Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLIV n. 80 (46.622) Città del Vaticano lunedì-martedì 7-8 aprile 2014 . All’Angelus e durante la visita in una parrocchia romana Papa Francesco regala ai fedeli il Vangelo Il gesuita Frans van der Lugt da cinquant’anni uomo di pace in Siria Parola tascabile Sacerdote olandese assassinato a Homs In piazza San Pietro appello alla riconciliazione in Rwanda e invito a soccorrere gli africani vittime dell’ebola Papa Francesco ha regalato ai fedeli che hanno partecipato all’Angelus di domenica 6 aprile in piazza San Pietro un piccolo Vangelo, raccomandando loro di portarlo sempre in tasca e di leggerlo ogni giorno. «È proprio Gesù che vi parla lì! È la parola di Gesù!» ha sottolineato. E «in cambio di questo dono» ha chiesto loro di fare «un atto di carità, un gesto di amore gratuito, una preghiera per i nemici, una riconciliazione». Proprio di riconciliazione il Pontefice aveva parlato poco prima ricordando il ventesimo anniversario del genocidio perpetrato contro i tutsi in Rwanda nel 1994 e incoraggiando la popolazione del Paese a continuare «con determinazione e speranza» il processo di pacificazione e di «ricostruzione umana e spirituale». Il vescovo di Roma aveva anche parlato della drammatica si- tuazione della Guinea e di alcuni Paesi confinanti colpiti dal virus dell’ebola e aveva auspicato per gli aquilani vittime del terremoto di cinque anni fa un «cammino di risurrezione» e di «ricostruzione materiale» fondato sulla solidarietà. La domenica di Francesco si è poi conclusa nella parrocchia romana di San Gregorio Magno, dove il Pontefice ha trascorso l’intero pomeriggio, celebrando la messa e incontrando le diverse realtà del quartiere. Anche ai fedeli della comunità della Magliana il Papa ha chiesto di portare sempre con loro un Vangelo da leggere quotidianamente. E li ha invitati a un esame di coscienza per togliere dal cuore «la pietra» del peccato e aprire la propria anima al perdono di D io. PAGINA 6 Visita «ad limina» dei vescovi della Tanzania Imperativo missionario PAGINA 7 Quasi cento persone uccise mentre Boko Haram è sospettato per il sequestro dei tre religiosi in Camerun Nigeria in balia dei gruppi armati y(7HA3J1*QSSKKM( +&!z!&!"!{! ABUJA, 7. Due massacri nelle ultime ore nel nord della Nigeria hanno dato conferma di una sempre più diffusa violenza, sia legata ai contrasti fra etnie per il controllo delle fonti d’acqua e dei pascoli, sia di matrice terroristica. Un attacco sferrato ieri mattina da pastori nomadi di etnia fulani, di religione musulmana, ha provocato 79 morti nel villaggio di Galadima, nello Stato di Zamfara, abitato da agricoltori cristiani dell’etnia hausa. L’assalto, secondo quanto riferito dalle autorità locali, è avvenuto durante una riunione dei rappresentanti delle comunità di villaggi nello Stato di Zamfara. All’ordine del giorno della riunione c’era proprio il tema della sicurezza di fronte ai ripetuti attacchi armati e rapine. Nelle stesse ore, nello Stato nordorientale dello Yobe, diciassette abitanti del villaggio di Buna Gari sono stati uccisi in un’incursione di miliziani di Boko Haram, il gruppo di matrice fondamentalista islamica responsabile da oltre quattro anni di attacchi armati e attentati che hanno provocato migliaia di vittime, in maggioranza civili. Nel dare notizia dell’accaduto, il portavoce del governatorato locale, Abdullahi Bego, ha specificato che tra le vittime figurano in prevalenza musulmani che si trovavano in preghiera in una moschea. Boko Haram è tra i sospettati anche per il sequestro nel confinante Camerun, nella notte tra venerdì e sabato, di due sacerdoti italiani, don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri, entrambi della diocesi di Vicenza, e della suora canadese Gilberte Bussier, di una congregazione anch’essa radicata in Veneto, le suore della Divina Volontà, che hanno la casa madre a Bassano del Grappa. Il rapimento dei tre religiosi è avvenuto nella diocesi di Maroua-Mo- Ritrovamento di Gesù nelle fonti Una storia che conta ROMANO PENNA A PAGINA 4 kolo, nella parte settentrionale del Camerun incuneata tra Ciad e appunto Nigeria. Rastrellamenti a tappeto sono in corso in tutta la zona di frontiera, dove sono stati rafforzati i controlli, nel tentativo di trovare i tre sequestrati o almeno di ottenere informazioni sulla loro sorte. Ad alimentare i sospetti su Boko Haram contribuisce un analogo episodio av- venuto in novembre, quando sempre in quell’area del Camerun fu sequestrato un sacerdote francese, Georges Vandenbeusch, rilasciato dopo un mese. In quel caso, però, il rapimento era stato subito rivendicato dal gruppo armato nigeriano, mentre in questa circostanza non ci sono state rivendicazioni né richieste di riscatto. Le prime frammentarie noti- zie diffuse sabato sul rapimento dei tre religiosi facevano comunque pensare anche alla possibile responsabilità di milizie ribelli locali che di recente avevano annunciato azioni di ritorsione contro il sequestro di un loro arsenale da parte della polizia. Sulla vicenda, sia le autorità locali sia il ministero degli Esteri italiano hanno chiesto il silenzio stampa. Commemorazioni nel ventennale del genocidio in Rwanda L’insegnamento della memoria KIGALI, 7. Raggiungerà oggi il sacrario di Gisozi, nella capitale rwandese Kigali, la torcia che negli ultimi tre mesi ha attraversato tutto il Paese per ricordare le vittime del genocidio di vent’anni fa, incominciato il 7 aprile 1994, subito dopo l’uccisione dei Presidenti rwandese, Juvénal Habyarimana, e burundese, Cyprien Ntaryamira, nell’abbattimento del loro aereo che stava atterrando a Kigali. La torcia si chiama Kwibuka (ricordando, in lingua locale). Così come «Ricordare, unire, rinnovare» si legge nel manifesto delle commemorazioni delle vittime di uno dei maggiori orrori della storia, che provocò oltre ottocentomila morti accertati, in stragrande maggioranza tutsi, ma anche hutu moderati, e poi due milioni di profughi, in questo caso quasi tutti della maggioranza hutu uscita sconfitta dalla guerra civile. Le cerimonie incominciano oggi a Kigali — dove è giunto tra gli altri il Segretario generale dell’O nu, Ban Ki-moon — e andranno avanti per cento giorni, quanti furono, vent’anni fa, quelli che videro trucidare centinaia di migliaia di donne e di uomini, di vecchi e di bambini. Ricordare, appunto, ma anche rinnovare e unire un Paese ancora lacerato al suo interno e spesso in contrasto con la comunità internazionale. Da parte sua, con la presenza a Kigali, Ban Ki-moon vuole e deve testimoniare la volontà internazionale di non ripetere mai più la sostanziale sottovalutazione mostrata all’epoca su quanto stava accadendo. Eppure, fin dall’inizio, non erano mancati i moniti e gli appelli accorati delle coscienze più vigili, primi fra tutti quelli di Giovanni Paolo II, che della tragedia rwandese parlò continuamente in quei mesi. Già nel gennaio di quell’anno, nel discorso al Corpo diplomatico presso la Santa Sede, il Papa aveva ammonito sui pericoli incombenti sul Rwanda. E al Regina Caeli del 10 aprile, al primo scatenarsi delle violenze, fece «appello a tutti i responsabili, anche della comunità internazionale, perché non desistano dal cercare ogni via che possa porre argine a tanta distruzione e morte». La torcia accesa a ricordo delle vittime del genocidio (Reuters) Un’abitazione di Homs colpita da un proiettile di mortaio (Reuters) DAMASCO, 7. Il sacerdote gesuita olandese Frans van der Lugt è stato ucciso oggi a Homs, in Siria, a colpi di arma da fuoco. La notizia, data dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, un’organizzazione vicina all’opposizione, è stata confermata dalla curia provinciale dei gesuiti. Padre van der Lugt, unico europeo rimasto nella martoriata città siriana, è stato prelevato da uomini armati nella sua residenza e, dopo essere stato malmenato, è stato freddamente ucciso con due colpi alla testa. Il religioso settantacinquenne era conosciutissimo a Homs e in tutta la Siria, dove viveva da quasi cinquant’anni. «Muore così un uomo di pace, che con grande coraggio ha voluto rimanere fedele in una situazione estremamente rischiosa e difficile a quel popolo siriano a cui aveva dedicato da lungo tempo la sua vita e il suo servizio spirituale» ha dichiarato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, il gesuita Federico Lombardi. «Dove il popolo muore, muoiono con lui anche i suoi fedeli pastori» ha sottolineato padre Lombardi. «In questo momento di grande dolore — ha aggiunto — esprimiamo la nostra partecipazione nella preghiera, ma anche grande gratitudine e fierezza per avere avuto un confratello così vicino ai più sofferenti nella testimonianza dell’amore di Gesù fino alla fine». Dolore per la morte del religioso è stata espressa dalla Conferenza episcopale dei Paesi Bassi. Sui fronti di guerra siriani nel fine settimana non si è registrata alcuna tregua. Fonti sia governative sia dell’opposizione riferiscono di numerose vittime, anche nel centro della capitale Damasco, dove ci sono stati due morti e otto feriti per colpi di mortaio dei ribelli caduti ieri sul teatro dell’Opera. Ad Homs almeno tredici ribelli sono stati uccisi nell’esplosione di un’autobomba che stavano preparando. Sabato c’erano stati quaranta morti, in gran parte civili, sui vari fronti. Sempre sabato, l’Unicef, il fondo dell’Onu per l’infanzia, ha riferito che nell’ultima settimana sono stati uccisi undici bambini. Nel frattempo, cruenti scontri scoppiati ieri in un campo in Giordania confermano la drammatica condizione dei profughi. Teatro dei disordini, che hanno provocato almeno un morto e decine di feriti, compresi molti poliziotti giordani, è stato il campo di Zaatari, che accoglie circa 106.000 rifugiati, per numero la seconda concentrazione al mondo dopo quella di Dabaab, in Kenya. Diametralmente opposte sono le versioni dell’accaduto fornite dalle autorità di Amman e dai rifugiati. Secondo il ministro dell’Interno, Hussein Majali, le violenze, che hanno coinvolto cinquemila residenti nel campo, sono incominciate dopo che gli agenti avevano arrestato un gruppo di profughi che cercavamo di lasciare illegalmente il campo stesso. Alcuni profughi avrebbero aperto il fuoco contro la polizia. I profughi hanno detto invece che a innescare i disordini è stato un poliziotto che ha maltrattato un bambino, denunciando simili comportamenti come prassi delle forze di sicurezza. Il Papa ne conferma la missione Per il futuro dello Ior PAGINA 7 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori: — Francis Assisi Chullikatt, Arcivescovo titolare di Ostra, Osservatore Permanente presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York e presso l’Organizzazione degli Stati Americani; — Jude Thaddaeus Ruwa’ichi, Arcivescovo di Mwanza (Tanzania), Amministratore Apostolico di Shinyanga, in visita «ad limina Apostolorum»; — Josaphat Louis Lebulu, Arcivescovo di Arusha (Tanzania), in visita «ad limina Apostolorum»; — Renatus Leonard Nkwande, Vescovo di Bunda (Tanzania), in visita «ad limina Apostolorum»; — Damian Denis Dallu, Vescovo di Geita (Tanzania), in visita «ad limina Apostolorum»; — Almachius Vincent Rweyongeza, Vescovo di Kayanga (Tanzania), in visita «ad limina Apostolorum»; — Michael George Mabuga Msonganzila, Vescovo di Musoma (Tanzania), in visita «ad limina Apostolorum»; — Severine Niwemugizi, Vescovo di Rulenge-Ngara (Tanzania), in visita «ad limina Apostolorum»; — Beatus Kinyaiya, Vescovo di Mbulu (Tanzania), in visita «ad limina Apostolorum»; — Isaac Amani Massawe, Vescovo di Moshi (Tanzania), in visita «ad limina Apostolorum»; — Rogath Fundimoya Kimaryo, Vescovo di Same (Tanzania), in visita «ad limina Apostolorum». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 Il presidente ad interim rinvia un viaggio in Lituania e convoca una riunione di emergenza Manifestazioni disperse a Caracas Tensione nell’est dell’Ucraina Non si fermano i disordini in Venezuela KIEV, 7. Il presidente ucraino ad interim, Olexander Turchinov, ha cancellato il suo viaggio in Lituania e convocato a Kiev una riunione di emergenza dei vertici della sicurezza in seguito all’escalation di proteste filo-russe a Donetsk, Lugansk e Kharkiv. In queste tre città dell’Ucraina orientale, manifestanti hanno occupato edifici pubblici e chiesto un referendum per diventare indipendenti. A Lugansk, i manifestanti hanno issato la bandiera russa all’esterno dell’edificio dei servizi di sicurezza e si sono impossessati delle armi custodite nell’armeria. Lo sostiene la polizia locale citata dalle agenzie. Negli scontri sono rimaste ferite otto persone: sette insorti e un poliziotto. Russia Unita perde a Novosibirsk MOSCA, 7. Il partito putiniano Russia Unita perde il sindaco di Novosibirsk, terza città russa con 1,5 milioni di abitanti e capoluogo del distretto federale siberiano: a vincere le elezioni è stato infatti il candidato comunista Anatoli Lokot, con il 43,75 per cento dei voti contro il 39,57 per cento di Vladimir Znatkov, candidato di Russia Unita. Lokot ha potuto contare sul sostegno del deputato d’opposizione Ilià Ponomariov, uno dei leader della protesta di piazza contro Putin, che ha ritirato la propria candidatura a favore dell’esponente comunista. Secondo i media locali, i filo-russi chiedono anche la liberazione di quindici loro compagni arrestati nei giorni scorsi in un’operazione di polizia. Anche a Donetsk gli insorti hanno occupato la sede dei servizi segreti ed eretto barricate con filo spinato e pneumatici, dopo che ieri circa duecento manifestanti si erano impossessati del palazzo della Regione chiedendo che venga indetto un referendum simile a quello della Crimea che ha portato la penisola all’annessione con la Russia. A Kharkiv, diverse decine di persone hanno fatto irruzione ieri nella sede del Governo regionale e hanno issato bandiere russe alle finestre, ma oggi sono state sgomberate, secondo quanto affermano fonti di Kiev. Ed è polemica sull’atteggiamento delle forze dell’ordine, che non avrebbero opposto resistenza e si sarebbero rifiutate di usare la forza abbandonando l’edificio dopo il blitz degli insorti. Una manifestazione a favore di Mosca si è svolta anche a Odessa, importante città portuale e russofona dell’Ucraina meridionale. «Putin e Ianukovich hanno ordinato e pagato l’ultima ondata di disordine separatista nell’est del Paese», ha detto ieri il ministro dell’Interno di Kiev, Arsen Avakov, che oggi è volato a Kharkiv. Dal canto suo, il primo vicepremier, Vitaly Yarema, è partito per Donetsk. E oggi il premier ucraino, Arseniy Yatsenyuk, ha accusato la Russia di far crescere la tensione e i disordini nell’est del Paese per “smembrare” l’Ucraina. «C’è un piano di destabilizzazione, un piano di forze straniere per valicare i confini e impadronirsi del territorio del Paese, ma noi non lo permetteremo», ha detto il premier durante una riunione di Governo. Affermazione dell’estrema destra Orbán vince le legislative in Ungheria BUDAPEST, 7. Netta vittoria elettorale in Ungheria per il premier, Viktor Orbán. A spoglio quasi ultimato, il partito di centro-destra Fidesz è dato al 46 per cento dei consensi, che — grazie alla nuova legge elettorale — permetterà al primo ministro di avere una maggioranza di due terzi nel Parlamento (133 o 134 deputati su un totale di 199). L’opposizione di sinistra, riunita nell’Alleanza democratica, ha invece ottenuto il 25 per cento dei voti, un risultato piuttosto modesto, mentre 1si afferma l’estrema destra xenofoba del partito Jobbik, con oltre il 20 per cento dei consensi. Incerta la situazione per il partito verde Politica diversa, che rischia di finire sotto il quorum e non essere rappresentato in Parlamento. L’affluenza alle urne, malgrado gli appelli rivolti, soprattutto dall’opposizione, è stata più bassa dell’ultima volta, assestandosi attorno al 62 per cento degli aventi diritto al voto. Orbán, ringraziando gli elettori per la vittoria di Fidesz, ha detto: «Le polemiche degli anni passati sono chiuse definitivamente. I cittadini hanno dato ragione e giustificazione al Fidesz, l’Ungheria è unita». Gordon Bajnai, a nome dell’opposizione (socialisti, centristi, liberali, democratici, e una parte dei verdi), ha espresso la sua delusione per il risultato. «L’Alleanza non ha saputo rispondere alle aspettative di quelli che volevano un cambiamento. Abbiamo fallito, ma dobbiamo continuare a lavorare per un Paese democratico, europeo e solidale». La giornata di ieri è stata segnata da caos e proteste, a causa della decisione dell’ufficio elettorale di prolungare, di un’ora, le operazioni di voto per via delle lunghe file presenti in alcuni seggi dopo le 19. A L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum lunedì-martedì 7-8 aprile 2014 POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt 00120 Città del Vaticano [email protected] http://www.osservatoreromano.va quell’ora, però, sono stati diffusi i dati dei primi exit poll con il paradosso che, da una parte, proseguivano le operazioni di voto, e, dall’altra, era cominciato lo spoglio delle schede. La circostanza ha provocato contestazioni e minacce di ricorsi da parte di alcuni partiti. Metà delle famiglie greche vive con meno di 800 euro al mese ATENE, 7. Nel 2012, circa la metà delle famiglie greche ha dovuto sopravvivere con meno di ottocento euro al mese. È quanto risulta dagli ultimi dati resi noti dall’ufficio delle Imposte, pubblicati oggi dal quotidiano ateniese «Kathimerini», in base ai quali 2.751.856 contribuenti — con coniugi e figli a carico — hanno dichiarato nel 2012 un reddito annuo inferiore ai 9.500 euro. Rispetto all’anno prima, le famiglie con un reddito annuo inferiore ai 9.000 euro sono aumentate di 207.743 unità. Queste cifre sono ora all’esame dell’apposita Commissione parlamentare, che dovrà decidere in merito alla distribuzione del pacchetto di aiuti sociali per 450 milioni di euro destinati dal Governo di Atene alle famiglie più colpite dalla crisi economica. Manifestanti filo-russi a Donetsk (Afp) Nel frattempo, Vitaly Churkin, il rappresentante permanente della Russia presso le Nazioni Unite, durante un’intervista con l’emittente russa Ntv, ha dichiarato che l’ingresso della Crimea nella Federazione russa è «un nuovo evento geopolitico riconosciuto, de jure o de facto, Germania meta di rifugiati BERLINO, 7. La Germania si conferma meta dei rifugiati, e il numero dei profughi nel 2013 rispetto all’anno precedente è salito di circa un quarto, a 32.533. Ne dà notizia «Der Spiegel» che cita dati della polizia federale. Sempre più migranti, scrive il settimanale, si affidano a bande di trafficanti senza scrupoli, rimanendone spesso vittime. La polizia tedesca ha infatti arrestato l’anno scorso 1.535 presunti trafficanti, vale a dire il settanta per cento in più rispetto all’anno precedente. La maggior parte dei profughi è arrivata dalla Siria (3.258), dalla Russia (3.453) e dall’Afghanistan (2.638). Nel 2013 le richieste d’asilo sono aumentate, rispetto al 2012, di circa il 70 per cento. Sulla questione dell’immigrazione ha posto di nuovo l’accento il commissario europeo per gli Affari interni, Cecilia Malström, che, attraverso un portavoce ha sottolineato come non si debba creare l’aspettativa che sia la Commissione Ue o l’Unione europea a «prendere la situazione in mano». Questo compito spetta agli Stati membri, «nel rispetto del principio delle competenze». Nello stesso tempo il portavoce ha sottolineato che la presenza di Frontex (l’agenzia che monitora le frontiere esterne dell’Unione europea) nel Mediterraneo si vada sempre più potenziando. TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO Carlo Di Cicco don Sergio Pellini S.D.B. vicedirettore Gaetano Vallini segretario di redazione Una donna siriana con i documenti per l’ingresso in Germania (LaPresse/Ap) Per presunti legami con narcotrafficanti messicani CITTÀ DEL MESSICO, 7. Jesús Reyna Garcia, numero due del Governo dello Stato di Michoacán, nel centro-ovest del Messico, è stato arrestato nella giornata di sabato, su ordine della Procura federale, a causa dei suoi presunti legami con i «cavalieri templari», come viene chiamata la banda di narcotrafficanti che negli ultimi mesi ha scatenato una massiccia ondata di violenze nella regione. Secondo quanto ha riferito la stampa messicana, l’inchiesta su Reyna Garcia è concentrata soprattutto sul periodo — da aprile a ottobre dell’anno scorso — in cui è direttore generale stato governatore ad interim di Michoacán, in sostituzione del titolare della carica, Fausto Vallejo Figueroa, impossibilitato a ricoprire il ruolo per motivi di salute. È durante questi mesi, riferisce l’agenzia Ansa, che è aumentata la violenza nello Stato di Michoacán, e sono nati i «gruppi di autodifesa», vale a dire milizie cittadine che hanno occupato una decina di comuni dello Stato, affrontando i narcotrafficanti. Da quando il presidente del Messico, Enrique Peña Nieto, ha inviato a Michoacán un rappresentante del Governo federale, Al- Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Piano per la sicurezza a Buenos Aires BUENOS AIRES, 7. Il governatore della provincia di Buenos Aires, Daniel Scioli, ha firmato nella giornata di sabato un piano i emergenza per combattere l’insicurezza nella regione. Il piano comprende un pacchetto di misure di emergenza anti-criminalità e prevede, per i prossimi dodici mesi, il dispiegamento di cinquemila agenti. Durante una conferenza stampa, Scioli ha annunciato lo sblocco di seicento milioni di pesos (oltre cinquantatré milioni di euro) per finanziare dotazioni speciali per le forze dell’ordine e la creazione di otto centri di reclusione. Nello stesso tempo il governatore ha promesso un disegno di legge per istituire dieci procure speciali per il narcotraffico e auspicato un dibattito sulle questioni legate alla delinquenza minorile. Il piano annunciato da Scioli — segnalano le agenzie di stampa internazionali — arriva dopo numerosi tentativi di linciaggio e giustizia sommaria da parte di cittadini comuni contro criminali, o presunti tali. Tentativi che hanno scosso l’opinione pubblica del Paese. Eletto il capo dello Stato della Costa Rica Arrestato il vicegovernatore del Michoacán direttore responsabile caporedattore nel campus dell’Università centrale (Ucv) e aggredito studenti che si stavano riunendo per una manifestazione di protesta. Cecilia Carlota Márquez, rettore dell’Ucv, ha chiesto al presidente Maduro di «tenere al guinzaglio» i gruppi irregolari, entrati in azione proprio mentre il capo dello Stato annunciava, in un discorso televisivo a reti unificate, la creazione di un organismo per la protezione dei diritti umani. «Il Governo sa chi sono gli autori dell’assalto perché sono stati denunciati, ma continuano ad agire nell’impunità» ha affermato il rettore dell’Ucv. Richieste d’asilo aumentate del settanta per cento in un anno GIOVANNI MARIA VIAN Piero Di Domenicantonio da un gran numero di Paesi». Il diplomatico, come riporta l’agenzia Agi, ha respinto l’idea di una nuova guerra fredda tra Mosca e l’O ccidente, pur ammettendo un certo raffreddamento nei rapporti, che — a suo dire — non è, comunque, destinato a durare a lungo. CARACAS, 7. Unità della polizia antisommossa venezuelana e della guardia nazionale bolivariana sono intervenute ieri nella zona di El Cafetal, a est della capitale Caracas, per disperdere nuove manifestazioni antigovernative. Secondo fonti dell’opposizione, vi sono stati due feriti e numerose persone sono state soccorse perché intossicate dai gas lacrimogeni. Citati dalle agenzie di stampa internazionali, gli abitanti della zona hanno riferito che all’alba di ieri numerosi reparti delle forze di sicurezza sono arrivati nella zona di El Cafetal per allontanare i manifestanti che avevano eretto barricate lungo alcune strade. L’opposizione al Governo del presidente Nicolás Maduro aveva convocato per ieri tre cortei con destinazione piazza Altamira, bastione della protesta antigovernativa. Resta dunque critica la situazione in Venezuela dove le tensioni tra Governo e opposizione non accennano a placarsi. Dall’inizio delle proteste, a febbraio, causate soprattutto dalla crisi economica che sta attraversando il Paese, sono morte almeno 39 persone. Nei giorni scorsi, a conferma dei perduranti disordini a Caracas, gruppi di uomini armati avevano fatto irruzione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va fredo Castillo, le forze di sicurezza hanno catturato quattro dei presunti boss dei «Cavalieri Templari», e arrestato due dirigenti dei «gruppi di autodifesa» nonché l’ex tesoriere dell’amministrazione locale, Humberto Suárez, accusato di malversazione di fondi pubblici. Intanto le autorità statunitensi hanno annunciato che sono stati scoperti in California, vicino a San Diego, due tunnel di collegamento fra gli Stati Uniti e il Messico destinati al traffico di droga e al passaggio di migranti. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 SAN JOSÉ, 7. Vittoria schiacciante per il centrista Luis Guillermo Solís, candidato del Partito di azione cittadina, nel secondo turno, ieri, delle elezioni presidenziali in Costa Rica. Solís si è infatti aggiudicato il 77,69 per cento dei voti. Il candidato del partito di centro-sinistra al Governo, Johnny Araya, si era ritirato dal ballottaggio dopo che i sondaggi avevano data per certa la sua sconfitta. Solís ha fatto così il pieno di preferenze, raccogliendo un numero record di voti (oltre un milione). Il ritiro di un candidato dal ballottaggio delle presidenziali non è contemplato dalla Costituzione e il secondo turno si è dovuto comunque tenere. Nonostante l’abbandono, Araya — del Partito di liberazione nazionale — ha ottenuto il 21 per cento dei consensi. Alta l’astensione alle urne, attorno al 43 per cento degli aventi diritto. Davanti ai suoi sostenitori, il presidente eletto ha chiesto il sostegno di tutti i partiti in Parlamento per attuare i necessari cambiamenti. La cerimonia di insediamento alla presidenza di Solís è stata programmata per il prossimo 8 maggio a San José. Concessionaria di pubblicità Il Sole 24 Ore S.p.A System Comunicazione Pubblicitaria Aziende promotrici della diffusione de «L’Osservatore Romano» Intesa San Paolo Alfonso Dell’Erario, direttore generale Romano Ruosi, vicedirettore generale Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 Società Cattolica di Assicurazione [email protected] Banca Carige Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 7-8 aprile 2014 pagina 3 Fermi i colloqui di pace Almeno venticinque morti ad Assuan Raggiunto un accordo tra il Governo e i ribelli Nulla di fatto al nuovo incontro tra israeliani e palestinesi Violenti scontri tra clan rivali nel sud dell’Egitto Riaprono in Libia due terminal petroliferi TEL AVIV, 7. Si è concluso con un nulla di fatto l’incontro di ieri tra negoziatori israeliani e palestinesi, con la mediazione dell’emissario statunitense per il Vicino Oriente, Martin Indyk. Lo stallo nei colloqui di pace promossi dall’amministrazione Obama, dunque, prosegue. Lo ha confermato anche il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, su twitter. In due messaggi il premier ha scritto: «Con mio dispiacere, prima di accettare di proseguire i negoziati, la leadership palestinese ha accelerato la richiesta unilaterale di accedere a 15 trattati internazionali». E poi: «Prima di accedere ad un quadro per proseguire i negoziati, Abu Mazen ha dichiarato di rifiutare di discutere sul riconoscimento di Israele come Stato nazionale del popolo ebraico». Il negoziato tra le due parti, faticosamente ripreso l’estate scorsa, è in stallo per il doppio scoglio del mancato rilascio del quarto e ultimo gruppo di detenuti da parte di Israele e per la successiva richiesta del presidente palestinese di adesione a 15 organizzazioni delle Nazioni Unite e ad altri organismi internazionali. Richiesta, peraltro, già depositata al Palazzo di Vetro dell’O nu. D ell’impasse nei colloqui di pace si parlerà mercoledì durante un vertice straordinario dei ministri degli Esteri della Lega araba. IL CAIRO, 7. È di almeno altri due morti il bilancio di nuovi scontri tra clan tribali scoppiati ad Assuan, nel sud dell’Egitto, dopo l’ondata di violenze che nei giorni scorsi ha provocato ventitré vittime, tra le quali una bambina e alcune donne. Lo ha riferito oggi il quotidiano «Al Ahram», precisando che nei nuovi incidenti si sono registrati anche sedici feriti. Gli scontri sono scoppiati mercoledì tra il clan arabo dei Bani Helal e gli appartenenti alla tribù nubiana di Daboudiya. All’origine della faida — ha precisato il giornale egiziano — le molestie subite da una ragazza e alcune scritte offensive apparse sul muro di una scuola. Non è chiaro però quale tra le due fazioni abbia la responsabilità di aver scatenato le violenze. I tentativi di mediazione sono finora tutti falliti, malgrado sabato il primo ministro ad interim, Ibrahim Mahlab, e il ministro dell’Interno, Mohamed Ibrahim, si siano recati ad Assuan per cercare di trovare una soluzione. Testimoni hanno riferito all’agenzia Ansa di una vera e propria battaglia con raffiche di mitragliatrice, case date alle fiamme e scene di efferata violenza. Inoltre — sempre secondo le stesse fonti — l’assenza di un adeguato dispiegamento di forze dell’ordine mentre esplodevano gli incidenti avrebbe notevolmente peggiorato la situazione. A causa della spirale di violenza che ha insanguinato una regione rurale molto povera del Paese sono stati interrotti i collegamenti ferroviari tra Il Cairo e Assuan e sono state chiuse scuole e università. TRIPOLI, 7. Il Governo libico ha confermato di aver raggiunto un accordo con i ribelli della Cirenaica per la riapertura dei due porti e terminal petroliferi di Zueitina e Hariga, bloccati dallo scorso luglio. Restano invece nelle mani dei ribelli Ras Lanuf e Es Sider (Sidra) per la cui riapertura i miliziani ritengono siano necessari altri colloqui. Secondo le autorità di Tripoli per la riattivazione di Ras Lanuf e Es Sider ci sarà infatti bisogno di La comunità internazionale loda il coraggio degli afghani recatisi alle urne per le presidenziali Ombre di brogli sul voto di Kabul Esplosione nella capitale del Bahrein MANAMA, 7. Un’esplosione è avvenuta a Manama, capitale del Bahrein, dove ieri si è tenuto il Gran premio di Formula 1. La polizia — che aveva rafforzato le misure di sicurezza — ha bloccato le strade intorno all’area in cui è avvenuta la deflagrazione, vicino a un edificio del Governo nel quartiere Adliya, e alcuni testimoni hanno detto di aver visto almeno un’auto in fiamme. Non sono state segnalate vittime. Nel Paese del Golfo persico la tensione tra sciiti e sunniti non si è mai assopita del tutto dal 2011, quando i primi — maggioranza nel Bahrein e che rivendicano una monarchia costituzionale — hanno cominciato a manifestare contro la dinastia sunnita degli Al Khalifa. La principale formazione dell’opposizione sciita, Al Wefaq, nel prendere le distanze dagli atti di violenza aveva invitato i suoi sostenitori a manifestare pacificamente durante l’evento sportivo. Ma un altro gruppo dell’opposizione, più radicale, aveva lanciato un appello con lo slogan «impediamo il Gran premio di Formula 1 macchiato di sangue». Un seggio di Kabul KABUL, 7. Sul voto per le presidenziali in Afghanistan grava l’ombra dei brogli. Mentre sembra sia stato allontanato lo spettro di massicce violenze minacciate, alla vigilia, dai talebani. Vi sono stati scontri fra i miliziani e gli agenti di polizia, e il bilancio è di 176 talebani uccisi: tra le vittime si contano poi dodici poliziotti e quattro civili. Insomma sono state scongiurate, almeno finora, le temute stragi che i miliziani avevano «promesso» con l’obiettivo di colpire quanti si sarebbero recati alle urne. Ma l’altro timore, ovvero quello di possibili brogli, pare sia fondato: sono state infatti presentate 1.300 denunce. Citato dal quotidiano «Khaama Press», il portavoce della commissione indipendente per i reclami elettorali (Iecc), Nader Mohseni, ha detto che la maggioranza delle denunce sono giunte via telefono e ha poi ricordato che è necessaria la presenza di prove video o fotografiche. Il tempo utile per presentare i ricorsi all’Iecc scade questa sera. I ricorsi riguardano il mancato Ban Ki-moon teme un genocidio nella Repubblica Centroafricana BANGUI, 7. Il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, prima di arrivare oggi in Rwanda per le commemorazioni delle vittime del genocidio di vent’anni fa, ha fatto tappa ieri a sorpresa nella capitale centroafricana Bangui, dove non ha nascosto i timori per il possibile ripetersi di un’analoga, spaventosa tragedia. «È responsabilità di tutti in quanto leader assicurarsi che non dovremo mai commemorare un tale anniversario nella Repubblica Centroafricana», ha detto Ban Ki- moon alle autorità di transizione di un Paese che da tempo ritiene sull’orlo del baratro, facendo riferimento appunto al Rwanda. «Non ripetete gli errori del passato, non dimenticate di imparare la lezione», ha detto ancora Ban Ki-moon alla presidente ad interim Catherine Samba-Panza e agli altri esponenti di Governo e Parlamento, chiedendo loro di compiere ogni sforzo per avviare un processo politico di riconciliazione e pace civile. Il Segretario generale dell’Onu, in particolare, ha puntato l’attenzione sul fatto che musulmani e cristiani sono esposti a pericoli mortali solo per l’appartenenza a una comunità o a un credo. C’è il rischio, ha detto, di un’altra «epurazione etnico-religiosa che, se si guardano i fatti di questi ultimi mesi, sembra già essere una dolorosa e insanguinata realtà». Analoghi timori ha espresso ieri il ministro della Difesa francese JeanYves Le Drian, responsabile dell’operazione militare Salgaris avviata lo scorso dicembre a Bangui. Le Drian ha ammesso di avere sottostimato la violenza dei miliziani della maggioranza cristiana, che hanno compiuto contro la minoranza musulmana gli stessi atroci crimini dei quali si erano rese responsabili le bande armate islamiche dall’inizio del 2013. accesso ai seggi, la mancanza di schede, l’esistenza di schede false. È stata anche denunciata l’indebita pressione esercitata dai leader politici locali sugli aventi diritto al voto. Zalmai Rassoul, uno degli otto candidati alla successione di Hamid Karzai, ha dichiarato che un presidente che fosse «frutto di manovre losche» non sarebbe accettato dagli Maratona elettorale al via in India NEW DELHI, 7. Si è aperta oggi in India la maratona elettorale (che si concluderà il 12 maggio) in occasione delle legislative. Si tratta di un appuntamento molto importante per la storia del Paese poiché dalle urne potrebbe uscire un responso che metta fine all’egemonia del Partito del congresso I, al potere negli ultimi dieci anni. Secondo gli ultimi sondaggi, infatti, potrebbero avere la meglio i nazionalitsti hindu del Bharatiya Janata Party (Bjp), che presentano come candidato a primo ministro Narendra Modi, attuale capo dello Stato del Gujarat. Sono più di ottocento milioni gli elettori (circa cento milioni voteranno per la prima volta) che da oggi si recano alle urne: sono attive oltre un milione e mezzo di macchine elettroniche nei più dei novecentomila seggi allestiti. È previsto che i risultati ufficiali saranno comunicati il 16 maggio. Il lungo percorso elettorale si articolerà in nove tappe: la prima si tiene in due Stati del nord-est, nell’Assam e nel Tripura. Come nelle precedenti elezioni il voto sarà elettronico, ma per la prima volta nelle legislative gli elettori avranno a disposizione un tasto per dichiarare il proprio astensionismo. afghani. Nello stesso tempo Rassoul, che in passato aveva ricoperto la carica di ministro degli Esteri, ha tenuto a sottolineare che il voto è stato un «successo» considerando che sono stati tanti gli afghani che si sono recati alle urne a dispetto delle pesanti intimidazioni da parte dei talebani. Che l’atteso appuntamento elettorale sia stato un successo è stato evidenziato anche dalla comunità internazionale. Gli Stati Uniti — attraverso il presidente Barack Obama e il segretario di Stato, John Kerry — hanno elogiato il «coraggio» del popolo afghano, dimostrato in un’occasione molto importante per la storia democratica del Paese. Dal canto suo la Cina ha invitato i diversi protagonisti della scena politica afghana a favorire un dialogo che permetta di raggiungere un’intesa «ampia e inclusiva». Mentre l’India ha sottolineato che con il voto gli afghani hanno sconfitto «le intimidazioni dei terroristi». I risultati del voto dovrebbero essere comunicati fra tre settimane. Se nessun candidato otterrà il cinquanta per cento dei voti al primo turno, si svolgerà, a data da destinarsi, un ballottaggio tra i due meglio piazzati. Sempre sabato si è votato per il rinnovo di 34 consigli provinciali: tra i 2.713 candidati figurano 308 donne. ulteriori negoziati, che potrebbero protrarsi anche per un mese. I ribelli continuano a chiedere una più ampia autonomia dal Governo centrale (sul modello di quella esistente dall’indipendenza del 1961 fino alla conquista del potere da parte di Muammar Gheddafi) e una maggiore quota del ricavato della vendita di petrolio. I negoziati erano iniziati mercoledì a Brega tra i ribelli e rappresentanti del Governo di Tripoli, anche se quest’ultimo aveva specificato di essersi affidato alla mediazione di alcuni capi tribù locali. A rimuovere lo stallo registrato nelle settimane scorse ha contribuito l’assalto, due settimane fa nel Mar Mediterraneo, dei Navy Seals americani a una petroliera, la Morning Glory che aveva caricato greggio da Es Sider. Petroliera consegnata alla fine dai soldati statunitensi a Tripoli ponendo fine a ogni velleità degli indipendentisti di poter vendere liberamente il greggio della Cirenaica e così riuscire a staccarsi di fatto da Tripoli. Lunedì il Governo aveva liberato tre ribelli arrestati sulla nave dagli americani proprio come gesto di buona volontà. Dal canto loro, i ribelli hanno annunciato che i due terminal di Zueitina e Hariga sono stati già riaperti ieri sera. In base all’accordo il Governo pagherà alle milizie guidate da Ibrahim Jathran, formalmente il comandante della polizia che avrebbe dovuto proteggere gli stessi porti che dallo scorso luglio controllano, gli stipendi arretrati e soprattutto farà cadere tutte le accuse contro di loro. È quanto si legge nell’accordo firmato dal ministero della Giustizia libico e dal capo delle milizie. I due terminal di Zueitina e Hariga possono arrivare a una capacità di carico e quindi di esportazione di duecentomila barili al giorno, raddoppiando quasi la quota giornaliera che Tripoli riesce attualmente a piazzare sul mercato. Prima della crisi i barili immessi sul mercato erano oltre un milione e mezzo. Nei nove mesi di blocco le casse di Tripoli hanno perso oltre 14 miliardi di dollari, secondo una stima del presidente del Congresso generale nazionale (Parlamento), Nuri Abu Sahmein. Nel frattempo, un’azione di disobbedienza civile che ha paralizzato la città di Bengasi è iniziata ieri per protestare contro i ripetuti episodi di violenza che si verificano quotidianamente nella seconda città libica e per chiedere le dimissioni del Congresso generale nazionale che ha sede a Tripoli. L’azione è stata indetta da alcune organizzazioni della società civile secondo cui lo sciopero potrebbe durare alcuni giorni. Molti negozi hanno chiuso i battenti mentre l’aeroporto di Bengasi è stato bloccato. Il segretario alla Difesa statunitense ribadisce l’impegno per la sicurezza del Giappone Chuck Hagel in Estremo Oriente TOKYO, 7. Chuck Hagel, il capo del Pentagono, rassicura Tokyo: gli Stati Uniti sono impegnati a proteggere il Giappone. Un impegno alla sicurezza che Hagel conferma rafforzando il dispiegamento navale americano in Giappone con l’invio di altre due navi anti-missili entro il 2017. Una decisione — quella annunciata a Tokyo dal segretario alle Difesa statunitense — in risposta alle azioni «provocatorie e destabilizzanti di Pyongyang» ma che guarda anche alla Cina, esortata a rispettare i Paesi vicini. «Non si può andare in giro per il mondo e ridefinire i confini, violare l’integrità territoriale e la sovranità dei Paesi con la forza e l’intimidazione, sia che questo accada in piccole isole del Pacifico sia in grandi Paesi europei. Chi ha grande potere ha grandi responsabilità. E la Cina ha un grande potere» ha affermato Hagel, che dopo Tokyo è giunto a Pechino nella sua prima visita ufficiale in Cina da quando è segretario alla Difesa. Gli Stati Uniti hanno un «impegno completo e assoluto per la sicurezza del Giappone» ha aggiunto Hagel. La decisione di rafforzare la presenza navale americana in Giappone, portando complessivamente a sette le navi anti-missili, è legata anche al Il capo del Pentagono accolto a Tokyo (Reuters) lancio effettuato due settimane fa dalla Corea del Nord di due missili in grado di raggiungere il Giappone. Il test, il primo negli ultimi quattro anni di missili a medio raggio, è stato eseguito nel corso di alcune esercitazioni militari da parte del regime di Pyongyang. E proprio la Corea del Nord sarà con ogni probabilità al centro dei colloqui di Hagel con i dirigenti di Pechino. La Cina è infatti tradizionale alleata di Pyongyang, anche se recentemente si è mostrata apertamente critica nei confronti delle iniziative militari intraprese dal regine nordocoreano. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 lunedì-martedì 7-8 aprile 2014 «La città di Nazaret» (Istanbul, chiesa di Kahrié Djami, mosaico, XIV secolo, particolare) La ricerca di Ratzinger I Vangeli: storia e cristologia. La ricerca di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI. È il titolo dei due volumi editi dalla Libreria editrice vaticana (da noi anticipati nelle edizioni del 24, 25 e 30 ottobre 2013) e presentati l’8 aprile presso il Pontificio Istituto Biblico. Anticipiamo stralci di un intervento. Alla presentazione prenderà parte anche il cardinale Camillo Ruini che nella sua relazione si concentra su due contributi, quello di John Meier sulla figura di Gesù e sulla valutazione storica delle parabole, e quello di Tobias Nicklas sulla storia di Gesù nel vangelo di Marco. di ROMANO PENNA gni illuminista dovrebbe convenire sull’ovvia constatazione che, se non l’oggetto della fede cristiana, certamente il dato stesso della fede in Gesù, dichiarata dalle prime comunità post-pasquali, è altrettanto storica quanto lo fu la vita di lui. Questa fede potrà anche essere giudicata indebita e sproporzionata, magari una sovrastruttura, ma non solo essa appartiene comunque allo zoccolo duro della storia, bensì soprattutto essa va spiegata, tanto più perché segue appena a mezza ruota, e non di più, alla fine tragica di quel Nazareno. La spiegazione della fede pasquale non consiste solo negli incontri con il Risorto/Risuscitato, che in realtà risultano essere stati solo la scintilla che fece scoppiare l’incendio. Quella scintilla semplicemente si innestò sulla conoscenza del Gesù terreno, su ciò che egli aveva rappresentato di nuovo e di grande agli occhi dei alla storia, dato che nessuno che non suoi discepoli. Con quella concreta fosse stato suo discepolo si interessò conoscenza la nuova fede si coniugò minimamente a lui e tantomeno a inscindibilmente, anzi essa rimanda tramandarne la memoria. Questo inequivocabilmente alla dimensione fatto, a volte etichettato come “non storica di lui, per non dire che fu la neutrale” o “di parte”, costituisce in stessa fede in lui a permettere il suo realtà il dato più sorprendente e recupero storico quasi fosse necessa- quanto mai sintomatico. Infatti, non Erode, non Caifa, non Pilato, e pure rio «credere per vedere». La risalita dalla fede pasquale al nessuno dei farisei o degli scribi che Gesù terreno, pur tacendo sull’ormai abusato discorso circa i criteri di storicità, deve tenere conto di fattori diversi. Il primo consiste semplicemente nel constatare che a interessarsi di Gesù, della sua vicenda e della sua persona storica, sono stati soltanto i suoi discepoli, cioè dei credenti in lui. In effetti, il dato sempre sorprendente per una mentalità cosiddetta “laica”, è che la coltivazione e la trasmissione della memoria del Gesù storico non avvenne al di fuori di una genuina, sia pure variegata fede nella sua identità di uomo fuori del comune. E questa constatazione non è riducibile a un semplice «truismo», come qualcuno vorrebbe, o, se lo è in quanto dato indiscutibile, bisogna almeno chiedersi perché i primi documenti su Gesù siano prodotti di fede e in più quale sia il senso di questo fatto. È secondario constatare che questa fede ebbe formulazioni diverse. Ma avrà pure un suo significato il fatto che è stata appunto «Il Salvatore» (Monte Sinai, monastero di Santa Caterina, la fede ad assicurare Gesù O Ritrovamento di Gesù nelle fonti Una storia che conta ebbero spesso a che fare e discutere con lui lo ritennero degno di attenzione né narrativa né teoretica. Se poi si riuscisse a dimostrare che la motivazione di questa congiura del silenzio fosse materiata di motivi polemici, il dato sarebbe ancora più interessante. Comunque, l’interrogativo inevitabile che ci si deve porre è questo: come mai un ebreo davvero “marginale” nel mondo mediterraneo del tempo, cioè del tutto ignorato fuori di Israele, proveniente da un villaggio come Nazaret, da cui a quanto pare non veniva niente di buono (cfr. Giovanni, 1, 46), è passato poi al centro dell’attenzione? Certo questo interesse fu esclusivo di quelli del suo gruppo, i quali, nonostante la ignominiosa fuga del primo momento, giunsero inopinatamente a proclamarlo persino Kyrios. Evidentemente essi avevano conservato di lui una memoria viva, che fu poi attivata e stratificata in varie tradizioni orali prima di sedimentarsi nei diversi scritti (canonici e apocrifi). Proprio il motivo della memoria dei discepoli, fondato sulla teoria della “memoria collettiva” o social memory theory, è stato particolarmente sottolineato da vari studi. Un secondo punto di forza consiste nel prendere atto che nessun personaggio israelitico del I secolo godette di una documentazione tanto precoce VI secolo) e tanto copiosa come quella che riguarda Gesù di Nazaret. I nomi da paragonare, a parte alcuni omonimi come Yehoshua ben Hananyah, sono essenzialmente quelli di vari Maestri, e cioè il qumraniano ma anonimo Maestro di Giustizia, r.Hillel (con il suo discordante r.Shammai), r.Hanina ben Dosa, r.Gamaliele il Vecchio, e r.Yochanan ben Zakkai, per non dire poi del pur celebre r.Aqibà. Anzitutto va considerato il fatto in sé, poiché se volessimo confrontare tutti questi personaggi con Gesù di Nazaret (propriamente Yehoshua ben Yosef, «Gesù figlio di Giuseppe», come del resto egli è chiamato nel Quarto vangelo: cfr. Giovanni, 1, 45; 6, 48), dovremmo notare alcune differenze quanto mai eloquenti. La prima è che l’antichità e l’abbondanza della documentazione sul Nazareno, non hanno confronti con quella molto più scarsa sui vari Maestri appena elencati sopra, la cui menzione peraltro si trova solo nella tardiva letteratura rabbinica non anteriore all’anno 200. La seconda differenza riguarda la forma dell’interesse per le varie figure menzionate: mentre a Gesù di Nazaret è riservato un interesse narrativo che concerne la sua vicenda storico-terrena in quanto tale, i Maestri ebrei vengono menzionati nella Mishnà e nel Talmud solo nell’ambito dell’interpretazione di un passo della Torà, alla cui preminenza perciò sono letteralmente piegati. In terzo luogo il Nazareno, benché nei Vangeli venga spesso chiamato Rabbi e benché goda di una documentazione senza pari, non è stato computato dal rabbinismo nella serie dei Maestri, cioè dei grandi dottori di Israele, e le due (forse tre) menzioni che abbiamo di lui nel Talmûd non lo riguardano come Maestro (forse con l’eccezione di una). È come se ci fosse stata una specie di damnatio memoriae, a prescindere semmai dalle tardive e denigranti Toledôt Yeshu. Solo a partire dagli anni Venti del XX secolo da parte ebraica (prima della cosiddetta “terza ricerca” sul Gesù storico) si è iniziato a recuperare l’identità giudaica di Gesù. Comunque, di nessun altro in Israele, come per Gesù di Nazaret, si è mai cercato di narrare così ampiamente la vita (almeno quella pubblica) e ancor meno la morte, tanto più che questa era stata obbrobriosa. cioè essa stessa ineguagliabile. È solo la persona del Gesù storico che ha suscitato quella sorta di interesse, e ciò è segno evidente della sua personale straordinarietà. Sicché è giusto dire che «la percezione che Gesù suscitò di sé è parte di colui che Gesù era». Probabilmente aveva ragione l’antico apocrifo Vangelo di Filippo (databile al secolo III): «Yeshua non si è rivelato così come era in realtà, ma si è rivelato a seconda della capacità di coloro che vogliono vederLo. Egli è lo Stesso per tutti, ma appare grande ai grandi, piccolo ai piccoli, agli angeli appare come un angelo, agli uomini come Nessun personaggio israelitico un uomo (…) Ha quindi reso i suoi del I secolo ha goduto discepoli grandi afdi una documentazione tanto precoce finché fossero capaci di vederlo nella e tanto ampia come quella Sua grandezza». che riguarda il Nazareno Resta la necessità affascinante dell’impresa di una ricerca, Queste considerazioni costituisco- che non ha paragoni per altri persono inevitabilmente un argomento naggi dell’antichità, e che può comolto forte per rendersi conto della munque approdare a ritrovare almestraordinarietà di quel Gesù, che no- no i tratti essenziali, sia pur comnostante sia stato così defilato dai plessi, di quella figura. In ogni caso grandi d’Israele suscitò, già nel seco- resta vero che quel Gesù, tutt’altro lo I (per non parlare della successiva che chiuso nel suo passato, come Wirkungsgeschichte), un interesse non non succede per nessun altro, resta verificabile per nessun altro suo con- vivo nelle comunità di coloro che a nazionale. Perciò, come si dice in sa- tutt’oggi si professano suoi discepoli na filosofia, se ogni effetto deve ave- e in lui riconoscono nientemeno che re una causa proporzionata, l’effetto la ragione della propria vita. Ciò che conta dunque non è una avuto da Gesù, anche solo giudicato sul piano oggettivo della documen- sua evaporazione nel mito, ma conta tazione che è letteralmente incompa- la storia che egli porta con sé: non rabile (pur senza tirare in causa la la storia come dimensione comune a successiva forte fede cristologica), tutti gli uomini, ma semplicemente e deve avere una causa omogenea e precisamente la personale storia sua. Un convegno sulla diplomazia pontificia Si svolge il 7 e l’8 aprile all’École française de Rome il convegno «Projet Dictionnaire et Histoire de la Diplomatie du Saint-Siege». di PHILIPPE LEVILLAIN «La diplomazia senza le armi è la musica senza gli strumenti». Lo ha detto Bismarck, che utilizzò fragorosamente le sue armi per far udire la musica unitaria del Secondo Reich. Ma lo stesso Bismarck scrisse nelle sue Memorie che a un certo punto pensò di fare appello a Pio IX per negoziare con la Francia una pace solida all’indomani della caduta del Secondo Impero e della proclamazione di una Repubblica ribelle a una sconfitta umiliante. Eppure il papato, in sonno militare dopo la celebre battaglia di Lepanto, dove le galee pontificie avevano imposto “la vittoria di Cristo”, aveva appena perso la capitale della cristianità e il Papa si era appena dichiarato prigioniero nei palazzi apostolici del Vaticano. Il cancelliere tedesco riconosceva alla Santa Sede il potere di eseguire una musica di mediazione dove Leone XIII sarebbe stato un punto di riferimento e lo strumento di un prestigio di autorità morale nel concerto europeo. Come prova il ruolo da lui svolto nel 1885 per sanare il conflitto tra la Germania e la Spagna a proposito delle Isole Caroline. Il paradosso volle che la Santa Se- La difficile arte dell’equilibrio de svolse il ruolo di arbitro sulla scena internazionale e intervenne in politica estera mentre il suo magistero riguardava, dopo Lepanto, e come era giusto che fosse, l’esercizio della diplomazia — abilità di creare un equilibrio tra parti rivali — nell’ambito ecclesiastico. La Storia insegna ancora che, con un po’ di diplomazia, Leone X avrebbe evitato lo scisma luterano (1517). Ma quella del tempo presente prova anche che la diplomazia di Benedetto XVI non è riuscita a mettere fine allo scisma lefebvriano. Nello stesso ordine di idee, Benedetto XV non riuscì a fermare la prima guerra mondiale con la sua nota del 1° agosto 1917, come accadde con Pio XII con i suoi interventi nel 1939. Ma nel 1962 Giovanni XXIII fu chiamato in aiuto nell’affare dei missili di Cuba dall’Unione sovietica, che non voleva perdere la faccia di fronte alla fermezza degli Stati Uniti. La diplomazia della Santa Sede passa per essere la migliore del mondo, per la trama delle sue reti, il rispetto del segreto e la qualità delle sue informazioni. Dispone di agenti propri (nunzi, delegati apostolici e incaricati di affari ufficiali) e di intermediari uffi- ciosi (congregazioni religiose e laici). La politica estera che è tenuta a seguire è un affare di Chiesa e non di territori. Essa difende i suoi “connazionali” (i suoi fedeli) in tutte le culture. Ma afferma anche le sue posizioni sui diritti delle persone al di là dei diritti dell’uomo. È moderna perché è costruttiva ed equa, pur avendo delle preferenze. È dinamica. Questo quadro, quasi idilliaco, è una composizione di storia della sua missione evangelica. La composizione di questo «terzo grande» (Émile Poulat) è stata lenta e travagliata, da Gregorio Magno a Benedetto XVI. Sottoposta ai raggi X, la diplomazia della Santa Sede, dall’inizio del XVI secolo, è al centro della grande impresa condotta dal giovane storico Olivier Sibre, e intitolata Dictionnaire et Histoire de la Diplomatie du Saint-Siège, ospite dell’École française de Rome il 7 e l’8 aprile. Essendo ogni dizionario per sua natura alfabetico, il lavoro — che queste due giornate contribuiranno a impostare tra partner scientifici — implica la combinazione e l’intreccio della prosopografia con le istituzioni, gli strumenti d’influenza, l’identificazione delle intenzioni, dei successi e dei falli- menti, su uno sfondo politico e religioso che mostra la complessità di una missione di pace e d’irradiamento attraverso il suo stesso esempio. Due termini governano l’esito del progetto: confronto e dialogo. Entrambi definiscono cesure, o meglio divari, che dipendono da un modo di narrare illuminato dalle mentalità degli esecutori, dei negoziatori e dei grandi principi di una teologia dell’ordine nella pace. Una simile “enciclopedia” era sorta negli anni Cinquanta del secolo scorso, in piena guerra fredda, era stata progettata da monsignor Paolo Savino, presidente della Pontificia Accademia ecclesiastica, sostenuto da monsignor Paolo Antonio Berloco, segretario della nunziatura apostolica a Madrid. Aveva ottenuto il sostegno di monsignor Montini, allora pro-segretario di Stato. Ma la “carriera” di quest’ultimo la lasciò allo stato di progetto. È auspicabile che, ripresa su più vasta scala e alla luce dei fondi di archivi vaticani o istituzionali, l’impresa proposta da Olivier Sibre, attraverso l’esame di questa mitica diplomazia pontificia, trovi il successo che merita. Francesco Guardi, «Pio VI in visita a Venezia», (particolare, 1782 circa) L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 7-8 aprile 2014 All’Urbaniana un convegno su Giovanni XXIII e Giovanni Paolo pagina 5 II Due Papi per l’Africa Tracciare un profilo dell’attuale situazione culturale e della realizzazione del concilio Vaticano II nel continente africano. È l’obiettivo del convegno «La Chiesa in Africa dal concilio Vaticano II al terzo millennio. Omaggio dell’Africa ai Papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II», che si svolgerà nei giorni 24 e 25 aprile alla Pontificia Università Urbaniana. Ne hanno parlato durante la conferenza stampa, svoltasi questa mattina, lunedì 7 aprile, nella Sala stampa della Santa Sede, l’arcivescovo Barthélemy Adoukonou e monsignor Melchor José Sánchez de Toca y Alameda, rispettivamente segretario e sotto-segretario del Pontificio Consiglio della Cultura, Giovanni Paolo l’arcivescovo Emery Kabongo Kanundowi, arcivescovo-vescovo emerito di Luebo, e Martin Nkafu, docente presso la Pontificia Università Lateranense. Il convegno, ha detto monsignor Adoukonou, è un’occasione per riflettere sul periodo storico nel quale i vari Paesi africani hanno raggiunto l’indipendenza. Si parlerà, quindi, del panafricanismo e della négritude, così come dei valori che hanno ispirato questi movimenti. L’incontro — promosso dal Simposio delle Conferenze episcopali d’Africa e del Madagascar (Sceam) in collaborazione col dicastero della cultura — vedrà la partecipazione di vescovi, sacerdoti, teologi, studiosi e personalità II a Gorée nel 1992 dell’Africa. Verranno riproposti gli insegnamenti di Papa Roncalli e di Papa Wojtyła sull’Africa. Così sarà ricordato quanto Giovanni XXIII ha fatto per il continente, in particolare l’accoglienza riservata, durante le prime fasi del concilio Vaticano II, a esponenti del mondo della cultura e intellettuali africani riuniti, e la creazione, nel marzo 1960, del primo cardinale dell’Africa, il tanzaniano Laurean Rugambwa. Quanto al magistero di Giovanni Paolo II, l’arcivescovo Adoukonou ha sottolineato come il Pontefice polacco abbia invitato più volte a riflettere sulla storia e sul rapporto tra Africa ed Europa. Da ricordare, tra l’altro, la sua richiesta di perdono nel 1985 in Camerun e a Gorée in Senegal, da dove partivano le navi cariche di schiavi africani. Un ricordo personale della visita di Papa Wojtyła nell’isola di Gorée è venuto dall’arcivescovo Kabongo Kanundowi, all’epoca nella segreteria particolare di Giovanni Paolo II. Monsignor Sánchez de Toca y Alameda ha poi spiegato il ruolo del Pontificio Consiglio nella promozione del convegno, sottolineando come il Vaticano II abbia compiuto una svolta radicale in un duplice senso: l’apertura vera e tangibile all’universalità della Chiesa e l’apertura al mondo della cultura, vista non più come minaccia o pericolo, ma come risorsa. A questo proposito, il sotto-segretario ha detto che il Vangelo arricchisce ed eleva le culture, e ha ricordato la fondazione del Pontificio Consiglio da parte di Giovanni Paolo II, il 20 maggio 1982. Il testo ispiratore del dicastero è stato proprio la costituzione conciliare Gaudium et spes, alla cui stesura partecipò Karol Wojtyła, a quell’epoca pastore a Cracovia. Due gli obiettivi che egli individuò per il nuovo organismo: l’evangelizzazione della cultura e la promozione culturale. Simposio a Betlemme sui viaggi di Paolo VI e Francesco in Terra Santa Artefici di riconciliazione BETLEMME, 7. «Papa Paolo VI ci ha fatto vivere grandi segni dei tempi. Il primo di questi segni fu l’appello alla misericordia e al perdono. La nostra epoca ha bisogno di persone feconde come lo fu Paolo VI, capaci di agire quotidianamente per la riconciliazione». Lo ha detto il patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, intervenuto nei giorni scorsi al simposio organizzato a Betlemme da Al-Liqa, centro di studi religiosi e del patrimonio in Terra Santa e intitolato «Cinquant’anni dopo la visita di Paolo VI: la visita di Papa Francesco in Terra Santa». Twal ha ricordato che lo scopo principale di questo viaggio apostolico (in programma dal 24 al 26 maggio) sarà la commemorazione dello storico incontro fra Papa Montini e il patriarca di Costantinopoli, Atenagora: «Francesco e Bartolomeo rinnoveranno quell’abbraccio fraterno». La Terra Santa — ha aggiunto il patriarca di Gerusalemme dei Latini — «è sempre desiderosa di quel che Paolo VI esclamò nel suo intervento alle Nazioni Unite il 4 ottobre 1965: “Mai più la guerra”. Perché con la guerra nessuno guadagna e tutti perdono». Questo «è lo stesso appello che Papa Francesco ha lanciato per impedire la guerra in Siria. Egli ha ripreso le medesime parole di Paolo VI. Sì, il nostro mondo e la nostra regione hanno ancora bisogno quotidiano di amore, giustizia e riconciliazione fra i popoli e soprattutto nei cuori». Al simposio — si legge in una sintesi diffusa sul sito in rete del patriarcato di Gerusalemme dei Latini — è intervenuto anche il mufti di Betlemme, Abd Al-Majeed Ata, che ha reso testimonianza della gioia con la quale il Governo e il popolo palestinesi attendono la visita di Papa Francesco e ha ricordato i viaggi di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, sottolineando le relazioni frater- ne e i sentimenti di unità condivisi da musulmani e cristiani in Palestina. Dal canto suo il delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina, arcivescovo Giuseppe Lazzarotto, ha posto l’accento sull’aspetto ecumenico del pellegrinaggio in Terra Santa, mettendo in evidenza che il Pontefice si recherà a Betlemme e a Gerusalemme per pregare per la pace nel mondo intero. Padre Rafiq Khoury, sacerdote del patriarcato, ha parlato invece delle circostanze storiche che caratterizzarono la visita di Paolo VI, nel 1964, «periodo politicamente assai delicato, soprattutto a livello mondiale con gli inizi della “guerra fredda”». Inoltre, ha spiegato, in quell’epoca i media erano meno presenti rispetto a oggi e si limitavano a una semplice trasmissione dei fatti. Al seminario di Betlemme hanno inoltre partecipato padre Rifaat Bader, direttore del centro cattolico di studi e formazione per i media in Giordania (che pubblicherà un libro sul viaggio di Francesco con contributi del re giordano Abdallah II e del presidente palestinese Mahmoud Abbas), e padre Jamal Kader, rettore del seminario di Beit Jala, il quale ha sottolineato l’importanza della visita da un punto di vista ecclesiale, ecumenico e religioso. Al-Liqa è un centro di studi e ricerche religiosi e culturali sul patrimonio del popolo palestinese, cristiano e musulmano in Terra Santa. L’istituto lavora per il dialogo tra le fedi. I differenti programmi che propone hanno come obiettivi di favorire gli incontri tra membri di religioni diverse, promuovere la carità tra i figli dello stesso popolo, operare per la comprensione tra musulmani e cristiani in Terra Santa e far sì che le due comunità convivano fraternamente nonostante le diversità culturali e religiose. Messa a Santa Marta Il perdono in una carezza «Dio perdona non con un decreto ma con una carezza». E con la misericordia «Gesù va anche oltre la legge e perdona accarezzando le ferite dei nostri peccati». A questa grande tenerezza divina Papa Francesco ha dedicato l’omelia della messa celebrata lunedì 7 aprile nella cappella della Casa Santa Marta. «Le letture di oggi — ha spiegato il Pontefice — ci parlano dell’adulterio», che insieme alla bestemmia e all’idolatria era considerato «un peccato gravissimo nella legge di Mosè», punito «con la pena di morte» per lapidazione. L’adulterio, infatti, «va contro l’immagine di Dio, la fedeltà di Dio», perché «il matrimonio è il simbolo, e anche una realtà umana, del rapporto fedele di Dio col suo popolo». Così «quando si rovina il matrimonio con un adulterio, si sporca questo rapporto tra Dio e il popolo». All’epoca era considerato «un peccato grave» perché «si sporcava proprio il simbolo della relazione tra Dio e il popolo, della fedeltà di D io». Nel passo evangelico proposto nella liturgia (Giovanni, 8, 1-11), che racconta la storia della donna adultera, «incontriamo Gesù, era seduto lì, tra tanta gente, e faceva il catechista, insegnava». Poi «si avvicinarono gli scribi e i farisei con una donna che portavano avanti, forse con le mani legate, possiamo imma- ginare». E così «la posero in mezzo e l’accusarono: ecco un’adultera!». La loro è una «accusa pubblica». E, racconta il Vangelo, fecero a Gesù la domanda: «Cosa dobbiamo fare con questa donna? Tu ci parli di bontà ma Mosè ci ha detto che dobbiamo ucciderla!». Essi «dicevano questo — ha notato il Pontefice — per metterlo alla prova, per avere il motivo di accusarlo». Infatti «se Gesù diceva: sì, avanti alla lapidazione», avevano l’opportunità di dire alla gente: «Ma questo è il vostro maestro tanto buono, guarda cosa ha fatto a questa povera donna!». Se invece «Gesù diceva: no, poveretta, perdonarla!», ecco che potevano accusarlo «di non compiere la legge». Il loro unico obiettivo era «mettere proprio alla prova e tendere una trappola» a Gesù. «A loro non importava la donna; non importavano gli adulteri». Anzi, «forse alcuni di loro erano adulteri». Da parte sua, nonostante ci fosse tanta gente intorno, «Gesù voleva rimanere solo con la donna, voleva parlare al cuore della donna: è la cosa più importante per Gesù». E «il popolo se n’era andato lentamente» dopo aver sentito le sue parole: «Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei». «Il Vangelo con una certa ironia — ha commentato il vescovo di Roma — dice che tutti se ne andarono, uno per uno, cominciando dai più anziani: si vede che nella banca del cielo avevano un bel conto corrente contro di loro!». Ecco allora «il momento di Gesù confessore». Resta «solo con la donna», che rimane «là in mezzo». Intanto «Gesù era chinato e scriveva col dito sulla polvere della terra. Alcuni esegeti dicono che Gesù scriveva i peccati di questi scribi e farisei. Forse è una immaginazione». Poi «si alzò e guardò» la donna, che era «piena di vergogna, e le disse: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? Siamo soli, tu e io. Tu davanti a Dio. Senza accuse, senza chiacchiere: tu e Dio». La donna non si proclama vittima di «una falsa accusa», non si difende affermando: «Io non ho commesso adulterio». No, «lei riconosce il suo peccato» e a Gesù risponde: «Nessuno, Signore, mi ha condannata». A sua volta Gesù le dice: «Neanche io ti condanno, va e d’ora in poi non peccare più, per non passare un brutto momento, per non passare tanta vergogna, per non offendere Dio, per non sporcare il bel rapporto tra Dio e il suo popolo». Dunque «Gesù perdona. Ma qui c’è qualcosa di più del perdono. Perché come confessore Gesù va oltre la legge». Infatti «la legge diceva che lei doveva essere punita». Oltretutto Gesù «era puro e poteva gettare per primo la pietra». Ma egli «va oltre. Non le dice: non è peccato l’adulterio. Ma non la condanna con la legge». Proprio «questo è il mistero della misericordia di Gesù». Così «Gesù per fare misericordia» va oltre «la legge che comandava la lapidazione». Tanto che dice alla donna di andare in pace. «La misericordia — ha spiegato il Papa — è qualcosa di difficile da capire: non cancella i peccati», perché a cancellare i peccati «è il perdono di Dio». Ma «la misericordia è il modo come perdona Dio». Perché «Gesù poteva dire: ma io ti perdono, vai! Come ha detto a quel paralitico: i tuoi peccati sono perdonati!». In questa situazione «Gesù va oltre» e consiglia alla donna «di non peccare più». E «qui si vede l’atteggiamento misericordioso di Gesù: difende il peccatore dai nemici, difende il peccatore da una condanna giusta». Questo, ha aggiunto il Pontefice, «vale anche per noi». E ha affermato: «Quanti di noi forse meriterebbero una condanna! E sarebbe anche giusta. Ma lui perdona!». Come? «Con questa misericordia» che «non cancella il peccato: è il perdono di Dio che lo cancella», mentre «la misericordia va oltre». È «come il cielo: noi guardiamo il cielo, tante stelle, ma quando viene il sole al mattino, con tanta luce, le stelle non si vedono». E «così è la misericordia di Dio: una grande luce di amore, di tenerezza». Perché «Dio perdona non con un decreto, ma con una carezza». Lo fa «carezzando le nostre ferite di peccato perché lui è coinvolto nel perdono, è coinvolto nella nostra salvezza». Con questo stile, ha concluso Papa Francesco, «Gesù fa il confessore». Non umilia la donna adultera, «non le dice: cosa hai fatto, quando l’hai fatto, come l’hai fatto e con chi l’hai fatto!». Le dice invece «di andare e di non peccare più: è grande la misericordia di Dio, è grande la misericordia di Gesù: perdonarci accarezzandoci». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 lunedì-martedì 7-8 aprile 2014 Messa celebrata da Papa Francesco nella parrocchia romana di San Gregorio Magno L’odore dell’anima Un invito a togliere dal cuore «la pietra» del peccato per aprirsi al perdono di Dio è stato rivolto da Papa Francesco ai fedeli della parrocchia romana di San Gregorio Magno alla Magliana, dove si è recato nel pomeriggio di domenica 6 aprile. Di seguito l’omelia pronunciata durante la messa. Le tre Letture di oggi ci parlano di Risurrezione, ci parlano di vita. Quella bella promessa del Signore: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe» (Ez 37, 12), è la promessa del Signore che ha la vita e ha la forza di dare vita, perché quelli che sono morti possano riprendere la vita. La seconda Lettura ci dice che noi siamo sotto lo Spirito Santo e Cristo in noi, il suo Spirito, ci risusciterà. E la terza Lettura, il Vangelo, abbiamo visto come Gesù ha dato la vita a Lazzaro. Lazzaro, che era morto, è tornato alla vita. Semplicemente voglio dire una cosa piccola piccola. Tutti noi abbiamo dentro alcune zone, alcune parti del nostro cuore che non sono vive, che sono un po’ morte; e alcuni hanno tante parti del cuore morte, una vera necrosi spirituale! E noi quando abbiamo questa situazione ce ne accorgiamo, abbiamo voglia di uscirne, ma non possiamo. Soltanto il potere di Gesù, il potere di Gesù è capace di aiutarci ad uscire da queste zone morte del cuore, queste tombe di peccato, che tutti noi abbiamo. Tutti siamo peccatori! Ma se noi siamo molto attaccati a questi sepolcri e li custodiamo dentro di noi e non vogliamo che tutto il nostro cuore risorga alla vita, diventiamo corrotti e la nostra anima incomincia a dare, come dice Marta, “cattivo odore” (Gv 11, 39), l’odore di quella persona che è at- taccata al peccato. E la Quaresima è un po’ per questo. Perché tutti noi, che siamo peccatori, non finiamo attaccati al peccato, ma possiamo sentire quello che Gesù ha detto a Lazzaro: «Gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”» (Gv 11, 43). Oggi vi invito a pensare un attimo, in silenzio, qui: dove è la mia necrosi dentro? Dove è la parte morta della mia anima? Dove è la mia tomba? Pensate, un minutino, tutti in silenzio. Pensiamo: qual è quella parte del cuore che si può corrompere, perché sono attaccato ai peccati o al peccato o a qualche peccato? E togliere la pietra, togliere la pietra della vergogna e lasciare che il Signore ci dica, come ha detto a Lazzaro: «Vieni fuori!». Perché tutta la nostra anima sia guarita, sia risorta per l’amore di Gesù, per la forza di Gesù. Lui è capace di perdonarci. Tutti ne abbiamo bisogno! Tutti. Tutti siamo peccatori, ma dobbiamo stare attenti a non diventare corrotti! Peccatori lo siamo, ma Lui ci perdona. Sentiamo quella voce di Gesù che, con la potenza di Dio, ci dice: «Vieni fuori! Esci da quella tomba che hai dentro. Esci. Io ti do la vita, io ti faccio felice, io ti benedico, io ti voglio per me». Il Signore oggi, in questa domenica, nella quale si parla tanto della Risurrezione, dia a tutti noi la grazia di risorgere dai nostri peccati, di uscire dalle nostre tombe; con la voce di Gesù che ci chiama, andare fuori, andare da Lui. E un’altra cosa: nella quinta domenica di Quaresima, quelli che si preparavano al Battesimo nella Chiesa, ricevevano la Parola di Dio. Anche questa comunità oggi, farà lo stesso gesto. Ed io vorrei darvi il Vangelo; che voi portiate il Vangelo a casa. Questo Vangelo è un Vangelo tascabile da portare sempre con noi, per leggere un pochino un brano; aprirlo così e leggere qualcosa del Vangelo, quando devo fare una coda o quando sono sul bus; ma quando sono comodo nel bus, perché se non sono comodo, devo stare attento alle tasche! Leggere sempre un pezzettino del Vangelo. Ci farà tanto bene, ci farà tanto bene! Un po’ tutti i giorni. È un regalo, che vi ho portato per tutta la vostra comunità, perché così, oggi, quinta domenica di Pasqua, riceviate la Parola di Dio ed anche, così, possiate sentire la voce di Gesù che vi dice: «Esci fuori! Vieni! Vieni fuori!», e prepararvi alla notte di Pasqua. Alla Magliana tra difficoltà e speranze Come aveva fatto al mattino con i fedeli all’Angelus in piazza San Pietro, Papa Francesco ha donato copie del Vangelo tascabili anche alla Magliana, dove si è recato domenica pomeriggio. In visita pastorale alla comunità di San Gregorio Magno, il vescovo di Roma ha ricevuto in cambio una borsa nera piena di messaggi di affetto, simile a quella che egli porta sempre con sé. «Quando impugnerà quel manico — gli ha detto il parroco don Renzo Chiesa — si ricordi che così noi ci sentiamo condotti da lei: con quella mano sicura e salda di padre premuroso». E proprio il clima festoso di incontro tra un padre e i suoi figli ha caratterizzato le quattro ore trascorse dal Pontefice in questo quartiere popolare. Che per un giorno si è scrollato di dosso l’immagine stereotipata di frontiera pericolosa, per offrire il suo volto più autentico: quello di una realtà abitata da gente che fatica ogni giorno per tirare avanti, ma lo fa con dignità ed è capace di grandi slanci. Anche grazie a una parrocchia davvero in prima linea sul territorio. Lo hanno testimoniato le migliaia di persone radunatesi nei pressi della chiesa di piazza Certaldo: molte scese in strada, altre rimaste affacciate alle finestre e ai terrazzi dei palazzi circostanti per seguire la visita attraverso i maxischermi. E appese alle ringhiere dei balconi, lenzuola colorate e bandiere, insieme a tanti striscioni. Giunto in automobile verso le 15.45, Papa Francesco è stato accolto sul sagrato dal cardinale vicario Vallini, dal vescovo Selvadagi, ausiliare per il settore ovest, dal reggente della prefettura della Casa pontificia, monsignor Sapienza, dal parroco e dai suoi collaboratori. Dalla balconata sopraelevata che dà su piazza Fabrizio De André, ha ricevuto il benvenuto dalle scuole del quartiere. L’insegnante di religione Lucia Caravona gli ha presentato il piccolo Dario, alunno di terza elementare, «che sta attraversando un momento delicato della sua giovane vita — ha spiegato — e ha bisogno della sua carezza». E subito il Pontefice lo ha accontentato. Successivamente, nel campo sportivo della parrocchia si è intrattenuto con i ragazzi del catechismo di prima comunione e di cresima. Una mamma, Laura, gli ha assicurato «preghiere speciali per il suo ministero», chiedendo di «mettere nel calice della messa tutte le famiglie, specie quelle che hanno particolare bisogno dell’amore di Dio». È stata poi Sara, nove anni, a salutarlo, mentre i coetanei liberavano in volo palloncini bianchi. «Contengono — ha detto — le nostre speranze, i nostri desideri, le nostre preghiere». Quindi gli scout del gruppo Roma 123 hanno portato sul palchetto un girasole di cartone che racchiudeva impegni di bontà, perdono e generosità. Infine Letizia, undicenne, ha mostrato un cartellone raffigurante una barca con la scritta Guidaci in questo mare di speranza. «Per noi che spesso ci sentiamo agitati — ha commentato — è bello sapere che c’è un marinaio esperto, capace di condurci fuori della tempesta». Da parte sua Papa Francesco ha sottolineato come a volte non sia facile avere speranza, specie a causa di malattie, mancanza di lavoro e altri problemi. E intessendo un breve dialogo con i ragazzini ha chiesto: «Senza speranza si può vivere bene»? La risposta è stata un «no» corale, perché «la speranza mai delude» hanno ribadito tutti insieme. Prima di entrare nei locali parrocchiali, Francesco ha voluto salutare le persone assiepate dietro le transenne. Tra cori da stadio e lunghi applausi ha stretto mani, dispensato sorrisi, carezze, abbracci, baci. Una volta all’interno sono iniziati gli incontri con le realtà più difficili che gravitano attorno a San Gregorio Magno. Nel salone dell’oratorio si è chinato sulle sofferenze di disabili e All’Angelus il Pontefice dona ai fedeli un piccolo Vangelo raccomandandone la lettura quotidiana Parola tascabile Non c’è alcun limite alla misericordia di Dio: lo ha ricordato domenica 6 aprile Papa Francesco ai fedeli che hanno partecipato all’Angelus in piazza San Pietro. Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Il Vangelo di questa quinta domenica di Quaresima ci narra la risurrezione di Lazzaro. È il culmine dei “segni” prodigiosi compiuti da Gesù: è un gesto troppo grande, troppo chiaramente divino per essere tollerato dai sommi sacerdoti, i quali, saputo il fatto, presero la decisione di uccidere Gesù (cfr. Gv 11, 53). Lazzaro era morto già da tre giorni, quando giunse Gesù; e alle sorelle Marta e Maria Egli disse parole che si sono impresse per sempre nella memoria della comunità cristiana. Dice così Gesù: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno» (Gv 11, 25). Su questa Parola del Signore noi crediamo che la vita di chi crede in Gesù e segue il suo comandamento, dopo la morte sarà trasformata in una vita nuova, piena e immortale. Come Gesù è risorto con il proprio corpo, ma non è ritornato ad una vita terrena, così noi risorgeremo con i nostri corpi che saranno trasfigurati in corpi gloriosi. Lui ci aspetta presso il Padre, e la forza dello Spirito Santo, che ha risuscitato Lui, risusciterà anche chi è unito a Lui. Dinanzi alla tomba sigillata dell’amico Lazzaro, Gesù «gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. E il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario» (vv. 43-44). Questo grido perentorio è rivolto ad ogni uomo, perché tutti siamo segnati dalla morte, tutti noi; è la voce di Colui che è il padrone della vita e vuole che tutti «l’abbiano in abbondanza» (Gv 10, 10). Cristo non si rassegna ai sepolcri che ci siamo costruiti con le nostre scelte di male e di morte, con i nostri sbagli, con i nostri peccati. Lui non si rassegna a questo! Lui ci invita, quasi ci ordina, di uscire dalla tomba in cui i nostri peccati ci hanno sprofondato. Ci chiama insistentemente ad uscire dal buio della prigione in cui ci siamo rinchiusi, accontentandoci di una vita falsa, egoistica, mediocre. «Vieni fuori!», ci dice, «Vieni fuori!». È un bell’invito alla vera libertà, a lasciarci afferrare da queste parole di Gesù che oggi ripete a ciascuno di noi. Un invito a lasciarci liberare dalle “bende”, dalle bende dell’orgoglio. Perché l’orgoglio ci fa schiavi, schiavi di noi stessi, schiavi di tanti idoli, di tante cose. La nostra risurrezione incomincia da qui: quando decidiamo di obbedire a questo comando di Gesù uscendo alla luce, alla vita; quando dalla nostra faccia cadono le maschere — tante volte noi siamo mascherati dal peccato, le maschere devono cadere! — e noi ritroviamo il coraggio del nostro volto originale, creato a immagine e somiglianza di Dio. Il gesto di Gesù che risuscita Lazzaro mostra fin dove può arrivare la forza della Grazia di Dio, e dunque fin dove può arrivare la nostra conversione, il nostro cambiamento. Ma sentite bene: non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti! Non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti! ricordatevi bene questa frase. E possiamo dirla insieme tutti: “Non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti”. Diciamolo insieme: “Non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti”. Il Signore è sempre pronto a sollevare la pietra tombale dei nostri peccati, che ci separa da Lui, la luce dei viventi. Al termine della preghiera mariana il Pontefice ha ricordato il ventesimo anniversario del genocidio in Rwanda. Cari fratelli e sorelle, si terrà domani in Rwanda la commemorazione del XX anniversario dell’inizio del genocidio perpetrato contro i Tutsi nel 1994. In questa circostanza desidero esprimere la mia paterna vicinanza al popolo ruandese, incoraggiandolo a continuare, con determinazione e speranza, il processo di riconciliazione che ha già manifestato i suoi frutti, e l’impegno di ricostruzione umana e spirituale del Paese. A tutti dico: Non abbiate paura! Sulla roccia del Vangelo costruite la vostra società, nell’amore e nella concordia, perché solo così si genera una pace duratura! Invoco su tutta la cara Nazione ruandese la materna protezione di Nostra Signora di Kibeho. Ricordo con affetto i Vescovi ruandesi che sono stati qui, in Vaticano, la settimana scorsa. E tutti voi invito, adesso, a pregare la Madonna, Nostra Signora di Kibeho. Dopo aver recitato un’Ave Maria e salutato alcuni gruppi di fedeli presenti all’Angelus, il Papa ha ricordato il quinto anniversario del terremoto dell’Aquila e il dramma delle popolazioni colpite dal virus dell’ebola. Saluto tutti i pellegrini presenti, in particolare i partecipanti al Congresso del Movimento di Impegno Educativo dell’Azione Cattolica Italiana. Investire sull’educazione significa investire in speranza! Saluto i fedeli di Madrid e di Menorca; quelli della Diocesi di Concordia-Pordenone; il gruppo brasiliano “Fraternidade e tráfico humano”; gli studenti del Canada, dell’Australia, del Belgio e quelli di Cartagena-Murcia; gli alpini di Como e di Roma. Saluto i gruppi di ragazzi che hanno ricevuto o si preparano alla Cresima, i giovani di varie parrocchie e i numerosi studenti. Sono passati esattamente cinque anni dal terremoto che ha colpito L’Aquila e il suo territorio. In questo momento vogliamo unirci a quella comunità che ha tanto sofferto, che ancora soffre, lotta e spera, con tanta fiducia in Dio e nella Madonna. Preghiamo per tutte le vittime: che vivano per sempre nella pace del Signore. E preghiamo per il cammino di risurrezione del popolo aquilano: la solidarietà e la rinascita spirituale siano la forza della ricostruzione materiale. Preghiamo anche per le vittime del virus Ebola che si è sviluppato in Guinea e nei Paesi confinanti. Il Signore sostenga gli sforzi per combattere questo inizio di epidemia e per assicurare cura e assistenza a tutti i bisognosi. Infine il Santo Padre ha annunciato con queste parole il dono del Vangelo tascabile ai fedeli presenti in piazza. Ed ora vorrei fare un gesto semplice per voi. Nelle scorse domeniche ho suggerito a tutti voi di procurarsi un piccolo Vangelo, da portare con sé durante la giornata, per poterlo leggere spesso. Poi ho ripensato all’antica tradizione della Chiesa, durante la Quaresima, di consegnare il Vangelo ai catecumeni, a coloro che si preparano al Battesimo. Allora oggi voglio offrire a voi che siete in Piazza — ma come segno per tutti — un Vangelo tascabile [mostra il libretto]. Vi sarà distribuito gratuitamente. Ci sono i posti in piazza per questa distribuzione. Io li vedo lì, lì, lì,... Avvicinatevi ai posti e prendete il Vangelo. Prendetelo, portatelo con voi, e leggetelo ogni giorno: è proprio Gesù che vi parla lì! È la Parola di Gesù: questa è la Parola di Gesù! E come Lui vi dico: gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date, date il messaggio del Vangelo! Ma forse qualcuno di voi non crede che questo sia gratuito. “Ma quanto costa? Quanto devo pagare, Padre?”. Facciamo una cosa: in cambio di questo dono, fate un atto di carità, un gesto di amore gratuito, una preghiera per i nemici, una riconciliazione, qualcosa... Oggi si può leggere il Vangelo anche con tanti strumenti tecnologici. Si può portare con sé la Bibbia intera in un telefonino, in un tablet. L’importante è leggere la Parola di Dio, con tutti i mezzi, ma leggere la Parola di Dio: è Gesù che ci parli lì! E accoglierla con cuore aperto. Allora il buon seme porta frutto! Vi auguro buona domenica e buon pranzo! Arrivederci! ammalati. Li ha presentati Paola Fanzini, presidente dell’associazione “La lampada dei desideri” molto attiva sul territorio: «Un sogno diventato realtà — l’ha così descritta — perché tanti di noi potessero avere una casa accogliente dove essere amati». E il Pontefice ha ringraziato quanti offrono nella preghiera per la Chiesa le proprie sofferenze. Perché, ha sottolineato, siamo stati redenti da Gesù con la croce. E «quando viene la croce della malattia, noi assomigliamo a Gesù». Ha anche assegnato loro un compito: pregare per chi ha l’anima vuota e ripone la speranza nei soldi e nel potere. Infine ha chiesto la preghiera del popolo di Dio, dei malati e dei bambini in particolare, perché senza di essa «il Papa è un poveraccio, non può fare niente». Nel teatro parrocchiale, dov’erano ad attenderlo ex tossicodipendenti, detenuti, immigrati e vittime della tratta sessuale, ha improvvisato il discorso più significativo. A nome delle cooperative “La Prora” e “Magliana 80” e dell’iniziativa “Sabato in famiglia”, Germana ha ricordato come la comunità di San Gregorio Magno sia sempre stata sensibile agli ultimi. E Papa Francesco ha sintetizzato la sua risposta in quattro parole: fragilità, marginalità, scarto e salita. «Il Signore ama la nostra debolezza», ha affermato, chiarendo che «il posto migliore per trovare il Signore» non è la chiesa, ma «la propria debolezza». Ha ribadito che «Gesù è venuto nei margini» per trovare chi non contava niente. Ha ripetuto che soffre per la cultura dello scarto: «Si ammazzano i bambini nel grembo della mamma», e si scartano gli anziani, «perché si pensa che non servano», mentre «sono la memoria, sono la saggezza di un popolo». Oggi, soprattutto, si scartano i giovani, ha detto citando drammatiche statistiche sulla disoccupazione giovanile in Europa, dove ci sono 75 milioni di persone sotto i 25 anni senza lavoro. «Noi non vogliamo essere materiale di scarto» ha detto. Commentando infine l’ultima delle quattro parole, “salita”, ha rimarcato che si tratta di una parola bella, ma difficile: Sarebbe «meglio andare in discesa. È più comodo». Ha commentato. Però la vita è fatta di salite, e ha citato in proposito un canto degli alpini per il quale nell’arte di salire l’importante non è non cadere, ma non restare a terra. L’ultimo incontro è stato con le famiglie: coppie che celebrano nozze d’argento o d’oro, mamme in attesa e bambini appena battezzati, fidanzati che si preparano al matrimonio. Sentendo i neonati piangere, il Papa ha commentato: «È bella questa musica! Ma non è tanto bella alle 2 o alle 3 di notte, perché il giorno dopo dobbiamo andare a lavoro! Ma vi ringrazio di portare i bambini a ricevere il battesimo in parrocchia», anche se poi «tanti fino alla prima comunione non si fanno più vivi. E invece è importante mantenere il rapporto. Questo non significa che tutti i giorni dovete andare in parrocchia», ha precisato, ma mantenere i contatti, «non allontanarsi troppo. Così la comunità cresce». Dopo aver salutato i ministranti e i sacerdoti della prefettura che hanno concelebrato, il Papa ha anche visitato la Casa della carità, che ospita anziani indigenti proprio tra le mura della parrocchia. Le suore che la gestiscono gli hanno presentato Rosina, novantottenne allettata. Infine, la confessione di cinque fedeli ha preceduto la messa della quinta domenica di Quaresima. Nel saluto finale don Renzo ha parlato del recente pellegrinaggio compiuto in Terra Santa, dove ha pregato nella chiesa del Primato di Pietro, assicurando al Papa «il sostegno, l’affetto, la preghiera della Magliana per continuare il suo difficile e splendido cammino di padre». E il vescovo di Roma ha ringraziato, affacciandosi di nuovo dal sagrato dopo aver smesso i paramenti, per un ultimo saluto prima del rientro in Vaticano. (gianluca biccini) L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 7-8 aprile 2014 pagina 7 Il Papa ne conferma la missione Per il futuro dello Ior Visita «ad limina» dei vescovi della Tanzania Imperativo missionario L’impegno a «mantenere e ad alimentare» l’imperativo missionario che mosse i primi evangelizzatori della Tanzania è stato raccomandato dal Pontefice nel discorso rivolto ai presuli del Paese africano, ricevuti stamattina, lunedì 7 aprile, in occasione della visita «ad limina Apostolorum». Diamo una nostra traduzione del discorso in lingua inglese consegnato dal Papa. Cari Fratelli Vescovi, Vi porgo un cordiale benvenuto fraterno in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum, che è un’opportunità per rafforzare i vincoli di comunione tra la Chiesa in Tanzania e la Sede di Pietro. Ringrazio l’arcivescovo Ngalalekumtwa per le premurose parole pronunciate a nome vostro, come anche dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose e di tutti i fedeli laici nel vostro Paese. Vi chiedo di volerli assicurare delle mie preghiere e della mia vicinanza spirituale. La Chiesa in Tanzania è benedetta da tanti doni per i quali dobbiamo tutti rendere grazie a Dio. Penso, in primo luogo, all’impressionante storia dell’opera missionaria in tutta la regione. Arrivando con il desiderio di far conoscere e amare «il nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2, 9), questi evangelizzatori, ricolmi dello Spirito, hanno gettato solide fondamenta per la Chiesa, che hanno ispirato le generazioni successive nei loro sforzi di proclamare il Vangelo e di edificare il Corpo di Cristo. Anche oggi, l’approccio missionario deve essere «il paradigma di ogni opera della Chiesa» (Evangelii gaudium, n. 15). Costruendo sullo zelo e i sacrifici dei primi evangelizzatori, dovete continuare a mantenere e ad alimentare questo imperativo missionario, affinché il Vangelo possa permeare sempre più ogni opera dell’apostolato e gettare la sua luce su tutti gli ambiti della società tanzaniana. In questo modo si scriverà un capitolo nuovo e dinamico nella grande storia missionaria ed evangelica del vostro Paese. L’opera di evangelizzazione in Tanzania, dunque, non è solo un importante evento del passato; no, avviene ogni giorno con il lavoro pastorale della Chiesa nelle parrocchie, nella liturgia, nella ricezione dei sacramenti, nell’apostolato educativo, nelle iniziative sanitarie, nella catechesi e nella vita dei cristiani comuni. Viene svolta ogni volta che i fedeli credenti smuovono le menti e i cuori di coloro che, quale che ne sia la ragione, sono deboli nel vivere la grazia del Vangelo. Viene svolta soprattutto — attraverso le parole e l’integrità di vita — proclamando Gesù Cristo crocifisso e risorto a quanti non conoscono la gioia che deriva dall’amarlo e dall’abbandonare a lui la propria vita. È questa la grande sfida che il popolo di Dio in Tanzania deve affrontare oggi: dare una testimonianza convincente dell’amorevole redenzione dell’umanità da parte di Gesù Cristo, sperimentata e celebrata dalla comunità dei credenti nella Chiesa. Penso qui in modo particolare alla testimonianza del discepolato missionario (cfr. Evangelii gaudium n. 119-120) offerta dagli operatori dell’apostolato sanitario della Chiesa, non ultimo prendendosi cura di quanti sono affetti da HIV/AIDS, e da tutti coloro che cercano diligentemente di educare le persone nell’ambito della responsabilità sessuale e della castità. Penso anche a tutti coloro che si dedicano allo sviluppo integrale dei poveri, e in particolari delle donne e dei bambini bisognosi. Possa lo Spirito Santo, che ha dato forza, saggezza e santità ai primi missionari in Tanzania, continuare a ispirare l’intera Chiesa locale nella sua vitale testimonianza. Data la grande importanza del ministero di insegnare, santificare e governare il gregge di Cristo, è sempre grande il bisogno di sacerdoti santi, ben formati e zelanti. Mi unisco a voi nell’esprimere gratitudine e incoraggiamento per il ministero dei vostri sacerdoti. I sacrifici che compiono, che spesso solo Dio conosce, sono fonte di molta grazia e santità. È vostra urgente responsabilità, come loro padri e fratelli in Cristo, assicurare che i sacerdoti ricevano una formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale adeguata, non solo in seminario, ma durante tutta la loro vita (cfr. Pastores dabo vobis, n. 43-59). Ciò consentirà loro di dedicarsi in modo più pieno al ministero sacerdotale, in fedeltà alle promesse fatte durante l’ordinazione. Questa formazione deve essere permanente; solo attraverso la conversione quotidiana e la crescita nella carità pastorale matureranno come agenti efficaci di rinnovamento spirituale e di unità cristiana nelle loro parrocchie e, come Gesù, raduneranno gente “di ogni … popolo e lingua” (Ap 7, 9) per rendere lode e gloria a Dio Padre. Come uomini di profonda saggezza e leader spirituali autentici, i sacerdoti saranno una fonte d’ispirazione per il loro gregge e attireranno molti giovani a rispondere con generosità alla chiamata del Signore a servire il suo popolo nel sacerdozio. Il ruolo indispensabile dei fedeli laici nell’evangelizzazione permanente nel vostro Paese è stato evidenziato con chiarezza da due eventi ecclesiali recenti: il Congresso eucaristico nazionale del 2012 e il Seminario tenuto in prossimità dell’Anno della Fede. Apprezzo i vostri sforzi di promuovere simili eventi, che contribuiscono molto a rafforzare la fede tra il popolo di Dio in Tanzania. Un esercizio dell’apostolato laico particolarmente straordinario è quello dei catechisti e delle catechiste nel vostro Paese, che si adoperano per trasmettere il Vangelo e la pienezza della vita cristiana. Nel vostro servizio alla Chiesa locale, compite ogni sforzo per fornire ai catechisti una comprensione completa della dottrina della Chiesa. Ciò servirà loro non solo per contrastare le sfide della superstizione, delle sette aggressive e del secolarismo, ma anche, cosa ancor più importante, per condividere la bellezza e la ricchezza della fede cattolica con gli altri, specialmente con i giovani. Nella fedeltà alla missione ricevuta nel battesimo, ogni membro della Chiesa potrà allora rinnovare la Chiesa e la società come lievito dal suo interno. Quali discepoli laici ben formati, sapranno come impregnare «di valore morale la cultura e le opere umane» (Lumen gentium, n. 36), cosa davvero necessaria ai nostri giorni. Cari fratelli, l’opera di evangelizzazione inizia nelle case. Il dono che costituiscono le famiglie integre è sentito con particolare vitalità in Africa. Inoltre, l’amore della Chiesa per la famiglia e la sua sollecitudine pastorale verso di essa sono al centro della nuova evangelizzazione. Come sapete, per la fine di quest’anno ho convocato un Sinodo dedicato alla famiglia, la cui cura pastorale è stata una preoccupazione centrale della Seconda assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi nel 2009. Possa il nostro incontro oggi essere un incentivo a esaminare la vostra risposta comune alla chiamata del Sinodo a un apostolato per la famiglia più energico, attraverso un’assistenza spirituale e materiale senza compromessi e gene- rosa (cfr. Africae munus, n. 43). Promovendo la preghiera, la fedeltà coniugale, la monogamia, la purezza e l’umile servizio reciproco nelle famiglie, la Chiesa continua a dare un inestimabile contributo al benessere sociale della Tanzania, che, unito ai suoi apostolati educativo e sanitario, certamente favorirà maggiore stabilità e progresso nel vostro Paese. Non c’è miglior servizio che la Chiesa possa offrire di quello di dare testimonianza della nostra convinzione della santità del dono di Dio della vita e del ruolo fondamentale svolto dalle famiglie spirituali e stabili nel preparare le generazioni più giovani a condurre una vita virtuosa e ad affrontare le sfide del futuro con saggezza, coraggio e generosità. È particolarmente incoraggiante per me sapere che la Tanzania è impegnata ad assicurare la libertà dei seguaci delle diverse religioni di praticare la propria fede. La costante protezione e promozione di questo diritto umano fondamentale rafforza la società, aiutando i credenti, in fedeltà a quanto impone la loro coscienza e nel rispetto della dignità e dei diritti di tutti, a promuovere l’unità sociale, la pace e il bene comune. Sono grato per i vostri sforzi costanti di promuovere il perdono, la pace e il dialogo mentre guidate il vostro popolo in situazioni difficili di intolleranza e, talvolta, di violenza e persecuzione. La vostra guida orante e unita — che sta già dando frutto mentre affrontate insieme tali sfide — continuerà a indicare il cammino a quanti sono affidati alle vostre cure pastorali e alla società più in generale. Vi esorto anche a lavorare con il governo e le istituzioni civili in quest’ambito, al fine di assicurare che lo stato di diritto prevalga quale mezzo indispensabile per garantire relazioni sociali giuste e pacifiche. Prego perché il vostro esempio, e quello dell’intera Chiesa nel vostro Paese, continui ad ispirare tutte le persone di buona volontà che anelano alla pace. Con queste riflessioni, cari fratelli Vescovi, affido tutti voi all’intercessione di Maria, Madre della Chiesa, e con grande affetto imparto la mia Benedizione Apostolica, che estendo volentieri a tutti gli amati sacerdoti, ai religiosi e ai fedeli laici nel vostro Paese. Papa Francesco ha approvato una proposta sul futuro dell’Istituto per le Opere di Religione (Ior), riaffermandone l’importanza della missione per il bene della Chiesa cattolica, della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. La proposta è stata sviluppata congiuntamente da rappresentanti della Pontificia commissione referente sullo Ior (Crior), della Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa Sede (Cosea), della Commissione cardinalizia di vigilanza e del Consiglio di sovrintendenza dello Ior. Ed è stata presentata al Santo Padre dal cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l’economia, con il consenso del cardinale Santos Abril y Castelló, presidente della Commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior. Tale proposta è stata definita sulla base di informazioni sullo status legale dell’Istituto e sull’operatività svolta, informazioni raccolte e presentate al Papa e al suo Consiglio di cardinali dalla Crior nel febbraio 2014. Lo Ior continuerà a servire con attenzione e a fornire servizi finanziari specializzati alla Chiesa cattolica in tutto il mondo. I significativi servizi che possono essere offerti dall’Istituto assistono il Santo Padre nella sua missione di pastore universale e supportano inoltre istituzioni e individui che collaborano con lui nel suo ministero. Con la conferma della missione dello Ior e facendo seguito alla ri- chiesta del cardinale prefetto Pell, il presidente del Consiglio di sovrintendenza, Ernst von Freyberg, e il management dello Ior porteranno a termine il loro piano al fine di assicurare che l’Istituto possa compiere la sua missione come parte delle nuove strutture finanziarie della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. Il piano sarà presentato al Consiglio dei cardinali e al Consiglio per l’economia. Le attività dello Ior continueranno a rientrare sotto la supervisione regolamentare dell’Autorità di informazione finanziaria (Aif), competente nell’ambito della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. In conformità ai motuproprio dell’8 agosto 2013 e del 15 novembre 2013, e alla legge numero XVIII sulla trasparenza, supervisione e informazione finanziaria, entrata in vigore l’8 ottobre 2013, è stata introdotta un’ampia e articolata struttura legale e istituzionale finalizzata a regolare le attività finanziarie all’interno della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. A tale proposito, il cardinale Pell ha confermato l’importanza di un allineamento sostenibile e sistematico delle strutture legali e normative della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano con le best practice regolamentari internazionali. Una efficace supervisione regolamentare e i progressi raggiunti nella compliance, trasparenza e operatività avviati nel 2012 e sensibilmente accelerati nel 2013, sono fondamentali per il futuro dell’Istituto per le opere di religione. Udienza al comitato organizzatore della gmg di Rio de Janeiro Ladri di cuori «I carioca sono dei “ladri”! Sì, “ladri”, perché hanno rubato il mio cuore. Approfitto della vostra presenza qui oggi per ringraziarli di quel “furto”». Lo ha detto scherzosamente Papa Francesco ai membri del Comitato organizzatore della ventottesima Giornata mondiale della Gioventù svoltasi a Rio de Janeiro nel luglio scorso. Il Pontefice li ha ricevuti stamane, lunedì 7 aprile, nella Sala Clementina. Ad accompagnarli il cardinale arcivescovo Orani João Tempesta, che ha salutato il Papa a nome dei presenti, ricordando i frutti spirituali maturati in tutto il continente Cari amici, nove mesi dopo il mio indimenticabile viaggio in Brasile, dove sono stato accolto a braccia aperte dal popolo carioca, provo una gioia particolare nel ricevere oggi questo gruppo, guidato dal cardinale dom Orani Tempesta, che rappresenta tutti coloro che in qualche modo hanno collaborato alla XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù, facendo sì che l’amore di Dio toccasse — letteralmente — il cuore di milioni di persone. Parlando di cuore, ho una confidenza da farvi: quando sono giunto in Brasile, nel mio primo discorso ufficiale, ho detto che volevo entra- latinoamericano a seguito dell’avvenimento. La delegazione brasiliana è giunta a Roma per partecipare nei prossimi giorni a una serie di appuntamenti: dall’incontro internazionale promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici dal 10 al 13 aprile a Sassone di Ciampino, al simbolico passaggio di consegne, nella domenica delle Palme, con i coetanei di Cracovia, sede del prossimo raduno delle nuove generazioni nel 2016. Di seguito una nostra traduzione del discorso pronunciato in portoghese dal vescovo di Roma. re per il portale dell’immenso cuore dei brasiliani, chiedendo il permesso di bussare delicatamente alla loro porta e di passare una settimana con il popolo brasiliano. Però, al termine di quella settimana, tornando a Roma, pieno di nostalgia, mi sono reso conto che i carioca sono dei “ladri”! Sì, “ladri”, perché hanno rubato il mio cuore. Approfitto della vostra presenza qui oggi per ringraziarli di quel “furto”: grazie per avermi contagiato con il vostro entusiasmo lì a Rio de Janeiro, e perché oggi qui mi aiutate a “uccidere” la nostalgia del Brasile. Come dicevo prima, tutti voi qui riuniti rappresentate i laici, i religio- si, i sacerdoti e i vescovi che hanno dato il proprio generoso contributo durante la Giornata. So che non è stato facile organizzare un evento di quelle dimensioni. Immagino che, a volte, ci sia stato qualcuno che ha pensato che non potesse andare bene. Perciò, come è bello poter guardare indietro e vedere che le ore di lavoro, i sacrifici, persino le mancanze passeggere, sono stati poca cosa se paragonati alla grandiosità dell’azione di Dio sulle nostre povere risorse umane. È la dinamica della moltiplicazione dei pani. Quando Gesù chiese agli apostoli di dare da mangiare alla folla, loro sapevano che era impossibile. Ma furono ge- La messa di apertura della Gmg di Rio de Janeiro (23 luglio 2013) nerosi. Diedero al Signore tutto quello che avevano. E Gesù moltiplicò i loro sforzi. Non è stato così anche nella Giornata Mondiale della Gioventù? Non dobbiamo però solo guardare indietro. Dobbiamo innanzitutto guardare al futuro, rafforzati dalla certezza che Dio moltiplicherà sempre i nostri sforzi. Gesù ci ripete costantemente: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6, 37). Perciò questo miracolo vissuto nella Giornata della Gioventù si deve ripetere ogni giorno, in ogni parrocchia, in ogni comunità, nell’apostolato personale di ognuno! Non possiamo restare tranquilli sapendo che ancora «tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita» (Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, n. 49). Per questo è necessario ripensare a quelle tre idee che, in un certo senso, riassumono tutto il messaggio della Giornata Mondiale della Gioventù: andate, senza paura, per servire. Dobbiamo essere una “Chiesa in uscita” (cfr. Ibidem, n. 20), come discepoli missionari che non hanno paura delle difficoltà, poiché abbiamo già visto che il Signore moltiplica i nostri sforzi, e perciò siamo sempre più motivati a servire, donandoci senza riserve, pieni della gioia del Vangelo. Cari amici, nell’adempiere questo impegno, guardiamo all’esempio di José de Anchieta, l’Apostolo del Brasile, recentemente dichiarato santo. In una delle sue lettere, scrisse: «Nulla è difficile per coloro che cullano nel cuore e hanno come fine unico la gloria di Dio e la salvezza delle anime, per le quali non esitano a dare la propria vita» (Lettera a Padre Tiago Laynez). Perciò è con la sua intercessione che vi animo ad andare avanti, con gioia e coraggio, nella bella missione di mantenere viva nel cuore dei brasiliani la fiamma d’amore per Cristo e per la sua Chiesa. Vi ringrazio nuovamente per la vostra presenza e vi chiedo di non smettere mai di pregare per me. Grazie!