Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Mensile del Corso di Laurea in Sociologia e Ricerca Sociale, Febbraio 2004. Anno 1. Numero 2. Direttore Mario Cardano. Red azione Mario Cardano, Michele Manocchi Scrivi alla redazione >> [email protected] Alla redazione di questo numero hanno contribuito: Donatella Simon, Arianna Radin, Stefania Palmisano, Michele Manocchi e Mario Cardano. [email protected] Questo è l’indirizzo al quale iscriversi: mandaci una e-mail e riceverai ogni mese il numero della Newsletter di Sociologia e Ricerca Sociale. Dillo anche ai tuoi amici, perché la Newsletter è dedicata a voi ed è grazie a voi che può crescere e migliorare. Sommario Àgora: i vostri messaggi 2 Ricerca Sociale: intervista a Giovanna Zincone su cittadinanza e immigrazione 4 Ricerca Sociale: intervista a Giovanni Semi su Porta Palazzo e il suo mercato 7 Professione Studente. Superare l’esame di Sociologia: i consigli del docente… 10 …e quelli degli studenti 12 Professione Studente: riepilogo delle iscrizioni al Focus Group 13 Professione Sociologo: intervista a Chiara Saraceno sul Dottorato di Ricerca 14 Professione Sociologo: Progetto Max, per parlare di Sociologia agli studenti delle superiori 16 Professione Sociologo: “Più di un sud”, recensione di Stefania Palmisano 17 Professione Sociologo: i Seminari del Dipartimento di Scienze Sociali 18 Sociologie. Edgar Morin: il futuro è solidale 19 Sociologie: Prime Cinema, a cura di Arianna Radin 20 Sociologie: L’occhio vuole la sua arte 20 La Facoltà: progetto per il rafforzamento delle attività di tutorato 22 Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] Àgora Àgora 2 Abbiamo il piacere di aprire questo numero con i vostri messaggi. Ebbene sì, dopo tanta insistenza, alcuni di voi hanno trovato il coraggio di scrivere alla Newsletter. Molte sono e-mail di complimenti… grazie! Non ci sono, per ora, pervenute critiche, tranne un paio di voi che, giustamente, ci hanno redarguito per un invio indiscriminato di indirizzi e-mail. Chiediamo ancora scusa a loro e a voi tutti: è stata una svista che non si ripeterà. Ma ora, bando alle ciance e diamo il via a questo numero con alcuni dei vostri messaggi! Buongiorno! Ho visto che c'è la possibilità di essere inserito nel newsgroup di discussione del corso. Potete inserirmi? Grazie!! Saluti, Roberto Carissimi/e, il primo motivo è che la trovo interessante, il secondo è che (da lavoratore non frequentante forzato) mi fa sentire meno lontano il "palazzo" e quindi vorrei ricevere via mail la newsletter di Sociologia e Ricerca Sociale. Massimo Vi ringrazio delle informazioni che mi avete inviato, e vi chiederei di inviarmi la newsletter Buon lavoro Giuseppe Mi chiamo Eloïse, ho 24 anni e sono iscritta al secondo anno di Sociologia e ricerca sociale. Sarei molto interessata ad un'eventuale collaborazione e dato che state cercando redattori, sono lieta di propormi. Se la cosa può essere utile, a partire da marzo svolgerò il servizio civile presso il servizio disabili dell'Università; a parte questo ho diversi interessi (musica,tempo libero etc.). Questo progetto mi interessa molto, dà l'opportunità di partecipare attivamente anche alle ricerche e sono contenta che si nato perché avevo notato troppe carenze nella nostra facoltà. Aggiungo ancora che sono interessata a partecipare al focus group di ven. 27 febbraio e nell'attesa di un Vs gradito riscontro, Vi porgo cordiali saluti Eloïse ...per iscrivermi. E complimenti per la prima uscita: veramente fatta bene. Cordiali saluti, Luana Vi invio questa e-mail per iscrivermi al vostro servizio di invio Newsletter e colgo l'occasione per esprimervi il mio vivo apprezzamento per questa iniziativa. Cordiali Saluti Nicoletta Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] 3 Salve sono uno studente della facoltà di Sociologia e ricerca sociale. Complimenti alla redazione della newsletter di Sociologia e Ricerca Sociale. Volevo segnalare un'iniziativa che io e alcuni compagni di corso stavamo cercando di far partire. Si tratta di un aperitivo di corso di laurea, ma potrebbe essere anche di facoltà, scienze politiche, con cadenza settimanale, dove sono invitati tutti i futuri sociologi e politologi. Pensavamo fosse interessante potersi incontrare per conoscersi e, volendo, discutere o chiacchierare di ciò che studiamo. Pensavamo di farlo il martedì tenendo conto di tutti coloro che abitano fuori Torino e che vengono solo per le lezioni. Dalle 18.30 in poi. Per quanto riguarda il luogo pensavamo al “Filtro” che è un bar dove spesso andiamo e dove ci siamo sempre trovati bene anche dal punto di vista economico (aperitivo cocktel 5.00?, vino 4.00?). Si trova su corso Regina angolo via Ricotti, verso Porta Palazzo, la via dopo via Rossini ( e il noto bar rossini). L'iniziativa partirà dal prossimo martedì 20 gennaio e continuerà fino alla fine dell’anno. Siete tutti invitati. Se trovate interessante l'iniziativa sostenetela anche voi. Vi ringrazio. Andrea La Redazione della Newsletter trova l’iniziativa molto interessante e, oltre a pubblicizzarla, parteciperà volentieri agli aperitivi. Complimenti è davvero ben fatto e piacevole da leggere Valeria RingraziandoVi per l'interessante newsletter, vorrei proporre la mia candidatura come redattrice. Sono un'appassionata di cinema e da anni faccio parte del progetto di volontariato "Ragazzi del 2006", collaborando in particolar modo con la redazione di AmbasciaTorino, che ha pubblicato sul sito www.ambasciatorino.it alcuni miei articoli. Spero di ricevere presto Vostre notizie (anche per quanto riguarda la mia partecipazione al focus group). Buon lavoro! Arianna À g o r a Ciao! mi chiamo Sonja e mi piacerebbe ricevere la newsletter di sociologia... La aspetto! Che bella iniziativa.... COMPLIMENTI! Sonja Buongiorno, avendo trovato il primo numero del vostro editoriale interessante, gradirei riceverne anche i numeri successivi. Grazie per l'opportunità! Laura L'idea del Newsgroup per scambio di informazioni e materiale fra studenti è un'idea fantastica! Io sarei disponibile. Saluti Antonella Desidero innanzi tutto porgere i ringraziamenti per questa proposta, che può diventare un utile strumento di confronto e dialogo tra studenti e docenti, in secondo luogo richiedo che possa ricevere la newsletter mensile. Grazie ancora per l'opportunità. Distinti saluti. Andrea Mi piacerebbe contribuire alla newsletter...mio interesse principale è il volontariato. grazie in anticipo Assunta Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] Ricerca Sociale Ricerca Sociale 4 Intervista a Giovanna Zincone D: Professoressa Zincone, lei essere Cittadinanza e immigrazione insegna Scienza Politica: di cosa - elogio dell’imperfezione. È un La professoressa Zincone, docente si tratta e qual è il rapporto con lavoro che sto conducendo in realtà di Scienza Politica presso la nostra la Sociologia? da anni, attraverso vari saggi e che Facoltà, dirige il centro FIERI: R: Incominciamo dicendo che io ha alle spalle un libro e un libretto, sono una sociologa peculiare, perché Forum Internazionale ed Europeo di riguarda la relazione tra cittadisono una politologa di scuola torine- Ricerche sull’Immigrazione. nanza e immigrazione. Il tema parse. Secondo una parte cospicua dei rebbe enorme, e lo è. politologi la scienza politica è una Le abbiamo chiesto di parlarci delle sociologia politica applicata con D:Come lo ha affrontato? sue attività di ricerca. una particolare attenzione agli R:Ho preso il concetto di aspetti istituzionali, una disciplina che “cittadinanza” e ho cercato di individuarne le principali usa tutti i metodi propri della sociologia, metodi che non dimensioni, e questo è un tipico lavoro da sociologo. Ho mi pare il caso di ricordare qui. Ma la scienza politica, a individuato quattro dimensioni che aiutano a leggere il Torino, si inserisce in una tradizione specifica che la fenomeno della cittadinanza, con l’obiettivo anche di vuole come una “disciplina all’incrocio”. Per merito di un creare un prodotto, il libro appunto, utilizzabile nella illustre fondatore, Norberto Bobbio, accetta l’innesto didattica; ed ho notato che le dimensioni del concetto si della filosofia, della dimensione prescrittiva, e del diritto capiscono meglio se le si confronta con il loro contrario. come vincolo e come prodotto della decisione pubblica. Il cittadino, quindi non è “straniero”, e ciò richiama ai Per merito di uno dei suoi più capaci promotori, Paolo temi dell’appartenenza e della nazionalità; ma è anche il Farneti, che ha sua volta era un allievo di Roccam, contrario di “suddito”, con i temi dell’emancipazione accetta l’innesto della storia. Pensiamo oggi ai lavori di civile e dell’emancipazione politica; ancora, cittadino è il Gian Enrico Rusconi per cogliere il senso di una contrario di “comunitario” di costretto da norme, disciplina all’incrocio. culture, credenze particolari (religiose, linguistiche, Ora, io non mi considero un’allieva né di Bobbio né di locali); cittadino è anche il contrario di “emarginato” e Farneti, perché sarebbe falso, l’unico politologo che ha questa è la dimensione individuata dal sociologo avuto la temporanea pazienza di farmi da maestro è Marshall il fatto che i cittadini possono godere di stato Giovanni Sartori. Tuttavia lavorare all’interno della dotazioni materiali (il welfare, l’istruzione). scienza politica torinese mi ha formata. Ancora oggi, la Poi ho cercato di leggere queste dimensioni sotto vari scienza politica torinese ha la peculiarità di innestare su punti di vista, ad esempio quello giuridico, sia formale un tronco proprio della sociologia, questi rami, che sono che informale, andando ad indagare i luoghi nei quali i rami delle altre discipline e quindi di rappresentare una vengono prodotte le decisioni, a quale livello, quali sono sorta di disciplina crocevia. Ho ulteriormente allargato il gli attori formali e informali che incidono sui contenuti di crocevia perché ho lavorato a lungo al Centro Einaudi queste decisioni, quali fattori li influenzano a loro volta; dove c’era una folta schiera di economisti. Se noi ma anche l’uso pratico che si fa dei diritti e come si accettiamo questa interpretazione torinese e personale spiegano differenze nell’uso: il diritto di voto non della scienza politica, si capisce abbastanza bene quello comporta che si voti, l’accesso all’istruzione non evita che faccio come attività di ricerca. l’abbandono. Si può guardare alle quattro dimensioni D: Veniamo dunque alle sue ultime ricerche: ce ne parla? R: Attualmente la mia attività è duplice: la ricercatrice in prima persona, che comprende sia un lavoro solitario sia anche il dirigere ricerche che svolgo con altri; l’altro è un lavoro di supervisione, dove partecipo molto alla creazione del disegno della ricerca e partecipo anche all’introduzione e alla stesura del rapporto, ma non metto le mani in pasta. Questa seconda attività la svolgo soprattutto in qualità di Presidente di FIERI, che è un network di studiosi – soprattutto professori universitari – a carattere multidisciplinare: ci sono demografi, economisti, sociologi, giuristi, antropologi, storici, psichiatri. D: Partiamo dalle ricerche che svolge in prima persona… R: Da una parte faccio un lavoro essenzialmente di secondo grado, senza ricerca diretta sul campo, e che confluirà nel libro che sto scrivendo, il titolo potrebbe anche in termini di percezione: essere cittadino non vuol dire sentirsi tale né sotto il profilo del civismo, né del patriottismo, né dell’identità. Un altro importante punto di osservazione della cittadinanza riguarda i fattori di trasformazione. Si tratta di fattori strutturali pensiamo all’impatto delle trasformazioni demografiche sul welfare, all’impatto della maggiore competizione economica internazionale, della conseguente propensione a rendere più elastico e meno gravato da oneri contributivi il lavoro. Si tratta però anche di più trascurati fattori culturali. Il welfare si modifica perché si modificano le concezioni stesse di che cosa e in chi sia meritevole di essere coperto. In questi ultimi anni c’è stata sicuramente una forte svolta ideologica circa lo statuto del lavoro e il welfare. Sociologia e Ricerca Sociale Soci ologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] D: Come si applicano all’immigrazione questi concetti? R: Innanzitutto, considerando l’immigrazione come un fattore di trasformazione. Pensiamo al rapporto triadico tra Stato, forza lavoro e mondo imprenditoriale. L’immigrazione entra nei rapporti tra questi tre soggetti e contribuisce a modificare i rapporti di forza. Una forza lavoro poco protetta, per la quale occupazione e permesso di soggiorno sono strettamente collegati, indebolisce le posizioni dei lavoratori, già indebolite dalla competizione internazionale che utilizza lo strumento della delocalizzazione. Non a caso gli stranieri non solo occupano le fasce basse del nostro sistema produttivo, ma si concentrano in settori non delocalizzabili (servizi alla persona, agricoltura, edilizia). E, d’altro canto, il ruolo dello Stato è più difficile, perché si trova a fronteggiare fenomeni sovra-nazionali, che travalicano i limiti geografici e politici della propria sfera di controllo e l’immigrazione è uno di questi fenomeni poco controllabili a livello di singolo stato. Il libro però cerca prima di ricostruire storicamente l’origine dei diritti di cittadinanza in chiave comparata e di individuare modelli di inclusione o mancata inclusione. Poi cerca di capire l’impatto dei vari modelli o delle varie misure. Non voglio raccontarle tutto il libro, altrimenti poi non lo compra e non legge, però, le faccio uno schizzo, qualche esempio. Prendiamo l’emancipazione politica. Si parte da Atene e dalla coincidenza tra emancipazione e appartenenza, si ricostruiscono le alterne vicende dell’emancipazione fino ad arrivare alle transizioni R i c e r c a S o c i a l e europee alla democrazia. Poi si affronta il tema dei diritti politici degli immigrati, si fa un’analisi comparata e si valuta l’impatto: se una parte cospicua dei lavoratori di un Paese non ha diritto di voto, significa che è l’intero profilo della cittadinanza di quel Paese che cambia, avendo ricostruito la storia dell’emancipazione capiamo che stiamo compiendo un passo indietro verso i regimi liberali. Nei precedenti lavori che ho svolto su questo tema consideravo i modi di integrazione della forza lavoro nazionale, le condizioni sotto le quali veniva integrata, come uno dei fattori esplicativi dei diversi modelli di cittadinanza nei vari Paesi europei. A me pare che i principali nuovi integrandi siano gli immigrati, e quindi ho trovato interessante cercare di capire come questi nuovi processi di integrazione impattino sulla cittadinanza nel suo insieme. Certo almeno in linea di massima l’impatto degli immigrati, se lo confrontiamo con le potenti organizzazioni dei lavoratori nazionali del passato, appare dovuto alla loro debolezza che alla loro forza. Tuttavia la cittadinanza di fronte all’immigrazione non segue una via lineare, né i vari paesi vanno in parallelo. Il libro cerca di capire come e perché. D: Sta conducendo altre ricerche? R: Sì, una che è invece decisamente empirica, quindi con lavoro sul campo. Anche questa è politologica, ma si colloca molto bene, però, come metodo in ambiente sociologico. Sociologia e Ricerca Sociale 5 È una ricerca finanziata con fondi del Ministero dell’istruzione, che coinvolge diverse Università e che riguarda il multi level government di alcune politiche. Il multi level government indaga le relazioni tra vari livelli a cui si prendono le decisioni sia verticalmente (ad esempio, governo centrale, Unione europea, regione, comune), sia orizzontalmente (ad esempio ruolo delle lobby, dell’associazionismo, dei tecnici, dei pubblici amministratori, dei magistrati nel premere perché siano prese certe decisioni). L’unità di Torino si occupa di politiche dell’immigrazione, ma altre università, Trento e Pavia, lavorano su altre materie. Anche questa è il proseguimento ideale di un’altra ricerca. Che cosa ho fatto nella precedente ricerca e cosa sto facendo in questa? La precedente mi è venuta in mente perché, quando sono stata Presidente della Commissione Integrazione, ho avuto la possibilità di osservare, in maniera ultra-partecipante, le dinamiche che si instauravano nel percorso verso le decisioni da prendere. Ho notato come molte decisione arrivassero dalla periferia verso il centro, da sperimentazioni locali e, a volte, addirittura da comportamenti contra legem, da prassi che, a poco a poco, venivano istituzionalizzate. Ad esempio, qualche direttore di scuola, dietro la pressione della advocacy coalition degli immigrati (una parte dei sindacati, l’associazionismo cattolico e altri gruppi) che costituiscono un potente lobby dei deboli, accetta che anche i bambini senza permesso di soggiorno vengano comunque inseriti nella scuola. Poi qualche capo del Provveditorato diede un po’ più di formalità alla situazione attraverso una direttiva interna che indicava di accettare questi bambini in tutte le scuole. Da questa situazione, si è passati ad una Circolare del Ministero della pubblica istruzione, su richiesta del Ministero degli affari sociali, che conferì ancora più valore giuridico alla prassi, fino al Decreto Dini e alla legge Turco-Napolitano. Questo è un tipico percorso di una prassi illegale adottata dalla periferie, che a poco a poco arriva al centro e acquisisce una crescente formalizzazione fino a trasformarsi in legge. Molto simile è la trasformazione in legge delle prassi adottate nella sanità pubblica nei confronti degli immigrati irregolari. D: E dove è approdata? R: Nelle ricerche non si approda mai, si procede. Questa situazione mi ha spinta ad andare a capire chi determinasse il contenuto delle decisioni, perché la forma sappiamo che è in mano al legislatore; e ho scoperto l’acqua calda, ovvero ho ritrovato le caratteristiche indicate già dagli studi di network analysis, che non conoscevo e che ho studiato e applicato. Quello che veniva fuori molto chiaramente era un forte peso, in tutte le fase decisionali, dell’advocacy coalition, unita con gli imprenditori a formare quella che definisco una “costellazione” di interesse, perché, a differenza della advocacy coalition, unisce attori eterogenei e spinti da regioni diverse. I rapporti all’interno di una advocacy coalition sono caratterizzati da un contatto continuo e duraturo nel tempo tra le persone e i gruppi che ne fanno parte, mentre una Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] “costellazione” si verifica ogni volta che gruppi di persone, istituzioni, associazioni di categoria, ecc., si trovano alleati per ottenere qualcosa quasi in maniera casuale: la Caritas e la Confindustria possono chiedere, entrambe, un allargamento dei flussi migratori, ma lo fanno per motivi diversi. Tuttavia la loro casuale unione da luogo ad una pressione molto potente. Anche la pubblica opinione esercita una pressione rilevante, soprattutto quando ci si avvicina al periodo elettorale, ma poi il governo deve risolvere problemi oggettivi, deve rispondere alla pressione dei problemi ed è esposto alla pressione di gruppi potenti, anche benevoli gruppi potenti. R i c e r c a 6 S o c i a l e Tutto questo aiuta a spiegare come mai le decisioni di maggioranze governative di segno opposto in materia di immigrazione, ma non solo, mostrano una continuità molto superiore a quella che normalmente ci si aspetterebbe: la ragione è che questi gruppi di pressione e queste costellazioni trovano una “finestra di opportunità” sempre aperta, forze politiche amiche disposte ad ascoltarle, data dai partiti cattolici che sono presenti in entrambi gli schieramenti, sono attenti alle richieste della lobby dei deboli e che tutti i governi non possono ignorare le esigenze delle imprese, la pressione dei problemi di carenza di forza lavoro. Cosa faccio con tutto questo? Tutto questo lo sto utilizzando per la ricerca più grossa e strutturata, cui ho accennato prima, che dovrebbe aiutarci a capire meglio qual è il ruolo nella formazione delle decisioni del centro e delle periferie, degli attori formali e informali, advocacy coalition, amministratori, esperti, ecc., come si muovono gli attori ai diversi livelli, incluso il livello dell’Unione europea. Su quest’ultimo progetto, sto tra l’altro ancora reclutando collaboratori, in quanto ci sono fondi di ricerca da utilizzare allo scopo. Dovrebbero avere competenze in campo di immigrazione, conoscere l’inglese (per le interviste europee) e trovare il progetto interessante. Approfittiamo di questo spazio per ringraziare tutti coloro che, già in questi pochi numeri, si sono resi disponibili per le interviste, ci hanno segnalato articoli da pubblicare, hanno collaborato attivamente alla realizzazione della Newsletter fornendoci pezzi e spunti interessanti. Per cui un grazie a voi che ci leggete e che state rispondendo con prontezza alle nostre iniziative. Grazie anche agli studenti- redattori, che nonostante il periodo di esami, continuano a darci il loro contributo. Grazie ai docenti, ai ricercatori e ai dottorandi del Dipartimento di Scienze Sociali che supportano questa iniziativa e sopportano pazientemente le nostre a volte invadenti richieste. Grazie a tutti e a presto. La Redazione Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] Ricerca Sociale Ricerca Sociale 7 Intervista a Giovanni Semi Giovanni Semi ha appena conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Ricerca Sociale Comparata, presso il Dipartimento di Scienze Sociale di Torino. c’erano immigrati, c’era commercio, per cui ho trovato un luogo ideale per continuare il mio lavoro di ricerca. Ho chiesto al professor Bagnasco di farmi da Tutor per questa tesi, in parte perché lui si occupa di sociologia urbana, in parte perché avevo letto un suo libro, edito da Franco Angeli, Fatti sociali formati nello spazio, che è una lettura dei lavori di Simmel calati nella sociologia urbana, che ho trovato molto appassionante. Inoltre Bagnasco ha introdotto in Italia i lavori di un antropologo svedese, Ulf Hannerz, con i testi Studiare la città e La complessità culturale, testi di etnografia urbana. Quindi, c’era da parte sua un interesse verso l’antropologia urbana e i lavori qualitativi sulle città; io, dalla mia, avevo le prime esperienze in questo campo e molta voglia di fare ancora etnografia, e gli ho proposto il mio progetto. Era una delle prime volte che gli capitava di seguire una ricerca etnografica “pura e dura” su un quartiere specifico e, da persona molto aperta e curiosa quale è, ha accettato volentieri. Il suo interessante lavoro, durato più di un anno, ha visto come campo di ricerca Porta Palazzo, con attenzione agli aspetti legati all’immigrazione, al commercio, e più in generale alle interazioni culturali tra le persone che ogni giorno popolano questo quartiere. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza. D: Ciao Giovanni. Innanzitutto ti chiedo di spiegarci l’origine di questo progetto di ricerca. R: Le basi di questo lavoro erano già state poste al momento della mia tesi di laurea. All’epoca mi stavo laureando a Milano, in Scienze Politiche, e mi interessava occuparmi di immigrazione, spinto da motivazioni abbastanza comuni. Il tema dell’immigrazione si lega a quello della marginalità ed è inoltre estremamente rilevante nell’opinione pubblica. A ciò si aggiungono una serie di buone ragioni personali. Avevo chiesto al prof. Melucci (Sociologia dei movimenti sociali) se era interessato a seguire questo mio progetto, lui ha accettato; ho conosciuto un suo allievo che si occupava di etnografia, Enzo Colombo, e alla fine mi sono laureato con un lavoro che riguardava la situazione degli egiziani a Milano. All’inizio credevo di occuparmi di “comunità”, poi lavorando sul campo, analizzando meglio la situazione, mi sono accorto che questo concetto diventava “spigoloso”, “fuorviante” per la realtà nella quale mi muovevo, e di fatto, quasi senza accorgermene, mi sono trovato a lavorare sull’imprenditorialità etnica e in particolare quella egiziana. Con un’altra sociologa, Ottavia Schmidt di Friedberg,, ho seguito un’altra ricerca, parallelamente a questa, che si concentrava di più sulla sfera marocchina dell’imprenditorialità a Milano. Con lei ho iniziato a lavorare su un mercatino delle pulci gestito quasi interamente da marocchini. Sono entrato in contatto con un gruppo di ricerca europeo che si occupava di queste tematiche e, di fatto, ho iniziato a specializzarmi su questi temi. D: Poi ti sei laureato e sei arrivato a Torino… R: Finita la laurea, ho preparato il dottorato ed è andata bene, perché ho vinto una borsa qui a Torino. Ho colto l’occasione per trasferirmi nuovamente, io sono veneziano, e da Milano sono venuto ad abitare qui a Torino. D: Come hai continuato i tuoi studi sull’immigrazione? R: All’inizio avevo solo una vaga idea di come poter continuare, perché non conoscevo Torino. Poi degli amici mi hanno portato a vedere il mercato di Porta Palazzo. Io ne avevo sentito parlare a Milano a causa dei problemi che c’erano stati tra la popolazione del quartiere, erano arrivate eco di sommosse, comitati di quartiere, e Repubblica aveva dedicato alcune pagine nazionali a questa situazione. Quindi, pur non avendolo mai visto, immaginavo che fosse un quartiere difficile. Sono rimasto positivamente impressionato da questo bellissimo posto, un mercato colorato, profumato, vivace, pieno di gente; D: Come hai costruito il tuo disegno della ricerca? R: Le idee all’inizio erano molto vaghe. Volevo ricostruire la situazione di un quartiere dove i residenti sono arrabbiati per i troppo immigrati, gli immigrati sono considerati da tutti dei “criminali”, e a me piaceva fondamentalmente l'idea di studiare il mercato perché è un posto bellissimo e c’è un continuo e intenso passaggio di persone e di merci, e attraverso le persone e le merci si scambiano anche culture, identità, idee, informazioni, ecc. Quindi il mercato è molto di più di quello che sembra dall’esterno, perché è un luogo dove si produce una socialità particolare. E poi tutto questo mi dava la possibilità di cimentarmi in un’etnografia “vera”, con tutti gli ingredienti essenziali, quindi c’era dietro anche un discorso di mettersi alla prova, che mi piaceva molto. D: La tua tesi presenta un riassunto in lingua francese… R: Sì. Sono andato a Parigi per un anno, durante li dottorato, per “imparare dai francesi”, come dice Bagnasco. Lì c’è una scuola di antropologia urbana e sono andato per studiare i loro lavori, il punto di vista francese su questi temi, e da ciò ne è derivato che la mia tesi è in co-tutela, ovvero sono stato seguito sia da Bagnasco qui in Italia che da un altro Tutor in Francia e quindi ho due titoli di dottorato, uno italiano e l’altro francese. D: Come si è svolta la ricerca sul campo? R: Tornato dalla Francia, ho fatto un anno pieno di ricerca empirica a Porta Palazzo. I risultati sono diversi. Da una parte ho scoperto che esiste una parte di Porta Palazzo che non viene più chiamata così ma Quadrilatero Romano, una zona alla moda, riqualificata, molto carina e cara. Quindi un po’ ho lavorato su questo processo attraverso il quale è stato staccato un pezzo di Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] Porta Palazzo, di storica e più antica immigrazione, e lo si è riqualificato e chiamato in altro modo, guardando ai cambiamenti nelle relazioni sociali che questo ha comportato, alle nuove opportunità di socialità, considerando sempre il ruolo dei commercianti stranieri. Poi ho fatto un lavoro più lungo su Piazza della Repubblica, sul mercato vero e proprio, indagando il tessuto sciale che quotidianamente viene creato in quella zona. Rifacendomi ai lavori di Goffman, ho interpretato il mercato come una grande ribalta sulla quale vengono messe in scena le rappresentazioni commerciali, gli interscambi tra le persone, il cui retroscena si trova a Borgo Dora, la parte che va dalla piazza fino al fiume. Quello è il grande magazzino di ciò che viene venduto al mercato. In particolare, non tanto nei mercati di frutta e verdura di Porta Palazzo, ma in tutti quei mercatini informali, abusivi, che affiancano il più grande e ufficiale mercato. Ci sono per esempio quei capannelli di venditori abusivi di menta, pane, schede telefoniche pre-pagate, ecc. Tutta questa merce passa per Borgo Dora, dove viene conservata in magazzini. Allora mi sono messo a studiare questo sistema di negozi, magazzini, persone che gestivano merci a Borgo Dora. Il risultato di tutto questo lavoro è una tesi, che ha al suo interno tre capitoli che riportano il lavoro empirico fatto sul campo, in cui vengono raccontate queste tre etnografie, il Quadrilatero Romano, il mercato come “scena” e il retroscena di Borgo Dora, le quali si rimandano l’una all’altra. Ci sono persone che sono presenti in due o in tutte e tre le realtà, lo spazio fisico è lo stesso e le interazioni tra i tre mondi sono, ovviamente, molto frequenti e numerose. R i c e r c a S o c i a l e D: Qual è l’idea portante del tuo lavoro? R: Il tema di fondo della tesi è quello che ho chiamato il multiculturalismo quotidiano, cioè la maniera in cui nella vita di tutti i giorni, di fatto si crea un tessuto di incontro multiculturale anche se poi, nella stampa, nelle rappresentazioni dei mass media, viene a galla solo il conflitto, per i soliti motivi che tutti conosciamo di visibilità della notizia e audience. Nella realtà quotidiana, le stesse persone che animano le petizioni, sono in realtà in grado di dialogare e di intrattenere rapporti con le persone che, sulla carta e sui mass media, dovrebbero detestare. Un mio obiettivo era anche quello di vedere se esistessero dei meccanismi facilitatori di questi rapporti. D: E ne hai trovati? R: Il mercato, il commercio, storicamente è connaturato allo scambio, e in questi casi si mettono da parte moltissime differenze. È come se due persone che decidono di scambiare qualcosa, si dicessero «Ora, per il tempo della contrattazione, mettiamo da parte le nostre differenze e portiamo in porto lo scambio». Questo scambio, storicamente, è stato studiato spesso in termini utilitaristici: io voglio una cosa che hai tu, per cui negozio con te per averla, riferendomi più o meno implicitamente ad una mia scala di valori, o di preferenze, che mi aiuta a decidere fino a che punto, in termini economici e di scambio, sono disposto a darti. C’è un aspetto che ha me è piaciuto di più studiare, e Sociologia e Ricerca Sociale 8 che con l’etnografia si può vedere meglio, legato al ludico e al divertimento: la gente va a Porta Palazzo certamente perché Porta Palazzo ha il mercato più economico della città, ma anche perché questo mercato è particolare, puoi divertirti, puoi conoscere persone che altrimenti non conosceresti, partecipare dei giochi come, ad esempio, quello dei reciproci insulti che avvengono tra commercianti e clienti. Il mercato diventa una zona franca, all’interno della quale si possono fare delle cose che non è possibile fare in altre zone della città: ad esempio, il rito, sempre alla Goffman, dell’insulto reciproco. D: In cosa è consistito il lavoro sul campo? R: Il lavoro sul campo consisteva nel seguire alcune persone chiave, alle quali avevo rivelato il lavoro che stavo facendo, e che mi interessavano perché costituivano dei nodi importanti nella rete sociale di Porta Palazzo: soprattutto commercianti, che ho seguito nella loro attività quotidiana. Ho venduto la stampa in un chiosco, ho venduto schede telefoniche nei mercatini informali, menta, borse di plastica, a fianco al mercato vero e proprio; sono stato anche dietro alcuni banchi di amici, osservando dal punto di vista del commerciante le interazioni che si producevano. Inoltre, mi aggiravo nel mercato col registratore e quando assistevo a cose interessanti, facevo delle registrazioni ambientali, oltre che, quando potevo, qualche foto. In particolare mi interessavano i litigi, perché si pensa che il litigio e il conflitto creino distanze e rompano delle relazioni. In realtà, quello che ho osservato, è che occorre condividere la situazione per litigare e occorre un accordo tacito, di sottofondo, affinché questo giocointerazione si riproduca ogni volta, senza particolari danni reciproci, vedendo anzi i clienti tornare il giorno seguente, e gli astanti ridere e partecipare scherzosamente alla scena. Ho svolto anche delle interviste, alcune rivolte a figure chiave della storia del mercato, ad esempio a persone che sono riconosciute dagli altri commercianti come coloro che per primi hanno importato la menta qui a Porta Palazzo, e che per questo costituiscono anche la memoria di questo luogo; altre interviste più estemporanee o addirittura autosomministrate da persone che, dopo avermi conosciuto meglio ed aver capito che non ero né della polizia né un giornalista, hanno deciso di raccontarmi le loro storie, quasi strappandomi il registratore di mano e iniziando a descrivere le loro vicende. D: Hai incontrato delle difficoltà? R: L’etnografia sembra una cosa molto difficile, soprattutto all’inizio, perché non ti conoscono, non sanno cosa vuoi, ti guardano con diffidenza. Ma dopo un po’ che stai lì, che iniziano a conoscerti, e che capiscono che tu sei veramente interessato a sapere cosa pensano loro, e non a cercare una più o meno plausibile verità nascosta, allora molto spesso le persone si sentono più libere di parlare. D: Quali prodotti hai creato in questo periodo di ricerca? R: I documenti su cui si basa la ricerca sono le note di campo, le trascrizioni delle mie giornate a Porta Palazzo, Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] che sono anche contaminate da tutti i sentimenti e le emozioni che io ho provato nel corso di questa ricerca, e le interviste sbobinate. A monte di questo lavoro, c’è una ricerca su dati secondari, reperiti ad esempio all’anagrafe, per farmi una prima idea della composizione socio-culturale del quartiere, dei flussi di immigrazione, e soprattutto dei trend demografici, per capire le modificazioni nella composizione della popolazione della zona. D: Ti sarai fatto anche un sacco di amici… R: Sì. Vedi, la differenza principale tra le tecniche quantitative e le tecniche qualitative come l’etnografia è che le tecniche qualitative ti mettono a contatto con le persone che poi diventano gli oggetti della tua analisi. Il risultato è che ti fai un sacco di amici, impari molte cose, ad esempio io ho migliorato il mio arabo e ho appreso le basi del dialetto marocchino, e più in generale aumenti i tuoi skill, le tue conoscenze, che poi potranno essere impiegate in molti modi diversi, al di fuori della ricerca, affinate, lasciate cadere, coltivate. L’etnografia ti insegna ad entrare in rapporto con le persone. Io ad esempio ho imparato molto da una cosa: ero convinto che avrei avuto dei problemi ad entrare in contatto con i marocchini, perché da un lato sono il gruppo più stigmatizzato di Torino, dall’altro effettivamente molti di loro sono all’interno di settori illegali, quindi l’idea era che, in queste condizioni, avrei avuto difficoltà a farmi accettare da loro. È successo esattamente il contrario: ho avuto una facilità di ingresso e di rapporto con i marocchini che non è paragonabile alle ritrosie degli italiani, molto più dì timorosi e preoccupati di quello che volevo sapere da loro. Quindi, una prima cosa che ho appreso è che spesso entrare in contatto con le persone non dipende tanto da quello che fanno ma dal contesto nel quale entri in rapporto con loro. E questo mi ha portato a riflettere, retrospettivamente, su un tema che inizia a starmi particolarmente a cuore. 9 fenomeno e di risoluzione dei problemi che portano a tali situazioni. Da un altro punto di vista, nessuno mi toglie di testa che studiare la massoneria, o il Rotary Club, o la Confindustria, o altri fenomeni di questo genere, sia molto più difficile, perché il potere che hanno di rifiutare le tue richieste e di chiuderti l’accesso da un momento all’altro è così elevato che di fatto rende impossibile una ricerca approfondita. D: Parli di questo lavoro con molto trasporto… R: Sì, è stato faticoso ma soprattutto molto divertente. Tempo fa ho conosciuto Becker, il sociologo americano, e gli ho chiesto una buona ragione per fare ricerca etnografica, lui mi ha risposto «just fun», solo divertimento. Si fa ricerca sociale, in particolare quella qualitativa, se ci si diverte, se hai delle buone ragioni personali, e se ti piace stare con gli altri, a studiare la gente. Altrimenti diventa un incubo: stare con delle persone che non hai scelto di conoscere, o che magari trovi sgradevoli, noiose, o che senti lontane da te, in questo caso diventa difficile fare ricerca. Io mi sono proprio divertito. Ho passato per esempio alcune notti a vendere menta, scappando quando arrivava la polizia e facendo altre cose divertenti. Certo, torna il discorso dei rapporti di potere: io potevo divertirmi perché tanto avevo la mia carta d’identità, potevo mostrare il tesserino dell’Università ed ero a posto, mentre i miei amici si divertivano meno. Però, ripeto, la motivazione principale che spinge a fare ricerca è il piacere di stare tra e con la gente e di divertirsi ad osservarne i comportamenti. Credo che la sociologia la si faccia forse e soprattutto un po’ per sé, poi certamente anche per dare dei risultati e per aumentare le conoscenze intorno a certi fenomeni, ma la componente di divertimento e piacere è molto presente e importante. R i c e r c a S o c i a l e D: Ce ne parli? R: Sono i rapporti di potere che si instaurano tra le persone, in base al loro status e, appunto, al contesto nel quale si opera. Io, italiano, studente, laureato, bianco, borghese, ecc., non ho molto potere su uno di pari estrazione sociale o che comunque ha la cittadinanza italiana da molte generazioni. Questi mi può dire che non gli interessa parlare con me e la cosa si chiude lì, senza che io abbia molte armi per tornare alla carica. Mentre una persona che è magari in stato di clandestinità, che può avere bisogno di qualcuno che lo aiuti a tradurre le cose, documenti o quant’altro, dall’italiano, e che è oggetto di fenomeni di esclusione sociale a diversi livelli, di fatto, volente o nolente, è più “debole” di quanto lo possa essere io. Quindi, si ha maggior accesso alla sua persona, alla sua individualità. Se vogliamo guardare questo discorso in termini più generale, la maggior parte delle etnografie pubblicate in Europa si occupa di poveri, marginali, devianti. C’è una spiegazione un po’ tautologica, che giustifica questi studi dicendo che i devianti, i marginali costituiscono un problema sociale, un peso sociale e per questo vanno studiati e vanno adottate misure di contenimento del Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] Professione Student e Professione Studente 10 Superare l’esame di Sociologia: i consigli del docente e degli studenti. Intervista Luigi Berzano vogliono far propri i concetti afD: Professor Berzano, quali sono frontati e soprattutto ricevere dai le caratteristiche del suo corso? corsi universitari non solo gli eleLuigi Berzano insegna Sociologia al R: Il corso di Sociologia, essendo menti strettamente correlati Corso di Laurea in Sociologia e un corso al primo semestre e apparall’esame, ma anche quella sensiRicerca Sociale. tenendo al primo anno, non può che bilità e quella capacità di analisi essere un corso propedeutico a tutte dei problemi che verrà poi chiesta le altre discipline sociologiche. Per Gli abbiamo chiesto di dare alcuni loro negli esami più specialistici. cui, le finalità del “contratto” con gli consigli agli studenti per affrontare studenti sono quelle di portare lo al meglio il suo esame. Ecco la sua D: Come vanno le cose nel suo studente ad apprendere il linguaggio corso? opinione. sociologico, ad essere in grado di R: Purtroppo è difficile ottenere leggere un libro di sociologia o una questo dagli studenti, anche a ricerca, ed eventualmente anche a progettare un caso causa di due ordini di problemi: da un lato la frequenza di ricerca. saltuaria e dall’altro l’elevato numero degli studenti. Ma credo che, proprio per questi due vincoli oggettivi gli D: Cosa intende per “linguaggio sociologico”? studenti dovrebbero coinvolgersi più seriamente e R: La sociologia, come tutte le scienze, ha un suo richiedere ai docenti di fare lo stesso. Occorre fare lessico o meglio, un suo linguaggio. Io lo intendo come un’opera di sensibilizzazione sia tra gli studenti sia tra i un insieme di concetti, di teorie e di tecniche di analisi. docenti al fine di rendersi conto che, sia che si frequenti Le “parole” diventano “concetti” quando si trovano assiduamente, sia che si saltino o seguano poco le all’interno di modelli interpretativi. Quindi un insieme di lezioni, l’instaurare un più intenso rapporto interattivo e concetti come insieme di modelli interpretativi. Il dialettico col docente comporta un innalzamento della secondo ambito del corso comprende, quindi, la qualità delle lezioni, un miglior apprendimento e un presentazione dei principali paradigmi, cioè, delle suole clima di lavoro stimolante per tutti. sociologiche. Qui l’obiettivo è di portare gli studenti a Da parte mia, per sollecitare questo rapporto interattivo comprendere, a grandi linee, dove si può collocare una con gli studenti, cerco di dare tutti gli strumenti per certa ricerca, se all’interno di un paradigma rigidamente rendermi reperibile, e quindi certamente la posta funzionalista o un paradigma fenomenologico, per elettronica, che è più frequentata dell’orario di esempio. Fin qui lo studente viene familiarizzato alle ricevimento ma comunque troppo poco per il discorso prime due generali dimensioni della sociologia, come di che stiamo facendo, ma anche il numero di cellulare: ogni scienza: cioè la dimensione teorica e la dimensione sono rari però gli studenti che lo usano. pratica. Ma esiste una terza dimensione: quella della spendibilità della sociologia, cioè della sua utilità sociale. D: Quei pochi che la contattano, cosa le chiedono? E’ qui che gli studenti più perspicaci “drizzano le R: Soprattutto informazioni di natura organizzativa e orecchie” quando riescono a percepire che quello che gestionale. Raramente si discute di un tema o di un stanno acquisendo può avere un’utilità pratica e che gli approfondimento, o ancora di qualcosa di poco chiaro e servirà anche per il lavoro e la professione in molteplici che si desidera capire meglio. campi, quali quello dei media o della produzione L’interazione che ho in mente dovrebbe rendere il culturale, per esempio. Ritengo che questa terza rapporto tra docenti e studenti un po’ più friendly , dimensione non sia né ovvia né scontata, quasi che amichevole, come nello stile dei campus inglesi, cosa l’utilità sociale della sociologia non fosse o non rarissima da noi. Dovremmo cercare di far crescere equivalesse alla sua stessa legittimazione e che il l’ambiente tipico dell’università campus, dove il docente riscontro pratico dell’agire scientifico non avesse è a disposizione non soltanto per sostenere l’esame, ma significative ricadute sull’identità stessa della per molte altre cose, come attività di ricerca, laboratori, conoscenza scientifica. Già Comte credeva che lo studio seminari, ecc. scientifico della società dovesse fornire le basi per un’azione sociale pianificata. D: Su cosa possono puntare gli studenti per avere successo in questo esame? R: Ritengo che, soprattutto per un corso del triennio, sia molto importante il rapporto diretto e interattivo con il docente. Interagire col docente, sia durante le lezioni sia sfruttando l’orario di ricevimento, è fondamentale per studenti che si affacciano per la prima volta ad un corso universitario, e rimane importantissimo anche per gli anni a seguire. Possibili dubbi, leciti e direi inevitabili in ogni corso che si frequenta, richiesta di approfondimenti per interessi personali, o verifiche periodiche di ciò che si è compreso fino ad un certo punto, sono aspetti indispensabili se gli studenti Quindi direi che un grande punto rimane l’impegno, da parte di tutti, di ricostruire dei rapporti interattivi, in cui docenti e studenti facciano delle cose insieme. D: Qualche suggerimento? R: Nello scorso anno, ad esempio, si è tentano con gli studenti di Servizio Sociale, di far uscire una Newsletter, cinque o sei numeri, gestita totalmente dagli studenti. Direi quindi che questo è uno degli impegni sui quali investire, senza però pensare che sia una responsabilità esclusiva dei docenti: gli studenti devono farsi coinvolgere, perché da ciò possono nascere iterazioni creative e utili a tutta la comunità. Gli studenti Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] 11 dovrebbero capire che l’utilità dell’università non è più soltanto il pezzo di carta, la laurea, ma anche l’acquisizione di capacità operative, del “saper fare”, e ciò può avvenire solo attraverso un maggior coinvolgimento, una maggiore voglia di mettersi in discussione e confrontarsi con gli altri, guardano alla comunità universitaria come ad un unico, formato da docenti e studenti. Ovviamente può capitare di fare esperienza di alcuni docenti che sono particolarmente impegnati, o che magari preferiscono una maggior riservatezza. Quindi utilizzare molto l’orario di ricevimento, che può anche essere raddoppiato se un docente vede che col suo orario riesce a soddisfare solo parte della richiesta degli studenti. Direi che dentro l’Università, oltre alla didattica, c’è un grande capitale sociale, che non sempre viene utilmente sfruttato da tutti gli studenti. Le risposte istituzionali sono le ore di lezione e poi però ci sono le molte iniziative, i laboratori autogestiti, le ricerche, i bandi di concorso, i vari progetti, ecc. Solo gli studenti che approfittano di questo capitale sociale scoprono che la sociologia produce conoscenze predisposte a misurarsi col mondo della vita, a confrontarsi con i social problems, a dar conto di sé sul paino del proprio impatto sociale. Ripeto la spendibilità del sapere sociologico, che non può che essere concepito quale componente costitutivo dell’identità di ogni scienza che non sia chiusa in una torre d’avorio e che non si lavi le mani di fronte al dipanarsi della vita. Alcune sono specifiche su determinati argomenti, altre servono a connettere i temi trattati tra di loro, aiutando anche in questo modo lo studente a capire quale tipo di preparazione gli sarà richiesta. Ho l’impressione che questo strumento non sia usato da tutti. Probabilmente, non tutti guardano il sito, soprattutto chi frequenta poco o per nulla. L’interrogazione dura, in media, un quarto d’ora, facendo quattro domande, scelte tra le 99. E’ sufficiente per capire se uno studente sa le cose e sa connetterle. Il corso, come detto, ha una finalità ampiamente introduttive, e cerca di socializzare lo studente al linguaggio della ricerca sociale, alle teorie presenti nella storia della sociologia e a quei concetti di base di cui abbiamo detto sopra. Lo studente deve quindi dimostrare di essere in grado di padroneggiare le teorie affrontate, connetterle le une alle altre per similitudini e differenze, e conoscere i principali strumenti metodologici a disposizione. Deve, in una parola, iniziare a costruire la famosa “cassetta degli attrezzi”, che poi gli tornerà utile per gli esami, di sociologia successivi. Voglio sottolineare ancora il rigore con il quale viene condotto l’esame. Allo studente viene chiesta non solo una buona preparazione sui testi e sugli argomenti affrontati durante il corso, ma anche proprietà di linguaggio e uso corretto della lingua italiana. D: Veniamo all’esame vero e proprio… R: Quest’anno ho messo sul sito, verso la fine del corso, 99 domande, questioni, che riassumono tutto il corso, e che sono molto specifiche. Hanno l’obiettivo di aiutare lo studente a farsi strada tra i concetti, le teorie e le metodologie affrontate durante il corso, ma anche guidare la preparazione dell’orale, che verterà proprio su queste domande. P r o f e s s i o n e S t u d e n t e Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] Professione Student e Professione Studente 12 Intervista a Simona D: Quindi, come volume di D: Com’è andata la giornata lavoro richiesto dai tre corsi, Simona e Silvia hanno sostenuto dell’esame? sei riuscita a gestirti bene… con successo (rispettivamente 28 e R: Beh, prima dell’esame provavo la R: Sì, almeno spero. 30) l’esame di Sociologia del prof. solita ansia, anche se ero una delle Berzano. Sono al primo anno di prime per cui è andata abbastanza D: Hai anche sfruttato i bene. Al momento dell’interrogazione Sociologia e Ricerca Sociale e materiali pubblicati on line? vera e propria, all’inizio, alla prima abbiamo chiesto loro di dirci come R: Sì. Sul sito ci sono le domanda, devo dire che ero ancora si sono preparate per questo esame domande-guida e le dispense del molto agitata, nel senso che sapevo e se hanno dei suggerimenti da corso, anche se il professore le di aver studiato, ma non sono riuscidistribuisce in classe, per cui io dare agli altri studenti. ta a rispondere come avrei potuto non le ho scaricate da Internet. fare se fossi stata più tranquilla. Ho consultato di più il sito di Dopo la prima domanda, mi sono tranquillizzata, anche Statistica, per i vecchi compiti e gli esercizi. perché Berzano e gli altri docenti hanno iniziato a parlare a loro volta e mi hanno messo un po’ più a mio D: Durante la preparazione dei testi, hai agio, e le cose poi sono andate bene. Sulle altre incontrato difficoltà specifiche, parti difficili, cose domande mi sono sentita più sicura e sono riuscita a sulle quali ti sei dovuta soffermare un po’ di più? rendere bene la mia preparazione. R: Sinceramente non molte. Ho avuto qualche problema D: È durato molto l’esame? Quante domande ti hanno fatto? R: Mi hanno fatto quattro o cinque domande. D: Come hai preparato questo esame? R: Prima di tutto, ho frequentato il corso, e secondo me è molto importante farlo perché così ti puoi fare un’idea più precisa degli argomenti più toccati dal docente. Inoltre sui testi c’è sempre molto di più di quello che viene trattato a lezione, per cui riesci anche a capire su quali parti del programma focalizzare l’attenzione. Poi, durante il corso, nei giorni di pausa dalle lezioni, riordinavo gli appunti, copiandoli in bella, visto che non sono molto ordinata, e questo ha costituito un ulteriore aiuto. Ho iniziato anche a guardare i testi, per cercare di seguire in parallelo le lezioni e il programma d’esame, e ho iniziato a studiare bene dalle vacanze di Natale. D: Come hai affrontato i testi? R: Ho iniziato a leggerli durante il corso, come ti ho detto, e poi li ho letti con più attenzione, sottolineando i concetti chiave, facendo dei riassunti. Gli ultimi giorni ho ripassato il tutto, anche ad alta voce. Io ho l’abitudine di farlo: ti porta via un po’ di tempo, ma lo trovo molto utile perché almeno ti puoi rendere conto se hai appreso e fatti tuoi i concetti e se riesci a spiegarli bene e a passare dall’uno all’altro con nessi logici. D: Come hai trovato il carico di lavoro, soprattutto in termini di pagine da studiare? R: Non li ho trovati molto difficili, forse anche perché il professor Berzano ci ha dato una serie di domande che seguivano i testi, li riassumevano in punti chiave, e questo ha reso più semplice seguire il corso e studiare i testi. Ho trovato che il programma fosse gestibile, che non fosse eccessivamente lungo o complesso. D: Tu punti a dare tre esami in questo semestre? R: Sì. con i primi due capitoli del testo di Berzano, li ho trovati molto densi, pieni di nomi e di concetti, molte cose da imparare senza riuscire a farsi un’idea precisa dell’autore. Poi però la cosa si è chiarificata, perché nei capitoli successivi tutte queste teorie presentate in modo molto riassuntivo nei primi due capitoli venivano riprese, ampliate e spiegate più a fondo. D: E l’idea editoriale del libro di Berzano circa l’ipertesto? R: A me è risultata utile. Nelle pagine di sinistra trovi i concetti fondamentali, mentre sulla destra trovi gli approfondimenti. È utile, perché puoi concentrarti sui temi principali e, quando vuoi approfondire o non capisci una cosa o non conosci un termine, puoi trovare nelle pagine di destra una spiegazione più dettagliata. Non ho letto tutto l’ipertesto, ma quando ho avuto bisogno di approfondire, ho avuto i supporti per farlo. D: Hai preparato l’esame da sola o ti sei confrontata con altri studenti? R: Io sono abituata a studiare da sola, anche perché altrimenti tendo a distrarmi molto facilmente. D: Incontrassi un tuo ex compagno di scuola, indeciso sulla Facoltà da intraprendere, cosa gli diresti di Sociologia e Ricerca Sociale? R: Io sono molto entusiasta del mio Corso di Laurea, e ho trovato molto interessante il corso di Berzano anche perché mi sono iscritta per studiare Sociologia e ho trovato in questo corso riscontri positivi. Ho trovato solo qualche difficoltà iniziale, più che altro legata agli aspetti amministrativi e burocratici, ma credo che questo faccia parte del gioco, un po’ ovunque ci sono difficoltà di questo tipo: occorre sapersi arrangiare e non lasciarsi scoraggiare da queste cose. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] 13 Intervista a Silvia D: Complimenti per il trenta! R: Grazie. D: È stata dura? R: No, anzi, devo ringraziare i professori perché mi hanno subito messa a mio agio, per cui, più che sotto esame, mi sembrava di parlare di sociologia con altre persone. Le domande, poi, erano molto aderenti al programma, per cui non mi sono mai sentita in difficoltà, perché magari mi si chiedeva qualcosa che non avevamo affrontato o che non era strettamente inerente il programma. D: Dicci come hai studiato, come ti sei preparata… R: Ho frequentato, e credo che sia una cosa molto buona farlo, anche perché, comunque, dei concetti in testa ti rimangono già solo ascoltando le lezioni. Poi prendere appunti è un’altra cosa importante, e studiare passo per passo: questo credo sia fondamentale, almeno a me è servito tantissimo. Lasciarsi tutto al fondo non credo sia positivo, anche perché il programma è abbastanza lungo. Consultare i testi durante le lezioni ti dà anche la possibilità di capire se hai capito, e quindi chiedere al professore di spiegarti le cose che sono meno chiare. D: Questo approccio, sei riuscita a mantenerlo anche con gli altri corsi che hai seguito? R: Sì, anche perché essendo concentrati nei primi tre giorni della settimana, avevo il resto della settimana per sistemare gli appunti e guardare i testi. P r o f e s s i o n e S t u d e n t e D: Hai preso trenta, per cui tutto è andato per il meglio; ma se dovessi ridare l’esame, c’è qualcosa che non rifaresti o che faresti diversamente? R: Forse approfondirei meglio le connessioni tra i diversi argomenti. In effetti sono tutti argomenti legati tra loro, ma quando studi si tende a studiare un capitolo, poi quello successivo, e così via per tutti i testi. Forse sarebbe meglio allenarsi a fare un discorso unico, avere un inquadramento generale che ti consente di vedere i rapporti tra gli argomenti trattati. D: E qualcosa che è andata proprio bene, per cui la rifaresti certamente? R: A parte studiare volta per volta, io uso molto la ripetizione ad alta voce delle cose, perché mi serve per vedere se ho tutto chiaro, se ci sono dei dubbi o delle cose che non ho capito molto bene. Ma il consiglio più spassionato è quello che dicevo già prima: non lasciarsi tutto al fondo, perché altrimenti le cose si fanno di fretta, si accavallano alle cose da preparare per gli altri esami e si rischia di fare confusione, oltre a non avere il tempo di approfondire i vari temi. D: E il giorno dell’esame? R: Beh, credo sia inutile ripassate febbrilmente tutto il programma, tanto quello che si è fatto si è fatto, e non sono certo quei pochi minuti che risolvono la situazione. Io, anche il giorno prima tendo a lasciare le cose da parte, perché trovo che poi si crea confusione. Quindi andare lì calmi, pensare che si è studiato e che le cose si sanno, e giocarsela al meglio. Credo anche che sia utile stare tranquilli al momento delle domande, ragionare su quello che ti viene chiesto e pensare alla risposta, prima di iniziare a parlare. Poi ragionando, magari si dice anche qualcosa di sbagliato, ma se si riesce a fare un discorso compiuto, e si esprimono chiaramente i concetti appresi, l’esame va’ certamente bene. D: Berzano mette sul sito dei materiali che hai consultato? R: Per quanto mi riguarda no, perché i materiali che ci sono sul sito vengono anche distribuiti a lezione, per cui li ho avuti lì. Le 99 domande sono state fondamentali: non è che il professore toglieva delle parti di programma, però era diverso avere una guida da seguire invece che affrontare da soli tutto il programma. Ti aiutano a capire su cosa concentrarsi: magari su venti pagine, pur dovendole studiare tutte, le domande ti chiedevano di concentrarti su determinati passaggi chiave. Anche l’ipertesto è stato molto utile. Non ho studiato tutte le pagine, però sono molto utili magari per collocare i vari argomenti. Si parla di un autore e, con l’ipertesto, si possono approfondire le notizie che lo riguardano, oppure si passa oltre, rimanendo concentrati sul testo principale, per poi tornare agli approfondimenti in un secondo momento. Ragazzi! Vi riassumiamo la situazione delle iscrizioni al Focus Group che varrà condotto giovedì 26 o venerdì 27 febbraio (sceglieremo la data più “gettonata”). Parleremo dei punti di forza e di debolezza Del Corso di Laurea in SRS: ci conosceremo, potrete dire la vostra, e cercheremo insieme dei suggerimenti da dare ai docenti. - Resta inteso che al Focus Group saranno presenti solo studenti Siamo pochi (ma buoni)! Per cui iscrivetevi numerosi! Ciao. Giovedì 26 febbraio Venerdì 27 febbraio Alessia Luana Arianna Eloïse Alessia Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Rice rca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] Professione Sociologo Professione Sociologo 14 Intervista a Chiara Saraceno dichiarano il numero di dottorandi per i quali hanno la disponibilità in termini di risorse di docenza e Chiara Saraceno è docente di di servizi. Occorre avere le Sociologia della famiglia e possibilità di farsi carico di questi coordinatrice del Dottorato di dottorandi, sia dal punto di vista Ricerca. della formazione sia da quello L’abbiamo intervistata per farci logistico, legato agli spazi in raccontare cosa sia il Dottorato di dipartimento. L’obiettivo è quello Ricerca e come funziona. di far sì che i dottorandi siano nelle migliori condizioni per D: Questo Dottorato si chiama lavorare. All’inizio i posti erano Ricerca Sociale Comparata, dieci, cinque con borsa e cinque questo significa che possono accedervi solo senza; poi ci siamo stabilizzati sui cinque-sei posti laureati in Sociologia? disponibili all’anno. Nel ciclo iniziato quest’anno R: Non esistono grossi vincoli sul tipo di laurea per abbiamo cinque dottorandi con borsa ed uno senza. Il l’accesso. I criteri di selezione, sia formali che nella numero delle borse è deciso dalla sede centrale, sulla pratica, sono criteri di competenza, nel senso che le base del numero messo a disposizione dal Ministero e persone che aspirano ad essere prese nel dottorato degli equilibri disciplinari. Il numero può essere devono avere una buona conoscenza di base della aumentato accedendo a risorse ulteriori, anche esterne. sociologia, dei suoi approcci fondamentali, delle sue Quest’anno, ad esempio, il dottorato ha ottenuto una concettualizzazioni principali. Non devono essere borsa aggiuntiva dall’ISASUT. totalmente digiuni o aver seguito solo pochi corsi di Sociologia. Se non hanno un minimo di conoscenze e D: In cosa consiste il concorso per l’accesso? competenze di base, maturate con lo studio e la R: Il concorso si basa su una prova scritta ed una orale. riflessione, diventa difficile accedere a questo dottorato, I temi della prova scritta, estratti casualmente da un anche perché in un dottorato non è possibile pensare di numero più ampio preparato dalla commissione ricominciare da capo nel trasmettere le competenze esaminatrice, non sono troppo specialistici. Hanno basilari. l’obiettivo di indagare la capacità dei candidati di D: Professoressa Saraceno, può descriverci brevemente cos’è il Dottorato? R: Il dottorato di ricerca costituisce, dalla riforma in poi, il terzo livello della formazione universitaria. Vi si accede con la vecchia laurea quadriennale e con l’attuale specialistica. D: Quindi, nella pratica, cosa viene richiesto ai candidati? R: Come ho detto prima, devono possedere le conoscenze di base in sociologia: concettualizzazioni, approcci teorici principali. Devono inoltre avere un minimo di competenza nella lettura dei dati quantitativi, essere in grado di leggere delle tabelle a doppia entrata, e analizzare altri aspetti metodologici di base. Nessuno chiede una sofisticata conoscenza sociologica, ma occorrono competenze di base anche dei principali strumenti metodologici. Noi diamo una formazione base sia nella metodologia quantitativa sia in quella qualitativa, indipendentemente dalle opzioni individuali della propria ricerca di dottorato. Al di là, quindi, dei metodi più frequentati in ragione dei propri interessi e delle proprie ricerche, occorre che un dottorando conosca le metodologie e gli strumenti usati nella ricerca sociale, al fine di saper leggere e interpretare correttamente ricerche ed esperienze anche distanti dalla propria. D: Quanto dura un dottorato? R: Come la maggioranza dei dottorati, anche questo dura tre anni. Il termine è vincolante. È possibile ottenere una proroga di un anno sulla base di motivazioni specifiche: particolare complessità della ricerca di tesi, gravidanza, malattia. D: Come regolate le entrate, i numeri di dottorandi che potrete seguire? R: Al dottorato si accede per concorso. Per ogni nuovo ciclo che si vuole attivare, il collegio e il dipartimento muoversi tra i diversi approcci sociologici e di maneggiare i concetti e le teorie principali della conoscenza sociologica. Quando gli interessati mi chiedono come possono prepararsi, rispondo che è opportuno avere una buona conoscenza di un buon manuale di base e di altri testi di sociologia generale avanzati, oltre a una preparazione più approfondita nel proprio campo di elezione. Gli elaborati sono corretti e valutati in forma anonima. Solo al termine della valutazione ciascun tema viene collegato al suo autore. Si è ammessi all’orale solo se si raggiunge almeno il punteggio di 40/60. L’orale serve a conoscere di persona il candidato ed è inteso a valutarne le competenze sul piano metodologico, sulla capacità di lettura dei dati e sulle possibilità di seguire e perseguire i propri progetti. E’ anche una occasione per conoscere i progetti e gli interessi del candidato/a. Anche per l’orale occorre raggiungere almeno i 40/60. Sulla base della somma dei due punteggi si forma la graduatoria. D: A cosa serve fare il dottorato e avere questo titolo? R: Il titolo di dottore è sì il primo gradino della carriera accademica, ormai quasi più nessuno dà un concorso per ricercatore senza aver fatto il dottorato, però non apre automaticamente la carriera accademica, perché i posti da ricercatore sono sempre limitati. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] 15 Da qualche anno è esplicitato che il titolo di dottore è diventato spendibile anche sul mercato esterno. Uno dei criteri di valutazione dei dottorati da parte del Ministero e dei valutatori esterni è il numero di dottori che si collocano nel mercato del lavoro esterno all’università. Questa è una cosa importante e anche impegnativa per noi, perché ci costringe a formare persone che siano in grado di rimanere a fare ricerca nell’ambiente accademico ma anche persone che entreranno con competenza di ricerca o altro in aziende pubbliche o private, ove le logiche e i bisogni sono diverse. nelle cose che vengono dette su questo fenomeno, ed è anche la sola strategia adottabile per comprendere che cosa avviene con processi di globalizzazione. Ovviamente, non sto sostenendo che solo chi fa ricerca comparativa fa buona ricerca; ma la competenza comparativa è uno degli obiettivi che noi vogliamo perseguire con il dottorato, che non a caso si intitola Ricerca Sociale Comparata. Questo deve quindi risultare chiaro ai candidati, ai quali verrà chiesto, in modo sempre più esplicito nel corso del dottorato, di adottare questa prospettiva. D: Può spiegarci a grandi linee le differenze? R: Tra ricerca sociologia accademica e ricerca sociale “camerale”, per citare Boudon, ovvero applicata, le differenze non sono certo nel rigore che il ricercatore adotta durante il suo lavoro, tanto meno nella libertà che esso ha nel suo lavoro. La differenza più grande risiede nel fatto che il mercato esterno pone delle domande al ricercatore, a volte anche molto precise, aspettandosi delle risposte, a volte delle soluzioni. Un buon ricercatore sa che è difficile riuscire a considerare tutti gli aspetti di un problema in modo da fornire spiegazioni causali o addirittura soluzioni definitive, ma deve anche essere in grado di interpretare le richieste che il committente gli sottopone, guidare le domande conoscitive e le aspettative che il mercato pretende da lui, e fornire strumenti, metodologie e strategie utilmente applicabili alla realtà in esame. Sto pensando alla ricerca policy oriented, quella, per intenderci, che alla fine deve produrre piani d’azione che perseguano determinati fini. Inoltre, i tempi sono importanti, perché spesso le decisioni vanno prese in breve tempo, per cui una ricerca policy oriented si deve confrontare anche D: Come sono organizzati i tre anni di dottorato? R: Esistono quattro distinti percorsi, che partono dalla formazione del primo anno. Il primo è dedicato alle questioni della socializzazione, dei modelli di formazione dell’identità e, più indirettamente alla formazione e trasmissione di valori e al multiculturalismo. Il secondo, sdoppiatosi negli ultimi anni, prevede un curriculum più orientato alle tematiche organizzative e l’altro ai modelli di sviluppo locale. L’ultimo è incentrato sulle disuguaglianze culturali, sociali, di genere, ecc. e sulla loro riproduzione, considerando anche i temi legati alle politiche sociali e al welfare. Accanto a questi curricula, di tipo più sostantivo, da sempre abbiamo avuto un’attenzione trasversale per la formazione metodologica e negli ultimi anni abbiamo ulteriormente arricchito il curriculum, con grande attenzione sia alle metodologie e tecniche quantitative che a quelle qualitative. A questa didattica di base si aggiungono altre due attività didattiche: quelli che abbiamo chiamato laboratori, ovvero la presentazione delle attività di ricerca del Dipartimento, in modo che i dottorandi vedano una ricerca nel suo farsi, e possano essere coinvolti, se lo desiderano, in gruppi di ricerca che potrebbero essere anche quelli all’interno dei quali sviluppano i loro progetti di tesi; incontri su temi teorici che integrano quelli più specialistici dei moduli. A questi incontri spesso vengono invitati come docenti persone esterne sia al collegio che alla stessa università di Torino, con particolare riguardo a docenti stranieri. I dottorandi, oltre a frequentare queste attività con regolarità, entro la fine del primo anno devono preparare un progetto di tesi, che va approvato dal collegio, e alcuni paper sui temi affrontati nella attività didattica. Una cosa importante che ci prefiggiamo è la creazione di una vera e propria comunità scientifica di giovani studiosi che si confrontano tra di loro e con altri studiosi, dentro e fuori al dottorato. P r o f e s s i o n e S o c i o l o g o con questo aspetto. Anche la ricerca svolta in ambito accademico, a mio modo di vedere, si deve porre problemi di fruibilità e utilità “sociale”. Tuttavia ha compiti meno descrittivi e viceversa ha maggiori responsabilità nella individuazione dei meccanismi e anche nella evidenziazione dei limiti, degli scarti, nel passaggio dalla ricerca alla decisione – aziendale o politica. La capacità critica di leggere i fenomeni e poi studiare strategie di ricerca conoscitiva, ideare disegni di ricerca appropriati ai fini del lavoro, e produrre risultati utili seppur con la consapevolezza che molto ancora va indagato e studiato, queste sono le competenze e capacità di base che, a mio modo di vedere, ogni ricercatore sociale deve sviluppare, indipendentemente dagli ambiti nei quali svolge il proprio lavoro. Quindi, col dottorato, cerchiamo di formare ricercatori sociali di alto livello, capaci non solo di fare ricerca ma anche di individuare i problemi della ricerca. D: Perché la Ricerca sociale del titolo del dottorato è “Comparata”? R: L’ambizione di questo dottorato, ancora solo parzialmente realizzata, è quella di formare dei ricercatori con un forte orientamento comparativo: credo che questo approccio abbia grandi potenzialità di conoscenza. Inoltre questa è una prospettiva di ricerca che nel resto dell’Europa è molto perseguita. È assurdo parlare di globalizzazione senza studiare i fenomeni sociali in ottica comparativa, che è la sola che ci può aiutare a capire cosa c’è di vero e cosa c’è di non vero D: Dopo il primo anno, cosa succede? R: Il secondo e il terzo anno sono dedicati più al lavoro della tesi, sotto la supervisione di un tutor. La didattica è affidata a cicli di seminar. Il lavoro si svolge quindi in stretto rapporto col tutor, il quale viene individuato dal Collegio a seconda delle caratteristiche del progetto di tesi, ma anche col discussant, non da intendersi come un contro-relatore che con sguardo critico giudica il lavoro del dottorando, ma più come una seconda guida, come una ulteriore possibilità di confronto e di approfondimento che il dottorando ha a disposizione. Sempre seguendo quest’impostazione, una regola vuole che non si abbia come tutor il docente col quale si è Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] 16 preparata la tesi di laurea; questo perché crediamo che comunque sia, se lo studente ha trovato un “maestro” nel suo relatore, questi continuerà ad essere un punto di riferimento per lui/lei, e l’avere un altro tutor allarga il raggio dei riferimenti intellettuali. Il passaggio al terzo anno è definito in base alla valutazione ed approvazione dello stato dei lavori del dottorando. D: Parlando con alcuni dottorandi, mi hanno raccontato dei loro periodi all’estero e delle loro tesi in cotutela: di cosa si tratta? R: In generale, col dottorato ci sono molte possibilità di andare all’esterno per periodi più o meno lunghi di studio, vuoi per partecipare a gruppi di ricerca con i quali il nostro Dipartimento è in costante contatto, vuoi, inoltre, per approfondire le conoscenze su settori che potrebbero essere maggiormente sviluppati all’estero. Noi consigliamo caldamente ai nostri dottorandi di partire; anzi io farei come in altri Paesi europei, dove il soggiorno all’estero è obbligatorio, perché costituisce una grande opportunità di crescita e apprendimento, alla quale nessuno dovrebbe rinunciare. I borsisti, inoltre, si vedono riconoscere anche una maggiorazione della borsa, per il periodo che trascorrono all’estero. Nella stessa direzione vanno le tesi in co-tutela: il dottorando svolge il suo lavoro di ricerca sia con un tutor italiano sia con uno straniero, in una università che lo accetta a sua volta come dottorando e presso la quale questi deve passare almeno sei mesi. Con la cotutela, che è un vero e proprio contratto tra due università e due dottorati relativamente ad uno specifico dottorando/a, questi consegue il titolo di dottore in entrambe le università e paesi. Nonostante il dottorato torinese in ricerca sociale comparata sia relativamente nuovo (è appena terminato il suo primo ciclo), abbiamo già un bel gruppetto di cotutele. P r o f e s s i o n e S o c i o l o g o Segnaliamo un’iniziativa nella quale sono coinvolti alcuni docenti del Dipartimento di Scienze Sociali: un ciclo di incontri, rivolti alle scuole superiori di Torino e provincia, per parlare di Sociologia. Sito Internet: http://berti.scuole.piemonte.it/progettomax/index.html Il Max che dà il nome al progetto è uno dei padri della sociologia: Max Weber. Weber fu uno tra i più acuti osservatori delle trasformazioni sociali ed economiche che modellarono la società a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Ciò che qui ci preme sottolineare del lavoro di Weber è innanzitutto la sua passione per la ricerca sociale. È questa passione per la sociologia, per l'osservazione e l'analisi critica dei fenomeni sociali, ciò che ci proponiamo di trasmettere con il Progetto Max. Max, rivolto innanzitutto agli studenti delle scuole medie superiori di Torino e provincia, intende offrire l'opportunità di avvicinarsi alla sociologia attraverso le testimonianze, i racconti di chi di mestiere fa il sociologo. Progetto Max nasce dalla collaborazione tra l'Istituto Magistrale Statale "Domenico Berti" di Torino, presso il quale la sociologia costituisce un'importante materia d'insegnamento, e il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università di Torino. Progetto Max, dunque, serve anche a gettare un ponte tra la scuola media superiore e l'Università, mostrando i percorsi di studio che consentono di trasformare la passione per la sociologia in un mestiere. Gli strumenti principali di cui si avvale Progetto Max sono i Laboratori e le Lezioni. I Laboratori, riservati agli studenti e ai docenti del Berti, costituiscono il luogo di una sperimentazione didattica che vede collaborare docenti dell'Istituto Magistrale Statale "Domenico Berti" e docenti dell'Università di Torino. Le Lezioni, aperte (e ovviamente gratuite) a tutti gli studenti e i docenti delle scuole medie superiori di Torino e provincia, affrontano un vasto insieme di argomenti (vedi il calendario), con l'intento di offrire un panorama dei principali temi di studio della sociologia e degli strumenti più comunemente impiegati per fare ricerca. Ecco il programma delle prossime Lezioni: Per gli allievi delle scuole medie superiori di Torino e provincia Aula magna ITIS Avogadro - ingresso da Via Rossini, 18 - Torino 14.30 - 16.30 6 febbraio Arnaldo Bagnasco .......... La società urbana 20 febbraio Giovanna Zincone .......... Cittadinanza e immigrazione 5 marzo Franco Garelli .......... Giovani e sessualità 19 marzo Mario Cardano .......... Professione ficcanaso: il lavoro dell’etnografo 2 aprile Adriana Luciano .......... Lavoriamo troppo o troppo poco? Domande di fine secolo 23 aprile Franco Prina .......... La società e le sue regole: chi le rispetta, chi le trasgredisce 7 maggio Loredana Sciolla .......... L’identità nelle società complesse Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] Professione Sociologo Professione Sociologo Più di un sud. Studi antropologici sull’immigrazione a Torino, a cura di Paola Sacchi e Pier Paolo Viazzo, Franco Angeli, Milano 2003. Recensione di Stefania Palmisano Al centro di questa raccolta di cinque saggi, tratti da altrettante tesi di laurea in Antropologia discusse tra il 1997 e il 2003 nell’ateneo torinese, c’è il caso di Torino, città che ha vissuto la peculiare esperienza di essere interessata da due ondate di immigrazione nell’arco di un trentennio: l’immigrazione interna dal sud italiano e quella recente dal sud del mondo. L’assunto comune ai saggi contenuti nel volume è che, pur non trattandosi di esperienze migratorie del tutto simili, sia sensato cercare analogie, o differenze illuminanti, tanto per quel che riguarda la realtà degli immigrati, quanto le reazioni della società di arrivo e le politiche nei confronti degli immigrati stessi. I saggi sono frutto di prolungate ricerche sul campo, condotte con i metodi propri dell’indagine antropologica, per far emergere nella ricchezza del dettaglio etnografico le variabili e le multiformi dimensioni del fenomeno migratorio e dell’esperienza dei migranti. Piazza Cerignola: un simbolo dell’immigrazione pugliese a Torino, di Dario Basile. Il saggio di apertura ricostruisce le diverse fasi di immigrazione da Cerignola, la cittadina in provincia di Foggia da cui proviene un numero elevatissimo di immigrati a Torino. Basile delinea così la vita sociale della comunità cerignolana di Torino: la festa della Madonna di Ripalta, protettrice di Cerignola, la vita attorno a piazza Foroni che viene ribattezzata nel 1983 piazza Cerignola. Un saggio che viv e di testimonianze: racconti di chi è arrivato tra il 1950 e il 1975, ma anche racconti di giovani nati a Torino ma profondamente radicati nella cultura locale cerignolana. Torino, Maghreb. La costruzione di identità trasversali tra i migranti marocchini, di Carlo Capello. Il principale motivo di interesse del secondo contributo, una ricerca condotta tra i marocchini che vivono nel capoluogo piemontese, consiste nella sua metodologia: in accordo con i nuovi approcci di analisi trasnazionalista, Capello, dopo una prima fase di lavoro in città, si è trasferito, viaggiando sugli autobus degli immigrati nelle città da cui provengono, dando vita così a una ricerca“multisituata”. Tale approccio gli ha consentito di rintracciare sul campo quel mutamento di paradigma nello studio dell’identità del migrante dall’immagine dell’uomo senza radici, che ha rescisso i legami con il loro passato. Altro elemento centrale, condiviso con il saggio di Salvi (vedi oltre), è l’esperienza della precarietà del lavoro in una città che sembra avere proprio nella cultura del lavoro uno dei suoi tratti distintivi. Mi Perù: percorsi e progetti migratori di donne peruviane tra istituzioni, associazioni e reticoli sociali, di Eleonora Salvi. Al centro del terzo saggio è la composizione prevalentemente femminile della comunità peruviana torinese. A conferma di quanto Giovine aveva evidenziato per il caso filippino in “Donne e giovani a Torino” (2000), anche per le donne peruviane l’impiego come collaboratrici domestiche determina la loro 17 la loro reclusione presso famiglie residenti nei quartieri alti. Tuttavia l’identità di attrici dei loro progetti di migrazione ha consentito loro di interessere, attorno all’associazione “Mi Perù” i confini dell’essere comunità. Come Basile, Capello e Cingolani, Salvi riconosce nell’elemento religioso uno dei cardini attorno ai quali si costruisce l’identità dell’emigrante. Koming from Naija to Torino: esperienze nigeriane di immigrazione e di fede, di Pietro Cingolani. L’attenzione di Cingolani si concentra sulle chiese pentecostali, intorno alle quali si condensa l’esperienza religiosa degli immigrati nigeriani. Un’analisi che consente di mettere in discussione la lettura riduttiva delle migrazioni in termini dicotomici (marocchini cattivi / peruviane buone) e che scompagina molte facili classificazioni: la popolazione nigeriana di Torino risulta composta, oltre alle stigmatizzate prostitute, di profughi, studenti, professionisti, giornalisti, scrittori. Attorno alle comunità pentecostali, afferma Cingolani, si creano i confini di una comunità che riesce a percepirsi come unitariamente nigeriana. Non nelle mie contrade. Un’etnografia padana per un’antropologia delle società complesse, di Alessandro Albarello. In chiusura, il lavoro di Albarello prende le mosse da una ricerca condotta tra il 1996 e il 1997 sulla costruzione e sull’uso politico dell’identità etnica padana. Si tratta probabilmente della prima ricerca antropologica sulla Lega Nord, disponibile finora solo grazie a un paragrafo a essa dedicato da Pietro Scarduelli in un volume recente (La costruzione dell’etnicità, L’Harmattan Italia, Torino 2000). Il lavoro è tuttavia caratterizzato anche da uno sviluppo ulteriore, condotto all’interno di un consiglio di Circoscrizione per sondare la percezione dei movimenti migratori presso i residenti, di qualsiasi colore politico essi siano. La raccolta delle loro testimonianze offre un quadro dal quale risulta un razzismo latente ma non sopito, trasversale all’identità politica, attraverso cui sembra prendere consistenza l’esistenza e l’uso dello stereotipo del torinese lavoratore e dell’immigrato (da ogni sud) sfruttatore, incapace e pigro. La raccolta intende essere una sorta di ritorno sul punto a più di dieci anni di distanza da un’altra importante ricerca sociale sul capoluogo piemontese, “Uguali e diversi”, curato nel 1991 da IRES Piemonte. A differenza di quel lavoro, Più di un sud sconta i limiti legati alla sua natura di raccolta di tesi esistenti. A differenza di quel lavoro non vuole e non può fornire un quadro esaustivo di tutti i gruppi di immigrati presenti. Tuttavia ne condivide l’intelligente utilizzo delle storie di vita e dell’osservazione partecipante, in una prospettiva che privilegia l’indagine qualitativa. Ne risulta un quadro illuminante in cui risaltano i percorsi particolari vissuti dalle componenti maschili e femminili dell’immigrazione, le analogie soprattutto “strategiche” nella ricostruzione del senso di comunità tra le due migrazioni (Sud Italia e Sud del mondo), il mutamento di bersaglio del razzismo pur nell’uso costante delle stesse “armi” (meridionale/immigrato, l’incapacità sul lavoro). Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] Professione Sociologo Professione Sociologo 18 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO DIPARTIMENTO DI SCIENZE SOCIALI Seminari di Dipartimento Gennaio – Giugno 2004 Giovedì 29 Gennaio Giuseppe Bonazzi: “Teorie dell’impresa e ricerca sociologica: prospettive e problemi di un incontro”, discussants M. Vaira, F. Barbera. Giovedì 12 Febbraio Dario Melossi: “Stato, controllo sociale e devianza”, discussants A. Cottino, F. Prina. Giovedì 1 Aprile Luca Ricolfi – Diego Gambetta: “Spiegare le missioni suicide”, discussants M. Buttino, M. Ferrero. Giovedì 20 Maggio Davide Barrera: “La fiducia: un’analisi sperimentale”, discussants G. Ortona, M. Follis. Giovedì 17 Giugno Sonia Bertolini: “Strumenti concettuali per l’analisi del lavoro atipico: riflessioni ed esperienze di ricerca”¸ discussants N. Negri, A. Luciano. Aula seminari del Dipartimento, Via S. Ottavio 50, Torino ore 14,30 Copie dei testi presentati saranno disponibili in Dipartimento qualche giorno prima della data di discussione, rivolgendosi al Sig. Fabio Pallavicino (011.670.2606) Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] Sociologie Avvenire: 31 gennaio 2004 Articolo di Ivana Araldi INTERVISTA. A colloquio con il massimo sociologo della complessità: «Non è più possibile considerare la realtà solo in termini quantitativi». Edgar Morin: il futuro è solidale Il destino dell’Europa, l’idea di un mondo policentrico, la rinascita di un nuovo umanesimo, la necessità di una riforma del pensiero sono il filo conduttore della ricerca di Edgar Morin. Di qui, l’idea di un nuovo assetto economico mondiale collegato all’etica della solidarietà e della fraternizzazione che conducono Morin a realizzare una nuova scienza polidisciplinare, la riforma dell’organizzazione dei saperi. Abbiamo raggiunto telefonicamente il professor Morin, che è stato molto disponibile a rispondere ad alcune nostre domande per «Avvenire». Professor Morin, per l’Europa avremo unità o divisione? E sulla Costituzione europea, di cui tanto si è discusso, che cosa può dirci? «È evidente che c’è una crisi, perché la crisi dell’Europa viene da due fattori. Quello più importante è che l’Europa si è fatta sul piano economico, ma non si è fatta su quello politico, umano e sociale. Nella storia della costituzione dell’Europa, la prima intenzione dei padri fondatori dell’idea europea, era quella di fare un’Europa di pace e di democrazia, un’Europa culturale e politica. Abbiamo invece avuto molte difficoltà con il nazionalismo, soprattutto francese. Così, quell’idea ha preso, con successo, soltanto un cammino economico, che pure ha dato prosperità a tutti i Paesi. Oggi, però, pesa il dato che non sia stato fatto nulla per passare dall’unione economica a quella politica. Questa è la grande Nazione. Ciò deriva dal fatto che c’è l’allargamento dell’Europa, allargamento che non è stato possibile nel passato. È naturale che i Paesi dell’Est, come Romania, Ungheria, Polonia entrino in Europa: ne fanno parte integrante. Questo allargamento, però, pone il problema più difficile dell’autorità, perché ogni decisione non si può più prendere a livello di unanimità. Si deve trovare il modo di poter prendere decisioni molto difficili». A complicare le cose, è sopraggiunto anche il problema della guerra all’Iraq e delle divisioni a livello politico tra le nazioni europee che, come Francia e Germania, erano contrarie all’intervento armato… «Infatti, Francia e Germania si sono opposte all’invio di soldati in Iraq. Quindi, una difficoltà in più per la Costituzione europea. Io ritengo che una Costituzione europea sia una necessità, la stessa necessità che c’è stata per una moneta comune, un passaporto unico. Una Costituzione significa che esiste un’unione politica, anche se è molto difficile fare una buona Costituzione. Per me, è meglio avere una Costituzione imperfetta che nessuna Costituzione. Quella di Giscard aveva molti difetti, ma una Costituzione si può sempre cambiare. Per questa crisi creatasi esiste il problema o di avanzare o di annullare. Dobbiamo aiutare gli eventi ad avanzare. Bisogna superare le divisioni, integrare senza disintegrare, con o senza voto all’unanimità». Sociologie 19 Articolo segnalato da Donatella Simon «Ho sempre auspicato un’Europa che, accogliendo altri Paesi, abbia confini più estesi, all’Est e all’Ovest, ma con idee unificanti e pacificatrici». Passando dalla crisi europea a quella che lei chiama era planetaria, vediamo che economisti e studiosi di scienze umane sembrano concordare nel riconoscere che è la stessa società occidentale ad essere, oggi, in uno stato di crisi economica, sociale e politica. Che cosa ne pensa? «Purtroppo, il progresso implica anche regressione e siamo costretti a riconoscere che la nostra civiltà industriale, tecnologia e scientifica, mentre risolve alcuni problemi, ne genera altrettanti. Possiamo dire che il mito del progresso è sprofondato e ciò che in passato ha rappresentato il volto radioso della civiltà, oggi sta mostrando il suo lato più oscuro. L’individualismo, per esempio, una delle conquiste più grandi della civiltà occidentale, oggi è accompagnato da fenomeni di egocentrismo, solitudine, frammentazione, disintegrazione della solidarietà. La stessa tecnologia, nonostante i benefici apportati all’umanità con il trasferimento del lavoro alle macchine, è un altro prodotto ambiguo della nostra civiltà. Anche la scienza a rivelato il suo aspetto inquietante con la minaccia nucleare o i rischi dell’ingegneria genetica. L’industria, pur soddisfacendo le necessità di molti, è fonte di inquinamento e di degrado sulla biosfera». Con questa diagnosi, la situazione sembra quasi disperata. C’è qualche speranza? «Quella che stiamo vivendo è una crisi mondiale, visto che nel perseguire il proprio ideale di sviluppo la società si è globalizzata. Ci siamo però resi conto che il mero sviluppo economico preclude lo sviluppo umano e morale non soltanto nelle nostre società opulente, ma anche a livello globale. Così, questo sviluppo inarrestabile provoca sfide enormi per noi stessi e per il pianeta, minacciando la tessa economia globale. Ancora non sappiamo se i benefici promessi non causeranno un serio deterioramento della qualità della vita. Purtroppo, la qualità della vita si è andata degradando perché si continua a vivere secondo il ritmo dettato dalla quantità piuttosto che dalla qualità. Soltanto ciò che è quantificabile è percepito come reale, altrimenti tutto viene ignorato anche perché l’amore, la sofferenza, il piacere, l’entusiasmo o la poesia non sono quantificabili. La tragedia è che, senza un’inversione di tendenza, non abbiamo scampo. I nostri pensieri, le nostre ideologie risultano inutili. C’è la necessità di ricomporre una cultura della solidarietà poiché la solidarietà è la risorsa fondamentale dell’etica». Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] Sociologie Sociologie 20 Aspettando gli Oscar... LOST IN TRANSLATION – L’amore tradotto Per una volta ignorate il sottotitolo italiano e concentrate la vostra attenzione sul titolo originale. Perdetevi nell’intraducibile mondo nipponico. Solo in questo modo potrete assaporarvi appieno la dolce-amara pellicola di Sofia Coppola, che con questo film si è aggiudicata ben tre Golden Globe -miglior film e miglior attore protagonista nella categoria commedia e miglior sceneggiatura -confermando di non essere più solo la figlia di Francis Ford (Coppola, appunto). Nella moderna Tokyo, piena degli eccessi della società occidentale, due turisti per forza condividono la loro solitudine. Bob Harris è stato un attore di successo negli Usa degli anni ’80 ed ora si accontenta di fare la pubblicità ad uno scotch nipponico.Charlotte ha interrotto l’università per seguire il suo neo-sposo fotografo alle prese con una rock band. Malinconica maschera teatrale lui, pallido fiore della giovinezza lei, s’incontrano in un bar in stile americano, parlano attraverso i fax delle loro stanze, cercano di divertirsi in un karaoke e sorridono insieme guardando “La dolce vita” con i sottotitoli in giapponese. Non aspettatevi una storia d’amore: questo è un film sulle piccole gioie della vita. È fatto dei sorrisi di Scarlett Johansson, degli sguardi imbambolati di Giovanni Ribisi (il marito) e soprattutto delle smorfie di Bill Murray, capace di prendersi in giro e rinnovarsi dopo anni di assenza dalle scene. Dopotutto, a tutti dovrebbe essere data una seconda opportunità. Arianna Radin L’occhio vuole la sua arte. ai suoi quadri siamo sorpresi, ma anche affascinati. Continuiamo a fissare la donna a cavallo per capire dove il quadro sia «sbagliato» o dove invece «sbagliano» i nostri sensi. Semir Zeki in un libro recente, La visione dell’interno. Abbiamo letto questo articolo. Parla Arte e cervello (Bollati Boringhieri) La donna è a cavallo dentro un non solo conferma la tesi di delle ultime scoperte della bosco. Alcuni alberi la nascondono Gregory ma, sorretto dall’idea che neurobiologia sul funzionamento parzialmente, così che noi vediamo della visione umana. L’oggettività di è il cervello a «produrre» la realtà, la sua figura interrotta da lunghe indaga l’arte moderna e contempostrisce verticali. Ma se si guarda una realtà da vedere, per tutti ranea per mostrare la stretta conbene a «cancellare» la sua immani- uguale, lascia spazio alle influenze nessione che esiste tra la neurone non sono tanto le piante d’alto biologiche, fisiche, sociali e cultuali. biologia e il modo di vedere degli fusto dietro cui transita, bensì un Il dibattito in Sociologia è aperto e artisti. Zeki è uno dei maggiori albero che in realtà si trova dietro in continua evoluzione. Questo è un neurobiologi viventi; docente a il cavallo, oppure una porzione di Londra e autore di un fondamenulteriore spunto di riflessione. paesaggio che è posta tra un tale libro, A Vision of the Brain albero e l’altro. È un quadro di (Blakwell), si interessa da tempo René Magritte intitolato Carte di arte, come testimonia una sua blanche, in cui il pittore belga gioca con la nostra conversazione con Balthus sull’arte (Balthus o la ricerca percezione, spiazzandoci. Il nostro cervello, l’organo più dell’essenza, Graphos). Comunemente si ritiene che sulla affascinante e più misterioso che possedinostra retina si «imprima» un’immagine del amo, costruisce continuamente l’immagine mondo, la quale viene trasferita nella corteccia della realtà con cui ci orientiamo nel mondo. visiva, dove è ricevuta, decodificata e analizzata. Se osserviamo un uomo seduto a un tavolo Insomma, pensiamo di vedere con gli occhi. Il e ne vediamo solo il tronco, diamo per sconche è solo in parte vero a partire dagli studi di tato che le sue gambe siano sotto il tavolo, David Hubel e Thorsten Wiesel sulla selettività anche se i nostri sensi – la vista, prima di dell’orientazione, pubblicati nel 1959, la visione tutto – non sono in grado di confermarlo; non è più pensata come una attività passiva, è una supposizione, ma decisiva. […] bensì attiva, in cui, come scrive Zeki, «il cervello, Il nostro cervello fa ipotesi, come sostiene nella sua ricerca di conoscenza del mondo visivo, lo studioso di percezione Richard Gregory opera una scelta fra tutti i dati disponibili e, in Occhio e cervello (il Saggiatore). Magritte confrontando l’informazione selezionata con i sfida con successo il senso comune: davanti ricordi immagazzinati, genera l’immagine visiva, con un procedimento molto simile a quello messo in atto da un artista». Per dirlo in modo icastico: vedere è percepire e comprendere. O, come ha scritto Gregory, vedere implica sempre un’ipotesi. Così il nostro cervello orienta la visione: le correnti artistiche moderne dal punto di vista del neurobiologo. di Marco Belpoliti (La Stampa) Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Soc iale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] Sociologia e Ricerca Sociale 21 Zeki ci spiega che questa convinzione deriva da una scoperta di grande importanza: esistono molte aree visive intorno alla corteccia visiva primaria, le quali partecipano in modo selettivo alla costruzione della visione. Si tratta di aree specializzate nella elaborazione di aspetti specifici della scena visiva come: forma, colore, movimento. Anzi, Zeki mostra come vi siano cellule specializzate nel riconoscimento di singoli colori, ad esempio del rosso: «ogni cellula ha un proprio campo ricettivo, corrispondente a una data parte dello spazio visivo». Sono cellule molto esigenti che manifestano reazioni sempre più limitate man mano che ci si allontana dalla loro direzione privilegiata (un dato colore, un elemento del movimento o della forma), fino a quando la loro reattività cessa del tutto. Come si è arrivati a queste scoperte? Attraverso esperimenti, ma anche attraverso la menomazione. In un capitolo del loro libro, Arte e cervello (Zanichelli), Lamberto Maffei e Adriana Fiorentini riportano diversi casi di «pittori malati» con evidenti deficit visivi ma che realizzano ugualmente opere pittoriche. Anton Raederscheidt, pittore, ha subìto una lesione parietale nel lobo destro del cervello, di conseguenza gli manca una parte del campo visivo sinistro: i suoi autoritratti descrivono solo metà del viso. Il caso più celebre è quello del Signor I. raccontato da Oliver Sacks nel primo capitolo del libro Un antropologo su Marte (Adelphi), intitolato «Il caso del pittore che non vedeva i colori». A causa di un incidente stradale il Signor I. perde sia la visione delle forme sia la visione dei colori. Dopo un certo periodo, il disturbo relativo alla percezione delle forme recede, mentre la visione dei colori gli è preclusa per sempre. Da quel momento i suoi disegni saranno molto accurati nelle forme, ma assolutamente privi di colore: il suo mondo è in bianco e nero; il Signor I. è incapace di immaginare i colori, di renderli e, persino, di sognarli. Zeki individua nel nostro cervello le aree specializzate nella percezione. Nella corteccia visiva vi è un’area primaria, detta V1, che è il centro di smistamento dei segnali visivi e che funziona come un ufficio postale centrale: divide i vari segnali e li smista alle diverse aree visive della corteccia lì intorno. Un’altra area, la V5, è il centro del movimento, mentre l’area V4 è dedita alla comprensione del colore. È proprio questa zona del cervello che il Signor I. non riesce più a utilizzare, così da soffrire di una sindrome nota come acromatopsia. Se per disgrazia un ictus colpisse la zona V5, specializzata nel movimento, il paziente può diventare acinetopsico, ovvero incapace di vedere gli oggetti in movimento. Ci sono persone che hanno subito lesioni in alcune parti del cervello, che, al contrario, non sono in grado di riconoscere i propri cari quando sono fermi; appena questi si muovono, tutto torna per loro normale. Ma cosa c’entra questo con l’arte moderna? A Zeki pare che l’arte moderna, a partire da Cézanne, ma anche dai Fauves, abbia cercato di trovare la via di una «sensazione non oggettiva» di cui parlava Malevic. Il neurobiolgo individua una stretta connessione tra questa arte e il modo in cui le cellule della corteccia visiva orientano la nostra visione. Quando vediamo un’opera di Mondrian, o di Barnett Newman, «un gran numero di cellule nelle aree visive identificate dal nostro cervello, vengono attivate e reagiscono energicamente, purché nella parte del campo visivo che “compete” a una cellula cada una linea con un’orientazione coincidente con quella preferita dalla cellula stessa». Questo significa che il linguaggio visivo dell’arte moderna e contemporanea si è orientato verso l’astrattismo geometrico e coloristico perché esistono precise cellule atte a cogliere queste forme nel nostro cervello? Zeki non lo afferma in modo esplicito, ma nel suo libro non po’ fare a meno di notare la stretta connessione fra questa arte e la neurobiologia che studia il modo in cui il nostro cervello costruisce la realtà. Tuttavia, scrive all’inizio del suo volume, noi vediamo non tanto per apprezzare l’arte quanto «per acquisire una conoscenza del nostro mondo». I topi e le S o c i o l o g i e talpe, per fare solo un esempio, possiedono una visione molto rudimentale, tuttavia sufficiente per vivere nel loro ambiente e prosperare. Noi umani abbiamo sviluppato una visione più complessa per ragioni evolutive. Zeki fa l’esempio della percezione del volto. La capacità di colpirci che possiede il ritratto pittorico è correlata strettamente al bisogno che ha il cervello di conoscere. E poiché l’espressione del viso in tutte le culture umane ha una enorme importanza nella comunicazione – oltre che nella difesa o nell’offesa dell’altro – nel cervello si è sviluppata un’intera zona addetta al riconoscimento dei volti, cosa che non è invece accaduta per altre parti del corpo come le spalle o i piedi. La zona capace del riconoscimento del volto è collocata in una circonvoluzione denominata «giro fisiforme», spesso soggetta a danni causati da traumi; il deficit conseguente è noto con il nome di prosopagnosia. I neurologi discutono da tempo se questa zona presieda al riconoscimento di tutti i volti o solo di quelli delle persone familiari. Zeki cita il caso di un paziente che riesce a riconoscere i particolari del volto, ma non la persona: «Vedo di sicuro la faccia, con occhi, naso e bocca, ma in qualche modo non mi è familiare; in realtà potrebbe essere chiunque». Esiste una precisa funzione del cervello in grado di mettere insieme i dettagli e formare un’unica visione. Per farci capire come funziona il nostro complesso cervello, spiega Zeki, una lesione nella parte posteriore della zona deputata al riconoscimento dei volti impedirebbe di vedere il volto stesso; una lesione nella parte anteriore renderebbe incapaci di riconoscere l’espressione. Nel capitolo sul colore, uno degli eventi visivi che rendono pregnante il nostro mondo, Zeki spiega una semplice verità ignorata dai più: il colore non esiste, è una produzione del nostro cervello; la scienza del colore è infatti una scienza della mente. Si tratta di una proprietà del cervello e non del mondo esterno, per quanto le proprietà fisiche del mondo esterno siano decisive. Come scrive Newton nell’Ottica, ben prima che la neurobiologia muova i suoi primi passi, «a rigore, i raggi luminosi non hanno colore. In essi non c’è altro che la capacità e predisposizione a generare la sensazione di questo o di quel colore». Ma allora che differenza c’è tra il mondo esterno e il mondo interno? La realtà esiste? In quel bellissimo libro sulla percezione visiva che è Palomar, Italo Calvino ci mostra il suo alter ego alle prese con vari dubbi visivi: cosa significa vedere? Cosa vediamo davvero? Vedere è solo un atto mentale? Per poi concludere con un icastica affermazione a partire dalla miopia del suo protagonista: il mondo guarda il mondo attraverso gli occhiali del signor Palomar. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2 Scrivi alla redazione >> [email protected] La Facoltà La Facoltà 22 L’Ateneo torinese ha avviato un progetto teso a rafforzare le attività di tutorato. Rientra in quest’ambito un corso di formazione rivolto a studenti e docenti, i cui lineamenti sono illustrati in un documento del COREP che riproduciamo di seguito. Percorsi di formazione per la progettazione, gestione e monitoraggio dei servizi di tutorato dell’Università di Torino Le ricerche condotte negli ultimi anni in Italia in tema di scolarità concordano nel rilevare che all’aumento dei tassi di passaggio all’università non corrisponde un adeguato aumento del numero dei laureati. È una situazione grave, che trova riscontro nel fatto che la percentuale dei laureati nella popolazione attiva in Italia è più bassa che nella maggior parte dei paesi europei. Le ragioni di questo insuccesso negli studi universitari sono molteplici, tra queste non deve essere sottovalutata la responsabilità che l’Università condivide con gli altri livelli scolastici nell’ignorare il disagio degli studenti, sia nella fase di ingresso sia nel corso degli studi, con ripercussioni negative oltre che sulla carriera scolastica, anche sull’autostima dei giovani. L’Università non offre molto aiuto agli studenti che devono affrontare difficoltà derivanti dall’impatto con un ambiente totalmente diverso dalla realtà scolastica cui erano abituati e in cui venivano loro chieste prestazioni differenti. A chi inizia gli studi universitari vengono infatti improvvisamente a mancare le ore trascorse a contatto giornaliero con insegnanti e compagni che, bene o male, avevano costituito un costante riferimento durante tutto il precedente periodo scolastico e che avevano reso possibile l’apprendimento anche in carenza di buone capacità di studio individuale. All’Università ci si sente più soli, sia dal punto di vista affettivo, sia rispetto all’apprendimento. Il disporre di capacità di gestire il proprio apprendimento con un metodo di studio efficace diviene essenziale, poiché i docenti, a differenza di quanto avviene nella scuola superiore, non scandiscono il ritmo dello studio. Il tutorato va inteso, alla luce dei problemi qui sinteticamente richiamati, come un complesso di azioni tese a far partecipare positivamente gli studenti alla formazione universitaria. Sia i ruoli che i tutor sono chiamati a svolgere, sia le loro interazioni con le altre figure professionali che operano nel sistema universitario (ricercatori, docenti, personale amministrativo) sono ancora ampiamente da definire. Per farlo è necessaria una azione formativa attenta a questi problemi in grado di accompagnare un’ampia sperimentazione e di valorizzare le informazioni raccolte da un idoneo sistema di monitoraggio e di valutazione. L’accreditamento delle strutture universitarie per l’accesso ai fondi FSE (Fondo Sociale Europeo) può essere utilizzato come una importante opportunità per razionalizzare e dare impulso anche a questo processo. Il progetto di formazione/monitoraggio ha lo scopo di sostenere e facilitare le attività tutoriali, dando a tutte le Facoltà un concreto aiuto per l’organizzazione di una propria struttura tutoriale, coerente con le differenti esigenze formative. Poiché il buon funzionamento della struttura tutoriale non è separato dall’insieme delle attività didattiche e di servizio agli studenti messe in atto dall’Ateneo e da ciascuna Facoltà, nel presente progetto la formazione rivolta ai tutor viene affiancata da incontri rivolti referenti delle attività di tutorato delle diverse Facoltà e da un insieme di seminari monografici rivolti anche a ricercatori, docenti, personale amministrativo. L’obiettivo generale del programma è collaborare a creare una comunità virtuale tra i tutor e tra questi e i docenti e il personale amministrativo che metta in comune esperienze e riflessioni utili per il miglioramento della didattica universitaria. Le attività proposte si articolano in: percorso di 30 ore (15 in presenza e 15 in rete) per i responsabili dei servizi di tutorato indicati da ciascuna Facoltà; corsi di formazione di 40 ore (28 in presenza e 12 in rete) per i tutor; seminari monotematici aperti anche a docenti, personale amministrativo, ecc. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale