E tu, Bruto, pensa al mondo... dedicato a Nezha Drissi Produzione Associazione SalinaDocFest Onlus A.N.F.E. – Associazione Nazionale Famiglie Emigrati Salina Isola Verde – Associazione Operatori Turistici di Salina Comitato d’onore Romano Luperini Paolo Taviani Vittorio Taviani Bruno Torri Carlo Antonio Vitti Comitato direttivo Gaetano Calà Riccardo Gullo Mauro Leva Salvatore Longhitano Massimo Lo Schiavo Clara Rametta Luciano Sangiolo Linda Sidoti Giovanna Taviani Direzione artistica Giovanna Taviani Codirettori – Responsabili della programmazione Mazzino Montinari Antonio Pezzuto Assistente della direzione artistica Arianna Careddu Direzione organizzativa e amministrativa Valerio Baselice Massimiliano Ruggiano Segreteria organizzativa e amministrativa Margherita Fantoni Programmazione e relazioni internazionali Federica Lariccia Ufficio Stampa Marzia Spanu Comunicazione Officinae s.r.l. Progetto grafico, web e gruppi social Arturo Giusto Ospitalità Noemi Cerrone Alessandra Pirera Collaborazione organizzativa Salina Alberto Mazzoni Redazione catalogo Mazzino Montinari Antonio Pezzuto Redazione sito Federica Salini Coordinamento tecnico e allestimenti eventi Davide Umilio Documentazione video Valeria Sapienza Chiara De Cunto Interprete Santina Mobiglia Responsabile ArchivioSalinadocfest a Malfa Diego Taranto Stampa Luxograph S.r.l. Palermo “Quale futuro? Esercizi di resistenza a Salina” di Giovanna Taviani .................................... 8 Esercizi di Resistenza - Concorso nazionale documentari ............................................ 12 Quale Futuro? La Giuria.............................................................................................. 13 Il Limite di Rossella Schillaci ...................................................................... 14 Il resto dell’anno di Michele Di Salle e Luca Papaleo .......................................... 15 In Pecore Pecunia di Michele Bertini Malgarini ................................................. 16 Le cose belle di Agostino Ferrente e Giovanni Piperno .......................................... 17 Mineo Housing di Cinzia Castania................................................................. 18 Padrone Bravo di Simone Amendola ............................................................. 19 The Golden Temple di Enrico Masi................................................................ 20 Zero a zero di Paolo Geremei ...................................................................... 21 Esercizi di Resistenza - Le donne raccontano ............................................................23 Cadenas di Francesca Balbo ........................................................................24 Lasciando la Baia del Re di Claudia Cipriani.................................................... 25 Terramatta; di Costanza Quatriglio................................................................ 26 Io, qui di Costanza Quatriglio Esercizi di Resistenza - Le donne raccontano – I progetti collettivi Oggi insieme, domani anche .................................................................... 27 SonTutteBelle....................................................................................... 28 Esercizi di Resistenza - Mediterraneo L’age adulte di Eve Duchemin..................................................................... 30 CATALOGO SALINADOCFEST Esercizi di Resistenza - Sguardi di Cinema Boatman di Gianfranco Rosi........................................................................ 32 La nave dolce di Daniele Vicari .................................................................... 33 Radici di Carlo Luglio ................................................................................ 34 Workshop con Ilaria Fraioli ......................................................................... 35 Esercizi di Resistenza – Le carceri raccontano Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani.................................................. 38 Cesare deve morire di Romano Luperini .......................................................... 39 Cesare deve morire per le scuole di Giovanna Taviani......................................... 40 Mostra fotografica di Umberto Montiroli: ................................................... 42 Foto dal carcere: il set di Cesare deve morire a cura di Andrea Mancini Largo Baracche (promo) di Gaetano Di Vaio.................................................... 43 Premio “Dal testo allo schermo” Le motivazioni del Premio a Jamila Hassoune.............................................. 45 Jamila Hassoune [Brani tratti da una intervista a cura di Barbara Bertoncin e Joan Haim, tratta da Come la Pioggia, ed. Una città] Il libro come libertà d’esperienza La libraia di Marrakech ................................ 47 di Jamila Hassoune di Lidia Riviello Giovanna Taviani e Il Comitato Direttivo del SalinaDocFest ringraziano Tutto lo staff del SalinaDocFest, che ha deciso di resistere ancora una volta e in particolar modo Valerio, Antonio, Mazzino e Marzia Paolo Genco presidente dell’Anfe e tutto lo staff dell’Associazione, nostri compagni di viaggio e in particolar modo Massimiliano Ruggiano, Elisabetta Briguglio, Patrizia e Sonia Gangi Guglielmo Allaria e CF Assicurazioni, Stefano Amadio, Cristina Angelino, Lella Artesi, Francesca Bagaggia, Mauro Berardi, Emma Bonino, Giancarlo Cabiddu, Nino Caravaglio, Dario Catalfamo e Portobello Lounge, Giovanni Costa, Salvatore D’Amico, Andrea De Micheli e Castadiva Pictures, Alessandro Defina, Stefano Denaro, Antonella Di Salvo, Gaetano Di Vaio, Elisabetta di Mambro, Marisa di Stefano, Dalia El Shafei, Ingrid Foti, Paolo Fresu, Patrizia Garofalo e gli studenti del liceo Cannizzaro di Palermo, Mimmola Girosi, Fabio Giuffré, ‘Nni Lausta e il suo staff, Roberto Guala, Nils Hartmann, Libreria Amanei, Giancarlo Licata, Maria Lombardo, Annamaria Lopes, Hassan Abouyoub Ambasciatore del Regno del Marocco in Italia, Alberto Mazzoni, Anita Magno e la Casa editrice Mesogea, Raffaella Michelangeli, Cristina Molinari, Umberto Montiroli, Santino Ofria, Giorgio e Mario Palumbo, Sergio e Luca e Papagajo, Anna Pastore, Istituto di cultura italiana di Rabat, Luigi Pavesi, Lidia Riviello, Fabio Rizzuto (Stratone), Santino Rossello, Santino Ruggera e il ristorante A Cannata, Igiaba Scego, Andrea Tarlazzi e Studio Ponzellini, Simone Zampagni, Renato Zero, Mario Di Ferro Carlo Luglio e Enzo Gragnaniello con i Sud Express, per la calorosa adesione al nostro progetto Beppe Fiorello e i nostri futuri Fantasmi... Salvatore Striano, detto Sasà, che si è “salvato” attraverso Shakespeare. Andrea Mancini e gli amici di San Miniato che hanno deciso di venire sull’isola Un particolare ringraziamento a un nostro angelo custode incontrato per caso a Filicudi...Patrizia Italiano e a Nella Franchina che ci ha donato la fotografia di Melo Franchina che è l’immagine di copertina di questo catalogo e ancora Silvia Ardini, Benni Atria, Viviana Ballotta, Antonietta Bruni, Lorenzo Burlando, Valeria Cardea, Sophie Cassar, Claudia Cirasola, Pietro Coccia, Giovanna Crispino, Fulvia D’Ottavi, Greta De Lazzaris, Olimpia De Meo, Valentina Del Buono, Federica Di Biagio, Maurizio Di Rienzo, Lorenzo Dionisi, Giuliana Fantoni, Lionella Fiorillo, Gaia Furrer, Enrica Galoro, Rossella Ekta Girolami, Giorgio Gosetti, Joan Haim e «Una città», Alina Marazzi, Roberta Mazzanti e Giunti, Michele Merenda, Stefano Masi, Stefano Migliore, Silvia Moraes, Luca Mosso, Maya Mulas, Marité Nadal, Simonetta Pacifico, Aurora Palandrani, Giovanni Marco Piemontese, Elisabetta Pieretto, Sara Podda, Marianna Poullain, Martina Rametta, Angelo Russo Russelli, Renata Santoro, Jacotte Saussois, Sikitikis, Ourida Timhadjelt, Paolo Trombetti QUALE FUTURO? Q Gaetano Calà DIRETTORE NAZIONALE DELL'ANFE uale futuro? È la domanda che sempre più frequentemente mi pongo. Ed è la stessa domanda che ho sentito più volte pronunciare ai miei genitori pensando al progetto di crescita dei loro figli, al Presidente della Repubblica nei suoi discorsi istituzionali parlando al nostro Paese, ai politici nei loro dibattiti, ai dirigenti scolastici, ai professori e agli studenti parlando di scuola, ai rappresentanti del mondo dell’associazionismo rivolgendosi ai soci, agli imprenditori parlando di imprese, al Papa rivolgendosi ai fedeli, a chi comunque ricopre un ruolo di responsabilità verso una comunità. Ma a questa semplice domanda che racchiude un’articolata e sofferta dialettica tra l’uomo e il suo operato, segue una risposta complessa perché determinata dall’interazione di diversi fattori prodotti da sistemi complessi quali la famiglia, la scuola, la politica, la chiesa. La crisi che ha investito negli ultimi anni questi sistemi e che ha portato la nostra società in un profondo smarrimento etico e culturale, trova il suo fondamento nella crisi dell’uomo. Ed è proprio la generazione dei quarantenni ad esserne principalmente fagocitata. Quando i nostri genitori si ponevano la domanda Quale Futuro dare ai propri figli, partivano dal semplice presupposto che sarebbe bastato garantire loro una buona istruzione, lo Stato avrebbe fatto il resto attraverso il rispetto dell’art. 1 della Costituzione, ritenendo che questa semplice equazione: istruzione + art.1 della Costituzione = lavoro e realizzazione, potesse automaticamente funzionare. Ed effettivamente ha funzionato nei decenni passati consentendo la realizzazione di innumerevoli posti di lavoro. Ciò che i nostri genitori non hanno svolto è stato il controllo sull’esercizio della funzione delegata ai politici per il governo del Paese, ritenendo che il giuramento dei loro rappresentanti politici suggellato dalla frase di rito “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione”, bastasse per determinare il buon governo del Paese, certi che i loro sentimenti e valori sarebbero stati la loro bussola. Tuttavia il mancato controllo ha maturato nei politici la convinzione che tutto fosse loro possibile, che qualsiasi scelta potesse essere condotta al fine di soddisfare quell’equazione, i cui effetti erano di facile e immediato risultato: il consenso. Creare i presupposti per lo sviluppo del Paese, per una libera impresa e quindi un sano sviluppo, era poco conveniente per le premesse ragioni. È stato così foraggiato l’impiego pubblico in tutte le sue forme dirette e indirette derogando al patto di pareggio del bilancio, raggiungendo costi del personale pari al 90% della spesa, venendo meno al principio di efficienza ed efficacia della funzione pubblica e facendo soprattutto accrescere nei giovani la convinzione, diventata poi certezza, che a premiare non è il merito e la professionalità ma la raccomandazione. Il mancato controllo ha legittimato e istituzionalizzato una classe dirigente politica inefficiente, arrogante e autoreferenziale che ha posizionato i suoi simili nei posti chiave del governo del nostro Paese producendo il risultato che oggi è sotto gli occhi di tutti. Ma da dove si deve ripartire oggi? Esattamente dall’uomo perché è l’unico fattore determinante per fare correttamente funzionare quei sistemi complessi a cui facevo riferimento. Ad essere chiamati “alle armi” siamo noi, la generazione dei quarantenni che ha il gravoso compito di far fronte a questo fallimento forte dei solidi valori ereditati dai nostri padri. È la generazione che ha studiato e ha raggiunto un livello culturale tale da potere capire e determinare le sorti della comunità in cui opera. I nostri padri non hanno esercitato il controllo sulla politica per ignoranza e fiducia acritica, noi lo abbiamo fatto con consapevolezza con l’aggravante di aver abdicato nella gestione della res pubblica. Siamo scesi a compromessi per un immediato beneficio personale trascurando il futuro collettivo e pensando che il nostro non sarebbe stato mai toccato sottovalutando molti effetti delle nostre scelte e consentendo che l’umiliazione divenisse esercizio costante delle scelte del potere politico. Ma noi abbiamo anche l’onere di ricucire lo strappo che si è verificato tra lo Stato e la nuova generazione che cresce all’interno di istituzioni in forte crisi, si alimenta del vuoto e nel vuoto vive. La nuova generazione non ha il senso della famiglia perché la famiglia è stata travolta dalla fast life, non ha il senso dello Stato perché non crede fino in fondo in esso, non ha il senso della comunità perché vive in quella virtuale e filtrata, ha scarsa cultura perché la scuola è in profonda crisi, ha un rifiuto della politica perché la ignora con conseguente utilizzo non sempre consapevole del voto, non ha capacità di ascolto e confronto perché non educata a tale esercizio. Il risanamento sociale è possibile ma complesso e necessita di tempo e impegno incondizionato messi a servizio del bene della collettività ciascuno per la propria parte e per il ruolo che si ricopre nella società, abbandonando le logiche spietate degli intessi personali. Va recuperato il senso di comunità, di impegno collettivo, di mutuo soccorso, elementi fondanti che hanno fatto grande l’Italia nel dopoguerra e grande e coesa la comunità degli italiani nel mondo. Mi piace concludere citando una frase che nel film Kaos la madre di Pirandello rivolge al figlio: “impara a guardare le cose anche con gli occhi di chi non c’è più”, dunque partendo sempre dal passato, con la consapevolezza di oggi e gli strumenti di cui la nostra generazione è dotata, bisogna lavorare con impegno e rinnovata fiducia per una società migliore. Lo dobbiamo anche ai nostri figli. Riavvolgere la pellicola della storia e tornare alla cultura contadina, con la consapevolezza dell’oggi e con gli strumenti di cui la generazione dei quarantenni è dotata, è un atto dovuto e l’unica strada che immagino per uscire dalla crisi. 6 I n luogo della 6ª edizione del SalinaDocFest presentiamo questa edizione straordinaria che chiameremo “SalinaDocFest/Esercizi di Resistenza: Quale Futuro?”. Straordinaria perché straordinarie sono le difficoltà incontrate, dovute alla situazione contingente che, con l’impossibilità di trasferimento dei fondi regionali e comunitari, sta bloccando tutta la cultura siciliana. Tale grave situazione rischia di vanificare gli sforzi posti in essere in questi anni da diversi Enti, Associazioni ed Istituzioni al fine di creare un valido contenitore culturale per manifestazioni nuove e piene di contenuti, come il SalinaDocFest - Festival del documentario narrativo. Questa manifestazione, inserita dopo cinque anni di sforzi di ogni tipo tra le manifestazioni di grande interesse della Regione Siciliana, rischia il fallimento, vanificando tutte le scommesse volute e portate avanti in questi anni, sia dall’organizzazione del Festival, sia dalle Amministrazioni comunali eoliane e dai numerosi operatori economici. Riteniamo che non si possa cadere sotto i colpi del “Patto di stabilità” e della “Spending Review” che, oltre ad avere sacrificato trasporti, sanità e istruzione, oggi sta intervenendo sulla cultura. Desideriamo ringraziare tutti gli eoliani e gli amici delle Eolie, gli amici della cultura e i sostenitori della promozione dell’immagine delle nostre isole. Ringraziamo anche tutti coloro che hanno risposto positivamente, e a quanti lo faranno, alla sottoscrizione volontaria di raccolta fondi da destinare all’associazione SalinaDocFest, primo segnale di attenzione nei confronti del mondo della cultura, attualmente fin troppo bistrattato e non valorizzato come dovrebbe. Il Comitato Direttivo del SalinaDocFest 7 QUALE FUTURO? ESERCIZI DI RESISTENZA A SALINA «N di Giovanna Taviani oi figli dobbiamo essere i nuovi genitori. Abbiamo bisogno di riappropriarci di un senso del futuro, perché sotto il sole sta accadendo qualcosa di radicalmente nuovo. Non sono riusciti a cambiarlo loro. Cambiamolo noi». Tutto cominciò da lì. Una mattina assolata di fine Settembre 2011 giovani americani scesero in piazza e si riversarono a Central Park per dare vita a Occupy Wall Street: uomini e donne provenienti un po’ da tutti gli Stati Uniti protestavano contro le falle del capitalismo mondiale e riportavano l’interesse del mondo sul senso di una comunità, che andasse oltre, una volta per tutte, l’individualismo sfrenato e antisolidale che domina i nostri paesi da più di trent’anni. Il loro motto: «Non chiediamo niente per noi, chiediamo molto per tutti». Scontavano forse come limite alla loro protesta una deriva ideologica tipica delle nuove generazioni e la mancanza di un progetto politico. Ma erano e sono i portavoce di una nuova comunità che torna a interrogarsi su un orizzonte comune, a chiedersi perché i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, a fare “paese”. Fu il segno evidente di una reazione, da troppo tempo attesa e costantemente rinviata, che si è propagata attraverso l’oceano anche da noi, nella rabbia dei giovani disoccupati del Mezzogiorno, nella nuova vitalità dei ragazzi emiliani, che si sono riversati nelle campagne sperimentando nuove forme di pauperismo e di esperienze comunitarie. Laddove i padri e le madri hanno fallito o si sono fermati, loro sono andati avanti. Stanchi e indignati, tornano a credere nel valore di un patrimonio comune, che rispetti l’ambiente e i diritti del cittadino, primo tra tutti il diritto alla felicità, che ciascuno di noi ha il dovere di pretendere in questa vita come singolo e come membro di una collettività sociale. Contemporaneamente la rabbia e la disperazione dei giovani delle primavere arabe, esplose nel 2011, aveva innescato un nuovo flusso di comunicazione che ha cambiato lo scenario comune tradizionale, spingendo il Mediterraneo verso un futuro diverso. Partendo da Salina, alla fine della scorsa edizione, Hichem Ben Ammar, che interrogavo inquieta e curiosa sul possibile esito delle future elezioni in Tunisia, mi rispondeva: «il cammino è in salita, ma sono ottimista». L’avrei rincontrato qualche mese dopo, a Dicembre, nel deserto di Douz, dove mi aveva invitato insieme al direttore del prestigioso FidMarseille, oggi da noi anche qui a Salina, come membro della giuria del “Douz Documentary Days” da lui diretto. Aveva organizzato per il giorno della premiazione una lunga carovana nel deserto del Sahara con i registi del concorso, quasi tutti cineasti tunisini che avevano raccontato in diretta i martiri della loro rivoluzione. Mi ritrovai sopra un cammello, accanto ad altri cammelli con sopra altri registi, tutti con la telecamera in mano, a documentare quasi in modo forsennato quel che stava accadendo attorno a loro. Ci fermammo al centro di una duna, e Hichem ci fece scendere. Parlò del nuovo cammino del Mediterraneo, e di loro, i giovani del futuro, finalmente liberi di gridare in mezzo al deserto i propri sogni di libertà. Solo allora capii cosa voleva dire quel giorno Hichem, mentre mi salutava al porto di Salina. Qualche mese più tardi giovani ragazze tunisine scendono in piazza contro Ennada per difendere i diritti della donna tutelati dalla Costituzione. Ridono e con le mani fanno il segno della vittoria. A Boulevard Bourghiba, leggiamo sui nostri giornali, ricompaiono per la prima volta i libri degli autori, stranieri e nazionali, per decenni censurati dalla dittatura di Ben Ali. È il risveglio della cultura a lungo censurata dal regime. Quando mesi più tardi vado in Marocco, a Rabat e Khouribga, per aprire una finestra del SalinaDocFest, anche lì, in una realtà pur molto diversa da quella tunisina, percepisco con mano la portata del nuovo vento. È in quell’occasione che apprendo dell’esistenza di una donna femminista attivista, libraia di Marrakech, Jamila Hassoune, che va in giro con una carovana di libri a portare la cultura nei paesi sperduti del deserto. «Sono una libraia nomade, non mi piace stare seduta dietro a una scrivania» – leggo da una sua intervista. Seguendo l’istinto della documentarista, Jamila vuole “portare fuori” i libri e “andare fuori” dai libri, incontrare le persone vere, riversarsi sulle strade reali. Il nuovo vento del sud vuole dire anche questo. «Se ci sono delle “primavere arabe” - scrive Fatema Mernissi nell’epigrafe a La libraia di Marrakech - è perché nel mondo ci sono persone 8 Esercizi di Resistenza come Jamila». La carovana del libro apre la mente e obbliga i giovani e le giovani analfabete delle campagne e delle periferie del Maghreb a dare un senso e una profondità storica a parole come “uguaglianza”, “democrazia” e “libertà” contro i governi oscurantisti. Dai detenuti condannati a fine pena mai, che porteremo nella sezione “Le carceri raccontano”, alle donne velate del deserto del Sahara, la cultura può rendere consapevoli e porsi, a tratti, come salvezza. La scrittrice sarà con noi a Salina per ricevere un premio, che ci dà molta gioia e molto lustro. Il vento di Jamila è arrivato anche nelle nostre città, nel Mezzogiorno e nel resto del paese; è entrato nelle carceri napoletane; si è mosso tra i giovani precari del sud e del nord, tra le donne di “Se non ora quando?”; ha rotto il monitor delle nostre televisioni. Il governo Berlusconi è caduto, e con lui un sistema di linguaggio ormai desueto. Non si parla più di veline ma di donne; la politica annaspa e fa fatica a ritrovare un alfabeto identitario; ma a tratti torna a usare termini, fino a qualche tempo fa considerati anacronistici soprattutto dai giovani, come “etica”, “comunità”, “solidarietà”. Lo stesso vento di cultura lo ritrovo a marzo 2012 in America, nelle università del Michigan, Minnesota e Ohio, dove vado a portare il SalinaDocFest e il mio Fughe e approdi. Lì nei campus vedono e discutono su film come La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo; rileggono Gramsci alla luce della teoria, mai come in questi anni attuale e profetica, dell’egemonia culturale. Ancora una volta, mutatis mutandis, l’interrogativo più impellente dei giovani studenti del campus è “Quale futuro?”. Così è nata questa nuova edizione, nell’impeto della ricerca di un futuro da condividere, da fare nostro subito, da sottrarre con rabbia a questa classe dirigente, da cui, in qualche modo, da qualche parte e non senza ferite, ci sentiamo traditi. Perché interrogarsi su un futuro possibile significa anche dire “no” a un presente che non ci piace. Oggi allo stato attuale mi sento più stanca e anche un po’ disillusa. Di continuare a fare tutto nel precariato assoluto, senza l’aiuto dello Stato, sul nostro sacrificio e mai su quello degli altri, sullo sforzo mio e dello staff. Ma poi leggo e rileggo una poesia di Franco Fortini su una rondine e una gronda, che da anni avevo dimenticato: «Penso con qualche gioia / che un giorno, e non importa / se non ci sarò io, basterà che una rondine / si posi un attimo lì perché tutto nel vuoto precipiti / irreparabilmente, quella volando via». Facciamo questa edizione, mi dico, una volta per tutte, una volta per sempre, fosse anche l’ultima; mettiamocela tutta, affinché padri e figli si ritrovino uniti; affinché la comunità torni a rispondere e ad essere compatta. Come abbiamo sognato sin dalla nostra prima edizione. Lo abbiamo intitolato Esercizi di Resistenza e abbiamo chiesto aiuto alla gente comune, che ama come noi queste isole, il cinema e la cultura. La comunità ha risposto. E noi la ringraziamo. 9 GEMELLAGGI Concorso: Qualefuturo? C ’è chi il futuro se lo deve costruire da dietro le sbarre, e chi, pur essendo in mare aperto si vede privato della libertà di crescere, di sperare in un’altra condizione. E c’è chi il futuro se lo è visto sfuggire da sotto i piedi, anche se non è giusto chiedere a chi ha solo diciassette anni atteggiamenti che poi condizioneranno l’intera esistenza, perché sbagliare è un diritto e una seconda opportunità andrebbe concessa a chiunque. C’è chi ha abbandonato la terra che la mitologia occidentale considera la patria della spiritualità e si ritrova chino sui campi a raccogliere i frutti della terra, o chi è rimasto paralizzato da quel contesto che sa essere gabbia, e che ci fa ritrovare, esattamente uguali a noi stessi, anche se sono passati dieci anni. Poi ci sono le città che cambiano dietro l’illusione di una riqualificazione che in realtà nasconde solo una ulteriore, crudele e definitiva affermazione della società che ci chiede solo di consumare, e c’è chi cerca di farci sentire fuori dal tempo, nella calma attesa, all’apparenza sempre uguale, che porterà la nuova stagione con i suoi turisti, così come porta le pecore all’ovile. Otto film, che apparentemente raccontano il tempo che si è fermato, ma che tra le righe narrano una volontà di resistenza, la necessità di un altro futuro, diverso da quello che era il passato e diverso da quello che avevamo immaginato, al di là di quello che si è o che si è fatto, al di là di come o di dove si vive, al di là di quello che gli altri ci chiedono di essere. Otto film che vogliono capire cosa ci sta capitando. Nella società dell’immagine e dell’immaginario appiattito, il concorso del SalinaDocFest – Esercizi di resistenza, racconta l’urlo dell’individuo, lo sbigottimento rispetto al tempo che corre più veloce di noi, che ci chiede di non invecchiare e che ci rende continuamente ed improvvisamente vecchi ed inutili. Non tutti accettano questo futuro immobile, questo gioco al massacro. Non lo accettano i protagonisti dei documentari che presentiamo, e non lo accettano i registi che questi documentari hanno pensato e realizzato. E non lo accettiamo noi che ancora crediamo alla possibilità di una narrazione che sovrasti gli spazi ed i tempi e che permetta di raccontare, attraverso le storie di persone, che non sono archetipiche, ma che sono universali, la voglia di una società diversa, dove altri e più grandi siano i valori dominanti. “Credo che l’uomo sia maturo per altro, non soltanto per non rubare, non uccidere, eccetera e per essere un buon cittadino... Credo che sia maturo per altro, per nuovi, altri doveri. È questo che si sente, io credo, la mancanza di altri doveri, altre cose, da compiere... Cose da fare per la nostra coscienza in un senso nuovo”. Sono parole di Elio Vittorini, queste. Sono parole che ci dovrebbero indicare la direzione lungo i nuovi percorsi che dobbiamo intraprendere. La strada è lunga e non conosciamo la materia della quale è fatta. E nemmeno dove ci porterà. 12 LaGiuria Ilaria Fraioli, diplomata in montaggio al Centro Sperimentale di Cinematografia ed approfondita la sua conoscenza della storia del cinema grazie agli studi universitari conseguiti presso l’Università La Sapienza di Roma ed il DAMS di Bologna, esercita la sua attività di montatrice in modo eclettico e sperimentale proseguendo sempre una intensa ricerca personale soprattutto sul piano linguistico. In questa prospettiva incontra molti registi e realtà produttive che le permettono di esprimersi in modo personale, da Alina Marazzi a Stefano Savona, da Vincenzo Marra a Gianfilippo Pedote, dalla Indigofilm a Costanza Quatriglio, da Anna Negri a Davide Ferrario, da Marco Giusti alla Vivofilm, da Ascanio Celestini alla Bianca Film, da Mariangela Barbanente allo Studio Azzurro, dagli Home Movies di Bologna a Roberta Torre, da Telepiù, alla Ventura film, alla Kairos. Tra i lavori da lei realizzati, ricordiamo, Un’ora sola ti vorrei, Palazzo delle Aquile, 58%, Vogliamo anche le rose, Questa storia qua, Nada, Il mio cuore umano, Riprendimi, La rabbia, Stracult, Radio clandestina, Cosi mangiavamo, Il bar di Vezio, Girl on the air, Lo scippo, Promised Land, Mar Nero. Lidia Ravera, (1951, Torino), vive fra Roma e Stromboli. Ha pubblicato 25 romanzi, da Porci con le ali (1976) ai più recenti Eterna Ragazza (Rizzoli, 2006), Le seduzioni dell’inverno (Nottetempo, 2009), La Guerra dei figli (Garzanti, 2010), A Stromboli (2010) e Piccoli Uomini (2011). Ha scritto sessanta sceneggiature per la televisione e per il cinema, fra cui Oggetti Smarriti, Amori in corso, Una vita in gioco e Il dolce rumore della vita, per la regia di Giuseppe Bertolucci. Collabora con «Il fatto quotidiano», «Micromega», «Donna Moderna». Jean Pierre Rehm, dopo aver studiato Lettere Moderne e Filosofia all’École Normale Supérieure (ENS), ha insegnato Storia e Teoria dell’arte e del cinema in diverse Scuole d’arte. Ha lavorato per il Ministero della Cultura francese ed ha curato mostre d’arte contemporanea, tra cui ricordiamo quelle al Museo d’Arte Moderna del Cairo, allo Yokohama Art Center in Giappone, al Witte de With di Rotterdam, alla Fondazione Caixa di Barcellona e allo Spacio del Arte a San Paolo. Ha collaborato con varie testate (è stato membro del comitato di redazione dei «Cahiers du Cinéma») e scrive regolarmente libri e cataloghi. Fino al 2012, ha diretto il programma post-laurea presso l’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts de Lyon. Dal 2001 è a capo dell’International Film Festival di Marsiglia, FIDMarseille. Gianfranco Rosi, nato ad Asmara, in Eritrea, dopo aver frequentato l’università in Italia nel 1985 si trasferisce a New York e si diploma presso la New York University Film School. In seguito ad un viaggio in India, produce e dirige Boatman. Realizza nel 2001 Afterwords, presentato alla 57ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, e, nel 2008, con Below Sea Level, girato a Slab City in California, vince i premi Orizzonti e Doc/It alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 2008. La pellicola si aggiudica anche il Prix des Jeunes al Cinéma du Réel del 2009 ed è nominato come miglior documentario all’European Film Awards 2009. Nel 2010 gira El sicario - room 164, film-intervista su un sicario messicano. Il film vince il Premio Fipresci alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia 2010. È stato guest lecturer presso la New York University Film School, il Centro de Capacitación Cinematográfica di Città del Messico e insegna alla HEAD di Ginevra. Attualmente sta lavorando su Sacro GRA, documentario realizzato intorno al Grande Raccordo Anulare di Roma. Daniele Vicari (1967, Rieti), si laurea in Storia e Critica del cinema presso l’Università di Roma La Sapienza e collabora come critico cinematografico con le riviste «Cinema Nuovo» e «Cinema 60». Nel 1997, collabora con Guido Chiesa, Davide Ferrario, Antonio Leotti e Marco Simon Puccioni, nel documentario Partigiani, che racconta la lotta al nazismo e al fascismo della cittadina emiliana di Correggio. Nel 2002, con Velocità massima, partecipa in concorso alla 59ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, e l’anno successivo vince il David di Donatello come miglior regista esordiente. Nel 2005 L’orizzonte degli eventi è presentato alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes. Con Il mio paese (2007), vince il David di Donatello per il miglior documentario. Nel 2012, con il film Diaz - Non pulite questo sangue vince, ex aequo il Premio del pubblico al Festival di Berlino. Sempre del 2012 è La nave dolce. 13 Concorso IL LIMITE Rossella Schillaci Italia 2012, 55’ fotografia Irma Vecchio montaggio Fulvio Montano, Edoardo Morabito musica Vincenzo Gangi suono Francesco De Marco produttore Filippo Pistoia, Giuseppe Schillaci, Cristina Alga produzione Azul, Clac con il sostegno Sicilia Film Commission, Piemonte Doc Film Fund contatto Azul Corso Francia 79 10138 Torino, Italia www.azulfilm.com [email protected] [email protected] 14 L a Priamo sta rientrando a Mazara del Vallo e l’equipaggio si prepara a riabbracciare i familiari dopo tre settimane di pesca in alto mare tra Lampedusa, la Tunisia e la Libia. Il capitano, il timoniere e il motorista sono italiani, mentre il capo-pesca e i due marinai sono tunisini. La storia parte da qui, dalla città che vanta la marineria più grande d’Italia nonché una folta comunità tunisina insediatasi tra le vie decrepite del centro storico, chiamato ironicamente la “Casbah”. «Un racconto intimo e partecipe sulla lontananza: dopo pochi giorni a terra, gli uomini lasciano le loro famiglie e ripartono per un altro mese. La rete viene calata ogni 4 ore, giorno e notte, con buono o cattivo tempo, la convivenza a bordo è difficile, i dialoghi sono rari, coperti dal rumore del motore e degli argani. Attorno solo mare e gabbiani, e i suggestivi orizzonti del Mediterraneo a un passo dall’Africa, dove il peschereccio incrocia i migranti diretti in Europa». [Rossella Schillaci] Rossella Schillaci si è formata alla scuola di documentario sociale “I Cammelli” di Torino. Si è specializzata in antropologia visiva a Manchester (con un master in Visual Anthropology e regia del documentario). In seguito ha collaborato con la Laranja Azul, società di produzione portoghese, e partecipato in India al progetto “Eu-india documentary initiative”, realizzando Living Beyond Borders, Vjesh/canto con il quale ha vinto numerosi premi, tra i quali il Jean Rouch Film Festival di Parigi. Nel 2009 è stata selezionata per il Berlinale Talent Campus. Ha lavorato come autrice e regista per Raisat e SKY e come ricercatrice con l’Università di Torino e l’Archivio di Etnografia della Regione Lombardia. I suoi ultimi documentari: La fiuma, premiato in diversi festival, Shukri, A New Life, prodotto e trasmesso da Al Jazeera. Con Altra Europa, ha vinto, tra gli altri, il primo premio della sezione Italia.doc al SalinaDocFest 2011. Filmografia 2012 - Il Limite 2011 - Altra Europa 2010 - Shukri, A New Life 2008 - La Fiuma. Incontri sul Po e dintorni 2007 - Vjesh/Canto A IL RESTO DELL’ANNO Michele Di Salle e Luca Papaleo Salina dopo che il tempo estivo è finito e anche l’ultimo turista è partito, restano un migliaio di abitanti, pronti a riprendere una vita regolata dai cambiamenti del mare e dal lento scorrere del tempo. All’ombra di due vulcani addormentati, tra i segni dell’incontro millenario fra diverse culture anche molto eterogenee tra loro – ruderi, usanze o generazioni diverse – la comunità isolana affronta così i piccoli grandi eventi, più o meno sorprendenti, del suo quotidiano. «La macchina da presa prova a diventare un tutt’uno con l’isola, entrando nei cespugli, tra i sassi, nei muretti lungo le sue strade, sempre subordinata rispetto all’oggetto raccontato. Gli abitanti, una volta presa dimestichezza col mezzo, si auto-rappresentano spontaneamente rivolgendo sguardi in macchina in una relazione narrativa diretta con la lente e il pubblico, superando il nostro filtro». [Michele Di Salle e Luca Papaleo] Michele Di Salle (Milano, 1977) inizia a lavorare nell’ambiente televisivo in qualità di assistente alla regia, costruendosi una base tecnica; successivamente passa al ruolo di autore di post-produzione/story editor per alcuni tra i maggiori reality show italiani. Italia 2012, 75’ sceneggiatura Michele Di Salle, Luca Papaleo, Giovanni Calamari, Matteo Festa fotografia Michele Di Salle montaggio Luca Papaleo musica Lucina Lanzara suono Michele Di Salle produttore Massimo Sigillò Massara produzione Faralgon, Nota Preziosa, Clonwerk, Limited Music www.faralgon.com Luca Papaleo (1971), da vent’anni è montatore specializzato in fiction televisive. La passione per le buone storie e le belle immagini lo porta alla collaborazione con Michele Di Salle, con il quale, da 2 anni, realizza video musicali e documentari seriali. Filmografia 2012 - Il resto dell’anno 15 Concorso IN PECORE PECUNIA Michele Bertini Malgarini Italia 2012, 51’ sceneggiatura Michele Malgarini Bertini montaggio Sergio Lolini fotografia Giulio Magnolia, Matteo Keffer suono Gian Marco De Candia grafiche Mbanga Studio musica Automatofonic produttore Lorenzo Dionisi produzione Rossellini Films, Fuorisync, Zerosix Productions [email protected] www.fuorysinc.it Con la sponsorizzazione della Apulia Film Commission, Parco dell’Alta Murgia, Fondazione Banca del Monte di Foggia 16 U n documentario sulla condizione pastorizia contemporanea in Puglia e sul ruolo che ha il pastore oggi, protagonista di un paesaggio a volte dimenticato, di un’attività messa alle strette dalla crisi. La voce dei pastori, le proposte degli allevatori, i ricordi e i pensieri degli artisti. «Ho deciso di percorrere la Puglia, spinto sia dalla voglia di riprenderne il meraviglioso paesaggio, sia dalla volontà di interrogarlo, e sviscerare la relazione che hanno con esso gli abitanti originari. Intervistando persone provenienti da sfere personali diverse, mi sono subito reso conto di quanto fosse forte il legame con la propria terra, e con quel mestiere pastorale che è ormai relegato in una realtà poco conosciuta di continua crisi. Ho scelto di cercare di entrare nel paesaggio con la camera, di accostare continuamente alle parole dei personaggi, le immagini del territorio analizzato, terra di ispirazione per me e per tutti coloro che ho intervistato. Il pastore, l’allevatore, lo scultore, lo scrittore e il territorio sotto i piedi. L’uomo, il popolo, il mestiere e la terra». [Michele Bertini Malgarini] Michele Bertini Malgarini (Roma, 1980), laureato in Storia dell’Arte, dopo aver lavorato come assistente di Luca Guadagnino, ha aperto l’associazione culturale, Fuorisync, cominciando, come filmmaker indipendente, a dirigere e a produrre spot commerciale, cortometraggi e due documentari. Nel 2012 ha scritto e diretto uno spettacolo teatrale, A love story – Io senza di te non sto bene. Filmografia 2012 - In Pecore Pecunia 2011 - Se riesco parto (c.m.) 2011 - Balconing - salto nel vuoto A LE COSE BELLE Agostino Ferrente e Giovanni Piperno Italia 2012, 80’ fotografia Giovanni Piperno montaggio Roberta Cruciani, Paolo Petrucci suono Max Gobiet, Daniele Maraniello, Marco Saveriano con Enzo della Volpe, Fabio Rippa, Adele Serra, Silvana Sorbetti produttore Donatella Botti, Antonella Di Nocera, Agostino Ferrente, Donatella Francucci, Giovanni Piperno produzione Bianca Film, Parallelo 41, Pirata M.C., Point Film Napoli il tempo non esiste: è una credenza popolare, una superstizione, una scaramanzia, un trucco, una canzone. Il tempo si passa ad aspettare, e poi, all’improvviso, a ricordare. Ma allora, le cose belle arriveranno? O le cose belle erano prima? «Quattro vite a confronto nella Napoli piena di speranza del 1999 ed in quella paralizzata di oggi. La fatica di diventare adulti attraverso gli occhi di quattro ragazzi napoletani: Fabio, Enzo, Adele e Silvana. Quattro sguardi pieni di bellezza, tristezza, ironia, ingenuità, cinismo. E soprattutto radiosi. Ma già allora, nel ´99, quando girammo Intervista a mia madre, un documentario che voleva raccontare frammenti di adolescenza a Napoli, i nostri quattro protagonisti ostentavano scaramantico disincanto: perché la catastrofe, sempre in agguato nella loro città, è una minaccia nonché un alibi che rende le vite dei napoletani immobili. Dieci anni e tre sindaci dopo, siamo tornati a filmarli, inseguendoli per un arco di tre anni: nel 2012, alle cose belle, i nostri ragazzi non credono più: forse sono già passate. O forse le cose belle non vanno cercate né nel futuro e né nel passato, ma in quel presente vissuto con la straziante bellezza dell´attesa, dell´incerto vivere alla giornata, della lotta per una esistenza dignitosa». [Agostino Ferrente e Giovanni Piperno] Agostino Ferrente (Cerignola, 1971) produce e dirige i corti Poco più della metà di zero (1993) e Opinioni di un pirla (1994). Nel 1997 con Giovanni Piperno realizza Intervista a mia madre (1999) e Il film di Mario (1999-2001). Nel 2001, insieme a una decina di complici, fonda a Roma il gruppo “Apolloundici” con il quale crea L’Orchestra di Piazza Vittorio, protagonista nel 2006 del documentario omonimo premiato in numerosi festival. Con Mariangela Barbanente è ideatore del progetto OPV i Diari del ritorno. Con Andrea Satta e i Têtes de Bois realizza il videoclip di Alfonsina e la bici (Premio Speciale P.I.V.I.) con la partecipazione di Margherita Hack. Tel +39 346 3103326 [email protected] Filmografie Giovanni Piperno (Roma, 1964) dopo le collaborazioni con Terry Gilliam, Martin Scorsese, Nanni Moretti, Giuseppe Rotunno, Dante Spinotti, Giuseppe Lanci, John Seale, Janusz Kaminski, Roger Deakins, come assistente operatore, dirige numerosi documentari tra i quali Intervista a mia madre, Il film di Mario e L´esplosione, vincitore del Torino Film Festival 2003. CIMAP! centoitalianimattiapechino, partecipa al Festival di Locarno nel 2008. Nel 2010 Il pezzo mancante, ottiene il premio Cinema Doc al Festival di Torino. Agostino Ferrente 2012 - Le cose belle 2006 - L’Orchestra di Piazza Vittorio 2004 - Scusi dov’è il Documentario? 2000 - Intervista a mia madre 1999 - Il film di Mario 1994 - Opinioni di un pirla (c.m.) 1993 - Poco più della metà di zero (c.m.) Giovanni Piperno 2012 - Le cose belle 2011 - Crescere al Sud 2010 - Il pezzo mancante 2006 - This is my sister 2006 - CIMAP! 2003 - L’esplosione centoitalianimattiapechino 2000 - Intervista a mia madre 1999 - Il film di Mario 1998 - Il mio nome è Nico Cirasola 1994 - Un thé sul set Concorso MINEO HOUSING di Cinzia Castania Italia 2012, 59’ fotografia Greta De Lazzaris In mezzo a una distesa di agrumeti, nel cuore della Sicilia, a ridosso di una statale vagano sull’asfalto dei giovani immigrati. Costeggiano lunghe recinzioni oltre le quali si disegnano infilate di villette dai colori pastello, sembrano finte. Un nuovissimo Centro di Accoglienza nato sull’onda di una emergenza improvvisa. Un residence a 5 stelle, ex residenza dei militari Usa della base NATO di Sigonella. Il paese più vicino è Mineo: molti dei vecchi del posto sono stati emigranti, mostrano comprensione, criticano chi li rifiuta, ma si chiedono cosa ci fanno lì. A poco a poco, si mette a fuoco un filo spinato, la mancanza di servizi essenziali, l’incapacità della politica di affrontare l’accoglienza. «Vengo da un luogo e da una famiglia che conosce bene l’esperienza dell’emigrazione. Tra la fine del 2010 e i primi mesi del 2011, l’improvvisa apertura di un Centro di accoglienza nelle campagne di Mineo, mi ha offerto l’occasione di osservare/raccontare la forte ondata di immigrazione conseguente alla guerra in Libia. Ho scelto di utilizzare in montaggio le voci perlopiù fuori campo, sulle immagini, alternando anche dei momenti di respiro, in cui le immagini, e il suono dell’ambiente, raccontano da sé e spesso hanno molta più forza delle parole» [Cinzia Castania]. montaggio Chiara Russo, Enrico Giovannone montaggio del suono Gabriel Hafner NosSonMix (Svizzera) Produzione Gianluca Arcopinto - Cinzia Castanìa Filmografie 2012 - Mineo Housing 18 Cinzia Castanìa, (Militello, Catania), dopo una esperienza editoriale con la Castelvecchi, ha iniziato a lavorare per il cinema, prima come assistente alla regia e poi come aiuto regista, collaborando con alcuni tra i più importanti registi italiani, tra i quali Silvio Soldini, Luca Guadagnino, Nanni Moretti, Antonietta De Lillo, Carlo Mazzacurati, Andrea Molaioli, Andrea Segre, Emma Dante. Mineo Housing è il suo primo documentario. Q PADRONE BRAVO Simone Amendola Italia 2012, 48’ fotografia Simone Amendola montaggio Gianluca Paoletti, Simone Amendola suono Floriana Pinto, Arianna Arcangeli produzione PARSEC Cooperativa Sociale, Blue Desk Viale Ionio, 331 00141 Roma Tel. 06.86209991 Fax 06.8611067 www.cooperativaparsec.it [email protected] ual è il confine tra ricatto e riduzione in schiavitù? Questo film racconta le condizioni in cui vivono e lavorano gli indiani del Punjab nelle campagne della provincia di Latina. «Questo documentario mi è stato commissionato dalla Cooperativa Parsec e dal Dipartimento per le Pari Opportunità. Da qualche anno, con un progetto congiunto, cercano tra mille difficoltà di far emergere il grave sfruttamento in cui vivono i braccianti indiani nel centro Lazio. La loro difficoltà inizialmente è stata anche la mia, perché il ricatto è tale che vige grande omertà. Soltanto lo stupore per le grandi contraddizioni che nascono in un contesto paludoso, mi ha permesso, alla fine, di fare un quadro generale e scovare un piccolo tentativo di emancipazione» [Simone Amendola]. Simone Amendola (Roma, 1975), tra il 2004 e il 2008 ha lavorato con Citto Maselli e Ken Loach e per il teatro ha scritto e diretto Nessuno può tenere Baby in un angolo e Porta Furba (premiato, con la pubblicazione, all’Oreste Calabresi). Tra il 2009 e il 2010 sono usciti il docu-film Quando Combattono gli Elefanti (riconosciuto di “Interesse Culturale Nazionale”) e il documentario Alisya nel Paese delle Meraviglie, in concorso al SalinaDocFest, e Premio Ilaria Alpi 2010. Nel 2011 ha partecipato alla 54 Biennale d’Arte di Venezia con il video Narciso, realizzato con l’artista iracheno Alì Assaf. Attualmente sta lavorando al suo primo lungometraggio di finzione. Filmografia 2012 - Padrone Bravo 2011 - Narciso (video) 2009 - Alisya nel Paese delle Meraviglie 2009 - Quando Combattono gli Elefanti 19 Concorso THE GOLDEN TEMPLE Enrico Masi Regno Unito, Italia, Francia 2012, 70’ sceneggiatura Stefano Migliore, Enrico Masi fotografia Giuliana Fantoni, Alberto Gemmi montaggio Giuseppe Petruzzellis musica Zende Music suono Jacopo Bonora direttore artistico Stefano Croci, Sophie Westerlind produttore Jerome Walter Guegen, Stefano Migliore produzione Caucaso Via Cà Selvatica, 6 40123, Bologna, Italia Tel +39 3492902672 Courtenay Square 10 London, UK Tel +44 (0) 7428210242 www.caucaso.info [email protected] www.thegoldentemple.info 20 C omprendere il sistema che sta dietro ai Giochi Olimpici, considerare il problema nel suo insieme, come un evento organico di massa che avviene nella città di Londra. Avvicinarsi a un maxi evento collettivo nel cuore del capitalismo attraverso un’odissea umana, una deriva urbana iniziata con gli effetti ereditati dal colonialismo, per finire nell’era dei primitivi digitali. «La prima volta che mi sono avvicinato al sistema dei canali a Londra ho scoperto un mondo completamente nuovo, fatto di simboli, icone e stereotipi ben noti a tutto il mondo. Poi ho pensato al protagonista del film, dopo aver avuto un sogno profetico. Era un uomo che vive su una barca. Con il passare del tempo un grande evento si sarebbe scontrato con la sua vita (stra)ordinaria. Un grande evento sportivo chiamato Olimpiadi. Questo era quanto succedeva nel sogno, finché un giorno parlando con lo scrittore Iain Sinclair sul futuro dell’Est di Londra, quest’uomo divenne realtà. Il suo nome era Mike Wells. Ci incontrammo in prossimità di un altro importante scenario, una nuova area in costruzione sulle ceneri delle paludi dì Stratford, fatta di ferrovie in abbandono, comunità marginali di gitani e la valle del fiume Lea. Qui sorgerà il Villaggio Olimpico. Anche in questo scenario c’erano canali, ma circondati da stadi, servizi, nuovi quartieri residenziali e un mastodontico edificio che sembra incorniciare cielo e terra: un nuovo centro commendale, il più grande d’Europa» [Enrico Masi]. Enrico Masi (Bologna, 1983), musicista e regista, dopo la laurea in Lettere moderne, nel 2006 inizia un film di ricerca dal titolo Shooting Postmoderno. Il primo esperimento è un cortometraggio girato in Francia dal titolo La situation est Claire. Nel 2009, gira il documentario Khalid, presentato in numerosi festival internazionali. Mentre il cortometraggio Ulisse Futura è stato proiettato a Parigi, École des Beaux Arts e al Genova Film Festival. Nel 2010 realizza Giussano, una ricerca sulla Lega Nord. Nel 2012 I colonnelli di Roma viene selezionato al RIFF (Rome Independent Film Festival). Filmografia 2012 - The Golden Temple 2012 - I colonnelli di Roma (c.m.) 2011 - Il guasto dei ghisilieri (c.m.) 2011 - Ulisse Futura (c.m.) 2010 - Dangerline (c.m.) 2010 - Giussano (c.m.) 2009 - Khalid (c.m.) 2007 - La situation est claire (c.m.) D ZERO A ZERO Paolo Geremei Italia, 2012, 63’ sceneggiatura Paolo Geremei fotografia Carlo Rinaldi, Sofia Karakachoff montaggio Luca Gasparini musica Riccardo Del Monaco suono Gianluigi Fulvio produttore Paolo Trombetti produzione e distribuzione Fourlab Via Marianna Dionigi 17 00193 Roma +39 0645472189 [email protected] in collaborazione con Intetract – Studio 1 aniele fa il cameriere, Marco è un geometra e Andrea lavora in una drogheria. Sono nati nel 1977. Hanno vite diverse ma un passato comune nelle squadre giovanili della A.S. Roma Calcio. Giocavano con Totti e Buffon, giravano il mondo con le Nazionali Under vincendo coppe e campionati in Italia e in Europa. Ma la vita li ha messi di fronte a delle prove che a diciassette anni non tutti sono capaci di superare. Il documentario racconta un lato nascosto del calcio per parlare delle aspettative e dei sogni che ci tengono vivi. Perché, come sostenne Albert Camus: “Il calcio non è una questione di vita o di morte. È molto di più”. «È iniziato tutto un giorno di ottobre di due anni fa, quando sono passato davanti ad un negozio a Monteverde e ho riconosciuto Andrea alla cassa. I mesi seguenti ho incontrato e conosciuto almeno altri dieci ragazzi che hanno giocato nelle Giovanili di grandi squadre ma per nessuno ho provato grande interesse o empatia. Poi un giorno ho incontrato Marco Caterini e mi sono ricordato che a Trastevere c’era un ragazzo che anni prima divideva la maglia numero 10 con Totti: Daniele Rossi. Non posso dire che sia stato semplice convincere i ragazzi a superare le diffidenze. L’aspetto che più mi ha convinto a raccontare queste storie è stato il rendermi conto che mentre io a 17 anni sceglievo dove andare in vacanza, loro prendevano decisioni che avrebbero cambiato le loro vite; che a 25 avevano già una vita alle spalle; che a 35 sono uomini con qualcosa da insegnare. Zero a zero non è ciò che diceva Marco, mentre ridendo mi presentava ai suoi amici e allenatori: “lui è Paolo, sta facendo un film sui falliti”. Non è neanche un film sulla vittoria o sulla sconfitta. È una parte di una partita ancora da giocare». [Paolo Geremei] Paolo Geremei si è laureato al DAMS di Roma e ha iniziato a lavorare nell’audiovisivo, inizialmente come montatore video e come critico su riviste cinematografiche per il web; poi come segretario di edizione, aiuto regista e regista. Ha collaborato con i F.lli Taviani, Renato De Maria, Leone Pompucci, Andrea Manni, Stefano Sollima, Pasquale Pozzessere, Patrice Leconte ed altri. Come regista, ha diretto la seconda unità del film tv Mork e Mindy di Stefano Sollima, alcune scene delle serie tv Distretto di Polizia e R.I.S., il plurimpremiato cortrometraggio Rossa Super, oltre che videoclip e spot per il web. Attualmente, sta preparando il suo primo lungometraggio dal titolo L’onda giusta. Filmografia 2012 - Zero a Zero 2009 - Rossa Super (c.m.) 2005 - Era ora (c.m.) 2000 - Parigi, ore 03:30 (doc) 21 ldeonne raccontano LeDonneRaccontano È facile parlare di donne. Tutti lo fanno. Lo fanno i settimanali che si autoproclamano femminili, la stampa rosa (perché lo sanno tutti che il rosa è il colore delle donne ... e della sposa). Quelli che si leggono dai parrucchieri, perché è lì che si incontrano le donne tra di loro. Parlano di donne in televisione, mostrando i corpi, la giovinezza prorompente, la perfezione chirurgica, perché, si sa, per le donne l’immagine, il come apparire agli occhi degli altri, è tutto. E ne parlano anche i libri, raccontando la sessualità e le sue sfumature segrete, raccontando quei valori (la sensibilità, la dolcezza, la mitezza) che un immaginario maschile ha da sempre accostato alla propria idea di femminilità. Ma se è facile parlare di donne, molto più complicato è “essere donne”. Guardare partendo da se stesse, cercando in se stesse un sistema che permetta l’autodefinizione, al di fuori degli stereotipi dominanti. E soprattutto fare i conti con un dissidio che sempre più connota l’essere donne: quello tra il pubblico e il privato, la creatività personale e la maternità, la realizzazione della propria identità e il rapporto con l’altro sesso. Esercizi di resistenza – le donne raccontano non è un tentativo di esplorare l’universo femminile, ma è una ricerca sulle produzioni realizzate da donne che lavorano per e con il cinema del reale. E spesso lo fanno insieme, in un gruppo di lavoro tutto al femminile, dove montatrici registe direttrici della fotografia operatrici alla macchina si riuniscono e si ritrovano, per cercare di indagare uno sguardo altro, una presa sul reale diversa, perché diversa è la condizione in cui le donne si trovano a operare in questa società. Il risultato della ricerca è stato ovviamente vario e complesso, perché gli Universi, e l’Universo femminile tra questi, non sono realtà omogenee. Vedremo quindi la maternità legata all’impegno sociale, raccontata da Claudia Cipriani in Lasciando la Baia del Re o le lavoratrici delle Ferrovie Sarde narrate da Francesca Balbo in Cadenas. Ma vedremo anche storie di uomini: gli scrittori analfabeti del nostro amato-odiato Sud, acute sentinelle della storia del nostro paese vista da una prospettiva meridiana, come Vincenzo Rabito, che Costanza Quatriglio racconta attraverso le parole di un diario (Terramatta; premio Civitas Vitae a Venezia 2012). E, accanto a questi film, i progetti collettivi di Antonietta De Lillo (Oggi insieme domani anche) e di autrici varie (Son tutte belle le mamme del mondo). Progetti che dicono prima di tutto che il collettivo si riscopre nella donna, nella sua tendenza e capacità a fare gruppo, in un’adesione ideale ad un nuovo spirito comunitario che dice no e tenta di resistere all’individualismo competitivo degli ultimi decenni. Antonietta De Lillo, una delle protagoniste più interessanti del mondo del documentario italiano, autrice di lavori come I racconti di Vittoria o I Promessi Sposi, è regista anche del film di finzione Il resto di niente, la storia della nobildonna Eleonora Pimentel Fonseca, che durante la rivoluzione napoletana del 1799, fu una delle protagoniste della rivolta, che visse in modo rivoluzionario il suo essere donna. Oggi la De Lillo è l’anima portante di un progetto di cinema partecipato e collettivo, nell’ambito del quale ha già realizzato Il Pranzo di Natale (2011), documentario girato a mille mani, nel quale riprese amatoriali, brani di film, home movies si incontrano e dialogano insieme per narrare il rito collettivo del Natale, quando le famiglie si riuniscono attorno a un tavolo imbandito, mentre fuori le solitudini continuano a viaggiare. Il rito del Natale ieri, il rito della vita in coppia, oggi: è l’oggetto del nuovo progetto che la De Lillo presenterà a Salina, Oggi insieme domani anche, rovesciando in sfida costruttiva l’assioma secondo cui l’amore dura solo il tempo della passione. E collettivo è anche il progetto sul quale lavorano Chiara Cremaschi, Lia Furxhi, Katja Colja, Gaia Giani, Chiara Idrusa Scimieri, Emanuela Rossi, Paola Rota, Rossella Schillaci, Antonella Sica, Enrica Viola, Sara Filippelli, Fausta Bettoni, Carlo Cremaschi e Cristina Sardo. Un’indagine sul tema ancora più delicato come quello della maternità, che spesso, purtroppo, ancora oggi come ieri, si scontra con le pulsioni altrettanto forti che ha una donna alla realizzazione del sé e della propria identità professionale. Un percorso al femminile attraverso i temi della nostra società, che il documentario, femminile o maschile che sia, ancora una volta riesce a raccontare con più spinta innovativa e più adesione all’Universo del reale. 23 LeDonneRaccontano I CADENAS Francesca Balbo Italia 2012, 60’ sceneggiatura Francesca Balbo fotografia Francesca Balbo, Andrea Turri montaggio Carlotta Cristiani, Bruno Oliviero musiche Dario Miranda suono Mirko Guerra, Alberto Gallo produttore Alessandro Borrelli produzione La Sarraz Pictures srl corso Filippo Turati 13 a 10128 Torino +393475439092 www.lasarraz.com [email protected] distribuzione La Sarraz Pictures Distribuzione cinema DOC [email protected] 24 n Sardegna, tra la Trexenta, il Campidano e il Gennargentu, corre un treno il cui passaggio è salutato dalle guarda-barriera. Un lavoro che si eredita in linea femminile da generazioni. Ad ogni incrocio bloccano il traffico al passare del treno, poche centinaia di chilometri di rotaie secondarie che incrociano strade secondarie percorse da macchine, trattori, pecore e apecar. Un lavoro antico, destinato alle donne che vi si dedicano con ripetitività quasi rituale, durante tutto il giorno, tutti i giorni dell’anno. Il film racconta queste donne, le guarda-barriera sui binari delle Ferrovie della Sardegna: la loro vita, il loro lavoro, il rapporto con il tempo e lo spazio della Ferrovia. Sono donne che, come molte altre nel mondo, lottano per i loro diritti e per una migliore qualità della vita. «Sardegna, quella dove non c’è il mare. Ho incontrato per caso le ragazze della Ferrovia, seguendo le tracce di un servizio fotografico. Mi sono ritrovata a Mandas, 50 chilometri a nord di Cagliari, un tempo importante snodo tra i treni delle Ferrovie della Sardegna. Oggi della potenza del treno rimane solo la memoria. La ristrutturazione aziendale ha portato negli anni alla dismissione di quasi tutti i rami della linea ferroviaria, a favore del trasporto su strada. Restano solo pochi monconi di quella che era una rete capillare nata per collegare i paesi dell’interno con la costa e quindi con “il continente”. Il passaggio a livello è un luogo magico, compare all’improvviso, e in quasi tutti esiste ancora la vecchia casa cantoniera, ormai diroccata e inagibile, unico riparo nelle giornate di tempesta. Ho conosciuto le guarda-barriera, e raccontarle significa raccontare una normalità complicata in cui la giornata si compone come un puzzle, cercando ogni giorno di mettere insieme i pezzi giusti». [Francesca Balbo]. Francesca Balbo (Milano, 1975), dopo aver svolto studi umanistici, ha partecipato alla fondazione del Laboratorio di Sociologia visuale dell’Università Milano Bicocca, si è iscritta alla Civica Scuola di Cinema di Milano ed ha seguito un Master in cinema documentario allo IED di Venezia. Ha girato reportage in Cambogia e in Somalia. È una delle cofondatrici del LED, Laboratorio ElettroDomestico. Cadenas, è stato vincitore del Premio Solinas 2009 per il cinema documentario. Filmografia: 2012 - Cadenas 2007 - Senza perdere la tenerezza (c.m.) B LASCIANDO LA BAIA DEL RE Claudia Cipriani Italia 2011, 78’ fotografia Claudia Cipriani, Valentina Barile montaggio Valentina Andreoli, Claudia Cipriani suono Massimo Parretti aia del Re” è il vecchio nome del quartiere milanese Stadera. Negli anni Trenta i suoi abitanti lo scelsero in onore alla spedizione che tentò l’esplorazione del Polo Nord in dirigibile dalla Baia del Re nell’Artico. Il quartiere era infatti situato all’estrema periferia della città: un luogo desolato, nebbioso e freddo come una landa polare. Da allora la città è cresciuta ed il quartiere si trova ormai alle porte del centro, ma rimane ancora sul confine tra degrado e riscatto. In questo ambiente, all’interno di un’associazione chiamata Baia del Re, nasce un dopo scuola per adolescenti che il gergo istituzionale definisce “a rischio devianza”. Nel gruppo di adolescenti spiccano George e Valentina. «Baia del Re è il nome dell’ultimo avamposto nel mare Artico, il nome di un quartiere popolare alla periferia di Milano e il nome di un’associazione che sopravvive tra disillusione e ironia. Tre luoghi diversi e lo stesso luogo insieme: luogo di confine, geografico e spirituale. Ho cercato di cogliere questa ricchezza attraverso la mescolanza di modalità di rappresentazione, formati e temi, anche se, mentre giravo e montavo mi sono accorta che tutti i concetti erano dimenticati e mi guidavano le emozioni, perché in fondo questo film è nato come una dichiarazione di amore e di rabbia» [Claudia Cipriani]. Claudia Cipriani si è laureata in filosofia a Milano, dove ha frequentato i corsi della Scuola Civica di Cinema Tv e Nuovi Media. Ha lavorato come giornalista per diversi anni prima di dedicarsi alla regia, come free lance e per alcuni canali televisivi. È stata consulente per mostre allestite presso la Triennale di Milano. Tra i suoi lavori, i documentari Ottoni a Scoppio (2003, menzione speciale Premio Bizzarri), La guerra delle onde (2009). produzione Ghira Film Film realizzato con il contributo di Filmmaker Festival, Vita Magazine, Innovasjon Norge [email protected] [email protected] www.lasciandolabaiadelre.it Filmografia 2011 - Lasciando la Baia del Re 2009 - Tunja (videoclip) 2009 - La guerra delle onde 2004 - Ottoni a scoppio 2005 - Danae 2002 - Arimo (c.m.) 25 LeDonneRaccontano TERRAMATTA; IL NOVECENTO ITALIANO DI VINCENZO RABITO ANALFABETA SICILIANO Costanza Quatriglio L ’analfabeta siciliano Vincenzo Rabito racconta il Novecento attraverso migliaia di fitte pagine dattiloscritte. Dall’estrema povertà al boom economico, è un secolo di guerre e disgrazie, ma anche di riscatto e lavoro. «Rabito, come un cantastorie, attraversa a piedi un secolo, entrando di diritto nelle pieghe dei grandi eventi collettivi con l’inchiostro sgrammaticato della sua macchina da scrivere. Per questo la visione ufficiale della storiografia per immagini viene contraddetta in ogni passaggio, in ogni inquadratura. Ho reinventato il significato di quei filmati in bianco e nero sporcandoli, a mia volta, d’inchiostro blu, verde, rosso, giallo. Terramatta; è un film in soggettiva, e anche un po’ on the road, perché lui era un camminatore: andava a piedi ovunque e io ho filmato le strade pensando a come le percorreva lui». [Costanza Quatriglio] Italia 2012, 75’ sceneggiatura Chiara Ottaviano, Costanza Quatriglio tratto dal romanzo Terramattta; di Vincenzo Rabito fotografia Sabrina Varani montaggio Letizia Caudullo musica Paolo Buonvino voce narrante Roberto Nobile produttore Chiara Ottaviano produzione Cliomedia Officina coproduzione Istituto Luce Cinecittà produttore associato Elena Filippini, Edoardo Fracchia. Stefano Tealdi in associazione con Stefilm distribuzione Istituto Luce Cinecittà Via Tuscolana 1055 00173 Roma, Italia Tel. +39 06 72286271 [email protected] www.cinecitta.com www.progettoterramatta.it 26 IO, QUI Lo Sguardo delle donne Costanza Quatriglio Italia 2012, 15’ sceneggiatura Costanza Quatriglio fotografia Sabrina Varani montaggio Letizia Caudullo suono Edgar Iacolenna musiche Teho Teardo produttore Indigo Film, Provincia di Roma S chegge in libertà. Ritratti brevissimi di donne: il lavoro, la maternità, il welfare, i pregiudizi, la fiducia in sé stesse e nel proprio futuro. Ogni storia una metafora, dirompente per il solo fatto di esser narrata. A partire dalla bambina che gioca a “Barbie Precaria” fino alla giovane italiana di seconda generazione, passando per la nonna a tempo pieno e la super manager d’azienda. In mezzo altre vite, altre testimonianze. Quindici minuti per riflettere. Fermarsi un attimo e pensare. Ma soprattutto agire. Costanza Quatriglio (Palermo, Italia 1973) esordisce nel lungometraggio con L’isola (2003), presentato al Festival di Cannes (Quinzaine des Réalisateurs). Dirige numerosi documentari, premiati in diversi festival internazionali, tra cui Ècosaimale?, Gran Premio della Giuria al Festival di Torino nel 2000, L’insonnia di Devi, nel 2001, Racconti per l’isola, presentato alla Mostra di Venezia nel 2003, Raìz, miniserie di tre puntate trasmessa da Raitre nel 2004, Il Mondo Addosso, presentato alla Festa del Cinema di Roma nel 2006, Il mio cuore umano, evento speciale al Festival Internazionale di Locarno nel 2009, Breve film d’amore e libertà, presentato al Festival Internazionale del Film di Roma nel 2010 e Io, qui lo sguardo delle donne nel 2012. Filmografia 2012 - Terramatta; (doc) 2012 - Io, qui lo sguardo delle donne (doc, web) 2010 - Breve film d’amore e libertà (cm) 2009 - Il mio cuore umano (doc) 2007 - Migranti in cammino (doc) 2006 - Il mondo addosso (doc) 2005 - Metro ore 13 (doc, cm) 2004 - Comandare una storia zen (doc, cm) 2004 - Raìz (serie di tre doc) 2003 - Racconti per l’isola (doc, cm) 2003 - L’isola 2002 - La borsa di Helene (doc, cm) 2001 - L’insonnia di Devi (doc) 2000 - Il bambino Gioacchino (doc, cm) 2000 - Ècosaimale? (doc) 2000 - Una sera (cm) 1999 - Il giorno che ho ucciso il mio amico soldato (cm) 1998 - Anna! (cm) 1997 - L’albero (cm) D OGGI INSIEME DOMANI ANCHE un progetto della marechiarofilm coordinato da Antonietta De Lillo marechiarofilm Via Emanuele Filiberto, 56 00185 Roma tel./fax +39 0677200242 [email protected] [email protected] [email protected] opo aver realizzato nel 2011, Il pranzo di Natale, il prossimo film partecipato è una indagine sui sentimenti oggi, sulle unioni e sulle separazioni. Attraverso riti collettivi e personali quali matrimoni, cerimonie e anniversari, l’obiettivo è quello di delineare un possibile ritratto del nostro Paese. Si chiede, a chiunque voglia, di tracciare un breve ritratto della vita sentimentale di una coppia, di un singolo, di una comunità, partendo da foto e filmini di famiglia, che riprendono festeggiamenti di unioni di diverso tipo. Si può parlare della propria storia, di quella dei genitori, di amici o sconosciuti, per raccontare non solo come sia cambiato lo stare in coppia oggi e i diversi modi di vivere l’amore, ma anche il momento della sua fine o la ripartenza della vita sentimentale dopo una separazione. Il progetto è finalizzato alla produzione di un film documentario, realizzato attraverso i contributi e i racconti filmati di vari filmmaker, su un tema assegnato, valido per tutti. Un progetto aperto a tutti, professionisti e non, a chiunque, quindi, abbia desiderio di parteciparvi, inviando i propri contributi filmati e\o docu-film della durata massima di 15 minuti. Inoltre si cercherà di ricostruire una memoria storica collettiva attraverso la raccolta di vecchi filmini di famiglia attinenti al tema. I singoli lavori avranno una loro vita autonoma e, contemporaneamente, faranno anche parte del film di montaggio. Gli autori, quindi, rimarranno proprietari dei loro corti e potranno, promossi da marechiarofilm, partecipare a Festival e rassegne ed essere distribuiti da marechiarofilm o autonomamente, oltre a diventare parte integrante del film. Antonietta De Lillo (Napoli, 1960), dopo la laurea in Spettacolo al D.A.M.S. di Bologna, e gli inizi come assistente operatore, fonda la società di produzione Angio film assieme a Giorgio Magliulo, con il quale dirige Una casa in bilico, vincitore del Nastro d’Argento come migliore opera prima, e Matilda (1990). Nel 1992, assieme a Teatri Uniti produce l’opera prima di Mario Martone, Morte di un matematico napoletano. Si dedica al video-ritratto, realizzando Angelo Novi fotografo di scena, La notte americana del Dr. Lucio Fulci, Ogni sedia ha il suo rumore, Promessi Sposi. Nel 1995 dirige I racconti di Vittoria, Premio Fedic alla 52ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, nel 1997 Maruzzella, episodio del film collettivo I vesuviani e nel 2001 Non è giusto, presentato a Locarno. Nel 2004 realizza Il resto di niente, evento speciale alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2004. Il Pranzo di Natale (2011), primo film partecipato prodotto in Italia, viene presentato Festival Internazionale del Film di Roma. Filmografia 2011 - Il Pranzo di Natale 2008 - Art. 20 (c.m. per il film collettivo All Human Rights for All) 2004 - Il resto di niente 2002 - Pianeta Tonino 2001 - Non è giusto 2001 - Il pendolarismo, Il litorale romano, L’area industriale di Cassino 2000 - Le Vele, L’Italsider, I Quartieri Spagnoli 2000 - La terra di lavoro del Casertano, Il parco nazionale del Cilento, L’Irpinia a venti anni dal terremoto 2000 - Il faro 1999 - ‘O Solemio 1999 - ‘O Cinema 1997 - Hispaniola 1997 - Maruzzella [episodio inserito nel film collettivo I vesuviani] 1997 - Saharawi, voci distanti dal mare cor. Jacopo Quadri e Patrizio Esposito 1997 - Diari del 900 1996 - Viento ‘e Terra 1995 - Ogni sedia ha il suo rumore 1995 - I racconti di Vittoria 1994 - La notte americana del Dr. Lucio Fulci regia 1993 - Promessi Sposi 1992 - Angelo Novi Fotografo di scena 1985 - Una casa in bilico cor. Giorgio Magliulo 1985 - Matilda cor. Giorgio Magliulo 27 LeDonneRaccontano S SONTUTTEBELLE Katja Colja, Chiara Cremaschi, Gaia Giani, Chiara Idrusa Scimieri, Emanuela Rossi, Paola Rota, Rossella Schillaci, Antonella Sica, Enrica Viola soggetto Chiara Cremaschi e Lia Furxhi ricerche d’archivio Sara Filippelli responsabile archivio interviste Fausta Bettoni montaggio Cristina Sardo musiche Carlo Cremaschi organizzazione Lia Furxhi con la collaborazione di Mario Galasso sito Carlo Cremaschi produzione con il sostegno di CNC centro nazionale del corto, CGIL, Asifa Italia, Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia, Fondazione Badaracco, Associazione Infanzia e Città ufficio stampa Giuliana Martinat [email protected] www.sontuttebelle.org 28 [PROGETTI COLLETTIVI] ontuttebelle vuole indagare e raccontare le donne italiane e straniere attraverso il rapporto e il confronto con la maternità. Si vuole restituire il punto di vista più ampio possibile, coinvolgendo persone e personaggi diversi, lontani e vicini, fino a costruire un ritratto della condizione femminile in Italia, qui e adesso. Per questo motivo si esploreranno molti mondi: donne diverse per condizione sociale, professione, età, residenza. Ricercando semplicità e verità, il lavoro è organizzato attraverso un team, composto da diverse registe, per avere la possibilità di esplorare ambienti diversi e ottenere la panoramica più ampia possibile, grazie a interessi e sensibilità. Le videointerviste verranno realizzate in diverse città, ma si è anche lanciato un bando di autointerviste. Il progetto è coordinato da: Chiara Cremaschi, laureata in Filmologia, con Il cielo stellato dentro di me ottiene la Menzione Speciale al Premio Solinas 1998. Sempre al Premio Solinas sono segnalati i soggetti originali Senza di voi e Archiviato come ordinario, il soggetto di adattamento Quando avevo cinque anni mi sono ucciso è finalista e Un’altra vita, è vincitore della Menzione Speciale al Premio Solinas - documentario per il cinema 2010. Scrive soggetti per Davide Ferrario, Alina Marazzi e Andrea Zambelli, e dirige numerosi cortometraggi e documentari, tra cui Quella cosa incredibile da farsi e Indesiderabili. È responsabile con Gaia Giani della formazione sull’autonarrazione presso Cesvi onlus 2011/12 e insieme hanno curato la mostra Me You and everyone we know per il Festival della Fotografia Etica 2012. Lia Furxhi, laureata in storia del cinema, ha lavorato con Ferrario, Chiesa, Gaglianone, Tavarelli, Segre, Rondolino. Ha curato varie pubblicazioni, tra cui Le forme del corto (2007) la prima indagine “sul campo” dedicata al cortometraggio italiano, Corti&Autori (Edizioni Falsopiano, 2006) e la raccolta di saggi In Breve (2009). Attualmente lavora all’Aiace Nazionale e dirige il CNC – Centro Nazionale del Cortometraggio. Katja Colja, laureata in Lettere e Filosofia, si iscrive al corso di regia presso l’Accademia delle Scienze e delle Arti a Ljubljana, e collabora con Dušan Makavejev. Oltre a vari cortometraggi realizza anche documentari (Dal pane al ferro, 1997; Resia, 1998; Stazione Topolò, 2000; L’incontro, 2004; Uno di noi, 2006; Altromondo, 2008). Del 2002 è Luci oltre il confine. Lavora anche come assistente alla regia con i fratelli Taviani e scrive diverse sceneggiature tra le quali La Voliera e Il futuro è dietro di voi. Nel 2009 scrive la sceneggiatura del film C’era una volta la città dei matti. Attualmente sta lavorando alla scrittura del suo film A un passo da me (titolo provvisorio). Gaia Giani, dopo la laurea in filosofia si trasferisce a Londra, dove lavora come ricercatrice e filmmaker presso Move a Mountain, società di produzione di documentari. Dal 2001 al 2003 si occupa di produzione e distribuzione di documentari mentre nel 2003 inizia una collaborazione con Alina Marazzi per i film Per Sempre (2005) e Vogliamo anche le rose (2007). Nel 2008 realizza Cesura, progetto fotografico e videoinstallativo, la serie di ritratti Nell’ombra dei palazzi (2009) e Solo - Una danza all’opera (2010) documentario sul coreografo Dominique Dupuy e la danzatrice Françoises Dupuy. Nel 2012 ha curato la mostra Me, you and everybody we know. Chiara Idrusa Scimieri, autrice, sceneggiatrice e regista, responsabile legale di Idrusa s.a.s./progetti per la comunicazione. Tra le produzioni audiovisive: Amelia (2007), Tutte le barche a terra (2009), Danze di palloni e di coltelli (2009). Tra i suoi soggetti e sceneggiature, ricordiamo The Bogey Man-l’Uomo Nero (2011, Menzione Speciale al Premio Solinas DOC 2011), El tango es... El tango (2008), Porno in Val Padana (2006), Fuga di gas (2000). Attualmente lavora con Mario Perrotta su Opera migrante, opera lirica con libretto e regia di Mario Perrotta, Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto. Emanuela Rossi, laureata al Dams di Bologna ha lavorato per diversi anni a Milano come giornalista free-lance nei magazine femminili («Grazia», «Marie Claire», «D-Donna» etc.). Nel 2000 si è trasferita a Roma e ha cominciato a fare la sceneggiatrice tv (Carabinieri, La Squadra). Nel 2007 realizza come sceneggiatrice, regista e produttrice il suo primo cortometraggio, Il bambino di Carla, vincitore di Arcipelago, cinquina Nastri d’Argento e David di Donatello. Nel 2008 realizza il cortometraggio Il citofono. Nel 2009 con Cavalca la tigre! è stata finalista al premio Solinas. Nel 2010 il cortometraggio Lacrime nere, ambientato negli anni Cinquanta, ha ottenuto il sostegno del Ministero dei Beni culturali e la Menzione speciale al Riff Film Festival di Roma. Ora sta lavorando al suo primo lungometraggio. Paola Rota, nel 2000 ha frequentato il Master Holden in tecniche della narrazione e, nel 2001, il corso di perfezionamento per sceneggiatori organizzato da Script e RAI. Per il cinema ha scritto soggetto e sceneggiatura del film maledimiele per la regia di Marco Pozzi presentato al festival di Venezia 2010. Ha scritto documentari tra cui Indesiderabili di Chiara Cremaschi e Mi Pogolotti Querido di Enrica Viola, e cartoni animati. Rossella Schillaci, vedi la biografia nella sezione del concorso Antonella Sica, è regista, manager culturale in ambito audiovisivo e cinematografico, direttore artistico del Genova Film Festival. È autrice di cortometraggi di fiction e documentari istituzionali ed industriali per grandi aziende, filmati pubblicitari, documentari d’arte, educational, promo e videoclip, video per mostre e musei. Nel 1997 fonda insieme ad altri l’Associazione Culturale Cinematografica Daunbailò. È vice presidente della Fondazione Genova-Liguria Film Commission e dell’Associazione di categoria PAL (Professionisti Audiovisivo Liguria). Enrica Viola, ha frequentato la scuola di documentario sociale “I Cammelli” ed è laureata in Scienze della Comunicazione. Ha esordito coni il documentario Se la vita è meglio, butti via la telecamera (1998). Dal 2008 lavora come autrice e produttrice indipendente e con la sua Una film (www.unafilm.it) ha realizzato Mi Pogolotti Querido (2011). È in fase di preparazione del lungometraggio documentario Borsalino City. Sara Filippelli, dottorata presso l’Università degli Studi di Sassari si è occupata del fenomeno home movies e in particolare delle donne cineamatrici di famiglia in Italia. Si interessa ai Gender Studies in ambito cinematografico, filosofico e letterario. Coordina la raccolta di pellicole familiari in Sardegna. Dirige il laboratorio “Offi_cine” di produzione video del Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali dell’Università di Sassari. Fausta Bettoni, laureata in storia medioevale, dal 2010, dopo il corso di alta specializzazione per la conservazione del patrimonio audiovisivo alla AAMOD di Roma, collabora attivamente con la Lab80 di Bergamo al progetto Cinescatti. Carlo Cremaschi, dal 1989 collabora in concerti e registrazioni con varie formazioni (tra le tante: Rebel Rules, R.N.Tickets, Fishkids, RD football club, Peones jazz band, dbb blues orchestra) come sassofonista e compositore. Per il cinema ha collaborato con Chiara Cremaschi alla scrittura dei cortometraggi Parole per dirlo (1997), La verità (1998), Dolce attesa (1999), Incantesimi (2007), per tutti ha curato anche la colonna sonora. È coautore del soggetto e della sceneggiatura di Senza di voi (2001). Nel 2003 ha composto la colonna sonora di Quella cosa incredibile da farsi, e nel 2009 quella di Indesiderabili diretti entrambi da Chiara Cremaschi. Dal 2011 collabora con L’Associazione teatrale Ambaradan per la rassegna “piatto forte”. Cristina Sardo, montatrice, ha insegnato Tecniche di montaggio cinematografico e televisivo presso l’Istituto Professionale Statale per la pubblicità Albe Steiner di Torino. Ha montato, tra gli altri, i documentari: Tralalà (2012) di MASBEDO, 2012, Izz tru’ (2007) di cui è coautrice, Scemi di guerra (2008) di Enrico Verra, Freakbeat (2011), Oma e chimica (2008) e I dischi del sole (2003) di Luca Pastore, videoclip per i Subsonica, Marlene Kuntz, le opere di video arte di Giulio Paolini Sala d’Attesa e Gli uni e gli altri e Kreppa babies, Toc toc wunderbar, Togliendo un pizzico di magia e Ten insects to feed del duo di video artisti MASBEDO. 29 LeDonneRaccontano [MEDITERRANEO] S L’AGE ADULTE Eve Duchemin Francia, Belgio, 2011, 55’ fotografia Eve Duchemin montaggio Joachim Thome musica Dez Mona suono Jean-François Levillain con Sabrina Himeur, Loïc Guiraud produzione ARTE, les Films Grain de Sable/ Ekklektik Sostenuto dalla Communauté Française de Belgique e dalla WIP (Wallonie Image Productions) con l’aiuto della Fédération Wallonie-Bruxelles 30 abrina, 20 anni, vive in colocazione in una casa non ancora terminata, e per sopravvivere svolge piccoli lavori. Mentre tenta di riprendere gli studi, in modo da riuscire ad avere un diploma, inizia, parallelamente, la notte, a lavorare come stripteaser in un locale al Vecchio Porto di Marsiglia. Volere “diventare adulta” non è una cosa né vana né facile, ma nessuno le potrà mai dire che i venti anni, sono la più bella età della vita. «Non si realizza un film da soli, i film si fanno insieme. Per Arte, dovevo girare un film su una giovane, potevo fare quello che volevo. Ho iniziato a seguire Sabrina, una ragazza che faceva mille lavori per sopravvivere e che aveva appena iniziato a fare anche la stripteaser. Non volevo fare la sorella maggiore, e durante le riprese mi sono fermata per un mese, per cercare di capire che cosa in realtà stavo riprendendo. Poi, insieme al mio montatore, ho capito, che questa ragazza cercava solo di diventare adulta, e che per diventare adulta quello che cercava era solo una stabilità. Non volevo raccontare le derive alcoliche, i maschi che le girano attorno. Ho cercato di raccontare la storia di una donna che si batte e che mostra il suo coraggio» [Eve Duchemin] Eve Duchemin (Parigi, 1979) ha svolto i suoi studi superiori a Bruxelles. è stata ammessa due volte all’Insas (Institut National Supérieur des Arts du Spectacle), una prima volta per studiare la regia, una seconda per la fotografia. Gira documentari dal 2005, firmando sia la regia che la fotografia. Con L’age adulte ha vinto il Premio Georges Foundation come migliore mediometraggio, all’ultima edizione di Visions du Réel, a Nyon. Filmografia 2012 - L’Age Adulte 2011 - Sac de nœuds (c.m.) 2009 - Avant que les murs tombent (c.m.) 2009 - Mémoire d’envol 2007 - Tant qu’il y aura des oliviers (c.m.) 2005 - Le zoo, l’usine et la prison 2005 - Ghislain et Liliane, couple avec pigeons (c.m.) sdgiuardi cinema 31 B BOATMAN (t.l. Il Barcaiolo) Gianfranco Rosi Italia Usa 1993, 56’ fotografia Gianfranco Rosi montaggio Jacopo Quadri con Gopal Maji oatman è un viaggio in barca compiuto lungo le rive del Gange insieme al timoniere Gopal. Rosi descrive, con una serie di brevi ritratti, la vita sulle sponde del fiume sacro indiano. Il tema centrale è l’immagine del cerchio infinito di vita e morte, radicato nelle vite degli indiani e manifestato in modo convincente nel modo in cui celebrano l’addio ai defunti. Traghettato dal barcaiolo Gopal Maji, Rosi intraprende un viaggio senza destinazione lungo il Gange e, dall’interno dell’imbarcazione, osserva il paesaggio indiano che sfila davanti ai suoi occhi. Nell’avvicendarsi di bagnanti, pescatori e pellegrini diretti a Benares - antichissimo centro legato al culto del fiume sacro a Shiva e ideale capolinea esistenziale di ogni indù, che qui s’immerge nelle acque fangose per purificarsi - l’unico immutabile punto di riferimento è Gopal, che diventa suo malgrado protagonista, narratore, confidente del regista. Il film, è stato presentato con successo a vari festival internazionali (Sundance Film Festival, Festival di Locarno, Toronto International Film Festival, International Documentary Film Festival Amsterdam) e trasmesso poi dalle principali emittenti mondiali (BBC, PBS, WDR, RAI). Per la biografia vedi la pagina della Giuria Filmografia 2010 - El Sicario Room 164 2008 - Below Sea Level 2001 - Afterwords 1993 - Boatman 32 L LA NAVE DOLCE Daniele Vicari Italia, Albania 2012, 90’ soggetto Daniele Vicari, Antonella Gaeta sceneggiatura Benni Atria, Antonella Gaeta fotografia Gherardo Gomez montaggio Benni Atria musica Temo Teardo con Halim Malaqi, Kledi Kadiu, Eva Karafili, Robert Budina produttore Francesca Cima, Nicola Giuliano, Carlotta Calori, Ilir Butka, Silvio Masellis produzione Indigo, Apulia Film Commission, Rai Cinema, Ska-Ndal film ’approdo della nave Vlora a Bari, l’8 agosto 1991, con ventimila albanesi saliti nel porto di Durazzo. L’imbarcazione era stata assaltata da cittadini albanesi attratti dal miraggio di una vita migliore in Italia, in maggioranza, persone normali, che si ritrovano sulla nave per caso, dopo aver saputo che il porto era stato riaperto. Alcuni sono armati e costringono il capitano a fare rotta verso Brindisi, ma le autorità dirottano la nave a Bari. Segue lo sbarco e la cattura nel porto e nelle strade adiacenti e la prigionia nello Stadio della Vittoria, deciso da Roma, contro il parere del sindaco di Bari, Enrico Dalfino; le rivolte; il rimpatrio (con l’inganno: salirono sugli aerei convinti di essere portati a Roma) di quasi tutti gli esuli, tranne circa 1.500 che riescono a fuggire. «Come Diaz, La nave dolce è un film che mi si è imposto, mi ha costretto a superare lo schema narrativo in tre atti, prendendo a prestito strutture più ampie dalla tragedia e dalla narrativa classica. I due film sono una sfida radicale ai miei limiti di narratore, devo ammetterlo. Infatti sono due mostri che mi hanno fatto soffrire e gioire come non mi era mai accaduto prima». [Daniele Vicari] per la biografia, vedi la pagina della Giuria Filmografia 2012 - La Nave Dolce 2012 - Diaz 2010 - Foschia Pesci Africa Sonno Nausea Fantasia (doc) 2009 - L’Aquila Bella Mé (doc) 2008 - Il Passato è una Terra Straniera (doc) 2008 - Il Mio Paese 2.0 (doc) 2006 - Il Mio Paese (doc) 2005 - L’Orizzonte degli Eventi 2002 - Velocità Massima 2000 - Non Mi Basta Mai (doc) 2000 - Morto che Parla (doc) 1999 - Non mi basta mai 1998 - Uomini e lupi (doc) 1997 - Partigiani 33 U RADICI Carlo Luglio Italia 2011, 60’ sceneggiatura Carlo Luglio musiche Enzo Gragnaniello montaggio Davide Franco fotografia Francesca Amitrano suono Carlo Licenziato con: Enzo Gragnaniello, Tony Cercola, Maria Luisa Santella, Enzo Moscato, Riccardo Veno, James Senese, Ida Di Benedetto, Franco Del Prete, Francesco “Ciccio” Merolla, Giovanni Persico, Piero Gallo, Francesco Iadicicco, Attilio Pastore, Erasmo Petringa produttore Gaetano Di Vaio produzione Figlidelbronx distribuzione e vendite internazionali Minerva Pictures via del Circo Massimo 9, 00153 Roma, Italia Tel. +39 068543841 - Fax +39 06 8543841 [email protected] - www. minervapictures.com 34 n viaggio musicale con Enzo Gragnaniello nella memoria di Napoli, dei suoi luoghi magici, mitologici e storici e dei suoi monumenti e i suoi quartieri più vivi, punteggiato dalle performance realistiche e oniriche di Gragnaniello con i Sud Express che si intrecciano in siparietti con artisti partenopei e con l’apporto di immagini cinematografiche di repertorio di una Napoli del dopo guerra e degli anni Settanta. Una sorta di musicarello su presente e passato con un taglio leggero che infonde emozioni musicali e visive con il proposito di regalare allo spettatore scorci sulla bellezza e sulle vitalità nostrane ormai offuscate da continue rappresentazioni mediatiche sul degrado umano e territoriale. «Il progetto nasce dall’esigenza di valorizzare un’altra Napoli mitologica e magica ma altrettanto viva nei millenni attraverso la guida musicale di un interprete sanguigno come Gragnaniello che ha saputo interpretare le svariate anime delle nostre radici: quella lunare, quella solare e quella popolare». [Carlo Luglio] . Carlo Luglio, nel 2003, realizza il primo lungometraggio, Capo Nord, che partecipa a una ventina di festival vincendo diversi premi. L’anno seguente, insieme a Romano Montesarchio, gira Cardilli Addolorati, documentario tragicomico sui bracconieri. Dal 2007 è co-fondatore della società di produzione Figli del Bronx, con cui dirige Sotto la stessa luna, sulla faida camorristica che sconvolse la città nel 2004-2005. Dal 2009 gira ogni estate un cortometraggio-laboratorio dal titolo Piano-Forte nella Comunità alloggio “La Nostra Zona” di Torre Pellice (Pinerolo, Piemonte), che diventerà un lungometraggio a tre episodi. Filmografia 2011 - Radici 2006 - Sotto la stessa luna 2003 - Cardilli Addolorati 2002 - Capo Nord Workshop Ilaria Fraioli Il montaggio di genere Il SalinaDocFest – Esercizi di resistenza, è lieto di presentare un workshop tenuto da Ilaria Fraioli, nel corso del quale la montatrice ha pensato di confrontare il lavoro di montaggio da lei svolto con una regista donna e quello svolto con un regista uomo scegliendo due film tematicamente “simili”, o meglio che si riferiscono alla fondamentale relazione dell’autore con il genitore, del proprio genere di appartenenza. I due film in questione saranno Un’ora sola ti vorrei, realizzato nel 2002 da Alina Marazzi e La casa del padre, diretto, nel 2009 da Sebastiano D’Ayala Valva, film dei quali verranno proiettati, nel corso dell’incontro, passaggi significativi. Un tentativo di approfondire svariate questioni, tra le quali la maniera di mettersi in gioco dell’autore nei confronti del tema trattato nel film e le eventuali inevitabili differenze; il metodo scelto per il montaggio, cioè per visionare, selezionare e comporre il materiale; la relazione con la montatrice intesa anche come prima e privilegiata spettatrice non solo del girato, ma anche del risvolto psicologico A UN’ORA SOLA TI VORREI lina Marazzi ha montato i filmini amatoriali in super 8, girati nell’arco di trent’anni dal nonno, il libraio e editore milanese Ulrico Hoepli, insieme ai diari e ai dischi preferiti della madre, morta suicida quando lei aveva sette anni, cercando di ricostruirne la personalità. I Alina Marazzi Italia 2002, 55’ con: Liseli Marazzi Hoepli soggetto e sceneggiatura: Alina Marazzi montaggio: Alina Marazzi, Ilaria Fraioli suono: Remo Ugolinelli, Benni Atria, Alessandro Feletti produttore: Gianfilippo Pedote, Alina Marazzi, Giuseppe Piccioni, Francesco Virga LA CASA DEL PADRE Sebastiano D’Ayala Valva Italia 2009, 70’ con Franco D’Ayala Valva soggetto e sceneggiatura: Sebastiano D’Ayala Valva, Michael Smadja, Stefania Bonatelli musiche: Riccardo Amorese, Inti D’Ayala Valva montaggio: Ilaria Fraioli fotografia: Sebastiano D’Ayala Valva suono: Sebastiano D’Ayala Valva, Inti D’Ayala Valva produttore: Sebastiano D’Ayala Valva, Michele Milossi, Federico Saraceni n una fredda mattina del gennaio del 2007 a Roma mio padre scivola e si rompe il femore. Vivendo da solo nel suo studio, questo architetto di ottant’anni dovrà aspettare più di tre ore prima che uno dei suoi sei figli lo trovi per terra. Più tardi, in ospedale, ancora in attesa di un letto, mio padre sta sorridendo e chiacchierando allegramente. Divertito dall’attenzione delle infermiere e dalla presenza di una telecamera, lui è già al telefono con i suoi assistenti, dando direttive. 35 lcearceri raccontano LeCarceriRaccontano T CESARE DEVE MORIRE Paolo e Vittorio Taviani Italia 2011, 76’ soggetto e sceneggiatura Paolo Taviani, Vittorio Taviani collaborazione alla sceneggiatura Fabio Cavalli fotografia Simone Zampagni montaggio Roberto Perpignani musica Giuliano Taviani, Carmelo Travia Regia scene teatrali Fabio Cavalli interpreti Cosimo Rega, Salvatore Striano, Giovanni Arcuri, Antonio Frasca, Juan Dario Bonetti, Vittorio Parrella, Rosario Majorana, Vincenzo Gallo, Francesco De Masi, Gennaro Solito, Francesco Carusone, Fabio Rizzuto, Maurilio Giaffreda produttore Grazia Volpi produzione Kaos Cinematografica Roma, Italia +39 06 5884003 [email protected] 38 distribuzione Sacher distribuzione Via della Piramide Cestia, 1 00153 Roma Telefono: 06 5745353 Fax 06 5740483 [email protected] www.sacherdistribuzione.it eatro del carcere di Rebibbia. La rappresentazione di Giulio Cesare di Shakespeare ha fine fra gli applausi. Le luci si abbassano sugli attori tornati carcerati. Vengono scortati e chiusi nelle loro celle. SEI MESI PRIMA: Il direttore del carcere e il regista teatrale interno spiegano ai detenuti il nuovo progetto: Giulio Cesare. Prima tappa: i provini. Seconda tappa: l’incontro con il testo. Il linguaggio universale di Shakespeare aiuta i detenuti-attori a immedesimarsi nei personaggi. Il percorso è lungo: ansie, speranze, gioco. Sono i sentimenti che li accompagnano nelle loro notti in cella, dopo un giorno di prove. Ma chi è Giovanni che interpreta Cesare? Chi è Salvatore - Bruto? Per quale colpa sono stati condannati? Il film non lo nasconde. Lo stupore e l’orgoglio per l’opera non sempre li liberano dall’esasperazione carceraria. Arrivano a scontrarsi l’uno con l’altro, mettendo in pericolo lo spettacolo. Giunge il desiderato e temuto giorno della prima. Il pubblico è numeroso e eterogeneo: detenuti, studenti, attori, registi. Giulio Cesare torna a vivere, ma questa volta sul palcoscenico di un carcere. è un successo. I detenuti tornano nelle celle. Anche “Cassio”, uno dei protagonisti, uno dei più bravi. Sono molti anni che è entrato in carcere, ma stanotte la cella gli appare diversa, ostile. Resta immobile. Poi si volta, cerca l’occhio della macchina da presa. Ci dice: «Da quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione». «Fu un’amica a noi cara che ci disse di essere stata poche sere prima a teatro, e di avere pianto; non le succedeva da anni. Andammo a quel teatro, e quel teatro era un carcere. Il carcere di Rebibbia, sezione di Alta Sicurezza. Attraverso cancelli e inferriate arrivammo davanti a un palcoscenico, dove una ventina di detenuti, di cui alcuni ergastolani, dicevano Dante, la Divina Commedia. Avevano scelto alcuni canti dell’Inferno e ora nell’inferno del loro carcere rivivevano il dolore e il tormento di Paolo e Francesca, del conte Ugolino, di Ulisse… Li raccontavano ciascuno nel proprio dialetto, confrontando a tratti la storia poetica che evocavano con la storia della propria vita. Ci ricordammo le parole, e il pianto, della nostra amica. Sentimmo il bisogno di scoprire con un film come può nascere da quelle celle, da quegli esclusi, lontani quasi sempre dalla cultura, la bellezza delle loro rappresentazioni. Proponemmo al loro regista interno, Fabio Cavalli, il “Giulio Cesare” di Shakespeare. Lo abbiamo realizzato con la collaborazione dei detenuti, girando nelle loro celle, nei cunicoli per l’ora d’aria, nei bracci della sezione e infine sul loro palcoscenico. Abbiamo cercato di mettere a confronto l’oscurità della loro esistenza di condannati con la forza poetica delle emozioni che Shakespeare suscita, l’amicizia e il tradimento, l’assassinio e il tormento delle scelte difficili, il prezzo del potere e della verità. Entrare nel profondo di un’opera come questa significa guardare dentro se stessi: soprattutto quando si lasciano le tavole di un palcoscenico per tornare a chiudersi dentro le pareti di una cella». [Paolo e Vittorio Taviani] Paolo Taviani, nato a San Miniato (Pisa) l’8 novembre 1931. Vittorio Taviani, nato a San Miniato il 20 settembre 1929. Filmografia 2012 - Cesare deve morire 2006 - La Masseria delle Allodole 2004 - Luisa Sanfelice 2001 - Resurrezione 1998 - Tu ridi 1996 - Le affinità elettive 1993 - Fiorile 1990 - Il sole anche di notte 1987 - Good morning Babilonia 1984 - Kaos 1982 - La notte di San Lorenzo 1979 - Il Prato 1977 - Padre Padrone 1974 - Allonsanfan 1973 - San Michele aveva un gallo 1969 - Sotto il segno dello Scorpione 1967 - Sovversivi 1963 - I fuorilegge del matrimonio con Valentino Orsini 1962 - Un uomo da bruciare con Valentino Orsini Cesare deve morire di Romano Luperini N on potendo partecipare di persona, come avrei voluto, alla proiezione del film dei fratelli Taviani e al dibattito che la accompagnerà, vorrei inviare due parole agli intervenuti e soprattutto, fra loro, agli insegnanti. Ci avevano spiegato, in questi ultimi tre decenni, che il tragico era scomparso dalla scena e che ormai bisognava vivere con ilare nichilismo, come se la vita fosse un divertimento da assaporare con scettico disincanto. Si è parlato addirittura di una generazione di scrittori e di registi che sarebbero vissuti in una società dove non esiste più il trauma perché ogni notizia ci giungerebbe annebbiata, attutita e filtrata dalla mediazione derealizzante degli schermi televisivi o elettronici. Il grande film dei Taviani e gli avvenimenti del maggio scorso a Brindisi ci dicono che il tragico esiste ancora, non è solo quello che si legge nei grandi testi del passato (Shakespeare!) ma quello presente, in cui vivono tanto gli abitanti di una nazione dove spadroneggiano le mafie quanto i carcerati di Rebibbia protagonisti del film, aguzzini sì ma in qualche misura anche vittime del sistema che ha condizionato la loro esistenza. Il tragico esiste, e ci pone di fronte al problema del male e delle scelte morali e civili che si impongono per fronteggiarlo. Per questo vedo un collegamento profondo fra il film tragico dei Taviani e la tragedia di Brindisi, dove sono stati colpiti i nostri ragazzi e la scuola pubblica. La scuola, questa nostra scuola pubblica così povera, così trascurata, così offesa nel corpo vivo dei suoi insegnanti troppo spesso umiliati e frustrati dalle scelte governative, la scuola è il luogo dove si forma la coscienza del cittadino. Colpire la scuola è colpire alla radice la possibilità stessa per una comunità di continuare a fondarsi su uno spirito di cittadinanza, di solidarietà, di rispetto reciproco. La scuola pubblica è soprattutto scuola di democrazia. Qualunque sia stata l’intenzione soggettiva degli attentatori, l’effetto oggettivo del loro gesto è chiaro: è un atto destabilizzante ed eversivo, che può provocare solo un riflusso d’ordine, di chiusura, di eversione democratica in un momento particolarmente delicato e difficile della storia nazionale. Per questo non mi piace parlare di terrorismo, una parola troppo generica che può coprire scopi molto diversi e che determina solo indeterminati scatti di rabbia e di impotenza. Chiunque abbia fatto l’attentato, le sue conseguenze saranno gestite e utilizzate dalle forze più oscure che da quasi mezzo secolo controllano la nostra vita a nostra insaputa, dalle stragi denunciate da Pasolini a quelle mafiose di vent’anni fa. È questa strategia occulta che bisogna subito combattere. Nella vita di ogni nazione e di ogni singolo uomo esiste un momento tragico, quello della scelta. Bruto, il pur sensibile e nobile Bruto, può scegliere di uccidere Cesare e poi di scontare con la propria stessa morte questa scelta. Il film dei Taviani ci ricorda che questo momento esiste per tutti, che l’esistenza non è un gioco, che è finita l’epoca delle facili ironie, dei giochetti citazionismi, della letteratura sulla letteratura o del cinema sul cinema, e che la vita, la grande tragica vita, ci pone di fronte ai suoi aut aut inesorabili. 39 LeCarceriRaccontano Cesare deve morire per la scuola di Giovanna Taviani Q uesto testo nasce da un intervento della sottoscritta in occasione della presentazione del film Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani al cinema Fiamma di Palermo, avvenuta il 21 maggio 2012, nell’ambito di un evento organizzato dagli editori Palumbo per la scuola. La mia, questa sera, è una breve introduzione al film che vorrei fare sotto una triplice veste: come spettatrice, come studiosa dei rapporti tra cinema e letteratura, come regista. Come spettatrice vorrei dire prima di tutto qualcosa sul valore politico-culturale del film. Perché Cesare deve morire è stato percepito dalla gente come una nuova pagina della cultura e della politica italiane. Lo abbiamo avvertito subito quando il film ha vinto a Berlino e poi ai David di Donatello, dai messaggi che ci arrivavano, dalle lettere, i saluti per strada della gente comune. La parola che ricorreva con più frequenza era “felicità”. Una felicità che andava oltre il successo del film e l’orgoglio per la vittoria di un film nazionale nella Germania della Merkel. Era l’orgoglio rinato di chi sentiva finalmente che un’altra Italia è possibile. La stessa sensazione che abbiamo provato al Nuovo Sacher durante l’anteprima del film, alla presenza dei detenuti del carcere in permesso e del Presidente della Repubblica Napolitano. Era come se dopo anni di sonno della ragione e di sfrenato individualismo, una comunità si ritrovasse riunita, convocata d’urgenza, a riflettere sul “senso”, sulla necessità di leggere Shakespeare oggi, sul tragico come strumento per interrogare il presente. La prima cosa che mi ha colpito quella sera, e poi al cinema quando sono andata a vedere il film in sala, è stata la commozione del pubblico. Un film difficile, si diceva, un film per pochi, che non troverà distribuzione perché “figurati chi lo andrà a vedere”. E invece il film va in sala, grazie al coraggio e all’intelligenza di Nanni Moretti che lo distribuisce per la Sacher Film e conquista la gente. Non sono io a dirlo - in quanto figlia potrei essere di parte -; sono gli amici che lo hanno visto, le migliaia di persone che ci hanno scritto. Come Virgilio Tosi, documentarista e sceneggiatore, che scrive una lettera a mio padre e mio zio dopo aver visto il film al Quattro Fontane di Roma. «Il film è stato seguito dal pubblico con attenzione - scrive -, silenzio, tensione. Non un colpo di tosse. Tutti si sentivano coinvolti emotivamente, socialmente. Una concentrazione che si sentiva nell’aria. Io compreso, s’intende. Solo in una scena, quando Cesare legge il De bello gallico e commenta: - e pensare che al liceo mi sembrava così noioso -, una studentessa, credo, seduta vicino a me e mia moglie, ha soffocato una risatina, come per dire “anche io”. Mi ha guardato come per scusarsi. Aveva capito che il vostro film non si stava proiettando davanti a dei semplici spettatori ma che tutti stavano seguendo un rito laico al quale partecipavano e che li coinvolgeva ben più che come semplici spettatori». Quando i Taviani salgono sul palco a ricevere il David di Donatello per il Miglior Film e la Migliore Regia, dal pubblico parte una vera e propria standing ovation di fronte a quelle poche parole pronunciate con una certa commozione dai registi: «Il cinema è un’arte e come l’arte di Michelangelo e di Leonardo va difesa e salvaguardata». Bisogna avere il coraggio di ripartire da qui: da una politica governativa che deve smettere di tagliare fondi allo spettacolo; dai produttori e dagli esercenti che devono credere in un pubblico altro; dalla scuola che deve formare i nostri giovani da ora, per ricostituire quel senso comune che le nuove generazioni hanno perduto. Perché occorre scommettere su un destinatario futuro, forse oggi inesistente, ma non per questo, domani, meno possibile. E la scommessa deve partire soprattutto dai docenti, ultimi depositari di una selezione della memoria da tramandare, i veri intellettuali di oggi - lo scrive Romano Luperini in un libro di qualche tempo fa (Il professore come intellettuale) -, che devono portare il grande cinema a scuola e abituare gli studenti a rileggere i classici. Come è accaduto al cinema Farnese di Roma, quando, invitata dai docenti delle scuole medie superiori, ho presentato il film ai ragazzi insieme a Salvatore Striano, l’attore che interpreta il ruolo di Bruto, in una matinée che difficilmente riuscirò a dimenticare. E qui arrivo al secondo punto che affronto come studiosa dei rapporti tra cinema e letteratura: la ricaduta didattica di Cesare deve morire, ispirato come tutti sanno al Giulio Cesare di Shakespeare. Cesare deve morire è una tragedia. Non la tragedia del Bruto e del Cassio shakesperiani, o meglio non “solo” la tragedia del Bruto e del Cassio di Shakespeare; ma la tragedia tutta contemporanea dei Cesari e dei Bruti contemporanei, che vivono, oggi come ieri, nella nostra società: i detenuti del carcere di Rebibbia, quelli che con una espressione terribile e icastica il film definisce “i guardatori di soffitti”. È l’inferno di Shakespeare piombato nel carcere di Rebibbia, dove i grandi temi shakesperiani come tirannia, potere, tradimento, libertà si caricano di un significato nuovo, rivivono nelle facce di nuovi dannati della terra, nel dialetto che distorce la lingua shakesperiana e la piega sotto il peso di nuove ferite. Il mondo di Shakespeare rivive e si rispecchia nel nostro mondo. A poco a poco dimentichiamo che stiamo leggendo Shakespeare e dietro Bruto, Cassio, Antonio e Cesare, incontriamo delle vite umane vere, con i loro tradimenti, le loro colpe, il loro grido di libertà. Bruto che uccide Cesare rivive nel napoletano di Salvatore Striano, obbligato in quanto “uomo d’onore” al rigore della scelta; Antonio che giura vendetta sul corpo di Cesare rivive nel corpo nel pizzaiolo di Scampia, che si arruolò nella camorra per vendicare l’assassinio del padre; il popolo che grida libertà contro la tirannia del potere rivive nelle urla dei detenuti dietro le sbarre di Rebibbia, contro una società che emargina i più deboli e non riesce a spezzare il legame che da sempre fa ricadere le colpe dei padri sui figli. In questo senso il film è un film attuale, nell’accezione benjaminiana, se per attualità intendiamo risvegliare i contenuti di verità sedimentate nelle opere del passato; utilizzare la tragedia di Shakespeare per parlare del nostro tempo. Il che comporta due conseguenze fondamentali: la prima riguarda la fine del postmoderno e degli anni del cosiddetto “sublime isterico”, per citare Frederich Jameson. 40 La tragedia non appartiene al pensiero debole e all’ideologia postmodernista del pensiero unico, che prevede la fine della storia e delle sue contraddizioni. La seconda riguarda l’utopia e la rinascita di un pensiero utopico che inevitabilmente ogni tempo tragico porta con sé. Cesare deve morire è anche un film sull’utopia, perché da quel soffitto di quella cella, attraverso la rilettura di una tragedia che tante volte - come si dice in un momento del film - è stata messa in scena e altrettante volte dovrà risuonare in tutti i palcoscenici del mondo -, si può aprire un varco da cui intravedere un cielo diverso. L’arte apre i soffitti e ti reimmette nel mondo. È quello “strappo nel cielo di carta” di pirandelliana memoria che ci fa intravedere un orizzonte diverso; quel “cielo a cupola” di cui parlava Debenedetti, che sta a noi ricomporre in un orizzonte comune e volgere sopra le nostre teste, per ricominciare a sognare un altro destino. Un film sull’utopia dell’arte, dunque, o sull’arte come ultima utopia. In questo senso Cesare deve morire sembra il compimento ideale del ciclo dell’utopia dei Taviani, che parte da Sotto il Segno dello Scorpione, passa attraverso San Michele aveva un gallo e Allonsanfàn, e culmina in Padre Padrone. “Utopisti ed esagerati”, definiva Lino Micciché i personaggi dei film tavianei, che ritroviamo qui, nel carcere di Rebibbia, sotto le spoglie di Bruto, Cassio, Antonio e Cesare. Ritroviamo l’ovile di Gavino e di quei pastori sardi, figli delle colpe dei padri padroni: sono cresciuti, si sono incattiviti, ma non hanno smesso di sognare altri mari e altri orizzonti (penso al musico che suona l’armonica nella sua cella, interpretato da un detenuto siciliana condannato a fine pena mai). E ritroviamo il sogno impossibile della rivoluzione in Bruto, incarnazione di tutti gli eroi tavianei che hanno lottato per la libertà e sono venuti a ferri corti con la vita. «Non perché non amassi Cesare, ma perché molto amavo Roma!», grida nella sua orazione; oppure «Non siamo assassini; lavoriamo per la giustizia»; e ancora: «Il nostro non è un delitto: è un sacrificio». Ritroviamo i rivoluzionari di Allonsanfàn, quando, prima della spedizione, si promettono che non dimenticheranno mai quel momento e che, anche se tutto andrà male, non smetteranno mai di ricordare. E ritroviamo la danza dei compagni risorti, rievocati dal giovane Allonsanfàn, nei colpi di tamburo della battaglia dei Filippi che chiude la rappresentazione del Giulio Cesare dentro il carcere di Rebibbia. Ma gli anni sono passati e la società è divenuta una cella, un carcere senza cielo. Allonsanfàn tornava lì, su un campo di battaglia immaginario ma non per questo meno possibile; i detenuti tornano nelle loro celle. Il fuori non c’è più e l’unica rivoluzione possibile è quella interiore della coscienza. Anche i peggiori, gli uomini più deviati, possono redimersi prendendo coscienza di sé; e la coscienza di sé, molto gramscianamente, passa attraverso la conoscenza dell’arte. Penso a Sasà, l’attore che interpreta Bruto, un uomo che si è salvato attraverso Dante e Shakespeare e che oggi lavora come attore di cinema e di teatro; o alla battuta finale del film, pronunciata da Cassio: «ora che ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione». E penso a quello che hanno gridato i detenuti alla fine delle riprese, dall’interno delle loro celle, mentre la troupe usciva per sempre dalla porta del carcere: - PaoloVittorio, ascoltate: da domani niente sarà più come prima! -; e ancora al detenuto che interpreta Metello e che, prima dello spettacolo, scrive alla moglie: «ti prego, vieni a vedermi recitare, perché solo quando recito mi sembra di potermi perdonare». Abbiamo visto uomini redimersi attraverso l’arte, hanno detto i registi agli studenti in un incontro dedicato alle scuole. Nessun uomo è perduto per sempre, non dimenticatelo mai. Anche questo, in fondo, un modo per far rivivere l’utopia. Come regista, e qui concludo, mi piace definire il film con le parole di un amico, Gaetano di Vaio, ex detenuto, ora regista e produttore, “un atto di resistenza cinematografica”, che parte da Dreyer - i primi piani di Giovanna D’arco rivivono nei primi piani di Bruto e Cassio -, passa attraverso l’Orson Welles di Macbeth e Otello - nel bianco e nero feroce degli interni, nelle ombre sui muri illuminati a tratti da sinistri fasci di luce - e arriva a Pasolini - nel recupero di un tragico delle periferie, che rivive nei dialetti e nei volti scavati del popolo. Ma è anche un film di sperimentazione perché mescola il cinema di finzione al cinema documentario, prendendo come attori i detenuti reali, condannati spesso a “fine pena mai”; ambientando i lunghi e travagliati sonni di Bruto nel silenzio di una cella reale; la decisione finale dei congiurati nei bui corridoi del penitenziario; la congiura finale nel cortile durante l’ora d’aria. È quel “pungolo del documentario” che in questi ultimi dieci anni ha agito anche sul cinema a soggetto, obbligandolo a fare i conti con la realtà, perché, come diceva Grierson, il caposcuola del documentario britannico degli anni Trenta, il cinema può costituire quel necessario cordone ombelicale che mette l’uomo in rapporto con la società. Lo ribadiva Daniele Vicari, il regista di Diaz, un altro film a soggetto legato al reale e ai terribili fatti di Genova durante il G8, in una presentazione romana di un libro di Gianfranco Pannone sul documentario, quando parlava di Cesare deve morire come di un film importante nella storia del cinema, sia per i registi di finzione che per quelli di film-documentari, proprio perché apre nuove strade, rompe le barriere e ibrida i generi, mescolando teatro, fiction, non fiction e letteratura. Un film che apre nuove strade, dunque, proprio come avviene nei periodi bui della storia di ogni paese, dove, come una lava sotterranea, riemerge con forza un cinema delle idee e di linguaggio. «E se a ottant’anni i fratelli Taviani fossero il nuovo cinema italiano?» - si chiedeva in un articolo sull’Espresso di qualche tempo fa un giovane critico italiano. La domanda mi ha fatto - e continua a farmi - riflettere. E qui parlo anche da figlia che inevitabilmente deve fare i conti con i padri. Quella figlia che proprio a Palermo tanti anni fa presentò il suo documentario d’esordio I nostri 30 anni. Generazioni a confronto, insieme ai suoi due maestri, Romano Luperini e, appunto, Vittorio Taviani. Ricordo che per la prima volta mio padre mi definì prima ancora che figlia, “collega”, come in un passaggio di consegne, una promessa da mantenere nel futuro. Oggi a Palermo si invertono i ruoli: sono io a presentare un film dei “vecchi” che segna una svolta nel cinema dei “giovani”. I padri solcano le strade del futuro? Potrei dire che è una malattia della società italiana, che con la classe dirigente più vecchia d’Europa, soffre di gerontocrazia. Potrei dire che vent’anni di psicoanalisi non sono serviti a nulla, e che proprio nel momento in cui mi sentivo liberata dall’Edipo, ecco che i padri ripiombano sulla mia testa con un film sperimentale, che travolge tutti in maniera inaspettata. Potrei dire tutto questo. E invece voglio dire, ancora una volta, grazie ai fratelli Taviani per quello che ci avete dato e che, spero, continuerete a darci. 41 LeCarceriRaccontano Centro Cinema Paolo e Vittorio Taviani UMBERTO MONTIROLI Foto dal carcere: il set di Cesare deve morire a cura di Andrea Mancini in collaborazione con Comune di San Miniato La conchiglia di Santiago con il contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato C on Cesare deve morire i Taviani realizzano un film che assomiglia ad una sacra rappresentazione, consumata prima su un palcoscenico, rosso di teatro e forse di sangue, poi nel bianco e nero del carcere, mai così espressivo o forse espressionistico. Spesso i due registi si sono confrontati con la violenza dell’uomo sull’uomo, vista anche nello spazio claustrofobico del carcere, si pensi per fare un solo esempio ad un film come San Michele aveva un gallo, dove il protagonista, interpretato da Giulio Brogi, consuma gran parte della pellicola nell’isolamento della sua cella. Ma Cesare deve morire è anche altro, usa il linguaggio cinematografico con leggerezza magistrale, lavorando sulla ripresa di una rappresentazione teatrale, in realtà totalmente falsa, un teatro nel cinema, che ci ricorda scorci di altri loro film, come la tarantella in Allonsanfan o il funerale in Padre Padrone, sequenze dove l’apparente legame con la realtà, anche con un’eredità neorealista mai smentita, si ribalta splendidamente, spiazzando e entusiasmando lo spettatore più attento. Sono molti i possibili confronti, ma ci accontenteremo di citare lo stupendo Reparto 6 di Karen Shakhnazarov (2009), un film tratto dal racconto omonimo di Anton Cechov, completamente girato dentro un vero ospedale psichiatrico, con pazienti che “interpretano” la loro condizione di segregati della società, mischiati ad attori veri, non sempre riconoscibili. Un po’ quello che succede nel film dei Taviani, dove anche chi in carcere non c’è più, alla fine rientra in cella, commuovendo chi si è lasciato condurre per mano nel mistero dello spettacolo. Il film partecipa al dramma dei carcerati, racconta la loro segregazione, ma sa anche staccarsene e guardare a quel mondo con la giusta freddezza. Il testo di Shakespeare Andrea Mancini si è occupato di cinema, riesce a risplendere di nuovo, forse potremmo scrivere: riesce finalmente a risplendere, di teatro, di editoria dello spettacolo, negli aspri dialetti di chi lo evoca, quell’uomo d’onore continuamente ripetuto nel testo, dirigendo per oltre quindici anni Titivillus, assume qui il suo giusto valore: siamo davanti ad una sorta di omicidio mafioso, giocato specializzata in pubblicazioni su questi appunto tra uomini d’onore, per i quali la vita e la argomenti. Ha insegnato Iconografia morte hanno scarso peso, tutto si consuma in una del teatro all’Università di Siena e curato specie di danza, che si snoda secondo una precisa mostre, ancora sul cinema e sul teatro, ritualità. (Andrea Mancini) in tutto il mondo, dal Lincoln Center di New York al cinema Babylon di Berlino. Umberto Montiroli è il fotografo di scena, l’autore Tra i suoi numerosi libri si segnala Pier delle oltre quaranta fotografie esposte. Nato a Roma Paolo Pasolini, Poet of Ashes, City Lights, nel 1942 Montiroli ha iniziato ad interessarsi di San Francisco 2007, insieme a Roberto fotografia nel 1959. Dopo aver lavorato sedici anni in Chiesi; e Tramonto (e risurrezione) del un laboratorio fotografico, dal 1976 è passato in prima grande attore. A ottant’anni dal libro di persona a lavorare per il cinema. Da Padre Padrone Silvio d’Amico, Titivillus 2008, pubblicato fino a Cesare deve morire ha praticamente fotografato in occasione dell’esposizione da lui curata tutti i film dei fratelli Taviani, compresi i televisivi Resurrezione e Luisa Sanfelice. In un libro presso la Casa dei Teatri, nei giardini di intervista uscito nel 2004 e ripubblicato più di recente in volume (A. Mancini, Sguardi corpi Villa Doria Pamphili a Roma. paesaggi. Il cinema di Paolo e Vittorio Taviani, Titivillus 2008), Montiroli rivendica con forza la propria autonomia di fotografo, “la fotografia tratta da un fotogramma rimane sempre una foto fredda, la qualità non c’è, rimane cinema, e cinema non è fotografia”. La polemica è contro il costume, ormai in uso, di trarre le fotografie direttamente dal materiale filmato, escludendo in qualche modo quello spazio fondamentale occupato dal fotografo di scena, spesso essenziale per restituire in poche immagini l’idea del film: “Noi abbiamo un amico segreto sul set – hanno scritto i Taviani -, un amico che sta nell’ombra, ma sappiamo che i suoi occhi sono puntati sulla scena che stiamo dirigendo: è lui che deve coglierne in sintesi il senso. Questo collaboratore silenzioso e nascosto negli angoli è il fotografo di scena”. 42 Gaetano Di Vaio presenta il nuovo progetto con un trailer di 6 minuti. LARGO BARACCHE [promo] Gaetano Di Vaio soggetto e sceneggiatura Gaetano Di Vaio fotografia Salvatore Landi suono Daniele Maraniello con Gennaro Masiello, Giovanni Savio, Luca Monaco, Mariano Di Giovanni, Carmine Monaco, Antonio De Vincenzo produzione Figli del Bronx Produzioni Salita Pontecorvo 87 80135 Napoli tel. +39 081 0203639 www.figlidelbronx.it [email protected] [email protected] [email protected] I n qualunque studio di antropologia urbana, riferito a qualunque sistema sociale, si ritrovano costantemente sacche di cultura che si sottraggono a quella che viene definita “socializzazione”, ovvero la condivisione e lo sviluppo dei valori e della cultura dominante, e vengono, pertanto, a trovarsi in quella zona “marginale” che diviene periferia della cultura e della società. I Quartieri Spagnoli di Napoli con le loro peculiarità, la loro stratificazione sociale, urbanistica ed abitativa, rappresentano un’area dove convivono costantemente esperienze articolate e “diverse”. Questa zona si compone di un vasto reticolo di stretti vicoli, piccole piazze, chiese barocche, giardini pensili e palazzi nobiliari divenendo cornice e contrappunto alle storie di emarginazione e difficoltà dei protagonisti, che, ora come nei secoli scorsi, rappresentano quella cultura popolare così distante da quella ufficiale. L’attenzione del regista è sui minori. Sulla gioventù cosiddetta “a rischio”. Vite segnate da un’infanzia difficile, fatta di genitori detenuti o morti in faide camorristiche, vite aggredite dalla violenza domestica o da quella immediatamente fuori la porta di casa. Sono le vite di, Carmine, Giuseppe, Mariano e altri adolescenti, cresciuti troppo in fretta ma con ancora una gran voglia di giocare e di sorridere alla vita. «I Quartieri Spagnoli sono nel centro della città, ma da questo lontani come Scampia, la Zona Nord, la Sanità e tutte quelle aree che vivono l’emarginazione, parola oramai abusata, che sembra quasi svuotata di significato, a furia di sentirla ripetere. Eppure un significato forte ce l’ha, ce l’ha per chi vive in prima persona la follia quotidiana di non sentirsi come gli altri, di portare un marchio sulla pelle, dato dalla sola provenienza geografica, all’interno addirittura della stessa città. Sono nato oltre quarant’anni fa in un quartiere che sembrava una campagna distante dalla città anni luce, adesso c’è la metropolitana, e la possono prendere tutti, malgrado le manifestazioni di alcuni comitati dei quartieri “bene” che chiedevano la limitazione dell’uso dei trasporti per gli abitanti della periferia; e questa non è una sceneggiatura di fantasia ma una surreale pagina di storia di una metropoli dell’occidente. Le ho vissute le disparità di trattamento, solo perché il mio italiano portava con sé un accento più marcato e le rivedo oggi, negli occhi dei ragazzi che sto intervistando, che sono il cuore del lavoro che voglio proporre. Non è facile entrare in società se tuo padre ha ucciso qualcuno, o è stato ucciso o è in galera, o se da ragazzi si è commesso qualche piccolo reato. Mariano, Carmine, Giovanni e gli altri hanno la vita che gli scoppia addosso, i loro occhi dicono mille parole anche se in un momento non parlano; hanno gli stessi sogni dei loro coetanei, o forse anche più semplici, vorrebbero lavorare, creare una famiglia da portare a mare d’estate e fare due chiacchiere la sera con gli amici del quartiere. Nei Quartieri il tempo alle volte sembra fermarsi; fuori ai “bassi” le signore chiacchierano tutti i giorni delle stesse cose e i nostri piccoli amici le salutano ogni volta, e conoscono bene il contenuto di quelle chiacchiere: piene di preoccupazione per il futuro dei giovani, per la strada che sceglieranno. Un bivio tra la difficile ricerca di un lavoro onesto e la strada». (Gaetano Di Vaio) Gaetano Di Vaio (Napoli, 1968), dopo un’esperienza in carcere, nel 2001 intraprende la carriera di attore nella compagnia teatrale di Peppe Lanzetta I ragazzi del bronx Napoletano. Nel 2004 fonda l’Associazione Culturale Figli del Bronx divenuta in seguito anche società di produzione cinematografica. Produce il lungometraggio Sotto la stessa luna di Carlo Luglio. Nel 2006 partecipa, in concorso, al 59° Festival Internazionale del Cinema di Locarno. Nel 2007 produce Napoli, Napoli, Napoli diretto da Abel Ferrara, presentato in Selezione Ufficiale Fuori Concorso, alla 66° Mostra di Arte Cinematografica di Venezia. Nel 2009 coproduce, con Indigo Film, il corto Vomero Travel (Giornata degli autori 67 Mostra di Arte Cinematografica di Venezia). Nel 2010 produce e dirige il film documentario Il Loro Natale, presentato alla 67° Mostra di Arte Cinematografica di Venezia. Nel 2011 produce La-bas, (diretto da Guido Lombardi) e collabora alla realizzazione del progetto collettivo, coordinato da Antonietta De Lillo, Il Pranzo di Natale. Filmografia 2010 - Il Loro Natale 43 daaloltesto Premio schermo MOTIVAZIONE PREMIO LETTERATURA LA LIBRAIA DI MARRAKECH DI JAMILA HASSOUNE I n un momento in cui i governi tagliano il bene più prezioso che possiede ogni collettività, la cultura, mentre, in una direzione opposta, l’opinione pubblica riscopre il valore dell’arte come difesa dei diritti fondamentali dell’umanità e riscatto sociale dell’individuo (l’esperienza della compagnia teatrale del carcere di Rebibbia, che il SalinaDocFest ha deciso di portare sull’isola, dimostra che a volte i libri possono dare la forza per “bucare” i soffitti e intravedere un cielo “altro”), il Comitato d’Onore del Festival ha deciso di puntare per questa nuova edizione del Premio Letteratura su una scelta politico-culturale, prima ancora che letteraria, presentando il lavoro militante e sanguigno di una scrittrice attivista marocchina, che testimonia un nuovo modo di essere intellettuali oggi e di agire nella società civile con i fatti e non più solo con la parola. La carovana del libro, con cui Jamila Hassoune insieme ad altre donne attiviste del suo paese, ben lontane dallo stereotipo della donna velata alla Sherazade, portano in giro nei paesi sperduti del Maghreb i testi più importanti della nostra cultura, al di qua e al di là del Mediterraneo, dimostra che un nuovo vento sta spirando dal sud, di pari passo con la nuova ondata del cinema della realtà, da sempre in ascolto degli altri e dell’esperienza vissuta, che il SalinaDocFest ha scelto da subito come proprio specifico oggetto di narrazione. Più che dare risposte precise e individuare una linea narrativa attraverso la scelta di un romanzo o di un autore, preferiamo dunque sollevare un problema; o meglio, più problemi legati al filo rosso di questa edizione: le donne, l’incontro tra la cultura e la gente, i nuovi mezzi di comunicazione dopo le primavere arabe, il sapere come potere. “Il sapere - scrive la Hassoune - è anche potere: una rete di conoscenze può avere una forza enorme”. Per questo, dopo Roberto Saviano, Vincenzo Consolo, Mohsin Hamid, Giorgio Vasta e Tahar Ben Jelloun, il Comitato d’Onore del SalinaDocFest ha deciso di attribuire il Premio Letterario “Dal testo allo schermo”, a Jamila Hassoune, per la sua battaglia a difesa della cultura e dei diritti delle donne in un mondo tumultuoso e carico di contraddizioni come il mondo arabo di oggi. In particolare il premio va al libro-réportage sotto forma di diario La libraia di Marrakech, che, in collaborazione con la Casa Editrice Mesogea, il SalinaDocFest ha deciso di presentare in anteprima mondiale assoluta sull’isola, alla presenza dell’autrice. “Per me tenere aperta la mia libreria è stato come mantenere una posizione in una battaglia” ha scritto Jamila. Una dichiarazione perfettamente in linea con il tema di questa edizione tutta all’insegna della resistenza. Il Comitato d’onore del Sdf LA LIBRAIA DI MARRAKECH Jamila Hassoune Casa editrice Mesogea via Catania, 62 98124 Messina 090 2936373 via Catania, 13 90141 Palermo 091 9767689 [email protected] [email protected] daaloltesto schermo U n libro che racconta l’esperienza di una libraia marocchina, un’infanzia trascorsa tra le mura di casa, immersa tra i libri come orizzonte di libertà, poi la libreria e l’idea della Carovana itinerante per portare libri e autori in giro per i villaggi. Un inserto fotografico documenta ampiamente le giornate della carovana, fitte di incontri con i giovani e con le comunità locali. Un réportage agile e colloquiale, in cui la voce di Jamila descrive e commenta le vicende del suo paese: il ruolo delle donne, la riforma del codice di famiglia, gli esiti degli «anni di piombo», l’islamismo, la condizione dei giovani, la situazione del mercato librario, l’analfabetismo, fino ad arrivare alle piazze in tumulto delle “primavere arabe”. 45 DalTestoAlloSchermo Jamila Hassoune [Brani tratti da una intervista a Jamila Hassoune a cura di Barbara Bertoncin e Joan Haim e pubblicata nel libro Come la Pioggia, ed. Una città] L a mia famiglia è originaria di un paesino del Sud del Marocco, vicino al confine con l’Algeria. I miei genitori si sono trasferiti a Marrakech giusto due mesi prima che io nascessi. Arrivati qui non se ne sono più voluti andare. Nel paesino dei miei genitori i libri erano “rari come la pioggia”. La mia poi è una famiglia conservatrice, infatti da adolescente non uscivo, non andavo nei locali. Però nella casa della mia infanzia c’era qualcosa di buono: la biblioteca. Avevamo molti libri e io passavo tutto il mio tempo a leggere. Così, pur non potendo muovermi, ho presto maturato uno spirito libero. Anche se non sono andata all’università ho acquisito un bagaglio culturale La casa editrice «Una città» di tutto rispetto [...] Nel 1975, mio padre, che faceva l’insegnante, è diventato libraio. Così «Una città», rivista totalmente autofinanziata, quando sono diventata grande, data anche la senza pubblicità, e che si riceve solo per disoccupazione, la difficoltà di trovare un lavoro, si è pensato che io avrei potuto abbonamento, nasce nel marzo 1991 a Forlì dirigere un’altra libreria. Nel 1994 ho cominciato con un mio negozio di libri nella per iniziativa di un gruppo di amici, impegnati zona dell’Università di Marrakech. Il primo anno è stato molto difficile vendere libri politicamente in anni giovanili che, senza così ho cominciato a chiedermi perché gli studenti non venissero in libreria. È stato alcun rimpianto per la militanza di un tempo parlando con alcuni giovani arrivati dalla campagna o dal deserto, da dove viene la né, tantomeno, per l’ideologia che l’aveva maggior parte degli studenti che vanno all’università a Marrakech, che ho capito sostenuta, erano accomunati dalla curiosità che oltre al problema economico (non hanno soldi, ma davvero) scontano anche “per quel che succede”, e dal desiderio di un gap culturale, nel senso che anche se hanno un diploma, non hanno una grande discuterne con altri, senza pregiudizio alcuno. cultura. Del resto nei loro piccoli paesi non ci sono librerie e il sistema dell’istruzione La rivista nasce come “mensile di interviste”, è molto carente. Di qui l’idea: come far arrivare i libri in queste campagne? Come molto lunghe, su temi sociali, culturali, aiutare questi ragazzi, come dare loro le stesse opportunità dei giovani di città? I politici, ambientali. Le interviste fatte sono libri sono facili da portare in giro, basto io con la mia macchina. Così ho iniziato a ormai più di 2300 e tutte accessibili sul sito di organizzarmi e nel 1996 ho fatto tre viaggi in un mese. Ho iniziato con le scuole, «Una città». «Una città», nel suo piccolo, cerca superiori ed elementari. Ho fatto delle esposizioni e con l’occasione ho discusso con di raccontare un’altra Italia, quella che senza i giovani. [...] Qualche anno fa ho iniziato a interessarmi a Internet. Ovviamente gli clamore, e spesso senza aspettare o rivendicare studenti, i giovani non hanno soldi per comprarsi il computer, ma ci sono i cyber l’intervento dello Stato, affronta i problemi e cafè, che si stanno rivelando un fenomeno straordinario. I giovani trascorrono molto tenta di risolverli con spirito cooperativo. Di tempo in questi luoghi rimanendoci anche fino alle undici di sera, che è molto qui, anche, l’interesse per quella tradizione tardi, soprattutto per le ragazze. Le famiglie che non lasciano andare le figlie in libertaria e cooperativistica, pluralista, non un locale la sera, permettono però loro di fermarsi fino a tardi in un Internet cafè. statalista, della sinistra italiana ed europea, Questi spazi sono un piccolo laboratorio di relazioni nuove e diverse, soprattutto del tutto dimenticata e rimossa. Riguardo tra ragazzi e ragazze. Se fuori prevalgono ancora varie forme di discriminazione, all’impegno internazionale «Una città» ha dovute alla sanzione sociale, ma soprattutto all’educazione che i maschi ricevono svolto interviste in alcune delle situazioni dalle loro madri, negli Internet cafè ragazzi e ragazze si trattano alla pari, davanti drammatiche che in questi anni ci hanno a quello schermo sono uguali, si aiutano. [...] Il timone del mio lavoro è sempre visto spettatori quasi sempre impotenti: la stato questo: costruire un ponte tra piccoli paesi e città, e magari anche con il Bosnia, l’Algeria, il Kosovo, Israele e Palestina, mondo esterno. Io ho cercato di aprire questa strada. In Marocco nessuno si è mai e a volte, come nel caso dell’Algeria, tale veramente interessato della popolazione rurale, che continua a vivere in uno stato lavoro giornalistico si è tramutato in una vera di isolamento, pur rappresentando il 45% della popolazione. Così abbiamo intere campagna di solidarietà. aree dove non ci sono librerie, cinema, teatri... Certo, spesso non hanno nemmeno l’acqua o l’elettricità. Ma per me è stato molto interessante scoprire come questa giovane popolazione oggi chieda soprattutto di essere educata. Soddisfare la sete di sapere e di conoscere dei giovani è una missione ineludibile, anche perché offrendo maggiori risorse e strumenti, li si rende più liberi e più protetti dalla seduzione semplificatoria, dalla manipolazione dei fondamentalisti, che giocano anche sul loro senso di frustrazione, quando non disperazione, e sulla pochezza dei loro strumenti, sulla loro miseria. 46 L a Carovana Civica è nata nel 1997, quando ho organizzato un’esposizione di libri a Marrakech. In Marocco è molto difficile vendere libri, ma quando c’è una grande manifestazione, la gente viene anche da fuori e in genere è un’ottima opportunità anche sul piano economico. [...] In quell’occasione ho incontrato Fatema Mernissi che si è subito complimentata: “Non ho mai visto qualcuno così bravo a vendere libri!”; io mi sono schermita dicendo che a una manifestazione di quel tipo era facile perché c’era tanta gente, ma lei ha insistito. Non solo, ha chiamato l’editore Fennec dicendo: “Se aveste una libraia così in tutto il Marocco, potreste vendere qualsiasi cosa”. Dopodiché mi ha chiesto se poteva fare qualcosa per me e mi ha invitato a partecipare, a Rabat, a un meeting di donne. Si trattava di un workshop su come presentare noi stesse in dieci minuti. Lei aveva fatto questo workshop per noi. Ho ancora il mio attestato: ero risultata la più brava. A quel punto le ho proposto: “Vuoi ancora fare qualcosa per me? Bene, io sono venuta a Rabat; perché non vieni a Marrakech?”. Ha accettato. Abbiamo parlato ed è stato allora che nelle sue parole l’idea ha iniziato a prendere forma: “Il tuo lavoro, quello che fai, è una carovana. È una carovana perché ti muovi, vai ... Tra l’altro in Marocco è il primo movimento che va dalla città alla campagna”. Per me è stato soprattutto un riconoscimento. Mi interessa soprattutto come una forma di militanza. In Marocco non ci sono infrastrutture, ci sono anche ampie sacche di popolazione analfabeta, e io cosa faccio? Resto chiusa nella mia libreria? Impossibile. Lo scopo della Carovana è promuovere un forum di discussione tra le persone, che metta in comunicazione campagna e città, ma anche il Marocco con altri paesi. Ciascuno aderisce al progetto portandovi la propria competenza ed esperienza. Se sei un giornalista, hai la possibilità di scrivere; se sei un fotografo, puoi scattare fotografie. Per il resto c’è un’atmosfera di condivisione e convivialità. È come una famiglia, infatti la nostra Carovana è tenuta assieme anche da un forte spirito di solidarietà. Per la riuscita di quest’impresa ci vuole anche empatia, sensibilità, e soprattutto il fatto di crederci. Il libro come libertà d’esperienza La libraia di Marrakech di Jamila Hassoune di Lidia Riviello daaloltesto schermo Quando nel 1957 le storiche edizioni Feltrinelli pubblicarono in anteprima mondiale Il dottor Zivago, capolavoro di Boris Pasternak, una libreria di un capoluogo di provincia del Sud Italia mostrava orgogliosa le prime copie, lasciando il libro in primo piano in vetrina fino a raggiungere e toccare, nel corso del tempo, la sensibilità e la curiosità dei lettori, tra cui tanti impreparati all’arrivo di una tale novità. In una città di provincia ecco l’ingresso di un mondo straniante che turbava perché raccontava la storia del Novecento dal punto di vista di un semplice medico, che ha vissuto da dentro quella storia senza lasciare che altri parlassero per suo conto. La libraia di Marrakech di Jamila Hassoune, uscito nel 2012 per le edizioni Mesogea e che il SalinaDocFest - Esercizi di resistenza ha deciso di premiare, ha una forte vocazione al racconto in presa diretta, in un modo che ci tocca e ci sorprende come se tornassimo, fin dalle prime pagine, lettori all’origine di una storia ancora da raccontare. Lettori e “uditori” aggiungerei, perché le storie che Jamila Hassoune racconta sono allo stesso tempo dentro e fuori dal libro, scritte ma anche “parlate”. Un libro che narra del mestiere di “libero libraio”: un bene ereditato dalla famiglia e poi scelto una seconda volta. Per Jamila, libraia di Marrakech itinerante, “nomade” che ha scelto di abbandonare la funzione classica del libraio chiuso nella sua libreria d’oro e di trasformare i luoghi in mappe a cielo aperto, la traversata nel tempo è la scoperta di quanto i libri dicano in tempi e modi diversi verità sul mondo e sull’uomo. DalTestoAlloSchermo Quanto tempo abbiamo per far sì che nella nostra esistenza si compia un cambiamento a partire dalla nostra storia e che questa diventi specchio di tutte le storie del mondo? Abbiamo imparato ormai che un libro fa la differenza in ogni momento della nostra vita. Anna Maria Ortese diceva che si è sempre “fuori casa” se non si legge mai e il poeta argentino Juan Ramòn Jimenez ripeteva che chi non legge si immagina con un cuore grande dentro un mondo piccolo. La libraia di Marrakech racconta di uomini e donne che hanno attraversato gli anni delle guerre e delle indipendenze, delle tradizioni redivive e delle possibili svolte, di un Marocco che ci riguarda tutti. Dal 1994 ad oggi nel libro di Jamila sono scandite le sequenze di una vita di lettrice predestinata e di libraia innovativa. Diviso in due parti, una prima consiste nel racconto autobiografico dagli anni dell’infanzia alla scoperta di tutti quei libri che abitavano la casa grazie al lavoro del padre maestro di scuola. Le prime letture sono rivelatrici di “altri mondi possibili” e anticipano le scelte dell’età adulta. Aprire una libreria, per esempio, con la consapevolezza di voler vivere e comprendere direttamente e profondamente la cultura del proprio paese. Questa prima parte diventa man mano biografia collettiva. Chi ha conosciuto e accompagnato Jamila nella scelta di partire con la Carovana, ha toccato dal vivo luoghi e persone, lungo i confini più lontani del Marocco. La seconda parte consiste in una lunga intervista a Jamila, un dialogo approfondito dove si alternano storie, compagni di viaggio, ed è sempre presente un nume tutelare, l’amica e grande scrittrice Fatima Mernissi, tra le prime a comprendere il significato profondo delle scelte di Jamila. Prima fra tutte la scelta di “mostrare i libri ovunque e a tutti, perché non ci sia chi deve nasconderli!”. Così Jamila scrive un libro che ci riguarda e che merita l’attenzione di scrittori, lettori, editori e librai, perché la sua memoria diventi fonte viva per chi legge. L’episodio dello zio, ricercato perché in possesso di un libro di Lenin in quei lunghi e bui anni di piombo della storia marocchina è emblematico e commuove per l’autentica tensione con la quale viene raccontato. Tra villaggi, paesi, oasi, deserti, città disabitate, centri sovraffollati, scuole, passano gli anni dei cambiamenti, dalla riforma del codice di famiglia alla recente primavera araba. La passione di Jamila pone il libro al fianco della persona in un’ unità inscindibile perché da questo connubio nasca e si rigeneri una nuova consapevolezza. La scelta autobiografica di Jamila non è autoreferenziale, ma rappresenta il ponte che permette il passaggio dal racconto di sé alla storia collettiva. Le donne sono protagoniste dei passaggi decisivi. Jamila e le sue amiche durante il cammino incontrano donne di ogni età con le quali stabiliscono un dialogo che va oltre l’occasione di un incontro e si apre al domani con uno slancio inarrestabile. “Sapere è potere” come titola un capitolo del libro. Così come una conquista di conoscenza è stata la riforma del codice di famiglia in Marocco, che con l’approvazione della Moudawana riconosce alla donna una condizione giuridica avanzata in tutto il mondo arabo, L’autrice raggiunge luoghi considerati inaccessibili, come i deserti e le periferie. Ma proprio qui rivive la parola e l’incontro fra persone diverse. L’amore per il cambiamento è la caratteristica della scrittura di Jamila. Non c’è perplessità di fronte ai ragazzi che frequentano la carovana e che leggono solo e-book. Il libro è già al sicuro anche se “nascosto” in formato digitale, mentre intorno a Jamila si apre e si chiude il libro della vita. Un Festival come il SalinaDocFest - Esercizi di resistenza, che guarda ad “altri futuri” tramutando il presente in una finestra sul mondo non poteva che manifestare il suo sostegno e la sua riconoscenza a Jamila Hassoune, libraia di Marrakech. Lidia Riviello (Roma), si occupa dal 1996 di scrittura giornalistica collaborando alle pagine culturali del settimanale «Avvenimenti» e con l’emittente Isoradio. Autrice di poesia (Neon ‘80) e curatrice di molte rassegne e festival di poesia contemporanea. Sue poesie e racconti sono stati tradotti in inglese, francese, tedesco, svedese, arabo, sloveno e giapponese e pubblicati su riviste ed antologie italiane e straniere. Sul tema dell’emigrazione ha scritto racconti L’infinito del verbo andare (ed. Arlem); sceneggiati e audiodocumentari radiofonici: Seconda generazione (sceneggiato Radiodue); A casa mia (Tre soldi Radiotre); documentari televisivi Barbari” e Gli Intoccabili (La7); racconti reportage per «La Repubblica» in collaborazione con Amara Lakhous. Collabora ai programmi culturali di Radiorai Radiotre. G ualapackGroup: leader in soluzioni integrate di packaging flessibile. w w w . g u a l a p a c k g r o u p . c o m Sessantacinque anni Senza smettere mai di diventare giovani Il 2012 è l’anno in cui l’Anfe, Associazione Nazionale Famiglie Emigrati, compie 65 anni dalla sua fondazione. Lunghi anni nel corso dei quali, grazie all’instancabile e, nella stragrande maggioranza dei casi, volontaria opera di una moltitudine di donne e uomini in ogni parte del pianeta, è stata portata avanti la missione della fondatrice dell’associazione, Maria Federici. Una missione fondata sull’assistenza ai nostri connazionali all’estero, ma anche ricca di iniziative per lo sviluppo locale, di misure per la crescita culturale e di azioni per migliorare, nel mondo, la definizione di un’identità tra le più pregne di valori: quella italiana. Tanto è stato fatto e, in un contesto globale in continuo, rapidissimo cambiamento, tanto altro c’è da fare. Ed è per questo che l’Anfe, attraverso una precisa strategia di governance, intende adeguare i propri obiettivi - nel rispetto della storia che la caratterizza - ai mutati scenari: apertura verso i giovani, rinnovamento dello spirito associazionistico, utilizzo massivo delle nuove tecnologie e massima attenzione verso i fenomeni migratori nel loro svolgersi più generale, sono solo alcune delle linee guida su cui si muoverà l’associazione nel futuro più prossimo. Perché la speranza possa servirsi dell’esperienza e la memoria alimentare il percorso che, giorno dopo giorno, contribuirà a mantenerci giovani. Celebrazioni per il 65° anniversario dalla fondazione dell’Anfe Roma, Sala delle Colonne della Camera dei Deputati, 30 novembre 2012 Si terranno a Roma, nel prossimo mese di novembre, le celebrazioni per il 65° anniversario dalla fondazione dell’Anfe, con gli interventi del Presidente della Camera dei www.anfe.it Deputati, on. Gianfranco Fini, del Presidente del Comitato d’Onore del 65° Anfe, on. Emma Bonino e del Presidente Nazionale dell’associazione, Paolo Genco. Nel corso delle celebrazioni, oltre ai contributi dei delegati Anfe all’estero, saranno consegnate le medaglie commemorative dell’evento e sarà proiettato il film-documentario sulla storia dell’Anfe “Pane e pregiudizio”, con la regia di Giovanna Taviani. CITTÀ DELL’AQUILA bacifilmfestival.com co-produzione MARSEILLE 7 è Rencontres 25 SEPT AU 3 OCT 2012 LE PRADO . L'ALHAMBRA . MAISON DE LA RÉGION HYÈRES/OLBIA>4/5/6 OCT-LA CIOTAT/LUMIÈRE>7 OCT A I X - E N - P R O V E N C E / I N S T I T U T D E L' I M A G E > 8 O C T