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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLIV n. 80 (46.622)
Città del Vaticano
lunedì-martedì 7-8 aprile 2014
.
All’Angelus e durante la visita in una parrocchia romana Papa Francesco regala ai fedeli il Vangelo
Il gesuita Frans van der Lugt da cinquant’anni uomo di pace in Siria
Parola tascabile
Sacerdote olandese
assassinato a Homs
In piazza San Pietro appello alla riconciliazione in Rwanda e invito a soccorrere gli africani vittime dell’ebola
Papa Francesco ha regalato ai fedeli
che hanno partecipato all’Angelus di
domenica 6 aprile in piazza San Pietro un piccolo Vangelo, raccomandando loro di portarlo sempre in tasca e di leggerlo ogni giorno. «È
proprio Gesù che vi parla lì! È la
parola di Gesù!» ha sottolineato. E
«in cambio di questo dono» ha chiesto loro di fare «un atto di carità, un
gesto di amore gratuito, una preghiera per i nemici, una riconciliazione».
Proprio di riconciliazione il Pontefice aveva parlato poco prima ricordando il ventesimo anniversario
del genocidio perpetrato contro i
tutsi in Rwanda nel 1994 e incoraggiando la popolazione del Paese a
continuare «con determinazione e
speranza» il processo di pacificazione e di «ricostruzione umana e spirituale». Il vescovo di Roma aveva
anche parlato della drammatica si-
tuazione della Guinea e di alcuni
Paesi confinanti colpiti dal virus
dell’ebola e aveva auspicato per gli
aquilani vittime del terremoto di cinque anni fa un «cammino di risurrezione» e di «ricostruzione materiale»
fondato sulla solidarietà.
La domenica di Francesco si è poi
conclusa nella parrocchia romana di
San Gregorio Magno, dove il Pontefice ha trascorso l’intero pomeriggio,
celebrando la messa e incontrando le
diverse realtà del quartiere. Anche ai
fedeli della comunità della Magliana
il Papa ha chiesto di portare sempre
con loro un Vangelo da leggere quotidianamente. E li ha invitati a un
esame di coscienza per togliere dal
cuore «la pietra» del peccato e aprire la propria anima al perdono di
D io.
PAGINA 6
Visita «ad limina»
dei vescovi della Tanzania
Imperativo
missionario
PAGINA 7
Quasi cento persone uccise mentre Boko Haram è sospettato per il sequestro dei tre religiosi in Camerun
Nigeria in balia dei gruppi armati
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ABUJA, 7. Due massacri nelle ultime
ore nel nord della Nigeria hanno dato conferma di una sempre più diffusa violenza, sia legata ai contrasti
fra etnie per il controllo delle fonti
d’acqua e dei pascoli, sia di matrice
terroristica. Un attacco sferrato ieri
mattina da pastori nomadi di etnia
fulani, di religione musulmana, ha
provocato 79 morti nel villaggio di
Galadima, nello Stato di Zamfara,
abitato da agricoltori cristiani dell’etnia hausa. L’assalto, secondo quanto
riferito dalle autorità locali, è avvenuto durante una riunione dei rappresentanti delle comunità di villaggi nello Stato di Zamfara. All’ordine
del giorno della riunione c’era proprio il tema della sicurezza di fronte
ai ripetuti attacchi armati e rapine.
Nelle stesse ore, nello Stato nordorientale dello Yobe, diciassette
abitanti del villaggio di Buna Gari
sono stati uccisi in un’incursione di
miliziani di Boko Haram, il gruppo
di matrice fondamentalista islamica
responsabile da oltre quattro anni di
attacchi armati e attentati che hanno
provocato migliaia di vittime, in
maggioranza civili. Nel dare notizia
dell’accaduto, il portavoce del governatorato locale, Abdullahi Bego, ha
specificato che tra le vittime figurano in prevalenza musulmani che si
trovavano in preghiera in una moschea.
Boko Haram è tra i sospettati anche per il sequestro nel confinante
Camerun, nella notte tra venerdì e
sabato, di due sacerdoti italiani, don
Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri, entrambi della diocesi di
Vicenza, e della suora canadese Gilberte Bussier, di una congregazione
anch’essa radicata in Veneto, le suore della Divina Volontà, che hanno
la casa madre a Bassano del Grappa.
Il rapimento dei tre religiosi è avvenuto nella diocesi di Maroua-Mo-
Ritrovamento di Gesù nelle fonti
Una storia
che conta
ROMANO PENNA
A PAGINA
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kolo, nella parte settentrionale del
Camerun incuneata tra Ciad e appunto Nigeria. Rastrellamenti a tappeto sono in corso in tutta la zona
di frontiera, dove sono stati rafforzati i controlli, nel tentativo di trovare
i tre sequestrati o almeno di ottenere
informazioni sulla loro sorte. Ad alimentare i sospetti su Boko Haram
contribuisce un analogo episodio av-
venuto in novembre, quando sempre
in quell’area del Camerun fu sequestrato un sacerdote francese, Georges Vandenbeusch, rilasciato dopo
un mese. In quel caso, però, il rapimento era stato subito rivendicato
dal gruppo armato nigeriano, mentre
in questa circostanza non ci sono
state rivendicazioni né richieste di riscatto. Le prime frammentarie noti-
zie diffuse sabato sul rapimento dei
tre religiosi facevano comunque pensare anche alla possibile responsabilità di milizie ribelli locali che di recente avevano annunciato azioni di
ritorsione contro il sequestro di un
loro arsenale da parte della polizia.
Sulla vicenda, sia le autorità locali
sia il ministero degli Esteri italiano
hanno chiesto il silenzio stampa.
Commemorazioni nel ventennale del genocidio in Rwanda
L’insegnamento della memoria
KIGALI, 7. Raggiungerà oggi il sacrario di Gisozi, nella capitale
rwandese Kigali, la torcia che negli
ultimi tre mesi ha attraversato tutto
il Paese per ricordare le vittime del
genocidio di vent’anni fa, incominciato il 7 aprile 1994, subito dopo
l’uccisione dei Presidenti rwandese,
Juvénal Habyarimana, e burundese,
Cyprien Ntaryamira, nell’abbattimento del loro aereo che stava atterrando a Kigali.
La torcia si chiama Kwibuka (ricordando, in lingua locale). Così
come «Ricordare, unire, rinnovare»
si legge nel manifesto delle commemorazioni delle vittime di uno dei
maggiori orrori della storia, che
provocò oltre ottocentomila morti
accertati, in stragrande maggioranza tutsi, ma anche hutu moderati, e
poi due milioni di profughi, in questo caso quasi tutti della maggioranza hutu uscita sconfitta dalla
guerra civile.
Le cerimonie incominciano oggi
a Kigali — dove è giunto tra gli altri il Segretario generale dell’O nu,
Ban Ki-moon — e andranno avanti
per cento giorni, quanti furono,
vent’anni fa, quelli che videro trucidare centinaia di migliaia di donne
e di uomini, di vecchi e di bambini.
Ricordare, appunto, ma anche
rinnovare e unire un Paese ancora
lacerato al suo interno e spesso in
contrasto con la comunità internazionale. Da parte sua, con la presenza a Kigali, Ban Ki-moon vuole
e deve testimoniare la volontà internazionale di non ripetere mai più la
sostanziale sottovalutazione mostrata all’epoca su quanto stava accadendo.
Eppure, fin dall’inizio, non erano
mancati i moniti e gli appelli accorati delle coscienze più vigili, primi
fra tutti quelli di Giovanni Paolo II,
che della tragedia rwandese parlò
continuamente in quei mesi. Già
nel gennaio di quell’anno, nel discorso al Corpo diplomatico presso
la Santa Sede, il Papa aveva ammonito sui pericoli incombenti sul
Rwanda. E al Regina Caeli del 10
aprile, al primo scatenarsi delle violenze, fece «appello a tutti i responsabili, anche della comunità internazionale, perché non desistano
dal cercare ogni via che possa porre
argine a tanta distruzione e morte».
La torcia accesa a ricordo delle vittime del genocidio (Reuters)
Un’abitazione di Homs colpita da un proiettile di mortaio (Reuters)
DAMASCO, 7. Il sacerdote gesuita
olandese Frans van der Lugt è stato ucciso oggi a Homs, in Siria, a
colpi di arma da fuoco. La notizia,
data dall’Osservatorio siriano per i
diritti umani, un’organizzazione vicina all’opposizione, è stata confermata dalla curia provinciale dei gesuiti. Padre van der Lugt, unico
europeo rimasto nella martoriata
città siriana, è stato prelevato da
uomini armati nella sua residenza
e, dopo essere stato malmenato, è
stato freddamente ucciso con due
colpi alla testa. Il religioso settantacinquenne era conosciutissimo a
Homs e in tutta la Siria, dove viveva da quasi cinquant’anni.
«Muore così un uomo di pace,
che con grande coraggio ha voluto
rimanere fedele in una situazione
estremamente rischiosa e difficile a
quel popolo siriano a cui aveva dedicato da lungo tempo la sua vita e
il suo servizio spirituale» ha dichiarato il direttore della Sala Stampa
della Santa Sede, il gesuita Federico Lombardi. «Dove il popolo
muore, muoiono con lui anche i
suoi fedeli pastori» ha sottolineato
padre Lombardi. «In questo momento di grande dolore — ha aggiunto — esprimiamo la nostra partecipazione nella preghiera, ma anche grande gratitudine e fierezza
per avere avuto un confratello così
vicino ai più sofferenti nella testimonianza dell’amore di Gesù fino
alla fine». Dolore per la morte del
religioso è stata espressa dalla Conferenza episcopale dei Paesi Bassi.
Sui fronti di guerra siriani nel fine settimana non si è registrata alcuna tregua. Fonti sia governative
sia dell’opposizione riferiscono di
numerose vittime, anche nel centro
della capitale Damasco, dove ci sono stati due morti e otto feriti per
colpi di mortaio dei ribelli caduti
ieri sul teatro dell’Opera. Ad
Homs almeno tredici ribelli sono
stati uccisi nell’esplosione di un’autobomba che stavano preparando.
Sabato c’erano stati quaranta morti, in gran parte civili, sui vari fronti. Sempre sabato, l’Unicef, il fondo dell’Onu per l’infanzia, ha riferito che nell’ultima settimana sono
stati uccisi undici bambini.
Nel frattempo, cruenti scontri
scoppiati ieri in un campo in Giordania confermano la drammatica
condizione dei profughi. Teatro dei
disordini, che hanno provocato almeno un morto e decine di feriti,
compresi molti poliziotti giordani,
è stato il campo di Zaatari, che accoglie circa 106.000 rifugiati, per
numero la seconda concentrazione
al mondo dopo quella di Dabaab,
in Kenya. Diametralmente opposte
sono le versioni dell’accaduto fornite dalle autorità di Amman e dai
rifugiati. Secondo il ministro
dell’Interno, Hussein Majali, le
violenze, che hanno coinvolto cinquemila residenti nel campo, sono
incominciate dopo che gli agenti
avevano arrestato un gruppo di
profughi che cercavamo di lasciare
illegalmente il campo stesso. Alcuni profughi avrebbero aperto il
fuoco contro la polizia. I profughi
hanno detto invece che a innescare
i disordini è stato un poliziotto che
ha maltrattato un bambino, denunciando simili comportamenti come
prassi delle forze di sicurezza.
Il Papa ne conferma la missione
Per il futuro
dello Ior
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NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza:
Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli;
le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori:
— Francis Assisi Chullikatt,
Arcivescovo titolare di Ostra,
Osservatore Permanente presso
l’Organizzazione delle Nazioni
Unite a New York e presso
l’Organizzazione degli Stati
Americani;
— Jude Thaddaeus Ruwa’ichi,
Arcivescovo di Mwanza (Tanzania), Amministratore Apostolico
di Shinyanga, in visita «ad limina Apostolorum»;
— Josaphat Louis Lebulu, Arcivescovo di Arusha (Tanzania),
in visita «ad limina Apostolorum»;
— Renatus Leonard Nkwande, Vescovo di Bunda (Tanzania), in visita «ad limina Apostolorum»;
— Damian Denis Dallu, Vescovo di Geita (Tanzania), in
visita «ad limina Apostolorum»;
— Almachius Vincent Rweyongeza, Vescovo di Kayanga
(Tanzania), in visita «ad limina
Apostolorum»;
— Michael George Mabuga
Msonganzila, Vescovo di Musoma (Tanzania), in visita «ad limina Apostolorum»;
— Severine Niwemugizi, Vescovo di Rulenge-Ngara (Tanzania), in visita «ad limina
Apostolorum»;
— Beatus Kinyaiya, Vescovo
di Mbulu (Tanzania), in visita
«ad limina Apostolorum»;
— Isaac Amani Massawe, Vescovo di Moshi (Tanzania), in
visita «ad limina Apostolorum»;
— Rogath Fundimoya Kimaryo, Vescovo di Same (Tanzania), in visita «ad limina Apostolorum».
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Il presidente ad interim rinvia un viaggio in Lituania e convoca una riunione di emergenza
Manifestazioni disperse a Caracas
Tensione
nell’est dell’Ucraina
Non si fermano
i disordini
in Venezuela
KIEV, 7. Il presidente ucraino ad interim, Olexander Turchinov, ha cancellato il suo viaggio in Lituania e
convocato a Kiev una riunione di
emergenza dei vertici della sicurezza
in seguito all’escalation di proteste
filo-russe a Donetsk, Lugansk e
Kharkiv.
In
queste
tre
città
dell’Ucraina orientale, manifestanti
hanno occupato edifici pubblici e
chiesto un referendum per diventare
indipendenti.
A Lugansk, i manifestanti hanno
issato la bandiera russa all’esterno
dell’edificio dei servizi di sicurezza e
si sono impossessati delle armi custodite nell’armeria. Lo sostiene la
polizia locale citata dalle agenzie.
Negli scontri sono rimaste ferite otto
persone: sette insorti e un poliziotto.
Russia Unita
perde
a Novosibirsk
MOSCA, 7. Il partito putiniano
Russia Unita perde il sindaco di
Novosibirsk, terza città russa con
1,5 milioni di abitanti e capoluogo
del distretto federale siberiano: a
vincere le elezioni è stato infatti il
candidato
comunista
Anatoli
Lokot, con il 43,75 per cento dei
voti contro il 39,57 per cento di
Vladimir Znatkov, candidato di
Russia Unita. Lokot ha potuto
contare sul sostegno del deputato
d’opposizione Ilià Ponomariov,
uno dei leader della protesta di
piazza contro Putin, che ha ritirato la propria candidatura a favore
dell’esponente comunista.
Secondo i media locali, i filo-russi
chiedono anche la liberazione di
quindici loro compagni arrestati nei
giorni scorsi in un’operazione di polizia.
Anche a Donetsk gli insorti hanno
occupato la sede dei servizi segreti
ed eretto barricate con filo spinato e
pneumatici, dopo che ieri circa duecento manifestanti si erano impossessati del palazzo della Regione
chiedendo che venga indetto un referendum simile a quello della Crimea che ha portato la penisola
all’annessione con la Russia. A
Kharkiv, diverse decine di persone
hanno fatto irruzione ieri nella sede
del Governo regionale e hanno issato bandiere russe alle finestre, ma
oggi sono state sgomberate, secondo
quanto affermano fonti di Kiev.
Ed è polemica sull’atteggiamento
delle forze dell’ordine, che non
avrebbero opposto resistenza e si sarebbero rifiutate di usare la forza abbandonando l’edificio dopo il blitz
degli insorti. Una manifestazione a
favore di Mosca si è svolta anche a
Odessa, importante città portuale e
russofona dell’Ucraina meridionale.
«Putin e Ianukovich hanno ordinato e pagato l’ultima ondata di disordine separatista nell’est del Paese», ha detto ieri il ministro dell’Interno di Kiev, Arsen Avakov, che oggi è volato a Kharkiv. Dal canto suo,
il primo vicepremier, Vitaly Yarema,
è partito per Donetsk. E oggi il premier ucraino, Arseniy Yatsenyuk, ha
accusato la Russia di far crescere la
tensione e i disordini nell’est del
Paese per “smembrare” l’Ucraina.
«C’è un piano di destabilizzazione,
un piano di forze straniere per valicare i confini e impadronirsi del territorio del Paese, ma noi non lo permetteremo», ha detto il premier durante una riunione di Governo.
Affermazione dell’estrema destra
Orbán vince le legislative
in Ungheria
BUDAPEST, 7. Netta vittoria elettorale
in Ungheria per il premier, Viktor
Orbán. A spoglio quasi ultimato, il
partito di centro-destra Fidesz è dato al 46 per cento dei consensi, che
— grazie alla nuova legge elettorale
— permetterà al primo ministro di
avere una maggioranza di due terzi
nel Parlamento (133 o 134 deputati
su un totale di 199).
L’opposizione di sinistra, riunita
nell’Alleanza democratica, ha invece
ottenuto il 25 per cento dei voti, un
risultato piuttosto modesto, mentre
1si afferma l’estrema destra xenofoba
del partito Jobbik, con oltre il 20
per cento dei consensi.
Incerta la situazione per il partito
verde Politica diversa, che rischia di
finire sotto il quorum e non essere
rappresentato in Parlamento.
L’affluenza alle urne, malgrado gli
appelli rivolti, soprattutto dall’opposizione, è stata più bassa dell’ultima
volta, assestandosi attorno al 62 per
cento degli aventi diritto al voto.
Orbán, ringraziando gli elettori
per la vittoria di Fidesz, ha detto:
«Le polemiche degli anni passati sono chiuse definitivamente. I cittadini
hanno dato ragione e giustificazione
al Fidesz, l’Ungheria è unita».
Gordon Bajnai, a nome dell’opposizione (socialisti, centristi, liberali,
democratici, e una parte dei verdi),
ha espresso la sua delusione per il risultato. «L’Alleanza non ha saputo
rispondere alle aspettative di quelli
che volevano un cambiamento. Abbiamo fallito, ma dobbiamo continuare a lavorare per un Paese democratico, europeo e solidale».
La giornata di ieri è stata segnata
da caos e proteste, a causa della decisione dell’ufficio elettorale di prolungare, di un’ora, le operazioni di
voto per via delle lunghe file presenti in alcuni seggi dopo le 19. A
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quell’ora, però, sono stati diffusi i
dati dei primi exit poll con il paradosso che, da una parte, proseguivano le operazioni di voto, e, dall’altra, era cominciato lo spoglio delle
schede. La circostanza ha provocato
contestazioni e minacce di ricorsi da
parte di alcuni partiti.
Metà delle famiglie
greche
vive con meno
di 800 euro al mese
ATENE, 7. Nel 2012, circa la metà
delle famiglie greche ha dovuto
sopravvivere con meno di ottocento euro al mese. È quanto risulta dagli ultimi dati resi noti
dall’ufficio delle Imposte, pubblicati oggi dal quotidiano ateniese
«Kathimerini», in base ai quali
2.751.856 contribuenti — con coniugi e figli a carico — hanno dichiarato nel 2012 un reddito annuo inferiore ai 9.500 euro. Rispetto all’anno prima, le famiglie
con un reddito annuo inferiore ai
9.000 euro sono aumentate di
207.743 unità.
Queste cifre sono ora all’esame
dell’apposita Commissione parlamentare, che dovrà decidere in
merito alla distribuzione del pacchetto di aiuti sociali per 450 milioni di euro destinati dal Governo di Atene alle famiglie più colpite dalla crisi economica.
Manifestanti filo-russi a Donetsk (Afp)
Nel frattempo, Vitaly Churkin, il
rappresentante permanente della
Russia presso le Nazioni Unite, durante un’intervista con l’emittente
russa Ntv, ha dichiarato che l’ingresso della Crimea nella Federazione
russa è «un nuovo evento geopolitico riconosciuto, de jure o de facto,
Germania
meta di rifugiati
BERLINO, 7. La Germania si conferma meta dei rifugiati, e il numero
dei profughi nel 2013 rispetto all’anno precedente è salito di circa un
quarto, a 32.533. Ne dà notizia «Der
Spiegel» che cita dati della polizia
federale. Sempre più migranti, scrive
il settimanale, si affidano a bande di
trafficanti senza scrupoli, rimanendone spesso vittime. La polizia tedesca ha infatti arrestato l’anno scorso
1.535 presunti trafficanti, vale a dire
il settanta per cento in più rispetto
all’anno precedente. La maggior
parte dei profughi è arrivata dalla
Siria (3.258), dalla Russia (3.453) e
dall’Afghanistan (2.638). Nel 2013 le
richieste d’asilo sono aumentate, rispetto al 2012, di circa il 70 per cento. Sulla questione dell’immigrazione ha posto di nuovo l’accento il
commissario europeo per gli Affari
interni, Cecilia Malström, che, attraverso un portavoce ha sottolineato
come non si debba creare l’aspettativa che sia la Commissione Ue o
l’Unione europea a «prendere la situazione in mano». Questo compito
spetta agli Stati membri, «nel rispetto del principio delle competenze».
Nello stesso tempo il portavoce ha
sottolineato che la presenza di Frontex (l’agenzia che monitora le frontiere esterne dell’Unione europea)
nel Mediterraneo si vada sempre più
potenziando.
TIPO GRAFIA VATICANA
EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO
Carlo Di Cicco
don Sergio Pellini S.D.B.
vicedirettore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Una donna siriana con i documenti per l’ingresso in Germania (LaPresse/Ap)
Per presunti legami con narcotrafficanti messicani
CITTÀ DEL MESSICO, 7. Jesús Reyna
Garcia, numero due del Governo
dello Stato di Michoacán, nel centro-ovest del Messico, è stato arrestato nella giornata di sabato, su ordine della Procura federale, a causa
dei suoi presunti legami con i «cavalieri templari», come viene chiamata la banda di narcotrafficanti
che negli ultimi mesi ha scatenato
una massiccia ondata di violenze
nella regione. Secondo quanto ha riferito la stampa messicana, l’inchiesta su Reyna Garcia è concentrata
soprattutto sul periodo — da aprile
a ottobre dell’anno scorso — in cui è
direttore generale
stato governatore ad interim di Michoacán, in sostituzione del titolare
della carica, Fausto Vallejo Figueroa, impossibilitato a ricoprire il
ruolo per motivi di salute.
È durante questi mesi, riferisce
l’agenzia Ansa, che è aumentata la
violenza nello Stato di Michoacán,
e sono nati i «gruppi di autodifesa», vale a dire milizie cittadine che
hanno occupato una decina di comuni dello Stato, affrontando i narcotrafficanti. Da quando il presidente del Messico, Enrique Peña Nieto,
ha inviato a Michoacán un rappresentante del Governo federale, Al-
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Piano
per la sicurezza
a Buenos Aires
BUENOS AIRES, 7. Il governatore
della provincia di Buenos Aires,
Daniel Scioli, ha firmato nella
giornata di sabato un piano i
emergenza per combattere l’insicurezza nella regione. Il piano
comprende un pacchetto di misure di emergenza anti-criminalità e prevede, per i prossimi dodici mesi, il dispiegamento di
cinquemila agenti. Durante una
conferenza stampa, Scioli ha annunciato lo sblocco di seicento
milioni di pesos (oltre cinquantatré milioni di euro) per finanziare dotazioni speciali per le
forze dell’ordine e la creazione
di otto centri di reclusione. Nello stesso tempo il governatore
ha promesso un disegno di legge per istituire dieci procure
speciali per il narcotraffico e auspicato un dibattito sulle questioni legate alla delinquenza
minorile. Il piano annunciato da
Scioli — segnalano le agenzie di
stampa internazionali — arriva
dopo numerosi tentativi di linciaggio e giustizia sommaria da
parte di cittadini comuni contro
criminali, o presunti tali. Tentativi che hanno scosso l’opinione
pubblica del Paese.
Eletto
il capo dello Stato
della Costa Rica
Arrestato il vicegovernatore del Michoacán
direttore responsabile
caporedattore
nel campus dell’Università centrale
(Ucv) e aggredito studenti che si
stavano riunendo per una manifestazione di protesta. Cecilia Carlota Márquez, rettore dell’Ucv, ha
chiesto al presidente Maduro di
«tenere al guinzaglio» i gruppi irregolari, entrati in azione proprio
mentre il capo dello Stato annunciava, in un discorso televisivo a reti unificate, la creazione di un organismo per la protezione dei diritti umani. «Il Governo sa chi sono
gli autori dell’assalto perché sono
stati denunciati, ma continuano ad
agire nell’impunità» ha affermato il
rettore dell’Ucv.
Richieste d’asilo aumentate del settanta per cento in un anno
GIOVANNI MARIA VIAN
Piero Di Domenicantonio
da un gran numero di Paesi». Il diplomatico, come riporta l’agenzia
Agi, ha respinto l’idea di una nuova
guerra fredda tra Mosca e l’O ccidente, pur ammettendo un certo raffreddamento nei rapporti, che — a
suo dire — non è, comunque, destinato a durare a lungo.
CARACAS, 7. Unità della polizia antisommossa venezuelana e della
guardia nazionale bolivariana sono
intervenute ieri nella zona di El
Cafetal, a est della capitale Caracas, per disperdere nuove manifestazioni antigovernative. Secondo
fonti dell’opposizione, vi sono stati
due feriti e numerose persone sono
state soccorse perché intossicate dai
gas lacrimogeni. Citati dalle agenzie di stampa internazionali, gli
abitanti della zona hanno riferito
che all’alba di ieri numerosi reparti
delle forze di sicurezza sono arrivati nella zona di El Cafetal per allontanare i manifestanti che avevano eretto barricate lungo alcune
strade. L’opposizione al Governo
del presidente Nicolás Maduro
aveva convocato per ieri tre cortei
con destinazione piazza Altamira,
bastione della protesta antigovernativa.
Resta dunque critica la situazione in Venezuela dove le tensioni
tra Governo e opposizione non accennano a placarsi. Dall’inizio delle proteste, a febbraio, causate soprattutto dalla crisi economica che
sta attraversando il Paese, sono
morte almeno 39 persone. Nei giorni scorsi, a conferma dei perduranti
disordini a Caracas, gruppi di uomini armati avevano fatto irruzione
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fredo Castillo, le forze di sicurezza
hanno catturato quattro dei presunti
boss dei «Cavalieri Templari», e arrestato due dirigenti dei «gruppi di
autodifesa» nonché l’ex tesoriere
dell’amministrazione locale, Humberto Suárez, accusato di malversazione di fondi pubblici. Intanto le
autorità statunitensi hanno annunciato che sono stati scoperti in California, vicino a San Diego, due tunnel di collegamento fra gli Stati
Uniti e il Messico destinati al traffico di droga e al passaggio di migranti.
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SAN JOSÉ, 7. Vittoria schiacciante
per
il
centrista
Luis
Guillermo Solís, candidato del
Partito di azione cittadina, nel
secondo turno, ieri, delle elezioni presidenziali in Costa Rica.
Solís si è infatti aggiudicato il
77,69 per cento dei voti. Il candidato del partito di centro-sinistra al Governo, Johnny Araya,
si era ritirato dal ballottaggio
dopo che i sondaggi avevano
data per certa la sua sconfitta.
Solís ha fatto così il pieno di
preferenze, raccogliendo un numero record di voti (oltre un milione). Il ritiro di un candidato
dal ballottaggio delle presidenziali non è contemplato dalla
Costituzione e il secondo turno
si è dovuto comunque tenere.
Nonostante l’abbandono, Araya
— del Partito di liberazione nazionale — ha ottenuto il 21 per
cento dei consensi. Alta l’astensione alle urne, attorno al 43 per
cento degli aventi diritto.
Davanti ai suoi sostenitori, il
presidente eletto ha chiesto il
sostegno di tutti i partiti in Parlamento per attuare i necessari
cambiamenti. La cerimonia di
insediamento alla presidenza di
Solís è stata programmata per il
prossimo 8 maggio a San José.
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Alfonso Dell’Erario, direttore generale
Romano Ruosi, vicedirettore generale
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Credito Valtellinese
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Fermi i colloqui di pace
Almeno venticinque morti ad Assuan
Raggiunto un accordo tra il Governo e i ribelli
Nulla di fatto
al nuovo incontro
tra israeliani
e palestinesi
Violenti scontri tra clan rivali
nel sud dell’Egitto
Riaprono in Libia
due terminal petroliferi
TEL AVIV, 7. Si è concluso con un
nulla di fatto l’incontro di ieri tra
negoziatori israeliani e palestinesi,
con la mediazione dell’emissario
statunitense per il Vicino Oriente,
Martin Indyk. Lo stallo nei colloqui di pace promossi dall’amministrazione Obama, dunque,
prosegue. Lo ha confermato anche il primo ministro israeliano,
Benjamin Netanyahu, su twitter.
In due messaggi il premier ha
scritto: «Con mio dispiacere, prima di accettare di proseguire i negoziati, la leadership palestinese
ha accelerato la richiesta unilaterale di accedere a 15 trattati internazionali». E poi: «Prima di accedere ad un quadro per proseguire i negoziati, Abu Mazen ha
dichiarato di rifiutare di discutere
sul riconoscimento di Israele come Stato nazionale del popolo
ebraico».
Il negoziato tra le due parti, faticosamente ripreso l’estate scorsa,
è in stallo per il doppio scoglio
del mancato rilascio del quarto e
ultimo gruppo di detenuti da parte di Israele e per la successiva richiesta del presidente palestinese
di adesione a 15 organizzazioni
delle Nazioni Unite e ad altri organismi internazionali. Richiesta,
peraltro, già depositata al Palazzo
di Vetro dell’O nu.
D ell’impasse nei colloqui di pace si parlerà mercoledì durante un
vertice straordinario dei ministri
degli Esteri della Lega araba.
IL CAIRO, 7. È di almeno altri due morti il bilancio di
nuovi scontri tra clan tribali scoppiati ad Assuan, nel
sud dell’Egitto, dopo l’ondata di violenze che nei giorni
scorsi ha provocato ventitré vittime, tra le quali una
bambina e alcune donne. Lo ha riferito oggi il quotidiano «Al Ahram», precisando che nei nuovi incidenti si
sono registrati anche sedici feriti. Gli scontri sono scoppiati mercoledì tra il clan arabo dei Bani Helal e gli appartenenti alla tribù nubiana di Daboudiya.
All’origine della faida — ha precisato il giornale egiziano — le molestie subite da una ragazza e alcune scritte offensive apparse sul muro di una scuola. Non è chiaro però quale tra le due fazioni abbia la responsabilità
di aver scatenato le violenze. I tentativi di mediazione
sono finora tutti falliti, malgrado sabato il primo ministro ad interim, Ibrahim Mahlab, e il ministro dell’Interno, Mohamed Ibrahim, si siano recati ad Assuan per
cercare di trovare una soluzione. Testimoni hanno riferito all’agenzia Ansa di una vera e propria battaglia con
raffiche di mitragliatrice, case date alle fiamme e scene
di efferata violenza. Inoltre — sempre secondo le stesse
fonti — l’assenza di un adeguato dispiegamento di forze
dell’ordine mentre esplodevano gli incidenti avrebbe notevolmente peggiorato la situazione. A causa della spirale di violenza che ha insanguinato una regione rurale
molto povera del Paese sono stati interrotti i collegamenti ferroviari tra Il Cairo e Assuan e sono state chiuse
scuole e università.
TRIPOLI, 7. Il Governo libico ha
confermato di aver raggiunto un
accordo con i ribelli della Cirenaica
per la riapertura dei due porti e
terminal petroliferi di Zueitina e
Hariga, bloccati dallo scorso luglio. Restano invece nelle mani dei
ribelli Ras Lanuf e Es Sider (Sidra)
per la cui riapertura i miliziani ritengono siano necessari altri colloqui.
Secondo le autorità di Tripoli
per la riattivazione di Ras Lanuf e
Es Sider ci sarà infatti bisogno di
La comunità internazionale loda il coraggio degli afghani recatisi alle urne per le presidenziali
Ombre di brogli sul voto di Kabul
Esplosione
nella capitale
del Bahrein
MANAMA, 7. Un’esplosione è avvenuta a Manama, capitale del
Bahrein, dove ieri si è tenuto il
Gran premio di Formula 1. La
polizia — che aveva rafforzato le
misure di sicurezza — ha bloccato
le strade intorno all’area in cui è
avvenuta la deflagrazione, vicino
a un edificio del Governo nel
quartiere Adliya, e alcuni testimoni hanno detto di aver visto almeno un’auto in fiamme. Non sono
state segnalate vittime.
Nel Paese del Golfo persico la
tensione tra sciiti e sunniti non si
è mai assopita del tutto dal 2011,
quando i primi — maggioranza
nel Bahrein e che rivendicano una
monarchia costituzionale — hanno
cominciato a manifestare contro
la dinastia sunnita degli Al Khalifa. La principale formazione
dell’opposizione sciita, Al Wefaq,
nel prendere le distanze dagli atti
di violenza aveva invitato i suoi
sostenitori a manifestare pacificamente durante l’evento sportivo.
Ma un altro gruppo dell’opposizione, più radicale, aveva lanciato
un appello con lo slogan «impediamo il Gran premio di Formula
1 macchiato di sangue».
Un seggio di Kabul
KABUL, 7. Sul voto per le presidenziali in Afghanistan grava l’ombra
dei brogli. Mentre sembra sia stato
allontanato lo spettro di massicce
violenze minacciate, alla vigilia, dai
talebani. Vi sono stati scontri fra i
miliziani e gli agenti di polizia, e il
bilancio è di 176 talebani uccisi: tra
le vittime si contano poi dodici poliziotti e quattro civili. Insomma sono state scongiurate, almeno finora,
le temute stragi che i miliziani avevano «promesso» con l’obiettivo di
colpire quanti si sarebbero recati alle
urne.
Ma l’altro timore, ovvero quello
di possibili brogli, pare sia fondato:
sono state infatti presentate 1.300
denunce. Citato dal quotidiano
«Khaama Press», il portavoce della
commissione indipendente per i reclami
elettorali
(Iecc),
Nader
Mohseni, ha detto che la maggioranza delle denunce sono giunte via
telefono e ha poi ricordato che è necessaria la presenza di prove video o
fotografiche. Il tempo utile per presentare i ricorsi all’Iecc scade questa
sera. I ricorsi riguardano il mancato
Ban Ki-moon teme un genocidio
nella Repubblica Centroafricana
BANGUI, 7. Il Segretario generale
dell’Onu, Ban Ki-moon, prima di
arrivare oggi in Rwanda per le commemorazioni delle vittime del genocidio di vent’anni fa, ha fatto tappa
ieri a sorpresa nella capitale centroafricana Bangui, dove non ha nascosto i timori per il possibile ripetersi
di un’analoga, spaventosa tragedia.
«È responsabilità di tutti in quanto
leader assicurarsi che non dovremo
mai commemorare un tale anniversario nella Repubblica Centroafricana», ha detto Ban Ki- moon alle autorità di transizione di un Paese che
da tempo ritiene sull’orlo del baratro, facendo riferimento appunto al
Rwanda. «Non ripetete gli errori del
passato, non dimenticate di imparare la lezione», ha detto ancora Ban
Ki-moon alla presidente ad interim
Catherine Samba-Panza e agli altri
esponenti di Governo e Parlamento,
chiedendo loro di compiere ogni
sforzo per avviare un processo politico di riconciliazione e pace civile.
Il Segretario generale dell’Onu, in
particolare, ha puntato l’attenzione
sul fatto che musulmani e cristiani
sono esposti a pericoli mortali solo
per l’appartenenza a una comunità o
a un credo. C’è il rischio, ha detto,
di un’altra «epurazione etnico-religiosa che, se si guardano i fatti di
questi ultimi mesi, sembra già essere
una dolorosa e insanguinata realtà».
Analoghi timori ha espresso ieri il
ministro della Difesa francese JeanYves
Le
Drian,
responsabile
dell’operazione militare Salgaris avviata lo scorso dicembre a Bangui.
Le Drian ha ammesso di avere sottostimato la violenza dei miliziani
della maggioranza cristiana, che
hanno compiuto contro la minoranza musulmana gli stessi atroci crimini dei quali si erano rese responsabili le bande armate islamiche dall’inizio del 2013.
accesso ai seggi, la mancanza di
schede, l’esistenza di schede false. È
stata anche denunciata l’indebita
pressione esercitata dai leader politici locali sugli aventi diritto al voto.
Zalmai Rassoul, uno degli otto candidati alla successione di Hamid
Karzai, ha dichiarato che un presidente che fosse «frutto di manovre
losche» non sarebbe accettato dagli
Maratona
elettorale al via
in India
NEW DELHI, 7. Si è aperta oggi in India la maratona elettorale (che si concluderà il 12
maggio) in occasione delle legislative. Si tratta di un appuntamento molto importante
per la storia del Paese poiché
dalle urne potrebbe uscire un
responso che metta fine all’egemonia del Partito del congresso I, al potere negli ultimi
dieci anni. Secondo gli ultimi
sondaggi, infatti, potrebbero
avere la meglio i nazionalitsti
hindu del Bharatiya Janata
Party (Bjp), che presentano
come candidato a primo ministro Narendra Modi, attuale
capo dello Stato del Gujarat.
Sono più di ottocento milioni gli elettori (circa cento
milioni voteranno per la prima
volta) che da oggi si recano alle urne: sono attive oltre un
milione e mezzo di macchine
elettroniche nei più dei novecentomila seggi allestiti. È previsto che i risultati ufficiali saranno comunicati il 16 maggio.
Il lungo percorso elettorale
si articolerà in nove tappe: la
prima si tiene in due Stati del
nord-est, nell’Assam e nel Tripura. Come nelle precedenti
elezioni il voto sarà elettronico, ma per la prima volta nelle
legislative gli elettori avranno
a disposizione un tasto per dichiarare il proprio astensionismo.
afghani. Nello stesso tempo Rassoul, che in passato aveva ricoperto
la carica di ministro degli Esteri, ha
tenuto a sottolineare che il voto è
stato un «successo» considerando
che sono stati tanti gli afghani che
si sono recati alle urne a dispetto
delle pesanti intimidazioni da parte
dei talebani.
Che l’atteso appuntamento elettorale sia stato un successo è stato evidenziato anche dalla comunità internazionale. Gli Stati Uniti — attraverso il presidente Barack Obama e
il segretario di Stato, John Kerry —
hanno elogiato il «coraggio» del
popolo afghano, dimostrato in
un’occasione molto importante per
la storia democratica del Paese. Dal
canto suo la Cina ha invitato i diversi protagonisti della scena politica afghana a favorire un dialogo che
permetta di raggiungere un’intesa
«ampia e inclusiva». Mentre l’India
ha sottolineato che con il voto gli
afghani hanno sconfitto «le intimidazioni dei terroristi». I risultati del
voto dovrebbero essere comunicati
fra tre settimane. Se nessun candidato otterrà il cinquanta per cento
dei voti al primo turno, si svolgerà,
a data da destinarsi, un ballottaggio
tra i due meglio piazzati. Sempre
sabato si è votato per il rinnovo di
34 consigli provinciali: tra i 2.713
candidati figurano 308 donne.
ulteriori negoziati, che potrebbero
protrarsi anche per un mese. I ribelli continuano a chiedere una più
ampia autonomia dal Governo centrale (sul modello di quella esistente dall’indipendenza del 1961 fino
alla conquista del potere da parte
di Muammar Gheddafi) e una
maggiore quota del ricavato della
vendita di petrolio. I negoziati erano iniziati mercoledì a Brega tra i
ribelli e rappresentanti del Governo di Tripoli, anche se quest’ultimo aveva specificato di essersi affidato alla mediazione di alcuni capi
tribù locali.
A rimuovere lo stallo registrato
nelle settimane scorse ha contribuito l’assalto, due settimane fa nel
Mar Mediterraneo, dei Navy Seals
americani a una petroliera, la Morning Glory che aveva caricato greggio da Es Sider. Petroliera consegnata alla fine dai soldati statunitensi a Tripoli ponendo fine a ogni
velleità degli indipendentisti di poter vendere liberamente il greggio
della Cirenaica e così riuscire a
staccarsi di fatto da Tripoli. Lunedì
il Governo aveva liberato tre ribelli
arrestati sulla nave dagli americani
proprio come gesto di buona volontà.
Dal canto loro, i ribelli hanno
annunciato che i due terminal di
Zueitina e Hariga sono stati già
riaperti ieri sera. In base all’accordo il Governo pagherà alle milizie
guidate da Ibrahim Jathran, formalmente il comandante della polizia che avrebbe dovuto proteggere
gli stessi porti che dallo scorso luglio controllano, gli stipendi arretrati e soprattutto farà cadere tutte
le accuse contro di loro. È quanto
si legge nell’accordo firmato dal
ministero della Giustizia libico e
dal capo delle milizie.
I due terminal di Zueitina e Hariga possono arrivare a una capacità di carico e quindi di esportazione di duecentomila barili al giorno,
raddoppiando quasi la quota giornaliera che Tripoli riesce attualmente a piazzare sul mercato. Prima della crisi i barili immessi sul
mercato erano oltre un milione e
mezzo. Nei nove mesi di blocco le
casse di Tripoli hanno perso oltre
14 miliardi di dollari, secondo una
stima del presidente del Congresso
generale nazionale (Parlamento),
Nuri Abu Sahmein.
Nel frattempo, un’azione di disobbedienza civile che ha paralizzato la città di Bengasi è iniziata
ieri per protestare contro i ripetuti
episodi di violenza che si verificano
quotidianamente nella seconda città libica e per chiedere le dimissioni del Congresso generale nazionale che ha sede a Tripoli. L’azione è
stata indetta da alcune organizzazioni della società civile secondo
cui lo sciopero potrebbe durare alcuni giorni. Molti negozi hanno
chiuso i battenti mentre l’aeroporto
di Bengasi è stato bloccato.
Il segretario alla Difesa statunitense ribadisce l’impegno per la sicurezza del Giappone
Chuck Hagel in Estremo Oriente
TOKYO, 7. Chuck Hagel, il capo del
Pentagono, rassicura Tokyo: gli Stati
Uniti sono impegnati a proteggere il
Giappone. Un impegno alla sicurezza che Hagel conferma rafforzando
il dispiegamento navale americano in
Giappone con l’invio di altre due
navi anti-missili entro il 2017.
Una decisione — quella annunciata
a Tokyo dal segretario alle Difesa
statunitense — in risposta alle azioni
«provocatorie e destabilizzanti di
Pyongyang» ma che guarda anche
alla Cina, esortata a rispettare i Paesi
vicini. «Non si può andare in giro
per il mondo e ridefinire i confini,
violare l’integrità territoriale e la sovranità dei Paesi con la forza e l’intimidazione, sia che questo accada in
piccole isole del Pacifico sia in grandi Paesi europei. Chi ha grande potere ha grandi responsabilità. E la
Cina ha un grande potere» ha affermato Hagel, che dopo Tokyo è giunto a Pechino nella sua prima visita
ufficiale in Cina da quando è segretario alla Difesa. Gli Stati Uniti hanno un «impegno completo e assoluto
per la sicurezza del Giappone» ha
aggiunto Hagel.
La decisione di rafforzare la presenza navale americana in Giappone,
portando complessivamente a sette le
navi anti-missili, è legata anche al
Il capo del Pentagono accolto a Tokyo (Reuters)
lancio effettuato due settimane fa
dalla Corea del Nord di due missili
in grado di raggiungere il Giappone.
Il test, il primo negli ultimi quattro
anni di missili a medio raggio, è stato eseguito nel corso di alcune esercitazioni militari da parte del regime
di Pyongyang. E proprio la Corea
del Nord sarà con ogni probabilità al
centro dei colloqui di Hagel con i
dirigenti di Pechino. La Cina è infatti tradizionale alleata di Pyongyang,
anche se recentemente si è mostrata
apertamente critica nei confronti delle iniziative militari intraprese dal regine nordocoreano.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
lunedì-martedì 7-8 aprile 2014
«La città di Nazaret»
(Istanbul, chiesa di Kahrié Djami,
mosaico, XIV secolo, particolare)
La ricerca
di Ratzinger
I Vangeli: storia e cristologia. La ricerca
di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI. È il
titolo dei due volumi editi dalla
Libreria editrice vaticana (da noi
anticipati nelle edizioni del 24, 25 e 30
ottobre 2013) e presentati l’8 aprile
presso il Pontificio Istituto Biblico.
Anticipiamo stralci di un intervento.
Alla presentazione prenderà parte anche
il cardinale Camillo Ruini che nella sua
relazione si concentra su due contributi,
quello di John Meier sulla figura di
Gesù e sulla valutazione storica delle
parabole, e quello di Tobias Nicklas
sulla storia di Gesù nel vangelo di
Marco.
di ROMANO PENNA
gni illuminista dovrebbe convenire sull’ovvia
constatazione che, se
non l’oggetto della fede cristiana, certamente il dato stesso della fede in Gesù,
dichiarata dalle prime comunità
post-pasquali, è altrettanto storica
quanto lo fu la vita di lui. Questa
fede potrà anche essere giudicata indebita e sproporzionata, magari una
sovrastruttura, ma non solo essa appartiene comunque allo zoccolo duro della storia, bensì soprattutto essa
va spiegata, tanto più perché segue
appena a mezza ruota, e non di più,
alla fine tragica di quel Nazareno.
La spiegazione della fede pasquale
non consiste solo negli incontri con
il Risorto/Risuscitato, che in realtà
risultano essere stati solo la scintilla
che fece scoppiare l’incendio. Quella
scintilla semplicemente si innestò
sulla conoscenza del Gesù terreno,
su ciò che egli aveva rappresentato
di nuovo e di grande agli occhi dei alla storia, dato che nessuno che non
suoi discepoli. Con quella concreta fosse stato suo discepolo si interessò
conoscenza la nuova fede si coniugò minimamente a lui e tantomeno a
inscindibilmente, anzi essa rimanda tramandarne la memoria. Questo
inequivocabilmente alla dimensione fatto, a volte etichettato come “non
storica di lui, per non dire che fu la neutrale” o “di parte”, costituisce in
stessa fede in lui a permettere il suo realtà il dato più sorprendente e
recupero storico quasi fosse necessa- quanto mai sintomatico. Infatti, non
Erode, non Caifa, non Pilato, e pure
rio «credere per vedere».
La risalita dalla fede pasquale al nessuno dei farisei o degli scribi che
Gesù terreno, pur tacendo sull’ormai
abusato discorso circa i criteri di storicità, deve tenere conto di fattori
diversi.
Il primo consiste semplicemente nel constatare che a interessarsi di Gesù, della sua
vicenda e della sua persona
storica, sono stati soltanto i
suoi discepoli, cioè dei credenti in lui. In effetti, il dato
sempre sorprendente per una
mentalità cosiddetta “laica”,
è che la coltivazione e la trasmissione della memoria del
Gesù storico non avvenne al
di fuori di una genuina,
sia pure variegata fede
nella sua identità di uomo
fuori del comune. E questa constatazione non è
riducibile a un semplice
«truismo», come qualcuno vorrebbe, o, se lo è in
quanto dato indiscutibile,
bisogna almeno chiedersi
perché i primi documenti
su Gesù siano prodotti di
fede e in più quale sia il
senso di questo fatto. È
secondario constatare che
questa fede ebbe formulazioni diverse. Ma avrà
pure un suo significato il
fatto che è stata appunto
«Il Salvatore» (Monte Sinai, monastero di Santa Caterina,
la fede ad assicurare Gesù
O
Ritrovamento di Gesù nelle fonti
Una storia che conta
ebbero spesso a che fare e discutere
con lui lo ritennero degno di attenzione né narrativa né teoretica. Se
poi si riuscisse a dimostrare che la
motivazione di questa congiura del
silenzio fosse materiata di motivi polemici, il dato sarebbe ancora più interessante.
Comunque, l’interrogativo inevitabile che ci si deve porre è questo:
come mai un ebreo davvero “marginale” nel mondo mediterraneo del
tempo, cioè del tutto ignorato fuori
di Israele, proveniente da un villaggio come Nazaret, da cui a
quanto pare non veniva niente
di buono (cfr. Giovanni, 1, 46),
è passato poi al centro dell’attenzione? Certo questo interesse fu esclusivo di quelli del
suo gruppo, i quali, nonostante la ignominiosa fuga del primo momento, giunsero inopinatamente a proclamarlo persino Kyrios.
Evidentemente essi avevano
conservato di lui una memoria viva, che fu poi attivata e stratificata in varie tradizioni orali prima
di sedimentarsi nei diversi
scritti (canonici e apocrifi). Proprio il motivo della memoria dei discepoli,
fondato sulla teoria della
“memoria collettiva” o social memory theory, è stato
particolarmente
sottolineato da vari studi.
Un secondo punto di
forza consiste nel prendere atto che nessun personaggio israelitico del I secolo godette di una documentazione tanto precoce
VI secolo)
e tanto copiosa come
quella che riguarda Gesù di Nazaret.
I nomi da paragonare, a parte alcuni
omonimi come Yehoshua ben Hananyah, sono essenzialmente quelli di
vari Maestri, e cioè il qumraniano
ma anonimo Maestro di Giustizia,
r.Hillel (con il suo discordante
r.Shammai), r.Hanina ben Dosa,
r.Gamaliele il Vecchio, e r.Yochanan
ben Zakkai, per non dire poi del pur
celebre r.Aqibà.
Anzitutto va considerato il fatto in
sé, poiché se volessimo confrontare
tutti questi personaggi con Gesù di
Nazaret (propriamente Yehoshua
ben Yosef, «Gesù figlio di Giuseppe», come del resto egli è chiamato
nel Quarto vangelo: cfr. Giovanni, 1,
45; 6, 48), dovremmo notare alcune
differenze quanto mai eloquenti. La
prima è che l’antichità e l’abbondanza della documentazione sul Nazareno, non hanno confronti con quella
molto più scarsa sui vari Maestri appena elencati sopra, la cui menzione
peraltro si trova solo nella tardiva
letteratura rabbinica non anteriore
all’anno 200. La seconda differenza
riguarda la forma dell’interesse per
le varie figure menzionate: mentre a
Gesù di Nazaret è riservato un interesse narrativo che concerne la sua
vicenda storico-terrena in quanto tale, i Maestri ebrei vengono menzionati nella Mishnà e nel Talmud solo
nell’ambito dell’interpretazione di
un passo della Torà, alla cui preminenza perciò sono letteralmente piegati. In terzo luogo il Nazareno,
benché nei Vangeli venga spesso
chiamato Rabbi e benché goda di
una documentazione senza pari, non
è stato computato dal rabbinismo
nella serie dei Maestri, cioè dei grandi dottori di Israele, e le due (forse
tre) menzioni che abbiamo di lui nel
Talmûd non lo riguardano come
Maestro (forse con l’eccezione di
una). È come se ci fosse stata una
specie di damnatio memoriae, a prescindere semmai dalle tardive e denigranti Toledôt Yeshu. Solo a partire
dagli anni Venti del XX secolo da
parte ebraica (prima della cosiddetta
“terza ricerca” sul Gesù storico) si è
iniziato a recuperare l’identità giudaica di Gesù. Comunque, di nessun
altro in Israele, come per Gesù di
Nazaret, si è mai cercato di narrare
così ampiamente la vita (almeno
quella pubblica) e ancor meno la
morte, tanto più che questa era stata
obbrobriosa.
cioè essa stessa ineguagliabile. È solo la persona del Gesù storico che
ha suscitato quella sorta di interesse,
e ciò è segno evidente della sua personale straordinarietà. Sicché è giusto dire che «la percezione che Gesù
suscitò di sé è parte di colui che Gesù era».
Probabilmente aveva ragione l’antico apocrifo Vangelo di Filippo (databile al secolo III): «Yeshua non si
è rivelato così come era in realtà, ma
si è rivelato a seconda della capacità
di coloro che vogliono vederLo. Egli
è lo Stesso per tutti, ma appare
grande ai grandi, piccolo ai piccoli,
agli angeli appare
come un angelo,
agli uomini come
Nessun personaggio israelitico
un uomo (…) Ha
quindi reso i suoi
del I secolo ha goduto
discepoli grandi afdi una documentazione tanto precoce
finché fossero capaci di vederlo nella
e tanto ampia come quella
Sua grandezza».
che riguarda il Nazareno
Resta la necessità
affascinante dell’impresa di una ricerca,
Queste considerazioni costituisco- che non ha paragoni per altri persono inevitabilmente un argomento naggi dell’antichità, e che può comolto forte per rendersi conto della munque approdare a ritrovare almestraordinarietà di quel Gesù, che no- no i tratti essenziali, sia pur comnostante sia stato così defilato dai plessi, di quella figura. In ogni caso
grandi d’Israele suscitò, già nel seco- resta vero che quel Gesù, tutt’altro
lo I (per non parlare della successiva che chiuso nel suo passato, come
Wirkungsgeschichte), un interesse non non succede per nessun altro, resta
verificabile per nessun altro suo con- vivo nelle comunità di coloro che a
nazionale. Perciò, come si dice in sa- tutt’oggi si professano suoi discepoli
na filosofia, se ogni effetto deve ave- e in lui riconoscono nientemeno che
re una causa proporzionata, l’effetto la ragione della propria vita.
Ciò che conta dunque non è una
avuto da Gesù, anche solo giudicato
sul piano oggettivo della documen- sua evaporazione nel mito, ma conta
tazione che è letteralmente incompa- la storia che egli porta con sé: non
rabile (pur senza tirare in causa la la storia come dimensione comune a
successiva forte fede cristologica), tutti gli uomini, ma semplicemente e
deve avere una causa omogenea e precisamente la personale storia sua.
Un convegno sulla diplomazia pontificia
Si svolge il 7 e l’8 aprile all’École française de Rome il convegno «Projet Dictionnaire et Histoire de la Diplomatie du
Saint-Siege».
di PHILIPPE LEVILLAIN
«La diplomazia senza le armi è la musica senza gli strumenti». Lo ha detto
Bismarck, che utilizzò fragorosamente
le sue armi per far udire la musica unitaria del Secondo Reich. Ma lo stesso
Bismarck scrisse nelle sue Memorie che
a un certo punto pensò di fare appello
a Pio IX per negoziare con la Francia
una pace solida all’indomani della caduta del Secondo Impero e della proclamazione di una Repubblica ribelle a
una sconfitta umiliante.
Eppure il papato, in sonno militare
dopo la celebre battaglia di Lepanto,
dove le galee pontificie avevano imposto “la vittoria di Cristo”, aveva appena
perso la capitale della cristianità e il
Papa si era appena dichiarato prigioniero nei palazzi apostolici del Vaticano.
Il cancelliere tedesco riconosceva alla
Santa Sede il potere di eseguire una
musica di mediazione dove Leone XIII
sarebbe stato un punto di riferimento e
lo strumento di un prestigio di autorità
morale nel concerto europeo. Come
prova il ruolo da lui svolto nel 1885 per
sanare il conflitto tra la Germania e la
Spagna a proposito delle Isole Caroline. Il paradosso volle che la Santa Se-
La difficile arte dell’equilibrio
de svolse il ruolo di arbitro sulla scena
internazionale e intervenne in politica
estera mentre il suo magistero riguardava, dopo Lepanto, e come era giusto
che fosse, l’esercizio della diplomazia —
abilità di creare un equilibrio tra parti
rivali — nell’ambito ecclesiastico.
La Storia insegna ancora che, con un
po’ di diplomazia, Leone X avrebbe
evitato lo scisma luterano (1517). Ma
quella del tempo presente prova anche
che la diplomazia di Benedetto XVI
non è riuscita a mettere fine allo scisma
lefebvriano.
Nello stesso ordine di idee, Benedetto XV non riuscì a fermare la prima
guerra mondiale con la sua nota del 1°
agosto 1917, come accadde con Pio XII
con i suoi interventi nel 1939. Ma nel
1962 Giovanni XXIII fu chiamato in aiuto nell’affare dei missili di Cuba
dall’Unione sovietica, che non voleva
perdere la faccia di fronte alla fermezza
degli Stati Uniti.
La diplomazia della Santa Sede passa per essere la migliore del mondo,
per la trama delle sue reti, il rispetto
del segreto e la qualità delle sue informazioni. Dispone di agenti propri
(nunzi, delegati apostolici e incaricati
di affari ufficiali) e di intermediari uffi-
ciosi (congregazioni religiose e laici).
La politica estera che è tenuta a seguire
è un affare di Chiesa e non di territori.
Essa difende i suoi “connazionali” (i
suoi fedeli) in tutte le culture. Ma afferma anche le sue posizioni sui diritti
delle persone al di là dei diritti dell’uomo. È moderna perché è costruttiva ed
equa, pur avendo delle preferenze. È
dinamica.
Questo quadro, quasi idilliaco, è una
composizione di storia della sua missione evangelica. La composizione di
questo «terzo grande» (Émile Poulat)
è stata lenta e travagliata, da Gregorio
Magno a Benedetto XVI.
Sottoposta ai raggi X, la diplomazia
della Santa Sede, dall’inizio del XVI secolo, è al centro della grande impresa
condotta dal giovane storico Olivier Sibre, e intitolata Dictionnaire et Histoire
de la Diplomatie du Saint-Siège, ospite
dell’École française de Rome il 7 e l’8
aprile. Essendo ogni dizionario per sua
natura alfabetico, il lavoro — che queste due giornate contribuiranno a impostare tra partner scientifici — implica
la combinazione e l’intreccio della prosopografia con le istituzioni, gli strumenti d’influenza, l’identificazione delle intenzioni, dei successi e dei falli-
menti, su uno sfondo politico e religioso che mostra la complessità di una
missione di pace e d’irradiamento attraverso il suo stesso esempio.
Due termini governano l’esito del
progetto: confronto e dialogo. Entrambi definiscono cesure, o meglio divari,
che dipendono da un modo di narrare
illuminato dalle mentalità degli esecutori, dei negoziatori e dei grandi principi di una teologia dell’ordine nella
pace.
Una simile “enciclopedia” era sorta
negli anni Cinquanta del secolo scorso,
in piena guerra fredda, era stata progettata da monsignor Paolo Savino,
presidente della Pontificia Accademia
ecclesiastica, sostenuto da monsignor
Paolo Antonio Berloco, segretario della
nunziatura apostolica a Madrid.
Aveva ottenuto il sostegno di monsignor Montini, allora pro-segretario di
Stato. Ma la “carriera” di quest’ultimo
la lasciò allo stato di progetto. È auspicabile che, ripresa su più vasta scala e
alla luce dei fondi di archivi vaticani o
istituzionali, l’impresa proposta da Olivier Sibre, attraverso l’esame di questa
mitica diplomazia pontificia, trovi il
successo che merita.
Francesco Guardi, «Pio VI in visita a Venezia»,
(particolare, 1782 circa)
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 7-8 aprile 2014
All’Urbaniana un convegno su Giovanni
XXIII
e Giovanni Paolo
pagina 5
II
Due Papi
per l’Africa
Tracciare un profilo dell’attuale situazione culturale e della realizzazione del concilio Vaticano II nel
continente africano. È l’obiettivo del
convegno «La Chiesa in Africa dal
concilio Vaticano II al terzo millennio. Omaggio dell’Africa ai Papi
Giovanni XXIII e Giovanni Paolo
II», che si svolgerà nei giorni 24 e
25 aprile alla Pontificia Università
Urbaniana. Ne hanno parlato durante la conferenza stampa, svoltasi
questa mattina, lunedì 7 aprile, nella
Sala stampa della Santa Sede, l’arcivescovo Barthélemy Adoukonou e
monsignor Melchor José Sánchez
de Toca y Alameda, rispettivamente
segretario e sotto-segretario del
Pontificio Consiglio della Cultura,
Giovanni Paolo
l’arcivescovo Emery Kabongo Kanundowi, arcivescovo-vescovo emerito di Luebo, e Martin Nkafu, docente presso la Pontificia Università
Lateranense.
Il convegno, ha detto monsignor
Adoukonou, è un’occasione per riflettere sul periodo storico nel quale
i vari Paesi africani hanno raggiunto
l’indipendenza. Si parlerà, quindi,
del panafricanismo e della négritude,
così come dei valori che hanno ispirato questi movimenti. L’incontro —
promosso dal Simposio delle Conferenze episcopali d’Africa e del Madagascar (Sceam) in collaborazione
col dicastero della cultura — vedrà
la partecipazione di vescovi, sacerdoti, teologi, studiosi e personalità
II
a Gorée nel 1992
dell’Africa. Verranno riproposti gli
insegnamenti di Papa Roncalli e di
Papa Wojtyła sull’Africa. Così sarà
ricordato quanto Giovanni XXIII ha
fatto per il continente, in particolare
l’accoglienza riservata, durante le
prime fasi del concilio Vaticano II, a
esponenti del mondo della cultura e
intellettuali africani riuniti, e la creazione, nel marzo 1960, del primo
cardinale dell’Africa, il tanzaniano
Laurean Rugambwa. Quanto al magistero di Giovanni Paolo II, l’arcivescovo Adoukonou ha sottolineato
come il Pontefice polacco abbia invitato più volte a riflettere sulla storia e sul rapporto tra Africa ed Europa. Da ricordare, tra l’altro, la sua
richiesta di perdono nel 1985 in Camerun e a Gorée in Senegal, da dove partivano le navi cariche di schiavi africani.
Un ricordo personale della visita
di Papa Wojtyła nell’isola di Gorée
è venuto dall’arcivescovo Kabongo
Kanundowi, all’epoca nella segreteria particolare di Giovanni Paolo II.
Monsignor Sánchez de Toca y Alameda ha poi spiegato il ruolo del
Pontificio Consiglio nella promozione del convegno, sottolineando come il Vaticano II abbia compiuto
una svolta radicale in un duplice
senso: l’apertura vera e tangibile
all’universalità della Chiesa e l’apertura al mondo della cultura, vista
non più come minaccia o pericolo,
ma come risorsa. A questo proposito, il sotto-segretario ha detto che il
Vangelo arricchisce ed eleva le culture, e ha ricordato la fondazione
del Pontificio Consiglio da parte di
Giovanni Paolo II, il 20 maggio
1982. Il testo ispiratore del dicastero
è stato proprio la costituzione conciliare Gaudium et spes, alla cui stesura partecipò Karol Wojtyła, a
quell’epoca pastore a Cracovia. Due
gli obiettivi che egli individuò per il
nuovo organismo: l’evangelizzazione
della cultura e la promozione culturale.
Simposio a Betlemme sui viaggi di Paolo
VI
e Francesco in Terra Santa
Artefici di riconciliazione
BETLEMME, 7. «Papa Paolo VI ci ha
fatto vivere grandi segni dei tempi.
Il primo di questi segni fu l’appello
alla misericordia e al perdono. La
nostra epoca ha bisogno di persone
feconde come lo fu Paolo VI, capaci
di agire quotidianamente per la riconciliazione». Lo ha detto il patriarca di Gerusalemme dei Latini,
Fouad Twal, intervenuto nei giorni
scorsi al simposio organizzato a Betlemme da Al-Liqa, centro di studi
religiosi e del patrimonio in Terra
Santa e intitolato «Cinquant’anni
dopo la visita di Paolo VI: la visita
di Papa Francesco in Terra Santa».
Twal ha ricordato che lo scopo principale di questo viaggio apostolico
(in programma dal 24 al 26 maggio)
sarà la commemorazione dello storico incontro fra Papa Montini e il
patriarca di Costantinopoli, Atenagora: «Francesco e Bartolomeo rinnoveranno quell’abbraccio fraterno».
La Terra Santa — ha aggiunto il patriarca di Gerusalemme dei Latini —
«è sempre desiderosa di quel che
Paolo VI esclamò nel suo intervento
alle Nazioni Unite il 4 ottobre 1965:
“Mai più la guerra”. Perché con la
guerra nessuno guadagna e tutti
perdono». Questo «è lo stesso appello che Papa Francesco ha lanciato per impedire la guerra in Siria.
Egli ha ripreso le medesime parole
di Paolo VI. Sì, il nostro mondo e la
nostra regione hanno ancora bisogno quotidiano di amore, giustizia e
riconciliazione fra i popoli e soprattutto nei cuori».
Al simposio — si legge in una sintesi diffusa sul sito in rete del patriarcato di Gerusalemme dei Latini
— è intervenuto anche il mufti di
Betlemme, Abd Al-Majeed Ata, che
ha reso testimonianza della gioia
con la quale il Governo e il popolo
palestinesi attendono la visita di Papa Francesco e ha ricordato i viaggi
di Giovanni Paolo II e di Benedetto
XVI, sottolineando le relazioni frater-
ne e i sentimenti di unità condivisi
da musulmani e cristiani in Palestina. Dal canto suo il delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina,
arcivescovo Giuseppe Lazzarotto, ha
posto l’accento sull’aspetto ecumenico del pellegrinaggio in Terra Santa,
mettendo in evidenza che il Pontefice si recherà a Betlemme e a Gerusalemme per pregare per la pace nel
mondo intero. Padre Rafiq Khoury,
sacerdote del patriarcato, ha parlato
invece delle circostanze storiche che
caratterizzarono la visita di Paolo VI,
nel 1964, «periodo politicamente assai delicato, soprattutto a livello
mondiale con gli inizi della “guerra
fredda”». Inoltre, ha spiegato, in
quell’epoca i media erano meno presenti rispetto a oggi e si limitavano
a una semplice trasmissione dei
fatti.
Al seminario di Betlemme hanno
inoltre partecipato padre Rifaat Bader, direttore del centro cattolico di
studi e formazione per i media in
Giordania (che pubblicherà un libro
sul viaggio di Francesco con contributi del re giordano Abdallah II e
del presidente palestinese Mahmoud
Abbas), e padre Jamal Kader, rettore
del seminario di Beit Jala, il quale
ha sottolineato l’importanza della visita da un punto di vista ecclesiale,
ecumenico e religioso.
Al-Liqa è un centro di studi e ricerche religiosi e culturali sul patrimonio del popolo palestinese, cristiano e musulmano in Terra Santa.
L’istituto lavora per il dialogo tra le
fedi. I differenti programmi che propone hanno come obiettivi di favorire gli incontri tra membri di religioni diverse, promuovere la carità tra i
figli dello stesso popolo, operare per
la comprensione tra musulmani e
cristiani in Terra Santa e far sì che
le due comunità convivano fraternamente nonostante le diversità culturali e religiose.
Messa a Santa Marta
Il perdono in una carezza
«Dio perdona non con un decreto
ma con una carezza». E con la misericordia «Gesù va anche oltre la
legge e perdona accarezzando le ferite dei nostri peccati». A questa
grande tenerezza divina Papa Francesco ha dedicato l’omelia della
messa celebrata lunedì 7 aprile nella
cappella della Casa Santa Marta.
«Le letture di oggi — ha spiegato
il Pontefice — ci parlano dell’adulterio», che insieme alla bestemmia e
all’idolatria era considerato «un
peccato gravissimo nella legge di
Mosè», punito «con la pena di
morte» per lapidazione. L’adulterio,
infatti, «va contro l’immagine di
Dio, la fedeltà di Dio», perché «il
matrimonio è il simbolo, e anche
una realtà umana, del rapporto fedele di Dio col suo popolo». Così
«quando si rovina il matrimonio
con un adulterio, si sporca questo
rapporto tra Dio e il popolo».
All’epoca era considerato «un peccato grave» perché «si sporcava
proprio il simbolo della relazione
tra Dio e il popolo, della fedeltà di
D io».
Nel passo evangelico proposto
nella liturgia (Giovanni, 8, 1-11), che
racconta la storia della donna adultera, «incontriamo Gesù, era seduto
lì, tra tanta gente, e faceva il catechista, insegnava». Poi «si avvicinarono gli scribi e i farisei con una
donna che portavano avanti, forse
con le mani legate, possiamo imma-
ginare». E così «la posero in mezzo
e l’accusarono: ecco un’adultera!».
La loro è una «accusa pubblica». E,
racconta il Vangelo, fecero a Gesù
la domanda: «Cosa dobbiamo fare
con questa donna? Tu ci parli di
bontà ma Mosè ci ha detto che
dobbiamo ucciderla!». Essi «dicevano questo — ha notato il Pontefice
— per metterlo alla prova, per avere
il motivo di accusarlo». Infatti «se
Gesù diceva: sì, avanti alla lapidazione», avevano l’opportunità di dire alla gente: «Ma questo è il vostro
maestro tanto buono, guarda cosa
ha fatto a questa povera donna!».
Se invece «Gesù diceva: no, poveretta, perdonarla!», ecco che potevano accusarlo «di non compiere la
legge».
Il loro unico obiettivo era «mettere proprio alla prova e tendere una
trappola» a Gesù. «A loro non importava la donna; non importavano
gli adulteri». Anzi, «forse alcuni di
loro erano adulteri».
Da parte sua, nonostante ci fosse
tanta gente intorno, «Gesù voleva
rimanere solo con la donna, voleva
parlare al cuore della donna: è la
cosa più importante per Gesù». E
«il popolo se n’era andato lentamente» dopo aver sentito le sue parole: «Chi di voi è senza peccato
getti per primo la pietra contro di
lei».
«Il Vangelo con una certa ironia
— ha commentato il vescovo di Roma — dice che tutti se ne andarono,
uno per uno, cominciando dai più
anziani: si vede che nella banca del
cielo avevano un bel conto corrente
contro di loro!». Ecco allora «il momento di Gesù confessore». Resta
«solo con la donna», che rimane «là
in mezzo». Intanto «Gesù era chinato e scriveva col dito sulla polvere
della terra. Alcuni esegeti dicono
che Gesù scriveva i peccati di questi
scribi e farisei. Forse è una immaginazione». Poi «si alzò e guardò» la
donna, che era «piena di vergogna,
e le disse: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? Siamo soli,
tu e io. Tu davanti a Dio. Senza accuse, senza chiacchiere: tu e Dio».
La donna non si proclama vittima
di «una falsa accusa», non si difende affermando: «Io non ho commesso adulterio». No, «lei riconosce
il suo peccato» e a Gesù risponde:
«Nessuno, Signore, mi ha condannata». A sua volta Gesù le dice:
«Neanche io ti condanno, va e
d’ora in poi non peccare più, per
non passare un brutto momento,
per non passare tanta vergogna, per
non offendere Dio, per non sporcare il bel rapporto tra Dio e il suo
popolo».
Dunque «Gesù perdona. Ma qui
c’è qualcosa di più del perdono.
Perché come confessore Gesù va oltre la legge». Infatti «la legge diceva che lei doveva essere punita».
Oltretutto Gesù «era puro e poteva
gettare per primo la pietra». Ma
egli «va oltre. Non le dice: non è
peccato l’adulterio. Ma non la condanna con la legge». Proprio «questo è il mistero della misericordia di
Gesù».
Così «Gesù per fare misericordia» va oltre «la legge che comandava la lapidazione». Tanto che dice alla donna di andare in pace.
«La misericordia — ha spiegato il
Papa — è qualcosa di difficile da capire: non cancella i peccati», perché
a cancellare i peccati «è il perdono
di Dio». Ma «la misericordia è il
modo come perdona Dio». Perché
«Gesù poteva dire: ma io ti perdono, vai! Come ha detto a quel paralitico: i tuoi peccati sono perdonati!». In questa situazione «Gesù va
oltre» e consiglia alla donna «di
non peccare più». E «qui si vede
l’atteggiamento misericordioso di
Gesù: difende il peccatore dai nemici, difende il peccatore da una condanna giusta».
Questo, ha aggiunto il Pontefice,
«vale anche per noi». E ha affermato: «Quanti di noi forse meriterebbero una condanna! E sarebbe anche giusta. Ma lui perdona!». Come? «Con questa misericordia» che
«non cancella il peccato: è il perdono di Dio che lo cancella», mentre
«la misericordia va oltre». È «come
il cielo: noi guardiamo il cielo, tante
stelle, ma quando viene il sole al
mattino, con tanta luce, le stelle non
si vedono». E «così è la misericordia di Dio: una grande luce di amore, di tenerezza». Perché «Dio perdona non con un decreto, ma con
una carezza». Lo fa «carezzando le
nostre ferite di peccato perché lui è
coinvolto nel perdono, è coinvolto
nella nostra salvezza».
Con questo stile, ha concluso Papa Francesco, «Gesù fa il confessore». Non umilia la donna adultera,
«non le dice: cosa hai fatto, quando
l’hai fatto, come l’hai fatto e con chi
l’hai fatto!». Le dice invece «di andare e di non peccare più: è grande
la misericordia di Dio, è grande la
misericordia di Gesù: perdonarci accarezzandoci».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
lunedì-martedì 7-8 aprile 2014
Messa celebrata da Papa Francesco nella parrocchia romana di San Gregorio Magno
L’odore dell’anima
Un invito a togliere dal cuore «la
pietra» del peccato per aprirsi al
perdono di Dio è stato rivolto da
Papa Francesco ai fedeli della
parrocchia romana di San Gregorio
Magno alla Magliana, dove si è
recato nel pomeriggio di domenica 6
aprile. Di seguito l’omelia pronunciata
durante la messa.
Le tre Letture di oggi ci parlano di
Risurrezione, ci parlano di vita.
Quella bella promessa del Signore:
«Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi
faccio uscire dalle vostre tombe»
(Ez 37, 12), è la promessa del Signore che ha la vita e ha la forza di
dare vita, perché quelli che sono
morti possano riprendere la vita. La
seconda Lettura ci dice che noi siamo sotto lo Spirito Santo e Cristo
in noi, il suo Spirito, ci risusciterà.
E la terza Lettura, il Vangelo, abbiamo visto come
Gesù ha dato la vita a
Lazzaro. Lazzaro, che era
morto, è tornato alla
vita.
Semplicemente voglio
dire una cosa piccola piccola. Tutti noi abbiamo
dentro alcune zone, alcune parti del nostro cuore
che non sono vive, che
sono un po’ morte; e alcuni hanno tante parti
del cuore morte, una vera
necrosi spirituale! E noi
quando abbiamo questa
situazione ce ne accorgiamo, abbiamo voglia di
uscirne, ma non possiamo. Soltanto il potere di
Gesù, il potere di Gesù è
capace di aiutarci ad
uscire da queste zone
morte del cuore, queste
tombe di peccato, che
tutti noi abbiamo. Tutti
siamo peccatori! Ma se
noi siamo molto attaccati
a questi sepolcri e li custodiamo dentro di noi e
non vogliamo che tutto il
nostro cuore risorga alla
vita, diventiamo corrotti
e la nostra anima incomincia a dare, come dice
Marta, “cattivo odore”
(Gv 11, 39), l’odore di
quella persona che è at-
taccata al peccato. E la Quaresima
è un po’ per questo. Perché tutti
noi, che siamo peccatori, non finiamo attaccati al peccato, ma possiamo sentire quello che Gesù ha detto a Lazzaro: «Gridò a gran voce:
“Lazzaro, vieni fuori!”» (Gv 11, 43).
Oggi vi invito a pensare un attimo, in silenzio, qui: dove è la mia
necrosi dentro? Dove è la parte
morta della mia anima? Dove è la
mia tomba? Pensate, un minutino,
tutti in silenzio. Pensiamo: qual è
quella parte del cuore che si può
corrompere, perché sono attaccato
ai peccati o al peccato o a qualche
peccato? E togliere la pietra, togliere la pietra della vergogna e lasciare
che il Signore ci dica, come ha detto a Lazzaro: «Vieni fuori!». Perché
tutta la nostra anima sia guarita, sia
risorta per l’amore di Gesù, per la
forza di Gesù. Lui è capace di perdonarci. Tutti ne abbiamo bisogno!
Tutti. Tutti siamo peccatori, ma
dobbiamo stare attenti a non diventare corrotti! Peccatori lo siamo, ma
Lui ci perdona. Sentiamo quella
voce di Gesù che, con la potenza di
Dio, ci dice: «Vieni fuori! Esci da
quella tomba che hai dentro. Esci.
Io ti do la vita, io ti faccio felice, io
ti benedico, io ti voglio per me».
Il Signore oggi, in questa domenica, nella quale si parla tanto della
Risurrezione, dia a tutti noi la grazia di risorgere dai nostri peccati, di
uscire dalle nostre tombe; con la
voce di Gesù che ci chiama, andare
fuori, andare da Lui.
E un’altra cosa: nella quinta domenica di Quaresima, quelli che si
preparavano al Battesimo
nella Chiesa, ricevevano
la Parola di Dio. Anche
questa comunità oggi, farà lo stesso gesto. Ed io
vorrei darvi il Vangelo;
che voi portiate il Vangelo a casa. Questo Vangelo è un Vangelo tascabile
da portare sempre con
noi, per leggere un pochino un brano; aprirlo
così e leggere qualcosa
del Vangelo, quando devo fare una coda o quando sono sul bus; ma
quando sono comodo nel
bus, perché se non sono
comodo, devo stare attento alle tasche! Leggere
sempre un pezzettino del
Vangelo. Ci farà tanto
bene, ci farà tanto bene!
Un po’ tutti i giorni. È
un regalo, che vi ho portato per tutta la vostra
comunità, perché così,
oggi, quinta domenica di
Pasqua, riceviate la Parola di Dio ed anche, così,
possiate sentire la voce di
Gesù che vi dice: «Esci
fuori! Vieni! Vieni fuori!», e prepararvi alla
notte di Pasqua.
Alla Magliana tra difficoltà e speranze
Come aveva fatto al mattino con i
fedeli all’Angelus in piazza San Pietro, Papa Francesco ha donato copie
del Vangelo tascabili anche alla Magliana, dove si è recato domenica
pomeriggio. In visita pastorale alla
comunità di San Gregorio Magno, il
vescovo di Roma ha ricevuto in
cambio una borsa nera piena di messaggi di affetto, simile a quella che
egli porta sempre con sé. «Quando
impugnerà quel manico — gli ha detto il parroco don Renzo Chiesa — si
ricordi che così noi ci sentiamo condotti da lei: con quella mano sicura
e salda di padre premuroso».
E proprio il clima festoso di incontro tra un padre e i suoi figli ha
caratterizzato le quattro ore trascorse
dal Pontefice in questo quartiere popolare. Che per un giorno si è scrollato di dosso l’immagine stereotipata
di frontiera pericolosa, per offrire il
suo volto più autentico: quello di
una realtà abitata da gente che fatica
ogni giorno per tirare avanti, ma lo
fa con dignità ed è capace di grandi
slanci. Anche grazie a una parrocchia davvero in prima linea sul territorio. Lo hanno testimoniato le migliaia di persone radunatesi nei pressi della chiesa di piazza Certaldo:
molte scese in strada, altre rimaste
affacciate alle finestre e ai terrazzi
dei palazzi circostanti per seguire la
visita attraverso i maxischermi. E appese alle ringhiere dei balconi, lenzuola colorate e bandiere, insieme a
tanti striscioni.
Giunto in automobile verso le
15.45, Papa Francesco è stato accolto
sul sagrato dal cardinale vicario Vallini, dal vescovo Selvadagi, ausiliare
per il settore ovest, dal reggente della prefettura della Casa pontificia,
monsignor Sapienza, dal parroco e
dai suoi collaboratori. Dalla balconata sopraelevata che dà su piazza
Fabrizio De André, ha ricevuto il
benvenuto dalle scuole del quartiere.
L’insegnante di religione Lucia Caravona gli ha presentato il piccolo
Dario, alunno di terza elementare,
«che sta attraversando un momento
delicato della sua giovane vita — ha
spiegato — e ha bisogno della sua
carezza». E subito il Pontefice lo ha
accontentato.
Successivamente, nel campo sportivo della parrocchia si è intrattenuto
con i ragazzi del catechismo di prima comunione e di cresima. Una
mamma, Laura, gli ha assicurato
«preghiere speciali per il suo ministero», chiedendo di «mettere nel
calice della messa tutte le famiglie,
specie quelle che hanno particolare
bisogno dell’amore di Dio». È stata
poi Sara, nove anni, a salutarlo,
mentre i coetanei liberavano in volo
palloncini bianchi. «Contengono —
ha detto — le nostre speranze, i nostri desideri, le nostre preghiere».
Quindi gli scout del gruppo Roma
123 hanno portato sul palchetto un
girasole di cartone che racchiudeva
impegni di bontà, perdono e generosità. Infine Letizia, undicenne, ha
mostrato un cartellone raffigurante
una barca con la scritta Guidaci in
questo mare di speranza. «Per noi che
spesso ci sentiamo agitati — ha commentato — è bello sapere che c’è un
marinaio esperto, capace di condurci
fuori della tempesta». Da parte sua
Papa Francesco ha sottolineato come
a volte non sia facile avere speranza,
specie a causa di malattie, mancanza
di lavoro e altri problemi. E intessendo un breve dialogo con i ragazzini ha chiesto: «Senza speranza si
può vivere bene»? La risposta è stata un «no» corale, perché «la speranza mai delude» hanno ribadito
tutti insieme.
Prima di entrare nei locali parrocchiali, Francesco ha voluto salutare
le persone assiepate dietro le transenne. Tra cori da stadio e lunghi
applausi ha stretto mani, dispensato
sorrisi, carezze, abbracci, baci. Una
volta all’interno sono iniziati gli incontri con le realtà più difficili che
gravitano attorno a San Gregorio
Magno. Nel salone dell’oratorio si è
chinato sulle sofferenze di disabili e
All’Angelus il Pontefice dona ai fedeli un piccolo Vangelo raccomandandone la lettura quotidiana
Parola tascabile
Non c’è alcun limite alla misericordia di Dio:
lo ha ricordato domenica 6 aprile Papa
Francesco ai fedeli che hanno partecipato
all’Angelus in piazza San Pietro.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di questa quinta domenica di Quaresima ci narra la risurrezione di Lazzaro. È il
culmine dei “segni” prodigiosi compiuti da
Gesù: è un gesto troppo grande, troppo chiaramente divino per essere tollerato dai sommi
sacerdoti, i quali, saputo il fatto, presero la
decisione di uccidere Gesù (cfr. Gv 11, 53).
Lazzaro era morto già da tre giorni, quando giunse Gesù; e alle sorelle Marta e Maria
Egli disse parole che si sono impresse per
sempre nella memoria della comunità cristiana. Dice così Gesù: «Io sono la risurrezione e
la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà
in eterno» (Gv 11, 25). Su questa Parola del
Signore noi crediamo che la vita di chi crede
in Gesù e segue il suo comandamento, dopo
la morte sarà trasformata in una vita nuova,
piena e immortale. Come Gesù è risorto con
il proprio corpo, ma non è ritornato ad una
vita terrena, così noi risorgeremo con i nostri
corpi che saranno trasfigurati in corpi gloriosi. Lui ci aspetta presso il Padre, e la forza
dello Spirito Santo, che ha risuscitato Lui, risusciterà anche chi è unito a Lui.
Dinanzi alla tomba sigillata dell’amico Lazzaro, Gesù «gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. E il morto uscì, i piedi e le mani
legati con bende, e il viso avvolto da un sudario» (vv. 43-44). Questo grido perentorio è rivolto ad ogni uomo, perché tutti siamo segnati dalla morte, tutti noi; è la voce di Colui
che è il padrone della vita e vuole che tutti
«l’abbiano in abbondanza» (Gv 10, 10). Cristo non si rassegna ai sepolcri che ci siamo
costruiti con le nostre scelte di male e di morte, con i nostri sbagli, con i nostri peccati.
Lui non si rassegna a questo! Lui ci invita,
quasi ci ordina, di uscire dalla tomba in cui i
nostri peccati ci hanno sprofondato. Ci chiama insistentemente ad uscire dal buio della
prigione in cui ci siamo rinchiusi, accontentandoci di una vita falsa, egoistica, mediocre.
«Vieni fuori!», ci dice, «Vieni fuori!». È un
bell’invito alla vera libertà, a lasciarci afferrare
da queste parole di Gesù che oggi ripete a
ciascuno di noi. Un invito a lasciarci liberare
dalle “bende”, dalle bende dell’orgoglio. Perché l’orgoglio ci fa schiavi, schiavi di noi stessi, schiavi di tanti idoli, di tante cose. La nostra risurrezione incomincia da qui: quando
decidiamo di obbedire a questo comando di
Gesù uscendo alla luce, alla vita; quando dalla nostra faccia cadono le maschere — tante
volte noi siamo mascherati dal peccato, le maschere devono cadere! — e noi ritroviamo il
coraggio del nostro volto originale, creato a
immagine e somiglianza di Dio.
Il gesto di Gesù che risuscita Lazzaro mostra fin dove può arrivare la forza della Grazia
di Dio, e dunque fin dove può arrivare la nostra conversione, il nostro cambiamento. Ma
sentite bene: non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti! Non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti! ricordatevi bene questa frase. E possiamo dirla
insieme tutti: “Non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti”. Diciamolo insieme: “Non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti”. Il Signore è sempre pronto a sollevare la pietra tombale dei nostri peccati, che ci separa da Lui, la luce dei viventi.
Al termine della preghiera mariana
il Pontefice ha ricordato il ventesimo anniversario
del genocidio in Rwanda.
Cari fratelli e sorelle,
si terrà domani in Rwanda la commemorazione del XX anniversario dell’inizio del genocidio perpetrato contro i Tutsi nel 1994. In questa circostanza desidero esprimere la mia paterna vicinanza al popolo ruandese, incoraggiandolo a continuare, con determinazione e
speranza, il processo di riconciliazione che ha
già manifestato i suoi frutti, e l’impegno di ricostruzione umana e spirituale del Paese. A
tutti dico: Non abbiate paura! Sulla roccia
del Vangelo costruite la vostra società,
nell’amore e nella concordia, perché solo così
si genera una pace duratura! Invoco su tutta
la cara Nazione ruandese la materna protezione di Nostra Signora di Kibeho. Ricordo con
affetto i Vescovi ruandesi che sono stati qui,
in Vaticano, la settimana scorsa. E tutti voi
invito, adesso, a pregare la Madonna, Nostra
Signora di Kibeho.
Dopo aver recitato un’Ave Maria e salutato
alcuni gruppi di fedeli presenti all’Angelus,
il Papa ha ricordato il quinto anniversario del
terremoto dell’Aquila e il dramma
delle popolazioni colpite dal virus dell’ebola.
Saluto tutti i pellegrini presenti, in particolare i partecipanti al Congresso del Movimento di Impegno Educativo dell’Azione Cattolica Italiana. Investire sull’educazione significa
investire in speranza!
Saluto i fedeli di Madrid e di Menorca;
quelli della Diocesi di Concordia-Pordenone;
il gruppo brasiliano “Fraternidade e tráfico humano”; gli studenti del Canada, dell’Australia,
del Belgio e quelli di Cartagena-Murcia; gli
alpini di Como e di Roma.
Saluto i gruppi di ragazzi che hanno ricevuto o si preparano alla Cresima, i giovani di
varie parrocchie e i numerosi studenti.
Sono passati esattamente cinque anni dal
terremoto che ha colpito L’Aquila e il suo territorio. In questo momento vogliamo unirci a
quella comunità che ha tanto sofferto, che ancora soffre, lotta e spera, con tanta fiducia in
Dio e nella Madonna. Preghiamo per tutte le
vittime: che vivano per sempre nella pace del
Signore. E preghiamo per il cammino di risurrezione del popolo aquilano: la solidarietà
e la rinascita spirituale siano la forza della ricostruzione materiale.
Preghiamo anche per le vittime del virus
Ebola che si è sviluppato in Guinea e nei Paesi confinanti. Il Signore sostenga gli sforzi per
combattere questo inizio di epidemia e per assicurare cura e assistenza a tutti i bisognosi.
Infine il Santo Padre ha annunciato con queste
parole il dono del Vangelo tascabile ai fedeli
presenti in piazza.
Ed ora vorrei fare un gesto semplice per
voi. Nelle scorse domeniche ho suggerito a
tutti voi di procurarsi un piccolo Vangelo, da
portare con sé durante la giornata, per poterlo leggere spesso. Poi ho ripensato all’antica
tradizione della Chiesa, durante la Quaresima, di consegnare il Vangelo ai catecumeni, a
coloro che si preparano al Battesimo. Allora
oggi voglio offrire a voi che siete in Piazza —
ma come segno per tutti — un Vangelo tascabile [mostra il libretto]. Vi sarà distribuito
gratuitamente. Ci sono i posti in piazza per
questa distribuzione. Io li vedo lì, lì, lì,... Avvicinatevi ai posti e prendete il Vangelo. Prendetelo, portatelo con voi, e leggetelo ogni
giorno: è proprio Gesù che vi parla lì! È la
Parola di Gesù: questa è la Parola di Gesù!
E come Lui vi dico: gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date, date il messaggio
del Vangelo! Ma forse qualcuno di voi non
crede che questo sia gratuito. “Ma quanto costa? Quanto devo pagare, Padre?”. Facciamo
una cosa: in cambio di questo dono, fate un
atto di carità, un gesto di amore gratuito, una
preghiera per i nemici, una riconciliazione,
qualcosa...
Oggi si può leggere il Vangelo anche con
tanti strumenti tecnologici. Si può portare con
sé la Bibbia intera in un telefonino, in un tablet. L’importante è leggere la Parola di Dio,
con tutti i mezzi, ma leggere la Parola di Dio:
è Gesù che ci parli lì! E accoglierla con cuore
aperto. Allora il buon seme porta frutto!
Vi auguro buona domenica e buon pranzo!
Arrivederci!
ammalati. Li ha presentati Paola
Fanzini, presidente dell’associazione
“La lampada dei desideri” molto attiva sul territorio: «Un sogno diventato realtà — l’ha così descritta —
perché tanti di noi potessero avere
una casa accogliente dove essere
amati». E il Pontefice ha ringraziato
quanti offrono nella preghiera per la
Chiesa le proprie sofferenze. Perché,
ha sottolineato, siamo stati redenti
da Gesù con la croce. E «quando
viene la croce della malattia, noi assomigliamo a Gesù». Ha anche assegnato loro un compito: pregare per
chi ha l’anima vuota e ripone la speranza nei soldi e nel potere. Infine
ha chiesto la preghiera del popolo di
Dio, dei malati e dei bambini in particolare, perché senza di essa «il Papa è un poveraccio, non può fare
niente».
Nel teatro parrocchiale, dov’erano
ad attenderlo ex tossicodipendenti,
detenuti, immigrati e vittime della
tratta sessuale, ha improvvisato il discorso più significativo. A nome delle cooperative “La Prora” e “Magliana 80” e dell’iniziativa “Sabato in famiglia”, Germana ha ricordato come
la comunità di San Gregorio Magno
sia sempre stata sensibile agli ultimi.
E Papa Francesco ha sintetizzato la
sua risposta in quattro parole: fragilità, marginalità, scarto e salita. «Il
Signore ama la nostra debolezza»,
ha affermato, chiarendo che «il posto migliore per trovare il Signore»
non è la chiesa, ma «la propria debolezza». Ha ribadito che «Gesù è
venuto nei margini» per trovare chi
non contava niente. Ha ripetuto che
soffre per la cultura dello scarto: «Si
ammazzano i bambini nel grembo
della mamma», e si scartano gli anziani, «perché si pensa che non servano», mentre «sono la memoria,
sono la saggezza di un popolo».
Oggi, soprattutto, si scartano i giovani, ha detto citando drammatiche
statistiche sulla disoccupazione giovanile in Europa, dove ci sono 75
milioni di persone sotto i 25 anni
senza lavoro. «Noi non vogliamo essere materiale di scarto» ha detto.
Commentando infine l’ultima delle
quattro parole, “salita”, ha rimarcato
che si tratta di una parola bella, ma
difficile: Sarebbe «meglio andare in
discesa. È più comodo». Ha commentato. Però la vita è fatta di salite,
e ha citato in proposito un canto degli alpini per il quale nell’arte di salire l’importante non è non cadere,
ma non restare a terra.
L’ultimo incontro è stato con le
famiglie: coppie che celebrano nozze
d’argento o d’oro, mamme in attesa
e bambini appena battezzati, fidanzati che si preparano al matrimonio.
Sentendo i neonati piangere, il Papa
ha commentato: «È bella questa musica! Ma non è tanto bella alle 2 o
alle 3 di notte, perché il giorno dopo
dobbiamo andare a lavoro! Ma vi
ringrazio di portare i bambini a ricevere il battesimo in parrocchia», anche se poi «tanti fino alla prima comunione non si fanno più vivi. E invece è importante mantenere il rapporto. Questo non significa che tutti
i giorni dovete andare in parrocchia», ha precisato, ma mantenere i
contatti, «non allontanarsi troppo.
Così la comunità cresce».
Dopo aver salutato i ministranti e
i sacerdoti della prefettura che hanno concelebrato, il Papa ha anche visitato la Casa della carità, che ospita
anziani indigenti proprio tra le mura
della parrocchia. Le suore che la gestiscono gli hanno presentato Rosina, novantottenne allettata. Infine,
la confessione di cinque fedeli ha
preceduto la messa della quinta domenica di Quaresima. Nel saluto finale don Renzo ha parlato del recente pellegrinaggio compiuto in
Terra Santa, dove ha pregato nella
chiesa del Primato di Pietro, assicurando al Papa «il sostegno, l’affetto,
la preghiera della Magliana per continuare il suo difficile e splendido
cammino di padre». E il vescovo di
Roma ha ringraziato, affacciandosi
di nuovo dal sagrato dopo aver
smesso i paramenti, per un ultimo
saluto prima del rientro in Vaticano.
(gianluca biccini)
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 7-8 aprile 2014
pagina 7
Il Papa ne conferma la missione
Per il futuro
dello Ior
Visita «ad limina» dei vescovi della Tanzania
Imperativo missionario
L’impegno a «mantenere e ad
alimentare» l’imperativo missionario
che mosse i primi evangelizzatori della
Tanzania è stato raccomandato dal
Pontefice nel discorso rivolto ai presuli
del Paese africano, ricevuti stamattina,
lunedì 7 aprile, in occasione della
visita «ad limina Apostolorum».
Diamo una nostra traduzione del
discorso in lingua inglese consegnato
dal Papa.
Cari Fratelli Vescovi,
Vi porgo un cordiale benvenuto fraterno in occasione della vostra visita
ad limina Apostolorum, che è un’opportunità per rafforzare i vincoli di
comunione tra la Chiesa in Tanzania
e la Sede di Pietro. Ringrazio l’arcivescovo Ngalalekumtwa per le premurose parole pronunciate a nome
vostro, come anche dei sacerdoti, dei
religiosi e delle religiose e di tutti i
fedeli laici nel vostro Paese. Vi chiedo di volerli assicurare delle mie
preghiere e della mia vicinanza spirituale.
La Chiesa in Tanzania è benedetta da tanti doni per i quali dobbiamo tutti rendere grazie a Dio. Penso, in primo luogo, all’impressionante storia dell’opera missionaria in
tutta la regione. Arrivando con il
desiderio di far conoscere e amare
«il nome che è al di sopra di ogni
altro nome» (Fil 2, 9), questi evangelizzatori, ricolmi dello Spirito,
hanno gettato solide fondamenta
per la Chiesa, che hanno ispirato le
generazioni successive nei loro sforzi
di proclamare il Vangelo e di edificare il Corpo di Cristo. Anche oggi,
l’approccio missionario deve essere
«il paradigma di ogni opera della
Chiesa» (Evangelii gaudium, n. 15).
Costruendo sullo zelo e i sacrifici
dei primi evangelizzatori, dovete
continuare a mantenere e ad alimentare questo imperativo missionario,
affinché il Vangelo possa permeare
sempre più ogni opera dell’apostolato e gettare la sua luce su tutti gli
ambiti della società tanzaniana. In
questo modo si scriverà un capitolo
nuovo e dinamico nella grande storia missionaria ed evangelica del vostro Paese.
L’opera di evangelizzazione in
Tanzania, dunque, non è solo un
importante evento del passato; no,
avviene ogni giorno con il lavoro
pastorale della Chiesa nelle parrocchie, nella liturgia, nella ricezione
dei sacramenti, nell’apostolato educativo, nelle iniziative sanitarie, nella
catechesi e nella vita dei cristiani comuni. Viene svolta ogni volta che i
fedeli credenti smuovono le menti e
i cuori di coloro che, quale che ne
sia la ragione, sono deboli nel vivere
la grazia del Vangelo. Viene svolta
soprattutto — attraverso le parole e
l’integrità di vita — proclamando
Gesù Cristo crocifisso e risorto a
quanti non conoscono la gioia che
deriva dall’amarlo e dall’abbandonare a lui la propria vita. È questa la
grande sfida che il popolo di Dio in
Tanzania deve affrontare oggi: dare
una testimonianza convincente dell’amorevole redenzione dell’umanità
da parte di Gesù Cristo, sperimentata e celebrata dalla comunità dei
credenti nella Chiesa.
Penso qui in modo particolare alla testimonianza del discepolato
missionario (cfr. Evangelii gaudium
n. 119-120) offerta dagli operatori
dell’apostolato sanitario della Chiesa, non ultimo prendendosi cura di
quanti sono affetti da HIV/AIDS, e
da tutti coloro che cercano diligentemente di educare le persone
nell’ambito della responsabilità sessuale e della castità. Penso anche a
tutti coloro che si dedicano allo sviluppo integrale dei poveri, e in particolari delle donne e dei bambini
bisognosi. Possa lo Spirito Santo,
che ha dato forza, saggezza e santità
ai primi missionari in Tanzania, continuare a ispirare l’intera Chiesa locale nella sua vitale testimonianza.
Data la grande importanza del
ministero di insegnare, santificare e
governare il gregge di Cristo, è sempre grande il bisogno di sacerdoti
santi, ben formati e zelanti. Mi unisco a voi nell’esprimere gratitudine e
incoraggiamento per il ministero dei
vostri sacerdoti. I sacrifici che compiono, che spesso solo Dio conosce,
sono fonte di molta grazia e santità.
È vostra urgente responsabilità, come loro padri e fratelli in Cristo, assicurare che i sacerdoti ricevano una
formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale adeguata, non
solo in seminario, ma durante tutta
la loro vita (cfr. Pastores dabo vobis,
n. 43-59). Ciò consentirà loro di dedicarsi in modo più pieno al ministero sacerdotale, in fedeltà alle promesse fatte durante l’ordinazione.
Questa formazione deve essere permanente; solo attraverso la conversione quotidiana e la crescita nella
carità pastorale matureranno come
agenti efficaci di rinnovamento spirituale e di unità cristiana nelle loro
parrocchie e, come Gesù, raduneranno gente “di ogni … popolo e lingua” (Ap 7, 9) per rendere lode e
gloria a Dio Padre. Come uomini di
profonda saggezza e leader spirituali
autentici, i sacerdoti saranno una
fonte d’ispirazione per il loro gregge
e attireranno molti giovani a rispondere con generosità alla chiamata
del Signore a servire il suo popolo
nel sacerdozio.
Il ruolo indispensabile dei fedeli
laici nell’evangelizzazione permanente nel vostro Paese è stato evidenziato con chiarezza da due eventi ecclesiali recenti: il Congresso eucaristico nazionale del 2012 e il Seminario tenuto in prossimità dell’Anno della Fede. Apprezzo i vostri
sforzi di promuovere simili eventi,
che contribuiscono molto a rafforzare la fede tra il popolo di Dio in
Tanzania. Un esercizio dell’apostolato laico particolarmente straordinario è quello dei catechisti e delle catechiste nel vostro Paese, che si adoperano per trasmettere il Vangelo e
la pienezza della vita cristiana. Nel
vostro servizio alla Chiesa locale,
compite ogni sforzo per fornire ai
catechisti una comprensione completa della dottrina della Chiesa. Ciò
servirà loro non solo per contrastare
le sfide della superstizione, delle sette aggressive e del secolarismo, ma
anche, cosa ancor più importante,
per condividere la bellezza e la ricchezza della fede cattolica con gli
altri, specialmente con i giovani.
Nella fedeltà alla missione ricevuta
nel battesimo, ogni membro della
Chiesa potrà allora rinnovare la
Chiesa e la società come lievito dal
suo interno. Quali discepoli laici
ben formati, sapranno come impregnare «di valore morale la cultura e le opere umane» (Lumen gentium, n. 36), cosa davvero necessaria
ai nostri giorni.
Cari fratelli, l’opera di evangelizzazione inizia nelle case. Il dono
che costituiscono le famiglie integre
è sentito con particolare vitalità in
Africa. Inoltre, l’amore della Chiesa
per la famiglia e la sua sollecitudine
pastorale verso di essa sono al centro della nuova evangelizzazione.
Come sapete, per la fine di quest’anno ho convocato un Sinodo dedicato alla famiglia, la cui cura pastorale è stata una preoccupazione
centrale della Seconda assemblea
speciale per l’Africa del Sinodo dei
Vescovi nel 2009. Possa il nostro incontro oggi essere un incentivo a
esaminare la vostra risposta comune
alla chiamata del Sinodo a un apostolato per la famiglia più energico,
attraverso un’assistenza spirituale e
materiale senza compromessi e gene-
rosa (cfr. Africae munus, n. 43). Promovendo la preghiera, la fedeltà coniugale, la monogamia, la purezza e
l’umile servizio reciproco nelle famiglie, la Chiesa continua a dare un
inestimabile contributo al benessere
sociale della Tanzania, che, unito ai
suoi apostolati educativo e sanitario,
certamente favorirà maggiore stabilità e progresso nel vostro Paese. Non
c’è miglior servizio che la Chiesa
possa offrire di quello di dare testimonianza della nostra convinzione
della santità del dono di Dio della
vita e del ruolo fondamentale svolto
dalle famiglie spirituali e stabili nel
preparare le generazioni più giovani
a condurre una vita virtuosa e ad affrontare le sfide del futuro con saggezza, coraggio e generosità.
È particolarmente incoraggiante
per me sapere che la Tanzania è impegnata ad assicurare la libertà dei
seguaci delle diverse religioni di praticare la propria fede. La costante
protezione e promozione di questo
diritto umano fondamentale rafforza
la società, aiutando i credenti, in fedeltà a quanto impone la loro coscienza e nel rispetto della dignità e
dei diritti di tutti, a promuovere
l’unità sociale, la pace e il bene comune. Sono grato per i vostri sforzi
costanti di promuovere il perdono,
la pace e il dialogo mentre guidate il
vostro popolo in situazioni difficili
di intolleranza e, talvolta, di violenza e persecuzione. La vostra guida
orante e unita — che sta già dando
frutto mentre affrontate insieme tali
sfide — continuerà a indicare il cammino a quanti sono affidati alle vostre cure pastorali e alla società più
in generale. Vi esorto anche a lavorare con il governo e le istituzioni
civili in quest’ambito, al fine di assicurare che lo stato di diritto prevalga quale mezzo indispensabile per
garantire relazioni sociali giuste e
pacifiche. Prego perché il vostro
esempio, e quello dell’intera Chiesa
nel vostro Paese, continui ad ispirare
tutte le persone di buona volontà
che anelano alla pace.
Con queste riflessioni, cari fratelli
Vescovi, affido tutti voi all’intercessione di Maria, Madre della Chiesa,
e con grande affetto imparto la mia
Benedizione Apostolica, che estendo
volentieri a tutti gli amati sacerdoti,
ai religiosi e ai fedeli laici nel vostro
Paese.
Papa Francesco ha approvato una
proposta sul futuro dell’Istituto per
le Opere di Religione (Ior), riaffermandone l’importanza della missione per il bene della Chiesa cattolica, della Santa Sede e dello Stato
della Città del Vaticano.
La proposta è stata sviluppata
congiuntamente da rappresentanti
della Pontificia commissione referente sullo Ior (Crior), della Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa Sede (Cosea),
della Commissione cardinalizia di
vigilanza e del Consiglio di sovrintendenza dello Ior. Ed è stata presentata al Santo Padre dal cardinale
George Pell, prefetto della Segreteria per l’economia, con il consenso
del cardinale Santos Abril y Castelló, presidente della Commissione
cardinalizia di vigilanza dello Ior.
Tale proposta è stata definita sulla
base di informazioni sullo status legale dell’Istituto e sull’operatività
svolta, informazioni raccolte e presentate al Papa e al suo Consiglio
di cardinali dalla Crior nel febbraio
2014.
Lo Ior continuerà a servire con
attenzione e a fornire servizi finanziari specializzati alla Chiesa cattolica in tutto il mondo. I significativi
servizi che possono essere offerti
dall’Istituto assistono il Santo Padre nella sua missione di pastore
universale e supportano inoltre istituzioni e individui che collaborano
con lui nel suo ministero.
Con la conferma della missione
dello Ior e facendo seguito alla ri-
chiesta del cardinale prefetto Pell, il
presidente del Consiglio di sovrintendenza, Ernst von Freyberg, e il
management dello Ior porteranno a
termine il loro piano al fine di assicurare che l’Istituto possa compiere
la sua missione come parte delle
nuove strutture finanziarie della
Santa Sede e dello Stato della Città
del Vaticano. Il piano sarà presentato al Consiglio dei cardinali e al
Consiglio per l’economia.
Le attività dello Ior continueranno a rientrare sotto la supervisione
regolamentare dell’Autorità di informazione finanziaria (Aif), competente nell’ambito della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. In conformità ai motuproprio dell’8 agosto 2013 e del 15 novembre 2013, e alla legge numero
XVIII sulla trasparenza, supervisione
e informazione finanziaria, entrata
in vigore l’8 ottobre 2013, è stata introdotta un’ampia e articolata struttura legale e istituzionale finalizzata
a regolare le attività finanziarie
all’interno della Santa Sede e dello
Stato della Città del Vaticano. A tale proposito, il cardinale Pell ha
confermato l’importanza di un allineamento sostenibile e sistematico
delle strutture legali e normative
della Santa Sede e dello Stato della
Città del Vaticano con le best practice regolamentari internazionali.
Una efficace supervisione regolamentare e i progressi raggiunti nella
compliance, trasparenza e operatività
avviati nel 2012 e sensibilmente accelerati nel 2013, sono fondamentali
per il futuro dell’Istituto per le
opere di religione.
Udienza al comitato organizzatore della gmg di Rio de Janeiro
Ladri di cuori
«I carioca sono dei “ladri”! Sì, “ladri”, perché hanno
rubato il mio cuore. Approfitto della vostra presenza
qui oggi per ringraziarli di quel “furto”».
Lo ha detto scherzosamente Papa Francesco ai membri
del Comitato organizzatore della ventottesima Giornata
mondiale della Gioventù svoltasi a Rio de Janeiro
nel luglio scorso. Il Pontefice li ha ricevuti stamane,
lunedì 7 aprile, nella Sala Clementina. Ad accompagnarli
il cardinale arcivescovo Orani João Tempesta,
che ha salutato il Papa a nome dei presenti, ricordando
i frutti spirituali maturati in tutto il continente
Cari amici,
nove mesi dopo il mio indimenticabile viaggio in Brasile, dove sono
stato accolto a braccia aperte dal
popolo carioca, provo una gioia
particolare nel ricevere oggi questo
gruppo, guidato dal cardinale dom
Orani Tempesta, che rappresenta
tutti coloro che in qualche modo
hanno collaborato alla XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù, facendo sì che l’amore di Dio toccasse
— letteralmente — il cuore di milioni
di persone.
Parlando di cuore, ho una confidenza da farvi: quando sono giunto
in Brasile, nel mio primo discorso
ufficiale, ho detto che volevo entra-
latinoamericano a seguito dell’avvenimento.
La delegazione brasiliana è giunta a Roma per partecipare
nei prossimi giorni a una serie di appuntamenti:
dall’incontro internazionale promosso dal Pontificio
Consiglio per i Laici dal 10 al 13 aprile
a Sassone di Ciampino, al simbolico passaggio
di consegne, nella domenica delle Palme,
con i coetanei di Cracovia, sede del prossimo raduno
delle nuove generazioni nel 2016.
Di seguito una nostra traduzione del discorso
pronunciato in portoghese dal vescovo di Roma.
re per il portale dell’immenso cuore
dei brasiliani, chiedendo il permesso
di bussare delicatamente alla loro
porta e di passare una settimana
con il popolo brasiliano. Però, al
termine di quella settimana, tornando a Roma, pieno di nostalgia, mi
sono reso conto che i carioca sono
dei “ladri”! Sì, “ladri”, perché hanno rubato il mio cuore. Approfitto
della vostra presenza qui oggi per
ringraziarli di quel “furto”: grazie
per avermi contagiato con il vostro
entusiasmo lì a Rio de Janeiro, e
perché oggi qui mi aiutate a “uccidere” la nostalgia del Brasile.
Come dicevo prima, tutti voi qui
riuniti rappresentate i laici, i religio-
si, i sacerdoti e i vescovi che hanno
dato il proprio generoso contributo
durante la Giornata. So che non è
stato facile organizzare un evento di
quelle dimensioni. Immagino che, a
volte, ci sia stato qualcuno che ha
pensato che non potesse andare bene. Perciò, come è bello poter guardare indietro e vedere che le ore di
lavoro, i sacrifici, persino le mancanze passeggere, sono stati poca
cosa se paragonati alla grandiosità
dell’azione di Dio sulle nostre povere risorse umane. È la dinamica della moltiplicazione dei pani. Quando
Gesù chiese agli apostoli di dare da
mangiare alla folla, loro sapevano
che era impossibile. Ma furono ge-
La messa di apertura della Gmg di Rio de Janeiro (23 luglio 2013)
nerosi. Diedero al Signore tutto
quello che avevano. E Gesù moltiplicò i loro sforzi. Non è stato così
anche nella Giornata Mondiale della Gioventù?
Non dobbiamo però solo guardare indietro. Dobbiamo innanzitutto
guardare al futuro, rafforzati dalla
certezza che Dio moltiplicherà sempre i nostri sforzi. Gesù ci ripete costantemente: «Voi stessi date loro da
mangiare» (Mc 6, 37). Perciò questo
miracolo vissuto nella Giornata della Gioventù si deve ripetere ogni
giorno, in ogni parrocchia, in ogni
comunità, nell’apostolato personale
di ognuno! Non possiamo restare
tranquilli sapendo che ancora «tanti
nostri fratelli vivono senza la forza,
la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza
un orizzonte di senso e di vita»
(Esortazione Apostolica Evangelii
gaudium, n. 49). Per questo è necessario ripensare a quelle tre idee che,
in un certo senso, riassumono tutto
il messaggio della Giornata Mondiale della Gioventù: andate, senza
paura, per servire. Dobbiamo essere
una “Chiesa in uscita” (cfr. Ibidem,
n. 20), come discepoli missionari
che non hanno paura delle difficoltà, poiché abbiamo già visto che il
Signore moltiplica i nostri sforzi, e
perciò siamo sempre più motivati a
servire, donandoci senza riserve,
pieni della gioia del Vangelo.
Cari amici, nell’adempiere questo
impegno, guardiamo all’esempio di
José de Anchieta, l’Apostolo del
Brasile, recentemente dichiarato
santo. In una delle sue lettere, scrisse: «Nulla è difficile per coloro che
cullano nel cuore e hanno come fine
unico la gloria di Dio e la salvezza
delle anime, per le quali non esitano a dare la propria vita» (Lettera a
Padre Tiago Laynez). Perciò è con la
sua intercessione che vi animo ad
andare avanti, con gioia e coraggio,
nella bella missione di mantenere
viva nel cuore dei brasiliani la fiamma d’amore per Cristo e per la sua
Chiesa. Vi ringrazio nuovamente
per la vostra presenza e vi chiedo di
non smettere mai di pregare per me.
Grazie!
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