Sezione: arte architettura - Pagina: 009 (3 dicembre, 2007) - Corriere della Sera Anteprima L' architetto Michele De Lucchi spiega il significato dell' opera per il nuovo spazio alla Triennale Ponte per il design «Un percorso di bambù e acciaio verso gli oggetti della creatività» Lo sa, vero, che i greci non costruivano ponti perché ritenevano sacrilego unire due spazi separati? «Io preferisco pensarla come Martin Heidegger - risponde Michele De Lucchi, ferrarese, 56 anni, uno dei maestri del disegno industriale italiano, che firma il ponte di accesso e l' allestimento del Design museum milanese, che aprirà il 6 dicembre in Triennale -: credo che il ponte unisca, anche metaforicamente. Soprattutto oggi, che c' è necessità di tolleranza, c' è bisogno di ponti». Il suo ponte com' è? «Ho fatto un oggetto di design, costruito in fabbrica con il falegname Riva di Cantù e montato in Triennale proprio adesso, alla vigilia dell' apertura del museo dedicato al design». Montato come quello di Calatrava a Venezia che sta generando molte polemiche «Beh, questo ponte è come uno sci laminato, fatto tutto in fabbrica. È un ponte speciale nella struttura della Triennale: nato un po' da solo. C' era bisogno di costruire una nuova circolazione per il museo che doveva risaltare e avere un proprio ingresso, una specie di vetrina». E come si è relazionato con il palazzo di Giovanni Muzio? «Ho la coscienza a posto con Muzio; credo che a lui questo ponte piacerebbe, solo che ai suoi tempi non lo poteva fare, le tecnologie non erano perfezionate come oggi. Ho costruito un ponte di bambù, materiale che ha forza straordinaria, e con colle pressate». E i colori? «Ho lasciato il colore naturale. Altre parti sono verniciate con il grigio Triennale, quello dato da Muzio agli infissi del palazzo». A lei piace progettare ponti e tralicci, ha disegnato anche quelli dell' Enel «Li ho progettati con Achille Castiglioni e all' inizio eravamo spaventati. Forse questi oggetti mi piacciono perché sono a metà strada tra design e architettura, e si legano alla tradizione di Gio Ponti, Marco Zanuso e i grandi maestri italiani». Il disegno industriale si va orientando su pezzi d' autore o a tiratura limitata anziché sulla larga scala «Il design è una disciplina creativa che usa l' industria, ma deve essere alimentata da ricerche, esperimenti, tentativi non fatti per il grande mercato. Anche il design per il design ha un senso, come ha mostrato Munari. Servono pure le sperimentazioni». Un museo è per cose morte: ha senso realizzare un museo per il design? «Ma qui si farà un museo vivo, a rotazione: ogni 18 mesi cambieranno gli oggetti. Io speravo anche più di frequente, perché il design si evolve: non sarà museo, ma vetrina che farà crescere la disciplina. Sarà utile». Ma quali maestri o quali oggetti devono esserci sempre per forza in un museo del design? «Metterei gli oggetti ispiratori, non quelli che hanno venduto tanto, quelli che hanno influenzato di più. Penso ai lavori di Ettore Sottsass, Bruno Munari e Achille Castiglioni. Penso agli oggetti del gruppo Memphis, a un libretto per bambini di Munari, al ready-made di Castiglioni». Del gruppo Alchimia nulla? «No, no, sicuramente metterei la poltrona Proust disegnata da Alessandro Mendini, che ha rotto con il design tradizionale». Ponte in Triennale a parte, a Milano sta lavorando anche al Teatro Franco Parenti e al Castello Sforzesco: si trova bene a lavorare qui? «Mi trovo bene. L' intervento al Franco Parenti è in dirittura d' arrivo; al Castello da cominciare. Al Parenti abbiamo realizzato l' idea di Andrée Ruth Shammah di non fare un teatro, ma un' officina, con sale di intrattenimento. La formula del museo al Castello è semplice: faremo il museo dei musei. Nove «porte», ciascuna richiama una collezione milanese, ognuna con una sua identità e specificità». * * * L' APERTURA Il Design Museum Triennale verrà inaugurato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il 6 dicembre (sarà aperto al pubblico dal 7) DOVE Al primo piano del Palazzo di viale Alemagna su circa 2000 metri quadrati. Conterrà oggetti dal Dopoguerra a oggi, che ruoteranno ogni 18 mesi GLI ORARI Da martedì a domenica, 10.30/20.30. Ingr. 11 euro con catalogo Panza Pierluigi La Repubblica 03-12-07, pagina 1, sezione MILANO L' assessore Masseroli: i costruttori privati? Grande opportunità, senza i loro soldi non si va da nessuna parte 'Ponte pedonale tra Citylife e Portello' MAURIZIO BONO «Il dibattito sui grattacieli? Bello, ma quand' è che cominciamo a parlare del futuro? Se stiamo ancora qui a parlare della Stecca - già demolita - non andiamo da nessuna parte». Carlo Masseroli, 40 anni, ingegnere, dal 2006 assessore all' Urbanistica, da politico consumato (con radici profonde nell' area ciellina) conosce il vantaggio di un esordio aggressivo. Ma sa anche quand' è il momento di cogliere l' occasione per un dialogo più pacato, fino a prefigurare un metodo per arrivare a scelte più condivise con la città. (SEGUE A PAGINA II) Assessore Masseroli, se i cittadini hanno ancora tanta voglia insoddisfatta di dire la loro sui grandi progetti, non è anche colpa sua? I benevoli direbbero che va troppo di corsa, i più critici che non volete ascoltare abbastanza. «Ma sì, va bene che perfino i vostri lettori si siano divisi a metà sul tema dei grattacieli. Venendo il dato da un' area di opinione come quella di Repubblica, è incoraggiante. Quello che non mi va giù è il dibattito fazioso. Certo, sui grandi lavori partiti prima di questa giunta abbiamo accelerato cantieri che segnavano il passo da anni. Ma sempre dopo aver verificato la coerenza delle scelte progettuali con le esigenze urbanistiche. Migliorandole fino all' ultimo». Siccome non tutti se ne accorti, non le spiacerà provare a convincerli... «All' ex Fiera c' era un progetto con tre altissime torri senza una fermata del metrò. Era prevista una fermata a Repubblica Garibaldi, ma non il suo proseguimento. A quel punto abbiamo ridiscusso entrambi i progetti, partendo intanto solo con le bonifiche, per prolungare la linea fino a Citylife. Nel frattempo Milano Fiera ci ha comunicato che non intendeva più fare esposizione in alcuni suoi capannoni, e abbiamo acquisito l' area: il parco passa da 80 a 150 mila metri quadrati, e ora un ponte ciclopedonale collega Citylife alle colline artificiali dell' area Portello e di lì a Monte Stella. Vedrete». Quando? «Entro Natale sarà presentato il nuovo piano planivolumetrico». Anche stavolta potrà essere accusato di non aver discusso i cambiamenti coi cittadini della zona. «A Citylife ci sono due comitati, col primo il confronto è costante, al secondo abbiamo chiesto, prima di sederci al tavolo, di ritirare i suoi ricorsi al Tar. Non lo ha fatto, quindi è fuori. Io non dialogo con la pistola puntata. Ma che siamo aperti a discutere lo dimostra anche Garibaldi Repubblica». Un' altra critica abituale è che lei abbia un occhio di riguardo per Milano Fiera. «Guardi, noi facciamo il tifo per tutti i progetti dei nostri operatori. Report dice che ci dettano loro i progetti, ma la realtà è che i privati sono una grande opportunità per la città: possiamo essere intelligenti finché si vuole, ma non si va da nessuna parte senza i loro soldi». Però bisogna saperli usare. Santa Giulia aveva offerto in conto oneri aggiuntivi un Centro Congressi, ora Milano Fiera vuol farsi il suo, così ce n' è uno di troppo. «Abbiamo aperto un tavolo con Milano Fiera e Zunino, troveremo una soluzione entro fine anno. L' unico vincolo è che Portello, qualunque cosa diventi, non dovrà produrre altra congestione nella zona e restare di pubblica utilità». Il nuovo planimetrico di Citylife, l' accordo FieraSanta Giulia. C' è altro prima del 2008? «Mercoledì e il 28 scadono i termini del periodo di osservazione per le 140 e passa aree vincolate dal vecchio piano regolatore che abbiamo sbloccato con due delibere. Le osservazioni dei proprietari, delle associazioni e dei singoli stanno arrivando in Comune e fra pochi mesi partiranno i lavori di recupero e di ricostruzione su 10 milioni di metri quadrati, oltre 1300 subito edificabili per case e servizi». Ma quando tutta questa offerta arriverà di colpo sul mercato, troverà acquirenti? «Le grandi operazioni immobiliari stanno già vendendo bene: guardi la scelta di Sky di andare a Santa Giulia. Il terziario avanzato ha bisogno di uffici flessibili, cablati, ben collegati. Ed è solo l' inizio: questo permetterà di liberare zone di terziario più vecchio e, dove è il caso, demolire e ricostruire. Migliorando la qualità della città e aumentando la densità senza mangiare altro suolo». Insomma, al terremoto seguiranno scosse di assestamento di durata indefinita. Pensa davvero di poterle gestire in mezzo a conflitti e ricorsi? «A questo dovrebbe pensare lo strumento più semplice e flessibile che sostituirà il piano regolatore, cioè il piano di governo del Territorio». Che è ancora un oggetto un po' misterioso. Ce la fa a spiegarlo in breve? «Oggi il Prg dice se si può costruire, e che cosa, nelle zone di proprietà di privati o del Comune. Il risultato è che i privati quasi sempre non possono farci nulla e che il Comune ha terreni dove non ha interesse o soldi per costruire, ma non ha risorse per rilevare aree utili per infrastrutture, parchi, edilizia pubblica. Col nuovo sistema si stabilisce un diritto "astratto" a costruire secondo certi indici di cubatura, e questi diritti si possono scambiare. Per esempio chi ha diritti edificatori su un' area a indice basso che interessa al Comune può trasferirli in una zona destinata a palazzi (per esempio le aree pubbliche degli ex scali ferroviari, o aree private), e quando le aree originali restano a diritti edificatori zero tornano al Comune per farci verde o infrastrutture». Che voce avranno i cittadini in proposito? «Per queste scelte è indispensabile una conoscenza precisa del territorio e delle sue esigenze. Per questo incontreremo non solo i consigli di zona ma associazioni di cittadini, banche, operatori, imprese, volontariato. Non vogliamo un piano della giunta, ma il piano della città. L' ascolto non sarà un fatto ideologico o di cortesia: in questi giorni sono stato a Rogoredo con il consigliere del Pd Comotti, a Ponte Lambro con Cormio, al Lorenteggio con Carmela Rozza. Così come da altre parti con Rizzi di Forza Italia». Il risultato? «Ho ascoltato discorsi civilissimi da gente che fino a ieri mi attaccava selvaggiamente. Se il buongiorno si vede dal mattino, non avremo bisogno di andare a colpi di maggioranza, in Consiglio». Se state nei tempi, ci arriverete poco dopo la decisione sull' Expo. Che rapporto c' è? «Quello che stiamo facendo prescinde dall' Expo. Ma se ci sarà assegnato, sarà un' opportunità per andare più veloci». Con l' Expo, però, il sindaco avrà poteri speciali, peraltro concessi dal governo Prodi. Può già dire che non saranno usati per bypassare il dialogo con la città? «Qualora dovessero esserci poteri speciali, non vorrei in alcun modo che ciò ledesse la possibilità di condivisione sulle linee del Pgt. La velocità non sostituisce il valore di un comune sentire sulle cose giuste da fare per Milano». Sezione: reati - Pagina: 005 (4 dicembre, 2007) - Corriere della Sera Bollate, Carlo Stelluti denunciato da un assessore Sindaco a giudizio per falso A fare finire nei guai il sindaco di Bollate Carlo Stelluti, ex onorevole Ds ed ex segretario milanese della Cisl, è stato l' assessore al personale della sua stessa giunta. Una denuncia di Bruno De Pascale, infatti, ha portato al rinvio a giudizio deciso dal Gup Alessandra Cerreti - di Stelluti e del segretario comunale Silvia Teresa Asteria per falso in atto pubblico con l' accusa di aver firmato una delibera nella quale si attestava falsamente che De Pascale era presente alla seduta in cui era stato varato l' atto. Secondo la denuncia di De Pascale, sostenuta in accusa dal pm Giulio Benedetti, la delibera fu portata in giunta fuori dall' ordine del giorno. Come tale, per essere approvata aveva bisogno del voto favorevole di tutti gli assessori. L' atto riguardava l' affidamento (il sindaco era contrario) di un settore importante e strategico quale la direzione area urbanistica e lavori pubblici a un professionista esterno e non a un funzionario del comune. Guastella Giuseppe Sezione: parchi - Pagina: 006 (4 dicembre, 2007) - Corriere della Sera L' indagine Aim, censiti i giardini storici. «Più aree alberate per i nostri bimbi» «A rischio il verde di Milano» Expo, via a 13 nuovi parchi Il Comune: pronti entro il 2015. Gli ambientalisti: troppo cemento, non basta. L' assessore Cadeo: 21 milioni spesi in pulizia. Aldo Castellano, docente del Politecnico: «Verde sempre più selvaggio» Quattro secoli e mezzo fa, nel cuore della città, nasceva il primo giardino pubblico: 18 mila metri quadrati di verde. Merito della contessa Guastalla, alla quale è intitolato il fazzoletto tra le vie San Barnaba e Sforza, che pensò così di favorire l' incontro delle giovani da marito con nobili pretendenti. Oggi i milanesi hanno 59 tra parchi e giardini, 20 milioni di metri quadrati di verde pubblico. Entro il 2015, per l' Expo, ne nasceranno altri tredici, per tre milioni di metri quadri in tutto (da Porta Nuova a Santa Giulia, dal Portello al Sieroterapico). Un verde, come racconta Aldo Castellano, docente di storia dell' architettura al Politecnico, «sempre meno addomesticato e più selvaggio, sulla falsariga del Bosco in città». Ma per verde che nasce, ce n' è altro che rischia. Alberi malati, giardini dimenticati, a partire da quelli storici. Nonostante i 21 milioni di euro spesi dal Comune ogni anno per la manutenzione e la pulizia. Il milione di nuovi alberi promessi dall' ex sindaco Albertini è rimasto una promessa. L' Associazione interessi metropolitani in un volume di 300 pagine («Il verde a Milano»), nel quale ha mappato per la prima volta l' esistente, raccontando cinquecento anni di storia della metropoli attraverso i suoi giardini, stima che gli alberi in città siano 185 mila. Maurizio Cadeo, assessore alla partita, di nuovi alberi ne promette «500 mila». E precisa: «L' opera di riforestazione è già cominciata». Scettici gli ambientalisti. «Vogliamo parlare della proposta di legge regionale che toglie ai grandi Parchi la possibilità di vietare la cementificazione sul loro territorio?», dice il consigliere regionale verde Carlo Monguzzi. Incalzato dal collega Maurizio Maruffi: «Meno alberi, più parcheggi, meno giardini di quartiere, più case». E da Aldo Ugliano, consigliere Pd: «Negli ultimi dieci anni si è costruito tanto e il verde è cresciuto in modo insufficiente. E, poi, le recenti delibere sulle aree B2 rischiano di risvegliare nuovi appetiti dei cementificatori». L' atlante del verde «non offre soluzioni ai problemi noti, come la manutenzione e la sicurezza, ma spinge a riflettere su quanto il verde sia garanzia di qualità della vita per ogni cittadino e in quanto tale vada difeso e potenziato». [email protected] D' Amico Paola Sezione: enti locali comuni - Pagina: 003 (5 dicembre, 2007) - Corriere della Sera La replica «Mi attacca? È lo sfogo di un sindaco in difficoltà» Albertini: la Moratti sempre più impopolare Albertini non mostra l' altra guancia. Si dice «solidale con lo sfogo della Moratti» che l' ha attaccato sostenendo di aver trovato in Comune «tanti problemi non risolti», ma poi gira il coltello nella piaga e afferma perfido: «Oltre all' insieme di negatività oggettive, tra cui un avviso di garanzia per reati penali che arreca un certo disagio, la cosa che preoccupa veramente è il calo di popolarità di Letizia Moratti». E via a citare sondaggi e a fare paragoni con se stesso, per poi concludere in un' intervista ad Affaritaliani.it che «un insieme di situazioni così negative portano le persone ad avere momenti di sconforto nei quali si cerca un appiglio». «Un appoggio che le do volentieri», assicura l' ex sindaco. Il parlamentare europeo di Forza Italia coglie l' occasione delle polemiche contro la sua ex giunta per bollare il ticket d' ingresso modello Moratti come «un pasticcio». Ma è l' aspetto legale che sembra appassionarlo più di tutto: «Il sindaco di Milano sta attraversando un periodo difficile - rincara l' ex "amministratore di condominio" -. Nello spazio di pochi mesi c' è stata una denuncia di danno erariale per 11 milioni, con una responsabilità di dolo e non di colpa grave. Se fossero provate queste accuse ci sarebbe un risarcimento per il quale non intervengono le coperture assicurative. Il sindaco, che appartiene a una famiglia molto facoltosa, può considerare irrilevante la cosa, ma per gli assessori e i collaboratori è un incubo che non fa stare tranquilli». Tra i veleni c' è anche lo zuccherino, dolce almeno all' apparenza: «La probabile vittoria della sfida con Smirne sarà il rilancio della città e dell' amministrazione in carica». Ma la fila dei sassolini nella scarpa non è finita. Albertini, al fianco dell' ex assessore al Traffico Giorgio Goggi, difende il piano parcheggi approvato sotto la sua amministrazione e al centro di numerose critiche per le modalità adottate. «Abbiamo affrontato con criteri rigorosi e trasparenti una questione annosa - controbatte -. E l' aumento dei prezzi dei box, ancora per replicare a una serie di inesattezze, è stato quello legato all' inflazione». Verga Rossella Sezione: varie - Pagina: 001 (5 dicembre, 2007) - Corriere della Sera LA VISITA DEL PRESIDENTE NAPOLITANO E LA STRATEGIA DEL PUNGOLO Da dove, in Italia, si guarda davvero «all' Europa come all' orizzonte naturale del nostro sviluppo e della nostra presenza nel mondo»? In che città può maturare, nonostante tutto, «l' alleanza tra società e poteri» indispensabile per affrontare le incognite del mercato globale? E, ancora, qual è il luogo più appropriato per segnalare l' urgenza di un armistizio politico in grado di far lievitare «un clima di maggiore concentrazione costruttiva» che civilizzi il confronto e, insieme, rinsaldi l' ethos della Nazione? La risposta ai tre interrogativi è netta e univoca, per il presidente della Repubblica: Milano. Cioè, la vecchia «capitale morale» che è stata anche, e non a caso, la capitale storica del riformismo. Muoverà dunque da questi ancoraggi la visita di Giorgio Napolitano, che comincia oggi pomeriggio alla Fiera di Rho-Pero e si chiuderà venerdì sera alla Scala. Fittissimo di appuntamenti e incontri, il viaggio è stato pianificato per lanciare un messaggio a più livelli di lettura. Ciò che del resto è coerente con la cosiddetta «strategia del pungolo» cui il Quirinale ispira la propria azione, andando spesso oltre i doveri d' ufficio. Così, da Milano il capo dello Stato intende indicare al Paese un' evoluzione possibile, segnalando come esempi esportabili altrove «le eccellenze» della metropoli padana: dalla ricerca scientifica all' editoria, dall' industria al design, all' architettura, agli investimenti culturali. E, senza trascurare i problemi aperti, riproporrà un invito alla fiducia fondato su una serie di ottime performance lombarde e di sfide vinte grazie alla laboriosità e al senso civico della gente di qui (un caso su tutti: l' immigrazione interna, che negli anni Cinquanta e Sessanta fu un evento centrale per l' economia e bene assorbito socialmente). Per il presidente, politico di lungo corso, questa città è stata il sismografo della crisi, nel crinale della Prima Repubblica. Ma è stata anche il punto di partenza di tante rinascite nazionali, con relative scommesse sul futuro (la prossima è l' Expo 2015). E, infine, è stata il laboratorio politico più importante per veicolare una concreta idea di riformismo per la quale Napolitano ha speso molte energie, quasi sempre da una posizione di minoranza, nella travagliata storia della sinistra. Breda Marzio Piano: a Sesto costruisco il mio secondo Beaubourg L'architetto: per arrivarci, i veicoli all'idrogeno di Rubbia Trent'anni dopo l'edificio simbolo di Parigi, Renzo Piano illustra il suo progetto per Milano: una «città delle idee» nei 150 ettari lasciati liberi dagli altiforni DAL NOSTRO INVIATO PARIGI — È qui che tutto è cominciato. Rue des Archives 34. Il Beaubourg si vede appena, è come un'astronave a colori. Dal laboratorio sulla strada Renzo Piano guarda però un altro futuro: Milano, Italia. Scheletri di una vecchia fabbrica appesi alle pareti, fotografie di Berengo Gardin che catturano i fantasmi di un altro mondo. C'è un lungo capannone ricostruito con il vetro e l'acciaio che si intreccia con il verde selvaggio del lento abbandono: quando alla Falck di Sesto San Giovanni c'era la classe operaia si chiamava laminatoio, e vengono in mente le facce in bianco e nero di un secolo fa, il tonfo delle presse, il fumo un po' acre e la sirena che annuncia la fine del turno. Si farà qui il museo d'arte contemporanea che manca a Milano, il nuovo Beaubourg che la politica ha rimandato negli anni per miopia e sterili conflitti. Ma la rivoluzione dell'architetto che all'inizio degli anni Settanta fece atterrare il futuro a Parigi è un'altra, e cancella i confini di una città rimasta chiusa nel suo cerchio di gesso. «Un giorno ti accorgi che basta fare un passo e sei fuori — dice Piano — e di colpo hai cancellato l'aggettivo periferico». Milano la periferia la cancella con il progetto che domani verrà presentato al presidente Giorgio Napolitano in visita al cantiere di Sesto, dove in quei 150 ettari di archeologia industriale lasciati liberi dagli altiforni e dalle acciaierie Piano ha reinventato una città, «la città delle idee», dove l'arte di questo secondo Beaubourg è integrata con la scienza e con la tecnologia, dove il verde penetra nelle case alte ottanta metri e la botanica e la geotermia diventano impresa, dove il Nobel Carlo Rubbia sperimenta la connessione con veicoli a trazione elettrica o idrogeno con un nome da saga di Tolkien: gli Elfi. E dove l'economista Guido Rossi teorizza insieme a Piano l'equità sociale, l'idea che la ricchezza che viene creata deve essere generosamente ridistribuita. C'è anche un nuovo linguaggio dietro questo progetto, e un sogno coltivato da un altro collaboratore di Piano, il regista Ermanno Olmi: è l'idea del risarcimento urbano, di ridare con la sostenibilità qualcosa che alla città era stato tolto. Il verde espropriato dagli anni Cinquanta, per esempio. «Bisogna restituirlo ai cittadini», è la sua sintesi. È un ritorno che segna tante svolte quello di Piano nella città dove si è laureato e ha cominciato a disegnare nello studio di Albini, perché parte da un simbolo del passato come la fabbrica «per resuscitare quell'ansia del sociale» che Milano ha interpretato al meglio negli anni del miracolo italiano, quando si chiamava capitale morale. La fabbrica come etica, innovazione, curiosità artigiana, aderenza alla concretezza, capacità di esplorazione, portatrice di cultura. Ci sono le case, ma quello che esplode davvero è il verde: e Piano prima di accettare l'offerta del costruttore Zunino ha chiesto che non sia privilegio di pochi, ma spazio pubblico, distribuito a tutti i cittadini perché è così che si crea qualità urbana. «Le abitazioni, il verde, il lavoro, la cultura, tutto deve creare connessione». La città, ogni città dice Piano, «deve respirare, ha bisogno dei colori», e gli architetti e gli urbanisti devono far scoprire a chi ci vive la dimensione del bello, che non deve essere esclusivo. Cultura, fabbrica, ambiente: l'integrazione di certi valori diventa possibile dopo le tante polemiche, le accuse del ministro Rutelli e l'anatema di Celentano sui progetti di Milano. «Passeggiando per giorni nella vecchia area Falk — racconta Piano — mi sono reso conto che il progetto era già fatto, che la natura si era impossessata dei relitti industriali e bastava soffiarci dentro, riportare alla luce l'anima dispersa della memoria, legare quel mondo di valori al nostro fragile presente». Il museo d'arte contemporanea arriva dopo, è l'ultima magia che il sindaco di Sesto Oldrini, il presidente della Provincia Penati e l'assessore alla Cultura Benelli gli chiedono di disegnare: avrà una superficie espositiva di 10 mila metri quadrati, sarà pronto alla fine del 2008. Aprirà un conflitto con Milano, o forse no: dipende dalla politica. Per il Museo c'era già una destinazione all'Arengario, ma il progetto arranca per l'esiguità degli spazi. Si parla di costruirne uno nuovo nell'area dell'ex Fiera: ma i tempi saranno lunghi. «Io non cerco conflitti, l'assessore Sgarbi aveva già detto che un Museo d'arte contemporanea necessita di grandi spazi e nella mia fabbrica ci sono». Piano non lo dice, ma sono già al lavoro gli scout della Provincia per trovare i grandi collezionisti, creare collegamenti con i maggiori musei stranieri, definire la prima mostra. L'arte può abbattere i muri residui tra Milano e il suo hinterland, rilanciare quella città policentrica che oggi resta chiusa da antistoriche barriere. Un insieme difficile da gestire, ma rappresenta una sfida. «Milano è una città complessa — spiega Piano — e la complessità è il suo valore: il futuro è nel mix, nella fusione delle diversità che creano ricchezza. Non si vince con la monocultura, ma con l'ibrido, il meticciato». Qui la cultura è nella storia, in un passato di grande orgoglio e vitalità. «Dobbiamo reagire alla fragilità del mondo con qualche idea forte, dice Piano, con l'ansia del sociale cerchiamo di ridare un'anima alle nostre città». Giangiacomo Schiavi Sezione: arte architettura - Pagina: 057 (6 dicembre, 2007) - Corriere della Sera L' intervista Il «romanzo» creativo e commerciale, dalle visioni di Gio Ponti al Postmoderno Bellini: «Umanesimo e tecnica L' Italia è un caso unico» Umanesimo e tecnica: il miracolo del design italiano sta in questo binomio. Ne è convinto Mario Bellini, architetto, designer, storico protagonista del Made in Italy nel mondo, vincitore di alcuni Compassi d' oro. «Con la riorganizzazione capitalistica della società avvenuta nel Dopoguerra - spiega - nel mondo si affermò la specializzazione e nacquero discipline distinte come architettura, urbanistica, arredamento. Tuttavia in Italia, come in ogni cosa, ci fu minore sottomissione alla dittatura delle autorità imposte da modello. E così restammo legati a ruoli duplici. In questo periodo nascono i grandi oggetti firmati da Castiglioni, Albini, Gardella, Caccia Dominioni, Zanuso, Magistretti e Sottsass. Tutti hanno operato sui due campi - architettura e design -, con naturalezza, costituendo un' eccezione per il resto del mondo. Questo è stato fondamentale anche per me, a partire dagli anni Sessanta. Ricordo i primi incontri con i produttori Cassina, Busnelli e Olivetti: mi sono sentito travolto da un fiume storico...». Ma per conoscere il grande romanzo del design, bisogna andare più indietro nel tempo. E scoprire che c' è un sistema tedesco anche alle radici del caso italiano. «L' origine del design europeo rimane alla fine degli anni Venti il Bauhaus, perché è lì dove, per la prima volta, gli intellettuali si sono interrogati sull' importanza dell' oggetto disegnato per superare la crisi dell' artigianalità, dove si è pensato di separare ideazione e produzione. L' artigianato era andato in crisi con la Rivoluzione Industriale. E i grandi maestri dell' architettura moderna, da Frank Lloyd Wright a Otto Wagner, da Adolf Loos a Le Corbusier seppero trasformarsi in pionieri del disegno di oggetti. La poltrona di Le Corbusier che diventa uno scheletro è una rivoluzione pari alla sua Unité d' habitation. Da noi vanno in questa direzione personaggi come Ponti, Lancia, Terragni e il Razionalismo italiano è parallelo a quello tedesco». Ma solo nel Dopoguerra inizia una stagione, anche teorica, italiana. La produzione di mobili era allora di buona qualità, però ancora in stile Luigi XV e con rivisitazioni Chippendale. In questo scenario, nel ' 58 Gio Ponti scrive nel saggio «Crisi del mobile, produttori, architetti»: «Occorre realizzare con gli architetti una produzione moderna, originale, perché è col mobile moderno che gli scandinavi ci battono con tanto onore, e questo deve aprire gli occhi a quella produzione che tira avanti con mobili falso antichi, o falso moderni». Ma anche nel Dopoguerra - continua Bellini -, la spinta viene dalla Germania, dalla scuola di Ulm, erede Bauhaus e della social democrazia. Qui vengono messi a punto e definiti i confini disciplinari dell' industrial design come e in Francia quelli della cosiddetta estetica industriale e in Italia il disegno industriale, chiamato design in inglese. Da questa distinzione di termini si passerà poi all' uso della sola parola design, che è diventata quasi gergale e vaga. Così come l' arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte, il design come entità non esisteâ . Ma anche in Italia avviene una mutazione. â Nel dopoguerra, nella riorganizzazione neocapitalista della società vince la specializzazione, e nascono come discipline distinte architettura, urbanistica, designer e arredamento. Tuttavia in Italia c' è minore sottomissione alla dittatura delle autorità e a questo modello, e così continuano a rimanere legati nella figura dell' architetto umanesimo e tecnica. In questo periodo nascono i grandi oggetti del Made in Italy firmati da Castiglioni, Albini Gardella, Caccia Dominioni, Zanuso, Magistertti e Sottsass. Tutti questi hanno operato sui due campi - architettura e design -, con naturalezza, costituendo una eccezione per il resto del mondo. Questo è stato fondamentale, anche per me a partire dagli anni Sessanta. Ricordo i primi incontri con i produttori Cassina, Busnelli e Olivetti: mi sono sentito travolto da un fiume storico â I committenti, in Italia, ebbero da subito un ruolo importantissimo. «Sì, nel miracolo italiano di allora fu fondamentale la presenza di giovani imprenditori usciti dal disastro bellico. Alcune imprese come Flos, Artemide, Kartell continuano ancora oggi. I nostri produttori restano un fenomeno unico al mondo, grazie ad essi i designer di tutto il mondo vogliono produrre qui». Nel 1961, con Tito Armellini e Angelo De Baggis, nasce il Salone del Mobile: fu subito boom di visitatori e di operatori italiani e stranieri. E il design divenne una voce pesante dell' economia. «Anni fantastici, disegnai la lampada Chiara per Flos, ottenni il mio primo Compasso d' oro del ' 62 con un tavolo minimalista, e poi le mie Bambole degli anni Settanta... Nel ' 73 ho fatto Le Tentazioni con cani di ceramica, poi ho lavorato sulle stoffe di arredamento usando stoffe da gonne... Poi con il ' 68 e l' avvento della ribellione dialettica sono nate Archizoom, Superstudio, Archigram e negli anni Settanta si è dato vita al momento radical di Alchimia con Alessandro Mendini. Il caso Memphis, invece, è più dei primi anni Ottanta: un fenomeno tra il pop e il postmodern. Insomma è dagli anni Settanta che l' attenzione si sposta sul piano linguistico». E oggi il design cos' è? «Questa è la vera domanda. Cosa vuol dire "è un oggetto di design"? Negli Stati Uniti lo si utilizza per definire uno stile, come "old american" o "modern", e non una professione o un linguaggio specifico. Ormai l' uso del termine design è così invadente e pulviscolare che quasi si identifica con merce. E non c' è nulla di scandaloso». E siamo anche all' età delle riproduzioni e del pezzo a tiratura limitata. «Con questo sfaldarsi di un termine si mette in crisi anche il senso di inossidabile, efficiente, durevole, decoroso, razionale... Oggi Marc Newson mette all' asta i suoi oggetti. Non mi sorprende. è l' espressione di un mondo contemporaneo che non ha più un lifestyle unico. Un mondo di nicchie, dove i bisogni non generano più le forme: la forma non segue la funzione come pensavano i fondatori del Movimento Moderno. È tutto più complesso. Si disegnano anche stimoli, sensazioni per dare nuove prospettive e ambienti». Forse proprio per questo facciamo un museo... «Facciamo un museo oggi per interrogarci su cosa sia il design. Senza la speranza di scoprirlo». Panza Pierluigi La Repubblica 07-12-07, pagina 14, sezione MILANO Inaugurazione ieri alla Triennale con il Presidente Napolitano Una video installazione di Greenaway apre il percorso, scandito da sette corti d' autore che interpretano gli oggetti Design spettacolo / Nasce il nuovo museo nel segno del cinema BARBARA CASAVECCHIA «Il sogno dell' artista è quello di arrivare al Museo, mentre il sogno del designer è quello di arrivare ai mercati rionali», diceva Bruno Munari. Altri tempi, altre utopie. Però, dopo decenni di sospiri (e tre anni di lavori a ritmi serrati), il design italiano ha trovato la sede dove mettersi in mostra. Ieri ha aperto i battenti il Triennale Design Museum. In pompa magna: in mattinata, sono intervenuti il sindaco, l' assessore cultura della Provincia, il presidente della Regione, che hanno sottoscritto (insieme a ministero per i Beni culturali, Camera di commercio, Assolombarda, Fiera, Politecnico, Iulm e Adi) l' accordo di programma su cui si reggerà la Fondazione. Nel pomeriggio, è arrivato il Presidente della Repubblica. Anziché un mausoleo o uno showroom, come hanno spiegato il presidente Davide Rampello e la direttrice Silvana Annicchiarico, spera di essere un museo dinamico. Ci sarà una rotazione veloce degli allestimenti, ogni 18-24 mesi, per convincere il pubblico a ritornare più e più volte. A collegarlo e insieme dividerlo dal resto della Triennale è il ponte sospeso in vetro e bambù disegnato da Michele De Lucchi, che con il ripristino del Salone d' Onore ha aggiunto l' ultimo tassello al suo progetto di restauro dell' edificio di Muzio. Rispetto a settembre, quando il cantiere fu aperto alla stampa, il candore delle pareti e la luce che filtrava dai finestroni sono scomparsi. Tutto è avvolto dalla penombra, perché questa prima «puntata» - il paragone coi serial televisivi è di Italo Rota, autore del progetto espositivo, con la consulenza di Mario Nanni per la luce - affronta il tema «Cos' è il design italiano?» affidandosi alla spettacolarità del cinema. All' ingresso c' è il regista Peter Greenaway, che accoglie i visitatori con un' architettura di proiezioni multischermo che riesumano glorie italiane in verità un po' fruste, dai frontoni rinascimentali ai nudi femminili con boccoli neoclassici. A sinistra, l' Agorà, lo spazio per incontri: fuori, superfici specchianti, dentro l' odore pungente del legno lasciato grezzo, sui muri e lungo le gradinate, mentre al centro è sospeso un mosaico di schermi digitali (la lista degli sponsor tecnici è chilometrica). A raccontare le sette ossessioni che, secondo il curatore scientifico Andrea Branzi sono iscritte nel patrimonio genetico del Made in Italy, altrettanti registi: la teatralità (Martone), il lusso borghese (Soldini, che ha montato decine di spezzoni classici), il super-confort (Corsicato, che fuor di metafora punta l' obiettivo sul sedere, ironico omaggio a Bottoms di Yoko Ono), il dinamismo (Ferrario riassume la parabola del Lingotto di Torino da grande fabbrica a centro commerciale, giocando sul calambour fu/turismo), serialità e impilabilità (Lucchetti, cui fa da corrispettivo la montagna di oggetti Kartell installata nel cavedio esterno), la luce spirituale (Capuano), la semplicità (Olmi, che riesuma l' incanto arcaico del pre-griffato). Il percorso espositivo è circolare, si passa da una sezione alla successiva senza soluzione di continuità, un po' frastornati. Tutto scorre: dalle immagini filmiche, ai titoli, alle cronologie. Al posto delle didascalie, piccoli schermi a cristalli liquidi che mettono in onda titoli, date, autori. Ci vuole tempo, attenzione, meglio fermarsi su uno dei tanti divani a portata di mano - in ecopelle, effetto glitter. Gli unici veri «punti fermi» sono gli oggetti, mai esposti soli, ma in gruppi che suggeriscono parentele e legami affettivi: dalla Camera da letto orientaleggiante di Gio' Ponti e Fornasetti, alla lampada Taraxacum di Achille Castiglioni, al Tavolo con le ruote di Gae Aulenti. Il compito di ricostruire l' albero genealogico spetta al visitatore, e in questo l' impianto assomiglia più a una mostra che a un museo. Una sfida? Le nostalgie didascaliche sono relegate al numero monografico de "L' Europeo" distribuito gratis a ogni visitatore: foto in bianco e nero, lambrette, firme storiche, ritratti; un inno a «Il miglior design della nostra vita».