Sai Baba e delle sue opere) mi ha subito fatto venire in mente la
possibilità di sovrapporgli i due simboli dell’Om proprio come avevo fatto nel libro sul Buon
senso sul viso del piccolo Buddha, per fare il collegamento tra la psicoanalisi, la spiritualità
e le neuroscienze, in particolare, per spiegare cosa fossero l’ascolto, la riflessione, la
concentrazione, la contemplazione e la meditazione.
Ascolto (sravana) riflessione (manana), concentrazione (nididhyasana),
contemplazione (samadhana) e meditazione (dhyana).
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Perciò applicando i circuiti dell’Om alla porta del Mandir il risultato è stato il seguente
(notare la perfezione degli incroci e la corrispondenza con i significati simbolici del circuito)
Porta di accesso al Mandir prima della ristrutturazione,
con la sovrapposizione dei circuiti dell’Om a spiegazione dell’
ascolto, riflessione, concentrazione, contemplazione e meditazione,
un modo per riassumere il significato ultimo dell’Intelligenza Spirituale.
Ora, siccome questa porta di accesso era una parte fondamentale del circuito dell’Om
(anche se nella prima versione non l’avevo assolutamente considerata) e visto che nel
cortile del Mandir avvenivano delle premiazioni (sia degli studenti, che di personalità
politiche indiane, responsabili dell’Organizzazione, ecc.) ma soprattutto avvenivano i
darshan di Sai Baba (la visione, il contatto e i colloqui con lui) mi sono domandato: “Che
significato potrebbe avere questa porta e il cortile del Mandir nell’ottica del Gioco in
generale e, in particolare, del Gioco Spirituale giocato all’interno dell’Ashram di Sai
Baba?”.
La risposta mi è venuta ancora una volta da un discorso di Baba recuperato “casualmente”
in questi giorni e che dice:
In alcuni templi di Vishnu esiste una speciale porta chiamata “Vaikunta-Dwara” che è
aperta e le persone possono oltrepassarla e trovarsi in Sua presenza.
“Vaikunta-Dwara” è la porta del paradiso, cioè il passaggio all’autorealizzazione.
Ma il passaggio per il Paradiso non si trova soltanto lì, esso si aprirà di fronte a voi
ovunque voi siate. Bussate e vi sarà aperto.
Vishnu significa “Sarva Vyapi” (Colui che è ovunque) quindi, la sua residenza Vaikunta (il
Paradiso) deve essere dappertutto e voi potete ottenere l’accesso bussando con la
corretta parola d’ordine…”.
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Quindi, siccome l’Ashram di Sai Baba è stato chiamato da lui stesso Prashanti Nilayam
(cioè la dimora della Pace Suprema) che tradotto in italiano diventa molto semplicemente
Paradiso e visto che lui dichiarava di essere un Avatar di Vishnu, le cose (almeno per i
devoti) sembrerebbero quadrare, nel senso che: chi attraversava quella porta (VaikuntaDwara) si trovava al Suo cospetto (Vishnu) e ciò significa che entrando nel cortile del
Mandir simbolicamente ci accedeva in paradiso (Vaikunta).
In ogni caso, è giusto ribadire che le mie interpretazioni si riferiscono a come l’Ashram era
strutturato all’epoca della mia permanenza, perché oggi, dopo la ricostruzione del tempio
(a seguito dell’attentato fatto a Sai Baba nel 1993) la porta di accesso al Mandir di cui
abbiamo appena parlato è diventata così :
come vedete, sostanzialmente è simile alla versione prima della ristrutturazione (perché gli
elementi simbolici principali sono stati mantenuti); bisogna però aggiungere che le porte
(Vaikunta-Dwara) sono diventate due, probabilmente perché per questioni di sicurezza
sono stati eliminati gli ingressi laterali al cortile del Mandir per gli uomini e per le donne.
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Queste due porte (Vaikunta-Dwara) le vediamo meglio nella vista dall’alto del Mandir una
è dietro seminascosta dal Gopuram).
A questo punto possiamo fare una piccola digressione sul significato simbolico del
paradiso nel quale si entra dalla porta sopra citata (la Vaikunta-Dwara).
In senso generale, ma sempre avendo come riferimento il gioco (l’unica chiave simbolica
che ci permette di avere un minimo di certezze in quello che diciamo) il paradiso inteso
come premiazione può essere di due tipi:
- un paradiso temporaneo, che possiamo ottenere all’interno di un gioco qualsiasi
(gioco scolastico, gioco sportivo, gioco professionale, ecc.) a seguito di un successo e
che contempla sia una premiazione che un meritato riposo successivo;
- un paradiso definitivo, che invece possiamo realizzare nel Gioco Spirituale, che è
stato simbolizzato più o meno allo stesso modo in tutte le religioni (per esempio, i
cristiani e i musulmani hanno chiamato questa dimensione di beatitudine Paradiso, i
buddhisti Nirvana, gli hindù Vaikunta e così via per tutte le religioni).
In realtà, mentre per i cristiani e i musulmani il paradiso dopo la morte è una dimensione
definitiva, invece per i buddhisti e gli hindù bisogna distinguere:
- un paradiso temporaneo dal quale poi si torna a vivere (in pratica, dopo un tempo di
permanenza più o meno lungo in paradiso, ci si reincarna)
- un paradiso definitivo dal quale non si torna più a vivere. A tale proposito, gli hindù
ritengono che la cessazione delle reincarnazioni avvenga solo con la fusione definitiva
nel divino, i buddhisti invece anche se non considerano l’esistenza di Dio pure per loro
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esiste un paradiso definitivo (il Nirvana) che coincide con la cessazione delle
reincarnazioni e della sofferenza. Così lo descrive un antico testo indiano: “Il nirvana è
la regione ove non esiste terra, acqua, fuoco e aria; non è la regione di uno spazio
infinito, né quella di una coscienza infinita; non è la regione dei puro nulla; non è
questo mondo né l’altro mondo, dove non vi sono né sole né luna. Esso è senza
fondamento, senza continuazione e senza fine. È’ la fine della sofferenza»
Ma questo è un discorso complesso che non è il caso di fare adesso; piuttosto, rimanendo
per un attimo sull’aspetto del paradiso temporaneo guadagnato nel contesto del gioco
spirituale giocato sulla terra, siccome il dharshan che Baba dava all’interno del Mandir
rappresentava di fatto una sorta di premiazione (tutti più o meno andavano da lui perché
avevano bisogno di qualcosa o, quantomeno, desideravano vederlo di persona) a suo
dire, si riusciva ad arrivare a Puttaparti, a vederlo e a parlare con lui solo grazie ai meriti
spirituali acquisiti magari in una precedente esistenza. Tra l’altro, il podio da me disegnato
non solo coincide topograficamente con la porta del paradiso (Vaikunta-Dwara) presente
nell’Ashram, ma anche il tipo di “premiazione” seguiva regole ben precise da lui stesso
dettate (collegate cioè ai meriti, in questo caso spirituali, come in un gioco qualsiasi).
Tutto ciò viene confermato dallo stesso Baba, in un altro suo discorso, dove dice che le
persone meritevoli che attraversano questa porta ricevono il premio della Sua conoscenza
a seconda del livello raggiunto, ovvero in linea con una delle tre qualità (o Guna) che in
quel momento è prevalente nella loro personalità (che per noi comuni mortali non è una
situazione definitiva, ma è variabile, nel senso che possiamo pure passare dei periodi di
particolare levatura spirituale, ma poi le tentazioni della vita ci spingono a scendere i
gradini dei meriti e, quando per questo motivo si ripresenta l’antica sofferenza, ci si rimette
a lavorare e si cresce nuovamente… così indefinitamente per migliaia di vite).
Comunque, in riferimento alla qualità che in quel momento ci garantisce “il merito”, Baba
dice testualmente:
- la qualità dell’inerzia (tamas) può ottenere solo la visione (il dharshan);
- la qualità dell’attività (rajas) può ottenere anche la conversazione con il divino
(sambhasana);
- la qualità spirituale (sattwa) può ottenere anche il tocco del divino (sparsana).
(da “Lezioni agli studenti del 1978”)
Anche in questo caso il discorso citato non l’avevo mai letto prima e me ne ha parlato
“casualmente” un amico solo pochi giorni fa.
Scusate questi continui riferimenti alle “coincidenze”, ma da un lato li faccio perché il
lettore a cui mi rivolgo è preferibilmente un devoto e, dall’altro lato, perché realmente “la
mappa del tesoro”, così come l’ho chiamata, anch’io l’ho vissuta in questo modo,
contrassegnata cioè da continui spot (intuizioni alternate a scoperte occasionali) sia negli
anni passati, mentre ci meditavo sopra, sia in questi giorni mentre la stavo “disegnando”.
In pratica, poteva succedere che ogni tanto mi veniva un’intuizione che mi sorprendeva,
oppure facevo un’improvvisa deduzione razionale, o ancora trovavo per esempio in un
discorso di Baba che confermava quanto avevo capito e così via. E ho continuato a
sorprendermi fino all’ultimo, nel senso che anche in questi giorni in cui pensavo di dover
solo mettere su carta delle conclusioni che avevo in testa da anni, si sono verificate delle
ulteriori combinazioni fortuite, cui vi ho appunto accennato, oppure ho avuto delle nuove
intuizioni che mi hanno imposto di aumentare il materiale a mia e a vostra disposizione, e
questo nonostante tutto il lavoro che già ci avevo fatto sopra in questi anni.
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Comunque, a titolo esplicativo del discorso sulla premiazione, ho voluto recuperare il
disegno messo nel libro sul Buon senso che si riferiva alla premiazione del vincitore in un
gioco qualsiasi (cioè la premiazione di chi era riuscito a percorrere completamente la Via
della Verità o della prova di verifica con successo) e gli ho aggiunto le premiazioni
specifiche per il Gioco Spirituale di Prashanti Nilayam, così come indicate nel citato
discorso di Baba.
La “premiazione” nel Gioco Spirituale di Prashanti Nilayam
così come descritto da Baba
Nelle didascalie che spiegano le fotografie dei passaggi significativi del circuito dell’Om, ho
precisato diverse volte “prima della ristrutturazione”, semplicemente perché con la
ristrutturazione dell’Ashram, alcuni aspetti da me descritti sono stati realmente modificati e
non essendoci più tornato, le foto attuali a mia disposizione mi dicono che dal più al meno
il significato simbolico non si è sostanzialmente modificato, però è vero che se stessi lì
qualche giorno forse potrei spiegare meglio in che modo ora si trovano gli stessi simboli.
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Per capirci facciamo l’esempio del cortile del Mandir: confrontando le due foto (quella
vecchia e quella nuova) vediamo chiaramente che la ruota della fede (con il fior di loto e
la statua di Ganesha) è stata eliminata; il motivo non lo conosco, in ogni caso anche solo
dai dati che ho a disposizione posso dire che la struttura del duplice Om simile a quella
che abbiamo sovrapposto alla “Porta del Paradiso” è stata replicata anche nel cortile.
Come vedete nell’immagine qui sotto, al centro troviamo comunque la statua di Ganesha
simbolo dell’intelligenza e con la sovrapposizione delle due Om anche il piazzale del
Mandir permette di recuperare tutti i discorsi fatti in merito all’ascolto, alla riflessione, la
concentrazione, la contemplazione e la meditazione.
Inoltre, ai lati vediamo delle colonne che richiamano il Sarvadharma (la colonna delle
regole da cui si dipartono le due strade che costituiscono il bivio), la triplice cupola che,
come nel caso del “museo delle religioni” simboleggia il risultato immaginato positivo,
quindi, a sinistra c’è la parte degli uomini e a destra quella delle donne, ecc. ecc.
Piazzale interno del Mandir dopo la ristrutturazione.
Poi, come accennato, la ruota dell’intelligenza 2 (la ruota della fede) con le bandiere
indicanti i sei nemici interiori (gli Ari-shadvarga) è stata eliminata, a mio avviso sostituite
dalle statue dorate dei leoni che simbolicamente indicano gli ostacoli e le complicazioni
cui si va incontro percorrendo la via di fuga o dell’illusione.
Comunque, lo voglio ripetere, la porta del paradiso non è la porta UP dello Schema Om
tantomeno quella DOWN, la “porta del paradiso” è una porta interna al circuito, in pratica:
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-
-
la porta UP corrisponde alla porta del Gopuram entro la quale passa solo chi nei giochi
della quotidianità esce definitivamente libero e salendo di livello di coscienza, cambia
gioco, va in pensione o altro; oppure chi nel gioco spirituale ottiene la liberazione in
vita e va nel paradiso definitivo. Invece, chi fa il percorso completo passando
attraverso la Via della Verità o della prova di verifica e “vince” viene premiato, ma una
volta uscito libero, nella zona franca può continuare a rientrare e rifare lo stesso gioco
(ovviamente con un’esperienza maggiore nel campo specifico): è come quando
otteniamo un successo professionale o scolastico, sicuramente maturiamo però dopo
la premiazione (il paradiso temporaneo) torniamo a giocare, cioè continuiamo a fare lo
stesso gioco fino a quando è possibile o ci si stufa;
al contrario, chi esce dalla porta DOWN (che è la porta d’uscita dalla via di fuga o dell’
illusione) non è libero dalle pendenze del gioco, anzi accresce il suo karma negativo e,
se vuole alleviarlo, deve obbligatoriamente seguire la via del recupero al gioco (che
vi ricordo è semplicemente la via della liberazione percorsa al contrario) e ripresentarsi
umilmente all’ingresso del gioco con le migliori intenzioni. Molti però, illudendosi di
sfuggire al karma negativo, si allontanano dal gioco seguendo la via del DOWN, ma
ciò li fa soltanto e inevitabilmente regredire sia psicologicamente che spiritualmente,
Sopra: il circuito dell’Om applicato al cervello con le uscite UP and DOWN
Sotto: la via del DOWN a Prashanti Nilayam che illude di potersi allontanare dal gioco
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Psicoanalisi spiritualità e Neuroscienze
Dal punto di vista delle neuroscienze, che nel libro sul Buon senso abbiamo collegato alla
spiritualità e alla psicoanalisi, la porta del paradiso è una porta interna ai circuiti cerebrali
della ricompensa, l’attraversamento dei quali consente di ottenere:
- una ricompensa temporanea che può essere un godimento trasgressivo (“il piacere
senza o prima del dovere”) oppure un piacere legittimo (“il piacere dopo il dovere”);
- una ricompensa definitiva (l’illuminazione o la liberazione finale).
Lo so che può essere difficile capirlo ma dovete avere l’elasticità di vedere al tempo stesso
lo Schema Om sia come rappresentativo di tutti i giochi pratici dell’esistenza (con tutte
le trasgressioni commesse e i godimenti conseguenti, le azioni giuste seguite dal piacere
legittimo delle premiazioni e delle liberazioni parziali, la maturazione e l’accumulo di
esperienza, ecc.) sia come rappresentazione del gioco della vita in senso ampio, con
l’accesso dopo la morte al paradiso temporaneo (il Vaikunta) e tutte le successive
reincarnazioni cui siamo sottoposti per arrivare al livello di consapevolezza massimo (la
cosiddetta illuminazione) e alla liberazione finale che ci permette di guadagnare il
paradiso definitivo (il Nirvana o la fusione con il Divino) e di non reincarnarci più.
A tale proposito vediamo una serie di immagini esplicative:
Nell’immagine qui sopra vediamo il circuito dell’Om applicato alla superficie del cervello
La freccia indica la porta del paradiso intesa come soddisfazione legittima che trova il suo
corrispettivo anatomico nel Sistema Limbico (in particolare nell’ippocampo e nell’amigdala)
posto nella profondità lobo temporale,
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Questo fatto viene meglio evidenziato nella visione del cervello sezionato.
Il sistema limbico è al centro del cervello ed è la zona che stimolata adeguatamente
libera degli ormoni (es. la Dopamina) che sono alla base di tutte le sensazioni piacevoli.
Nella figura qui sopra possiamo vedere lo stesso discorso in prospettiva frontale,
nel senso che vediamo i due emisferi cerebrali, con le due porte del paradiso
laterali e il Sistema Limbico posto centralmente.
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Va sottolineato però che in questo paradiso (situato nel Sistema Limbico) troviamo tutte le
forme di piacere (sia legittime che trasgressive) in quanto, come avevo scritto nel libro
sulle Intelligenze dell’Io, in questa sede ci sono i recettori del piacere che possono essere
stimolati allo stesso modo da sostanze diverse (alcol, droga, cibo, ecc.) ma anche dalla
musica, dalla visione di immagini attraenti, ecc. e da quell’interazione avviene la
liberazione degli ormoni responsabili del piacere (come ad esempio la Dopamina).
Questo fatto è stato ormai ampiamente verificato sperimentalmente dai neuroscienziati;
ma usando la metafora di cui sopra, il piacere ottenuto attraverso la liberazione di questi
ormoni rappresenta sempre e comunque solo un paradiso temporaneo che, come
accennato, può essere ottenuto, è doveroso precisarlo:
1) sia in maniera trasgressiva, nel senso che i recettori posti nel Sistema Limbico
possono essere stimolati attraverso modalità non corrette. Dal punto di vista
psicoanalitico questo tipo di piacere si realizza quando si segue il principio di piacere (il
piacere immediato e sicuro a tutti i costi) simbolizzato nello Schema Om dalla Via di
fuga o dell’illusione. Ma quando si cerca di realizzare il risultato immaginato piacevole
direttamente questa via alternativa sembra “breve” (in quanto il piacere lo ottiene pure
subito) ma poi risulta invece molto più lunga e travagliata della Via della Verità. Difatti
la Via di fuga o dell’illusione offre solo godimento (che come abbiamo detto è piacere
immediato seguito da sofferenza certa) e, all’atto pratico, trasforma quel piacere (o
quel paradiso temporaneo) in un vero e proprio inferno. La conferma del destino
ingrato del godimento o del piacere immediato a tutti i costi ce l’abbiamo nella storia di
tutte le dipendenze (dall’alcol, alla droga, al cibo, al sesso, ecc.);
2) sia con un comportamento corretto, che dal punto di vista psicoanalitico significa
seguire il principio di realtà simbolizzato nello Schema Om dalla Via della Verità o della
prova di verifica. In questo caso si tratta di un piacere vero (non di un godimento) che
non ha effetti collaterali spiacevoli (soprattutto perché non crea né una dipendenza
fisica e nemmeno psicologica) e corrisponde al detto dei nostri padri: “prima il dovere e
poi il piacere”.
In realtà esiste anche una terza modalità per accedere al paradiso (sia temporaneo che
definitivo) ed è la meditazione (in sanscrito Dhyana).
Con la meditazione, proposta da tutte le religioni, ma in particolare dal buddismo e
dall’induismo (fondamento in questo caso del cosiddetto Raja Yoga), è possibile ottenere
non soltanto un piacere senza conseguenze spiacevoli (un paradiso temporaneo), ma
anche preparare il terreno per:
- l’illuminazione,
- la liberazione in vita,
- il paradiso definitivo (il Nirvana o la fusione in Dio).
La psicoanalisi non contempla questo passaggio spirituale in quanto il padre fondatore
Sigmund Freud era ateo, così come i suoi più importanti successori (dei quali il maggiore
esponente è senz’altro Jacques Lacan); questo passaggio “conclusivo” al Nirvana o alla
fusione in Dio, l’ho aggiunto io studiando il messaggio di Sai Baba che ripropone in
maniera chiara e semplice gli insegnamenti spirituali dei Veda e delle Upanishad.
In poche parole, per guadagnare queste forme di “paradiso” (temporaneo e definitivo)
senza effetti collaterali è necessario seguire un percorso spirituale (che contempli o
meno l’esistenza di Dio) e adottare un criterio esistenziale e pratico che ho chiamato il
Principio Trascendente (in quanto trascende sia il principio di piacere che Il principio di
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realtà). Avete capito bene, tale principio esiste anche nel caso non si contempli l’esistenza
di Dio,
difatti, lo si può ritrovare sotto la forma della compassione buddista oppure nella morale
o più precisamente nell’etica che tutti gli esseri umani conoscono (anche i non credenti) in
quanto e inscritta nel codice genetico.
L’argomento è ovviamente molto complicato, perciò per i chiarimenti vi rimando ai miei
precedenti scritti; in ogni caso, a conferma del collegamento esistente tra la psicoanalisi,
la spiritualità e le neuroscienze, come anticipazione di un mio futuro approfondimento,
voglio mostrarvi una curiosità.
Alcune sette buddiste utilizzano per le loro cerimonie un particolare copricapo giallo e,
anche se troverete delle interpretazioni diverse in merito al suo significato, come vedete
dall’ immagine qui sotto, esso richiama senza alcun dubbio il Sistema Limbico e siccome
la pratica che rappresenta il fondamento dell’evoluzione spirituale nel buddhismo è la
meditazione (basata sulle quattro nobili verità e sul cosiddetto ottuplice sentiero) chi
adotta quel copricapo è come se dicesse simbolicamente:
“Si dovrebbe avere sempre la testa immersa nella meditazione
che è il metodo migliore per realizzare il Nirvana”.
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Chi ne vuole sapere di più in merito a quel cappello e al suo significato può andare su
internet e partire dall’articolo che ho trovato nella mia ricerca dal titolo: The Origin of the
Yellow Hat Worn by Monks in the Gelug Tradition.
Tra l’altro, per far capire quanto sia importante la meditazione per la modulazione delle
reazioni emotive che coinvolgono il Sistema Limbico vorrei riproporvi un articolo preso da
internet.
Due mesi di meditazione producono effetti visibili
sulla materia-grigia del cervello.
Otto settimane, tanto è necessario secondo uno studio del Massachusetts General
Hospital che per la prima volta ha stabilito con esattezza la “soglia” misurabile oltre la
quale le tecniche di rilassamento cambiano il cervello: 8 settimane producono effetti
associati a memoria, empatia e, per l’appunto, stress.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Psychiatry Research: Neuroimaging.
I ricercatori hanno “arruolato” 16 persone alle quali hanno “scattato” foto cerebrali prima e
dopo un corso anti-stress presso l’Università del Massachusetts e il confronto non lascia
dubbi: secondo gli scienziati, la densità della materia-grigia nell’ippocampo è davvero
aumentata alla fine del percorso.
Proprio l’ippocampo, ricordano, non è una regione del cervello qualsiasi, ma la “cabina di
regia” di apprendimento e memoria. Britta Hölzel, tra gli autori dello studio, ha affermato:
“È affascinante osservare in questo periodo i cambiamenti plastici del cervello”.
I partecipanti allo studio hanno eseguito le tecniche in media per 27 minuti ogni giorno. Il
protocollo comprendeva esercizi guidati per migliorare la consapevolezza e, oltre all’
influenza sull’ippocampo, gli strumenti diagnostici a disposizione dei ricercatori hanno
potuto rilevare un miglioramento nella funzione dell’amigdala, nota per svolgere un ruolo
cruciale su ansia e stress.
Attenzione, però, 8 settimane “cambiano” cervello, ma non eliminano lo stress. “L'
esperienza personale dello stress non può essere ridotta solo con un programma di
formazione di 8 settimane - avverte Amishi Jha, un altro dei ricercatori -, ma la scoperta
apre le porte a possibilità per ulteriori ricerche sul potenziale delle meditazione come via
per proteggere contro i disturbi legati allo stress, come ad esempio quelli da stress posttraumatico”. (ASCA)
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Concludendo, vorrei riportare un altro frammento di discorso fatto da Baba che è in
sintonia con quanto detto nel libro sul Buon senso in merito al circuito dell’Om e ai nuclei
di desiderio
Dice Baba:“… Finché sarete nell’Avidya , ignoranti e impreparati, non potrete gustare
Ananda, la beatitudine divina; non la potrete raggiungere perché siete ancora legati dalla
triplice fune :
- nera di tamas;
- rossa di rajas;
- bianca di sattwa;
rifiutate di essere legati e le funi cadranno da sole. Regolate perciò la vostra vita in modo
da non far danno alla vostra Natura Interiore…”
Come vedete nello schema Om strutturato questa volta sui nuclei di desiderio (un modo
diverso di parlare delle “Intelligenze dell’Io”), la differenza rispetto al discorso di Baba sta
solo nei colori adottati per le funi, difatti io ho usato:
-
il verde per il tamas (la corda collegata ai nuclei di desideri istintuali);
il rosso per il rajas (quella collegata ai nuclei di desideri immaginari);
il blu per il sattwa (quella collegata ai nuclei di desideri razionali)
Prima di lasciarvi però vorrei farvi ancora un regalo (o almeno io lo considero tale).
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Quando cercavo su internet una foto per spiegare com’era fatto oggi il Mandir all’interno
dell’Ashram di Sai Baba (quella che ho messo più sopra), ho interrotto casualmente un
filmato su You Tube proprio nel momento di passaggio da un’immagine all’altra e il
risultato è stato il seguente:
in questo modo è possibile intravedere, oltre al “Paradiso”, pure il suo “Custode” che si
aggira nel cortile del Mandir come un fantasma ovvero mentre offre il suo darshan a coloro
che hanno il desiderio e gli occhi per vederlo ancora oggi.
Ai devoti forse interesserà pure sapere che questa immagine l’ho scaricata il giorno della
morte di Sai Baba e il cortile del Mandir è proprio il luogo dove è stato sepolto il suo corpo.
Comunque lo ripeto, quel che mi interessava era offrire un lavoro interpretativo dell’
Ashram di Sai Baba a chi è già andato a Puttaparti o a chi vorrà andarci, in modo da avere
una sorta di “mappa del tesoro” con la quale giocare o meditarci su come ho fatto io.
Detto questo vi saluto e… Buon Viaggio e Buona Permanenza a Prashanti Nilayam
P.S.
Per chi volesse saperne di più in merito al libro sul Buon senso che è scaturito dalla mia
meditazione sul Pranava Om e ha comportato la scoperta del Gioco della Liberazione,
può andare sul sito www.yoga-psicoanalisi.it e scaricarlo gratuitamente.
Buona lettura.
P.S. bis
Non è ancora finita, a titolo di curiosità voglio ancora darvi un paio di informazioni.
Forse non tutti i devoti sanno che il messaggio di Baba, oltre ai discorsi, ai miracoli, alle
materializzazioni e alle opere (scuole, ospedali, acquedotti, ecc.) è stato anche arricchito
dai cosiddetti Mudra che sono particolari posizioni delle mani che hanno nelle religioni
indiane (specie nell’induismo e nel buddismo) un profondo significato simbolico, che da un
lato funge da supporto per la meditazione, ma hanno anche un effetto terapeutico.
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Il Mudra per eccellenza di Sai Baba era senza dubbio il Thirodhana Mudra che consisteva
nella rotazione della mano destra con le dita rivolte in alto a mo’ di cestino (come nella foto
qui sotto) e, anche in questo caso, al di là di quello che troverete in merito al suo
significato, a me, fin dal primo momento in cui gliel’ho visto fare, questo gesto ha fatto
pensare alle “rotelle del cervello o della mente” che lui faceva girare per attirare i
devoti.
Non a caso, riflettendo su quel movimento, perennemente ripetuto da lui (un vero e proprio
“marchio di fabbrica di Sai Baba” si potrebbe dire) ci ho scritto poi sia il libro sulle
Intelligenze dell’Io che quello sul Buon senso.
Per dirlo in maniera chiara: secondo me, con la mano destra egli faceva girare la ruota
del gioco (la ruota dell’intelligenza 1) per favorire ai suoi devoti il passaggio attraverso la
Via della Verità.
Sai Baba e il “suo” Thirodhana Mudra
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A volte, per rendere più esplicito il significato simbolico (meditativo e terapeutico) di
questo Mudra, oltre a roteare la mano destra, con il dito medio della mano sinistra indicava
il punto d’incontro tra le sopracciglia e la radice del naso che è tradizionalmente la sede
del cosiddetto “terzo occhio”, che come abbiamo detto nel libro sul Buon senso
dovrebbe essere il punto di arrivo delle fasi successive all’ascolto e alla riflessione, cioè
concentrazione, contemplazione e meditazione (come indicato nella foto del piccolo
Buddha).
Fasi successive all’ascolto e alla riflessione: concentrazione, contemplazione e meditazione
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Tutto ciò però non basta perché a volte egli girava al contempo entrambe le mani (come
nella foto qui sotto), ma non c’è contraddizione con quanto detto in precedenza anche
perché, come si può vedere nella foto del piccolo Buddha e nelle precedenti foto del
cervello, le ruote del gioco sono due, una per ciascun emisfero ed è per questo motivo
che la fase più importante della meditazione è la concentrazione (dove due diventa uno).
Ascolto (Sravana) e riflessione (Manana) che precedono la concentrazione (Nididhyasana)
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Un altro movimento delle mani che lui faceva molto spesso, ma che nessuno ha mai
contemplato come Mudra (almeno così mi sembra, perché nelle ricerche che ho fatto non
l’ho trovato sotto questa denominazione, da nessuna parte) è quello mostrato nella foto
qui sotto, dove Sai Baba indica l’altra ruota: la ruota dell’intelligenza 2 (la ruota della
fede) o comunque indica la Porta del Paradiso realizzabile attraverso la meditazione.
E lo considero un Mudra perché in quasi tutti i filmati che ho visto egli lo ha riproposto
regolarmente, a volte, come nel caso degli ultimi tempi in cui aveva difficoltà persino ad
alzare il braccio, addirittura lo accennava soltanto: in pratica, con il dito indice sollevato
egli cercava di arrivare al lobo temporale (posto sopra e dietro lo zigomo, come nella foto)
ma spesso non riusciva nemmeno a superare il mento.
Ovviamente siete liberissimi di credere o meno alle mie interpretazioni, anzi, se volete
comunicarmi dei dubbi o propormi delle vostre interpretazioni sul significato simbolico delle
strutture dell’Ashram di Sai Baba potete scrivermi all’indirizzo [email protected].
Adesso però la smetto di aggiungere materiale e vi saluto davvero.
A presto.
Luigi Ioverno
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Mappa del tesoro yes ok bis1