Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Mensile del Corso di Laurea in Sociologia e Ricerca Sociale, Febbraio 2004. Anno 1. Numero 2. Direttore Mario Cardano. Red azione Mario Cardano, Michele Manocchi
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
Alla redazione di questo numero hanno contribuito:
Donatella Simon, Arianna Radin, Stefania Palmisano,
Michele Manocchi e Mario Cardano.
[email protected]
Questo è l’indirizzo al quale iscriversi: mandaci una e-mail e riceverai ogni mese il numero della
Newsletter di Sociologia e Ricerca Sociale.
Dillo anche ai tuoi amici, perché la Newsletter è dedicata a voi
ed è grazie a voi che può crescere e migliorare.
Sommario
Àgora: i vostri messaggi
2
Ricerca Sociale: intervista a Giovanna Zincone su cittadinanza e immigrazione
4
Ricerca Sociale: intervista a Giovanni Semi su Porta Palazzo e il suo mercato
7
Professione Studente. Superare l’esame di Sociologia: i consigli del docente…
10
…e quelli degli studenti
12
Professione Studente: riepilogo delle iscrizioni al Focus Group
13
Professione Sociologo: intervista a Chiara Saraceno sul Dottorato di Ricerca
14
Professione Sociologo: Progetto Max, per parlare di Sociologia agli studenti delle superiori
16
Professione Sociologo: “Più di un sud”, recensione di Stefania Palmisano
17
Professione Sociologo: i Seminari del Dipartimento di Scienze Sociali
18
Sociologie. Edgar Morin: il futuro è solidale
19
Sociologie: Prime Cinema, a cura di Arianna Radin
20
Sociologie: L’occhio vuole la sua arte
20
La Facoltà: progetto per il rafforzamento delle attività di tutorato
22
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
Àgora
Àgora
2
Abbiamo il piacere di aprire questo numero con i vostri messaggi.
Ebbene sì, dopo tanta insistenza, alcuni di voi hanno trovato il coraggio di scrivere alla
Newsletter.
Molte sono e-mail di complimenti… grazie! Non ci sono, per ora, pervenute critiche, tranne un
paio di voi che, giustamente, ci hanno redarguito per un invio indiscriminato di indirizzi e-mail.
Chiediamo ancora scusa a loro e a voi tutti: è stata una svista che non si ripeterà.
Ma ora, bando alle ciance e diamo il via a questo numero con alcuni dei vostri messaggi!
Buongiorno! Ho visto che c'è la possibilità di essere inserito nel newsgroup
di discussione del corso. Potete inserirmi?
Grazie!! Saluti,
Roberto
Carissimi/e, il primo motivo è che la trovo interessante, il secondo è che (da lavoratore
non frequentante forzato) mi fa sentire meno lontano il "palazzo" e quindi vorrei ricevere
via mail la newsletter di Sociologia e Ricerca Sociale.
Massimo
Vi ringrazio delle informazioni che mi avete inviato, e vi chiederei di inviarmi la newsletter
Buon lavoro
Giuseppe
Mi chiamo Eloïse, ho 24 anni e sono iscritta al secondo anno di Sociologia e ricerca
sociale. Sarei molto interessata ad un'eventuale collaborazione e dato che state cercando
redattori, sono lieta di propormi. Se la cosa può essere utile, a partire da marzo svolgerò il
servizio civile presso il servizio disabili dell'Università; a parte questo ho diversi interessi
(musica,tempo libero etc.). Questo progetto mi interessa molto, dà l'opportunità di
partecipare attivamente anche alle ricerche e sono contenta che si nato perché avevo
notato troppe carenze nella nostra facoltà.
Aggiungo ancora che sono interessata a partecipare al focus group di ven. 27 febbraio e
nell'attesa di un Vs gradito riscontro, Vi porgo cordiali saluti
Eloïse
...per iscrivermi. E complimenti per la prima uscita:
veramente fatta bene.
Cordiali saluti,
Luana
Vi invio questa e-mail per iscrivermi al vostro servizio di invio
Newsletter e colgo l'occasione per esprimervi il mio vivo
apprezzamento per questa iniziativa.
Cordiali Saluti
Nicoletta
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
3
Salve
sono uno studente della facoltà di Sociologia e ricerca sociale. Complimenti alla redazione della newsletter di
Sociologia e Ricerca Sociale. Volevo segnalare un'iniziativa che io e alcuni compagni di corso stavamo cercando
di far partire.
Si tratta di un aperitivo di corso di laurea, ma potrebbe essere anche di facoltà, scienze politiche, con
cadenza settimanale, dove sono invitati tutti i futuri sociologi e politologi.
Pensavamo fosse interessante potersi incontrare per conoscersi e, volendo, discutere o chiacchierare di ciò che
studiamo. Pensavamo di farlo il martedì tenendo conto di tutti coloro che abitano fuori Torino e che vengono
solo per le lezioni. Dalle 18.30 in poi.
Per quanto riguarda il luogo pensavamo al “Filtro” che è un bar dove spesso andiamo e dove ci siamo sempre
trovati bene anche dal punto di vista economico (aperitivo cocktel 5.00?, vino 4.00?). Si trova su corso Regina
angolo via Ricotti, verso Porta Palazzo, la via dopo via Rossini ( e il noto bar rossini).
L'iniziativa partirà dal prossimo martedì 20 gennaio e continuerà fino alla fine dell’anno.
Siete tutti invitati. Se trovate interessante l'iniziativa sostenetela anche voi.
Vi ringrazio. Andrea
La Redazione della Newsletter trova l’iniziativa molto interessante e,
oltre a pubblicizzarla, parteciperà volentieri agli aperitivi.
Complimenti è davvero ben fatto e piacevole da
leggere
Valeria
RingraziandoVi per l'interessante newsletter, vorrei proporre la mia candidatura come redattrice. Sono
un'appassionata di cinema e da anni faccio parte del progetto di volontariato "Ragazzi del 2006", collaborando in
particolar modo con la redazione di AmbasciaTorino, che ha pubblicato sul sito www.ambasciatorino.it alcuni miei
articoli.
Spero di ricevere presto Vostre notizie (anche per quanto riguarda la mia partecipazione al focus group).
Buon lavoro!
Arianna
À g o r a
Ciao! mi chiamo Sonja e mi piacerebbe ricevere la newsletter di sociologia... La aspetto!
Che bella iniziativa.... COMPLIMENTI!
Sonja
Buongiorno, avendo trovato il primo numero del vostro editoriale
interessante, gradirei riceverne anche i numeri successivi.
Grazie per l'opportunità!
Laura
L'idea del Newsgroup per scambio di informazioni e materiale fra studenti è un'idea
fantastica! Io sarei disponibile.
Saluti
Antonella
Desidero innanzi tutto porgere i ringraziamenti per questa proposta, che può diventare un utile strumento di
confronto e dialogo tra studenti e docenti, in secondo luogo richiedo che possa ricevere la newsletter mensile.
Grazie ancora per l'opportunità.
Distinti saluti.
Andrea
Mi piacerebbe contribuire alla newsletter...mio interesse principale è il volontariato.
grazie in anticipo
Assunta
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
Ricerca Sociale
Ricerca Sociale
4
Intervista a Giovanna Zincone
D: Professoressa Zincone, lei
essere Cittadinanza e immigrazione
insegna Scienza Politica: di cosa
- elogio dell’imperfezione. È un
La
professoressa
Zincone,
docente
si tratta e qual è il rapporto con
lavoro che sto conducendo in realtà
di
Scienza
Politica
presso
la
nostra
la Sociologia?
da anni, attraverso vari saggi e che
Facoltà, dirige il centro FIERI:
R: Incominciamo dicendo che io
ha alle spalle un libro e un libretto,
sono una sociologa peculiare, perché Forum Internazionale ed Europeo di
riguarda la relazione tra cittadisono una politologa di scuola torine- Ricerche sull’Immigrazione.
nanza e immigrazione. Il tema parse. Secondo una parte cospicua dei
rebbe enorme, e lo è.
politologi la scienza politica è una
Le abbiamo chiesto di parlarci delle
sociologia politica applicata con
D:Come lo ha affrontato?
sue attività di ricerca.
una particolare attenzione agli
R:Ho preso il concetto di
aspetti istituzionali, una disciplina che
“cittadinanza” e ho cercato di individuarne le principali
usa tutti i metodi propri della sociologia, metodi che non
dimensioni, e questo è un tipico lavoro da sociologo. Ho
mi pare il caso di ricordare qui. Ma la scienza politica, a
individuato quattro dimensioni che aiutano a leggere il
Torino, si inserisce in una tradizione specifica che la
fenomeno della cittadinanza, con l’obiettivo anche di
vuole come una “disciplina all’incrocio”. Per merito di un
creare un prodotto, il libro appunto, utilizzabile nella
illustre fondatore, Norberto Bobbio, accetta l’innesto
didattica; ed ho notato che le dimensioni del concetto si
della filosofia, della dimensione prescrittiva, e del diritto
capiscono meglio se le si confronta con il loro contrario.
come vincolo e come prodotto della decisione pubblica.
Il cittadino, quindi non è “straniero”, e ciò richiama ai
Per merito di uno dei suoi più capaci promotori, Paolo
temi dell’appartenenza e della nazionalità; ma è anche il
Farneti, che ha sua volta era un allievo di Roccam,
contrario di “suddito”, con i temi dell’emancipazione
accetta l’innesto della storia. Pensiamo oggi ai lavori di
civile e dell’emancipazione politica; ancora, cittadino è il
Gian Enrico Rusconi per cogliere il senso di una
contrario di “comunitario” di costretto da norme,
disciplina all’incrocio.
culture, credenze particolari (religiose, linguistiche,
Ora, io non mi considero un’allieva né di Bobbio né di
locali); cittadino è anche il contrario di “emarginato” e
Farneti, perché sarebbe falso, l’unico politologo che ha
questa è la dimensione individuata dal sociologo
avuto la temporanea pazienza di farmi da maestro è
Marshall il fatto che i cittadini possono godere di
stato Giovanni Sartori. Tuttavia lavorare all’interno della
dotazioni materiali (il welfare, l’istruzione).
scienza politica torinese mi ha formata. Ancora oggi, la
Poi ho cercato di leggere queste dimensioni sotto vari
scienza politica torinese ha la peculiarità di innestare su
punti di vista, ad esempio quello giuridico, sia formale
un tronco proprio della sociologia, questi rami, che sono
che informale, andando ad indagare i luoghi nei quali
i rami delle altre discipline e quindi di rappresentare una
vengono prodotte le decisioni, a quale livello, quali sono
sorta di disciplina crocevia. Ho ulteriormente allargato il
gli attori formali e informali che incidono sui contenuti di
crocevia perché ho lavorato a lungo al Centro Einaudi
queste decisioni, quali fattori li influenzano a loro volta;
dove c’era una folta schiera di economisti. Se noi
ma anche l’uso pratico che si fa dei diritti e come si
accettiamo questa interpretazione torinese e personale
spiegano differenze nell’uso: il diritto di voto non
della scienza politica, si capisce abbastanza bene quello
comporta che si voti, l’accesso all’istruzione non evita
che faccio come attività di ricerca.
l’abbandono. Si può guardare alle quattro dimensioni
D: Veniamo dunque alle sue ultime ricerche: ce ne
parla?
R: Attualmente la mia attività è duplice: la ricercatrice
in prima persona, che comprende sia un lavoro solitario
sia anche il dirigere ricerche che svolgo con altri; l’altro
è un lavoro di supervisione, dove partecipo molto alla
creazione del disegno della ricerca e partecipo anche
all’introduzione e alla stesura del rapporto, ma non
metto le mani in pasta. Questa seconda attività la
svolgo soprattutto in qualità di Presidente di FIERI, che
è un network di studiosi – soprattutto professori
universitari – a carattere multidisciplinare: ci sono
demografi, economisti, sociologi, giuristi, antropologi,
storici, psichiatri.
D: Partiamo dalle ricerche che svolge in prima
persona…
R: Da una parte faccio un lavoro essenzialmente di
secondo grado, senza ricerca diretta sul campo, e che
confluirà nel libro che sto scrivendo, il titolo potrebbe
anche in termini di percezione: essere cittadino non
vuol dire sentirsi tale né sotto il profilo del civismo, né
del patriottismo, né dell’identità.
Un altro importante punto di osservazione della
cittadinanza riguarda i fattori di trasformazione. Si
tratta di fattori strutturali pensiamo all’impatto delle
trasformazioni demografiche sul welfare, all’impatto
della maggiore competizione economica internazionale,
della conseguente propensione a rendere più elastico e
meno gravato da oneri contributivi il lavoro.
Si tratta però anche di più trascurati fattori culturali. Il
welfare si modifica perché si modificano le concezioni
stesse di che cosa e in chi sia meritevole di essere
coperto. In questi ultimi anni c’è stata sicuramente una
forte svolta ideologica circa lo statuto del lavoro e il
welfare.
Sociologia e Ricerca Sociale Soci ologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
D: Come si applicano all’immigrazione questi
concetti?
R: Innanzitutto, considerando l’immigrazione come un
fattore di trasformazione. Pensiamo al rapporto triadico
tra Stato, forza lavoro e mondo imprenditoriale.
L’immigrazione entra nei rapporti tra questi tre soggetti
e contribuisce a modificare i rapporti di forza. Una forza
lavoro poco protetta, per la quale occupazione e
permesso di soggiorno sono strettamente collegati,
indebolisce le posizioni dei lavoratori, già indebolite
dalla competizione internazionale che utilizza lo
strumento della delocalizzazione. Non a caso gli
stranieri non solo occupano le fasce basse del nostro
sistema produttivo, ma si concentrano in settori non
delocalizzabili (servizi alla persona, agricoltura, edilizia).
E, d’altro canto, il ruolo dello Stato è più difficile, perché
si trova a fronteggiare fenomeni sovra-nazionali, che
travalicano i limiti geografici e politici della propria sfera
di controllo e l’immigrazione è uno di questi fenomeni
poco controllabili a livello di singolo stato. Il libro però
cerca prima di ricostruire storicamente l’origine dei
diritti di cittadinanza in chiave comparata e di
individuare modelli di inclusione o mancata inclusione.
Poi cerca di capire l’impatto dei vari modelli o delle varie
misure.
Non voglio raccontarle tutto il libro, altrimenti poi non lo
compra e non legge, però, le faccio uno schizzo, qualche
esempio. Prendiamo l’emancipazione politica. Si parte
da Atene e dalla coincidenza tra emancipazione e
appartenenza, si ricostruiscono le alterne vicende
dell’emancipazione fino ad arrivare alle transizioni
R i c e r c a
S o c i a l e
europee alla democrazia. Poi si affronta il tema dei
diritti politici degli immigrati, si fa un’analisi comparata
e si valuta l’impatto: se una parte cospicua dei
lavoratori di un Paese non ha diritto di voto, significa
che è l’intero profilo della cittadinanza di quel Paese che
cambia, avendo ricostruito la storia dell’emancipazione
capiamo che stiamo compiendo un passo indietro verso
i regimi liberali.
Nei precedenti lavori che ho svolto su questo tema
consideravo i modi di integrazione della forza lavoro
nazionale, le condizioni sotto le quali veniva integrata,
come uno dei fattori esplicativi dei diversi modelli di
cittadinanza nei vari Paesi europei. A me pare che i
principali nuovi integrandi siano gli immigrati, e quindi
ho trovato interessante cercare di capire come questi
nuovi processi di integrazione impattino sulla
cittadinanza nel suo insieme. Certo almeno in linea di
massima l’impatto degli immigrati, se lo confrontiamo
con le potenti organizzazioni dei lavoratori nazionali del
passato, appare dovuto alla loro debolezza che alla loro
forza. Tuttavia la cittadinanza di fronte all’immigrazione
non segue una via lineare, né i vari paesi vanno in
parallelo. Il libro cerca di capire come e perché.
D: Sta conducendo altre ricerche?
R: Sì, una che è invece decisamente empirica, quindi
con lavoro sul campo. Anche questa è politologica, ma
si colloca molto bene, però, come metodo in ambiente
sociologico.
Sociologia e Ricerca Sociale
5
È una ricerca finanziata con fondi del Ministero
dell’istruzione, che coinvolge diverse Università e che
riguarda il multi level government di alcune politiche. Il
multi level government indaga le relazioni tra vari livelli
a cui si prendono le decisioni sia verticalmente
(ad esempio, governo centrale, Unione europea,
regione, comune), sia orizzontalmente (ad esempio
ruolo delle lobby, dell’associazionismo, dei tecnici, dei
pubblici amministratori, dei magistrati nel premere
perché siano prese certe decisioni). L’unità di Torino si
occupa di politiche dell’immigrazione, ma altre
università, Trento e Pavia, lavorano su altre materie.
Anche questa è il proseguimento ideale di un’altra
ricerca. Che cosa ho fatto nella precedente ricerca e
cosa sto facendo in questa? La precedente mi è venuta
in mente perché, quando sono stata Presidente della
Commissione Integrazione, ho avuto la possibilità di
osservare, in maniera ultra-partecipante, le dinamiche
che si instauravano nel percorso verso le decisioni da
prendere. Ho notato come molte decisione arrivassero
dalla periferia verso il centro, da sperimentazioni locali
e, a volte, addirittura da comportamenti contra legem,
da
prassi
che,
a
poco
a
poco,
venivano
istituzionalizzate. Ad esempio, qualche direttore di
scuola, dietro la pressione della advocacy coalition degli
immigrati (una parte dei sindacati, l’associazionismo
cattolico e altri gruppi) che costituiscono un potente
lobby dei deboli, accetta che anche i bambini senza
permesso di soggiorno vengano comunque inseriti nella
scuola. Poi qualche capo del Provveditorato diede un po’
più di formalità alla situazione attraverso una direttiva
interna che indicava di accettare questi
bambini in tutte le scuole. Da questa
situazione, si è passati ad una Circolare
del Ministero della pubblica istruzione, su
richiesta del Ministero degli affari sociali, che conferì
ancora più valore giuridico alla prassi, fino al Decreto
Dini e alla legge Turco-Napolitano.
Questo è un tipico percorso di una prassi illegale
adottata dalla periferie, che a poco a poco arriva al
centro e acquisisce una crescente formalizzazione fino a
trasformarsi in legge. Molto simile è la trasformazione in
legge delle prassi adottate nella sanità pubblica nei
confronti degli immigrati irregolari.
D: E dove è approdata?
R: Nelle ricerche non si approda mai, si procede. Questa
situazione mi ha spinta ad andare a capire chi
determinasse il contenuto delle decisioni, perché la
forma sappiamo che è in mano al legislatore; e ho
scoperto l’acqua calda, ovvero ho ritrovato le
caratteristiche indicate già dagli studi di network
analysis, che non conoscevo e che ho studiato e
applicato. Quello che veniva fuori molto chiaramente era
un forte peso, in tutte le fase decisionali, dell’advocacy
coalition, unita con gli imprenditori a formare quella che
definisco una “costellazione” di interesse, perché, a
differenza della advocacy coalition, unisce attori
eterogenei e spinti da regioni diverse. I rapporti
all’interno di una advocacy coalition sono caratterizzati
da un contatto continuo e duraturo nel tempo tra le
persone e i gruppi che ne fanno parte, mentre una
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
“costellazione” si verifica ogni volta che gruppi di persone, istituzioni, associazioni di categoria, ecc., si trovano
alleati per ottenere qualcosa quasi in maniera casuale: la Caritas e la Confindustria possono chiedere, entrambe,
un allargamento dei flussi migratori, ma lo fanno per motivi diversi. Tuttavia la loro casuale unione da luogo ad
una pressione molto potente. Anche la pubblica opinione esercita una pressione rilevante, soprattutto quando ci
si avvicina al periodo elettorale, ma poi il governo deve risolvere problemi oggettivi, deve rispondere alla
pressione dei problemi ed è esposto alla pressione di gruppi potenti, anche benevoli gruppi potenti.
R i c e r c a
6
S o c i a l e
Tutto questo aiuta a spiegare come mai le decisioni di maggioranze governative di segno opposto in materia di
immigrazione, ma non solo, mostrano una continuità molto superiore a quella che normalmente ci si
aspetterebbe: la ragione è che questi gruppi di pressione e queste costellazioni trovano una “finestra di
opportunità” sempre aperta, forze politiche amiche disposte ad ascoltarle, data dai partiti cattolici che sono
presenti in entrambi gli schieramenti, sono attenti alle richieste della lobby dei deboli e che tutti i governi non
possono ignorare le esigenze delle imprese, la pressione dei problemi di carenza di forza lavoro.
Cosa faccio con tutto questo? Tutto questo lo sto utilizzando per la ricerca più grossa e strutturata, cui ho
accennato prima, che dovrebbe aiutarci a capire meglio qual è il ruolo nella formazione delle decisioni del centro
e delle periferie, degli attori formali e informali, advocacy coalition, amministratori, esperti, ecc., come si
muovono gli attori ai diversi livelli, incluso il livello dell’Unione europea. Su quest’ultimo progetto, sto tra l’altro
ancora reclutando collaboratori, in quanto ci sono fondi di ricerca da utilizzare allo scopo. Dovrebbero avere
competenze in campo di immigrazione, conoscere l’inglese (per le interviste europee) e trovare il progetto
interessante.
Approfittiamo di questo spazio per ringraziare tutti coloro che, già in
questi pochi numeri, si sono resi disponibili per le interviste, ci hanno
segnalato articoli da pubblicare, hanno collaborato attivamente alla
realizzazione della Newsletter fornendoci pezzi e spunti interessanti.
Per cui un grazie a voi che ci leggete e che state rispondendo con
prontezza alle nostre iniziative.
Grazie anche agli studenti- redattori, che nonostante il periodo di esami,
continuano a darci il loro contributo.
Grazie ai docenti, ai ricercatori e ai dottorandi del Dipartimento di
Scienze
Sociali
che
supportano
questa
iniziativa
e
sopportano
pazientemente le nostre a volte invadenti richieste.
Grazie a tutti e a presto.
La Redazione
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
Ricerca Sociale
Ricerca Sociale
7
Intervista a Giovanni Semi
Giovanni Semi ha appena
conseguito il titolo di Dottore di
Ricerca in Ricerca Sociale
Comparata, presso il
Dipartimento di Scienze Sociale
di Torino.
c’erano immigrati, c’era commercio, per cui ho trovato un luogo
ideale per continuare il mio lavoro
di ricerca. Ho chiesto al professor
Bagnasco di farmi da Tutor per
questa tesi, in parte perché lui si
occupa di sociologia urbana, in
parte perché avevo letto un suo
libro, edito da Franco Angeli, Fatti
sociali formati nello spazio, che è
una lettura dei lavori di Simmel
calati nella sociologia urbana, che
ho trovato molto appassionante.
Inoltre Bagnasco ha introdotto in
Italia i lavori di un antropologo
svedese, Ulf Hannerz, con i testi Studiare la città e La
complessità culturale, testi di etnografia urbana. Quindi,
c’era da parte sua un interesse verso l’antropologia
urbana e i lavori qualitativi sulle città; io, dalla mia,
avevo le prime esperienze in questo campo e molta
voglia di fare ancora etnografia, e gli ho proposto il mio
progetto. Era una delle prime volte che gli capitava di
seguire una ricerca etnografica “pura e dura” su un
quartiere specifico e, da persona molto aperta e curiosa
quale è, ha accettato volentieri.
Il suo interessante lavoro, durato
più di un anno, ha visto come
campo di ricerca Porta Palazzo, con
attenzione agli aspetti legati
all’immigrazione, al commercio, e
più in generale alle interazioni
culturali tra le persone che ogni
giorno popolano questo quartiere.
Gli abbiamo chiesto di raccontarci
la sua esperienza.
D: Ciao Giovanni. Innanzitutto
ti chiedo di spiegarci l’origine di
questo progetto di ricerca.
R: Le basi di questo lavoro erano già
state poste al momento della mia
tesi di laurea. All’epoca mi stavo
laureando a Milano, in Scienze Politiche, e mi interessava occuparmi
di immigrazione, spinto da motivazioni abbastanza comuni. Il tema dell’immigrazione si
lega a quello della marginalità ed è inoltre
estremamente rilevante nell’opinione pubblica. A ciò si
aggiungono una serie di buone ragioni personali. Avevo
chiesto al prof. Melucci (Sociologia dei movimenti
sociali) se era interessato a seguire questo mio
progetto, lui ha accettato; ho conosciuto un suo allievo
che si occupava di etnografia, Enzo Colombo, e alla fine
mi sono laureato con un lavoro che riguardava la
situazione degli egiziani a Milano. All’inizio credevo di
occuparmi di “comunità”, poi lavorando sul campo,
analizzando meglio la situazione, mi sono accorto che
questo concetto diventava “spigoloso”, “fuorviante” per
la realtà nella quale mi muovevo, e di fatto, quasi senza
accorgermene,
mi
sono
trovato
a
lavorare
sull’imprenditorialità etnica e in particolare quella
egiziana. Con un’altra sociologa, Ottavia Schmidt di
Friedberg,, ho seguito un’altra ricerca, parallelamente a
questa, che si concentrava di più sulla sfera marocchina
dell’imprenditorialità a Milano. Con lei ho iniziato a
lavorare su un mercatino delle pulci gestito quasi
interamente da marocchini. Sono entrato in contatto
con un gruppo di ricerca europeo che si occupava di
queste tematiche e, di fatto, ho iniziato a specializzarmi
su questi temi.
D: Poi ti sei laureato e sei arrivato a Torino…
R: Finita la laurea, ho preparato il dottorato ed è andata
bene, perché ho vinto una borsa qui a Torino. Ho colto
l’occasione per trasferirmi nuovamente, io sono
veneziano, e da Milano sono venuto ad abitare qui a
Torino.
D: Come hai continuato i tuoi studi
sull’immigrazione?
R: All’inizio avevo solo una vaga idea di come poter
continuare, perché non conoscevo Torino. Poi degli
amici mi hanno portato a vedere il mercato di Porta
Palazzo. Io ne avevo sentito parlare a Milano a causa
dei problemi che c’erano stati tra la popolazione del
quartiere, erano arrivate eco di sommosse, comitati di
quartiere, e Repubblica aveva dedicato alcune pagine
nazionali a questa situazione. Quindi, pur non avendolo
mai visto, immaginavo che fosse un quartiere difficile.
Sono rimasto positivamente impressionato da questo
bellissimo posto, un mercato colorato, profumato,
vivace, pieno di gente;
D: Come hai costruito il tuo disegno della ricerca?
R: Le idee all’inizio erano molto vaghe. Volevo
ricostruire la situazione di un quartiere dove i residenti
sono arrabbiati per i troppo immigrati, gli immigrati
sono considerati da tutti dei “criminali”, e a me piaceva
fondamentalmente l'idea di studiare il mercato perché è
un posto bellissimo e c’è un continuo e intenso
passaggio di persone e di merci, e attraverso le persone
e le merci si scambiano anche culture, identità, idee,
informazioni, ecc. Quindi il mercato è molto di più di
quello che sembra dall’esterno, perché è un luogo dove
si produce una socialità particolare. E poi tutto questo
mi dava la possibilità di cimentarmi in un’etnografia
“vera”, con tutti gli ingredienti essenziali, quindi c’era
dietro anche un discorso di mettersi alla prova, che mi
piaceva molto.
D: La tua tesi presenta un riassunto in lingua
francese…
R: Sì. Sono andato a Parigi per un anno, durante li
dottorato, per “imparare dai francesi”, come dice
Bagnasco. Lì c’è una scuola di antropologia urbana e
sono andato per studiare i loro lavori, il punto di vista
francese su questi temi, e da ciò ne è derivato che la
mia tesi è in co-tutela, ovvero sono stato seguito sia da
Bagnasco qui in Italia che da un altro Tutor in Francia e
quindi ho due titoli di dottorato, uno italiano e l’altro
francese.
D: Come si è svolta la ricerca sul campo?
R: Tornato dalla Francia, ho fatto un anno pieno di
ricerca empirica a Porta Palazzo. I risultati sono diversi.
Da una parte ho scoperto che esiste una parte di Porta
Palazzo che non viene più chiamata così ma
Quadrilatero Romano, una zona alla moda, riqualificata,
molto carina e cara. Quindi un po’ ho lavorato su questo
processo attraverso il quale è stato staccato un pezzo di
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
Porta Palazzo, di storica e più antica immigrazione, e lo
si è riqualificato e chiamato in altro modo, guardando ai
cambiamenti nelle relazioni sociali che questo ha
comportato, alle nuove opportunità di socialità,
considerando sempre il ruolo dei commercianti stranieri.
Poi ho fatto un lavoro più lungo su Piazza della
Repubblica, sul mercato vero e proprio, indagando il
tessuto sciale che quotidianamente viene creato in
quella zona. Rifacendomi ai lavori di Goffman, ho
interpretato il mercato come una grande ribalta sulla
quale vengono messe in scena le rappresentazioni
commerciali, gli interscambi tra le persone, il cui
retroscena si trova a Borgo Dora, la parte che va dalla
piazza fino al fiume. Quello è il grande magazzino di ciò
che viene venduto al mercato. In particolare, non tanto
nei mercati di frutta e verdura di Porta Palazzo, ma in
tutti quei mercatini informali, abusivi, che affiancano il
più grande e ufficiale mercato. Ci sono per esempio quei
capannelli di venditori abusivi di menta, pane, schede
telefoniche pre-pagate, ecc. Tutta questa merce passa
per Borgo Dora, dove viene conservata in magazzini.
Allora mi sono messo a studiare questo sistema di
negozi, magazzini, persone che gestivano merci a Borgo
Dora.
Il risultato di tutto questo lavoro è una tesi, che ha al
suo interno tre capitoli che riportano il lavoro empirico
fatto sul campo, in cui vengono raccontate queste tre
etnografie, il Quadrilatero Romano, il mercato come
“scena” e il retroscena di Borgo Dora, le quali si
rimandano l’una all’altra. Ci sono persone che sono
presenti in due o in tutte e tre le realtà, lo spazio fisico
è lo stesso e le interazioni tra i tre mondi sono,
ovviamente, molto frequenti e numerose.
R i c e r c a
S o c i a l e
D: Qual è l’idea portante del tuo lavoro?
R: Il tema di fondo della tesi è quello che ho chiamato il
multiculturalismo quotidiano, cioè la maniera in cui nella
vita di tutti i giorni, di fatto si crea un tessuto di
incontro multiculturale anche se poi, nella stampa, nelle
rappresentazioni dei mass media, viene a galla solo il
conflitto, per i soliti motivi che tutti conosciamo di
visibilità della notizia e audience.
Nella realtà quotidiana, le stesse persone che animano
le petizioni, sono in realtà in grado di dialogare e di
intrattenere rapporti con le persone che, sulla carta e
sui mass media, dovrebbero detestare. Un mio obiettivo
era anche quello di vedere se esistessero dei
meccanismi facilitatori di questi rapporti.
D: E ne hai trovati?
R: Il mercato, il commercio, storicamente è connaturato
allo scambio, e in questi casi si mettono da parte
moltissime differenze. È come se due persone che
decidono di scambiare qualcosa, si dicessero «Ora, per
il tempo della contrattazione, mettiamo da parte le
nostre differenze e portiamo in porto lo scambio».
Questo scambio, storicamente, è stato studiato spesso
in termini utilitaristici: io voglio una cosa che hai tu, per
cui negozio con te per averla, riferendomi più o meno
implicitamente ad una mia scala di valori, o di
preferenze, che mi aiuta a decidere fino a che punto, in
termini economici e di scambio, sono disposto a darti.
C’è un aspetto che ha me è piaciuto di più studiare, e
Sociologia e Ricerca Sociale
8
che con l’etnografia si può vedere meglio, legato al
ludico e al divertimento: la gente va a Porta Palazzo
certamente perché Porta Palazzo ha il mercato più
economico della città, ma anche perché questo mercato
è particolare, puoi divertirti, puoi conoscere persone che
altrimenti non conosceresti, partecipare dei giochi
come, ad esempio, quello dei reciproci insulti che
avvengono tra commercianti e clienti. Il mercato
diventa una zona franca, all’interno della quale si
possono fare delle cose che non è possibile fare in altre
zone della città: ad esempio, il rito, sempre alla
Goffman, dell’insulto reciproco.
D: In cosa è consistito il lavoro sul campo?
R: Il lavoro sul campo consisteva nel seguire alcune
persone chiave, alle quali avevo rivelato il lavoro che
stavo facendo, e che mi interessavano perché
costituivano dei nodi importanti nella rete sociale di
Porta Palazzo: soprattutto commercianti, che ho seguito
nella loro attività quotidiana. Ho venduto la stampa in
un chiosco, ho venduto schede telefoniche nei mercatini
informali, menta, borse di plastica, a fianco al mercato
vero e proprio; sono stato anche dietro alcuni banchi di
amici, osservando dal punto di vista del commerciante
le interazioni che si producevano. Inoltre, mi aggiravo
nel mercato col registratore e quando assistevo a cose
interessanti, facevo delle registrazioni ambientali, oltre
che, quando potevo, qualche foto. In particolare mi
interessavano i litigi, perché si pensa che il litigio e il
conflitto creino distanze e rompano delle relazioni. In
realtà, quello che ho osservato, è che occorre
condividere la situazione per litigare e occorre un
accordo tacito, di sottofondo, affinché questo giocointerazione si riproduca ogni volta, senza particolari
danni reciproci, vedendo anzi i clienti tornare il giorno
seguente, e gli astanti ridere e partecipare
scherzosamente alla scena.
Ho svolto anche delle interviste, alcune rivolte a figure
chiave della storia del mercato, ad esempio a persone
che sono riconosciute dagli altri commercianti come
coloro che per primi hanno importato la menta qui a
Porta Palazzo, e che per questo costituiscono anche la
memoria di questo luogo; altre interviste più
estemporanee o addirittura autosomministrate da
persone che, dopo avermi conosciuto meglio ed aver
capito che non ero né della polizia né un giornalista,
hanno deciso di raccontarmi le loro storie, quasi
strappandomi il registratore di mano e iniziando a
descrivere le loro vicende.
D: Hai incontrato delle difficoltà?
R: L’etnografia sembra una cosa molto difficile,
soprattutto all’inizio, perché non ti conoscono, non
sanno cosa vuoi, ti guardano con diffidenza. Ma dopo un
po’ che stai lì, che iniziano a conoscerti, e che capiscono
che tu sei veramente interessato a sapere cosa pensano
loro, e non a cercare una più o meno plausibile verità
nascosta, allora molto spesso le persone si sentono più
libere di parlare.
D: Quali prodotti hai creato in questo periodo di
ricerca?
R: I documenti su cui si basa la ricerca sono le note di
campo, le trascrizioni delle mie giornate a Porta Palazzo,
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
che sono anche contaminate da tutti i sentimenti e le
emozioni che io ho provato nel corso di questa ricerca, e
le interviste sbobinate. A monte di questo lavoro, c’è
una ricerca su dati secondari, reperiti ad esempio
all’anagrafe, per farmi una prima idea della
composizione socio-culturale del quartiere, dei flussi di
immigrazione, e soprattutto dei trend demografici, per
capire le modificazioni nella composizione della
popolazione della zona.
D: Ti sarai fatto anche un sacco di amici…
R: Sì. Vedi, la differenza principale tra le tecniche
quantitative e le tecniche qualitative come l’etnografia è
che le tecniche qualitative ti mettono a contatto con le
persone che poi diventano gli oggetti della tua analisi. Il
risultato è che ti fai un sacco di amici, impari molte
cose, ad esempio io ho migliorato il mio arabo e ho
appreso le basi del dialetto marocchino, e più in
generale aumenti i tuoi skill, le tue conoscenze, che poi
potranno essere impiegate in molti modi diversi, al di
fuori della ricerca, affinate, lasciate cadere, coltivate.
L’etnografia ti insegna ad entrare in rapporto con le
persone. Io ad esempio ho imparato molto da una cosa:
ero convinto che avrei avuto dei problemi ad entrare in
contatto con i marocchini, perché da un lato sono il
gruppo
più
stigmatizzato
di
Torino,
dall’altro
effettivamente molti di loro sono all’interno di settori
illegali, quindi l’idea era che, in queste condizioni, avrei
avuto difficoltà a farmi accettare da loro. È successo
esattamente il contrario: ho avuto una facilità di
ingresso e di rapporto con i marocchini che non è
paragonabile alle ritrosie degli italiani, molto più dì
timorosi e preoccupati di quello che volevo sapere da
loro.
Quindi, una prima cosa che ho appreso è che spesso
entrare in contatto con le persone non dipende tanto da
quello che fanno ma dal contesto nel quale entri in
rapporto con loro. E questo mi ha portato a riflettere,
retrospettivamente, su un tema che inizia a starmi
particolarmente a cuore.
9
fenomeno e di risoluzione dei problemi che portano a
tali situazioni. Da un altro punto di vista, nessuno mi
toglie di testa che studiare la massoneria, o il Rotary
Club, o la Confindustria, o altri fenomeni di questo
genere, sia molto più difficile, perché il potere che
hanno di rifiutare le tue richieste e di chiuderti l’accesso
da un momento all’altro è così elevato che di fatto rende
impossibile una ricerca approfondita.
D: Parli di questo lavoro con molto trasporto…
R: Sì, è stato faticoso ma soprattutto molto divertente.
Tempo fa ho conosciuto Becker, il sociologo americano,
e gli ho chiesto una buona ragione per fare ricerca
etnografica, lui mi ha risposto «just fun», solo
divertimento. Si fa ricerca sociale, in particolare quella
qualitativa, se ci si diverte, se hai delle buone ragioni
personali, e se ti piace stare con gli altri, a studiare la
gente. Altrimenti diventa un incubo: stare con delle
persone che non hai scelto di conoscere, o che magari
trovi sgradevoli, noiose, o che senti lontane da te, in
questo caso diventa difficile fare ricerca. Io mi sono
proprio divertito. Ho passato per esempio alcune notti a
vendere menta, scappando quando arrivava la polizia e
facendo altre cose divertenti. Certo, torna il discorso dei
rapporti di potere: io potevo divertirmi perché tanto
avevo la mia carta d’identità, potevo mostrare il
tesserino dell’Università ed ero a posto, mentre i miei
amici si divertivano meno. Però, ripeto, la motivazione
principale che spinge a fare ricerca è il piacere di stare
tra e con la gente e di divertirsi ad osservarne i
comportamenti. Credo che la sociologia la si faccia forse
e soprattutto un po’ per sé, poi certamente anche per
dare dei risultati e per aumentare le conoscenze intorno
a certi fenomeni, ma la componente di divertimento e
piacere è molto presente e importante.
R i c e r c a
S o c i a l e
D: Ce ne parli?
R: Sono i rapporti di potere che si instaurano tra le
persone, in base al loro status e, appunto, al contesto
nel quale si opera. Io, italiano, studente, laureato,
bianco, borghese, ecc., non ho molto potere su uno di
pari estrazione sociale o che comunque ha la
cittadinanza italiana da molte generazioni. Questi mi
può dire che non gli interessa parlare con me e la cosa
si chiude lì, senza che io abbia molte armi per tornare
alla carica. Mentre una persona che è magari in stato di
clandestinità, che può avere bisogno di qualcuno che lo
aiuti a tradurre le cose, documenti o quant’altro,
dall’italiano, e che è oggetto di fenomeni di esclusione
sociale a diversi livelli, di fatto, volente o nolente, è più
“debole” di quanto lo possa essere io. Quindi, si ha
maggior accesso alla sua persona, alla sua individualità.
Se vogliamo guardare questo discorso in termini più
generale, la maggior parte delle etnografie pubblicate in
Europa si occupa di poveri, marginali, devianti. C’è una
spiegazione un po’ tautologica, che giustifica questi
studi dicendo che i devianti, i marginali costituiscono un
problema sociale, un peso sociale e per questo vanno
studiati e vanno adottate misure di contenimento del
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
Professione Student e
Professione Studente
10
Superare l’esame di Sociologia: i consigli del docente e degli studenti.
Intervista Luigi Berzano
vogliono far propri i concetti afD: Professor Berzano, quali sono
frontati e soprattutto ricevere dai
le caratteristiche del suo corso?
corsi universitari non solo gli eleLuigi Berzano insegna Sociologia al
R: Il corso di Sociologia, essendo
menti strettamente correlati
Corso
di
Laurea
in
Sociologia
e
un corso al primo semestre e apparall’esame, ma anche quella sensiRicerca
Sociale.
tenendo al primo anno, non può che
bilità e quella capacità di analisi
essere un corso propedeutico a tutte
dei problemi che verrà poi chiesta
le altre discipline sociologiche. Per
Gli abbiamo chiesto di dare alcuni
loro negli esami più specialistici.
cui, le finalità del “contratto” con gli
consigli agli studenti per affrontare
studenti sono quelle di portare lo
al meglio il suo esame. Ecco la sua
D: Come vanno le cose nel suo
studente ad apprendere il linguaggio
corso?
opinione.
sociologico, ad essere in grado di
R: Purtroppo è difficile ottenere
leggere un libro di sociologia o una
questo dagli studenti, anche a
ricerca, ed eventualmente anche a progettare un caso
causa di due ordini di problemi: da un lato la frequenza
di ricerca.
saltuaria e dall’altro l’elevato numero degli studenti. Ma
credo che, proprio per questi due vincoli oggettivi gli
D: Cosa intende per “linguaggio sociologico”?
studenti dovrebbero coinvolgersi più seriamente e
R: La sociologia, come tutte le scienze, ha un suo
richiedere ai docenti di fare lo stesso. Occorre fare
lessico o meglio, un suo linguaggio. Io lo intendo come
un’opera di sensibilizzazione sia tra gli studenti sia tra i
un insieme di concetti, di teorie e di tecniche di analisi.
docenti al fine di rendersi conto che, sia che si frequenti
Le “parole” diventano “concetti” quando si trovano
assiduamente, sia che si saltino o seguano poco le
all’interno di modelli interpretativi. Quindi un insieme di
lezioni, l’instaurare un più intenso rapporto interattivo e
concetti come insieme di modelli interpretativi. Il
dialettico col docente comporta un innalzamento della
secondo ambito del corso comprende, quindi, la
qualità delle lezioni, un miglior apprendimento e un
presentazione dei principali paradigmi, cioè, delle suole
clima di lavoro stimolante per tutti.
sociologiche. Qui l’obiettivo è di portare gli studenti a
Da parte mia, per sollecitare questo rapporto interattivo
comprendere, a grandi linee, dove si può collocare una
con gli studenti, cerco di dare tutti gli strumenti per
certa ricerca, se all’interno di un paradigma rigidamente
rendermi reperibile, e quindi certamente la posta
funzionalista o un paradigma fenomenologico, per
elettronica, che è più frequentata dell’orario di
esempio. Fin qui lo studente viene familiarizzato alle
ricevimento ma comunque troppo poco per il discorso
prime due generali dimensioni della sociologia, come di
che stiamo facendo, ma anche il numero di cellulare:
ogni scienza: cioè la dimensione teorica e la dimensione
sono rari però gli studenti che lo usano.
pratica. Ma esiste una terza dimensione: quella della
spendibilità della sociologia, cioè della sua utilità sociale.
D: Quei pochi che la contattano, cosa le chiedono?
E’ qui che gli studenti più perspicaci “drizzano le
R: Soprattutto informazioni di natura organizzativa e
orecchie” quando riescono a percepire che quello che
gestionale. Raramente si discute di un tema o di un
stanno acquisendo può avere un’utilità pratica e che gli
approfondimento, o ancora di qualcosa di poco chiaro e
servirà anche per il lavoro e la professione in molteplici
che si desidera capire meglio.
campi, quali quello dei media o della produzione
L’interazione che ho in mente dovrebbe rendere il
culturale, per esempio. Ritengo che questa terza
rapporto tra docenti e studenti un po’ più friendly ,
dimensione non sia né ovvia né scontata, quasi che
amichevole, come nello stile dei campus inglesi, cosa
l’utilità sociale della sociologia non fosse o non
rarissima da noi. Dovremmo cercare di far crescere
equivalesse alla sua stessa legittimazione e che il
l’ambiente tipico dell’università campus, dove il docente
riscontro pratico dell’agire scientifico non avesse
è a disposizione non soltanto per sostenere l’esame, ma
significative
ricadute
sull’identità
stessa
della
per molte altre cose, come attività di ricerca, laboratori,
conoscenza scientifica. Già Comte credeva che lo studio
seminari, ecc.
scientifico della società dovesse fornire le basi per
un’azione sociale pianificata.
D: Su cosa possono puntare gli studenti per avere
successo in questo esame?
R: Ritengo che, soprattutto per un corso del triennio, sia
molto importante il rapporto diretto e interattivo con il
docente. Interagire col docente, sia durante le lezioni
sia sfruttando l’orario di ricevimento, è fondamentale
per studenti che si affacciano per la prima volta ad un
corso universitario, e rimane importantissimo anche per
gli anni a seguire. Possibili dubbi, leciti e direi inevitabili
in ogni corso che si frequenta, richiesta di
approfondimenti per interessi personali, o verifiche
periodiche di ciò che si è compreso fino ad un certo
punto, sono aspetti indispensabili se gli studenti
Quindi direi che un grande punto rimane l’impegno, da
parte di tutti, di ricostruire dei rapporti interattivi, in cui
docenti e studenti facciano delle cose insieme.
D: Qualche suggerimento?
R: Nello scorso anno, ad esempio, si è tentano con gli
studenti di Servizio Sociale, di far uscire una Newsletter,
cinque o sei numeri, gestita totalmente dagli studenti.
Direi quindi che questo è uno degli impegni sui quali
investire, senza però pensare che sia una responsabilità
esclusiva dei docenti: gli studenti devono farsi
coinvolgere, perché da ciò possono nascere iterazioni
creative e utili a tutta la comunità. Gli studenti
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
11
dovrebbero capire che l’utilità dell’università non è più
soltanto il pezzo di carta, la laurea, ma anche
l’acquisizione di capacità operative, del “saper fare”, e
ciò può avvenire solo attraverso un maggior
coinvolgimento, una maggiore voglia di mettersi in
discussione e confrontarsi con gli altri, guardano alla
comunità universitaria come ad un unico, formato da
docenti e studenti. Ovviamente può capitare di fare
esperienza di alcuni docenti che sono particolarmente
impegnati, o che magari preferiscono una maggior
riservatezza. Quindi utilizzare molto l’orario di
ricevimento, che può anche essere raddoppiato se un
docente vede che col suo orario riesce a soddisfare solo
parte della richiesta degli studenti.
Direi che dentro l’Università, oltre alla didattica, c’è un
grande capitale sociale, che non sempre viene utilmente
sfruttato da tutti gli studenti. Le risposte istituzionali
sono le ore di lezione e poi però ci sono le molte
iniziative, i laboratori autogestiti, le ricerche, i bandi di
concorso, i vari progetti, ecc.
Solo gli studenti che approfittano di questo capitale
sociale scoprono che la sociologia produce conoscenze
predisposte a misurarsi col mondo della vita, a
confrontarsi con i social problems, a dar conto di sé sul
paino del proprio impatto sociale. Ripeto la spendibilità
del sapere sociologico, che non può che essere
concepito quale componente costitutivo dell’identità di
ogni scienza che non sia chiusa in una torre d’avorio e
che non si lavi le mani di fronte al dipanarsi della vita.
Alcune sono specifiche su determinati argomenti, altre
servono a connettere i temi trattati tra di loro, aiutando
anche in questo modo lo studente a capire quale tipo di
preparazione gli sarà richiesta.
Ho l’impressione che questo strumento non sia usato da
tutti. Probabilmente, non tutti guardano il sito,
soprattutto chi frequenta poco o per nulla.
L’interrogazione dura, in media, un quarto d’ora,
facendo quattro domande, scelte tra le 99. E’
sufficiente per capire se uno studente sa le cose e sa
connetterle. Il corso, come detto, ha una finalità
ampiamente introduttive, e cerca di socializzare lo
studente al linguaggio della ricerca sociale, alle teorie
presenti nella storia della sociologia e a quei concetti di
base di cui abbiamo detto sopra. Lo studente deve
quindi dimostrare di essere in grado di padroneggiare le
teorie affrontate, connetterle le une alle altre per
similitudini e differenze, e conoscere i principali
strumenti metodologici a disposizione. Deve, in una
parola, iniziare a costruire la famosa “cassetta degli
attrezzi”, che poi gli tornerà utile per gli esami, di
sociologia successivi.
Voglio sottolineare ancora il rigore con il quale viene
condotto l’esame. Allo studente viene chiesta non solo
una buona preparazione sui testi e sugli argomenti
affrontati durante il corso, ma anche proprietà di
linguaggio e uso corretto della lingua italiana.
D: Veniamo all’esame vero e proprio…
R: Quest’anno ho messo sul sito, verso la fine del corso,
99 domande, questioni, che riassumono tutto il corso, e
che sono molto specifiche. Hanno l’obiettivo di aiutare lo
studente a farsi strada tra i concetti, le teorie e le
metodologie affrontate durante il corso, ma anche
guidare la preparazione dell’orale, che verterà proprio
su queste domande.
P r o f e s s i o n e
S t u d e n t e
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
Professione Student e
Professione Studente
12
Intervista a Simona
D: Quindi, come volume di
D: Com’è andata la giornata
lavoro richiesto dai tre corsi,
Simona e Silvia hanno sostenuto
dell’esame?
sei riuscita a gestirti bene…
con successo (rispettivamente 28 e
R: Beh, prima dell’esame provavo la
R: Sì, almeno spero.
30)
l’esame
di
Sociologia
del
prof.
solita ansia, anche se ero una delle
Berzano. Sono al primo anno di
prime per cui è andata abbastanza
D: Hai anche sfruttato i
bene. Al momento dell’interrogazione Sociologia e Ricerca Sociale e
materiali pubblicati on line?
vera e propria, all’inizio, alla prima
abbiamo chiesto loro di dirci come
R: Sì. Sul sito ci sono le
domanda, devo dire che ero ancora
si sono preparate per questo esame
domande-guida e le dispense del
molto agitata, nel senso che sapevo
e se hanno dei suggerimenti da
corso, anche se il professore le
di aver studiato, ma non sono riuscidistribuisce in classe, per cui io
dare agli altri studenti.
ta a rispondere come avrei potuto
non le ho scaricate da Internet.
fare se fossi stata più tranquilla.
Ho consultato di più il sito di
Dopo la prima domanda, mi sono tranquillizzata, anche
Statistica, per i vecchi compiti e gli esercizi.
perché Berzano e gli altri docenti hanno iniziato a
parlare a loro volta e mi hanno messo un po’ più a mio
D: Durante la preparazione dei testi, hai
agio, e le cose poi sono andate bene. Sulle altre
incontrato difficoltà specifiche, parti difficili, cose
domande mi sono sentita più sicura e sono riuscita a
sulle quali ti sei dovuta soffermare un po’ di più?
rendere bene la mia preparazione.
R: Sinceramente non molte. Ho avuto qualche problema
D: È durato molto l’esame? Quante domande ti
hanno fatto?
R: Mi hanno fatto quattro o cinque domande.
D: Come hai preparato questo esame?
R: Prima di tutto, ho frequentato il corso, e secondo me
è molto importante farlo perché così ti puoi fare un’idea
più precisa degli argomenti più toccati dal docente.
Inoltre sui testi c’è sempre molto di più di quello che
viene trattato a lezione, per cui riesci anche a capire su
quali parti del programma focalizzare l’attenzione.
Poi, durante il corso, nei giorni di pausa dalle lezioni,
riordinavo gli appunti, copiandoli in bella, visto che non
sono molto ordinata, e questo ha costituito un ulteriore
aiuto. Ho iniziato anche a guardare i testi, per cercare di
seguire in parallelo le lezioni e il programma d’esame, e
ho iniziato a studiare bene dalle vacanze di Natale.
D: Come hai affrontato i testi?
R: Ho iniziato a leggerli durante il corso, come ti ho
detto, e poi li ho letti con più attenzione, sottolineando i
concetti chiave, facendo dei riassunti. Gli ultimi giorni
ho ripassato il tutto, anche ad alta voce. Io ho
l’abitudine di farlo: ti porta via un po’ di tempo, ma lo
trovo molto utile perché almeno ti puoi rendere conto se
hai appreso e fatti tuoi i concetti e se riesci a spiegarli
bene e a passare dall’uno all’altro con nessi logici.
D: Come hai trovato il carico di lavoro, soprattutto
in termini di pagine da studiare?
R: Non li ho trovati molto difficili, forse anche perché il
professor Berzano ci ha dato una serie di domande che
seguivano i testi, li riassumevano in punti chiave, e
questo ha reso più semplice seguire il corso e studiare i
testi. Ho trovato che il programma fosse gestibile, che
non fosse eccessivamente lungo o complesso.
D: Tu punti a dare tre esami in questo semestre?
R: Sì.
con i primi due capitoli del testo di Berzano, li ho trovati
molto densi, pieni di nomi e di concetti, molte cose da
imparare senza riuscire a farsi un’idea precisa
dell’autore. Poi però la cosa si è chiarificata, perché nei
capitoli successivi tutte queste teorie presentate in
modo molto riassuntivo nei primi due capitoli venivano
riprese, ampliate e spiegate più a fondo.
D: E l’idea editoriale del libro di Berzano circa
l’ipertesto?
R: A me è risultata utile. Nelle pagine di sinistra trovi i
concetti fondamentali, mentre sulla destra trovi gli
approfondimenti. È utile, perché puoi concentrarti sui
temi principali e, quando vuoi approfondire o non capisci
una cosa o non conosci un termine, puoi trovare nelle
pagine di destra una spiegazione più dettagliata. Non ho
letto tutto l’ipertesto, ma quando ho avuto bisogno di
approfondire, ho avuto i supporti per farlo.
D: Hai preparato l’esame da sola o ti sei
confrontata con altri studenti?
R: Io sono abituata a studiare da sola, anche perché
altrimenti tendo a distrarmi molto facilmente.
D: Incontrassi un tuo ex compagno di scuola,
indeciso sulla Facoltà da intraprendere, cosa gli
diresti di Sociologia e Ricerca Sociale?
R: Io sono molto entusiasta del mio Corso di Laurea, e
ho trovato molto interessante il corso di Berzano anche
perché mi sono iscritta per studiare Sociologia e ho
trovato in questo corso riscontri positivi. Ho trovato solo
qualche difficoltà iniziale, più che altro legata agli
aspetti amministrativi e burocratici, ma credo che
questo faccia parte del gioco, un po’ ovunque ci sono
difficoltà di questo tipo: occorre sapersi arrangiare e
non lasciarsi scoraggiare da queste cose.
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
13
Intervista a Silvia
D: Complimenti per il trenta!
R: Grazie.
D: È stata dura?
R: No, anzi, devo ringraziare i professori perché mi
hanno subito messa a mio agio, per cui, più che sotto
esame, mi sembrava di parlare di sociologia con altre
persone. Le domande, poi, erano molto aderenti al
programma, per cui non mi sono mai sentita in
difficoltà, perché magari mi si chiedeva qualcosa che
non avevamo affrontato o che non era strettamente
inerente il programma.
D: Dicci come hai studiato, come ti sei preparata…
R: Ho frequentato, e credo che sia una cosa molto
buona farlo, anche perché, comunque, dei concetti in
testa ti rimangono già solo ascoltando le lezioni. Poi
prendere appunti è un’altra cosa importante, e studiare
passo per passo: questo credo sia fondamentale,
almeno a me è servito tantissimo. Lasciarsi tutto al
fondo non credo sia positivo, anche perché il
programma è abbastanza lungo.
Consultare i testi durante le lezioni ti dà anche la
possibilità di capire se hai capito, e quindi chiedere al
professore di spiegarti le cose che sono meno chiare.
D: Questo approccio, sei riuscita a mantenerlo
anche con gli altri corsi che hai seguito?
R: Sì, anche perché essendo concentrati nei primi tre
giorni della settimana, avevo il resto della settimana per
sistemare gli appunti e guardare i testi.
P r o f e s s i o n e
S t u d e n t e
D: Hai preso trenta, per cui tutto è andato per il
meglio; ma se dovessi ridare l’esame, c’è qualcosa
che non rifaresti o che faresti diversamente?
R: Forse approfondirei meglio le connessioni tra i diversi
argomenti. In effetti sono tutti argomenti legati tra loro,
ma quando studi si tende a studiare un capitolo, poi
quello successivo, e così via per tutti i testi. Forse
sarebbe meglio allenarsi a fare un discorso unico, avere
un inquadramento generale che ti consente di vedere i
rapporti tra gli argomenti trattati.
D: E qualcosa che è andata proprio bene, per cui la
rifaresti certamente?
R: A parte studiare volta per volta, io uso molto la
ripetizione ad alta voce delle cose, perché mi serve per
vedere se ho tutto chiaro, se ci sono dei dubbi o delle
cose che non ho capito molto bene. Ma il consiglio più
spassionato è quello che dicevo già prima: non lasciarsi
tutto al fondo, perché altrimenti le cose si fanno di
fretta, si accavallano alle cose da preparare per gli altri
esami e si rischia di fare confusione, oltre a non avere il
tempo di approfondire i vari temi.
D: E il giorno dell’esame?
R: Beh, credo sia inutile ripassate febbrilmente tutto il
programma, tanto quello che si è fatto si è fatto, e non
sono certo quei pochi minuti che risolvono la situazione.
Io, anche il giorno prima tendo a lasciare le cose da
parte, perché trovo che poi si crea confusione. Quindi
andare lì calmi, pensare che si è studiato e che le cose
si sanno, e giocarsela al meglio. Credo anche che sia
utile stare tranquilli al momento delle domande,
ragionare su quello che ti viene chiesto e pensare alla
risposta, prima di iniziare a parlare. Poi ragionando,
magari si dice anche qualcosa di sbagliato, ma se si
riesce a fare un discorso compiuto, e si esprimono
chiaramente i concetti appresi, l’esame va’ certamente
bene.
D: Berzano mette sul sito dei materiali che hai
consultato?
R: Per quanto mi riguarda no, perché i materiali che ci
sono sul sito vengono anche distribuiti a lezione, per cui
li ho avuti lì. Le 99 domande sono state fondamentali:
non è che il professore toglieva delle parti di programma, però era diverso avere una guida da seguire
invece che affrontare da soli tutto il programma.
Ti aiutano a capire su cosa concentrarsi: magari
su venti pagine, pur dovendole studiare tutte, le
domande ti chiedevano di concentrarti su determinati
passaggi chiave. Anche l’ipertesto è stato molto utile.
Non ho studiato tutte le pagine, però sono molto utili
magari per collocare i vari argomenti. Si parla di un
autore e, con l’ipertesto, si possono approfondire le
notizie che lo riguardano, oppure si passa oltre,
rimanendo concentrati sul testo principale, per poi
tornare agli approfondimenti in un secondo momento.
Ragazzi! Vi riassumiamo la situazione delle iscrizioni al Focus Group
che varrà condotto giovedì 26 o venerdì 27 febbraio (sceglieremo la data più “gettonata”).
Parleremo dei punti di forza e di debolezza
Del Corso di Laurea in SRS: ci conosceremo, potrete dire la vostra,
e cercheremo insieme dei suggerimenti da dare ai docenti.
- Resta inteso che al Focus Group saranno presenti solo studenti Siamo pochi (ma buoni)! Per cui iscrivetevi numerosi! Ciao.
Giovedì 26 febbraio
Venerdì 27 febbraio
Alessia
Luana
Arianna
Eloïse
Alessia
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Rice rca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
Professione Sociologo
Professione Sociologo
14
Intervista a Chiara Saraceno
dichiarano il numero di dottorandi
per i quali hanno la disponibilità
in termini di risorse di docenza e
Chiara Saraceno è docente di
di servizi. Occorre avere le
Sociologia della famiglia e
possibilità di farsi carico di questi
coordinatrice del Dottorato di
dottorandi, sia dal punto di vista
Ricerca.
della formazione sia da quello
L’abbiamo intervistata per farci
logistico, legato agli spazi in
raccontare cosa sia il Dottorato di
dipartimento. L’obiettivo è quello
Ricerca e come funziona.
di far sì che i dottorandi siano
nelle migliori condizioni per
D: Questo Dottorato si chiama
lavorare. All’inizio i posti erano
Ricerca Sociale Comparata,
dieci, cinque con borsa e cinque
questo significa che possono accedervi solo
senza; poi ci siamo stabilizzati sui cinque-sei posti
laureati in Sociologia?
disponibili all’anno. Nel ciclo iniziato quest’anno
R: Non esistono grossi vincoli sul tipo di laurea per
abbiamo cinque dottorandi con borsa ed uno senza. Il
l’accesso. I criteri di selezione, sia formali che nella
numero delle borse è deciso dalla sede centrale, sulla
pratica, sono criteri di competenza, nel senso che le
base del numero messo a disposizione dal Ministero e
persone che aspirano ad essere prese nel dottorato
degli equilibri disciplinari. Il numero può essere
devono avere una buona conoscenza di base della
aumentato accedendo a risorse ulteriori, anche esterne.
sociologia, dei suoi approcci fondamentali, delle sue
Quest’anno, ad esempio, il dottorato ha ottenuto una
concettualizzazioni principali. Non devono essere
borsa aggiuntiva dall’ISASUT.
totalmente digiuni o aver seguito solo pochi corsi di
Sociologia. Se non hanno un minimo di conoscenze e
D: In cosa consiste il concorso per l’accesso?
competenze di base, maturate con lo studio e la
R: Il concorso si basa su una prova scritta ed una orale.
riflessione, diventa difficile accedere a questo dottorato,
I temi della prova scritta, estratti casualmente da un
anche perché in un dottorato non è possibile pensare di
numero più ampio preparato dalla commissione
ricominciare da capo nel trasmettere le competenze
esaminatrice, non sono troppo specialistici. Hanno
basilari.
l’obiettivo di indagare la capacità dei candidati di
D: Professoressa Saraceno,
può descriverci brevemente
cos’è il Dottorato?
R: Il dottorato di ricerca costituisce,
dalla riforma in poi, il terzo livello
della formazione universitaria.
Vi si accede con la vecchia laurea
quadriennale e con l’attuale
specialistica.
D: Quindi, nella pratica, cosa viene richiesto ai
candidati?
R: Come ho detto prima, devono possedere le
conoscenze di base in sociologia: concettualizzazioni,
approcci teorici principali. Devono inoltre avere un
minimo di competenza nella lettura dei dati quantitativi,
essere in grado di leggere delle tabelle a doppia entrata,
e analizzare altri aspetti metodologici di base. Nessuno
chiede una sofisticata conoscenza sociologica, ma
occorrono competenze di base anche dei principali
strumenti metodologici.
Noi diamo una formazione base sia nella metodologia
quantitativa sia in quella qualitativa, indipendentemente
dalle opzioni individuali della propria ricerca di
dottorato. Al di là, quindi, dei metodi più frequentati in
ragione dei propri interessi e delle proprie ricerche,
occorre che un dottorando conosca le metodologie e gli
strumenti usati nella ricerca sociale, al fine di saper
leggere e interpretare correttamente ricerche ed
esperienze anche distanti dalla propria.
D: Quanto dura un dottorato?
R: Come la maggioranza dei dottorati, anche questo
dura tre anni. Il termine è vincolante. È possibile
ottenere una proroga di un anno sulla base di
motivazioni specifiche: particolare complessità della
ricerca di tesi, gravidanza, malattia.
D: Come regolate le entrate, i numeri di dottorandi
che potrete seguire?
R: Al dottorato si accede per concorso. Per ogni nuovo
ciclo che si vuole attivare, il collegio e il dipartimento
muoversi tra i diversi approcci sociologici e di
maneggiare i concetti e le teorie principali della
conoscenza sociologica.
Quando gli interessati mi chiedono come possono
prepararsi, rispondo che è opportuno avere una buona
conoscenza di un buon manuale di base e di altri testi di
sociologia generale avanzati, oltre a una preparazione
più approfondita nel proprio campo di elezione. Gli
elaborati sono corretti e valutati in forma anonima. Solo
al termine della valutazione ciascun tema viene
collegato al suo autore. Si è ammessi all’orale solo se si
raggiunge almeno il punteggio di 40/60.
L’orale serve a conoscere di persona il candidato ed è
inteso a valutarne le competenze sul piano
metodologico, sulla capacità di lettura dei dati e sulle
possibilità di seguire e perseguire i propri progetti. E’
anche una occasione per conoscere i progetti e gli
interessi del candidato/a.
Anche per l’orale occorre raggiungere almeno i 40/60.
Sulla base della somma dei due punteggi si forma la
graduatoria.
D: A cosa serve fare il dottorato e avere questo
titolo?
R: Il titolo di dottore è sì il primo gradino della carriera
accademica, ormai quasi più nessuno dà un concorso
per ricercatore senza aver fatto il dottorato, però non
apre automaticamente la carriera accademica, perché i
posti da ricercatore sono sempre limitati.
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
15
Da qualche anno è esplicitato che il titolo di dottore è
diventato spendibile anche sul mercato esterno. Uno dei
criteri di valutazione dei dottorati da parte del Ministero
e dei valutatori esterni è il numero di dottori che si
collocano nel mercato del lavoro esterno all’università.
Questa è una cosa importante e anche impegnativa per
noi, perché ci costringe a formare persone che siano in
grado di rimanere a fare ricerca nell’ambiente
accademico ma anche persone che entreranno con
competenza di ricerca o altro in aziende pubbliche o
private, ove le logiche e i bisogni sono diverse.
nelle cose che vengono dette su questo fenomeno, ed è
anche la sola strategia adottabile per comprendere che
cosa avviene con processi di globalizzazione.
Ovviamente, non sto sostenendo che solo chi fa ricerca
comparativa fa buona ricerca; ma la competenza
comparativa è uno degli obiettivi che noi vogliamo
perseguire con il dottorato, che non a caso si intitola
Ricerca Sociale Comparata. Questo deve quindi risultare
chiaro ai candidati, ai quali verrà chiesto, in modo
sempre più esplicito nel corso del dottorato, di adottare
questa prospettiva.
D: Può spiegarci a grandi linee le differenze?
R: Tra ricerca sociologia accademica e ricerca sociale
“camerale”, per citare Boudon, ovvero applicata, le
differenze non sono certo nel rigore che il ricercatore
adotta durante il suo lavoro, tanto meno nella libertà
che esso ha nel suo lavoro. La differenza più grande
risiede nel fatto che il mercato esterno pone delle
domande al ricercatore, a volte anche molto precise,
aspettandosi delle risposte, a volte delle soluzioni. Un
buon ricercatore sa che è difficile riuscire a considerare
tutti gli aspetti di un problema in modo da fornire
spiegazioni causali o addirittura soluzioni definitive, ma
deve anche essere in grado di interpretare le richieste
che il committente gli sottopone, guidare le domande
conoscitive e le aspettative che il mercato pretende da
lui, e fornire strumenti, metodologie e strategie
utilmente applicabili alla realtà in esame. Sto pensando
alla ricerca policy oriented, quella, per intenderci, che
alla fine deve produrre piani d’azione che perseguano
determinati fini. Inoltre, i tempi sono importanti, perché
spesso le decisioni vanno prese in breve tempo, per cui
una ricerca policy oriented si deve confrontare anche
D: Come sono organizzati i tre anni di dottorato?
R: Esistono quattro distinti percorsi, che partono dalla
formazione del primo anno.
Il primo è dedicato alle questioni della socializzazione,
dei modelli di formazione dell’identità e, più
indirettamente alla formazione e trasmissione di valori e
al multiculturalismo.
Il secondo, sdoppiatosi negli ultimi anni, prevede un
curriculum più orientato alle tematiche organizzative e
l’altro ai modelli di sviluppo locale.
L’ultimo è incentrato sulle disuguaglianze culturali,
sociali, di genere, ecc. e sulla loro riproduzione,
considerando anche i temi legati alle politiche sociali e
al welfare.
Accanto a questi curricula, di tipo più sostantivo, da
sempre abbiamo avuto un’attenzione trasversale per la
formazione metodologica e negli ultimi anni abbiamo
ulteriormente arricchito il curriculum, con grande
attenzione sia alle metodologie e tecniche quantitative
che a quelle qualitative.
A questa didattica di base si aggiungono altre due
attività didattiche: quelli che abbiamo chiamato
laboratori, ovvero la presentazione delle attività di
ricerca del Dipartimento, in modo che i dottorandi
vedano una ricerca nel suo farsi, e possano essere
coinvolti, se lo desiderano, in gruppi di ricerca che
potrebbero essere anche quelli all’interno dei quali
sviluppano i loro progetti di tesi; incontri su temi teorici
che integrano quelli più specialistici dei moduli. A questi
incontri spesso vengono invitati come docenti persone
esterne sia al collegio che alla stessa università di
Torino, con particolare riguardo a docenti stranieri.
I dottorandi, oltre a frequentare queste attività con
regolarità, entro la fine del primo anno devono
preparare un progetto di tesi, che va approvato dal
collegio, e alcuni paper sui temi affrontati nella attività
didattica.
Una cosa importante che ci prefiggiamo è la creazione
di una vera e propria comunità scientifica di giovani
studiosi che si confrontano tra di loro e con altri
studiosi, dentro e fuori al dottorato.
P r o f e s s i o n e
S o c i o l o g o
con questo aspetto. Anche la ricerca svolta in ambito
accademico, a mio modo di vedere, si deve porre
problemi di fruibilità e utilità “sociale”. Tuttavia ha
compiti meno descrittivi e viceversa ha maggiori
responsabilità nella individuazione dei meccanismi e
anche nella evidenziazione dei limiti, degli scarti, nel
passaggio dalla ricerca alla decisione – aziendale o
politica.
La capacità critica di leggere i fenomeni e poi studiare
strategie di ricerca conoscitiva, ideare disegni di ricerca
appropriati ai fini del lavoro, e produrre risultati utili
seppur con la consapevolezza che molto ancora va
indagato e studiato, queste sono le competenze e
capacità di base che, a mio modo di vedere, ogni
ricercatore sociale deve sviluppare, indipendentemente
dagli ambiti nei quali svolge il proprio lavoro.
Quindi, col dottorato, cerchiamo di formare ricercatori
sociali di alto livello, capaci non solo di fare ricerca ma
anche di individuare i problemi della ricerca.
D: Perché la Ricerca sociale del titolo del dottorato
è “Comparata”?
R: L’ambizione di questo dottorato, ancora solo
parzialmente realizzata, è quella di formare dei
ricercatori con un forte orientamento comparativo:
credo che questo approccio abbia grandi potenzialità di
conoscenza. Inoltre questa è una prospettiva di ricerca
che nel resto dell’Europa è molto perseguita. È assurdo
parlare di globalizzazione senza studiare i fenomeni
sociali in ottica comparativa, che è la sola che ci può
aiutare a capire cosa c’è di vero e cosa c’è di non vero
D: Dopo il primo anno, cosa succede?
R: Il secondo e il terzo anno sono dedicati più al lavoro
della tesi, sotto la supervisione di un tutor. La didattica
è affidata a cicli di seminar. Il lavoro si svolge quindi in
stretto rapporto col tutor, il quale viene individuato dal
Collegio a seconda delle caratteristiche del progetto di
tesi, ma anche col discussant, non da intendersi come
un contro-relatore che con sguardo critico giudica il
lavoro del dottorando, ma più come una seconda guida,
come una ulteriore possibilità di confronto e di
approfondimento che il dottorando ha a disposizione.
Sempre seguendo quest’impostazione, una regola vuole
che non si abbia come tutor il docente col quale si è
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
16
preparata la tesi di laurea; questo perché crediamo che comunque sia, se lo studente ha trovato un “maestro” nel
suo relatore, questi continuerà ad essere un punto di riferimento per lui/lei, e l’avere un altro tutor allarga il raggio
dei riferimenti intellettuali. Il passaggio al terzo anno è definito in base alla valutazione ed approvazione dello stato
dei lavori del dottorando.
D: Parlando con alcuni dottorandi, mi hanno raccontato dei loro periodi all’estero e delle loro tesi in cotutela: di cosa si tratta?
R: In generale, col dottorato ci sono molte possibilità di andare all’esterno per periodi più o meno lunghi di studio,
vuoi per partecipare a gruppi di ricerca con i quali il nostro Dipartimento è in costante contatto, vuoi, inoltre, per
approfondire le conoscenze su settori che potrebbero essere maggiormente sviluppati all’estero. Noi consigliamo
caldamente ai nostri dottorandi di partire; anzi io farei come in altri Paesi europei, dove il soggiorno all’estero è
obbligatorio, perché costituisce una grande opportunità di crescita e apprendimento, alla quale nessuno dovrebbe
rinunciare. I borsisti, inoltre, si vedono riconoscere anche una maggiorazione della borsa, per il periodo che
trascorrono all’estero.
Nella stessa direzione vanno le tesi in co-tutela: il dottorando svolge il suo lavoro di ricerca sia con un tutor italiano
sia con uno straniero, in una università che lo accetta a sua volta come dottorando e presso la quale questi deve
passare almeno sei mesi. Con la cotutela, che è un vero e proprio contratto tra due università e due dottorati
relativamente ad uno specifico dottorando/a, questi consegue il titolo di dottore in entrambe le università e paesi.
Nonostante il dottorato torinese in ricerca sociale comparata sia relativamente nuovo (è appena terminato il suo
primo ciclo), abbiamo già un bel gruppetto di cotutele.
P r o f e s s i o n e
S o c i o l o g o
Segnaliamo un’iniziativa nella quale sono coinvolti alcuni docenti del Dipartimento di Scienze Sociali: un ciclo
di incontri, rivolti alle scuole superiori di Torino e provincia, per parlare di Sociologia.
Sito Internet: http://berti.scuole.piemonte.it/progettomax/index.html
Il Max che dà il nome al progetto è uno dei padri della sociologia: Max Weber. Weber fu uno tra i più acuti
osservatori delle trasformazioni sociali ed economiche che modellarono la società a cavallo tra il XIX e il XX secolo.
Ciò che qui ci preme sottolineare del lavoro di Weber è innanzitutto la sua passione per la ricerca sociale. È questa
passione per la sociologia, per l'osservazione e l'analisi critica dei fenomeni sociali, ciò che ci proponiamo di
trasmettere con il Progetto Max.
Max, rivolto innanzitutto agli studenti delle scuole medie superiori di Torino e provincia, intende offrire l'opportunità
di avvicinarsi alla sociologia attraverso le testimonianze, i racconti di chi di mestiere fa il sociologo.
Progetto Max nasce dalla collaborazione tra l'Istituto Magistrale Statale "Domenico Berti" di Torino, presso il quale la
sociologia costituisce un'importante materia d'insegnamento, e il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università di
Torino. Progetto Max, dunque, serve anche a gettare un ponte tra la scuola media superiore e l'Università,
mostrando i percorsi di studio che consentono di trasformare la passione per la sociologia in un mestiere.
Gli strumenti principali di cui si avvale Progetto Max sono i Laboratori e le Lezioni.
I Laboratori, riservati agli studenti e ai docenti del Berti, costituiscono il luogo di una sperimentazione didattica che
vede collaborare docenti dell'Istituto Magistrale Statale "Domenico Berti" e docenti dell'Università di Torino.
Le Lezioni, aperte (e ovviamente gratuite) a tutti gli studenti e i docenti delle scuole medie superiori di Torino e
provincia, affrontano un vasto insieme di argomenti (vedi il calendario), con l'intento di offrire un panorama dei
principali temi di studio della sociologia e degli strumenti più comunemente impiegati per fare ricerca.
Ecco il programma delle prossime Lezioni:
Per gli allievi delle scuole medie superiori di Torino e provincia
Aula magna ITIS Avogadro - ingresso da Via Rossini, 18 - Torino
14.30 - 16.30
6 febbraio Arnaldo Bagnasco .......... La società urbana
20 febbraio Giovanna Zincone .......... Cittadinanza e immigrazione
5 marzo Franco Garelli .......... Giovani e sessualità
19 marzo Mario Cardano .......... Professione ficcanaso: il lavoro dell’etnografo
2 aprile Adriana Luciano .......... Lavoriamo troppo o troppo poco? Domande di fine secolo
23 aprile Franco Prina .......... La società e le sue regole: chi le rispetta, chi le trasgredisce
7 maggio Loredana Sciolla .......... L’identità nelle società complesse
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
Professione Sociologo
Professione Sociologo
Più di un sud. Studi antropologici
sull’immigrazione a Torino, a cura di Paola Sacchi
e Pier Paolo Viazzo, Franco Angeli, Milano 2003.
Recensione di Stefania Palmisano
Al centro di questa raccolta di cinque saggi, tratti da
altrettante tesi di laurea in Antropologia discusse tra il
1997 e il 2003 nell’ateneo torinese, c’è il caso di Torino,
città che ha vissuto la peculiare esperienza di essere
interessata da due ondate di immigrazione nell’arco di
un trentennio: l’immigrazione interna dal sud italiano e
quella recente dal sud del mondo. L’assunto comune ai
saggi contenuti nel volume è che, pur non trattandosi di
esperienze migratorie del tutto simili, sia sensato
cercare analogie, o differenze illuminanti, tanto per quel
che riguarda la realtà degli immigrati, quanto le reazioni
della società di arrivo e le politiche nei confronti degli
immigrati stessi.
I saggi sono frutto di prolungate ricerche sul campo,
condotte con i metodi propri dell’indagine antropologica,
per far emergere nella ricchezza del dettaglio
etnografico le variabili e le multiformi dimensioni del
fenomeno migratorio e dell’esperienza dei migranti.
Piazza Cerignola: un simbolo dell’immigrazione pugliese
a Torino, di Dario Basile.
Il saggio di apertura ricostruisce le diverse fasi di
immigrazione da Cerignola, la cittadina in provincia di
Foggia da cui proviene un numero elevatissimo di
immigrati a Torino. Basile delinea così la vita sociale
della comunità cerignolana di Torino: la festa della
Madonna di Ripalta, protettrice di Cerignola, la vita
attorno a piazza Foroni che viene ribattezzata nel 1983
piazza Cerignola. Un saggio che viv e di testimonianze:
racconti di chi è arrivato tra il 1950 e il 1975, ma anche
racconti di giovani nati a Torino ma profondamente
radicati nella cultura locale cerignolana.
Torino, Maghreb. La costruzione di identità trasversali
tra i migranti marocchini, di Carlo Capello.
Il principale motivo di interesse del secondo contributo,
una ricerca condotta tra i marocchini che vivono nel
capoluogo piemontese, consiste nella sua metodologia:
in accordo con i nuovi approcci di analisi
trasnazionalista, Capello, dopo una prima fase di lavoro
in città, si è trasferito, viaggiando sugli autobus degli
immigrati nelle città da cui provengono, dando vita così
a una ricerca“multisituata”. Tale approccio gli ha
consentito di rintracciare sul campo quel mutamento di
paradigma nello studio dell’identità del migrante
dall’immagine dell’uomo senza radici, che ha rescisso i
legami con il loro passato. Altro elemento centrale,
condiviso con il saggio di Salvi (vedi oltre), è
l’esperienza della precarietà del lavoro in una città che
sembra avere proprio nella cultura del lavoro uno dei
suoi tratti distintivi.
Mi Perù: percorsi e progetti migratori di donne
peruviane tra istituzioni, associazioni e reticoli sociali, di
Eleonora Salvi.
Al centro del terzo saggio è la composizione
prevalentemente femminile della comunità peruviana
torinese. A conferma di quanto Giovine aveva
evidenziato per il caso filippino in “Donne e giovani a
Torino” (2000), anche per le donne peruviane l’impiego
come collaboratrici domestiche determina la loro
17
la loro reclusione presso famiglie residenti nei quartieri
alti. Tuttavia l’identità di attrici dei loro progetti di
migrazione ha consentito loro di interessere, attorno
all’associazione “Mi Perù” i confini dell’essere comunità.
Come Basile, Capello e Cingolani, Salvi riconosce
nell’elemento religioso uno dei cardini attorno ai quali si
costruisce l’identità dell’emigrante.
Koming from Naija to Torino: esperienze nigeriane di
immigrazione e di fede, di Pietro Cingolani.
L’attenzione di Cingolani si concentra sulle chiese
pentecostali, intorno alle quali si condensa l’esperienza
religiosa degli immigrati nigeriani. Un’analisi che
consente di mettere in discussione la lettura riduttiva
delle migrazioni in termini dicotomici (marocchini cattivi
/ peruviane buone) e che scompagina molte facili
classificazioni: la popolazione nigeriana di Torino risulta
composta, oltre alle stigmatizzate prostitute, di
profughi, studenti, professionisti, giornalisti, scrittori.
Attorno alle comunità pentecostali, afferma Cingolani, si
creano i confini di una comunità che riesce a percepirsi
come unitariamente nigeriana.
Non nelle mie contrade. Un’etnografia padana per
un’antropologia delle società complesse, di Alessandro
Albarello.
In chiusura, il lavoro di Albarello prende le mosse da
una ricerca condotta tra il 1996 e il 1997 sulla
costruzione e sull’uso politico dell’identità etnica
padana. Si tratta probabilmente della prima ricerca
antropologica sulla Lega Nord, disponibile finora solo
grazie a un paragrafo a essa dedicato da Pietro
Scarduelli in un volume recente (La costruzione
dell’etnicità, L’Harmattan Italia, Torino 2000).
Il lavoro è tuttavia caratterizzato anche da uno sviluppo
ulteriore, condotto all’interno di un consiglio di
Circoscrizione per sondare la percezione dei movimenti
migratori presso i residenti, di qualsiasi colore politico
essi siano. La raccolta delle loro testimonianze offre un
quadro dal quale risulta un razzismo latente ma non
sopito, trasversale all’identità politica, attraverso cui
sembra prendere consistenza l’esistenza e l’uso dello
stereotipo del torinese lavoratore e dell’immigrato (da
ogni sud) sfruttatore, incapace e pigro.
La raccolta intende essere una sorta di ritorno sul punto
a più di dieci anni di distanza da un’altra importante
ricerca sociale sul capoluogo piemontese, “Uguali e
diversi”, curato nel 1991 da IRES Piemonte. A differenza
di quel lavoro, Più di un sud sconta i limiti legati alla sua
natura di raccolta di tesi esistenti. A differenza di quel
lavoro non vuole e non può fornire un quadro esaustivo
di tutti i gruppi di immigrati presenti. Tuttavia ne
condivide l’intelligente utilizzo delle storie di vita e
dell’osservazione partecipante, in una prospettiva che
privilegia l’indagine qualitativa. Ne risulta un quadro
illuminante in cui risaltano i percorsi particolari vissuti
dalle componenti maschili e femminili dell’immigrazione,
le analogie soprattutto “strategiche” nella ricostruzione
del senso di comunità tra le due migrazioni (Sud Italia e
Sud del mondo), il mutamento di bersaglio del razzismo
pur
nell’uso
costante
delle
stesse
“armi”
(meridionale/immigrato, l’incapacità sul lavoro).
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
Professione Sociologo
Professione Sociologo
18
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO
DIPARTIMENTO DI SCIENZE SOCIALI
Seminari di Dipartimento
Gennaio – Giugno 2004
Giovedì 29 Gennaio
Giuseppe Bonazzi: “Teorie dell’impresa e ricerca
sociologica: prospettive e problemi di un incontro”,
discussants M. Vaira, F. Barbera.
Giovedì 12 Febbraio
Dario Melossi: “Stato, controllo sociale e devianza”,
discussants A. Cottino, F. Prina.
Giovedì 1 Aprile
Luca Ricolfi – Diego Gambetta: “Spiegare le missioni
suicide”, discussants M. Buttino, M. Ferrero.
Giovedì 20 Maggio
Davide Barrera: “La fiducia: un’analisi sperimentale”,
discussants G. Ortona, M. Follis.
Giovedì 17 Giugno
Sonia Bertolini: “Strumenti concettuali per l’analisi del
lavoro atipico: riflessioni ed esperienze di ricerca”¸
discussants N. Negri, A. Luciano.
Aula seminari del Dipartimento, Via S. Ottavio 50, Torino
ore 14,30
Copie dei testi presentati saranno disponibili in Dipartimento qualche giorno prima della
data di discussione, rivolgendosi al Sig. Fabio Pallavicino (011.670.2606)
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
Sociologie
Avvenire: 31 gennaio 2004
Articolo di Ivana Araldi
INTERVISTA. A colloquio con il massimo sociologo della
complessità: «Non è più possibile considerare la realtà
solo in termini quantitativi».
Edgar Morin: il futuro è solidale
Il destino dell’Europa, l’idea di un mondo policentrico, la
rinascita di un nuovo umanesimo, la necessità di una
riforma del pensiero sono il filo conduttore della ricerca
di Edgar Morin. Di qui, l’idea di un nuovo assetto
economico mondiale collegato all’etica della solidarietà e
della fraternizzazione che conducono Morin a realizzare
una nuova scienza polidisciplinare, la riforma dell’organizzazione dei saperi. Abbiamo raggiunto telefonicamente il professor Morin, che è stato molto disponibile a
rispondere ad alcune nostre domande per «Avvenire».
Professor Morin, per l’Europa avremo unità o
divisione? E sulla Costituzione europea, di cui
tanto si è discusso, che cosa può dirci?
«È evidente che c’è una crisi, perché la crisi dell’Europa
viene da due fattori. Quello più importante è che
l’Europa si è fatta sul piano economico, ma non si è
fatta su quello politico, umano e sociale. Nella storia
della costituzione dell’Europa, la prima intenzione dei
padri fondatori dell’idea europea, era quella di fare
un’Europa di pace e di democrazia, un’Europa culturale
e politica. Abbiamo invece avuto molte difficoltà con il
nazionalismo, soprattutto francese. Così, quell’idea ha
preso, con successo, soltanto un cammino economico,
che pure ha dato prosperità a tutti i Paesi. Oggi, però,
pesa il dato che non sia stato fatto nulla per passare
dall’unione economica a quella politica. Questa è la
grande Nazione. Ciò deriva dal fatto che c’è
l’allargamento dell’Europa, allargamento che non è stato
possibile nel passato. È naturale che i Paesi dell’Est,
come Romania, Ungheria, Polonia entrino in Europa: ne
fanno parte integrante. Questo allargamento, però,
pone il problema più difficile dell’autorità, perché ogni
decisione non si può più prendere a livello di unanimità.
Si deve trovare il modo di poter prendere decisioni
molto difficili».
A complicare le cose, è sopraggiunto anche il
problema della guerra all’Iraq e delle divisioni a
livello politico tra le nazioni europee che, come
Francia e Germania, erano contrarie all’intervento
armato…
«Infatti, Francia e Germania si sono opposte all’invio di
soldati in Iraq. Quindi, una difficoltà in più per la
Costituzione europea. Io ritengo che una Costituzione
europea sia una necessità, la stessa necessità che c’è
stata per una moneta comune, un passaporto unico.
Una Costituzione significa che esiste un’unione politica,
anche se è molto difficile fare una buona Costituzione.
Per me, è meglio avere una Costituzione imperfetta che
nessuna Costituzione. Quella di Giscard aveva molti
difetti, ma una Costituzione si può sempre cambiare.
Per questa crisi creatasi esiste il problema o di avanzare
o di annullare. Dobbiamo aiutare gli eventi ad avanzare.
Bisogna superare le divisioni, integrare senza
disintegrare, con o senza voto all’unanimità».
Sociologie
19
Articolo segnalato da
Donatella Simon
«Ho sempre auspicato un’Europa che, accogliendo altri
Paesi, abbia confini più estesi, all’Est e all’Ovest, ma con
idee unificanti e pacificatrici».
Passando dalla crisi europea a quella che lei chiama
era planetaria, vediamo che economisti e studiosi di
scienze umane sembrano concordare nel riconoscere che è la stessa società occidentale ad essere,
oggi, in uno stato di crisi economica, sociale e
politica. Che cosa ne pensa?
«Purtroppo, il progresso implica anche regressione e
siamo costretti a riconoscere che la nostra civiltà industriale, tecnologia e scientifica, mentre risolve alcuni
problemi, ne genera altrettanti. Possiamo dire che il mito
del progresso è sprofondato e ciò che in passato ha
rappresentato il volto radioso della civiltà, oggi sta
mostrando il suo lato più oscuro. L’individualismo, per
esempio, una delle conquiste più grandi della civiltà
occidentale, oggi è accompagnato da fenomeni di
egocentrismo, solitudine, frammentazione, disintegrazione della solidarietà. La stessa tecnologia, nonostante i
benefici apportati all’umanità con il trasferimento del
lavoro alle macchine, è un altro prodotto ambiguo della
nostra civiltà. Anche la scienza a rivelato il suo aspetto
inquietante con la minaccia nucleare o i rischi
dell’ingegneria genetica. L’industria, pur soddisfacendo le
necessità di molti, è fonte di inquinamento e di degrado
sulla biosfera».
Con questa diagnosi, la situazione sembra quasi
disperata. C’è qualche speranza?
«Quella che stiamo vivendo è una crisi mondiale, visto
che nel perseguire il proprio ideale di sviluppo la società
si è globalizzata. Ci siamo però resi conto che il mero
sviluppo economico preclude lo sviluppo umano e morale
non soltanto nelle nostre società opulente, ma anche a
livello globale. Così, questo sviluppo inarrestabile provoca
sfide enormi per noi stessi e per il pianeta, minacciando
la tessa economia globale. Ancora non sappiamo se i
benefici
promessi
non
causeranno
un
serio
deterioramento della qualità della vita. Purtroppo, la
qualità della vita si è andata degradando perché si
continua a vivere secondo il ritmo dettato dalla quantità
piuttosto che dalla qualità. Soltanto ciò che è
quantificabile è percepito come reale, altrimenti tutto
viene ignorato anche perché l’amore, la sofferenza, il
piacere, l’entusiasmo o la poesia non sono quantificabili.
La tragedia è che, senza un’inversione di tendenza, non
abbiamo scampo. I nostri pensieri, le nostre ideologie
risultano inutili.
C’è la necessità di ricomporre una
cultura della solidarietà poiché la solidarietà è la risorsa
fondamentale dell’etica».
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
Sociologie
Sociologie
20
Aspettando gli Oscar...
LOST IN TRANSLATION – L’amore tradotto
Per una volta ignorate il sottotitolo italiano e concentrate la vostra attenzione sul titolo originale. Perdetevi
nell’intraducibile mondo nipponico. Solo in questo modo potrete assaporarvi appieno la dolce-amara pellicola di Sofia
Coppola, che con questo film si è aggiudicata ben tre Golden Globe -miglior film e miglior attore protagonista nella
categoria commedia e miglior sceneggiatura -confermando di non essere più solo la figlia di Francis Ford (Coppola,
appunto).
Nella moderna Tokyo, piena degli eccessi della società occidentale, due turisti per forza condividono la loro solitudine.
Bob Harris è stato un attore di successo negli Usa degli anni ’80 ed ora si accontenta di fare la pubblicità ad uno
scotch nipponico.Charlotte ha interrotto l’università per seguire il suo neo-sposo fotografo alle prese con una rock
band. Malinconica maschera teatrale lui, pallido fiore della giovinezza lei, s’incontrano in un bar in stile americano,
parlano attraverso i fax delle loro stanze, cercano di divertirsi in un karaoke e sorridono insieme guardando “La dolce
vita” con i sottotitoli in giapponese. Non aspettatevi una storia d’amore: questo è un film sulle piccole gioie della vita.
È fatto dei sorrisi di Scarlett Johansson, degli sguardi imbambolati di Giovanni Ribisi (il marito) e soprattutto delle
smorfie di Bill Murray, capace di prendersi in giro e rinnovarsi dopo anni di assenza dalle scene. Dopotutto, a tutti
dovrebbe essere data una seconda opportunità.
Arianna Radin
L’occhio vuole la sua arte.
ai suoi quadri siamo sorpresi, ma anche affascinati.
Continuiamo a fissare la donna a cavallo per capire dove
il quadro sia «sbagliato» o dove invece «sbagliano» i nostri sensi. Semir Zeki in un libro
recente, La visione dell’interno.
Abbiamo
letto
questo
articolo.
Parla
Arte e cervello (Bollati Boringhieri)
La donna è a cavallo dentro un
non solo conferma la tesi di
delle ultime scoperte della
bosco. Alcuni alberi la nascondono
Gregory ma, sorretto dall’idea che
neurobiologia
sul
funzionamento
parzialmente, così che noi vediamo
della visione umana. L’oggettività di è il cervello a «produrre» la realtà,
la sua figura interrotta da lunghe
indaga l’arte moderna e contempostrisce verticali. Ma se si guarda
una realtà da vedere, per tutti
ranea per mostrare la stretta conbene a «cancellare» la sua immani- uguale, lascia spazio alle influenze
nessione che esiste tra la neurone non sono tanto le piante d’alto
biologiche, fisiche, sociali e cultuali.
biologia e il modo di vedere degli
fusto dietro cui transita, bensì un
Il dibattito in Sociologia è aperto e
artisti. Zeki è uno dei maggiori
albero che in realtà si trova dietro
in
continua
evoluzione.
Questo
è
un
neurobiologi viventi; docente a
il cavallo, oppure una porzione di
Londra e autore di un fondamenulteriore spunto di riflessione.
paesaggio che è posta tra un
tale libro, A Vision of the Brain
albero e l’altro. È un quadro di
(Blakwell), si interessa da tempo
René Magritte intitolato Carte
di arte, come testimonia una sua
blanche, in cui il pittore belga gioca con la nostra
conversazione con Balthus sull’arte (Balthus o la ricerca
percezione, spiazzandoci. Il nostro cervello, l’organo più
dell’essenza, Graphos). Comunemente si ritiene che sulla
affascinante e più misterioso che possedinostra retina si «imprima» un’immagine del
amo, costruisce continuamente l’immagine
mondo, la quale viene trasferita nella corteccia
della realtà con cui ci orientiamo nel mondo.
visiva, dove è ricevuta, decodificata e analizzata.
Se osserviamo un uomo seduto a un tavolo
Insomma, pensiamo di vedere con gli occhi. Il
e ne vediamo solo il tronco, diamo per sconche è solo in parte vero a partire dagli studi di
tato che le sue gambe siano sotto il tavolo,
David Hubel e Thorsten Wiesel sulla selettività
anche se i nostri sensi – la vista, prima di
dell’orientazione, pubblicati nel 1959, la visione
tutto – non sono in grado di confermarlo;
non è più pensata come una attività passiva,
è una supposizione, ma decisiva. […]
bensì attiva, in cui, come scrive Zeki, «il cervello,
Il nostro cervello fa ipotesi, come sostiene
nella sua ricerca di conoscenza del mondo visivo,
lo studioso di percezione Richard Gregory
opera una scelta fra tutti i dati disponibili e,
in Occhio e cervello (il Saggiatore). Magritte
confrontando l’informazione selezionata con i
sfida con successo il senso comune: davanti
ricordi immagazzinati, genera l’immagine visiva,
con un procedimento molto simile a quello
messo in atto da un artista». Per dirlo in modo icastico:
vedere è percepire e comprendere. O, come ha scritto
Gregory, vedere implica sempre un’ipotesi.
Così il nostro cervello orienta la visione: le correnti
artistiche moderne dal punto di vista del neurobiologo.
di Marco Belpoliti (La Stampa)
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Soc iale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
Sociologia e Ricerca Sociale
21
Zeki ci spiega che questa convinzione deriva da una scoperta di grande importanza: esistono molte aree visive
intorno alla corteccia visiva primaria, le quali partecipano in modo selettivo alla costruzione della visione. Si tratta di
aree specializzate nella elaborazione di aspetti specifici della scena visiva come: forma, colore, movimento. Anzi,
Zeki mostra come vi siano cellule specializzate nel riconoscimento di singoli colori, ad esempio del rosso: «ogni
cellula ha un proprio campo ricettivo, corrispondente a una data parte dello spazio visivo». Sono cellule molto
esigenti che manifestano reazioni sempre più limitate man mano che ci si allontana dalla loro direzione privilegiata
(un dato colore, un elemento del movimento o della forma), fino a quando la loro reattività cessa del tutto. Come si è
arrivati a queste scoperte? Attraverso esperimenti, ma anche attraverso la menomazione. In un capitolo del loro
libro, Arte e cervello (Zanichelli), Lamberto Maffei e Adriana Fiorentini riportano diversi casi di «pittori malati» con
evidenti deficit visivi ma che realizzano ugualmente opere pittoriche. Anton Raederscheidt, pittore, ha subìto una
lesione parietale nel lobo destro del cervello, di conseguenza gli manca una parte del campo visivo sinistro: i suoi
autoritratti descrivono solo metà del viso. Il caso più celebre è quello del Signor I. raccontato da Oliver Sacks nel
primo capitolo del libro Un antropologo su Marte (Adelphi), intitolato «Il caso del pittore che non vedeva i colori». A
causa di un incidente stradale il Signor I. perde sia la visione delle forme sia la visione dei colori. Dopo un certo
periodo, il disturbo relativo alla percezione delle forme recede, mentre la visione dei colori gli è preclusa per sempre.
Da quel momento i suoi disegni saranno molto accurati nelle forme, ma assolutamente privi di colore: il suo mondo è
in bianco e nero; il Signor I. è incapace di immaginare i colori, di renderli e, persino, di sognarli.
Zeki individua nel nostro cervello le aree specializzate nella percezione. Nella corteccia visiva vi è un’area primaria,
detta V1, che è il centro di smistamento dei segnali visivi e che funziona come un ufficio postale centrale: divide i
vari segnali e li smista alle diverse aree visive della corteccia lì intorno. Un’altra area, la V5, è il centro del
movimento, mentre l’area V4 è dedita alla comprensione del colore. È proprio questa zona del cervello che il Signor
I. non riesce più a utilizzare, così da soffrire di una sindrome nota come acromatopsia. Se per disgrazia un ictus
colpisse la zona V5, specializzata nel movimento, il paziente può diventare acinetopsico, ovvero incapace di vedere
gli oggetti in movimento. Ci sono persone che hanno subito lesioni in alcune parti del cervello, che, al contrario, non
sono in grado di riconoscere i propri cari quando sono fermi; appena questi si muovono, tutto torna per loro normale.
Ma cosa c’entra questo con l’arte moderna? A Zeki pare che l’arte moderna, a partire da Cézanne, ma anche dai
Fauves, abbia cercato di trovare la via di una «sensazione non oggettiva» di cui parlava Malevic. Il neurobiolgo
individua una stretta connessione tra questa arte e il modo in cui le cellule della corteccia visiva orientano la nostra
visione. Quando vediamo un’opera di Mondrian, o di Barnett Newman, «un gran numero di cellule nelle aree visive
identificate dal nostro cervello, vengono attivate e reagiscono energicamente, purché nella parte del campo visivo
che “compete” a una cellula cada una linea con un’orientazione coincidente con quella preferita dalla cellula stessa».
Questo significa che il linguaggio visivo dell’arte moderna e contemporanea si è orientato verso l’astrattismo
geometrico e coloristico perché esistono precise cellule atte a cogliere queste forme nel nostro cervello? Zeki non lo
afferma in modo esplicito, ma nel suo libro non po’ fare a meno di notare la stretta connessione fra questa arte e la
neurobiologia che studia il modo in cui il nostro cervello costruisce la realtà. Tuttavia, scrive all’inizio del suo volume,
noi vediamo non tanto per apprezzare l’arte quanto «per acquisire una conoscenza del nostro mondo». I topi e le
S o c i o l o g i e
talpe, per fare solo un esempio, possiedono una visione molto rudimentale, tuttavia sufficiente per vivere nel loro
ambiente e prosperare. Noi umani abbiamo sviluppato una visione più complessa per ragioni evolutive. Zeki fa
l’esempio della percezione del volto. La capacità di colpirci che possiede il ritratto pittorico è correlata strettamente al
bisogno che ha il cervello di conoscere. E poiché l’espressione del viso in tutte le culture umane ha una enorme
importanza nella comunicazione – oltre che nella difesa o nell’offesa dell’altro – nel cervello si è sviluppata un’intera
zona addetta al riconoscimento dei volti, cosa che non è invece accaduta per altre parti del corpo come le spalle o i
piedi.
La zona capace del riconoscimento del volto è collocata in una circonvoluzione denominata «giro fisiforme», spesso
soggetta a danni causati da traumi; il deficit conseguente è noto con il nome di prosopagnosia. I neurologi discutono
da tempo se questa zona presieda al riconoscimento di tutti i volti o solo di quelli delle persone familiari. Zeki cita il
caso di un paziente che riesce a riconoscere i particolari del volto, ma non la persona: «Vedo di sicuro la faccia, con
occhi, naso e bocca, ma in qualche modo non mi è familiare; in realtà potrebbe essere chiunque». Esiste una precisa
funzione del cervello in grado di mettere insieme i dettagli e formare un’unica visione. Per farci capire come funziona
il nostro complesso cervello, spiega Zeki, una lesione nella parte
posteriore della zona deputata al riconoscimento dei volti
impedirebbe di vedere il volto stesso; una lesione nella parte
anteriore renderebbe incapaci di riconoscere l’espressione. Nel capitolo sul colore, uno degli eventi visivi che rendono
pregnante il nostro mondo, Zeki spiega una semplice verità ignorata dai più: il colore non esiste, è una produzione
del nostro cervello; la scienza del colore è infatti una scienza della mente. Si tratta di una proprietà del cervello e
non del mondo esterno, per quanto le proprietà fisiche del mondo esterno siano decisive.
Come scrive Newton nell’Ottica, ben prima che la neurobiologia muova i suoi primi passi, «a rigore, i raggi luminosi
non hanno colore. In essi non c’è altro che la capacità e predisposizione a generare la sensazione di questo o di quel
colore». Ma allora che differenza c’è tra il mondo esterno e il mondo interno? La realtà esiste? In quel bellissimo libro
sulla percezione visiva che è Palomar, Italo Calvino ci mostra il suo alter ego alle prese con vari dubbi visivi: cosa
significa vedere? Cosa vediamo davvero? Vedere è solo un atto mentale? Per poi concludere con un icastica
affermazione a partire dalla miopia del suo protagonista: il mondo guarda il mondo attraverso gli occhiali del signor
Palomar.
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Newsletter
Sociologia e Ricerca Sociale
Febbraio 2004, Anno 1, Numero 2
Scrivi alla redazione >>
[email protected]
La Facoltà
La Facoltà
22
L’Ateneo torinese ha avviato un progetto teso a rafforzare le attività di tutorato. Rientra in
quest’ambito un corso di formazione rivolto a studenti e docenti, i cui lineamenti sono illustrati
in un documento del COREP che riproduciamo di seguito.
Percorsi di formazione per
la progettazione, gestione e monitoraggio
dei servizi di tutorato dell’Università di Torino
Le ricerche condotte negli ultimi anni in Italia in tema di scolarità concordano nel rilevare che all’aumento
dei tassi di passaggio all’università non corrisponde un adeguato aumento del numero dei laureati. È una
situazione grave, che trova riscontro nel fatto che la percentuale dei laureati nella popolazione attiva in
Italia è più bassa che nella maggior parte dei paesi europei.
Le ragioni di questo insuccesso negli studi universitari sono molteplici, tra queste non deve essere
sottovalutata la responsabilità che l’Università condivide con gli altri livelli scolastici nell’ignorare il disagio
degli studenti, sia nella fase di ingresso sia nel corso degli studi, con ripercussioni negative oltre che sulla
carriera scolastica, anche sull’autostima dei giovani.
L’Università non offre molto aiuto agli studenti che devono affrontare difficoltà derivanti dall’impatto con un
ambiente totalmente diverso dalla realtà scolastica cui erano abituati e in cui venivano loro chieste
prestazioni differenti. A chi inizia gli studi universitari vengono infatti improvvisamente a mancare le ore
trascorse a contatto giornaliero con insegnanti e compagni che, bene o male, avevano costituito un
costante riferimento durante tutto il precedente periodo scolastico e che avevano reso possibile
l’apprendimento anche in carenza di buone capacità di studio individuale. All’Università ci si sente più soli,
sia dal punto di vista affettivo, sia rispetto all’apprendimento. Il disporre di capacità di gestire il proprio
apprendimento con un metodo di studio efficace diviene essenziale, poiché i docenti, a differenza di quanto
avviene nella scuola superiore, non scandiscono il ritmo dello studio.
Il tutorato va inteso, alla luce dei problemi qui sinteticamente richiamati, come un complesso di azioni tese
a far partecipare positivamente gli studenti alla formazione universitaria.
Sia i ruoli che i tutor sono chiamati a svolgere, sia le loro interazioni con le altre figure professionali che
operano nel sistema universitario (ricercatori, docenti, personale amministrativo) sono ancora ampiamente
da definire. Per farlo è necessaria una azione formativa attenta a questi problemi in grado di accompagnare
un’ampia sperimentazione e di valorizzare le informazioni raccolte da un idoneo sistema di monitoraggio e
di valutazione.
L’accreditamento delle strutture universitarie per l’accesso ai fondi FSE (Fondo Sociale Europeo) può essere
utilizzato come una importante opportunità per razionalizzare e dare impulso anche a questo processo.
Il progetto di formazione/monitoraggio ha lo scopo di sostenere e facilitare le attività tutoriali, dando a
tutte le Facoltà un concreto aiuto per l’organizzazione di una propria struttura tutoriale, coerente con le
differenti esigenze formative.
Poiché il buon funzionamento della struttura tutoriale non è separato dall’insieme delle attività didattiche e
di servizio agli studenti messe in atto dall’Ateneo e da ciascuna Facoltà, nel presente progetto la
formazione rivolta ai tutor viene affiancata da incontri rivolti referenti delle attività di tutorato delle diverse
Facoltà e da un insieme di seminari monografici rivolti anche a ricercatori, docenti, personale
amministrativo.
L’obiettivo generale del programma è collaborare a creare una comunità virtuale tra i tutor e tra questi e i
docenti e il personale amministrativo che metta in comune esperienze e riflessioni utili per il miglioramento
della didattica universitaria.
Le attività proposte si articolano in:
percorso di 30 ore (15 in presenza e 15 in rete) per i responsabili dei servizi di tutorato indicati da ciascuna
Facoltà;
corsi di formazione di 40 ore (28 in presenza e 12 in rete) per i tutor;
seminari monotematici aperti anche a docenti, personale amministrativo, ecc.
Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale
Scarica

Numero 2 - Newsletter di Sociologia