inchiesta / internet e social media
di Alberto Pattono e Marzio Molinari
Social media: la piazza non c’è più
S
i sta giocando nel campo dell’informazione un processo che è l’opposto di
ciò che ha caratterizzato quel periodo storico definito da alcuni sociologi
‘fordismo’. Dalla fine dell’Ottocento, per un secolo, aziende e Governi
hanno avuto bisogno di un gran numero di quadri e dirigenti e hanno sentito
la necessità di sviluppare le conoscenze e le capacità critiche in una forte minoranza
o nella maggioranza dei cittadini. Da qui, forti investimenti e grande valorizzazione della scuola, della lettura, della capacità di concentrarsi. In una epoca
post-fordista la tecnologia ha reso meno importante le conoscenze e ancora meno
le capacità critiche. Sempre più nel mondo delle aziende si richiede rispetto delle
procedure, capacità di reazione veloce e disponibilità a sostituire le nozioni apprese
con altre più nuove o più adatte al mercato.
Da qui un palese disinvestimento in tutto ciò che è formazione nel senso espresso
dalla parola tedesca ‘Bildung’. Qualcuno dice che la tecnologia ormai da trenta
anni produce solo ‘armi di distrazione di massa’, si tratti di videogiochi o di social
media. Si è parlato a lungo di ‘digital divide’, del rischio di emarginazione sofferto
dalle persone che non avevano accesso alla tecnologia (Pc banda larga e smartphone),
ma in realtà la divisione funziona al contrario. Se sei povero, se sei destinato a
essere solo un consumatore avrai accesso solo a contenuti digitali abbreviati, predigeriti, decodificabili nei pochi secondi di attenzione che ti rimangono.
Oggi solo chi fa parte della classe dirigente ha la capacità di concentrarsi per
alcune ore nella lettura di un libro, di un bilancio, o nella redazione di un progetto.
«La classe dirigente si distingue per la sua capacità di vivere con la testa fuori
dal mondo digitale», sottolinea Stefana Broadbent. Il Financial Times nella
versione su carta e su web a pagamento non ha perso lettori. I quotidiani privi
di spessore e prestigio, senza giornalisti e riempiti solo di agenzie e comunicati
stampa, sì. La Confindustria italiana, svizzera o inglese non ci pensa nemmeno
a trasformarsi in un social network, a chiudere le sue sedi e licenziare i funzionari.
Continuano ad aumentare i partecipanti al World Economic Forum di Davos.
La Chiesa non sostituisce il seminario con i corsi online. I contenuti che domani
diventeranno notizie e dopodomani saranno discussi dai social media sono presentati,
discussi ed elaborati da riviste che escono su carta, magari senza nemmeno
fotografie, come Foreign Affairs o gli studi di Ocse, Banca per i regolamenti
internazionali, Bce e Federal reserve. Restano e resteranno in vita quei pochissimi
mensili e settimanali che possono permettersi di impegnare un giornalista per
50 ore su un articolo e, soprattutto, che hanno un lettore in grado di dedicare
100 minuti alla loro lettura. Questa è la classe dirigente di oggi e di domani.
Gli inserzionisti che desiderano parlare con chiunque si accomodino a inviare
tweet e altri messaggi non richiesti, mal tollerati e con poco seguito operativo.
Chi vuole condividere messaggi che restino con le persone che decidono può
continuare ad aver fede in quei pochi media cartacei (o nelle loro versioni online
a pagamento) dove si fabbricano le opinioni e i fatti, dove ogni affermazione ha
una firma e una ‘faccia’, avallata dalla firma del direttore e dell’editore responsabili
penalmente e civilmente. Nell’era del “posto, ergo sum” la distanza fra lettore
e autore sta scomparendo, ma l’autorevolezza no.
Valerio De Giorgi
28 · TM Gen./Feb. 2015
Il villaggio globale esiste, ma i
nuovi media non sono più di
massa. La massa si è
frantumata in milioni di
piccole comunità chiuse. Il
successo degli smartphone
(nel 2020 saranno diffusi
quasi quanto i televisori) ha
cambiato le regole del gioco:
il web è divenuto una sorta di
biblioteca comunale; internet
ha disintermediato anche se
stessa e oggi non è più uno
strumento capace di creare
contenuti quanto di
condividerli. Solo la Tv e le
homepage dei quotidiani
sono strumento di
informazione per l’opinione
pubblica, mentre i media
cartacei ritagliano il loro ruolo
come strumento attraverso il
quale la classe dirigente
produce contenuti e pone le
basi per gli eventi.
L’
impressione è che alla classica
internet che tutti conosciamo,
fatta di siti più o meno complessi
e frequentemente aggiornati, si siano
aggiunti alcuni social media, Facebook
soprattutto. Una evoluzione importante
ma non sconvolgente. L’altra impressione
è che oggi si vendano sempre più telefoni
in grado ‘anche’ di accedere a internet.
Insomma, i grandi eventi, internet e telefonia cellulare, sono alle spalle e oggi vediamo la loro crescita.
È una impressione sbagliata. È avvenuto
un cambiamento profondo. L’internet in
parte è una commodity: consultiamo le
prime pagine online dei giornali e il meteo
così come beviamo l’acqua del rubinetto.
In parte è marginalizzata: si va a consultare
questo o quel sito così come in passato si
prendeva in libreria o in biblioteca una
opera di consultazione: enciclopedia, elenco del telefono, dizionario. Oggi la modalità di utilizzo principale del web è il social
media (e non è detto che si tratti di Facebook), il resto è marginale.
Questo sviluppo è dovuto al fatto che
il telefono cellulare sta tramontando,
lasciando il posto a qualcosa che non è più
un telefono, ma uno strumento di comunicazione prevalentemente scritta o video:
lo smartphone. L’evoluzione massiccia
degli smartphone, tra gli under 30 e fra le
popolazioni extra-europee, sta cambiando
le regole del gioco e chi continua a pensare
di avere in tasca un telefono rischia di non
capire quanto stia davvero accadendo.
Il tramonto dei cellulari. Gli smartphone
sono destinati a sostituire quasi interamente i telefoni cellulari. Nel marzo 2014
il 60% degli svizzeri possedeva uno
smartphone, una percentuale di poco superiore a quella degli Usa (57%) ma maggiore rispetto ai tre Paesi confinanti Italia,
Francia e Germania, dove è pari o di poco
superiore al 50%. La penetrazione è destinata a raggiungere il 75%, un livello raggiunto già da diversi mesi negli Usa dalla
popolazione fra i 30 e i 49 anni o con un
reddito superiore a 70mila dollari. L’evoluzione sta avvenendo non tanto grazie al
fascino dei nuovi iPhone (che sono acquistati da persone che già possedevano uno
smartphone), quanto grazie ai modelli a
medio e basso costo di produzione cinese.
Una nostra rielaborazione di una “Piazza
d’Italia” di Giorgio de Chirico.
L’avvento del ‘mobile’ ha aggiunto una
25a ora a ogni giornata. Si possono ‘consumare’ immagini nei momenti morti
del giorno. Lo smartphone è, quindi, lo
schermo più guardato.
Senza parole. Lo smartphone non è un
telefono. La prova? Fino a qualche anno
fa, salendo su un autobus o in metropolitana, era normale sentire più persone
impegnate in una conversazione. Oggi
quasi tutti guardano il ‘cellulare’, ma è
rarissimo che questo squilli o che qualcuno
parli. Le statistiche confermano: l’utilizzo
principale dello smartphone è la ricezione
TM Gen./Feb. 2015 · 29
Si parla di ‘digital divide’,
del rischio di emarginazione
da mancato accesso alla
tecnologia: in realtà il digital
si avvia a essere la versione
‘pre-digerita’, riassunta, di
concetti fabbricati e
discussi altrove. Se sei solo
un consumatore avrai
accesso solo a contenuti
digitali abbreviati,
predigeriti, decodificabili nei
pochi secondi di attenzione
che ti rimangono
Stefana Broadbent,
antropologa,
Nesta Foundation, Londra
o lo scambio di messaggi con le app o con
sms. Le telefonate vengono molto dopo
e precedono di poco la lettura o l’invio di
mail e l’accesso a pagine web. Tra i giovani
inglesi, riportano gli studi, ricevere una
telefonata è raro così come mandare un’email.
Un recente rapporto di Ondevice ha
sottolineato che i telefoni mobili sono
ormai utilizzati prevalentemente per scam-
biare messaggi attraverso le app: WhatsApp, WeChat, Twitter e Skype. Un campione di utenti in 5 Paesi afferma che
l’86% usa lo smartphone almeno una volta
al giorno per questo scopo, mentre il 73%
per telefonare e solo il 60% per leggere
o inviare mail. Questo nonostante la penetrazione degli smartphone non sia ancora
completa. E gli sms? Sono in via di ridimensionamento. Presto saranno usati
Lo smartphone è lo schermo più guardato
Minuti passati mediamente in un mese davanti agli schermi di diversi strumenti nel 2014
Indonesia
Filippine
Cina
Brasile
Vietnam
Stati Uniti
Nigeria
Colombia
Tailandia
Arabia Saudita
Sudafrica
Rep. Ceca
Russia
Argentina
Regno Unito
Kenia
Australia
Spagna
Turchia
Messico
India
Polonia
Corea del sud
Germania
Canada
Slovacchia
Ungheria
Giappone
Francia
Italia
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minuti 0
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Fonte: Milward Brown AdReaction
30 · TM Gen./Feb. 2015
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■ Tv
■ Laptop
■ Smartphone
■ Tablet
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34
300
400
500
600
soprattutto nella modalità ‘uno-molti’.
Per esempio, dalle organizzazioni per avvisare contemporaneamente più utenti in
caso di emergenza.
Da tempo ormai la sola WhatsApp trasporta più messaggi di tutti gli sms scambiati sulla Terra (nel 2013 c’erano 7200
miliardi di messaggi per WhatsApp e 7500
miliardi di sms, ma WhatsApp aveva metà
degli abbonati che ha oggi). Considerando
WeChat e gli altri sistemi di messaggistica
si può stimare che gli sms rappresentino
dal 5 al 10% del totale dei messaggi scambiati. «La messaggistica via sms», informa
Alessandro Trivilini, ingegnere informatico, docente e ricercatore presso la Supsi,
«è destinata a un declino inevitabile: perché costa e perché non è interessante in
termini social, dal momento che non viene
usata per dialogare con qualcuno, ma solo
per comunicare. I sistemi di messaggistica
istantanea invece sono gratuiti, ma soprattutto consentono un dialogo, seppur di
durata limitata, che però è continuo nel
tempo».
Un computer in ogni mano. Lo smartphone si è prima affiancato e ora sta sosti-
In molti Paesi lo smartphone è il media
visivo più consultato superando la televisione, anche se sia l’esposizione totale
ai display sia la percentuale di ogni
media cambiano da Paese a Paese.
tuendo il pc come modalità principale per
collegarsi online. Nel 2011 solo il 29%
degli utenti usava anche lo smartphone
per collegarsi online. Nel marzo 2013 il
34% degli utenti utilizzava soprattutto lo
smartphone e non i pc (nemmeno le loro
versioni laptop) per collegarsi online.
Un’altra statistica: dal 2010 al 2013,
negli Usa, la quantità di tempo passata
davanti allo schermo di un pc è aumentata
solo del 15%, da 416 a 477 minuti al mese.
Ma a questi si sono aggiunti 381 minuti
passati davanti a uno smartphone e 100
guardando un tablet. Il totale è quindi raddoppiato, sfiorando i mille minuti al mese
medi.
Si stima che gli americani abbiano passato 1 miliardo di ore al mese (e il dato
non è recente: giugno 2013) sui social
media attraverso desktop e portatili.
Rispetto al 2010 l’aumento è del 16% (erano 800 milioni di ore). Ma a queste si sono
aggiunte quasi 2 miliardi di ore di accesso
ai social media tramite smartphone e
tablet. Nel 2014 gli statunitensi hanno
passato 8 miliardi di ore su desktop, ma
11 miliardi di ore su terminali mobili. E
la penetrazione di tablet e smartphone
negli Usa è ancora ben lontana dalla saturazione.
Nuovi modi e tempi di utilizzo. Lo
smartphone ha relegato ai margini il web
‘classico’. I tipici siti web realizzati da una
organizzazione e destinati a un pubblico
più o meno ampio, secondo un modello
tutto sommato non dissimile da quelli della
carta stampata (giornali, libri, brochure
aziendali), non si addicono alle ‘regole
non scritte’ d’uso dei terminali mobili. In
Europa solo il 16% delle pagine web sono
accedute da terminali mobili, negli Usa il
19%. Eppure il parco installato di
smartphone non è lontano da quello di
personal computers. In Asia e Africa la
percentuale è doppia, il 38%, ma questo
avviene perché nei Paesi emergenti il
mobile è l’unica modalità di accesso all’online.
Non è solo una questione di dimensione
dello schermo. Tra il personal computer
e lo smartphone c’è la stessa differenza
che negli anni ‘80 c’era fra la tv e la radio.
Lo smartphone viene utilizzato nei ritagli
di tempo, o comunque a fianco di un’altra
attività: mentre si viaggia, si cammina, in
coda alla cassa, mentre si mangia o si è
davanti alla tv. Non c’è tempo per ‘navigare’ all’interno di un sito o nel web e non
c’è l’attenzione per seguire un messaggio
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Si registra un avvicinamento
delle funzionalità tra Google,
Facebook e Twitter. Le loro
caratteristiche rispettivamente motore di
ricerca, social media e
sistema di comunicazione
istantanea - si stanno
sovrapponendo: Facebook
per esempio ha creato un
motore di ricerca interno
richiamandosi a Google, e
Twitter si sta avvicinando a
Facebook perché ora
consente di inserire anche
immagini e video
Alessandro Trivilini,
ingegnere informatico,
docente-ricercatore presso la Supsi
articolato. Nessuno si lamenta davvero
del limite di 140 caratteri imposto da Twitter o dai vecchi sms. Questo perché il limite non è nel mezzo, ma nel ricevente: non
avremmo la attenzione necessaria per
seguire frasi più lunghe.
Nel 1985, Bill Gates sembrava un pazzo
quando prevedeva che ci sarebbe stato di
lì a non molto tempo “un computer su
ogni scrivania”. Oggi nel mondo occidentale c’è un pc su ogni scrivania e anche in
ogni appartamento. Solo che dietro queste
scrivanie ci sono sempre meno spesso le
persone. Collettivamente passiamo sempre
meno tempo fermi in ufficio e sempre di
più in spostamenti per lavoro o per piacere.
Ora abbiamo un computer (un iPhone
contiene da mille a un milione di volte più
capacità logica dei pc che aveva in mente
Bill Gates quando pronunciò la sua frase)
in ogni mano. Viviamo immersi in una
connettività che è veicolata dallo
smartphone.
Il web visto da uno smartphone. Quando un nuovo mezzo di comunicazione
diviene disponibile, gli utilizzi iniziali sono
ben diversi da quelli che poi si imporranno.
Gli smartphone all’inizio si sforzavano di
rendere accessibili le pagine web. Oggi
trasferiscono quasi esclusivamente messaggistica e video. Combinando Machiavelli e McLuhan, potremmo dire che il
messaggio giustifica il mezzo.
32 · TM Gen./Feb. 2015
La navigazione su internet alla ricerca
di informazioni, l’apertura di siti e pagine
nuove, è ormai l’eccezione. L’insieme del
web ‘vecchio’ ricorda la biblioteca di quartiere. Oppure svolge la funzione che una
volta svolgeva il catalogo delle case di vendita per corrispondenza (sostituite dal
commercio online). Il web ‘classico’ così
come il pc è qualcosa verso il quale ‘si va’,
non qualcosa all’interno del quale ‘si è’,
come invece accade per lo smartphone.
Questo sviluppo rappresenta sicuramente un volano per il successo dei social
media, ma solo per un certo tipo di social
media. Anche qui siamo davanti a una svolta che vede vincitori e vinti ed è destinata
a cambiare una volta di più lo scenario per
le aziende, per i partiti politici e i gruppi
di pressione, insomma per chi deve comunicare e ‘vendere’ qualcosa all’opinione
pubblica.
La tv non soffre la concorrenza del
‘nuovo’ web. Lo sviluppo dei social media
avviene a scapito della televisione, come
affrettatamente previsto alcuni anni fa?
La risposta è no, o meglio solo in parte.
La televisione rimane la fonte principale
di informazione e di contenuti. È la televisione a fornire quello stimolo comune
al quale poi i social media reagiscono.
Questo influisce sulla televisione polarizzando gli ascolti su certi contenuti: «In
linea generale l’effetto dei social media è
opposto a quello del web 1.0. Il web 1.0
è il luogo del ‘long tail’: impiego lo stesso
tempo ad acquistare online il best seller
che trovo in ogni edicola e un vecchio
libro quasi fuori catalogo, a sapere che
tempo fa oppure chi fu l’ultimo re della
Numidia. Il social media invece tende a
concentrare l’attenzione su un numero
limitato di temi. Sui social c’è bisogno di
un punto in comune e questo punto in
comune è appunto spesso l’evento televisivo o comunque veicolato dalla televisione», spiega Stefana Broadbent, antropologa italo-svizzera ora responsabile dei
programmi di ricerca sulla collective intelligence presso Nesta, una fondazione legata al governo inglese per lo sviluppo della
ricerca applicata.
L’organizzazione di ricerca americana
Pew Internet Project ha condotto una
inchiesta nei giorni in cui Edward Snowden rivelava come i servizi segreti americani tenessero traccia di tutti gli scambi
di informazioni in corso nel mondo via
web o telefono. Un tema molto discusso
sui social media, certo, ma solo il 15%
degli intervistati afferma di aver raccolto
anche solo alcune informazioni sul tema
da Facebook e solo il 3% da Twitter: il
19% era stato informato da quotidiani e
settimanali su carta, il 34% dal web 1.0
(presumibilmente versioni digitali di media
cartacei o tv) e il 58% dalla tv e dalla radio.
TM Gen./Feb. 2015 · 33
Perché la previsione “internet sostituirà
la televisione” non si è avverata? Ancora
una volta bisogna considerare la differenza
fra la prima e la seconda era del web. Nel
tempo libero la televisione ha subìto la
concorrenza del pc. Se 20 anni fa la famiglia si riuniva la sera davanti al televisore,
oggi almeno un membro preferisce stare
davanti al pc che si trova in un’altra stanza.
Le ore di consumo televisivo (trasmissioni
in tempo reale, registrate o con accesso a
librerie di contenuti in streaming) infatti
non aumentano e per alcune fasce si sono
leggermente ridotte.
Gli smartphone hanno cambiato le
regole del gioco aprendo al consumo di
contenuti e alla interazione online
momenti nuovi della giornata. Gli intervalli fra le lezioni a scuola, il tempo passato
sui mezzi di trasporto... Quindi i social
media non hanno sostituito la televisione
per il semplice fatto che sono acceduti in
momenti diversi della giornata. Anzi, con
l’avvento della banda larga wireless tv e
video sono divenuti il contenuto più acceduto da terminali mobili.
L’effetto sarà ancora più marcato quando
internet diventerà indossabile, somiglierà
più a un paio di occhiali, o a un apparecchio
acustico o a delle buone scarpe da ginnastica. Insomma, sarà uno strumento per
migliorare la nostra esperienza o la nostra
efficienza. Nota Alessandro Trivilini: «Se
l’inizio del nuovo millennio è stato caratterizzato dall’arrivo sul mercato di dispositivi elettronici tascabili che consentono
di stare connessi alla rete senza interruzioni, questo periodo è contraddistinto
dallo sviluppo e dalla diffusione di una
nuova generazione di gadget intelligenti
definiti come ‘wearable and fashionable’,
gingilli tecnologici indossati dagli utenti
durante l’arco di tutta la giornata. Parliamo
quindi di anelli, collane, scarpe, occhiali,
orologi e perfino lenti a contatto capaci
di collegarsi alla rete internet e monitorare,
per esempio, il nostro stato di salute ma
anche i nostri desideri e le nostre preferenze».
E la stampa? Nessuna concorrenza se
è di qualità. Le previsioni sulla data di
vendita dell’ultima copia cartacea di un
quotidiano si sprecano: nel 2043, come
previsto dallo studioso di editoria Philip
Meyer? Nel 2015, come pare avesse detto
l’editore del New York Times Arthur Sulzberger? È vero che una parte della pubblicità e dei lettori delle edizioni cartacee
si è trasferita su quelle digitali. Come si è
34 · TM Gen./Feb. 2015
Genitori e figli:
che il dialogo rimanga aperto
Il rapporto che i giovani instaurano con i social media, e più in generale con le nuove
tecnologie, è spesso per gli adulti fonte di preoccupazioni. A questi timori cercano
di rispondere gli autori di Genitori nella rete, volume pubblicato da Armando Dadò
editore che affronta temi che toccano il confronto intergenerazionale tra nativi
digitali (i figli) e migranti digitali (i genitori), e che più in generale sono quelli dell’evoluzione di internet e della complessa relazione tra uomo e tecnologia. Caratteristica del manuale è quella di adottare un approccio interdisciplinare: tecnologico,
giuridico e pedagogico. Le riflessioni sugli aspetti tecnologici sono proposte da
Alessandro Trivilini, ingegnere informatico e docente-ricercatore presso la Supsi;
le considerazioni giuridiche sono di Gianni Cattaneo, avvocato di Lugano che
insegna Diritto dell’informatica e di internet alla Supsi e alla Ssig; l’aspetto pedagogico,
infine, è trattato da Ilario Lodi, laureato in Filosofia, responsabile per il Ticino di
Pro Juventute.
Il punto di vista tecnologico. Alessandro Trivilini da oltre dieci anni è relatore a
conferenze su temi rivolti alla prevenzione e alla sicurezza informatica presso ogni
ordine di scuole della Svizzera italiana e in Italia e ha sperimentato progetti informatici
orientati all’educazione a internet, che però l’hanno lasciato con l’amaro in bocca:
non per la validità dei contenuti e nemmeno per la serietà con cui sono stati proposti
e affrontati, ma per le modalità didattiche scelte. Per questo Trivilini ha deciso di
cambiare il proprio approccio a queste attività didattiche, cercando un canale alternativo. Ha infatti pensato di progettare e realizzare un gioco di carte che fosse utile
a docenti, genitori e figli, e nel 2010 ha raggiunto l’obiettivo con Soogoi (che in
giapponese significa ‘bello, fantastico’), il primo gioco di carte pensato per l’educazione
a internet. Soogoi è stato sperimentato con successo in molteplici occasioni ed è
stato apprezzato sia da migranti digitali che da nativi digitali che hanno avuto
occasione di provarlo, confermandosi così una realtà didattica efficace.
Il tema della sicurezza informatica è affrontato nel libro da Trivilini con una prospettiva
che prevede tre accorgimenti distinti: accorgimenti comportamentali, di controllo
e di sicurezza. Se i secondi e i terzi sono soprattutto di carattere tecnico, i primi si
concentrano invece sulla figura dell’utente e secondo Trivilini sono i più importanti:
è in effetti fondamentale evidenziare i limiti entro i quali la tecnologia può essere
impiegata, valorizzando gli accorgimenti che tutte le persone possono assumere per
incrementare la propria sicurezza.
Molti utenti sono infatti convinti che l’installazione di sofisticati programmi antivirus
e i continui aggiornamenti del proprio computer possano creare barriere di sicurezza
infrangibili, ma purtroppo le cose non stanno così.
Il punto di vista giuridico. L’esperienza maturata a contatto con le vittime di reati
collegati a internet, con le autorità civili e penali, con la scuola e con le associazioni
che combattono al fronte questi fenomeni ha confermato nell’avvocato Gianni Cattaneo la convinzione che si tratti di problemi molto seri e che vi sia la necessità,
viva ed urgente, che (anche) i genitori si rendano conto dell’importanza di educare
e di proteggere attivamente i propri figli online. Fra le attività più insidiose compiute
nella rete dai giovani si possono ricordare il consumo di pornografia, la frequentazione
di chat a carattere erotico, l’invio di fotografie proprie oppure di video a carattere
erotico, l’incontro con persone conosciute tramite internet, la condivisione di opere
protette dal diritto d’autore (soprattutto opere musicali), lo scaricamento di software
e videogiochi protetti dal diritto d’autore, il perpetrare molestie e attacchi a danno
di conoscenti e compagni di scuola (bullismo elettronico), la pubblicazione di dati
visto prima, nell’esempio di Snowden la
fonte di informazione sulla quale discutono
i social media è più spesso la tv, seconda
l’informazione dei giornali su carta e su
web, ma non il social media.
«Si è parlato a lungo di ‘digital divide’,
del rischio di emarginazione sofferto dalle
persone che non avevano accesso alla tec-
personali su se stessi, sui propri conoscenti o su
terzi estranei.
Per quanto riguarda il rapporto genitori-figli in
relazione all’uso delle nuove tecnologie, Cattaneo
ricorda che i genitori sono debitori di veri e
propri obblighi legali di protezione nei confronti
dei figli, la cui violazione può comportare (anche)
una responsabilità penale. Inoltre, i genitori possono essere chiamati a risarcire i terzi per il danno
causato da atti illeciti commessi online dai figli
minorenni (ad esempio, violazione dei diritti
della proprietà intellettuale, violazione dei diritti
della personalità, commissione di reati informatici
o contro la sfera personale riservata), nella misura
in cui non siano in grado di dimostrare di aver adoperato nella
vigilanza la diligenza ordinaria e quella richiesta dalle circostanze. Nel volume si
indicano poi nel dettaglio gli aspetti normativi legati all’acquisto di beni materiali
su internet, quelli relativi al diritto d’autore, quelli per la protezione della personalità
e infine le relazioni che intercorrono tra internet e il diritto penale, che toccano
anche i fenomeni del cyber-bullismo e del cyber-grooming (adescamento online).
Il punto di vista pedagogico. Ilario Lodi ricorda che con le nuove tecnologie la
pratica della relazione attraverso la quale il giovane viene educato e si autoeduca
sta diventando sempre meno diretta e sempre più mediata. I giovani nati e cresciuti
in un contesto dove i nuovi media la fanno da padrone entrano in relazione con
l’altro in maniera differente. Sono utilizzate modalità di relazione decisamente originali, molto potenti, a volte anche pericolose, in ogni caso affascinanti e meritevoli
d’attenzione, anche se spesso estranee al mondo degli adulti. Anche per questo il
tema delle nuove tecnologie si presenta come un ricchissimo insieme di occasioni
per ritornare a pensare e a realizzare nel concreto alcune modalità di relazione con
i giovani. L’approccio non può però essere di tipo unicamente tecnico, poiché in
questo modo si correrebbe il rischio di esser sempre un passo indietro rispetto agli
sviluppi della tecnica. D’altra parte, prescindere completamente dalle nuove tecnologie
comporta un rischio di approssimazione e di superficialità che può facilmente sfociare
in atteggiamenti paternalistici o autoritari (come ad esempio il ‘concedere 30 minuti’
al giorno per stare collegati al web e non uno di più). Lodi sottolinea che è importantissimo, soprattutto per quel che concerne i giovani alle prime armi, esserci e
far sentire la propria presenza di adulto ai ragazzi. Ciò non significa solo accettare
o rifiutare le richieste che il giovane avanza (il classico “mamma mi compri lo
smartphone, ce l’hanno tutti!”); si tratta invece di farsi trovare pronti e magari
tematizzare la questione già con un certo anticipo. Piccole attività quali, ad esempio,
far scorrere insieme i cataloghi che presentano le varie novità tecnologiche, decidere
insieme al proprio figlio quali programmi televisivi guardare, attribuirgli qualche
responsabilità sulla gestione delle proprie finanze, permettono al giovane di iniziare
a familiarizzarsi con questi temi anche in famiglia (e non solo a scuola o con gli altri
compagni). Secondo Lodi però è ancora più importante iniziare a parlare di quello
che succede nel web, in particolare nei social media, e discutere di amicizia, privacy,
bello e brutto, giusto e sbagliato, fisicità, intimità, pubblico, per fare in modo che
il giovane stesso faccia questo tipo di percorso e inizi a declinare questi concetti,
con l’aiuto dell’adulto, in un terreno che è fatto di esperienza virtuale e di esperienza
reale. Se poi dovesse succedere che il giovane incappi in una brutta esperienza nel
web non bisogna demonizzare la tecnologia né, tantomeno, incolpare il ragazzo di
quanto avvenuto. Il canale di comunicazione deve sempre rimanere aperto.
nologia, pc banda larga o smartphone»,
nota Stefana Broadbent, che ha svolto in
Svizzera per Swiss Telecom delle ricerche
di avanguardia sull’utilizzo reale dei mezzi
di comunicazione, «in realtà il digital si
avvia a essere la versione ‘pre-digerita’,
riassunta, magari fortemente ‘biased’ dai
concetti che sono stati fabbricati e discussi
altrove». Più che a un’agorà greca assomiglia ai quotidiani tabloid inglesi degli
anni ‘80. «Se sei povero, se sei destinato
a essere solo un consumatore avrai accesso
solo a contenuti digitali abbreviati, predigeriti, decodificabili nei pochi secondi
di attenzione che ti rimangono».
L’elemento discriminante non è la capacità di accedere a questo o a quello strumento e in fondo nemmeno il contenuto.
«Sono la capacità di mantenere l’attenzione e la capacità critica», continua Stefana Broadbent, che ha insegnato all’University College di Londra, «aspetti che
da tempo la scuola e le agenzie sociali in
genere non promuovono più come una
volta, forse non solo per caso o per incapacità».
Facebook soffre per colpa degli smartphone. Ma vediamo cosa sono questi
social media e quali evoluzioni avvengono
in questo campo. Facebook è il social
media per eccellenza: ogni mese 1,4 miliardi di persone si collegano almeno una volta
alla loro pagina Facebook o visitano quelle
di gruppi o amici. Il 63% di loro lo fa ogni
giorno (il dato del Social Media Update
di Pew internet project è aggiornato solo
a fine 2013) e il 40% si collega più volte
al giorno per 40 minuti in media, assicura
il suo fondatore Mark Zuckerberg.
In Svizzera, con 3,2 milioni di utenti (il
dato raccolto da ComScore Research è
del maggio 2013), Facebook è il primo
media dopo la televisione. È anche il sito
più a lungo acceduto con 176 minuti al
mese (spalla a spalla con Google) e il triplo
di Yahoo. Attenzione però: il sito più acceduto, non il servizio.
Facebook è in grado di profilare molto
bene ciascuno dei suoi utenti e quindi di
garantire alle aziende che lo usano come
media pubblicitario che i loro messaggi
pubblicitari saranno letti dalle persone più
disposte a leggerlo. Attratte da questa
opportunità le aziende di tutto il mondo
aprono i loro budget pubblicitari a Facebook.
Secondo eMarketer, il social network
entro la fine dell’anno rappresenterà il 9,5
per cento del mercato digitale statunitense.
Ogni utente Facebook americano ‘vale’
6,6 dollari di introiti pubblicitari.
«Le aziende che hanno disponibilità di
risorse per monitorare i social, per capire
quali sono gli argomenti di interesse, i
gruppi che si formano, i temi di attualità,
hanno in effetti la possibilità di costruire
contenuti mediatici accattivanti fatti su
TM Gen./Feb. 2015 · 35
Cosa si può fare e cosa no con lo smartphone
Risposte alla domanda. In quali attività lo smartphone può essere di aiuto?
Rapporti
Apprendimento
Ricerca meticolosa
Socializzare
Creatività
80%
Imparare qualcosa di nuovo
Divertimento
70%
60%
50%
Esplorare il mondo
Passare il tempo
40%
30%
20%
Organizzare qualcosa
Relax
10%
0%
Ottenere qualcosa
Leggere contenuti
Trovare la propria strada
Vedere contenuti
Fare un acquisto
Crescita
misura per quel target di utenti, contenuti
che vengono poi introdotti nei gruppi di
appartenenza in maniera molto più discreta rispetto ai ‘vecchi’ banner, che vengono
invece visti con fastidio e come una forma
di presenza invadente delle aziende», afferma Trivilini.
Una campagna pubblicitaria ben organizzata e legata a una pagina interna a
Facebook o esterna ben disegnata può raggiungere un tasso di redemption interessante: Comscore misura ogni mese la percentuale di persone raggiunte da un post
aziendale su Facebook che hanno cliccato
‘mi piace’, l’hanno condiviso, ci hanno
cliccato sopra o l’hanno commentato. In
novembre una persona su 40 è stata coinvolta da post relativi a Sinalco, Cgn Compagnie Générale de Navigation sur le Lac
Léman e Nikon. ‘Coinvolta’ significa che
ha commentato con un ‘mi piace’ un post
delle due società o ha risposto o lo ha
segnalato ad altre persone su Facebook.
Una redemption del 2,5%.
Contenuti meno coerenti con lo smartphone. Sul destino di Facebook aleggia
il ricordo di Second Life, un social media
egualmente pervasivo nei primi anni del
2000 che rapidamente perse quota fino a
sparire. È vero che annunci della imminente fine di Facebook sono stati lanciati
quando il sito americano aveva la metà
degli utenti attuali. Se si misura il numero
di utenti si può parlare al massimo di un
minor ritmo di incremento. Eppure la
ricerca del dipartimento di Ingegneria
meccanica e aerospaziale dell’Università
36 · TM Gen./Feb. 2015
Evitare la noia
Accedere
velocemente
alle informazioni
Fonte: Global - Own a Smartphone
Svago
Gestire
la propria vita
Giocare
Wave
6
7
Secondo questa statistica, a parere
degli utenti lo smartphone non è considerato di aiuto negli acquisti, nella
fruizione di contenuti e nell’accrescere
la creatività. È invece vincente nella
socialità nelle informazioni veloci e per
passare il tempo.
di Princeton, secondo la quale l’80% degli
utenti di Facebook abbandonerà il social
network tra il 2015 e il 2017, appare questa
volta fondata.
Secondo Comscore, se il numero di
utenti ‘una volta al mese’ non è diminuito,
il numero di minuti passati nel sito è sceso
dell’8% lo scorso anno negli Usa. Gli americani passano ‘solo’ 7 ore al mese in media
sul social media: nella fascia dei 18-29enni,
il target che ha fatto la fortuna del social
media inizialmente, la frequentazione è
scesa del 42%.
Il direttore del programma di ricerca
The Global Social Media Impact Study
Daniel Miller, antropologo all’ University
College di Londra, ha riportato i dati di
una inchiesta effettuata fra i 16-18enni
inglesi: “abbiamo visto che Facebook non
è in declino: è proprio morto e sepolto.
Se ieri i genitori erano preoccupati dal
fatto che i loro figli fossero su Facebook,
oggi li stimolano a tenersi in contatto con
l’esterno via Facebook”.
Le ragioni di questo declino sono tre.
Per prima cosa, Facebook, nonostante il
ridisegno, si presta meno a una navigazione
via smartphone e infatti nel giugno 2013
solo 38 milioni di utenti su 182 milioni vi
accedevano unicamente via mobile. È vero
che la percentuale di accessi da mobile
aumenta, ma è anche vero che per loro
natura questi accessi sono più brevi. Degli
1.32 miliardi di persone che ogni mese
utilizzano attivamente il social network,
399 milioni, circa un terzo, lo fa da un
dispositivo mobile. Anche la crescita degli
utenti mobile è più rapida rispetto a quella
degli utenti su computer. Facebook riporta
che, su base mensile, gli utenti mobile
sono cresciuti del 31% contro il 14% degli
utenti desktop. Nel mondo mobile però
Facebook incontra concorrenti nuovi, le
app nate su mobile o strumenti come Twitter che pur non essendo esattamente delle
app sono naturalmente coerenti con il
mezzo mobile.
Su Facebook c’è mia nonna. In secondo
luogo Facebook si sta caratterizzando sempre di più come il social media dei ‘vecchi’,
o per meglio dire della generazione dei
baby boomers e perfino di quella precedente. È interessante notare che la curva
demografica di Facebook è molto meno
ripida rispetto a quella di altri media. Il
45% degli ultra-sessantacinquenni va su
Facebook una volta al mese e il 60% delle
persone da 50 a 64 anni. Solo il web 1.0
ha questa presa sulle persone delle generazioni pre-digitali. Inoltre Facebook ha
un profilo marcatamente femminile (la
sua penetrazione è del 76% fra le femmine
e del 66% fra i maschi, e la differenza probabilmente aumenta se si guarda alle ore
di effettivo utilizzo).
Secondo uno studio del Pew Research
Center, nel 2012 gli utenti di Facebook
che avevano dai 65 anni in su rappresentavano il 36% degli utenti attivi sul social
network; nel 2013 parliamo del 45%.
“Secondo una ricerca di LiveXtension in
Italia sarebbero cambiate le regole del gioco: la fascia più attiva sul social più famoso
del mondo è quella dai 50 anni in su. Il
60% della popolazione over 60 è attiva su
Facebook o Twitter, mentre negli Usa
questo dato si ferma al 43%”, scrive Filippo
Vendrame, noto consulente informatico
italiano, sul suo informato blog.
Linkedin: il ‘Facebook’ del selfemployed. Linkedin è nato con l’obiettivo
di presentarsi come il ‘Facebook di chi
lavora’ ma è stato un po’ spiazzato dalla
penetrazione crescente di Facebook tra i
non giovani. Premesso che moltissime
persone hanno aperto una pagina su
Linkedin, l’accesso al sito e il suo utilizzo
frequente come ‘social media’ è effettuato
solo da una minoranza di persone. «Linkedin è acceduto da chi sta cercando lavoro
o vuole cambiarlo e soprattutto dai selfemployed. Se lavoro in una organizzazione
non ho bisogno di Linkedin. Se invece
sono a casa o nel mio ufficio dove lavoro
da solo, allora per superare l’isolamento
sociale e il rischio economico che ne consegue uso intensamente Linkedin perché
ho l’angoscia di dover comunicare la mia
esistenza e promuovere quel ‘prodotto’
che sono io», afferma Stefana Broadbent,
«Sono sicura che si potrebbe trovare una
connessione diretta fra l’utilizzo attivo di
Linkedin in una Nazione o in un settore
dell’economia e il grado di atomizzazione
del suo mercato del lavoro».
«Un social come Linkedin», aggiunge
Trivilini, «consente di scrivere e pubblicizzare il proprio curriculum vitae online
ma secondo le possibilità che offre lo strumento, quindi in forma piuttosto stereotipata: l’utente non riesce quindi a valorizzare appieno le proprie soft skill, che
possono fare la differenza quando si è alla
ricerca di lavoro. Per questa ragione stanno
esplodendo le infografiche, strumenti che
consentono di arricchire notevolmente il
proprio story telling».
YouTube: più un archivio che un social
media. Coetaneo di Facebook, YouTube
permette di creare proprie pagine ma è
soprattutto un grande archivio di filmati
autoprodotti e ripresi. Parlare di YouTube
come un social media è un po’ sviante,
anche se senza dubbio il suo successo,
come quello del ‘gemello’ Vimeo, è legato
ai social. Sostanzialmente YouTube è una
infrastruttura. Chi ha provato a scaricare
un video da un sito aziendale avrà trovato
frustrante la lentezza con la quale questo
contenuto assai pesante in termini di dati
veniva scaricato dal server che lo ha in
custodia. YouTube ha investito somme
enormi in una rete di server e in connettività tali da permettere di scaricare video
senza nessun ritardo. Il tutto gratuitamente. Non a caso oggi molte aziende preferiscono lasciare a YouTube l’incarico di
distribuire e rendere accessibili i loro video.
Fra YouTube e social media c’è una relazione di simbiosi. YouTube distribuisce
gratis i video, e gli utenti dei social media
li possono facilmente ‘linkare’ o riprendere, aggiungendo dei ‘mi piace’ e dei
referrals (consigli ad altri di guardarlo)
che permettono a un video di raggiungere,
in poche ore, milioni di persone. Un video
su YouTube può raggiungere una audience
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di milioni di persone anche in pochi giorni.
Sono nate delle ‘star’ su YouTube, i Vblogger che hanno aperto dei ‘veri’ canali presentando una serie di filmati autoprodotti.
Correttamente si è detto che YouTube è
più un concorrente della televisione che
un social media.
Twitter: grida nella notte. Fondato nel
2006, Twitter ha la logica del peer to peer:
non c’è nessuna separazione formale fra
emittente e ricevitore di messaggi. Chiunque può mandare tweet di 140 caratteri
(compresi eventuali link a pagine web o
a contenuti) e abbonarsi al ‘canale’ di uno
o più utenti. Quasi 300 milioni di persone
si collegano a Twitter almeno una volta al
mese. Offrendo alle aziende la possibilità
di inviare tweet promozionali non richiesti
a categorie di utenti selezionati sulla base
dei loro interessi, Twitter ha raccolto 1,4
miliardi di dollari nel 2014. Pur essendo
ancora in perdita (e lo rimarrà almeno fino
al 2017), ha raggiunto una capitalizzazione
di 25 miliardi di dollari.
“Twitter ha ricevuto più promozione
gratuita dai media di qualsiasi altra azienda
privata nella storia del capitalismo”, ha
sottolineato Peter Stabler, analista della
Wells Fargo Securities. In effetti Twitter
è molto amato da chi per lavoro deve
comunicare: giornalisti e opinion leader.
I giornalisti si trovano, con poca fatica, in
mano frasi già pronte per diventare un
titolo o l’incipit di un articolo, senza ren38 · TM Gen./Feb. 2015
147
minuti
(smartphone)
50
minuti
(tablet)
Su 7 ore al giorno passate davanti agli
schermi un terzo ci vede davanti al
display di un telefonino di nuova generazione. Nell’utilizzo giornaliero si è
ormai superata la televisione. Da segnalare che la quota riservata ai tablet
andrà a ridursi con l’avvento degli
smartphone con display ampio.
dersi conto che Twitter li disintermedia
perché poca gente ha voglia si spendere
qualche franco per leggere sul giornale il
tweet che avrebbe potuto ricevere gratis
il giorno prima sul suo smartphone. I grandi comunicatori, politici e persone dello
spettacolo hanno l’illusione, tramite Twitter, di superare il filtro dei media e arrivare
direttamente al loro pubblico.
Sicuramente Twitter è dalla parte giusta
nell’evoluzione della tecnologia. Il 75%
degli utenti si collega a Twitter da terminali
mobili e il contenuto si presta benissimo
al contesto degli smartphone (sviluppo in
verticale, funzionamento assai semplice,
aggiornamento continuo, e non necessita
di soverchia attenzione).
Twitter può essere usato anche come
instant messaging per comunicazioni uno
a uno, oppure da uno a piccoli gruppi, ma
questa non pare essere la sua funzione centrale. «Essenzialmente i tweet sono grida
nella notte: messaggi che nella grande
maggioranza cercano di portare attenzione
sulla persona o ente che ha inviato il mes-
saggio, sulle sue azioni o su un contenuto
realizzato da quella stessa persona nel web
o su un social media. Potrebbe essere in
teoria uno strumento bidirezionale: dopotutto io elettore posso rispondere a un
tweet di Renzi o di Cameron ma l’autoincensamento, asfissiante e a volte anche
un po’ ridicolo, è la sua cifra fondamentale», nota Stefana Broadbent. “Twitter”,
ha concluso l’Economist, “è più importante
dal punto di vista culturale che commerciale”.
«Tra Google, Facebook e Twitter»,
ricorda Alessandro Trivilini, «si registra
un continuo avvicinamento delle funzionalità. Sono tre giganti dalle caratteristiche
ben definite (rispettivamente motore di
ricerca, social media e sistema di comunicazione istantanea), che però stanno in
parte sfumando verso una certa sovrapposizione: Facebook per esempio ha creato
un motore di ricerca interno richiamandosi
a Google, mentre Twitter si sta avvicinando a Facebook perché, oltre all’immediatezza dei messaggi, consente ora di inserire
anche immagini e video».
La guerra dell’instant messaging. Prima
di proseguire in questa brevissima rassegna
di social media occorre sottolineare un
aspetto: l’arma principale di Facebook,
quella che garantiva ore e ore di connessione al giorno, non erano tanto le immagini postate o condivise, quanto il suo servizio di messaggistica online Messenger,
che non a caso, lo scorso aprile, è stato
staccato dalla versione mobile del sito e
proposto come app indipendente. Si sono
combattute guerre sotterranee per assicurarsi il controllo di questo servizio che
permette di inviare e ricevere messaggi e
di creare conversazioni asincrone (come
avviene con un sms) ma veloci con le persone ‘amiche’ che sono online in quel
momento. Il primo è stato Msn Messenger
insieme a Yahoo Messenger. Google ha
cercato con Google Talk, poi divenuta
Hangout di Google Plus, di entrare nel
settore capitalizzando sulla diffusione di
Gmail, ma non ha avuto grande successo,
schiacciata da Facebook.
La funzione di messaging è vitale perché,
come spiega Stefana Broadbent, «la stragrande maggioranza delle comunicazioni
di una persona avviene con un numero
limitatissimo di persone. Questo vale per
ogni strumento, forse con l’eccezione oggi
delle email. Anche se ho centinaia di ‘amici’, il 99% dei miei scambi sul social media
avviene in un contesto intimo, riservato
il più appropriato possibile alla funzione».
In pratica molte persone tenevano sempre
aperta la pagina di Msn prima e di Facebook poi soprattutto per tenere d’occhio
i messaggi della chat. Quella stessa funzione è oggi svolta anche da altri siti che
la propongono come servizio aggiuntivo
o principale.
Instagram: tutti fotografi. Acquistata da
Facebook nel 2012 per un miliardo di dollari dopo nemmeno due anni di vita Instagram ha ‘solo’ 300 milioni di utenti attivi
(che si collegano almeno una volta al mese)
ma è il social media più popolare fra i teenager.
Il progetto iniziale, Burbn, aveva numerose funzioni, ma i fondatori decisero di
concentrarsi sulle foto scattate dai cellulari.
Si tratta di una applicazione gratuita che
permette agli utenti di scattare foto, applicare filtri, e condividerle su numerosi servizi di social network, compresi Facebook,
Foursquare,Tumbrl e Flickr. Instagram
veicola 70 milioni di immagini e video
ogni giorno ed è utilizzato attivamente
come sistema di instant messaging. Instagram ha una fedeltà simile a quella di Facebook: il 57% lo visita una volta al giorno
e il 35% più volte al giorno.
SnapChat: oblio garantito. SnapChat,
nato nel settembre 2011, è un servizio di
messaggistica istantanea per smartphone
e tablet che consente di crearsi un network
di utenti e di inviare a tutti o a uno di loro
messaggi di testo, foto e video visualizzabili
solo per un certo numero di secondi. L’infrastruttura informatica creata da SnapChat consente di caricare e inviare ai suoi
oltre 100 milioni di utenti di 400 milioni
di foto al giorno. Solo dall’ottobre scorso
SnapChat ha iniziato a trasmettere messaggi pubblicitari. È interessante notare
che il 70% dei suoi utenti sono donne e
che solo il 12% delle immagini sono condivise con più di una persona. Anche SnapChat è utilizzato sempre di più come strumento di messaggistica indipendentemente dalle immagini.
WhatsApp il leader emergente. Nel
febbraio 2014 Facebook ha speso 19
miliardi di dollari per acquistare WhatsApp, valutandolo più della Sony. È vero
che 16 miliardi sono stati pagati in azioni
della stessa Facebook ma è anche vero che
WhatsApp, che bandisce ogni tipo di pubblicità, ha come unica fonte di reddito i
99 centesimi di dollaro chiesti come abbonamento annuo dopo i primi 12 mesi di
utilizzo. Per ripagare l’investimento fatto
da Facebook tutta la popolazione mondiale
dovrebbe abbonarsi a WhatsApp per
diversi anni.
Il fatto è che Mark Zuckerberg - dal
2012 cittadino svizzero - tiene fede al motto del fondatore di Intel, Andy Groove:
“solo i paranoici sopravviveranno”. È ben
cosciente della debolezza di Facebook in
uno scenario ormai dominato dall’accesso
È bolla?
Da tempo si parla di una ‘nuova internet bubble’. In effetti alcuni aspetti del mercato
non possono non ricordare gli ultimi mesi della prima ‘era di internet’: analisti che
sono chiamati a gestire le Ipo e poi vengono chiamati alla direzione finanziaria delle
aziende che hanno seguito, come Anthony Noto di Goldman Sachs passato a Twitter
o Imran Khan di Credit Suisse chiamato da SnapChat. Soprattutto vediamo come
del 1999-2000 delle valutazioni cosmiche. Se Facebook fa fatica a giustificare i suoi
30 miliardi di capitalizzazione con un fatturato di 2,81 miliardi, WhatsApp non
giustifica facilmente i 19 miliardi che Facebook ha pagato per acquisirla. E SnapChat,
che è gratuito, vale 10 miliardi pur avendo iniziato lo scorso ottobre a raccogliere
pubblicità. Prima di andare short su questi titoli però, occorre fare qualche considerazione. Ai tempi della internet bubble solo 400 milioni di persone nel mondo avevano
una connessione on line. Oggi sono 2,6 miliardi, gran parte di loro connessi a banda
larga e soprattutto sempre di più attraverso dispositivi mobili che consentono loro
di connettersi ovunque e in ogni momento. Il costo delle connessioni e dei server
necessari per il funzionamento delle piattaforme continua a scendere ogni anno, pagare
un servizio o un software acquistato online è sempre più semplice. E si aprono tre
mercati interessanti: l’uso della televisione come ‘display’ di contenuti trasmessi con
tecnologia web, l’utilizzo della telefonia via internet da terminali mobili e soprattutto
i sistemi di pagamento basati su mobile. Alcune valutazioni quindi sono ‘tirate’ ma
nel complesso tutto il comparto ‘internet’ è destinato a rimanere importante.
via terminale mobile e acquista a qualunque prezzo tutti i servizi che potrebbero
fare ombra a Facebook.
Del resto, l’ascesa di WhatsApp non
accenna a rallentare. Secondo Ondevice
research, recentemente WhatsApp ha
superato la chat di Facebook diventando
il principale servizio di messaggistica su
terminali mobili. La chat più usata al mondo ha raggiunto quota 600 milioni di utenti
superando i 550 milioni di Twitter e i 200
milioni di Google Plus (e il fondatore di
WhatsApp perversamente lo ha annunciato al mondo con un... tweet!).
WhatsApp ha raggiunto 500 milioni di
utenti in soli 4 anni, una espansione più
veloce rispetto a quella di Facebook e di
qualsiasi altro media e lo ha fatto senza
spendere un centesimo in marketing e
pubblicità. Tutto sommato le sue entrate
sono due terzi di quelle di Facebook e le
uscite sono molto inferiori.
WhatsApp è di una semplicità disarmante. Si inserisce perfettamente nell’abitudine d’uso del telefono mobile e sembra più una estensione del classico servizio
sms che una app. Permette di allegare ai
messaggi testuali immagini, video, audio,
ma anche la posizione di chi scrive grazie
ai servizi per la geolocalizzazione. Inoltre,
sulla scia di ciò che accade su Facebook,
WhatsApp permette anche la creazione
di più gruppi di conversazione con più
partecipanti attivi nella ricezione e invio
dei messaggi. WhatsApp recentemente
ha iniziato a supportare immagini e si prepara a invadere il campo della ‘voce’ permettendo chiamate voice over internet
protocol (come Skype per intendersi)
anche internazionali.
Il 72% degli utenti usa WhatsApp ogni
giorno. Molti più volte al giorno. Per i
nativi digitali è l’applicazione base. Si può
dire che oggi i giovani ‘sono’ su WhatsApp
e una quota sempre maggiore di loro ‘vanno’ su Facebook, Instagram, YouTube o
altre piattaforme social mentre il web rimane all’orizzonte: uno scaffale che contiene
dei libri o un tavolo con delle riviste. Nella
fascia dai 25 ai 49 anni invece Facebook
è il media di riferimento
WhatsApp è il più popolare in Europa
e Usa, ma WeChat con 500 milioni di
utenti domina in Cina e in Asia, Line (250
milioni di utenti) è lo strumento di riferimento in Giappone e Kik è leader tra i
giovani nordamericani.
A differenza di tutti gli altri servizi,
WhatsApp non raccoglie alcun tipo di
TM Gen./Feb. 2015 · 39
Il web 2.0, e in particolare i social media potrebbero sostituire i bonifici, un servizio
a costo marginale zero che le banche rivendono con margini significativi. Nelle
soluzioni ‘peer to peer transfer’ il trasferimento non passa attraverso un intermediario
come può essere il circuito Visa o una banca, ma transita direttamente dal conto online
di una persona a quello dell’altra attraverso sistemi di messaggistica. Secondo Forrester
research, i sistemi peer to peer esistenti, Paypal in primo luogo, Tencent del gruppo
cinese che gestisce WeChat e altri, intermedieranno 5,2 miliardi di dollari nel 2014.
Ebay sta pensando a uno spin-off della sua rete di pagamenti on line PayPal. La rete
Serve di American Express permette di ricevere pagamento da Facebook. SnapChat,
un social media per lo scambio di messaggi e immagini che ha basato il suo successo
sul fatto che i contenuti scambiati dopo qualche ora sono cancellati dai server, ha
lanciato SnapCash. Per trasferire una somma da un utente all’altro basta - se si è
abbonati al servizio - indicare la somma preceduta dal simbolo del dollaro.
Secondo Forrester research, i teenager potrebbero tranquillamente fare a meno di
un conto in banca, di un libretto di risparmio o di una carta di debito e gestire attraverso
un servizio di questo tipo le loro esigenze di traffico dei pagamenti e perfino di piccolo
risparmio. Facebook ha assunto il Ceo di Paypal, David Marcus, con l’incarico di sviluppare le potenzialità di Messenger nel traffico dei pagamenti.
Con il pulsante ‘buy’ si possono acquistare beni e servizi pubblicizzati sulle pagine di
Facebook, per il quale la partita dei sistemi di pagamento è vitale per il futuro e la
redditività della sua piattaforma. Dietro queste iniziative ci sono altre start up meno
note, come Stripe o Square, ovvero una rete che supporta il peer to peer transfer consentendo l’apertura di conti online o collegando i conti esistenti e tenendo traccia
delle transazioni effettuate. Square, che conta Visa fra i suoi investitori, opera come
infrastruttura, addebitando e accreditando concretamente le carte di debito delle
persone che si sono iscritte al servizio, un po’ come farebbe appunto Visa operando
sui conti correnti di clienti e retailer. Una delle esperienze modello è in corso in
Francia dove Twitter ha recentemente varato un sistema di pagamento che si appoggia
alla rete S-Money già costituita dal gruppo bancario francese Bpce che riunisce banche
popolari e casse di risparmio. Gli utenti registrati di Twitter e S-Money possono
inviare pagamenti fino a 500 euro semplicemente con un tweet. Non è necessario
sapere i dettagli come il codice Iban. Bpce, che ha 8 milioni di clienti ed è nota nel
campo della finanza come maggiore azionista di Natixis, a inizio dicembre aveva già
100mila utenti per il suo servizio S-Money e conta di arrivare nel 2015 a 1 milione,
anche grazie all’accordo con Crous, azienda che offre diversi servizi a 1,6 milioni di
studenti universitari francesi.
informazione personale sull’utente e non
invia messaggi pubblicitari. Pare che il
fondatore di WhatsApp, il 39 enne Jan
Koum che ha passato l’infanzia nell’Unione Sovietica, abbia imposto a Facebook
di mantenere questa caratteristica.
A proposito di Est europeo: Telegram,
progettata nel 2013 dai fratelli Nikolai e
Pavel Durov, i fondatori di VKontakte, il
più grande social network russo, promette
di fare concorrenza a WhatsApp e figura
fra le app più scaricate.
Firechat, creata per trasmettere messaggi in aree dove non c’è campo di telefonia cellulare (utilizza i collegamenti Bluetooth esistenti), ha avuto successo in Turchia prima e poi a Hong Kong per evitare
le intercettazioni o i possibili ostacoli posti
40 · TM Gen./Feb. 2015
dalle autorità al traffico di messaggi.
La nuova internet non è più un media.
Queste evoluzioni colpiscono gravemente
tutte le persone e organizzazioni che hanno bisogno di comunicare e far passare
dei messaggi. Aziende, partiti e gruppi di
pressione, enti pubblici. Tutto sommato
il ‘vecchio’ web non è tanto diverso dai
media tradizionali (tv, radio, giornali di
massa). C’è un media che raggiunge un
suo pubblico e su questo media con la pubblicità o le Pr possono ‘salire’ i messaggi
delle aziende e delle organizzazioni. In
più, queste aziende e organizzazioni possono creare il ‘loro’ media, ossia il loro
sito aziendale che diventa un ‘house organ’,
un media interno anche lui con il suo pubblico. La migrazione dal web classico ai
commenti e like) su Twitter sono diffusi
400 milioni di messaggi, su Instagram sono
postate o commentate 1,2 milioni di foto
e su YouTube si guardano 4 miliardi di
video. Il 72% degli americani adulti affermano di usare questi canali, molti più volte
al giorno. Le aziende vogliono esserci.
Secondo Bia/Kelsey, le aziende hanno speso 5,1 miliardi di dollari in pubblicità sui
social media e la cifra dovrebbe arrivare
a 15 miliardi nel 2018, il fatto è che «le
aziende continuano a vedere i social media
come un media attraverso i quali spingere
i loro messaggi e le loro priorità e questi
sforzi sono palesemente fuori tono in uno
spazio che incoraggia la trasparenza», scrive lo studio di Gallup.
Facebook garantisce che la persona che
riceve un messaggio pubblicitario ha le
caratteristiche per essere interessata a quel
messaggio, ma non garantisce che abbia
voglia di riceverlo. Chi acquista una rivista
di settore, per esempio sul ciclismo, o entra
in un sito dedicato al mountain bike è probabilmente interessato ad avere informazioni su un nuovo modello di bicicletta
come di un nuovo capo di abbigliamento
‘tecnico’. Lo stesso non vale per chi invece
si è limitato a commentare un post sulle
escursioni in bici di un amico o ha guardato
un video sull’argomento.
A una domanda che consentiva risposte
multiple solo il 29% delle persone intervistate da Gallup ha affermato di usare
Facebook o Twitter per seguire trend e
per raccogliere informazioni su prodotti,
e solo il 20% per commentare quello che
c’è di nuovo nell’ambiente esterno. Il 62%
delle persone intervistate da Gallup afferma che i social media non hanno nessuna
influenza sulle loro decisioni di acquisto.
Il 48% dei nativi digitali (i giovani nati
dopo il 1980) afferma che i social media
non sono un fattore nelle loro scelte di
acquisto.
“Nonostante tutto quel che si dice”,
afferma lo studio, “i clienti sono coinvolti
soprattutto dalle loro esperienze off line”.
Definire lo smartphone un telefono è
ormai sviante. Solo il 31% degli utenti
di smartphone fa o riceve 2 o 3 telefonate al giorno, più del doppio accede
a una piattaforma per scambiare messaggi e il 40% invia o riceve sms. Inoltre,
come si vede dal grafico in alto, ogni
secondo vengono scambiate 300mila
immagini.
1,2 miliardi di scatti al giorno
Numero di immagini condivise ogni giorno su alcune piattaforme
55 mln
Instagram
Facebook
350 mln
Wechat
400 mln
Snapchat
400 mln
Fonte: OnDevice, novembre 2013
Relativamente agli acquisti fatti in punti
di vendita fisici, sempre Gallup ha mostrato che il 56% dei clienti basa le sue decisioni di acquisto sulla pubblicità nel punto
vendita e solo il 7% sui social media.
“I canali ‘aziendali’ Facebook o Twitter
non motivano i clienti a provare un brand”,
conclude il sondaggio di Gallup. Il prodotto diventa ‘cittadino’ dei social media
solo se è presentato attraverso la esperienza
‘autentica’ di una persona (le virgolette
sono di obbligo perché spesso queste esperienze sono ‘ispirate’ o costruite a tavolino
aprendo un nuovo fronte nell’etica dei
media).
E allora? Le aziende devono stare attente a non confondere l’ingaggio sociale con
quello personale. Detto in altre parole, il
social media arriva dopo. “I social media
riguardano solo un frammento dell’esperienza del consumatore con l’azienda. I
clienti possono essere ascoltatori attivi e
partecipanti nella comunità di un brand
se hanno già creato una connessione emozionale con quel brand attraverso altre
esperienze”, ammonisce lo studio. Insomma a ben vedere con social media assistiamo a una regressione verso una epoca prepubblicitaria. Prima dell’avvento dei media
esisteva solo il passaparola. Poi con la pubblicità il coinvolgimento sociale promuoveva gli acquisti. Oggi si torna al modello
pre-mediatico: “le persone hanno sempre
parlato fra di loro di ciò che loro piace e
non piace; i social media rendono solo più
facile farlo e rendono visibile un passaparola che prima non era misurabile”, scrive
Gallup.
Milioni di influencer. I social media vanno presidiati sia perché c’è comunque una
quota importante di persone che non ‘esce’
mai dai social media e quindi utilizza le
pagine Facebook delle aziende come userebbe un sito web, sia per misurare il grado
di accettazione dei prodotti e soprattutto
per prevenire e gestire in tempo possibili
emergenze. Ma organizzare un presidio
aziendale sui social media richiede una
strategia completamente diversa. Occorre
tenere presente che il mondo dei social
Cosa fai con quello smartphone?
% degli intervistati
Saluti al contante: pago con il social
social media e dal pc al terminale mobile
comporta però la sparizione dei media. Il
villaggio globale non ha più nessuna piazza
perché le persone si riuniscono in gruppi
chiusi in casa o si parlano dalle finestre
come nei vicoli di Napoli. Nessuno scende
in piazza e si espone all’influsso dei messaggi pubblicitari.
Le aziende: ospiti non graditi sui social
media. Le aziende, i partiti politici e i
gruppi di interesse hanno impiegato un
po’ di tempo a decidere. Eppure la scelta
sembrava facile, un ‘no-brainer’ come
dicono gli americani. “La gente lascia la
carta e i siti web e va sui social media, quindi spostiamo i nostri budget di comunicazione sui social media” hanno detto i
responsabili marketing delle grandi aziende e dei gruppi di interesse: General
Motors, Unilever, comitati per la elezione
di Barack Obama, grandi organizzazioni
del volontariato hanno moltiplicato i budget e l’impegno soprattutto su Facebook.
Solo che i social media sono un contesto
ben diverso dalla internet tradizionale e
dalla carta stampata. Sul web tradizionale,
sulla carta stampata e in televisione contenuti e pubblicità si amalgamano. L’utente
è abituato a vedere degli spot in mezzo ai
programmi, delle pagine pubblicitarie al
termine degli articoli e dei banner nelle
pagine web.
Nei social media, invece, le comunicazioni aziendali e in generale tutte le comunicazioni dall’alto verso il basso sono ospiti
appena tollerati, o comunque marginalizzati, e sicuramente i loro contenuti non
si amalgamano agli altri come avviene nel
web classico e ancora di più sulla carta
stampata. «Non rimaniamo prigionieri
della retorica del web come ‘finestra sul
mondo’ o come ‘mass media’ o del mito
per cui grazie al web chiunque ‘ha il suo
mass media’. Si era detto lo stesso al tempo
delle radio private e poi al tempo del desktop publishing e la realtà è stata ben diversa. Noi vogliamo comunicare con un
numero ristretto di persone: i mezzi di
comunicazione sono acceduti di frequente
solo in una sfera di maggiore o minore
intimità», insiste Stefana Broadbent, «e
in questa intimità l’azienda è una intrusa».
Uno studio della società di ricerche di
mercato americana Gallup intitolato The
myth of social media ha approfondito questo
aspetto. È vero: in un giorno medio gli
utenti di Facebook postano 4,75 miliardi
di contenuti (sommando frasi, immagini,
86%
75%
73%
63%
60%
40%
31% 33%
17%
6%
Scambio messaggi
28%
9%
Faccio e ricevo telefonate
10 o più volte al giorno
Alcune volte al giorno
Una volta al giorno
Totale delle risposte
24% 24%
7%
Scambio SMS
12%
Scambio e-mail
TM Gen./Feb. 2015 · 41
Il PC ? Roba vecchia
Numero di smartphone e di PC venduti ogni trimestre (in milioni)
— Personal computer
— Smartphone e tablet
300
250
200
150
100
50
0
Marzo 95
Mar. 97
Mar. 99
Mar. 01
Mar. 03
Mar. 05
Mar. 07
Mar. 09
Mar. 11
Mar. 13
Fonte: Gartner, Apple, Google, a16z
media, anche in un mercato che si conosce
bene, è “in partibus infidelium” per l’azienda. Muovendosi bisogna ricordarsi
che sui social media non tutti gli utenti
sono eguali come avviene sulla carta stampata o sulla televisione.
Sui social media peer to peer anche se
teoricamente ogni persona ha le stesse
possibilità di intervenire di fatto la gran
parte delle persone prende molto più di
quanto non dia: legge pià di quanto non
scriva, scarica più di quanto non carichi.
Questo significa che c’è una minoranza
di persone che produce molti più contenuti
di quanti non ne consumi. Queste persone
sono gli opinion leader. Alcuni, blogger
e Vblogger sono ormai noti e sono giustamente trattati dai dipartimenti Pr delle
aziende alla pari di importanti giornalisti,
ma gli influencer sono molti di più: diciamo pochi milioni nel mondo. L’azienda
42 · TM Gen./Feb. 2015
Negli ultimi anni le vendite di pc si sono
ridotte. È un mercato prevalentemente
di sostituzione. Impennata, invece, per
le vendite di smartphone e tablet. Presto si venderanno 10 smartphone per
ogni pc.
deve (o dovrebbe, perché lo sforzo può
essere superiore alle sue capacità) individuarli letteralmente uno per uno e creare
una strategia molto cauta di ingaggio e di
valutazione dell’output, così come si fa
con i giornalisti. D’altra parte è l’unica
scelta. Il messaggio relativo a un prodotto
o al posizionamento del brand non passa
sui social media se non attraverso la garanzia di un utente, meglio se si tratta di un
utente conosciuto per altre ragioni.
Un messaggio coerente tra i diversi
canali. E anche questo non basta perché,
oggi, chi vuole trasmettere al grande pub-
blico un contenuto, si tratti di una azienda,
di un governo, di un qualsiasi portatore
di interesse non può pensare di farlo solo
attraverso un mezzo. È necessaria la televisione, è importante la stampa su carta e
online, bisogna avere un sito web e presidiare i social media. Un messaggio che
arriva solo su un canale ha molte probabilità di essere perso. Non è banale organizzare un messaggio che possa essere trasferito su diversi canali e non è banale articolarlo rispettando i propri codici di ciascun canale.
«C’è una stratificazione negli utilizzi
dei media che rispetta norme sociali non
scritte ma rigidamente applicate. Indagare
sul modo in cui queste norme si costituiscono è proprio un lavoro da antropologi»,
spiega Stefana Broadbent che si è laureata
in antropologia a Ginevra e ha conseguito
un Phd a Edimburgo, «le foto che posti
su Facebook (selfie, foto di gruppo) sono
diverse da quelle che carichi su Instagram,
che sono più artistiche e curate. È raro
che un mezzo di comunicazione sostituisca
da un giorno all’altro quello precedente.
Si usano ancora la posta e il telefono o la
radio. I mezzi sono inizialmente affiancati
e le persone ristrutturano le loro abitudini
sulla base delle potenzialità del nuovo e
dei vecchi mezzi. In questo senso i social
media sono il luogo dell’intimità. Certo,
una volta ogni tanto capita a tutti di girare
su Facebook cercando le pagine dei vecchi
compagni di scuola o di ex fidanzate e
magari anche di partiti, gruppi e aziende.
Ma la grande maggioranza delle volte ci
si dirige su poche pagine. Quindi, parlare
di ‘media’ è un po’ sviante: in realtà nella
comunicazione telefonica, così come in
quella attraverso i social media si dialoga
con le solite 5-8 persone».
La politica nel mondo del tweet e oltre.
Se dal messaggio aziendale ci si sposta a
quello politico le cose diventano ancora
più complesse. Le affermazioni secondo
le quali Obama avrebbe vinto la rielezione
‘grazie ai social media’ è un po’ sviante.
Anche in un periodo di campagne elettorali
incerte e di elettorati divisi quasi a metà
come avviene in Italia, Francia, Germania
e Usa, i social media non sono un luogo
dove si forma l’opinione pubblica.
Facebook e i social media in generale
non sono una agorà, almeno non nel senso
che si dà al termine. «Facebook è disegnata
e utilizzata in modo da favorire il dialogo
fra persone che condividono le stesse opinioni e i messaggi di conferma. C’è il pulsante ‘like’ ma nessun pulsante per esprimere il disaccordo.
Ricerche condotte hanno notato che le
persone sono meno portate a esprimere
una opinione dissenziente su Facebook
rispetto ad altri ambiti», nota Stefana
Broadbent, «Facebook promuove la
approvazione, la adesione. Non la discussione. Da una parte questo avviene perché
nella sua rete di contatti ogni persona
inserisce persone o gruppi essenzialmente
simili, dall’altra perché l’ambiente non
favorisce la discussione e la adesione a
quanto detto da altri». Insomma la dinamica di gruppo su Facebook assomiglia
più a quella delle folle indicata dal Manzoni
nei Promessi sposi e analizzata da Elias
Canetti in Massa e potere che non a un parlamento o a uno speakers corner. Christian
Salmon, antropologo e politologo francese
che ha lanciato il concetto di ‘storytelling’
come cuore dell’azione e della persuasione
politica, ha recentemente aggiornato la
sua riflessione alla luce del successo dei
social media.
Così come nel Medioevo le sacre scritture erano veicolate tramite immagini per
raggiungere una utenza in larga maggioranza analfabeta, oggi i messaggi chiave
sono trasmessi attraverso la loro rappresentazione in video. Ma sono video quasi
senza sonoro: brevi spezzoni di ‘eventi’
che danno l’illusione di immediatezza
quando invece sono ancora più mediati e
manipolati della parola scritta.
Secondo Salmon, questo ha una conseguenza immediata sul funzionamento concreto della democrazia. Se la tv ha spezzato
il logos sostituendo al discorso e alla ideologia il ‘sound-bite’, la battuta o la metafora
verbale, questo ulteriore arretramento
favorisce il passaggio dalla ‘piccola narrazione’ a quella che possiamo definire la
‘postura’. Non ascolto l’incontro in streaming fra Bersani o Renzi e i rappresentanti
del Movimento 5 Stelle, ma vedo il filmato,
la posizione delle persone, le loro espressioni, il suono sfuocato delle voci. Nell’epoca dei social media torna a essere importante che il ministro si rechi sul posto di
una sciagura o di una catastrofe (cosa che
logicamente è superflua o controproducente). Non ha nulla da dire e non dice
nulla, ma è lì.
Questo modo iconico pre-logico di creare consenso o di suscitare il dissenso, rivaluta l’uso della mimica facciale e della corporeità del prodotto-leader. Metafore crude, che pensavamo sepolte dalla fine della
guerra fredda, ritornano. Pensiamo alle
campagne referendarie contro l’immigrazione come assomigliano ai manifesti anticomunisti nella campagna elettorale del
1948 in Italia. Il sound-bite non lo si ascolta
nemmeno più, il suono di tv e smartphone
è inaudibile. Il corpo del leader è il messaggio e non a caso Salmon fa l’esempio
delle mistiche medioevali o ancora più
antiche del ‘corpo del re’ santificato (il
tocco dei re Plantageneti curava la scrofola)
o cannibalizzato.
Queste immagini possono costruire la
credibilità di un politico o di un brand?
Sicuramente no. Evidentemente se abbiamo una immagine di Obama, Cameron o
Renzi, del tal prodotto e del tal servizio,
se questi elementi sono un patrimonio
abbastanza comune da attirare la nostra
attenzione e la nostra condivisione, questo
avviene perché altre fonti di informazioni
l’hanno creata.
La televisione, le affissioni, la pubblicità,
perfino i giornali sono oggi più importanti
di prima. Il web avrebbe potuto sostituirli
permettendo alle persone di andare a fondo, di informarsi da sole in modo consapevole consultando i progetti di legge in
discussione, ascoltando i discorsi,
approfondendo i dati. Non è successo.
Anzi succede sempre meno.
I social media come la folla possono
distruggere un brand, possono amplificarne i valori grazie al passaparola, ma il
luogo dove questi valori sono costruiti
torna a essere il mondo reale e fisico dell’esperienza diretta e delle forme tradizionali del marketing mix: pubblicità, canale di vendita, esperienza di acquisto, prezzo
e qualità intrinseca del prodotto.
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