LA CONFESSIONE SECONDO
L’INSEGNAMENTO DI DON BOSCO
CENTRO SALESIANO DI PASTORALE GIOVANILE
MILANO
www.mgslombardiaemilia.it
1
UN’INTRODUZIONE
È da un po’ di tempo che si è iniziato a parlare di emergenza educativa, ci si lamenta
della crisi del rapporto tra giovani e sacramenti (anzitutto con la Confessione e quindi
con l’Eucaristia – o viceversa), e almeno in casa salesiana si chiede di tornare
all’esempio e alla figura di don Bosco.
Ci siamo sentiti interpellati e abbiamo cercato di rispondere ai tanti richiami scrivendo
questo libretto sul tema della Confessione. Un tema sul quale abbiamo lasciato parlare
soprattutto don Bosco che, anche se si esprime in modi un po’ diversi da quelli cui
siamo abituati, è sempre affascinante e convincente.
E forse era proprio quello di cui avevamo bisogno: un testimone che tornasse a farci
vedere quanto sia bella l’avventura cristiana, a partire da quei luoghi di incontro tra
Cristo e la Chiesa (cioè noi) che sono i sette sacramenti. Tutti. Addirittura la
Confessione.
Per carità, siamo circondati da buoni testimoni; ma, appunto, siamo sicuri che tutti
questi buoni testimoni non si offenderanno se per l’occasione li metteremo in coda al
grande santo dei giovani: Giovanni Bosco.
Tra di loro uno almeno sembra già averci dato retta…
Desidero soffermarmi con voi su un aspetto talora non sufficientemente considerato, ma di grande
rilevanza spirituale e pastorale: il valore pedagogico della Confessione sacramentale. Se è vero
che è sempre necessario salvaguardare l’oggettività degli effetti del Sacramento e la sua corretta
celebrazione secondo le norme del Rito della Penitenza, non è fuori luogo riflettere su quanto esso
possa educare la fede, sia del ministro, sia del penitente. La fedele e generosa disponibilità dei
sacerdoti all’ascolto delle confessioni, sull’esempio dei grandi Santi della storia, da san Giovanni
Maria Vianney a san Giovanni Bosco, da san Josemaría Escrivá a san Pio da Pietrelcina, da san
Giuseppe Cafasso a san Leopoldo Mandić, indica a tutti noi come il confessionale possa essere un
reale “luogo” di santificazione.1
Già. È il papa, Benedetto XVI, a pronunciare queste parole delicatissime; a ricordarci
che il confessionale è anzitutto l’occasione di un’esperienza assolutamente positiva e
preziosa: luogo di santificazione, per essere precisi; a indicare che nei sacramenti e
particolarmente nella Confessione è in gioco la nostra crescita a tutto tondo, in anima e
corpo, per diventare buoni cristiani e onesti cittadini – direbbe don Bosco; e proprio don
Bosco compare nella top ten dei maestri da confessionale, non è un caso.
Ecco perché abbiamo scelto di riproporvi un testo ormai datato ma importante, scritto
mezzo secolo fa dal geniale salesiano don Domenico Bertetto, tutto basato su idee e
fatti di don Bosco in tema di Confessione.
Nel riproporvelo ci siamo permessi di aggiornare le espressioni fuori moda, di
aggiungere qualche spiegazione qua e là, e di attualizzare il messaggio con riflessioni e
testimonianze doc.
1
BENEDETTO XVI, Discorso ai Partecipanti al Corso Promosso dalla Penitenzieria Apostolica, 25-3-2011
2
L'INSEGNAMENTO DI DON BOSCO SULLA CONFESSIONE
Scrive don Bertetto
Don Bosco non ha solo esercitato il ministero delle confessioni, ma ha pure svolto
un'opera instancabile di istruzione pratica e pastorale per guidare i fedeli e
soprattutto i giovani all'uso sempre più fruttuoso di tale Sacramento che più di ogni
altro esige l’impegno del fedele, essendo gli atti del penitente parte essenziale del
Sacramento stesso2.
La straordinaria efficacia pedagogica che Don Bosco ha ricavato dalla Confessione
per la formazione cristiana dei giovani è dovuta in gran parte anche alla sua sapiente
opera di maestro e guida nella pratica di tale Sacramento. Dobbiamo perciò esporre
sommariamente l'insegnamento pastorale del Santo sulla Confessione, raccogliendo
con cura le sue parole.
Ne risulta così un insegnamento semplice, ma sicuro, frutto della esperienza di
Don Bosco e quindi molto efficace per guidare le anime alla valorizzazione della
Confessione.
Per avviare la lettura notiamo subito che don Bertetto segue uno schema tradizionale
circa il sacramento della Riconciliazione, lo stesso schema ancora proposto nel
Catechismo della Chiesa Cattolica:
303. Quali sono gli atti del penitente? (1450-1460; 1487-1492)
Essi sono: un diligente esame di coscienza; la contrizione (o pentimento), che è perfetta quando è
motivata dall'amore verso Dio, imperfetta se fondata su altri motivi, e che include il proposito di
non peccare più; la confessione, che consiste nell'accusa dei peccati fatta davanti al sacerdote; la
soddisfazione, ossia il compimento di certi atti di penitenza, che il confessore impone al penitente
per riparare il danno causato dal peccato.3
L'ESAME DI COSCIENZA
Quando non c’è
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all'esterno appaiono
belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume (Mt 23, 27)
Quando c’è
Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò:
Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te (Lc 15, 18)
La prima tappa indicata da don Bertetto è l’esame di coscienza. Per molti di noi esso
rappresenta solo una prassi quotidiana e quasi abituale, che rischia di essere presa
alla leggera e quindi sprecata. Ma cosa c’è in ballo quando, giorno dopo giorno,
interroghiamo la nostra coscienza?
Questa osservazione di per sé vale per tutti i sacramenti, altrimenti avremmo a che fare con atti di magia.
Certo nel caso della confessione il coinvolgimento del fedele è particolarmente evidente, mentre in altri casi –
ad esempio nel battesimo dei bambini – non lo è allo stesso modo.
3 Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica.
2
3
Ci piace ascoltare alcuni dei frequenti richiami del Papa su questo argomento:
La qualità della vita sociale e civile, la qualità della democrazia dipendono in buona parte da
questo punto “critico” che è la coscienza, da come la si intende e da quanto si investe sulla
sua formazione. Se la coscienza, secondo il prevalente pensiero moderno, viene ridotta all’ambito
del soggettivo, in cui si relegano la religione e la morale, la crisi dell’occidente non ha rimedio e
l’Europa è destinata all’involuzione. Se invece la coscienza viene riscoperta quale luogo
dell’ascolto della verità e del bene, luogo della responsabilità davanti a Dio e ai fratelli in
umanità – che è la forza contro ogni dittatura – allora c’è speranza per il futuro.4
Per poter asserire l’identità tra il concetto che Newman aveva della coscienza e la moderna
comprensione soggettiva della coscienza, si ama far riferimento alla sua parola secondo cui egli –
nel caso avesse dovuto fare un brindisi – avrebbe brindato prima alla coscienza e poi al Papa.
Ma in questa affermazione, “coscienza” non significa l’ultima obbligatorietà dell’intuizione
soggettiva. È espressione dell’accessibilità e della forza vincolante della verità: in ciò si fonda
il suo primato. Al Papa può essere dedicato il secondo brindisi, perché è compito suo esigere
l’obbedienza nei confronti della verità.5
Sono parole difficili, ma decisive. E da esse appare chiaro a tutti che la paziente
educazione della nostra coscienza è un investimento infinito non solo per noi stessi, ma
per tutta la società. E d’altra parte crediamo che, se si comprende quale grande tesoro
sia la formazione e la custodia della nostra coscienza, sarà più facile impegnarsi con
cura nella pratica dell’esame di coscienza: da cui tutto questo deve prendere il via.
Cosa e perché
Vediamo anzitutto il pensiero di Don Bosco su questa prima condizione del
Sacramento.
Il 3 dicembre 1876 egli parlò per la terza volta dell’ormai defunto Domenico Savio ai
giovani dell'Oratorio. In tale occasione invitò i giovani artigiani6 ad esaminare la
propria coscienza per vedere se avevano bisogno di fare una confessione generale7.
«Una cosa che volevo dirvi è che siamo nella novena dell'Immacolata Concezione8, e dico
a voi quello che ho già detto agli studenti9 il primo giorno della novena: che tutti, dopo
questa festa, procurino di avere messo a posto bene le cose dell'anima propria. Se qualcuno
avesse qualche difficoltà spirituale, qualche stortura da aggiustare, non lasci passare
questa occasione della festa dell'Immacolata, se non vuole mettere l'anima sua in pericolo
di dannarsi. Non voglio dire con ciò che tutti dobbiate fare la confessione generale, non è
questo; anzi a chi l'avesse già fatta, non conviene neppure che la rifaccia; ma tutti facciano
una confessione secondo il bisogno della propria coscienza.
BENEDETTO XVI, Discorso Presso il Teatro Nazionale Croato – Zagreb, 4-6-2011.
BENEDETTO XVI, Discorso del Santo Padre Benedetto XVI ai Cardinali, Arcivescovi e Vescovi, Prelatura
Romana, per la Presentazione degli Auguri Natalizi, 20-12-2010.
6 Apprendisti lavoratori; oggi sarebbero gli alunni delle scuole professionali.
7 Per confessione generale si intende una confessione in cui, d’accordo col sacerdote, il penitente fa l’esame di
coscienza e l’accusa dei peccati non solo dall’ultima confessione, bensì tenendo conto di un periodo di tempo
più ampio: l’ultimo anno, la vita intera etc. Era prassi ai tempi di don Bosco, oggi di per sé non si usa più.
Poche righe sotto, don Bosco elenca i motivi – questi, sì, ancora significativi per noi – e le condizioni per una
confessione generale.
8 I nove giorni precedenti la solennità dell’Immacolata Concezione venivamo fortemente valorizzati da don
Bosco, perché i giovani li usassero per rinnovare il proprio impegno di crescita spirituale e quindi morale. Lo
stesso valeva per altre solennità dell’anno liturgico, come si vedrà nel continuo del testo.
9 Gli alunni delle scuole di don Bosco: istituti e licei.
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Avrebbe bisogno di una confessione generale, chi, andandosi a confessare, confessasse
sempre le medesime colpe. Uno va e si confessa di una bugia, e sempre tutte le volte che va
si accusa di bugie; ogni volta che si confessa ha sempre da accusarsi di disturbare in
chiesa, di disubbidienze e mancanze di rispetto agli educatori, di discorsi cattivi, di scherzi
sconvenienti, di abitudini non buone. E queste confessioni saranno sempre ben fatte? Io
rispondo colle parole del Vangelo: Dai frutti si conosce la pianta.10 Se perciò le confessioni
non danno frutto, c'è molto da temere che, se non sono sacrileghe, siano almeno nulle.
Bisognerà allora scandagliare il proprio cuore e cercare la ragione [per cui queste
confessioni vengono fatte male], se c’è mancanza di esame di coscienza, di pentimento o di
altro; e, una volta fatta una buona confessione, troncare ogni legame che ci possa tenere
avvinti al demonio».11
Per capirci di più
Notiamo alcune caratteristiche un po’ demodé nel parlare di don Bosco. Demodé non significa però che siano
cose sbagliate, significa solo che per apprezzarle si deve fare un piccolo sforzo…
Precedenza del positivo: don Bosco ama valorizzare le realtà positive che accompagnano la vita di fede dei
ragazzi. Tra queste occupano un posto di tutto rilievo le ricorrenze liturgiche - tempi forti da viversi come festa
e come crescita: l’Immacolata, il Natale, etc. – e l’esempio dei santi, specialmente dei santi giovani, prova
inconfutabile che la santità è una meta proponibile a qualsiasi età
Realtà del negativo: don Bosco non teme di ricordare la concretezza di realtà brutte come il demonio e
l’inferno. Non si tratta di un ricatto psicologico, ma di una alternativa possibile e giustamente allarmante. D’altra
parte appare sempre ben chiaro che il cadere tra i lacci del demonio non dipende dalla forza arbitraria e
invincibile del male, ma dalle scelte libere e sbagliate dei ragazzi
Essere pienamente uomini: con parole diverse dalle nostre don Bosco riesce comunque a trasmettere una
descrizione completa dell’uomo, un’ideale di persona ben delineato; così la coscienza è chiaramente una
questione di cuore e di ragione, né emotivismo, né intellettualismo… non è poca cosa: oggi in molti faticano a
capirlo.
Indicazioni concrete: se sono vere tutte le riflessioni precedenti, se c’è una logica che accompagna i discorsi
generali, non stupisce trovare poi delle indicazioni precise sulla qualità delle confessioni. Così si può dire
apertamente ai ragazzi che alcune confessioni sono sacrileghe – quelle fatte per finta, prendendo in giro il
sacerdote e Dio – o nulle – quelle fatte in malo modo, senza rispettarne le condizioni di base.
La garanzia della Confessione
L'esame di coscienza è quindi il primo requisito per garantire l'efficacia della
confessione e per conservare la coscienza pura. Senza di esso anche la confessione
frequente riesce dannosa.
Parlando ai giovani dopo il ritorno dalle vacanze, il 20 ottobre dello stesso anno, Don
Bosco con stile persuasivo indica in che cosa consista l'esame di coscienza.
«Sapete voi che cosa fa un viaggiatore appena ritorna da qualche viaggio? La prima cosa
che fa è osservare il suo vestito, se ha qualche macchia o di polvere o di fango o di altro, e
10
11
Mt 7,17
MB, XII, 574
5
poi dà mano alla spazzola e toglie via ad una ad una queste macchie, finché i suoi vestiti
siano tutti puliti; e se fosse caduto in una pozzanghera, bisogna che faccia il bucato.
Così pure dovete fare voi adesso che ritornate dal vacanze: osservate un po’ il vestito della
vostra coscienza, se è tutto ben pulito, se non ha alcuna macchia. Se mai vi trovaste
qualche piccola macchia, prendete subito la spazzola della confessione e toglietela via; e se
vi trovaste qualche macchia delle più grosse, per carità, togliete via anche questa».12
Nella novena del Santo Natale dell'anno 1879, egli ritornò ancora due volte sull'esame di
coscienza e sul suo contenuto.
«In onore di Gesù Bambino, esaminare se nelle confessioni passate vi era il pentimento con
le sue caratteristiche… Fate una verifica della qualità delle confessioni precedenti, cosa che
farà poi Gesù Cristo al suo divin tribunale13 nel giorno del giudizio».14
Per capirci di più
Se non c’è esame di coscienza… cosa andremo a confessare? Ce lo suggerisce giustamente don Bosco con la
metafora del viaggiatore: bisogna passare in rassegna le macchie dell’abito della nostra anima. E altrettanto
giustamente i preti spesso ci ricordano che la confessione non è solo un elenco della spesa. Per evitare che lo
diventi è essenziale l’esame di coscienza: non un elenco di prodotti, ma saper dire cosa c’è dentro di noi e saperlo
offrire a Dio. Non bisogna fare l’elenco della spesa dunque non significa smettere di elencare i propri peccati,
ma significa saper riconoscere e confessare con precisione i propri peccati, sì, ma saperlo fare dando il giusto
peso a ciò che è più grave e a ciò che lo è meno, a ciò che è stato voluto e a ciò che è stato solo tollerato, a ciò
che etc. etc. Se vado a far la spesa, poco importa comprare prima il detersivo o le bibite. Se vado a confessami è
centrale dare a ogni cosa il suo peso.
Il riferimento al giorno del giudizio non deve sembrare l’ennesima minaccia. Anche se per noi ormai
evoca film, leggende e stranezze che circolano un po’ dovunque, per don Bosco significa solo ricordare sobrie
verità di fede (Compendio del Catechismo, n.135). Il ragazzo che si impegna regolarmente nell’esame di
coscienza e nella confessione non avrà nulla da temere nel giorno del giudizio; al suo ‘divin tribunale’ Gesù, che
ha dato la sua vita per amore nostro, completerà e concluderà – per così dire – l’ultimo esame di coscienza: una
cosa cui siamo già abituati, non un dispetto spaventoso. Non vi pare?
Uno sguardo dentro di sé
In una lettera di Don Bosco alla signora Louvet, in data 17 settembre 1883, troviamo
questa raccomandazione: «Verifica annuale della propria coscienza riflettendo sul
miglioramento o sul peggioramento dell'anno passato».15
L'esame di coscienza è anche, secondo il pensiero del Santo Educatore, una specie di
bilancio spirituale,16 e soprattutto un'occasione «per pensare seriamente a sé».
MB, XII, 554-555
Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica: 135. Come Cristo giudicherà i vivi e i morti? (678679,681-682) “Cristo giudicherà con il potere che ha acquisito come Redentore del mondo, venuto a salvare
gli uomini. I segreti dei cuori saranno svelati, come pure la condotta di ciascuno verso Dio e verso il prossimo.
Ogni uomo sarà colmato di vita o dannato per l'eternità a seconda delle sue opere. Così si realizzerà «la
pienezza di Cristo» (Ef 4,13), nella quale «Dio sarà tutto in tutti» (1 Cor 15,28).”
14 MB, XIV, 383
15 MB, XVI, 652
16 MB, IX, 355; XVI, 652
12
13
6
La sera del 10 aprile 1877 parlando ai giovani di Valdocco diceva:
«Ciascuno pensi seriamente a sé, faccia il suo esame e dica: Sono del tutto tranquillo nella
mia coscienza? Se può rispondere che, trovandosi in punto di morte, sarebbe tranquillo
nello stato nel quale ora si trova, vada avanti con coraggio; ma se alcuno riflettendo
dicesse: “Io ho questa cosa nel mio cuore che, se fossi in fin vita, mi inquieterebbe!”, è
meglio che l'aggiusti adesso per essere poi tranquillo allora!»17
Da questi accenni possiamo rilevare che Don Bosco, seguendo l'indirizzo dei grandi
moralisti ed educatori cattolici [del suo tempo], presenta ai giovani l'esame di
coscienza come un esercizio pratico di introspezione, di cui i ragazzi hanno un
bisogno tutto particolare, essendo per natura portati alla superficialità ed alla
distrazione.
Egli però non si limita a suggerire una riflessione generica, ma vuole che siano presi
in esame i valori spirituali profondi ed eterni, così che ogni giovane senta la sua
responsabilità di fronte a sé stesso e di fronte a Dio.
L'esame di coscienza può essere così un aiuto preziosissimo anche per decidere della
propria vocazione e del proprio futuro.
Per capirci di più
La prima sottolineatura bella e attuale di questo paragrafo riguarda l’aspetto educativo e pedagogico del
confessarsi; oltre al suo valore universale, la Confessione risulta particolarmente ricca per la formazione umana
dei giovani. Se è vero, come è vero, che la giovinezza è un periodo di transizione e di passaggio, un momento in
cui la persona e la personalità si vanno formando alla ricerca della propria maturità; e se è vero, come è vero, che
nonostante la grandezza dell’obiettivo i ragazzi tendono a essere incostanti e distratti, ecco che si evidenzia un
merito enorme della Confessione. Essa aiuta a divenire profondi, stabili e riflessivi.
Una seconda sottolineatura riguarda il successo psicologico della confessione. Oggi anche il più
indifferente alle cose di Chiesa è disposto a riconoscere che la confessione possa essere – poniamo – un
“principio di stabilità psichica” o simili. È vero anche questo, ma viene solo come conseguenza. La radice di tali
benefici è più profonda: è la cura del proprio spirito, la capacità di fare un bilancio spirituale. E se abbiamo
messo a posto lo spirito, non stupisce che vadano a posto tante altre dimensioni della nostra vita
Don Bertetto, fedele discepolo di don Bosco, tira le conclusioni: chi cura il proprio spirito gode di un buon
equilibrio psichico e cresce con una robusta personalità, sarà in condizione di poter scoprire e realizzare il
meraviglioso disegno di Dio sulla propria vita: la propria vocazione. Come sacerdote, come frate o suora, come
sposo, come professionista (oggi più che mai ogni settore di società attende uomini di Dio).
E tutto questo parte da un esame di coscienza ben fatto. L’avreste mai detto?
*
Oltre a questa finalità pedagogica18 di ordine generale, Don Bosco considera l'esame
di coscienza come parte essenziale della confessione sacramentale, della quale
garantisce la qualità. Perciò egli insiste continuamente sulla necessità di fare l’esame
di coscienza prima di ogni confessione.
MB, XIII, 125
18 Facciamo solo notare che il discorso del papa sul valore pedagogico della confessione insisteva sulla capacità della
confessione di educare alla fede, più che di educare la personalità. Non che le due cose siano in disaccordo, ma ci
sembrava corretto non confondere l’obiettivo delle due riflessioni proposte.
17
7
Le caratteristiche dell’esame di coscienza
Anzitutto esso deve essere accurato affinché metta allo scoperto le più piccole
macchie dell'anima.
Tra i fioretti assegnati da Don Bosco ai giovani per il mese di maggio 1866 troviamo
per il giorno 13 maggio: «Fare l'esame diligente di coscienza e prepararsi a fare una
confessione come se fosse l'ultima della vita».
Per il 19 maggio: «Pensare seriamente ai doveri del proprio stato ai quali si manca più
spesso, implorare l'aiuto divino e promettere a Maria di emendarsene».
Per il 29 maggio: «Ciascuno si faccia dire da chi è maggiormente conosciuto, di qual
difetto deve specialmente correggersi per dare buon esempio».19
Nel sermoncino della buona notte tenuto il 28 ottobre 1875 Don Bosco aggiunse:
«Prima di ogni altra cosa bisogna accuratamente esaminare la vostra coscienza e
cominciare a togliere da essa, se per caso vi fosse, qualche cosa di grave; perché se voi vi
preoccupaste di tappezzare bene le pareti di una camera, anche arredata con ogni lusso,
mentre nel bel mezzo vi fosse una pattumiera o della sporcizia, voi fareste ridere, e vi
direbbero: “Comincia a togliere quella sporcizia e poi arrederai la camera”. Lo stesso vale
per la vostra anima: se alcuno avesse un peccato grave sulla coscienza ma volesse
limitarsi a togliere solo i piccoli difettucci, costui non farebbe bene; per agire in modo
intelligente bisogna togliere il peccato e poi si penserà ad abbellirla sempre meglio nei
dettagli».20
L'esame inoltre deve essere rigoroso, ossia deve scrutare tutte le pieghe dell'anima
e non limitarsi a cogliere solo le cose più rilevanti.
Nei fioretti21 assegnati per la Novena di San Francesco di Sales e della Purificazione
di Maria Santissima nell'anno 1866, Don Bosco si limita a proporre vari richiami per
un rigoroso e minuto esame di coscienza22. Nei fioretti assegnati nel 1879 ai Salesiani
per la Novena del Santo Natale, il Santo Fondatore ritorna sul suo argomento
preferito e per l'ottavo giorno della Novena raccomanda: «Revisione delle confessioni
della vita passata come farà poi Gesù Cristo al suo divin tribunale».23
L'esame infine deve essere sincero, così da togliere ogni inganno e mostrare la vera
situazione della propria anima alla luce di quel che è stato fatto effettivamente.
Nella visione sull'Inferno24 gli è indicata la causa della dannazione di alcuni giovani:
«Taluni, invece di far l'esame di coscienza, cercavano il modo di ingannare il
confessore».25
Don Bosco risponde ripetutamente che esso deve essere quotidiano; e deve essere
più accurato in occasione della confessione settimanale, del ritiro mensile per
l’Esercizio della Buona Morte26 e degli Esercizi Spirituali annuali.
MB, VIII, 352-353
MB, XI, 461
21 I propositi e gli impegni che i ragazzi si prendevano per prepararsi alle grandi festività.
22 MB, VIII 292
23 MB, XIV, 383
24 La conoscenza di don Bosco sul demonio e sull’Inferno non è legata solo alla sua fede o ai suoi studi in
seminario, ma anche ad alcune esperienze soprannaturali, tra le quali sono noti i molti e misteriosi sogni.
Anche per questo si dedicò sempre con concreta premura a guidare i suoi ragazzi verso il Paradiso.
25 MB, IX, 177
26 Don Bosco voleva che al termine del ritiro mensile i suoi ragazzi e i suoi salesiani avessero la coscienza
pura e l’anima libera da ogni peccato, così che in caso di morte potessero essere sicuri di andare diretti in
Paradiso. Da qui il nome che dava ai ritiri: “Esercizi della Buona Morte”.
19
20
8
Per capirci di più
Qui don Bertetto torna a citare un discorso di don Bosco durante una Buona Notte. È il caso di spiegare
cosa sia la Buona Notte e di mostrare una curiosità. La Buona Notte è la preghiera della sera che don Bosco
aveva sempre fatto con sua mamma, che poi aveva fatto coi suoi ragazzi, e che infine ha comandato di fare a
tutti i salesiani coi loro giovani. Una preghiera accompagnata da qualche piccola riflessione sull’andamento della
giornata e sui propositi per il tempo a venire. La curiosità: praticamente si tratta di un esame di coscienza di
gruppo. Sera dopo sera don Bosco ha insegnato ai suoi come si deve fare a revisionare la propria vita alla luce di
Dio.
E non vanno sottovalutate le quattro caratteristiche per avere un buon esame di coscienza: accuratezza
(farlo con attenzione, non distrattamente), rigore (farlo con severità, non mentire o prendere alla leggera i propri
peccati), sincerità (dirsi la verità, e prepararsi a dirla al confessore), frequenza quotidiana (praticarlo ogni
giorno: altrimenti diventa impossibile ricordare, scoprire ed eliminare tutte le storture della propria anima)
Il contenuto dell’esame di coscienza
Il contenuto principale dell'esame è sempre verificare di aver compiuto i propri
doveri, su questo Don Bosco richiama continuamente e con sapiente tempestività i
suoi vivaci giovani, per formarli alla vita.
A questo accurato e rigoroso controllo della propria condotta riguardo al compimento
del proprio dovere era stato formato egli stesso dalla saggia mamma, Margherita.
Quando lei tornava dal mercato di Castelnuovo, prima mostrare ai figli cosa aveva
comprato, voleva rendersi conto del loro comportamento e li interrogava
dettagliatamente: «Prima ho bisogno che mi diciate come avete passato la giornata». E i
ragazzi ascoltavano silenziosi per rispondere alle domande che gli venivano fatte.
Ad uno per esempio chiedeva: «Sei stato alla tale cascina, come ti avevo raccomandato,
per domandare quei semi e quell'attrezzo? Che cosa ti hanno detto? Che cosa hai
risposto?» E poi al secondo: «È venuta in casa quella brava vicina? E hai fatto per lei
quella commissione della quale ti avevo incaricato? E in che modo l'hai eseguita?» E a
tutti: «La nonna vi ha chiesto qualche favore? Siete stati pronti ad ubbidire? L’avete
fatta arrabbiare? È venuto a trovarvi qualcuno dei vostri amici? E cosa avete fatto? In
che modo avete occupato la giornata? Avete litigato? Avete recitato l’Angelus 27 a
mezzogiorno?»
Con queste e simili domande si faceva render conto esatto di quello che avevano fatto
e direi quasi persino dei loro pensieri. In questi dialoghi i fanciulli narravano i fatti
accaduti con gran precisione. Intanto la buona mamma, sempre amorevole, sempre
serena, ad ogni risposta faceva la sua osservazione prudente, che dovesse servire di
regola per l'avvenire. «Così va bene», rispondeva all'uno. «Benissimo. Un po' più di
pazienza, un po' più di cortesia », rispondeva all'altro. «Questo non va; un'altra volta
stai più attento. Non vedi che è una bugia e le bugie dispiacciono al Signore?» Oppure,
se vedeva che erano stati obbedienti concludeva: «Sì, sono contenta; trattate bene la
nonna e Dio vi ricompenserà». Così, alla luce della legge di Dio e del buon senso
umano, li abituava a giudicare la convenienza o sconvenienza delle loro azioni e
quindi a guardarsi nell'avvenire dai difetti nei quali erano caduti.
Dopo le ammonizioni e le lodi, finalmente dava loro il premio.28
Mattina, mezzogiorno e sera era e rimane buona abitudine dire l’Angelus, una preghiera che ricorda il sì di
Maria all’annuncio dell’angelo Gabriele, e ci educa a imitarla nella disponibilità alla volontà di Dio.
28 MB, I, 54-55
27
9
Divenuto direttore e padre dei giovani dell'Oratorio, Don Bosco fece scrivere sotto le
arcate dei portici i dieci comandamenti, perché fossero un perenne richiamo per i
giovani, e perché si impegnassero ad osservarli.29
A questo richiamo scritto si aggiungevano i suoi continui paterni ammonimenti, che
offrono un quadro delle mancanze in cui più frequentemente cadono i giovani e che
Don Bosco intendeva prevenire o correggere richiamandoli alla loro coscienza.
Su uno ‘sfondo nero’ di superbia e di egoismo, ecco profilarsi in triste corteo l'ozio 30,
l'immodestia31, i cattivi pensieri32, favoriti dalle cattive letture e dai cattivi discorsi 33,
dagli scandali e dalla golosità34; cui si aggiungono l'invidia35, l'ira36, la bestemmia 37,
la mormorazione38, il furto39, la disobbedienza40.
Se a questo aggiungiamo i peccati di omissione che Don Bosco colpisce pure
ripetutamente e soprattutto se teniamo conto della dettagliata descrizione che Don
Bosco fa di questi difetti, presentandoli in tutte le loro ramificazioni, abbiamo un
prospetto concreto e molto oggettivo delle infermità e debolezze dei cuori dei ragazzi,
che può servire da punto di partenza per avviare i giovani alla riflessione ed al
controllo di se stessi, e rivela la profonda conoscenza che il santo educatore aveva
dell'animo giovanile.
Per capirci di più
Imparare a giudicare la convenienza o sconvenienza delle proprie azioni, imparare a giudicare il bene e il male
di cui siamo responsabili. E come? Non attraverso strane teorie o difficili ragionamenti, ma ascoltando la legge di
Dio (dai Dieci Comandamenti al Vangelo di Gesù) unitamente al buon senso. Il buon senso senza legge di Dio
scade velocemente nel relativismo; la legge di Dio senza buon senso scade velocemente nel fondamentalismo. Di
entrambi gli estremi oggi, purtroppo, abbiamo tanti esempi. Cerchiamo di evitarli.41
«Trattate bene la nonna!» L’esame si fa su fatti molto concreti. Perché la nostra vita si fa su fatti molto
concreti. A qualcuno verrà da ridere: «che banalità, che infantilismi!», ma pensate se Dio anziché giudicarci su come
abbiamo ‘trattato la nonna’ ci giudicasse sul nostro contributo in larga scala – che so – alla pace internazionale…
Quanto ai peccati di omissione (il bene che potevamo fare e che abbiamo scelto di non fare), è vero che si tende
a… ometterli dalla lista dei peccati, ma è pur vero che la Chiesa, nostra madre, ci aiuta a ricordarcene nella messa,
quando preghiamo: Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia
colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sempre vergine Maria gli angeli, i santi e voi, fratelli, di pregare per me il
Signore Dio nostro. E così, oltre a comprendere un pezzetto in più del mistero della Confessione, abbiamo fatto un
passo avanti nel gustare i tesori del mistero Eucaristico.
*
MB, V, 545-547
MB, IX, 169 ; VIII, 397
31 Ibidem
32 MB, X, 43
33 MB,VIII, 32, 40-42
34 MB, X, 36-37
35 MB, IX, 159; Vili, 397
36 Ibidem
37 Ibidem; VIII32
38 MB, VIII115
39 MB, XI, 247-248; IX, 37, 159; IX, 169; VIII40-43, 115, 279, 282
40 MB, IX, 169; XVIII, 284-285; VIII, 45
41 Curiosità, tutto il Magistero di Benedetto XVI ruota attorno a questa preoccupazione. Per la precisione anziché di buon
senso il papa parla, più profondamente, di Ragione.
29
30
10
Appare così l'efficacia pedagogica dell'esame di coscienza, che forma i giovani alla
riflessione, al controllo di sé e quindi alla conquista di un vero carattere, capace di
controllare gli istinti e le passioni, e decisamente impegnato nel praticare il bene. A
ragione quindi Don Bosco ne ha fatto tanto conto.
Sull’esame di coscienza…
Dalla vita del Beato Luigi Orione42
Quando giunse il piccolo Orione chiese un permesso speciale per potersi confessare da don Bosco
che di solito si dedicava ai ragazzi più grandi, dalla quarta ginnasiale in su. Per essere sicuro di
fare una buona e completa confessione, aveva consultato alcuni formulari di "esame di coscienza" e
li aveva trascritti quasi integralmente. Solo alla domanda: "Hai ammazzato?", aveva risposto
negativamente. Gli altri peccati li aveva copiati tutti, riempiendo alcuni quadernetti.
Ma vale la pena ascoltare il racconto dalla sua stessa bocca:
«Con una mano nella tasca dei quaderni e l'altra al petto, aspettavo in ginocchio, tremando, il mio
turno. "Che cosa dirà don Bosco pensavo tra me, quando gli leggerò tutta questa roba?". Venne il
mio turno. Don Bosco mi guardò un istante e senza che io aprissi bocca, tendendo la mano disse:
"Dammi dunque questi tuoi peccati". Gli allungai il quaderno, tirato su accartocciato dal fondo della
tasca. Lo prese e senza neppure aprirlo lo lacerò. "Dammi gli altri". Subirono la stessa sorte. Ed
ora, concluse, la tua confessione è fatta, non pensare mai più a quanto hai scritto e non voltarti più
indietro a contemplare il passato". E mi sorrise, come solo lui sapeva sorridere.»
IL DOLORE DEI PECCATI
Quando non c’è
Pietro gli disse: «Anania, perché mai satana si è così impossessato del tuo cuore che tu hai mentito allo
Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio».
All'udire queste parole, Anania cadde a terra e spirò. (At 5,3.5)
Quando c’è
Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò
alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto (Lc 7,6)
Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci».
Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci» (Gn 18, 32)
Uno degli aspetti del moderno spirito tecnicistico è riscontrabile nella propensione a considerare i
problemi e i moti legati alla vita interiore soltanto da un punto di vista psicologico, fino al
riduzionismo neurologico. L'interiorità dell'uomo viene così svuotata e la consapevolezza della
consistenza ontologica dell'anima umana, con le profondità che i Santi hanno saputo
42
Tratto dal testo Ritratti di Santi di Antonio Sicari, ed. Jaca Book.
11
scandagliare, progressivamente si perde… L'alienazione sociale e psicologica e le tante nevrosi
che caratterizzano le società opulente rimandano anche a cause di ordine spirituale. Una società
del benessere, materialmente sviluppata, ma opprimente per l'anima, non è di per sé
orientata all'autentico sviluppo. Le nuove forme di schiavitù della droga e la disperazione in cui
cadono tante persone trovano una spiegazione non solo sociologica e psicologica, ma
essenzialmente spirituale. Il vuoto in cui l'anima si sente abbandonata, pur in presenza di tante
terapie per il corpo e per la psiche, produce sofferenza. Non ci sono sviluppo plenario e bene
comune universale senza il bene spirituale e morale delle persone, considerate nella loro interezza
di anima e corpo.43
L’enciclica Charitas in Veritate di Benedetto XVI, da cui è tratta questa citazione, è
stata apprezzata a livello internazionale. Alla crisi finanziaria globale il papa risponde
chiedendo lo sviluppo integrale dell’uomo, partendo dalla cura dell’anima. Chi trascura il
proprio rapporto di amore con Dio, chi soffoca il dolore di aver rinnegato Dio, è costretto a
cadere gradino dopo gradino nel baratro delle sofferenze umane più gravi e irrisolvibili.
È proprio così, e noi possiamo apprezzarlo nel punto centrale in cui questo movimento
prende l’avvio. Ancora una volta la serietà con cui ci prepariamo intimamente a vivere il
sacramento della Confessione rappresenta l’abc su cui edificare solidamente la nostra
vita e quella della nostra comunità, il nostro presente e la nostra eternità.
***
L'esame di coscienza, se da un lato mostra le ferite dell'anima, dall’altro, sotto
l'influsso della grazia divina, porta a riconoscere la propria colpevolezza e quindi
genera il dolore di avere offeso Dio.
Don Bosco esortando i giovani ad esaminare la propria coscienza, voleva appunto
mettere nel loro cuore la capacità di sentire dolore per aver offeso il Signore.
Parlando il 30 maggio 1875 ai giovani artigiani dell'Oratorio, egli diceva:
«Bisogna pensare molto alle cose passate. Ripensare un po' alle confessioni fatte, poiché,
credetemi: 1. Per lo più ci sono delle cose dimenticate, che poi si trascurarono e a cui non si
pensò più. 2. Ci sono delle cose cui non si dà molto peso, credendo che non siano un gran
male ma che invece sono vere offese al Signore.
Per questo bisogna richiamarle alla memoria, pentirsene e confessarsene.
Ad esempio: vi sarà chi non guardava tanto per il sottile a molte cose che fin da fanciullo
fece contro la modestia44. Altri rubarono, ma poco per volta, e dicono: “Questo non è peccato
mortale”. Si ruba, ad esempio, qualche pacchetto di caffè, si rompe qualche vetro, o si
rompe qualche cosa e si dice:”Nessuno mi ha visto” e non si confessa nulla. Ma vi ha visto
Dio! È questo un danno!
Un altro poi rovina dei lavori o fa qualcosa di nascosto per sé stesso. E così via. Se si può
rubacchiare qualche cosa in cucina o nell'orto, lo si fa e si dice: “ Sono tutte piccole cose”.
Ma se [è vero che] una goccia posta in un bicchiere quasi non si vede, aggiungendo goccia a
goccia il bicchiere si riempie. [Così pure se una persona si comporta male continuamente in
queste piccole cose, ecco che] il peccato diventa grave e c'è bisogno assoluto di pentirsene e
di confessarlo».45
Benedetto XVI, Caritas in veritate, 2009, n. 76
Battute, doppi sensi, intimità, pudore. La modestia ha a che fare, sì, con la sfera della sensualità e della
sessualità, ma è qualcosa di più grande e profondo: è la padronanza di tutti i propri atteggiamenti interiori ed
esteriori, sapendo che sono legati l’uno all’altro, e sapendo che i figli di Dio, Tempio dello Spirito Santo, non
possono comportarsi d’istinto o seguire i costumi della massa e delle mode.
45 MB, XI, 247-248
43
44
12
Tutta la vita di Don Bosco ci parla di odio al peccato e di lotta contro il peccato.
Egli ha ricevuto il santo timor di Dio46, per così dire, insieme col latte materno e ha
consacrato tutte le sue forze a combattere il peccato e a far crescere anche nei
giovani il santo timor di Dio, principio della sapienza, così da preservarli dalla colpa o
insegnargli a ripararla con la Santa Confessione.
Perciò continuamente, raccontando i suoi sogni, attraverso la Buona Notte, le
prediche e i ritiri esorta i giovani a sentire il dolore per aver offeso Dio.
Nel sogno dell'Inferno egli vede molti giovani che si sono dannati per la mancanza del
dolore dei propri peccati in confessione. 47
In un’altra visione scopre che uno dei lacci che il demonio tende ai giovani per
rovinarne le confessioni è la mancanza di dolore.48
Nel sogno del misterioso banchetto egli vede alcuni giovani che inutilmente cercano
di arrampicarsi su una corda, la quale non li regge e sempre li lascia ricadere nel
fango. E don Bosco riceve la spiegazione dello strano fatto:
«La corda è, come tu predicasti, la Confessione, corda alla quale chi sa bene attaccarsi
arriverà sicuramente al cielo: e questi che vedi sono quei giovani che vanno ancora spesso
a confessarsi e si attaccano a questa corda per potersi innalzare; ma si attaccano alla
corda, cioè vanno a confessarsi, senza tutte le condizioni necessarie, con poco dolore e poco
proponimento e perciò non possono arrampicarsi; quella corda si rompe sempre e non
possono mai innalzarsi, ma scivolano giù e restano sempre allo stesso piano».49
Anche nei suoi discorsi durante la Buona Notte Don Bosco ritorna continuamente su
questo argomento, sia esortando i giovani a far bene gli Esercizi Spirituali50, sia
invitandoli ad esaminare le proprie confessioni per notare se vi era stato il dolore
con tutti i suoi requisiti51, sia ammonendoli sulla inefficacia delle confessioni fatte
senza pentimento52.
In una lunga predica, fatta nel 1878, egli accenna anche alla confessione:
«Riguardo alla confessione però ho un suggerimento da darvi. Si vede dai frutti se una
pianta è buona o no: allo stesso modo possiamo riconoscere la qualità delle nostre
confessioni dal frutto che portano.
Alcuni vanno a confessarsi sempre con le medesime mancanze. Ciò che cosa indica? Che la
confessione, per il fatto che non porta frutto, non è buona? Eh sì! Quando ci si va a
confessare, se proprio non c’è miglioramento, c'è decisamente da temere che le confessioni
non siano buone e che quindi siano nulle.
Ciò indica o che non viene preso il proposito o che non lo si mette in pratica. Si direbbe
qualche volta che si va a confessarsi per abitudine e che si vuole prendere in giro il Signore.
Io dunque raccomando molto che ognuno si prepari alla confessione col sentire
veramente un grande dolore dei peccati commessi. E poi di tanto in tanto si verifichino
i frutti delle confessioni passate».53
Il ‘timor di Dio’ è il rispetto della creatura verso il suo Creatore e Padre. Assolutamente da non confondere
con il timore in senso psicologico, cioè con qualche forma di paura.
47 MB, IX, 177
48 MB, IX, 595
49 MB, XIV, 554
50 MB, XIII, 752
51 MB, XIV, 383
52 MB, XII, 674; XIII, 804
53 MB, XIII, 804
46
13
Per capirci di più
La tazza di caffè, il vetro rotto… ma qui don Bosco fa il moralista o il maestro spirituale? Attenti a non
confondere. Sarebbe moralismo rimproverare i penitenti per errori passati, più o meno dimenticati, più o meno
frequenti o gravi, fissandosi su dettagli fini a se stessi. È spiritualità dare esempi concreti – la tazza di caffè, il vetro
rotto, etc. – per andare a risolvere un problema fondamentale e radicale, insomma un problema spirituale: lo spirito
infatti non si ferma mai ai dettagli superficiali, ma non si può nemmeno sviluppare a prescindere dalle circostanze
concrete della nostra vita. Ecco che don Bosco usa quei dettagli come strumenti per far giungere i ragazzi alle vette
della vita spirituale.
E ora un accenno veloce a un tema non sempre chiaro: il dolore per i peccati. D’accordo con la Rivelazione, il
Magistero, l’esempio dei santi e l’esperienza di ognuno possiamo dire: c’è un solo dolore che tutti devono
assolutamente riuscire a guardare in faccia e affrontare, è il dolore dei peccati commessi. Chi impara a fare i conti
con questo particolare dolore ha messo le fondamenta stabili contro ogni altra sorta di ostacolo e di sofferenza che
la vita dispone.
E d’altro canto è chiaro che non bisogna confondere il dolore per i peccati con qualche forma di frustrazione o
senso di colpa. Questo lo si può notare almeno da un dettaglio, piccolo ma importantissimo: il dolore dei peccati
commessi non sembra essere spontaneo – le altre forme di disagio invece nascono come funghi.
E infatti il buon don Bosco deve insistere continuamente perché i suoi giovani imparino a sentire questo dolore, il
dolore dei peccati. I ragazzi – e non solo loro – si rattristano spesso e volentieri per tanti motivi, ma raramente per il
peccato, cioè per aver offeso Dio. Eccezion fatta per chi sia stato abituato fin da piccolo, e abbia quindi sviluppato
in sé con facilità la capacità di soffrire per il proprio peccato.
Ecco, questo indizio potrebbe bastare per distinguere tra senso di colpa e capacità di sentire il dolore dei peccati.
Invece la precedente riflessione del papa nella Caritas in veritate ci ha ricordato quale sarà il prezzo da pagare nel
tempo per chi alla radice si sia rifiutato di accogliere l’unica sofferenza necessaria, giusta e inevitabile.
Caratteristiche del pentimento sincero
Nel volumetto dal titolo Corona dei sette dolori di Maria come pure nel Giovane
Provveduto Don Bosco fissa per iscritto le caratteristiche del pentimento
soprannaturale dei peccati.
Ecco ora due significativi episodi che ci dicono l'efficacia delle parole di Don Bosco
sui giovani.
Ai primi di ottobre del 1858 Don Bosco con un gruppo di giovani si era recato ai
Becchi per la festa del Rosario.
Una notte mentre tutti i giovani riposavano Don Bosco sentì un ragazzo piangere. Si
avvicinò silenziosamente alla finestra e vide Michele Magone in un angolo del cortile, che
guardava il cielo e singhiozzava tra le lacrime: “Che hai, Michele, ti senti male?” gli disse.
Egli, che pensava di essere solo e di non essere visto da nessuno, ne fu turbato e non
sapeva che rispondere; ma siccome Don Bosco rifece la domanda, rispose con queste
precise parole: “Io piango perché vedo la luna e le stelle che da tanti secoli compaiono con
regolarità a rischiarare le tenebre della notte, senza mai disobbedire agli ordini del
Creatore, mentre io che sono tanto giovane, io che ho il dono della ragione, io che avrei
dovuto essere fedelissimo alle leggi del mio Dio, Gli ho disobbedito tante volte e Lo ho
offeso in mille modi”. Ciò detto si mise di nuovo a piangere. Don Bosco lo consolò con
qualche parola, e lui, calmatosi, tornò di nuovo a riposare».54
54
MB, VI, 58-59
14
La sera del 18 giugno 1871 moriva a Valdocco il giovane Franzero Michele, di 11
anni. Al mattino egli volle ancora confessarsi.
«Durante la confessione — narra Don Rua — proruppe in pianto dirotto, e ad alta voce
esclamava: “Ma… mi perdonerà ancora il Signore? Mi perdonerà ancora? — Sì, stai
tranquillo, — gli diceva il sacerdote; — confida nel Signore che molto ti ama”. A stento riuscì
a tranquillizzarlo. Il sacerdote stesso, vedendo le sante disposizioni di quel ragazzo, si
sentiva profondamente commosso; e commossi fino alle lacrime erano quelli che si
trovavano nella stessa camera, che osservavano il suo pianto e sentivano le sue parole
piene di pentimento».55
Vediamo ora che cosa Don Bosco esiga dai giovani circa il dolore dei peccati.
Nel 1857 proponendo i fioretti per la Novena dell'Immacolata, fissa per il secondo
giorno: «Pentimento dei peccati commessi e proposito di non più commetterli».56
Ecco indicata la caratteristica propria del dolore dei peccati: pentimento, che dice
coscienza di aver offeso Dio e induce al distacco dal peccato.
Per capirci di più
Per andare dritti al cuore di questo paragrafo senza storcere troppo il naso serve un esercizio di fantasia che ci
faccia attraversare i secoli fino ad arrivare a condividere lo spirito religioso ottocentesco. Il richiamo ai fiumi di
lacrime dei ragazzi di don Bosco, ma anche dei suoi salesiani, risulta certamente stonato rispetto alle nostre
abitudini. Gente che pianga di commozione per la gioia o per i dolori della preghiera non se ne vede più molta in
giro (tranne in alcuni santuari o nel segreto di qualche confessionale). Beh, ai tempi di don Bosco le cose andavano
diversamente, a quanto si legge.
Due sono le reazioni sbagliate che potrebbero sorprenderci nel leggere questi testi. La prima è che si tratti di
finzioni per far colpo sull’uditorio. La seconda, più insidiosa, è che in quelle lacrime si dovrebbe vedere il tentativo
di don Bosco di colpevolizzare i suoi allievi. Le cose non stanno così. Le lacrime c’erano davvero, e il loro
significato era e rimane assolutamente bello.
In questi brevi episodi le lacrime, il pianto e la commozione vogliono essere il simbolo di un pentimento sincero
e profondo. Purtroppo va detto – lacrime a parte – che non sempre l’atto del confessarsi è preceduto e
accompagnato da vero pentimento: e questo è grave. Capita ogni tanto di scorgere la noncuranza di chi si ostina in
comportamenti non buoni… “tanto poi vado a confessarmi”. Ma questo è l’opposto delle lacrime e del pentimento,
questo è provocare Dio stesso.
Al contrario il requisito che sta alla base della stessa confessione è proprio il pentimento sincero: si tratta di una
delle esperienze più profonde e importanti di cui un uomo sia capace, anche per questo nessuno può sapere se il
pentimento sia vero, nessuno tranne il singolo. Ed ecco perché a suo tempo si insisteva sull’aspetto delle lacrime,
pareva l’unico modo (nemmeno esso poi così infallibile) con cui il singolo penitente poteva mostrare quel
meraviglioso movimento che stava avvenendo nel proprio spirito, movimento di ritorno verso il proprio Padre. Di
certo era un immagine molto chiara ed efficace per don Bosco che doveva spiegare il pentimento ai suoi birichini
di Valdocco.
*
Per indurre i giovani al pentimento sincero Don Bosco, profondo conoscitore
dell'anima giovanile, fa anzitutto leva sull'amore e riconoscenza verso Dio,
presentato nella sua infinita bontà e generosità; invece per scuotere i cuori più freddi
55
56
MB, X, 218
MB, V, 780
15
e induriti, egli descrive pure i castighi del peccato e impressiona salutarmente le
menti giovanili con la viva descrizione del giudizio divino e dell'Inferno.57
Anche in questi casi tuttavia, Don Bosco non è soddisfatto di aver spinto i ragazzi al
dolore del peccato commesso, ma cerca di portare i giovani al profondo di
umiliazione e al bisogno di Dio, disposizione importante per anticipare loro il
perdono divino ancora prima della confessione sacramentale.
«Siccome, o cari figli, — egli diceva — potrebbe succedere che dobbiate passare da questa
all'altra vita con una morte improvvisa, o per una qualche disgrazia, o per una malattia che
non vi lasciasse tempo a chiamare un prete e ricevere i Santi Sacramenti, così vi esorto a
fare sovente durante la vita, anche fuori della confessione, anzi tutti i giorni, atti di dolore
perfetto dei peccati commessi e atti di perfetto amor di Dio, perché anche uno solo di tali
atti, congiunto col desiderio di confessarsi, basta in ogni tempo e specialmente negli
estremi momenti a cancellare qualsiasi peccato e introdurvi in Paradiso».
E, statistiche alla mano, gli mostrava quanto grande fosse il numero dei cristiani che
in punto di morte non potevano ricevere i Sacramenti; gli spiegava la natura del
dolore perfetto, e dimostrava la facilità di ottenerlo, infatti dalla creazione di Adamo
alla venuta del Salvatore, tutti i peccatori, a milioni e milioni, si erano salvati con
l'atto di contrizione perfetta.
Don Bosco dunque voleva dai giovani penitenti un dolore «con tutte le sue qualità».58
Nel 1885 raccomandava a Don Cerruti: «Ricordati bene: quando predichi, soprattutto
alla gioventù, insisti molto sulla necessità di fare buone confessioni e in specie sulla
necessità della contrizione».59
Possiamo ora riassumere le qualità o doti del dolore, secondo il pensiero del Santo
Educatore.
Deve essere anzitutto dolore sincero e vivo, che impegni la volontà ad un serio e
radicale distacco dal peccato; dolore soprannaturale, cioè che vede nei peccato
l'offesa di Dio; e infine deve essere dolore maggiore di qualsiasi altro in linea di
principio, per la conoscenza chiara della intrinseca negatività del peccato e delle sue
tragiche conseguenze.
Per capirci di più
Qui si coglie il motivo fondamentale, il perché della Confessione in quanto sacramento. Prima di chiedersi, come
talvolta capita di sentire, a cosa serve la Confessione, converrebbe appunto chiedersi a cosa servono i sacramenti.
Per noi oggi, presi da tante attività e interessati soprattutto alle cose utili e comode, i sacramenti possono essere
visti per lo più come cose da fare, non stupisce allora se anno dopo anno tendiamo ad abbandonarli a se stessi,
lasciandoci convincere piuttosto dalle abitudini più concrete e dalle mode più facili di in una società poco religiosa
come la nostra. Per don Bosco invece è lampante che prima di tutto gli uomini, e i giovani, devono sfruttare la loro
vita per crescere nell’amore e nella riconoscenza verso Dio (con linguaggio più attuale il beato Giovanni Paolo II
ci direbbe: “È Cristo che cercate, quando cercate la felicità”). Il sacramento allora si svela come la situazione
concreta e oggettiva – segno efficace – in cui una persona, un ragazzo, può sperimentare e sigillare la sua esperienza di
amore e riconoscenza verso Dio.
57
58
59
MB, IX, 177; VII, 194
MB, XIV, 383
MB, XVII, 449
16
Evidentemente quando una persona non si trova in regola nei confronti di Dio, quando è in uno stato di
peccato, la riconoscenza verso Dio deve passare attraverso un atteggiamento particolare, l’atteggiamento di
umiliazione e di bisogno di Dio. Umiliazione per rinunciare al proprio peccato, bisogno di Dio per ritornare ad
avvicinarsi al suo abbraccio che non trattiene controvoglia e non respinge chi Lo cerca.
Siccome poi gli effetti del peccato sono oggettivamente devastanti, e siccome non sempre predicare l’amore
gratuito di Dio convince i peccatori a convertirsi, siccome infine a don Bosco dispiaceva l’idea che i suoi ragazzi
‘birichini’ (un eufemismo con cui indicava i più testardi appena strappati da qualche banda criminale per le strade) si
ostinassero nel peccato… ecco arrivare anche il richiamo all’Inferno e ai castighi. E questo, ancora una volta,
non va letto come ricatto psicologico fasullo, ma come un dovere dell’educatore e del sacerdote che deve mettere i
suoi ragazzi e i suoi penitenti davanti alla dura realtà: o con Dio o col demonio.
E, se è vero che Dio è sempre pronto a perdonare, non è meno vero che Dio può perdonare solo chi è
sinceramente pentito, non chi dice di esserlo solo a parole. Che poi il pentimento nasca per amore o per timore
non è proprio lo stesso (lo dice ancora il Compendio, n.303: il pentimento è perfetto quando è motivato dall'amore
verso Dio, imperfetto se fondato su altri motivi), ma intanto assicura il Paradiso che è sempre meglio dell’Inferno
(anche se il romanticismo facilone dei media e di qualche cantautore predica il contrario: meglio l’Inferno
conquistato liberamente anziché il Paradiso accettato per paura, dicono loro. Per carità, queste sono tutte
sciocchezze, del resto lo capirebbe anche un ragazzino: posto che all’Inferno per definizione nessuno può star
‘bene’, figurarsi se ci si può stare ‘meglio’ che in Paradiso).
Riassumendo, il pentimento sia: Sincero: casomai ‘certificato’ dalle lacrime, o comunque dal profondo
dispiacere interiore; soprannaturale: non un senso di colpa ma la consapevolezza di essersi staccati da Dio (e di
essersi rivolti alle seduzioni del demonio); maggiore di ogni altro dolore: perché riguarda le realtà più importanti di
noi stessi.
Sul dolore dei peccati…
Dalla vita del Santo Curato d’Ars60
“Tutto quello che io so del peccato - diceva - l'ho imparato da loro”.
Li ascoltava, leggeva in loro come in un libro aperto, ma soprattutto li convertiva. Spesso aveva
tempo solo per pochissime parole e negli ultimi anni aveva una voce così flebile che sì faticava
a sentirlo. Eppure i penitenti uscivano sconvolti dal suo confessionale.
"Se il Signore non fosse così buono diceva ma invece lo è tanto! Che male vi ha fatto nostro
Signore perché dobbiate trattarlo in questo modo!" oppure: "Perché mi hai offeso tanto? Ti dirà
un giorno nostro Signore, e non saprai cosa rispondergli".
Spessissimo, soprattutto quando si trovava davanti peccatori scarsamente consapevoli del
proprio peccato e dunque scarsamente pentiti il Santo Curato cominciava egli stesso a
piangere.
Ed era un'esperienza indicibile quella di vedere, con i propri occhi, un vero dolore, una vera
sofferenza, una vera passione come oggettivati, resi "esperienza": come se per un istante tu
potessi intravedere la pena di Dio per il tuo male, incarnata nel volto del sacerdote che ti
confessa.
IL PROPOSITO
Quando non c’è
Il faraone fece chiamare Mosè e Aronne e disse: "Pregate il Signore, perché allontani le rane da me e dal
mio popolo; io lascerò andare il popolo, perché possa sacrificare al Signore!". Ma il faraone vide ch'era
60
Tratto dal testo Ritratti di Santi di Antonio Sicari, ed. Jaca Book.
17
intervenuto il sollievo, si ostinò e non diede loro ascolto, secondo quanto aveva predetto il Signore. A
mezzanotte il Signore percosse ogni primogenito nel paese d'Egitto, dal primogenito del faraone che
siede sul trono fino al primogenito del prigioniero nel carcere sotterraneo, e tutti i primogeniti del
bestiame. (Gen 8,4.11; 12,29)
Quando c’è
Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se
ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». (Lc 19, 18)
I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli.
Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a
sedere sulla cenere. (Gio 3, 5-6)
II 22 ottobre 1875 Don Bosco parlando ai giovani dell'Oratorio, all'inizio del nuovo
anno scolastico, diceva:
«Se desideriamo di cominciare bene, bisogna che ognuno incominci a mettersi in grazia di
Dio, se non lo è ancora; poi che domandi proprio di cuore al Signore la grazia di poter
continuare bene, promettendo che occuperà bene il tempo e non si servirà mai e poi mai del
tempo dello studio per offenderlo: ma anzi vorrà offrire tutto quello che fa, o starà per fare,
a maggior gloria di Dio e per la salvezza dell'anima sua e di quella del prossimo...»61
Da queste parole appare che Don Bosco chiama proposito una seria e concreta
decisione della volontà in vista di un atto da fare o da evitare, così da garantire la
perseveranza nella vita di Grazia.
Il Santo Educatore avendo l’obiettivo soprannaturale di tenere i giovani lontani dal
peccato e di farli crescere nella grazia e nella virtù, insisteva molto sulla necessità dei
buoni propositi, sia legati alla confessione, per assicurarne per lungo tempo il frutto,
sia indipendentemente dalla confessione, per conseguire il fine dell'educazione
cristiana.
Molte testimonianze ne offrono la conferma.
Nel 1868 Don Bosco in occasione della Novena dell'Immacolata mandò ad ogni
giovane del collegio di Mirabello una speciale raccomandazione scritta. Esse si
riferiscono generalmente alla perseveranza nel bene, ed è facile notare che molte
insistono sul proposito efficace della confessione.
Ad un giovane scrive: «Perché non esegui le promesse? Dove vanno i propositi?»
Ad un secondo: «Pratica i propositi della confessione».
Ad un terzo: «Lava spesso l'anima [cioè confessati] e pratica i consigli del confessore».
Ad un quarto: «Sii più costante nelle promesse che fai a Dio».
A vari altri fa le stesse raccomandazioni.62
Il 3 maggio 1868 raccontando ai giovani lo spaventoso sogno dell'Inferno, afferma che
molti giovani si dannano per essersi confessati senza fermo proposito di evitare
l'immodestia.63
61
62
63
MB, XI, 458
MB, IX, 33-37
MB, IX, 177
18
Il 26 luglio 1866 ai giovani del collegio di Mirabello che partivano per le vacanze, Don
Bosco aveva scritto: «Ognuno prima di partire pulisca la coscienza, con un fermo
proposito di volerla conservare tale fino al ritorno dalle vacanze».64
II 18 aprile 1875, parlando ai giovani nel sermoncino della Buona Notte, dopo avere
accennato alla confessione aggiunse: «Ci vogliono ferme risoluzioni e cambiamento
generale».65
In altra occasione aveva detto ancor più chiaramente:
«Alcuni credono che basti aprire interamente il cuore al direttore spirituale per incominciare
una vita nuova e che sia confessione generale quando dicono tutto. È una gran cosa, ma
qui non è tutto. Si tratta non solo di rimediare il passato, ma anche di provvedere
all'avvenire con fermi propositi».66
Sono anche degne di rilievo queste sue parole ai giovani:
«Sappiate che quel figlio che dopo aver peccato non vuole cambiare, e quindi vuole di nuovo
offendere il Signore, anche se si fosse già confessato non è degno di accostarsi alla mensa
del Salvatore, e se facesse la Comunione eucaristica,, invece di arricchirsi di grazie, si
renderebbe più colpevole, e degno di maggior castigo.
Al contrario se vi siete confessati con un fermo, efficace proponimento di correggervi,
accostatevi pure a ricevere il pane degli Angeli ed darete una gioia grandissima a Nostro
Signor Gesù Cristo».
Quanto alle qualità del proposito, egli, conoscendo bene l’incostanza giovanile, insiste
anzitutto sulla fermezza.
In un sogno del gennaio 1883, Don Provera appare a Don Bosco e gli porge a nome di
Dio vari consigli per la direzione della Congregazione.
Don Bosco domanda: “Che cosa dovranno praticare i nostri giovani per assicurarsi la
loro eterna salvezza?” Ne ottiene questa risposta: «Si cibino sovente del Pane dei forti
e facciano dei propositi fermi in confessione».67
Per capirci di più
Qui si mette bene in luce la continuità che c’è tra Confessione e Comunione eucaristica. Che poi è come
dire: se si capisce un po’ bene la comunione, si comprende la necessità della confessione in tutte le sue
caratteristiche, già a partire dal proposito.
Il fine della vita cristiana infatti non è confessarsi spesso, ma essere in comunione con il Signore sempre. Il
luogo e il modo che abbiamo qui in terra per raggiungere sicuramente ed efficacemente questo obiettivo è
accostarci alla divina Eucaristia. Se però ci siamo allontanati da Dio con un comportamento peccaminoso, non è
pensabile tornare alla mensa della Comunione eucaristica senza prima essersi ufficialmente rappacificati col
Signore (da cui il termine sacramento della Riconciliazione). Altrimenti si farebbe sacrilegio, ossia si
cercherebbe di ingannare Dio, ma in una relazione tra persone non c’è spazio per l’inganno e la violenza; anzi,
tutto è pura libertà, libertà al livello più alto e più vero, libertà di uscire da se stessi per donarsi totalmente
all’altro.
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67
MB, VIII436
MB, XI, 233
MB, VII, 721
MB, XVI, 16
19
Per Dio questo è scontato, essendo infinita bellezza, libertà e dono. Per noi non lo è. Ma noi possiamo sforzarci
di imitare Dio e di raggiungerlo, come? Sicuramente col prendere una decisione stabile e chiara che nasca
dall’interno del nostro animo e guidi il più possibile i nostri atteggiamenti e le nostre scelte: un proposito ben
fatto.
Comunione significa vivere un rapporto stabile e regolare di dono e di amore. Per questo tutto sboccia dal
fermo impegno interiore di dirigerci verso la meta che è Dio. È la caratteristica del vero amore (sennò cadremmo
nell’emotivismo, nelle amicizie volubili, nel ricatto affettivo), quindi è la caratteristica di chi vuole comunicarsi
all’altare del Signore, quindi è la caratteristica di chi chiede in confessionale la remissione dei propri peccati.
Senza questa seria e concreta decisione della volontà in vista di un atto da fare o da evitare non avrebbe alcun valore la
confessione, non avrebbe alcun senso la comunione e non avrebbe alcun fine positivo la vita umana.
La frequenza della confessione
Ecco ora alcune luminose parole del Santo Educatore, che manifestano quanto egli
desse importanza al fermo proposito in confessione.
Parlando ai giovani dell'Oratorio nel gennaio 1876, egli toccò nuovamente il suo
argomento preferito: la confessione. Fissando poi alcune norme per la frequenza alla
confessione, Don Bosco disse:
«Nessuno si confessi prima degli otto giorni. Vi sono alcuni specialmente fra i piccolini, i
quali verrebbero tutti i giorni. Per tutti in generale si tenga la regola degli otto giorni e allora
vi sarà comodità per tutti. Nessuno però lasci passare il mese senza confessarsi: regola
ordinaria sia ogni dieci, dodici ed anche quindici giorni.
Molti dicono: “Noi desideriamo andarvi ogni otto giorni!” E costoro vadano ogni otto giorni e
fanno bene.
Ma qualcuno dice: “Io desidererei andare con frequenza alla Santa Comunione, ma dopo un
paio di giorni che mi sono confessato, sono già di nuovo come prima, e se non mi confesso
non oso più andare alla Comunione” Io direi a costui: “Se tu non sei capace di perseverare
in tale stato di coscienza che ti permetta di andare per otto giorni alla Comunione, io non ti
consiglio la Comunione cosi frequente”.
“Ma io ho voglia di cambiare; andando a confessarmi così con frequenza, mi correggerei più
facilmente”. “ Nossignore – rispondo io – il tempo che impiegheresti ad andarti a
confessare la seconda e la terza volta in una stessa settimana, impiegalo a fare un
proponimento un po' più fermo e vedrai che questo sarà più efficace che l'andarti a
confessare con più frequenza, come vuoi fare, ma sempre con poco dolore e con propositi
deboli.
Appunto il confessore ti ha imposto di andar più di rado, affinché ti prepari meglio ed abbia
le giuste disposizioni.
Vi è un solo caso in cui io credo che uno debba andare con più frequenza a confessarsi ed
è quando il confessore stesso, dopo di aver considerata bene la coscienza del suo
penitente, gli dica: “Vieni pure a confessarti ogni qual volta ricadrai in questo o quell'altro
peccato; ciò è necessario per vincere quell'abito, per sradicare quella cattiva passione”.
Quando vi sia questo espresso consiglio del confessore, dato così per un fine speciale, è
certo che il penitente ne ritrarrà del bene.
Fuori di questo caso, prendete l'abitudine di andare ogni otto giorni, ogni dieci, od anche
ogni dodici e con questo potrete, secondo il consiglio del confessore, fare anche con molta
frequenza la vostra Santa Comunione».68
68
MB, XII, 31
20
Alla luce di questa preziosa norma si comprende l'importanza pedagogica della
Confessione.
Don Bosco voleva inoltre che il proposito fosse efficace e quindi scendeva al pratico,
suggerendo ai giovani quello che si conveniva alla loro condizione ed alle loro forze.
Afferma il Biografo:
«Don Bosco esortando i giovani a mantenere i propositi fatti e a praticare i mezzi suggeriti
dal confessore per non cadere mai più in peccato, raccomandava loro di prendere queste
tre risoluzioni, nelle quali, tutte le altre si concentravano, e di pregare Maria, la loro cara
Madre, ad aiutarli a mantenerle; 1. di voler pregare in chiesa con grande partecipazione69;
2. essere sempre obbedienti ai genitori e a tutti gli altri educatori; 3. impegnarsi nello
svolgere il proprio dovere, donando i propri sforzi per la maggior gloria di Dio e per la
salvezza dell'anima».
Per capirci di più
Il discorso sulla frequenza riprende e ripropone il discorso sull’Eucaristia. La frequenza alla confessione è
legata alla mia crescita nell’amore e alla mia capacità di perseverare nei propositi di unione col Signore.
Il Compendio del Catechismo ricorda che ogni fedele, raggiunta l'età della ragione, ha l'obbligo di confessare i propri peccati
gravi almeno una volta all'anno, e comunque prima di ricevere la santa Comunione (305); evidentemente il Compendio dà
una norma universale, che vuole parlare anche a chi è rimasto un po’ alla periferia della vita di Chiesa… don
Bosco al contrario parla ai suoi ragazzi, dai quali pretende un protagonismo nella Chiesa e quindi un
protagonismo pieno in ogni ambito della loro vita: per questo è più esigente .
Qua balza all’occhio il senso pienamente pedagogico della Confessione per don Bosco, al modo in cui lo
intende anche il papa. Non una sorta di grande mito che però produce buoni risultati sulle masse di ignoranti (la
religione come oppio dei popoli, secondo Marx; piuttosto che la religione per ammansire le masse, secondo Leo
Strauss), ma uno strumento donatoci da Dio attraverso cui promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo, perché
– per dirla con il Servo di Dio papa Paolo VI – l’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente la totalità della
persona in ogni sua dimensione (Populorum Progressio, n. 11). La confessione, si diceva, non è anzitutto un elenco della
spesa, ma una richiesta di perdono che nasce da pentimento sincero unito all’impegno fermo di fare il bene. Non
stupisce, se queste sono le premesse, che la confessione ben fatta – quella né nulla, né sacrilega, come ricorda
don Bosco – faccia crescere i ragazzi come buoni cristiani e onesti cittadini.
Infine una perla di saggezza del nostro santo nel richiamare al consiglio del confessore. E questa
sottolineatura può servire molto oggi. Contro ogni traccia di confusione, di incertezza e di ignoranza attorno al
tema della Confessione (e non solo) non c’è rimedio più vincente e solido che il trovare un bravo prete e
chiedergli di essere il nostro confessore, la nostra guida, colui che tappa dopo tappa ci aiuti a crescere nella
personalità e nella fede, aiutandoci nelle scelte più importanti e delicate.
*
Intervengono frequenti messaggi soprannaturali che persuadono sempre più il Santo
Educatore riguardo all'incostanza dei giovani, ai quali perciò sono indispensabili
propositi fermi ed efficaci.
In una visione un mostro infernale lo condusse in sacrestia dove un sacerdote stava
confessando i giovani:
69
Nell’originale: devozione.
21
«“Vedi, soggiunse il mostro, alcuni sono miei nemici, molti però mi servono anche qui: sono
quelli che promettono e non mantengono la promessa; confessano sempre le stesse cose, ed
io godo assai delle loro confessioni”.
Poi mi condusse in un dormitorio e mi fece osservare alcuni che durante la Messa pensano
male e non pensano di andare in chiesa.
Poi mi mostrò uno dicendo: “Costui fu già al punto di morte e allora fece mille promesse al
Creatore, ma quanto divenne peggiore di prima!”
Alla fine Don Bosco intima al demonio: “Io voglio che tu assolutamente mi dica quale cosa
temi più di tutte quelle che si fanno qui, e questo te lo comando in nome di Dio Creatore, tuo
e mio Padrone a cui tutti dobbiamo obbedire”.
In quel momento egli con tutti i suoi si contorsero, presero forme che non vorrei più vedere
in vita mia, poi fecero un rumore con urli orribili che terminarono con queste parole: “Ciò che
ci fa più male, ciò che più di tutto temiamo è l'osservanza dei propositi che si fanno in
confessione!”
Queste parole furono pronunciate con urli così spaventosi e forti, che tutti quei mostri
scomparvero come fulmini ed io mi trovai seduto in mia camera al tavolino».70
È facile da questi brevi cenni che si potrebbero moltiplicare, rendersi conto
dell'instancabile impegno di Don Bosco per educare i giovani a saper volere. I giovani,
santi, formatisi alla sua scuola, si distinguono soprattutto per la tenacia della loro
volontà nel tener fede ai propositi loro suggeriti dal Santo loro Maestro. San
Domenico Savio ne è la prova più luminosa.
Sul proposito…
Dal testo La coscienza di Zeno di Italo Svevo
Mi colse un’inquietudine enorme. Pensai: "Giacché mi fa male non fumerò mai più, ma prima
voglio farlo per l’ultima volta". Accesi una sigaretta e mi sentii subito liberato dall’inquietudine
ad onta che la febbre forse aumentasse e che ad ogni tirata sentissi alle tonsille un bruciore
come se fossero state toccate da un tizzone ardente. Finii tutta la sigaretta con l’accuratezza
con cui si compie un voto. E, sempre soffrendo orribilmente, ne fumai molte altre durante la
malattia. Mio padre andava e veniva col suo sigaro in bocca dicendomi:
- Bravo! Ancora qualche giorno di astensione dal fumo e sei guarito!
Bastava questa frase per farmi desiderare ch’egli se ne andasse presto, presto, per
permettermi di correre alla mia sigaretta. Fingevo anche di dormire per indurlo ad allontanarsi
prima.
Quella malattia mi procurò il secondo dei miei disturbi: lo sforzo di liberarmi dal primo. Le mie
giornate finirono coll’essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più e, per dire subito
tutto, di tempo in tempo sono ancora tali. La ridda delle ultime sigarette, formatasi a vent’anni,
si muove tuttavia. Meno violento è il proposito e la mia debolezza trova nel mio vecchio animo
maggior indulgenza. Da vecchi si sorride della vita e di ogni suo contenuto. Posso anzi dire, che
da qualche tempo io fumo molte sigarette… che non sono le ultime.
Sul frontispizio di un vocabolario trovo questa mia registrazione fatta con bella scrittura e
qualche ornato:
"Oggi, 2 Febbraio 1886, passo dagli studii di legge a quelli di chimica. Ultima sigaretta!!".
Era un’ultima sigaretta molto importante. Ricordo tutte le speranze che l’accompagnarono.
M’ero arrabbiato col diritto canonico che mi pareva tanto lontano dalla vita e correvo alla
scienza ch’è la vita stessa benché ridotta in un matraccio. Quell’ultima sigaretta significava
proprio il desiderio di attività (anche manuale) e di sereno pensiero sobrio e sodo.
Per sfuggire alla catena delle combinazioni del carbonio cui non credevo ritornai alla legge.
Pur troppo! Fu un errore e fu anch’esso registrato da un’ultima sigaretta di cui trovo la data
registrata su di un libro. Fu importante anche questa e mi rassegnavo di ritornare a quelle
complicazioni del mio, del tuo e del suo coi migliori propositi, sciogliendo finalmente le catene
70
MB, X, 43
22
del carbonio. M’ero dimostrato poco idoneo alla chimica anche per la mia deficienza di abilità
manuale. Come avrei potuto averla quando continuavo a fumare come un turco?
Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la
sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di
fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò
al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza
latente. Io avanzo tale ipotesi per spiegare la mia debolezza giovanile, ma senza una decisa
convinzione. Adesso che sono vecchio e che nessuno esige qualche cosa da me, passo tuttavia
da sigaretta a proposito, e da proposito a sigaretta. Che cosa significano oggi quei propositi?
Come quell’igienista vecchio, descritto dal Goldoni, vorrei morire sano dopo di esser vissuto
malato tutta la vita?
Una volta, allorché da studente cambiai di alloggio, dovetti far tappezzare a mie spese le pareti
della stanza perché le avevo coperte di date. Probabilmente lasciai quella stanza proprio perché
essa era divenuta il cimitero dei miei buoni propositi e non credevo più possibile di formarne in
quel luogo degli altri.
Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand’è l’ultima. Anche le altre hanno un loro
gusto speciale, ma meno intenso. L’ultima acquista il suo sapore dal sentimento della vittoria
su sé stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e di salute. Le altre hanno la loro
importanza perché accendendole si protesta la propria libertà e il futuro di forza e di salute
permane, ma va un po’ più lontano.
Le date sulle pareti della mia stanza erano impresse coi colori più varii ed anche ad olio. Il
proponimento, rifatto con la fede più ingenua, trovava adeguata espressione nella forza del
colore che doveva far impallidire quello dedicato al proponimento anteriore. Certe date erano da
me preferite per la concordanza delle cifre. Del secolo passato ricordo una data che mi parve
dovesse sigillare per sempre la bara in cui volevo mettere il mio vizio: "Nono giorno del nono
mese del 1899". Significativa nevvero? Il secolo nuovo m’apportò delle date ben altrimenti
musicali: "Primo giorno del primo mese del 1901". Ancor oggi mi pare che se quella data
potesse ripetersi, io saprei iniziare una nuova vita.
Ma nel calendario non mancano le date e con un po’ d’immaginazione ognuna di esse potrebbe
adattarsi ad un buon proponimento. Ricordo, perché mi parve contenesse un imperativo
supremamente categorico, la seguente: "Terzo giorno del sesto mese del 1912 ore 24". Suona
come se ogni cifra raddoppiasse la posta.
L’anno 1913 mi diede un momento d’esitazione. Mancava il tredicesimo mese per accordarlo
con l’anno. Ma non si creda che occorrano tanti accordi in una data per dare rilievo ad
un’ultima sigaretta.
Molte date che trovo notate su libri o quadri preferiti, spiccano per la loro deformità. Per
esempio il terzo giorno del secondo mese del 1905 ore sei! Ha un suo ritmo quando ci si pensa,
perché ogni singola cifra nega la precedente. Molti avvenimenti, anzi tutti, dalla morte di Pio IX
alla nascita di mio figlio, mi parvero degni di essere festeggiati dal solito ferreo proposito. Tutti
in famiglia si stupiscono della mia memoria per gli anniversarii lieti e tristi nostri e mi credono
tanto buono!
Per diminuirne l’apparenza balorda tentai di dare un contenuto filosofico alla malattia
dell’ultima sigaretta. Si dice con un bellissimo atteggiamento: "mai più!". Ma dove va
l’atteggiamento se si tiene la promessa? L’atteggiamento non è possibile di averlo che quando
si deve rinnovare il proposito. Eppoi il tempo, per me, non è quella cosa impensabile che non
s’arresta mai. Da me, solo da me, ritorna.
La malattia, è una convinzione ed io nacqui con quella convinzione. Di quella dei miei vent’anni
non ricorderei gran cosa se non l’avessi allora descritta ad un medico. Curioso come si
ricordino meglio le parole dette che i sentimenti che non arrivarono a scotere l’aria.
23
L'ACCUSA DEI PECCATI
Quando non c’è
Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete
d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: "Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente". Ma
quelli dissero: "Che ci riguarda? Veditela tu!". Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e
andò ad impiccarsi. (Mt 27,3-5)
Quando c’è
Gesù disse a Simon Pietro: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?". Gli rispose: "Certo,
Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pasci i miei agnelli". Gli disse di nuovo: "Simone di
Giovanni, mi vuoi bene?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pasci le
mie pecorelle". Gli disse per la terza volta: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene?". Pietro rimase
addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti
voglio bene". Gli rispose Gesù: "Pasci le mie pecorelle. (Gv 21,15-17)
La Chiesa, Corpo di Cristo, sa di essere già santa: sia perché unita al Figlio di Dio, sia
perché splendente e perfetta nella persona di Maria Immacolata e Tutta Santa. È
essenziale riconoscere questa verità, sennò inizieremmo a pensare alla Chiesa e a
viverci quasi fosse un’azienda o un’organizzazione di filantropi e nulla di più. Ma
questo non toglie che nel corso della storia i cristiani, gli uomini che si sforzano di unirsi
e perseverare nella vita di santità della Chiesa, possano ancora cadere nel peccato e
così rovinarne il nome e l’immagine esteriore.
Nulla di cui scandalizzarsi: il compito della Chiesa sta nello sforzo di attirare pian
piano nella Luce della Trinità ogni uomo, anche il peccatore più convinto, e non nel
voler creare un gruppo di perfetti preoccupati di salvaguardare ipocritamente la propria
reputazione su questa terra. Del resto proprio nelle sue origini la Chiesa conosce il
tradimento di Pietro, seguito dalla sua professione di amore per Gesù Risorto.
Ancora oggi il gran segreto sta tutto lì, nel saper chiedere perdono al Signore Risorto
per le nostre inevitabili debolezze. È il segreto di tutti i cristiani impegnati nella vita
quaggiù (un tempo si sarebbe detto: Chiesa militante – quella che lavora qui sulla
terra)71, è il segreto offerto a ognuno di noi.
Ci piace ripensare a due situazioni simili e diverse, in cui è stato il papa a darci
l’esempio di cosa significhi accusarsi dei peccati e di quanto ciò sia importante.
Il primo caso ci porta al Giubileo del 2000, quando il beato Giovanni Paolo II chiese
perdono per gli errori e i peccati compiuti dai cristiani nel corso dei secoli. Un’azione
coraggiosa e molto delicata: pur nell’impossibilità di giudicare dettagliatamente i fatti
storici trascorsi, il papa ritenne importante riconoscere che degli errori sicuramente
c’erano stati e ne chiese perdono a Dio davanti al mondo. Chiedere perdono delle colpe,
anche di quelle che non conosciamo, ha un valore spiritualmente enorme: è l’atto di
amore più bello che il peccatore può ancora rivolgere verso il suo Signore e Padre.
Signore Dio, la tua Chiesa pellegrina, sempre da te santificata nel sangue del tuo Figlio, in ogni
tempo annovera nel suo seno membri che rifulgono per santità ed altri che nella disobbedienza a
te contraddicono la fede professata e il santo Vangelo. Tu, che resti fedele anche quando noi
Oltre alla Chiesa militante si parlava di Chiesa purgante (l’insieme delle anime in Purgatorio); e di Chiesa
trionfante (l’insieme delle anime in Paradiso).
71
24
diventiamo infedeli, perdona le nostre colpe e concedici di essere tra gli uomini tuoi autentici
testimoni.72
Il secondo caso è recente e più circoscritto, e ha avuto una bella testimonianza, tra le
tante, nella Lettera ai Cattolici di Irlanda scritta dal papa per chiedere perdono a nome
della Chiesa tutta dei recenti peccati di pedofilia commessi da alcuni sacerdoti. Contro
il parere timoroso di molti suoi consiglieri, e nonostante la pioggia di facili infamie di
troppi giornalisti, il papa ha voluto chiedere perdono subito e di tutto.
Ho deciso di scrivere questa Lettera Pastorale per esprimere la mia vicinanza a voi, e per proporvi
un cammino di guarigione, di rinnovamento e di riparazione…
Il pentimento sincero apre la porta al perdono di Dio e alla grazia del vero emendamento… Allo
stesso tempo, la giustizia di Dio esige che rendiamo conto delle nostre azioni senza nascondere
nulla.73
Negli ultimi dieci anni, guidata da due figure stupende, la Chiesa si è così purificata di
ogni sua macchia, passata e presente. L’esempio coraggioso e schietto di questi due
grandi pontefici può sostenerci mentre ci prepariamo a meditare e a vivere capitolo
sull’accusa dei peccati, pur sempre scomodo per ognuno di noi.
***
Anche su questo aspetto della confessione troviamo utilissime lezioni nel ministero di
San Giovanni Bosco.
Egli era convinto, grazie alla sua profonda conoscenza della psicologia giovanile e alle
visioni soprannaturali, che la corretta confessione dei peccati riesce particolarmente
difficile ai giovani e quindi rivolse tutte le sue attenzioni per guidare le anime dei
ragazzi a compiere convenientemente questo dovere, in cui è così facile mancare
rendendo perciò inefficace e dannosa la confessione.
Ci limitiamo ad alcuni rilievi principali.
Nel giugno 1867, parlando ai giovani riassumeva il suo pensiero dicendo: «Svelare
tutto al confessore. La confessione deve essere breve, sincera, non rivolgere la colpa
sopra altri, ma tutta sopra sé stesso».74
Don Bosco però, da equilibrato moralista ed esperto educatore, non si ferma a norme
generiche, ma sviluppa il suo pensiero con la massima concretezza e praticità.
Anzitutto egli mira ad assicurare la completezza dell'accusa, combattendo il rossore e
la vergogna, che impediscono, soprattutto nei giovani, la sincerità nella confessione
dei peccati.
Si può dire che Don Bosco non abbia parlato mai della confessione senza accennare
ed esortare alla sincerità, che ne garantisce il valore e la validità.
Nella notte dall'8 al 9 agosto del 1880, Don Bosco nel sogno del misterioso banchetto
vide una scena desolante.
«Certi giovani di un aspetto tetro avevano attorcigliato al collo un gran serpente, che con la
coda scendeva fino al cuore e sporgeva in avanti la testa e la posava vicino alla bocca del
meschino, come per mordergli la lingua se mai aprisse le labbra.
72
73
74
Giovanni Paolo II, Preghiera Universale, Giornata del Perdono, 12-3-2000.
Benedetto XVI, Lettera ai Cattolici d’Irlanda (n. 2, 7), 19-3-2010
MB, VIII, 823
25
La faccia di quei giovani era così brutta che mi faceva paura; gli occhi erano stravolti, la
loro bocca era storta ed erano in posizione da mettere spavento. Tutto tremante domandai
nuovamente che cosa significasse e mi fu detto: “Non vedi? Il serpente antico stringe la gola
con doppio giro a quegli infelici per non lasciarli parlare in confessione e con le fauci
avvelenate sta attento per morderli se aprono la bocca. Poveretti! Se parlassero, farebbero
una buona confessione e il demonio non potrebbe più niente contro di loro. Ma per rispetto
umano75 non parlano, tengono i loro peccati sulla coscienza e tornano più e più volte a
confessarsi senza osare mai metter fuori il veleno che racchiudono nel cuore”».76
In molti altri sogni troviamo efficaci richiami alla sincerità in confessione.
Ecco ora un saggio dei tanti efficaci sermoncini con cui Don Bosco trattò questo
argomento. Il 3 dicembre 1860, assegnava questo fioretto in onora della Vergine
Immacolata: «Sincerità piena ed assoluta in confessione». E lo commentava dicendo:
«Non abbiate paura di manifestare al confessore i vostri difetti, le vostre mancanze.
L'essere buono non consiste nel non commettere mancanza alcuna: oh no! Purtroppo tutti
siamo soggetti a commetterne. L'essere buono consiste in questo: nell'aver volontà di
cambiare. Perciò quando il penitente manifesta qualche mancanza al confessore, per
quanto sia grave questa mancanza, il confessore guarda alla buona volontà e non si
meraviglia della mancanza: anzi prova la maggiore delle consolazioni che possa provare a
questo mondo, vedendo che quel giovane è sincero, che desidera vincere il demonio e
mettersi in grazia di Dio, che vuole crescere nella virtù.
Nulla, o miei cari figlioli, vi tolga questa confidenza.
Non ve la tolga la vergogna: le miserie umane si sa, sono miserie umane. Non andate mica
a confessarvi per raccontare miracoli! Bisognerebbe che il sacerdote vi credesse
impeccabili, e voi stessi ridereste di questa sua opinione. Non ve la tolga la paura che il
confessore possa svelare un segreto così terribile per lui, poiché la minima colpa svelata
fuori dalla confessione basterebbe a farlo condannare all'Inferno. Non ve la tolga il timore
che il sacerdote si ricordi poi di ciò che avete confessato: fuori di confessione è suo dovere il
non pensarvi.
Il Signore ha già permesso ogni sorta di delitti. Ha permesso che Giuda lo tradisse, che
Pietro lo negasse, che preti si facessero protestanti, ma non ha mai permesso che un
confessore dicesse la più piccola cosa udita in confessione.
Coraggio dunque, o figlioli miei, non diamo soddisfazioni al demonio. Confessatevi bene,
dicendo tutto. Qualcuno domanderà: E chi in passato avesse taciuto qualche peccato in
confessione come deve fare a rimediarvi? Guardate: al mattino se mettendomi la veste77 e
abbottonandola salto un bottone, che cosa faccio? Sbottono tutta la veste finché arrivo dove
c'è il bottone rimasto fuori posto. Così chi ha da rimediare ad un peccato taciuto, rifaccia
tutte le confessioni fino a quella, nella quale tacque il suo peccato e così tutti i bottoni
saranno a posto e la veste non farà nessuna piega. Lo dice il Catechismo78: dall'ultima
confessione ben fatta fino a quella che si vuol fare. Da bravi, figlioli! Con una parola: si
tratta di schivare l'Inferno e guadagnarvi il Paradiso; il confessore vi aiuterà e voi sapete
che siamo amici e desidero una cosa sola: la salvezza dell'anima vostra».79
Per favorire la confidenza e la sincerità, Don Bosco praticava e consigliava ai preti la
dolcezza e la pazienza verso i penitenti e, pur raccomandando il confessore fisso
Colorita espressione dei tempi di don Bosco. Significa timore del giudizio delle persone, che è sbagliato:
infatti nelle azioni che toccano da vicino la vita spirituale bisogna preoccuparsi solo del giudizio di Dio.
76 MB, XIV, 554
77 La veste talare, l’abito nero lungo fino ai piedi, e chiuso sul davanti da una lunga serie di bottoni. Ma
l’esempio calza anche con una qualsiasi camicia.
78 Don Bosco si riferisce a un’edizione precedente, probabilmente al catechismo del Concilio di Trento. Il
Catechismo attuale non scende in questi dettagli, dando qualche precisione maggiore.
79 MB, VI, 322-323
75
26
onde trarre il maggior frutto dal Sacramento, dava però la massima libertà di scelta.
È degno di nota il rilievo del Biografo:
«Egli nella frequenza di questo Sacramento riponeva tutta la forza della sua missione in
mezzo alla gioventù. Procurava che i suoi alunni vi si accostassero regolarmente, anzi con
molta frequenza, ma senza pressione di sorta. Li esortava e voleva che fossero esortati, ma
non li obbligava. Sebbene lui si trovasse tutte le mattine a confessare, e fosse generale il
desiderio di confessarsi da lui, tanto che non aveva tempo di soddisfare al desiderio di
tutti, tuttavia voleva che si trovassero altri confessori esterni, specialmente nelle feste e
nelle vigilie. Lasciava a tutti la massima libertà; non faceva osservazioni e non voleva che
se ne facessero intorno a chi si confessava da lui o chi da altri sacerdoti. E anni dopo diede
per norma ad un suo sacerdote: “Fa’ in modo di non dare mai alcun segno di parzialità
verso di chi si confessa a preferenza più da uno che da un altro”. Così pure non si piegò
mai a permettere che in giorni di comunione si facessero uscire i giovani dal banco
ordinatamente per fila per andare all'altare, affinché chi non era preparato, non si
lasciasse vincere con suo gran danno dal rispetto umano o fosse segnato a dito dagli
altri.80 Meglio la libertà e un po' di confusione».81
Per capirci di più
Abbiamo già parlato della differenza tra senso di colpa e consapevolezza (o dolore) del proprio peccato.
Adesso incontriamo nuovamente la preoccupazione di don Bosco per la vergogna dei suoi ragazzi, vergogna
che li blocca dal confessare le colpe più imbarazzanti. Come dire: in fondo quello del senso di colpa è un
argomento di sempre, non una cosa dei nostri tempi. Quindi, detto alla svelta, vediamo di toglierlo di mezzo il
prima possibile – aiutati da un po’ di preghiera e da un po’ di riflessione – perché non serve e fa male.
A questa obiezione se ne aggiunge una peggiore, quella di chi vuole abbandonare o dribblare il confessore
perché “tanto non miglioro lo stesso”. È lo stesso trucco di chi non vuole andare a messa e si giustifica
dicendo: “tanto quelli che vanno a messa sono i peggiori”. Ma queste appunto sono solo scuse e auto-illusioni.
Don Bosco dà una chiave di lettura molto facile e comoda: i sacramenti non servono come correttivi
morali – a quello ci pensano di per sé la buona educazione e i costumi di società – ma come tappe per un
cammino verso Dio. Chi si confessa e va a messa non lo fa perché è o si sente migliore di altri, ma perché sa
che deve diventare migliore di quel che è stato finora. Ma allora la morale va buttata dalla finestra? No, e ne
abbiamo parlato prima, dicendo del proposito; però c’è un tempo per il proposito e uno per l’accusa, un tempo
per lo sforzo morale e uno per l’abbandono all’amore di Dio.
Un dettaglio riguarda le colpe dimenticate, e quindi non confessate, che poi tornano alla mente. Don
Bosco ne parla riferendosi alle indicazioni del suo tempo: bisogna confessare tutto. Ma come fare? Ecco che
ricompare il tema della confessione generale che, appunto, è fatta per ripescare colpe antiche dimenticate o dette
male. Oggi, complici i giusti studi di psicologia e simili (che non sempre sono buoni e onesti, ma con un poco di
impegno possono diventarlo), i confessori ci danno indicazioni meno minuziose. Però quelle che attualmente
vengono date è bene saperle e seguirle: “È necessario che i penitenti enumerino nella confessione tutti i peccati mortali, di cui
hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se si tratta dei peccati più nascosti e commessi soltanto contro i due
ultimi comandamenti del Decalogo” (CCC, n. 1456). E comunque, se uno ci tiene davvero, c’è un modo molto
semplice per non dimenticare le colpe gravi: l’esame di coscienza quotidiano. Cose ormai note per noi.
Infine uno smacco al ’68 e dintorni. Per tutti quelli che si lamentavano e si lamentano – udite udite – che la
Chiesa non dona la libertà e tiene prigionieri… scopriamo con soddisfazione che don Bosco e i suoi, sempre in
comunione con il papa e mai come outsider, insistono tantissimo sulla libertà. Del resto il valore della
confessione dipende dall’impegno libero del penitente (al contrario – per esempio – dell’Eucaristia, in quanto
presenza reale di Cristo, che vale a prescindere dalla fede di chi la contempla).
Certo, c’è libertà e libertà. Oggi si parla tanto di libertà come assoluta autonomia: non è questa la libertà di
Cristo, della Chiesa e di don Bosco; anzi, questa a dirla tutta non è libertà: è capriccio, è voglia, è solitudine, è –
rubiamo le parole ad un amico – la “sinfonia dell’arbitrio che si fa passare per libertà”. La libertà vera è un’altra, è
80
81
Cioè andasse a comunicarsi pur non essendo preparato, e questo solo per paura di essere notato dagli altri.
MB, IV, 555
27
la capacità di rimanere uniti al Massimo Bene, che è Dio; ma si realizza solo se mi ricordo di un particolare: il
Peccato Originale, le tentazioni del Maligno, i miei istinti negativi remano costantemente contro questa libertà.
Ecco perché serve sempre un pizzico di costrizione, o meglio un insistente azione di persuasione (specie sui
giovani), non per violare la loro libertà, ma per evitare che restino prigionieri del loro arbitrio, del peccato, delle
tentazioni del Maligno; l’educatore e il confessore – in quanto pedagogo della fede – si impegnano in questa
azione. Ma al di là di questa strategia persuasiva, volta a sfatare le finte libertà, nessuno potrà mai toccare e
danneggiare la nostra libertà profonda, autentica e vera.
E così chi è capace di accusarsi schiettamente e spontaneamente dei propri peccati diverrà presto la persona più
libera che si possa immaginare; d’altra parte nessuno può sostituirsi al singolo nella volontà di chiedere perdono,
di farsi perdonare, di farsi trasportare in quella piena Comunione con Dio, che è l’unica infinita Libertà senza
misure.
*
Inculcando il dovere dell'integrità, Don Bosco ha sempre cura di rilevare che essa si
riferisce all'accusa delle colpe gravi, ma non è richiesta per le colpe veniali. Nota
infatti il Biografo:
«Don Bosco confessando giovani di buona volontà, i quali non hanno da confessare se non
piccoli difetti, suole dir loro: “Quando hai solamente di queste cose, bacia la medaglia o il
crocifisso, proponi di stare più attento, fa’ l'atto di contrizione e vai tranquillo a fare la Santa
Comunione”».82
Per le colpe gravi invece Don Bosco, secondo i chiari principi della Teologia morale,
esigeva che i giovani confessassero anche le circostanze aggravanti del peccato, e
non mancava di aiutarli efficacemente, soprattutto quando lo soccorrevano speciali
doni celesti. Ci limitiamo ad indicare un episodio tra i tanti.
«Francesco Alpi, giovane di 15 o 16 anni, pochi giorni dopo la sua entrata nel collegio di
Alassio, sentì dire negli avvisi della sera che sarebbe arrivato Don Bosco in viaggio per la
Francia e che i giovani i quali avessero avuto desiderio di confessarsi da lui, l'avrebbero
potuto fare. Il giovane Alpi non aveva mai sentito parlare di Don Bosco e pensò tra sé: “Dal
momento che viene un prete sconosciuto, che rimane qui un giorno o due e poi scompare, è
meglio che mi confessi da lui e che faccia una confessione generale, così eviterò di farla in
seguito da un prete della casa che avrà poi occasione di riconoscermi”. E difatti la mattina
seguente andò a confessarsi da Don Bosco senza sapere chi fosse. Cominciando la
confessione, egli si raccomandò al confessore che l'aiutasse, poi espose tutti i peccati di cui
si ricordava. Finita la sua accusa, quando non sapeva proprio più che cosa dire, Don
Bosco gli disse: “Ti dimentichi di dire quel peccato che hai fatto in quel luogo e in quel
tempo”. E descrisse lui fin nei particolari ciò che Alpi aveva fatto dai dieci agli undici anni.
E soggiunse: “È vero che tu non hai fatto il peccato come i tuoi due compagni, ma l'hai fatto
col pensiero e col desiderio, e anche col pensiero e col desiderio si offende il Signore.
Sentendo una simile cosa, il giovane fu colpito da tale stupore che lì, ai piedi di Don Bosco,
sudò freddo e quasi gli pareva di svenire».83
Circa l'accusa delle circostanze così si esprimeva Don Bosco nel sermoncino del 30
maggio 1875:
«Altra cosa che per lo più non si pensa di confessare è lo scandalo dato. Si veda bene chi
ha dato scandalo ad un altro con la sua cattiva azione, il peccato non è ben confessato
dicendo solamente: “Ho fatto la tale azione”, ma bisogna anche confessare di aver dato
scandalo.
82
83
MB, VIII, 823
MB, XIX, 440-447
28
Purtroppo vi sono anche cose taciute da taluni apposta nelle confessioni passate. Qui non
c'è via di mezzo; bisogna fare un bucato generale per mettere a posto tutto».84
Nel sogno sull'Inferno egli vede dei giovani dannati perché «si sono confessati, ma le
colpe contro la bella virtù85 le hanno confessate male o taciute affatto. Ad esempio, uno
che di questi peccati ne aveva commessi quattro o cinque, disse solo di due o tre».86
Per garantire l'integrità dell'accusa Don Bosco, nelle occasioni in cui i giovani erano
meglio disposti (come in preparazione a feste importanti o negli Esercizi Spirituali),
consigliava opportunamente la confessione generale.
L'ideale vagheggiato e inculcato frequentemente da Don Bosco era che ogni giovane
avesse un confessore stabile, in cui riporre tutta la confidenza, e che fosse là guida
sicura attraverso alle crisi è difficoltà della giovinezza.
Ecco le preziose norme che Don Bosco rivolge ai giovani su questo argomento, nella
biografia di Michele Magone:
«Per prima cosa — egli dice — vi raccomando di far quanto potete per non cadere in
peccato: ma se per disgrazia vi accadesse di commetterne, non lasciatevi mai convincere
dal demonio a tacerlo in confessione. Pensate che il confessore ha ottenuto da Dio il potere
di rimettervi ogni tipo e ogni numero di peccati. Più gravi saranno le colpe confessate, più il
confessore godrà in cuor suo, perché sa essere molto più grande la misericordia divina, che
per mezzo di lui vi offre il perdono, e vi dona i meriti infiniti del prezioso Sangue di Gesù
Cristo, con cui egli può lavare tutte le macchie dell'anima vostra.
Ricordatevi che il confessore è un padre, il quale desidera ardentemente di farvi tutto il
bene possibile, e cerca di allontanare da voi ogni sorta di male. Non temete di perdere la
stima presso di lui confessandovi di cose gravi, oppure che egli venga a svelarle ad altri.
Perché il confessore non può servirsi di nessuna notizia avuta in confessione per nessun
motivo al mondo. Dovesse perdere anche la propria vita, non dice, né può dire a
chicchessia la minima cosa relativa a quanto ha udito in confessione. Anzi posso
assicurarvi che quanto più sarete sinceri ed avrete confidenza con lui, tanto più egli
accrescerà la sua confidenza in voi e sarà sempre più in grado di darvi quei consigli ed
avvisi che gli sembreranno maggiormente necessari ed opportuni per le anime vostre.
Ho voluto dirvi queste cose affinché non vi lasciate mai ingannare dal demonio tacendo per
vergogna qualche peccato in confessione. Io vi assicuro, o giovani cari, che mentre vi scrivo
mi trema la mano pensando al gran numero di cristiani che vanno all'eterna
perdizione, soltanto per aver taciuto o non aver esposto sinceramente certi peccati in
confessione! Se mai taluno di voi ripassando la vita trascorsa, venisse a scorgere qualche
peccato volontariamente omesso, oppure avesse solo un dubbio intorno alla validità di
qualche confessione, vorrei subito dire a costui: “Amico, per amore di Gesù Cristo e per il
Sangue prezioso che egli sparse per salvare l'anima tua, ti prego di aggiustare le cose
della tua coscienza la prima volta che andrai a confessarti, esponendo sinceramente
quanto ti dà pena, precisamente come se ti trovassi in punto di morte. Se non sai come
esprimerti, di’ solamente al confessore che hai qualche cosa che ti dà pena nella vita
passata. Al confessore basterà questo, tu poi segui quanto egli ti dice, e poi sta’ sicuro che
ogni cosa sarà aggiustata”.
Andate con frequenza a trovare il vostro confessore, pregate per lui, seguite i suoi consigli.
Quando poi avrete fatta la scelta di un confessore che ritenete adatto per i bisogni
dell'anima vostra, non cambiatelo più, se non ce n’è la necessità. Finché voi non avete un
confessore stabile, in cui abbiate tutta la vostra confidenza, a voi mancherà sempre l'amico
dell'anima.
84
85
86
MB, XI, 248
La castità, la custodia fiera della propria sessualità ad ogni livello.
MB, IX, 177
29
Confidate anche nelle preghiere del confessore, il quale nella Santa Messa prega ogni
giorno per i suoi penitenti, affinché Dio loro conceda di fare buone confessioni e possano
perseverare nel bene: pregate anche voi per lui.
Potete però senza scrupolo cambiare confessore quando voi o il confessore cambiaste
dimora e vi riuscisse di grande incomodo il recarvi presso di lui, oppure fosse ammalato, o
in occasione di solennità ci fosse molta altra gente presso di lui. E anche se aveste qualche
cosa sulla coscienza che non osaste manifestare al confessore ordinario, piuttosto di fare
un sacrilegio cambiate non una, ma mille volte il confessore».87
Per capirci di più
Proprio per il fatto che la confessione è un grande appuntamento per la nostra libertà, proprio per il fatto che la
confessione ha senso e dà frutto nella misura in cui il penitente si mette in gioco con verità e autenticità, proprio
per tutto questo si spiega l’insistenza nell’enumerare le condizioni circa il pentimento e il proposito, prima, e
riguardo al modo di fare l’accusa, ora.
Per questo, tra le altre cose, la Chiesa da sempre distingue i peccati gravi dai veniali, quelli gravi per l’azione
cattiva in sé e quelli resi tali da particolari circostanze, e ci insegna: Ogni fedele, raggiunta l'età della ragione, ha l'obbligo
di confessare i propri peccati gravi almeno una volta all'anno, e comunque prima di ricevere la santa Comunione (Compendio, n.
305); La confessione dei peccati veniali è vivamente raccomandata dalla Chiesa, anche se non è strettamente necessaria, perché ci
aiuta a formarci una retta coscienza e a lottare contro le cattive inclinazioni, per lasciarci guarire da Cristo e per progredire nella vita
dello Spirito (Compendio, n. 306).
Oltre ai peccati gravi/veniali, oltre alla confessione di pensieri, parole opere ed omissioni, don Bosco ci
ricorda – lo fa da buon educatore, esperto di situazioni giovanili… ma vale pure per i più cresciuti – che anche
gli scandali vanno inclusi nel numero dei peccati di non poca importanza. Nel mondo che fa di tutto pubblicità
e propaganda, qualcosa ci potrebbe far intuire che questi peccati siano in aumento: ognuno valuti per se stesso.
E provveda.
Abbiamo già parlato anche della preziosità di avere un confessore stabile che sia guida spirituale: meglio
ancora se ci riesce di distinguere il momento breve e radicale della confessione sacramentale, dal momento di
confronto umano più ampio e dialogato con la giuda spirituale.
C’è poi la concessione di cambiare confessore all’occorrenza. Ma come, non abbiamo appena elogiato la
scelta di avere un confessore stabile? Sì, ma bisogna mettere ogni cosa nel giusto ordine. Essenziale è confessarsi,
ne va della salvezza eterna dell’anima (almeno per quel che compete la nostra piccola ma necessaria iniziativa);
assicurata la confessione si potrà provvedere a perfezionarla, magari trovando il confessore stabile; stabilizzati
confessore e confessione si potrà avviare pure un cammino con una guida spirituale. In casi di emergenza si salvi
l’essenziale: confessarsi; con un prete, qualsiasi.
Ma siccome qui non stiamo giocando al ribasso e non siamo in situazione di emergenza, anzi stiamo
apprezzando man mano la ricchezza della Confessione per la nostra vita, ci impegniamo a salvare capra e cavoli,
a far bene le nostre confessioni e a non perdere l’occasione di un confessore stabile. Sul tema don Bosco tornerà
ancora nelle prossime pagine. Noi invece ci fermiamo qui.
Segue un’altra serie di richiami all’inferno, al sangue di Gesù Cristo morto in croce per nostro amore e alla
situazione della nostra coscienza nell’imminenza della nostra morte. Ancora minacce? Io la metterei così:
questioni cruciali, verità da cui non si scappa. Il filosofo non cristiano Heidegger diceva che la morte è la possibilità
della pura e semplice impossibilità dell'Esserci. Una frase incomprensibile che però è interessante anche per chi , come
me, non l’ha mai capita: perché lascia intuire che anche il più importante filosofo del ‘900, il filosofo che ha
parlato del Nulla e dell’uomo, non può fare a meno di vedere nella morte un punto di paragone centrale per la
nostra vita.
87
MB, II, 150-152
30
È quello che dice don Bosco: per dare qualità alla mia vita devo comportarmi in modo che, quando arriverò alla
mia morte, potrò dirmi soddisfatto di quel che ho fatto. Per esempio, una che ha realizzato bene questo
proposito – anche se non credo l’abbia appreso direttamente da don Bosco – è Teresa di Lisieux, giovane santa
carmelitana morta appena 25enne, che spirando dice: “non muoio, entro nella vita”. Brava, ha capito tutto.
Insomma la confessione non è un gioco, il sacramento della Riconciliazione non ha nulla a che fare con certi
‘confessionali’ scandalistici dei programmi televisivi di successo; al contrario è una cosa seria, molto seria. Una
cosa vera, molto vera. Seria e vera circa le cose dure della nostra vita: il dolore, il sangue e la morte. Seria e vera
circa la Speranza che anima la nostra vita: il Paradiso, la vita in Cristo, l’eternità.
*
Circa l'efficacia di tanta sollecitudine di Don Bosco per la confessione, asserisce Don
Giovanni Turchi:
«Una cosa in particolare mi colpì entrando nell'Oratorio: trovarvi una pietà della quale non
aveva idea e devo dire che capii allora che cosa volesse dire confessarsi».88
Sull’accusa dei peccati…
Dalla vita di San Giovanni di Dio89
Una attenzione particolare Giovanni aveva per quelle peccatrici che più attiravano la sua
misericordiosa tenerezza: le prostitute.
Ogni venerdì, in memoria della passione del Signore, si recava in un postribolo, sceglieva la
donna più perduta e le diceva: "Figlia mia, tutto ciò che ti darebbe un altro, te lo darò... e
anche di più. Ti prego soltanto di ascoltare due parole, qui nella tua stanza". Mentre quella se
ne stava a guardarlo, lui si gettava in ginocchio davanti al suo Crocifisso e cominciava a
piangere e ad accusarsi dei suoi molti peccati, poi diceva: "Considera, sorella mia, quanto sei
costata a Nostro Signore!...".
LA SODDISFAZIONE
Quando non c’è
Quando lo spirito immondo esce dall'uomo, si aggira per luoghi aridi in cerca di riposo e, non
trovandone, dice: Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora
va, prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed essi entrano e vi alloggiano e la condizione finale di
quell'uomo diventa peggiore della prima". (Lc 11, 24-26)
Quando c’è
Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza
averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia (Is 55, 10)
Nella Sacra Scrittura appare frequentemente che Dio sia alla ricerca di giusti per salvare la
città degli uomini e lo stesso fa qui, in Fatima, quando la Madonna domanda: “Volete
offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di
88
89
MB, IV, 287
Tratto dal testo Ritratti di Santi di Antonio Sicari, ed. Jaca Book.
31
riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei
peccatori?”90
Con queste parole il papa, durante il suo ultimo viaggio in Portogallo, ha sottolineato
l’importanza della cosiddetta preghiera di riparazione che, in unione alla Passione di
Gesù, porta i fedeli a condividere in parte le sofferenze del Signore Crocifisso. La
sofferenza, questo è il modo con cui Lui ha tolto il nostro peccato, questa è la via
proposta in diversa misura a tutti i cristiani.
Ma perché parlarne in questo momento? Per ricordarci che il peccato non è una
convenzione che si può sciogliere a parole, ma è un danno che va riparato
concretamente: anche nella confessione non si tratta solo di fare la pace con un Dio un
po’ suscettibile, ma di affidarsi al Signore perché ripari il nostro danno, la ferita che
abbiamo causato alla creazione, partendo da noi stessi, il peccato dal quale non
possiamo venir fuori da soli.
Inoltre la confessione, essendo un grande gesto di umanità, è sempre anche un grande
gesto di responsabilità. Per questo anche chi si confessa è chiamato in qualche misura
a riparare i danni prodotti dal proprio peccato. In questa linea possiamo capire i
momenti della soddisfazione (oggi più nota come ‘penitenza’) e poi del proposito.
***
Don Bosco valorizzava anche la soddisfazione o penitenza sacramentale, per formare
i giovani allo spirito di penitenza e imporre loro, in forza del Sacramento ricevuto,
sapienti rimedi da praticare per evitare il peccato.
Parlando ai sacerdoti suoi collaboratori, il 30 giugno 1862,
«…raccomandò tra l'altro ai confessori di non dar penitenze leggere per peccati gravi, ma
fissarne qualcuna adatta per guarire il male e prevenirlo. Per esempio qualche meditazione
che si trova nel Giovane Provveduto91 per ciascun giorno della settimana; o qualche altra
considerazione come l'Esercizio di Buona Morte; o pratica di pietà, come sarebbe la Via
Crucis, la visita al Santissimo Sacramento, la corona di Maria Immacolata, ecc... Si cerchi
insomma di fermare il loro spirito su qualche punto o verità contenuta in quei libri. Così le
penitenze torneranno proficue».92
Anch'egli si regolava secondo questo criterio93. Nota inoltre il Biografo:
«Talvolta Don Bosco dà ai giovani la seguente penitenza: “Dirai il Veni, Sancte Spiritus a
onore e gloria dello Spirito Santo, perché ti illumini sempre nella strada del Signore che
conduce a salvamento e ti aiuti a perseverare in questa fino alla morte”».94
«Confessando dava spesso per penitenza qualche preghiera in onore dell'Angelo
Custode».95
Fra le penitenze che egli assegnava è facile notare il frequente ricorso alla Vergine per
meritare il dono della perseveranza nel bene. Inducendo i giovani a pregare, Don
Bosco era certo di assicurare il frutto delle confessioni.
Benedetto XVI, Santa Messa sulla Spianata del Santuario di Nostra Signora di Fatima – Omelia, del 13-52010.
91 Celebre manuale di preghiera scritto da don Bosco per i suoi ragazzi.
92 M.B., VII, 193
93 MB, XIV, 712
94 MB, VIII824
95 MB, IX, 838
90
32
Nei suoi continui richiami a praticare i consigli e gli avvisi del confessore, possiamo
pure vedere indirettamente raccomandato il dovere di praticare la penitenza imposta
in confessione.
Per capirci di più
Una conclusione molto semplice, con pochi consigli circa la ‘soddisfazione’ o penitenza, dai quali emerge una
sorta di principio guida, di sintesi pratica circa tutto il nostro tema: non esagerare con fisse e scrupolosità, non
sminuire la realtà e la gravità della posta in gioco, ma diffondere e difendere una seria e abituale pratica della
Confessione adatta per guarire il male e prevenirlo.
E fino alla fine sono ribaditi gli ingredienti generali: affidarsi alla Grazia di Dio invocando lo Spirito Santo,
pregare (Maria, gli angeli e i santi), riflettere e meditare su testi appropriati (solidi manualetti di spiritualità
cattolica, ritagliati su misura per i loro destinatari). Né più, né meno
*
Dopo queste sommarie indicazioni circa il metodo pastorale di San Giovanni Bosco
nel formare i giovani alla pratica della confessione, è possibile rendersi conto dei
frutti da lui ricavati.
I Biografi sì diffondono in significative testimonianze, di cui ecco un saggio tra i tanti:
«Quanti giovani buoni ed innocenti con la frequente Comunione sembravano imitare San
Luigi nella purezza della vita! Quanti, che nei loro paesi erano caduti nei lacci del demonio,
rinnovavano interamente la loro condotta e nella fede gareggiavano coi primi!
La virtù del Sacramento della Penitenza era evidente. Giovani disgraziati per antiche
abitudini, alla prima confessione fatta all'Oratorio si sentivano come rinati e liberi anche
per anni da ogni tentazione! Guai però se abusando della grazia, si gettavano in qualche
pericolosa occasione. Ciò noi abbiamo conosciuto dalla confidenza di molti e molti.
Vi erano poi di quei poveretti, imbevuti dello spirito anticristiano del mondo, accettati
da Don Bosco in prova e talvolta entrati con raccomandazioni false. In essi la cattiveria
talvolta superava l'età. E Don Bosco? Don Bosco non prendeva decisioni affrettate: si
armava di un forte spirito di sacrificio e prudentemente si dava da fare per portare a Dio
quelle anime. E più volte la sua carità ottenne il premio. Egli era solito pensare: “Come non
esiste terreno ingrato e sterile che non si possa rendere fertile per mezzo di lungo e
paziente lavoro, così vale anche per gli uomini: essi sono come un buon terreno, il quale per
quanto sia sterile e duro, produce prima o poi pensieri onesti e atti virtuosi, quando un
direttore con ardenti preghiere aggiunge i suoi sforzi alla mano di Dio nel coltivarla e
renderla feconda e bella. In ogni giovane, anche il più disgraziato avvi96 un punto
accessibile al bene, e dovere primo dell'educatore è di cercare questo punto, questa corda
sensibile del cuore e di trame profitto».97
Così la sapiente attenzione del medico delle anime, valorizzando il Sacramento del
perdono, riesce a ottenere quei frutti meravigliosi, che il Cuore Divino ha voluto,
nell'offrire all'umanità il capolavoro del suo amore.
96
97
“Si trova”, la frase è un classico, per questo abbiamo preferito non tradurla
MB, V, 366-367
33
Per capirci di più
Valorizzare il sacramento del Perdono, ecco una strada sicura per vincere lo spirito anticristiano del mondo
(don Bosco) e per educare la fede (Benedetto XVI), così da orientare la vita di ognuno verso l’eterna felicità,
verso la condivisione di vita e di amore della Santa Trinità, nostra origine e nostra destinazione.
Non siamo veramente chiamati ad altro; la Confessione è uno strumento per noi indispensabile in questo
pellegrinaggio che ci è stato donato di fare, il pellegrinaggio verso l’Infinito.
E questa prospettiva getta una nuova luce e offre una spiegazione semplice riguardo a un altro ostacolo che
scoraggia molti dal confessarsi: la necessità di dire i nostri peccati a un altro, magari a uno sconosciuto, al
sacerdote. Eppure proprio quell’Infinito di cui parlavamo ci chiede questo. L’Infinito che è Dio e che si è
rivelato a noi, non è un infinito egoismo, non è un infinito forzuto, non è un infinito self-service; ma è l’infinito
della Trinità che è comunione assoluta di Persone divine, è l’infinito di Cristo che si è unito alla famiglia umana,
è l’infinito di Maria e dei santi che hanno dimenticato se stessi per amore del prossimo. Sì, è l’infinito dell’amore
di chi vuole partecipare alla comunione della Trinità. Ecco perché qualsiasi gesto d’amore, anche i gesti dei
sacramenti, addirittura la fatica della confessione, deve passare attraverso la comunione tra le persone qui in
terra, in particolare attraverso la comunione con le persone che rappresentano per noi Cristo in terra, come i
sacerdoti…
Infine un ultimo appunto per chiudere a puntino la nostra chiacchierata. Parlando di soddisfazione entriamo in
un capitolo di non poco conto: quello relativo alle pene, al purgatorio e alle indulgenze. Lo diciamo a partire
da una domanda: ma perché, stando alla tradizione della Chiesa, capita di trovare in Purgatorio anche persone
che si son ben confessate nella loro vita? Risposta: perché la confessione toglie ogni colpa, ma in noi restano
delle impurità, in noi restano le pene dei peccati commessi. Solitamente il tempo del Purgatorio, come per ogni
purga che si rispetti, serve proprio a liberarci da ogni impurità. Una sorta di sauna, ma di quelle toste.98
Abbiamo detto ‘solitamente’, infatti è possibile ridurre le pene e il tempo da trascorrere in Pugatorio. Come?
Intensificando la vita di preghiera, penitenza ed elemosina. Tutto questo, per dirla con una tradizionale
espressione di sapore mercantile, permette di “lucrare le indulgenze”. Ogni indulgenza ottenuta riguarda la
purificazione di una pena.
È un discorso passato di moda, purtroppo. Purtroppo, perché invece è vero e valido. Non solo, ma in
quell’ottica esigente che don Bosco proponeva ai suoi ragazzi e che noi abbiamo proposto a noi stessi; in
quell’ottica che ci porta ad essere protagonisti attivi il più possibile nel nostro cammino verso la Trinità e verso il
Paradiso; in quest’ottica il discorso sulle indulgenze è preziosissimo. Non si tratta di superstizioni, non si tratta di
collezionismo, non si tratta di esteriorità (tutte degenerazioni possibili da cui guardarsi), ma si tratta di impegnare
tutto se stessi per Dio. Prima chiedendo la remissione delle colpe (Riconciliazione), poi purificandosi con opere
di carità (Indulgenze), per essere sempre in comunione con Dio e rivolti al suo Mistero (nell’Eucaristia e nel
servizio del prossimo).
Sulla soddisfazione…
Dalla vita di Sant’Ignazio di Loyola99
Abbiamo lasciato Ignazio con i suoi pensieri durante la convalescenza. Decise di mettere in atto
la vocazione mentre lo SS lo lavorava interiormente. Passava il suo tempo a pregare e a
scrivere. "La consolazione più grande, però, la riceveva guardando il cielo e le stelle; lo faceva
frequentemente e a lungo, perché, con questo, sentiva dentro di sé un grandissimo desiderio di
servire nostro Signore. Pensava molto al suo proposito, tanto che desiderava di essere ormai
già guarito per potersi mettere in cammino".
Sauna, tempo, fuoco, etc. Sono solo metafore – più o meno nobili – per parlare di una realtà che supera la
nostra immaginazione. Ma, appunto, essendo reale dobbiamo pur parlarne in qualche modo, facendoci capire
il più possibile.
99 Tratto dal testo Ritratti di Santi di Antonio Sicari, ed. Jaca Book.
98
34
E Ignazio partì per la Terra Santa. Prima tappa fu il santuario benedettino di Monserrat, nella
regione spagnola della Catalogna, dove preparò per iscritto la sua confessione generale: ci
impiegò tre giorni… La vigilia dell’Annunciazione, 24 marzo 1522, "in tutta segretezza se ne
andò da un povero, si spogliò dei suoi vestiti, di cui gli fece dono, e indossò una tunica di sacco
mal tessuto e assai ruvido" (A,16.18); poi iniziò la "veglia d’armi" davanti all’altare della
Madonna: una notte intera di preghiera, sempre in piedi o in ginocchio, per diventare cavaliere
di Dio e della Vergine Santa. Fermiamoci su questo aspetto. Il "pellegrino" volle seguire per se
stesso il rituale di armarsi "cavaliere di Cristo" sotto gli auspici di Nostra Signora, l’unica dama
della sua nuova cavalleria. Nella "veglia d’armi" possiamo immaginare le considerazioni del
suo spirito mentre fissava la Vergine Maria ricordando il momento in cui Lei ricevette l’annuncio
dell’Arcangelo Gabriele accettando di diventare Madre della Vita divina nel mondo. Aspettando
la festa della Incarnazione, quella notte quali dovevano essere i sentimenti, i pensieri, i desideri
di Ignazio nel guardare il Bambino Gesù in braccio alla Madre? Alla mattina, nella sua anima
albeggiava un nuovo giorno e sentiva che Nostra Signora gli sorrideva.
35
SCHEMA DI SINTESI PER LA CONFESSIONE
Preparati in un
misericordioso:
CLIMA DI PREGHIERA:
stai per incontrare, attraverso sacerdote, il Padre
Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Penetri da lontano i miei pensieri,
mi scruti quando cammino e quando
riposo.
Ti sono note tutte le mie vie;
la mia parola non è ancora sulla lingua
e tu, Signore, già la conosci tutta.
Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore,
provami e conosci i miei pensieri:
vedi se percorro una via di menzogna
e guidami sulla via della vita (Sal 138)
Inizia RINGRAZIANDO il Signore: è lui che ti dona di fare questo cammino, in questa
comunità, con questi fratelli che sostengono con la preghiera la tua conversione.
Ringrazialo anche di tutte le volte che ti ha sostenuto nella fatica della vita; delle persone
sante che ti ha fatto incontrare; di tutti i doni di cui ti ha ricolmato.
Se trovi in te mancanze gravi (PECCATI MORTALI) confessali con cuore aperto al sacerdote.
Cristo ha voluto che ottenessimo il perdono di tutte le nostre colpe gravi confessandole
alla sua Chiesa.
Per il resto, scegli UNO O ALCUNI PUNTI SU CUI LAVORARE, quelli che ti sembra facciano più
acqua. E anche qui apri con fiducia tutto il tuo cuore al Signore. E' lui che ti guida con
amore in questo cammino. Decidi di revisionarti spesso su questi punti; ritornaci
volentieri nelle prossime confessioni.
Metti in pratica l’esercizio penitenziale ricevuto dal confessore e scrivi il tuo proposito.
Ti sarà utile per verificarlo nella successiva confessione.
Ringrazia pieno di gioia il Padre misericordioso per il grande dono che ti ha concesso.
Qualche consiglio d’esperienza:
· Massimo un mese da una confessione all’altra
· Sii schietto e breve nella tua accusa dei peccati
· Chiedi al Signore di trovare il “tuo”confessore e sii lui fedele
Confessarsi significa riconoscersi peccatori e nello stesso tempo proclamare l’infinita
misericordia di Dio. Per confessarsi bene è indispensabile l'esame di coscienza,
esaminandosi in modo particolare su questi punti:
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ESAME DI COSCIENZA
1°Comandamento: “Io sono il Signore tuo Dio. Non avrai altri dei di fronte a me”
Gesù ha detto: “Non potete servire due padroni, non potete servire Dio e il denaro”
· Chi è Dio per me? Occupa il posto più importante nella mia vita?
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· Quali sono gli idoli che creano disordine nella mia vita? Denaro, lavoro eccessivo,
successo, carriere …?
2° Comandamento: “Non pronunciare invano il nome del Signore tuo Dio”
Gesù ha detto: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura”
· Rispetto il nome di Dio, di Maria, dei santi? Bestemmio facilmente? Uso un linguaggio
volgare?
· Do testimonianza coerente della mia fede, oppure ho vergogna di vivere e di
presentarmi come cristiano?
3° Comandamento: “Ricordati di santificare le feste”
Gesù ha detto: “Fate questo in memoria di me”
· Partecipo attivamente alla Messa domenicale e festiva?
· Per me, la domenica è veramente il giorno del Signore? Oppure è un giorno di lavoro
come gli altri?
· Il mio svago è tutto? Dedico del tempo alla mia famiglia e a persone bisognose?
4° Comandamento: “Onora tuo padre e tua madre”
Gesù ha detto: “Amatevi come io vi ho amati”
· Manco di rispetto verso i miei familiari?
· Sono violento in casa? Umilio le persone? Sono geloso?
· Collaboro nelle faccende domestiche oppure mi faccio servire?
· Prego per i miei familiari?
5° Comandamento: “Non uccidere”
Gesù ha detto: “Chiunque si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a
giudizio”
· Rispetto la vita del prossimo, soprattutto del più debole, fin dal suo concepimento?
· Ho la forza di chiedere scusa quando faccio soffrire qualcuno?
· Aiuto concretamente chi è nel bisogno?
· Sono capace di perdonare? Ho dei rancori verso qualcuno?
· Ho fatto del male a me stesso esagerando nel mangiare, nel bere, nel fumare,
prendendomi libertà di ogni tipo?
6° Comandamento: “Non commettere atti impuri”
Gesù ha detto: “La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro
tutto il tuo corpo sarà nella luce”
· Ho l’abitudine di fare discorsi osceni?
· Ho letto, ascoltato, guardato libri, riviste, spettacoli immorali?
· So controllare i miei istinti?
7° Comandamento: “Non rubare”
Gesù ha detto: “Guardatevi da ogni avarizia perché anche se uno è
nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni”
· So mettere a servizio degli altri i talenti che Dio mi ha dato?
· Sono giusto e onesto nella mia vita?
· Sto studiando con coscienza e professionalità?
· Ho l’abitudine di umiliare o trattare con durezza i miei amici?
· Rispetto quanto appartiene alla società: strade, mezzi di trasporto, luoghi e edifici
pubblici?
· Perdo il mio tempo? Come gestisco il mio tempo libero?
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8° Comandamento: “Non pronunciare falsa testimonianza”
Gesù ha detto: “Il vostro parlare sia “sì sì”, “no no”; il di più viene dal maligno”
· Sono sincero e leale nei pensieri, nel linguaggio, nelle azioni?
· Danneggio la reputazione e l’onore degli altri?
9° Comandamento: “Non desiderare la donna d’altri”
Gesù ha detto: “Chiunque guarda una donna o un uomo con passione ha già
commesso adulterio nel suo cuore”
· Sono sempre fedele negli affetti e nelle azioni?
· So avere comprensione nei momenti di difficoltà in famiglia?
10° Comandamento: “Non desiderare la roba d’altri”
Gesù ha detto: “Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli,
dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma”
· Ho l’abitudine allo spreco?
· Sono eccessivamente attaccato alle cose?
· Cosa faccio per i poveri vicini e lontani?
***
Alcune formule che puoi utilizzare per manifestare il tuo desiderio di conversione
sincera:
Mio Dio,
mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati,
perché peccando ho meritato i Tuoi castighi
e molto più perché ho offeso Te,
infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa.
Propongo col Tuo santo aiuto di non offenderTi mai più
e di fuggire le occasioni prossime del peccato.
Signore, misericordia, perdonami!
Oppure:
O Gesù d’amore acceso,
non ti avessi mai offeso
o mio caro e buon Gesù
con la tua santa Grazia
non ti voglio offender più
mai più disgustarti
perché ti amo sopra ogni cosa.
Gesù, misericordia, perdonami!
Oppure:
Padre santo, come il figliuol prodigo
mi rivolgo alla tua misericordia:
“Ho peccato contro di Te,
non sono più degno d’esser chiamato tuo figlio”.
Cristo Gesù, Salvatore del mondo,
che hai aperto al buon ladrone
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le porte del paradiso,
ricordati di me nel Tuo regno.
Spirito Santo, sorgente di pace e d’amore,
fa’ che, purificato da ogni colpa
e riconciliato con il Padre,
io cammini sempre come figlio della luce.
Oppure:
Signore Gesù Cristo,
Agnello di Dio che togli i peccati del mondo,
riconciliami con Dio Padre
nella grazia dello Spirito Santo,
lavami nel Tuo sangue da ogni peccato
e fa’ di me una creatura nuova
a lode della Tua gloria
I SACRAMENTI DI GUARIGIONE100
295. Perché Cristo ha istituito i Sacramenti della Penitenza e dell'Unzione
degli infermi? (1420-1421;1426)
Cristo, medico dell'anima e del corpo, li ha istituiti perché la vita nuova, da lui
donataci nei sacramenti dell'iniziazione cristiana, può essere indebolita e persino
perduta a causa del peccato. Perciò Cristo ha voluto che la Chiesa continuasse la sua
opera di guarigione e di salvezza mediante questi due sacramenti.
296. Come viene chiamato questo Sacramento? (1422-1424)
Esso viene chiamato Sacramento della Penitenza, della Riconciliazione, del Perdono,
della Confessione, della Conversione.
297. Perché esiste un Sacramento della Riconciliazione dopo il Battesimo?
(1425-1426; 1484)
Poiché la vita nuova nella grazia, ricevuta nel Battesimo, non ha soppresso la
debolezza della natura umana, né l'inclinazione al peccato (cioè la concupiscenza),
Cristo ha istituito questo Sacramento per la conversione dei battezzati, che si sono
allontanati da lui con il peccato.
298. Quando fu istituito questo Sacramento? (1485)
Il Signore risorto ha istituito questo Sacramento quando la sera di Pasqua si mostrò
ai suoi Apostoli e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati
saranno rimessi, e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi» (Gv 20,22-23).
299. I battezzati hanno bisogno di convertirsi? (1427-1429)
100 Dal Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica riportiamo tutta la sezione relativa al sacramento
della Riconciliazione; i numeri sono relativi ai singoli articoli.
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L'appello di Cristo alla conversione risuona continuamente nella vita dei battezzati.
La conversione è un impegno continuo per tutta la Chiesa, che è Santa ma
comprende nel suo seno i peccatori.
300. Che cos'è la penitenza interiore? (1430-1433; 1490)
È il dinamismo del «cuore contrito» (Sal 51,19), mosso dalla grazia divina a
rispondere all'amore misericordioso di Dio. Implica il dolore e la repulsione per i
peccati commessi, il fermo proposito di non peccare più in avvenire e la fiducia
nell'aiuto di Dio. Si nutre della speranza nella misericordia divina.
301. In quali forme si esprime la penitenza nella vita cristiana? (1434-1439)
La penitenza si esprime in forme molto varie, in particolare con il digiuno, la
preghiera, l'elemosina. Queste e molte altre forme di penitenza possono essere
praticate nella vita quotidiana del cristiano, in particolare nel tempo di Quaresima e
nel giorno penitenziale del venerdì.
302. Quali sono gli elementi
Riconciliazione? (1440-1449)
essenziali
del
Sacramento
della
Sono due: gli atti compiuti dall'uomo, che si converte sotto l'azione dello Spirito
Santo, e l'assoluzione del sacerdote, che nel Nome di Cristo concede il perdono e
stabilisce le modalità della soddisfazione.
303. Quali sono gli atti del penitente? (1450-1460; 1487-1492)
Essi sono: un diligente esame di coscienza; la contrizione (o pentimento), che è
perfetta quando è motivata dall'amore verso Dio, imperfetta se fondata su altri motivi,
e che include il proposito di non peccare più; la confessione, che consiste nell'accusa
dei peccati fatta davanti al sacerdote; la soddisfazione, ossia il compimento di certi
atti di penitenza, che il confessore impone al penitente per riparare il danno causato
dal peccato.
304. Quali peccati si devono confessare? (1456)
Si devono confessare tutti i peccati gravi non ancora confessati, dei quali ci si ricorda
dopo un diligente esame di coscienza. La confessione dei peccati gravi è l'unico modo
ordinario per ottenere il perdono.
305. Quando si è obbligati a confessare i peccati gravi? (1457)
Ogni fedele, raggiunta l'età della ragione, ha l'obbligo di confessare i propri peccati
gravi almeno una volta all'anno, e comunque prima di ricevere la santa Comunione.
306. Perché i peccati veniali possono essere anch'essi oggetto della
confessione sacramentale? (1458)
La confessione dei peccati veniali è vivamente raccomandata dalla Chiesa, anche se
non è strettamente necessaria, perché ci aiuta a formarci una retta coscienza e a
lottare contro le cattive inclinazioni, per lasciarci guarire da Cristo e per progredire
nella vita dello Spirito.
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307. Chi è il ministro di questo Sacramento? (1461-1466; 1495)
Cristo ha affidato il ministero della riconciliazione ai suoi Apostoli, ai Vescovi loro
successori e ai presbiteri loro collaboratori, i quali diventano pertanto strumenti della
misericordia e della giustizia di Dio. Essi esercitano il potere di perdonare i peccati
nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
308. A chi è riservata l'assoluzione di alcuni peccati? (1463)
L'assoluzione di alcuni peccati particolarmente gravi (come quelli puniti con la
scomunica) è riservata alla Sede Apostolica o al Vescovo del luogo o ai presbiteri da
loro autorizzati, anche se ogni sacerdote può assolvere da qualsiasi peccato e
scomunica chi è in pericolo di morte.
309. Il Confessore è tenuto al segreto? (1467)
Data la delicatezza e la grandezza di questo ministero e il rispetto dovuto alle
persone, ogni Confessore è obbligato, senza alcuna eccezione e sotto pene molto
severe, a mantenere il sigillo sacramentale, cioè l'assoluto segreto circa i peccati
conosciuti in confessione
310. Quali sono gli effetti di questo Sacramento? (1468-1470; 1496)
Gli effetti del Sacramento della Penitenza sono: la riconciliazione con Dio e quindi il
perdono dei peccati; la riconciliazione con la Chiesa; il recupero, se perduto, dello
stato di grazia; la remissione della pena eterna meritata a causa dei peccati mortali e,
almeno in parte, delle pene temporali che sono conseguenze del peccato; la pace e la
serenità della coscienza, e la consolazione dello spirito; l'accrescimento delle forze
spirituali per il combattimento cristiano.
311. In alcuni casi si può celebrare questo Sacramento con la confessione
generica e l'assoluzione collettiva? (1480-1484)
In casi di grave necessità (come in pericolo imminente di morte), si può ricorrere alla
celebrazione comunitaria della Riconciliazione con la confessione generica e
l'assoluzione collettiva, nel rispetto delle norme della Chiesa e con il proposito di
confessare individualmente a tempo debito i peccati gravi.
312. Che cosa sono le indulgenze? (1471-1479; 1498)
Le indulgenze sono la remissione dinanzi a Dio della pena temporale meritata per i
peccati, già perdonati quanto alla colpa, che il fedele, a determinate condizioni,
acquista, per se stesso o per i defunti mediante il ministero della Chiesa, la quale,
come dispensatrice della redenzione, distribuisce il tesoro dei meriti di Cristo e dei
Santi.
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Quando la gente chiede a me, o a qualsiasi altro: “Perché vi siete unito alla Chiesa di
Roma?”, la prima risposta essenziale, anche se in parte incompleta, è: “Per liberarmi
dai miei peccati”. Poiché non v’è nessun altro sistema religioso che dichiari veramente
di liberare la gente dai peccati. Ciò trova la sua conferma nella logica, spaventosa per
molti, con la quale la Chiesa trae la conclusione che il peccato confessato, e pianto
adeguatamente, viene di fatto abolito, e che il peccatore comincia veramente di nuovo,
come se non avesse mai peccato. […] Orbene, quando un cattolico ritorna dalla
confessione entra veramente, per definizione, nell’alba del suo stesso inizio, e guarda
con occhi nuovi attraverso il mondo, ad un Crystal Palace che è veramente di cristallo.
Egli sa che in quell’angolo oscuro, e in quel breve rito, Dio lo ha veramente rifatto a
Sua immagine. Egli è ora un nuovo esperimento del Creatore. E’ un esperimento
nuovo tanto quanto lo era a soli cinque anni. Egli sta, come dissi, nella luce bianca
dell’inizio, pieno di dignità, della vita di un uomo. Le accumulazioni di tempo non
possono più spaventare. Può essere grigio e gottoso, ma è vecchio soltanto di cinque
minuti…
M’interessa in modo speciale il fatto che queste dottrine (cattoliche) sembrino tener
legata tutta la mia vita fin dall’inizio, come nessuna delle altre dottrine potrebbe fare.
Specialmente pare che rendano chiari, simultaneamente, i due problemi della mia
felicità di fanciullo, e del mio ansioso meditare di ragazzo. Essi si riferiscono
particolarmente ad un’idea centrale della mia vita; non dirò la dottrina che ho sempre
insegnato, ma la dottrina che mi sarebbe piaciuto insegnare. L’idea cioè di accettare le
cose con gratitudine, ma non di prenderle senza curarsene. Così, il Sacramento della
Penitenza dà una vita nuova, e riconcilia l’uomo con tutto ciò che vive, ma non lo fa
come lo fanno gli ottimisti e gli edonisti e i predicatori pagani della felicità. Il dono
vien fatto ad un prezzo, ed è condizionato alla confessione. In altre parole, il nome del
prezzo è Verità, che può essere chiamata anche Realtà; ma significa porsi di fronte alla
realtà del proprio essere. Quando il processo vien applicato alle altre persone viene
chiamato Realismo.
(G. K. Chesterton dalla sua Autobiografia)
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