IL CORAGGIO DI VIVERE a cura di: Iniziative Educative (uscita lunedì 2 giugno ’14 – su il Trentino) “Lo psicologo, questo conosciuto!” Ieri sera ho assistito ad una conferenza di Corrado Ceschinelli, un caro amico e collega. È stata una di quelle serate dove non ti accorgi che il tempo passa: momenti in cui ascolti, immobile, ma dentro di te si muove qualcosa che si traduce in entusiasmo ed energia. In termini scientifici, questa condizione si definisce “stato di flow” o “stato di flusso”, ovvero quei momenti in cui non vorresti essere da nessun'altra parte se non nel posto in cui sei: si potrebbe paragonare allo stato di meditazione. Mentre ascoltavo, dentro di me, si accendevano intuizioni, riflessioni, deduzioni … e mi rendevo conto di quanto fosse estremamente illuminante quanto stavo sentendo. Ho iniziato a riflettere sul ruolo degli educatori, di qualsiasi tipologia essi siano, e sulle responsabilità che queste figure hanno, o dovrebbe avere, nei confronti della loro professione. In particolare mi sono soffermata sulla figura dello “psicologo”, (visto che appartengo a questa categoria), professione tormentata e, a volte, torturata, da più direzioni. Sullo psicologo si dice, e si è detto, di tutto e di più! C'è chi (modestamente …) afferma che chiunque potrebbe fare lo psicologo. Spesso, infatti, si sentono affermazioni del tipo: “Eh, vedi, anch'io posso fare lo psicologo!”, magari proprio da persone che, appena si voltano, riescono a trovare le più “contorte” critiche verso questa figura. Da un altro lato c'è chi ancora pensa: “A me non serve lo psicologo, non sono mica matto!” Per poi arrivare a quelli che in ogni discussione, quando non sanno più cosa dire: “Ah, io non so! Sei tu lo psicologo!”. Sembra quindi che tale figura oscilli dall'essere completamente vanificata e svalutata, all’essere massimamente mitizzata. A volte, tutto questo, mi disarma e mi disorienta, mentre altre volte, ahimè, m’innervosisce e mi rattrista. Ho deciso, quindi, di dedicare questo piccolo spazio per fare un po’ di ordine, cercando di riconoscere la giusta forma e il giusto rispetto a questa professione, che per sua natura, si è ripromessa di aiutare il prossimo nel modo forse più difficile e complicato che esiste: entrare nell’animo umano. Per prima cosa vorrei rendere noto che lo psicologo non è Dio! E aggiungo: per fortuna! Lo psicologo non ha il “libro sacro”, che contiene “le risposte a tutte le domande”, ma è un essere umano, imperfetto e perfettibile, come tutti e, come tutti, sbaglia e impara. Come tutti, s’interroga su questioni, più o meno profonde della vita, s’impegna cercando di capire e di approfondire, ma ciò non significa che riuscirà a risolvere tutti i problemi del mondo, anzi, a volte, sarà lui stesso parte integrante di essi. Lo psicologo, essendo, indiscutibilmente, un essere umano, mangia, beve, dorme, manifesta emozioni, e spesso, come tutti, si arrabbia e prova quei sentimenti che non lo rendono “invulnerabile” come, a volte, si vorrebbe. Sperimenta la vita, come tutti: nessuno gli ha dato il libretto di istruzioni cosmico, né quello di “come funziona” l’essere umano. Lo psicologo non è uno specialista arrivato, ma è un professionista che continua a formarsi, a conoscere e imparare come le persone cambiano e si trasformano ogni giorno. Ciò che, a mio parere, rende uno psicologo bravo nel suo lavoro è quanto, prima di tutto, sia aperto a sé stesso, presente a sé stesso. Un bravo psicologo non è uno psicologo che non piange mai, che non si arrabbia, che non sgrida i propri figli, che non ha emozioni ... No! Un bravo psicologo è colui che costantemente si osserva e costantemente studia, partecipando alla conoscenza dell'uomo e alla sua complessità, aumentando la sua consapevolezza e scoprendo il perché delle sue azioni e reazioni. Un bravo psicologo è colui che sa restituire al paziente l'immagine di sé stesso, mettendosi il più possibile da parte, fornendo strumenti e strategie per conoscersi e orientarsi nel mare tumultuoso della vita, perché egli stesso ha sperimentato tutto questo su di sé. Il bravo psicologo sa ascoltare, ma soprattutto sa generare empatia, non per dono divino, ma perché, il più delle volte, ha già provato su di se le medesime sofferenze, e ha cercato, in lungo e in largo, strategie e soluzioni. Ma, soprattutto, uno psicologo potrà davvero considerarsi “bravo” quando sarà riuscito a restituire la responsabilità della vita al suo paziente, dopo aver, ancora una volta, raggiunto tale meta per se stesso, poiché solo chi è divenuto protagonista della propria vita è in grado di deciderla; gli altri, in un modo o nell’altro, la subiscono … V. L. - Psicologa www.iniziativeducative.it