BREVE GUIDA ALLA MOSTRA La mostra e il concorso ArtLine Milano 30 progetti per il Parco d’Arte Contemporanea è un’esposizione di progetti realizzati da trenta artisti under 40, italiani e internazionali. Invitati dal Comune di Milano - su proposta dei curatori dell’iniziativa, Roberto Pinto e Sara Dolfi Agostini – hanno ideato un’opera di arte pubblica inedita per l’area pedonale denominata CityLife che si sviluppa intorno alla nuova fermata della metropolitana M5 Tre Torri. Otto di loro, individuati da una giuria internazionale, vedranno realizzati i loro lavori a partire dalla prossima primavera. Il progetto Oltre alle otto opere selezionate tramite il concorso, il progetto ArtLine Milano prevede la realizzazione di più di dieci opere da parte di alcuni tra i più autorevoli esponenti della scena artistica internazionale. L’obiettivo è quello di creare un parco per l’arte contemporanea, mostrando le molteplici forme che l’arte può assumere nello spazio pubblico in termini di contenuti, esperienze visive e materiche. Tutti gli artisti invitati si sono distinti per la loro capacità di sperimentare nuovi linguaggi, rileggere la storia dell’arte e proporre nuovi percorsi estetici. Ognuno di loro, in modi diversi, ha affrontato il tema dello spazio pubblico riflettendo su come l’arte possa acquisire una dimensione ambientale, sui rapporti che si instaurano tra lo spettatore, lo spazio architettonico e sociale in cui le opere saranno collocate e sulla memoria dei luoghi. Arte negli spazi pubblici ArtLine Milano sarà una collezione a cielo aperto che mostrerà le tendenze e le personalità internazionali che stanno trasformando le forme e i contenuti dell’arte di oggi. Una linea invisibile si svilupperà in orizzontale nell’area verde e nei camminamenti che uniscono strade, tracciati e opere d’arte, a fare da contrappunto ai nuovi concetti spaziali e architettonici della città che sollecitano lo sguardo verso l’alto. Nel suo complesso, ArtLine Milano offrirà un percorso articolato in oltre venti opere permanenti in un luogo tuttora in costruzione che per la prima volta, dopo esser stato una Piazza d’Armi e la sede della Fiera di Milano, acquista lo status di spazio pubblico e ridefinisce la propria identità in sintonia con un progetto artistico. Arte e verde cresceranno insieme. Con questa iniziativa, ArtLine Milano si propone di diffondere l'arte nella città, facendola vivere a contatto con gli abitanti del quartiere, coloro che passeggeranno nel parco e tutti i cittadini. L’obiettivo è quello di ricorrere all’arte come a una risorsa per osservare la realtà da altre prospettive, con occhi nuovi. ArtLine Milano rimarrà aperta 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e sarà fruibile gratuitamente per ribadire l’importanza dello spazio pubblico nell’ottica di una condivisione del patrimonio artistico e culturale della città. La giuria A scegliere i vincitori del concorso sarà una giuria di professionisti internazionali individuati per l’eccellenza del loro lavoro e per la loro competenza. Tale giuria è composta da Charles Esche, Mary Jane Jacob, James Lingwood, Gianfranco Maraniello, Lea Vergine e Angela Vettese. I giurati saranno affiancati nel lavoro di selezione da Iolanda Ratti, conservatrice presso il Polo Arte Moderna e Contemporanea di Milano, in rappresentanza del Comune. Gli artisti invitati alla mostra Alis/Filliol, Giorgio Andreotta Calò, Maria Anwander, Francesco Arena, Riccardo Benassi, Rossella Biscotti, Mircea Cantor, Linda Fregni Nagler, Shilpa Gupta, Adelita Husni-Bey, Eva Kotátková, Maria Loboda, Armando Lulaj, Marie Lund, Nicola Martini, Haroon Mirza, Margherita Moscardini, Marlie Mul, Ornaghi e Prestinari, Amalia Pica, Wilfredo Prieto, Jon Rafman, Alice Ronchi, Matteo Rubbi, Timur Si-Qin, Elisa Strinna, Rayyane Tabet, Nico Vascellari, Serena Vestrucci, Xu Zhen (MadeIn Company). Alis Filliol Hum Nel corso degli anni la nostra ricerca ci ha portato a elaborare una sorta di mondo parallelo, popolato da forme scultoree che costituiscono porzioni di una struttura narrativa in divenire. Le forme che abitano questo mondo immaginifico hanno talvolta delle connotazioni umanoidi e, talvolta, sono vere e proprie costruzioni irrisolte, volumi in trasformazione che sfuggono a un’immediata classificazione. Ogni lavoro è un frammento di questa sceneggiatura che consideriamo come una struttura in perenne autocostruzione. La nostra ricerca consiste nel costruire forme aliene, quasi fossero parte di una struttura di pensiero alternativa, che mettiamo in dialogo con le forme del nostro pianeta. Le sculture sono il frutto di una ricerca che investe svariati tipi di tecniche differenti che inventiamo di volta in volta, al fine di riuscire a generare delle forme in grado di esulare da una predeterminata pianificazione progettuale. Delle forme in grado di sorprenderci. Uno dei motivi per cui lavoriamo in due è, infatti, la possibilità di sovrascrivere le nostre individuali progettualità l'una sull'altra in modo tale da ottenere qualcosa che esuberi da una definizione formale del singolo. L'incontro con l'altro genera forme imprevedibili. Ci consideriamo una micro-cellula di una comunità costituita dal numero due che prolifera attraverso la perenne generazione del terzo termine. Per la realizzazione del progetto per ArtLine Milano, dal titolo Hum, ci siamo concentrati sulla presenza delle forme di vita invisibili che lo popolano. Abbiamo perciò collaborato, per la prima fase della ricerca, con un entomologo al fine di scandagliare le specie di insetti sotterranei che vivono nel nostro ambiente. Abbiamo infine individuato un tipo di larva che si sviluppa in uno scarabeo nominato Cetonia Aurata, un coleottero appartenente alla famiglia degli Scarabeidi, molto comune in Italia e in Europa e presente in tutte le aree verdi di Milano. Questo insetto ci ha colpito per la sua forma e per la sua attitudine a rifugiarsi nel sottosuolo lontano dalla luce. Per inabissarsi nel terreno compie un gesto particolare, arcuando il proprio corpo e rovesciandosi sul dorso dove sono presenti le zampe con cui scava la terra. Osservandolo da vicino ha una forma mostruosa e ci divertiva immaginare di vedere emergere dal suolo questa creatura sotterranea, in una versione ingigantita, come fosse l'inizio di un'invasione aliena. Grazie all'entomologo abbiamo catturato alcuni esemplari di questo insetto per studiarne il comportamento. Ci siamo quindi rivolti a un’azienda che si occupa di produzioni di stampa in 3D. Il nostro intento era scansionare la larva viva, in movimento. Eravamo affascinati dalla possibilità di forme che potevano generarsi attraverso la scansione meccanica di un corpo vivo. I suoi movimenti descrivono traiettorie normalmente invisibili, ma data la natura della tecnologia per scansionare è stato possibile registrarne le oscillazioni in tempo reale, dando luogo a forme prima inesistenti. La seconda fase della nostra ricerca era costituita dalla preparazione della larva alla scansione. Il punto era creare le condizioni ottimali per ottenere diversi tipi di movimento e, quindi, di forme. Uno stimolo fondamentale era costituito dalla luce. Un altro parametro basilare era la loro posizione nello spazio. Ad esempio uno dei nostri interessi era capire come la larva avrebbe reagito alla gravità senza essere appoggiata a una superficie. Abbiamo quindi provato a sospenderla con un filo. Il comportamento della larva è diventato frenetico e confuso, così abbiamo congelato il coleottero per alcuni minuti in modo da rallentarne il movimento in maggiore accordo con i tempi della scansione. In seguito abbiamo inserito le larve su un piano costituito da un sottile strato di terra in modo che poggiassero al suolo come nel loro habitat. Siamo cosi riusciti, dopo diversi tentativi, a riprendere il suo naturale comportamento sulla superficie cogliendo l'attimo essenziale in cui la larva si capovolge per inabissarsi nel terreno. Nella terza fase abbiamo passato al vaglio le varie forme riprese dallo scanner al fine di rintracciare i movimenti a nostro avviso più significativi, isolandoli e componendoli in un'unica forma. Il risultato è una nostra personale rielaborazione di uno specifico movimento: il momento prima che la forma della larva scomparisse di fronte ai nostri occhi. La forma che nasce è l'espressione di un corpo che si sovrascrive per tutto il tempo della scansione. La realizzazione della scultura nel parco prevede l’utilizzo di fibra di carbonio che consente un’estrema resistenza agli agenti atmosferici e una definizione ottimale della forma. Le misure del lavoro saranno di circa 4 x 2 x 2 metri. Durante la lavorazione valuteremo come intervenire sulla patina finale che determinerà il colore della scultura. Giorgio Andreotta Calò Scolpire il tempo Scolpire il Tempo è̀ il titolo dell’installazione pensata per il nuovo parco di Milano, risultato di una lunga ricerca che gravita attorno alla dimensione della scultura. Per scultura si intende un processo di trasformazione che, a partire dal gesto umano e naturale prolungato in un tempo e in uno spazio, si cristallizza in un oggetto che rappresenta l’ultimo stadio di modificazione della materia. Tre forme verticali che fanno da contrappunto alle tre torri di Isozaki, Hadid e Libeskind. Ognuna delle tre sculture evoca idealmente l’elemento architettonico della colonna portante, ma al tempo stesso nasce a partire da un elemento naturale, un tronco d’albero piantato nell’acqua della Laguna di Venezia che ha raggiunto lo stadio conclusivo del suo ciclo di utilizzo. Le tre sculture sono, infatti, la risultante di un processo di trasformazione naturale e umano. In origine, lunghi pali di legno piantati in acqua, consumati dall’erosione della marea e infine estratti e fusi in bronzo. Le tre sculture esprimono insieme l’idea di passaggio del tempo. La loro forma speculare è̀ quella di tre grandi clessidre, di dimensioni in scala proporzionale alle tre torri. Speculare è̀ il rapporto con l’architettura e speculare il rapporto tra due luoghi: la piazza e il parco. Le tre clessidre creano uno spazio autonomo all’interno del parco, uno spazio dove il visitatore può ritrovare una dimensione umana e dove il tempo è̀ metaforicamente sospeso. Esse rappresentano idealmente le tre declinazioni del tempo: passato, presente e futuro. Il bronzo utilizzato per la fusione è una lega di rame e zinco caricata manganese che dona al metallo maggiore resistenza alla corrosione e una peculiare colorazione platino. Le tre clessidre non hanno basamento, ma sono ancorate al suolo, come fossero piantate direttamente a terra. La porzione di terreno su cui poggiano verrà̀ consolidata con uno spessore superficiale di caranto, uno strato discontinuo di argilla sovraconsolidata e impermeabile su cui poggia la laguna di Venezia, luogo da cui prende spunto parte di questa ricerca. La presenza del caranto impermeabile nello strato superficiale del suolo forma nei giorni di pioggia un ristagno di acqua. Lo specchio d'acqua che si crea alla base delle sculture genera un riflesso, non solo di tipo fisico e visivo, ma anche del pensiero poichè́ riconduce l'elemento naturale alla specularità della forma scultorea e alla sua valenza simbolica, una clessidra, strumento di misurazione del tempo. Quando ho visitato per la prima volta il nuovo quartiere ho trovato un cantiere aperto. Uno spazio in costruzione e mutamento. Un luogo dove assistere al lavoro in corso e solo intuirne il risultato finale. In questa area è̀ l'architettura a caratterizzare il paesaggio. La torre di Isozaki già̀ eretta e le altre due in via di costruzione, costituiscono i tre elementi dominanti e mostrano le diverse fasi del processo costruttivo: dallo scavo delle fondamenta, al progressivo sviluppo verticale, fino alla forma compiuta. Ho deciso di partire dal processo costruttivo per creare un'analogia speculare con un altro luogo, Venezia, e con altri elementi costruttivi. Qui, ho lavorato all'interno di un cantiere che si occupa di opere marittime come il consolidamento delle fondamenta della città̀ e l'impianto e l'espianto di grandi pali di legno nell'acqua. I pali rievocano la struttura di una colonna portante, ma di fatto sono tronchi di albero ed è proprio questa loro natura che stabilisce un contrappunto tra le tre torri e le forme inserite nello spazio verde del parco. Ho fatto estrarre dall'acqua tre pali uniti a formare un fascio (bricola), per poi ripiantarli nel terreno separati l'uno dall'altro. Ho fatto tagliare le punte in modo da ottenere tre dimensioni in scala proporzionale a quelle delle torri rispettivamente di 8 metri, 7,40 metri e 7,60 metri. Nell’immagine dei tre pali ho ridotto la parte mediana, assottigliandola fino a ottenere la forma di una clessidra, e inserito in post produzione le tre torri. Maria Anwander IF WE HAVE NO BREAD WE WILL EAT YOUR CAKE “Che mangino brioche” è la traduzione comune della frase francese “Qu’ils mangent de la brioche”, erroneamente attribuita alla regina Maria Antonietta dopo aver saputo che la popolazione non aveva più pane. Non vi è nessuna prova che questa frase sia stata pronunciata dalla regina. Compare come citazione pronunciata da “una grande principessa” nelle Confessioni di Jean-Jacques Rousseau (opera autobiografica), i cui primi sei libri furono scritti nel 1765, quando Maria Antonietta aveva nove anni. Pare che l'eventuale citazione “S’ils n’ont pas de pain, qu’ils mangent de la brioche!” fosse stata messa in circolazione dai suoi avversari politici all'alba della rivoluzione francese. Secondo Zhu Muzhi, presidente dell'associazione cinese sugli studi per i diritti umani (China Society for Human Rights Studies), la versione di Rousseau rappresenterebbe la distorsione di un aneddoto molto più datato: “Un antico imperatore cinese, avendo saputo che il suo popolo non aveva abbastanza riso da mangiare, rispose: 'Perché non mangiano carne allora?'”. A prescindere da chi l'abbia pronunciata, questa frase rimane una manifestazione di decadenza e, sfortunatamente, è sempre rappresentativa dell'enorme disparità che esiste al mondo, di cui tutti, in qualche modo, chi più, chi meno, siamo parte. Estraniarsi completamente dalla società sembra quasi impossibile dal momento che politica e capitalismo sono estremamente intrecciati nell'intero sistema. Da quando i nostri bisogni hanno iniziato a essere in contrasto con le azioni predatorie di coloro che detengono il potere capitalista, le banche e le multinazionali si sono insediate al posto di monarchi e dittatori. Anche se siamo coscienti del fatto che il nostro sistema sia ingiusto e sfrutti la povertà, tutti noi ne siamo parte. Per questo il sistema deve riflettere i problemi della nostra società capitalistica. Annidata tra il centro congressi, il centro commerciale, le tre torri e i lussuosi appartamenti con prezzi che arrivano a € 13.000 a metro quadro, ArtLine Milano offre il perfetto luogo di incontro per affrontare questioni legate alla disuguaglianza e cercare di cogliere cosa sia la giustizia. Altrettanto importante per il futuro del sito espositivo è la sua storia. Una fiera rappresenta solitamente il luogo in cui si vendono prodotti al fine di ricavarne un guadagno economico. Nel libro La Fiera di Milano, Massimiliano Finazzer Flory definisce la fiera “uno scambio come viaggio in cui si parte da una mancanza per approdare a un desiderio”. Ma questo desiderio non porta forse a un consumo basato sul deterioramento delle frontiere e a un terreno fertile per la globalizzazione e le sue derive negative? Nello stesso libro si cita anche Frédéric Bastiat: “Dove passano le merci, non passano i cannoni”. Ma le lobby intessono relazioni con la politica, l'industria delle armi è in parte coinvolta nelle case farmaceutiche e nell'industria automobilistica; tutto ciò rende questa citazione alquanto obsoleta. In contrasto con il resto d'Italia, Milano, con il suo mercato azionario, è la città più ricca del Paese, un centro per moda, cultura e mezzi di comunicazione. Inoltre questo nuovo quartiere della città, con le lussuose aree dedicate allo shopping e le case lussuose può essere visto come un'isola nell'isola. Per chi abita in un parco all'interno di un lussuoso e sofisticato condominio situato nel centro della città è facile dimenticare i problemi del resto del mondo. Guidata dal consumismo, la comunità segue uno stile di vita privilegiato tra centri commerciali, ristoranti e cinema, dove è difficile ricordare che esiste un mondo privo degli agi della prosperità. Noi tutti abbiamo una certa responsabilità nei confronti degli altri membri della società. Il testo messo su un’opera d'arte pubblica ci illumina su questa responsabilità e ribalta il significato originale di una frase che suona oggi più che mai decadente: “Se non hanno pane, dategli una torta”. Cambiando le parole, la scultura si trasforma in una silenziosa richiesta di eguaglianza e costituisce un promemoria quotidiano per i residenti dell'area, molti dei quali potrebbero condurre uno stile di vita sfrenato, dimenticando il loro dovere nei confronti della società. Rinforzando lo “scambio di idee” proposto nel libro, la scultura pubblica rappresenta anche un segno di benvenuto per chi in quell'area non è così benestante ed è inoltre segno di scambio intellettuale e sociale. Mutando la grammatica della frase originale, il “loro” diventa qui un “noi”, mostrando la frase da un nuovo punto di vista. Con il potere della lingua la nuova frase mette in risalto l'esistenza di più di una prospettiva e il fatto che il soggetto possa essere facilmente ribaltato. Al contrario che in altri luoghi dove il benessere si unisce a condizioni di segregazione e nell'isolamento, qui la scultura sarà un simbolo di benvenuto e provvederà fin dall'inizio a creare un senso di appartenenza. La traduzione inglese della parola Fiera è “fair”. Il suo primo significato è legato a un luogo dove sostenere e scambiare idee, prodotti e merce in generale. In secondo luogo e in maniera più importante “fair” significa imparzialità, equità dei beni preziosi per l'umanità. E quindi Se non abbiamo pane mangeremo la vostra torta. Francesco Arena 55 quadrati Nella città una scultura può sopravvivere? Cosa è una scultura pubblica e a cosa serve? Cosa è un monumento? Ha senso parlare di resistenza del monumento? Può esserci un monumento personale che parli a tutti? Le sculture occupano lo stesso spazio degli uomini? Anche le sculture muoiono? Il mio progetto per ArtLine Milano deriva da queste domande e da una storia. Tra il 1940 e il 1945 Milano subì una serie di pesanti bombardamenti, un terzo degli edifici della città̀ furono distrutti. In un terreno in via Del Bollo, in pieno centro di Milano, in zona Cinque Vie, sino a poco tempo fa era ancora possibile vedere i ruderi di un complesso distrutto in uno di questi bombardamenti. All'inizio del secolo, in via S. Marta n.1 c’era un classico palazzetto milanese a tre piani con negozi a pianterreno. Come testimonia una rara foto d'epoca, c'erano la rinomata "Farmacia alle Cinque Vie", già Carlo Valsecchi, con "specialità nazionali ed estere", e una bottega di "Mercerie"; sull'altro angolo la "Pontificia Cereria S. Orsola", che stando all'insegna vendeva, oltre a steariche e lumini, anche spremuta, caffè tostato e "le migliori marche di saponi profumati e da bucato". Nel 1942, il palazzo fu espropriato dal podestà di Milano insieme con altre due proprietà: quella adiacente, via S. Marta n.3, e la casa di via Zecca Vecchia n.2 (piazza S. Sepolcro). L'esproprio fu fatto per conto della Stipel, Società Telefonica Interregionale del Piemonte e della Lombardia, l'antenata della Sip. La Stipel in cambio si impegnò con una convenzione a costruire un palazzo per conto del Comune. Una convenzione che ebbe vita breve: dopo pochi mesi caddero le bombe alleate. La palazzina non è stata ancora ricostruita. 55 quadrati consiste in 55 cornici di 100x100 cm; ogni cornice è un metro quadro, elemento base e modulo dell’architettura. I quadrati sono 55 come i 55 metri quadri di una delle case del complesso che sorgeva in via Del Bollo angolo con via Santa Marta distrutto dai bombardamenti degli alleati durante la seconda guerra mondiale. I 55 quadrati, i 55 metri quadri di via Del Bollo, saranno disseminati all’interno del parco, non solo nello spazio destinato al progetto ArtLine Milano, ma in tutto il quartiere. Ogni quadrato sarà installato in modo da interagire con un elemento del quartiere che sia esso architettonico (una panchina, un’altalena, un pilastro esterno, un sentiero) o paesaggistico (il tronco di un albero, un pezzo di prato, una siepe, affogato nel selciato). In 55 quadrati il metro quadro non sarà solo un elemento utile per misurare una superficie calpestabile, ma sarà utilizzato anche come cornice appesa capace di inquadrare e misurare il cielo. Distruzione e costruzione, unità e disgregazione, conservazione e rimozione sono tutti concetti che danno forma al progetto per ArtLine Milano. I 55 quadrati sono realizzati con una barra di bronzo piena di sezione quadra di 2,5x2,5 cm; il bronzo sarà lucidato a specchio e successivamente galvanizzato in modo da rendere la lucidatura più resistente. Ho scelto il bronzo perché rappresenta storicamente il materiale, resistente al tempo, usato per realizzare i monumenti. In questo caso non è lo spazio circostante a fare da cornice al monumento, ma è la scultura stessa a essere cornice di un particolare dell’area in cui è ospitata. La suggestione che mi ha ispirato è l’idea che uno degli appartamenti di via Del Bollo, diffuso e frantumato, abbracciasse quest’area della città, non la casa circondata dalla città ma la città circondata dalla casa. I 55 quadrati sono presenze discrete, sfuggenti a uno sguardo distratto, chi frequenterà il quartiere li incontrerà ripetutamente camminando nel parco. Riccardo Benassi Daily Desiderio Daily Desiderio è un intervento pubblico formato da una struttura minimale in alluminio verniciato il cui nucleo pulsante è un display a LED bianchi. All’interno del display LED, Riccardo Benassi si impegna a trasmettere – grazie ad un sistema di broadcasting remoto, integrato e autonomo – un nuovo messaggio testuale per ogni giorno della sua vita, dal giorno di inaugurazione dell’opera fino alla morte dell’artista stesso. Quando la morte dell’artista sopraggiungerà, i messaggi ricominceranno da capo, in loop. Daily Desiderio è un intervento basato su un’estetica funzionale e povera – che pur avendo un design realizzato ad hoc, flirta con l’idea di standard / default e con l’uso che potrebbe fare della tecnologia LED l’azienda pubblica dei servizi e dei trasporti. Al suo interno però, l’opera ha un software di ultima generazione altamente sofisticato, che permette all’artista di aggiornarla in qualsiasi momento da qualsiasi parte del mondo. Benché Daily Desiderio sia un intervento oggettuale pensato per un’installazione definitiva e perenne, esso reintroduce al suo interno qualità effimere legate all’evento e all’imprevedibilità del processo che garantiscono alla scultura un alto grado di umanizzazione. A livello concettuale l’opera – così come ogni essere umano – bilancia la sua esistenza tra la tranquillità offerta dalla ripetizione quotidiana e la sfida del perenne cambiamento. E così come ogni esistenza è interconnessa e dipendente ad altre esistenze. Daily Desiderio è il risultato della volontà da parte dell’artista di sincronizzare il suo operato al contesto ambientale del parco e di ArtLine Milano – al fine di escludere volontariamente l’opera dal paradigma dell’autosufficienza estetica. L’opera – offrendo esche al libero arbitrio – intende contribuire al miglioramento dell’esistente, e tale miglioramento è visto come frutto di forze cooperanti. L’ubicazione di Daily Desiderio ne è il più chiaro esempio: installata in prossimità di una panchina – che a sua volta si affaccia su uno dei camminamenti principali del parco – la scultura collabora con elementi contestuali preesistenti alla creazione di una immaginaria fermata di un mezzo di trasporto pubblico. Nel proporre un’opera prevalentemente testuale non c’è una totale volontà iconoclasta da parte dell’artista, piuttosto l’idea che l’opera si faccia immagine in collaborazione ad altri elementi paesaggistici – cui ruolo centrale ha l’abitante con tutta la sua immaginazione. L’opera, infatti, non esclude affatto il passante, il pubblico non allertato e nemmeno lo sguardo distratto del turista, ma offre il suo potenziale e la sua massima efficacia esclusivamente a chi compie l’atto dell’abitare: solo vedendo Daily Desiderio in giorni diversi è possibile intuire il fatto che i messaggi cambiano costantemente. Cambiano, per la precisione, allo scoccare di ogni mezzanotte, e contengono momenti passeggeri di verità che Riccardo Benassi ha deciso di raccogliere in forma scritta e poi – pensando che se sono serviti a lui, allora sarebbero potuti servire anche ad altri – ha deciso di renderli metodologia pratica. Daily Desiderio però, non intende essere la rappresentazione fisica dell’oracolo destinato a dispensare perle quotidiane di saggezza vergate dall’artista-vate. Al contrario, è la quotidianità stessa a esserne sia frame temporale che bacino di riferimento contenutistico: l’opera da voce a piccoli gesti ripetuti che finiscono per diventare infiniti. Non è l’artista-vate ma la vita quotidiana la vera dispensatrice di perle di saggezza: piuttosto, nella migliore delle ipotesi, l’artista darà un nuovo nome a qualcosa che è sempre esistito. E se iniziamo a vedere tutte le parole e tutte le immagini alle quali siamo quotidianamente soggetti come a delle possibili piccole perle, allora i messaggi di Riccardo Benassi funzionano come un filo sottile che lega alcune di queste perle insieme come una collana. Alcuni messaggi più succinti e meno articolati di altri potrebbero sembrare in realtà braccialetti più che collane, o addirittura anelli – ma la loro qualità transitoria e non oggettuale è dimostrata dalla durata di un solo giorno. L’immagine delle perle legate insieme da un filo non vuole rimandare all’immagine di un gioiello, ma – così come un anello di fidanzamento – vuole essere il referente simbolico di una proposta di vita. Attraverso i messaggi l’artista si propone di dare voce a uno stile narrativo che unisca tre possibili approcci: quello giornalistico – legato ai fatti condivisi e filtrati mediaticamente, quello diaristico – legato alla quotidianità soggettiva e sensibile, e quello letterario – che, con lo stratagemma dell’invenzione, catapulti in qualche modo questi giorni nell’infinità. Ma un uomo da solo non può garantire l’esistenza dell’infinito: Riccardo Benassi, infatti, definisce i messaggi dei “dialoghi in assenza di suono” rimandando alla possibilità che possano in breve trasformarsi in parola e diventare argomento di riflessione e conversazione nella immediata copresenza tra esseri umani e opera nel mondo sensibile. Nonostante l’aggiornamento quotidiano dell’opera sia inteso dall’autore come un atto artistico di libertà, dedizione e responsabilità civica piuttosto che costrizione contrattuale, i limiti fisiologici, legali e di forza maggiore del suo operato verranno esaminati nel dettaglio attraverso un contratto legale stipulato con tutte le parti collaboranti in presenza di un notaio. In questo contratto Riccardo Benassi si assume totale responsabilità del contenuto dei messaggi di fronte alla legislatura vigente in materia. Rossella Biscotti Come fare? È nel XIX secolo che educatori, artisti e architetti iniziano a usare esercizi basati sull’utilizzo di moduli con forme geometriche astratte per sviluppare una più ampia comprensione dello spazio, della composizione e della narrazione, senza alcuna sottomissione a regole precostituite. Per Friedrich Wilhelm August Fröbel (1782 - 1852), l'ideatore del Kindergarten, il dotare il bambino di moduli di legno dalle forme geometriche essenziali (doni, Fröbelgaben), genera una differente percezione e conoscenza della realtà e del proprio spazio vitale. Il principio si basa sulla forte stimolazione dell'attività creativa attraverso la scomposizione (analisi) e la composizione (sintesi) delle numerose combinazioni delle forme. Da Frank Lloyd Wright (1869-1959) ai designer Charles and Ray Eames (1907-1978 e 1912-1988), i giochi di costruzione costituiscono non solo una modalità̀ di verifica dei principi di costruzione e decostruzione ma anche di formazione di nuove idee. Quando agli inizi degli anni '40 Ladislav Sutnar (1897-1976) realizza i prototipi per il gioco Build the town, creando un forte collegamento con gli studi pedagogici di Fröbel prima e di Maria Montessori dopo, manifesta l'importanza di concepire e progettare lo spazio come un organismo aperto. Sutnar ritiene che la combinazione di forme, colori e motivi decorativi, con i suoi contrasti e giustapposizioni, possa ispirare creazioni dotate di grande forza e poderosa significazione. Il progetto Come fare? fa riferimento a una densa storia di sperimentazioni architettoniche, di pedagogia radicale e di design. È un lavoro che riflette sulla metodologia della creazione e sulla possibilità estesa a tutti di creare forme e idee grazie all’utilizzo di strumenti semplici ed essenziali. Il lavoro presenta un paesaggio che assomiglia a un agglomerato urbano in miniatura, ognuna delle forme che lo costituisce è composta attraverso un processo di addizione di differenti moduli più piccoli. Ciascun visitatore, oltre ad attivare un'esperienza attraverso i singoli elementi, potrà riconoscerne il disegno ricostruendo il processo della composizione, e quindi il metodo dell'associazione delle forme. L'installazione, infatti, vuole aprire una riflessione sul concetto di design, da intendere non solamente come un vocabolario, ma anche come un linguaggio da poter analizzare grazie alla composizione e scomposizione degli elementi base (frasi, parole, lettere). I moduli, appositamente realizzati per il progetto, ambiscono a innescare un processo fisico e di significato attraverso l'articolazione di un percorso esperienziale e percettivo, e sono concepiti come strumento per generare consapevolezza e prospettiva critica, sia durante la fase della presentazione progettuale, concepita con prototipi in legno, che durante la realizzazione all’interno del parco. Ai fini dell’esposizione del progetto sono, infatti, allestite due diverse piattaforme che delimitano uno spazio di azione astratto. La prima area rappresenta la proposta artistica, la seconda, vuota, vuole attivare un dispositivo di partecipazione: i blocchi in legno sono messi a disposizione del visitatore che può arrangiarli a suo piacimento e suggerire una composizione alternativa alla proposta artistica presentata. Scomponendo l’architettura in parti elementari, il visitatore avrà la possibilità di pensare non solo a come riconfigurare i blocchi, ma di analizzare e ridiscutere l'ambiente urbano che quotidianamente lo circonda. Il percorso nel parco è strutturato in 5 “isole”, agglomerati di elementi in mattoni e cemento in relazione tra loro, la cui forma più alta ha dimensioni di 200 cm. In questo modo, lo spettatore avrà la percezione di una composizione urbana a scala ridotta e potrà rapportarsi all’installazione con il proprio corpo, avendo contemporaneamente una visione completa dello spazio e della sua organizzazione. Il percorso è attivato proprio dal movimento delle persone che lo attraversano e che sono invitate a interagire in vari modi: utilizzando i blocchi come sedute, come tavoli, per arrampicarsi, o cercando semplicemente di capirne la provenienza, la loro relazione. Ciascuna isola si sviluppa autonomamente pur non perdendo la relazione con le altre, attraverso un gioco di rapporti tra forme e dimensioni. Ad esempio: nella “Isola dei bambini” la relazione tra le piattaforme basse, i cubi piccoli e le colonne sottili crea dei passaggi stretti che ricordano case e ciminiere. Accanto a questo agglomerato ci sono una serie di colonne che variano in larghezza e altezza, dalla più bassa e sottile, di 25 x 25 x 75 cm, a quella di 50 x 50 x 175 cm, sviluppando un gioco di relazioni tra grande e piccolo, basso e alto, metafora del concetto di proporzione e differenza. Nella "Isola Noguchi" (omaggio all’architetto e designer di parchi giochi) estrusioni a gradoni si estendono dalla piattaforma bassa alla pila dei cubi “perfetti” 50 x 50 x 50 cm, sviluppando una variazione sul volume che mette in relazione questa scalinata con la vicina “Isola dei bambini”. Da qui in poi altre isole si sviluppano in dimensione e complessità. Una volta individuata l'area destinata alle sculture, il lavoro sarà sviluppato in maniera site-specific - così come avvenuto in precedenti progetti - inserendo le forme geometriche in modo organico e in relazione con il paesaggio e, se necessario, entrando in dialogo con le altre opere. Le costruzioni saranno realizzate in mattoni, un materiale povero e durevole che ha caratterizzato le edificazioni sin dall'antichità, e che saranno specificamente prodotti o scelti per il progetto. La sagoma sarà studiata affinché possano determinare delle forme geometriche perfette. Parte delle costruzioni sarà parzialmente stuccata e colorata, cosi da introdurre dei nuovi elementi di gioco tra volume, superficie e profondità. La sovrapposizione dei mattoni sarà studiata in maniera tale da sembrare posati l’uno sull’altro “a secco”. Per dare stabilità alle strutture si provvederà a costruire delle fondamenta in cemento, inserite nel suolo a una profondità di circa 40 cm, che accorperanno uno o più elementi. Mircea Cantor Give more Sky to the Flags Una delle questioni più importanti della sfera pubblica è il suo aspetto provvisorio, di territorio in transizione, dove si presume possa fare degli incontri o relazionarmi con altre persone. Persone che posso conoscere o meno. Persone del luogo o meno. Residenti o turisti. Mi ricordo che da bambino, quando camminavo nella mia città natale (e successivamente in altre città del mondo), il fascino che mi suscitavano i monumenti che ritraevano persone con una bandiera e mi chiedevo sempre: cosa significa quella bandiera? Certo si trattava di una bandiera locale o nazionale retta da una persona importante, ma il cui colore era sempre neutro o color pietra a seconda del materiale usato. Così la immaginavo come un possibile “schermo” dove proiettare i miei colori, la mia identità, i miei sogni. Naturalmente tutti sappiamo che le bandiere rappresentano un'identità, reclamano un territorio e assimilano gruppi di persone di diversi orientamenti (politici, sociali, culturali, religiosi). Per Milano, una delle città europee più importanti a livello di commercio, economia, cultura e moda, mi sono immaginato un progetto in cui due bandiere si intersecano tra loro. Non ne conosciamo il colore e neppure cosa stiano a significare. Una potrebbe essere vostra e la seconda “degli altri”. Eppure sappiamo che sono in contatto, interagiscono, penetrandosi l'una con l'altra. Quest'interazione non riguarda i conflitti o le tensioni, ma piuttosto un momento poetico in cui due sconosciuti passano e si sorridono, magari sentono il profumo l'uno dell'altro e anche si salutano. Queste sono le espressioni immateriali che ho voluto visualizzare e incarnare nel concepire la scultura. Il fatto che sia realizzata in acciaio patinato cor-ten si ricollega all'idea di memoria atemporale, qualcosa che esiste da molto tempo. Immagino che la superficie accoglierà qualche piccolo graffito, dichiarazioni d'amore e altri messaggi di diverso tipo. Per me fanno parte dell'opera e non voglio necessariamente cancellarli, a meno che il testo non contenga messaggi d'odio o che siano offensivi. Un aspetto molto importante riguarda le misure e i numeri che ho utilizzato per eseguire la scala del lavoro. Le misure e proporzioni delle “bandiere” e della popolazione sono calcolate sulla base della sezione aurea (phi, 1,618), la famosa formula usata persino nell'Ultima Cena di Leonardo Da Vinci – uno dei capolavori di Milano. Riassumendo quanto sopra, vorrei aggiungere che la mia scultura vuole diventare soprattutto un punto di incontro per le persone, un luogo vivace sulla mappa di Milano, che immagino col tempo diventi un punto di ritrovo dove le persone possano far propria l'arte e dire: “Ci vediamo domani alle bandiere”. Linda Fregni Nagler Ophrys “Photographic negatives in [Eadweard] Muybridge’s day were made on glass plates, and glass itself was a valuable material. Photographers sometimes scraped the plates clean to start over, and many of the negatives of the Civil War were recycled into green-house plates without being scraped, their images of the harvest of death gradually fading away to let more and more light in on the orchids or cucumbers beneath.” Rebecca Solnit, River of Shadows Per un lungo periodo la fotografia e le serre sono state accomunate dall’utilizzo dello stesso materiale: il vetro. Prima dell’adozione della cellulosa, infatti, il vetro veniva impiegato come supporto per i negativi fotografici. Esistono diverse testimonianze della conversione di lastre fotografiche in materiale per costruire serre, soprattutto durante le guerre o le crisi economiche, quando il vetro diventava un materiale difficile da reperire. La trasformazione di queste fragili matrici fotografiche in vetrate non impediva tuttavia alle immagini impresse di continuare a essere visibili in trasparenza fino a quando la luce non le avesse dissolte. Lo svelarsi delle immagini in alcuni punti delle vetrate della serra creava involontariamente un confronto tra la fugacità della vita e il desiderio dell’uomo di fermare il tempo. Il progetto dello studio di architettura Gustafson Porter per la nuova area verde di Milano presenta una campionatura delle specie botaniche e arboree dalla Pianura Padana alle Prealpi. Questa scelta mi ha portato a indagare le specie endemiche e autoctone meno note e in via di estinzione e a riflettere sui meccanismi attualmente messi in atto per la loro tutela. In Lombardia interi ambienti, come le torbiere o i prati aridi prealpini, sono stati per sempre compromessi poiché improduttivi ai fini dello sfruttamento agricolo e industriale. La scomparsa di questi ambienti, che presentano un’altissima biodiversità e ricchezza di specie di pregio, e che hanno anche un valore paesaggistico e culturale, sta causando l’estinzione di una grande varietà di specie botaniche che crescevano in questi habitat, talvolta sconosciute anche agli abitanti locali. Ho avvertito, dunque, la necessità di reagire a questa perdita, sollecitata anche dal dipartimento di Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano che mi ha supportato in questo progetto. Il mio intervento per ArtLine Milano prevede la costruzione di una serra destinata a studi e ricerche sulle specie botaniche autoctone rare e in via di estinzione. La serra e i suoi impianti tecnici sono stati progettati in partenariato con il Dipartimento di Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano e con l’Orto Botanico di Città Studi, il cui know how garantisce la coerenza scientifica del progetto. La struttura risponde pienamente alle esigenze specifiche di studio del Dipartimento e alle direttive in materia di sicurezza. Il budget del concorso sarà dunque investito per la realizzazione di una struttura concepita secondo gli standard scientifici più all’avanguardia, votata allo studio e alla conservazione di specie botaniche autoctone e rare, e alla sperimentazione per la salvaguardia delle specie botaniche presenti in uno degli ambienti fortemente a rischio in Lombardia, quello dei prati prealpini. Queste specie costituiscono un modello per verificare i rischi di estinzione causati dalle attività umane o dai cambiamenti naturali. Scopo non secondario e conseguente delle attività che si svolgeranno all’interno della serra è quello del ripopolamento delle specie botaniche oggetto di studio. Come un satellite della ricerca universitaria, la serra sarà un luogo simbolico trasparente e visibile in una zona centrale della città. La consuetudine di impiegare i negativi di vetro come materiale da costruzione verrà ripresa lungo il perimetro superiore della serra, che sarà istoriato con lastre fotografiche in vetro che riproducono immagini di specie botaniche estinte, tratte dal prezioso e poco noto Erbario Sordelli (1872-97), conservato nella collezione di erbari storici dell’Università degli Studi di Milano. Qualora il progetto dovesse vincere il concorso, la manutenzione della serra sarà a carico di uno sponsor privato che provvederà, attraverso un atto di liberalità, al pagamento delle spese di gestione della struttura e al contratto per un ricercatore incaricato dal Dipartimento di Bioscienze dell’Università di Milano. Concepire un’opera di arte pubblica significa mettersi in relazione con il tessuto sociale e urbano in cui questa sorgerà. L’opera che propongo per ArtLine Milano non è un monumento nel senso stretto del significato, non lo è volutamente. Progettando uno spazio che sarà votato alla ricerca, ho voluto esplicitare il mio desiderio di contribuire a una riflessione che estenda la sua azione verso una coscienza collettiva. Shilpa Gupta Untitled La scultura proposta è basata sulla storia delle tre scimmiette, associata al Mahatma Gandhi, nella quale le scimmie si coprono occhi, orecchie e naso - una non vede il male, l’altra non sente il male, e l’ultima non parla del male. Tuttavia al giorno d'oggi, in un mondo guidato da capitalismo e individualismo, è diventato troppo comodo mettere a tacere i nostri sensi e rimanere indifferenti nei confronti di ciò che ci circonda. “Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto” Henry David Thoreau, 1854 “Esistevo nel passato o no? / Cos'ero nel passato? / Esisterò nel futuro o no? / Cosa sarò nel futuro?” Sabbasava Sutra “L’essere e l’agire, espansivo, scintillante, espressivo, evaporava; e ci si ritraeva, con una certa solennità, nei confini di sé stessi, un nucleo di oscurità in forma di cuneo, qualcosa di invisibile agli altri” Virginia Woolf, Al faro Adelita Husni Bey Palco dell’Estinzione L’idea del Palco nasce come monito, allarme, rassegnazione e propulsione verso un futuro non più tanto ignoto; un punto di confronto sia fisico che concettuale basato sulla nostra prossima estinzione. Bruno Latour, filosofo contemporaneo, sostiene tramite l’ottica dell’ecologia oscura (dark ecology) che è necessario distruggere l’idea della natura come oggetto “romantico”, essenzialmente separato dalla razza umana, e trovare un nuovo linguaggio per parlare della centralità del rapporto dialettico tra l’umanità e l’ambiente in modo politico. Geologi e filosofi odierni ci invitano a pensare all’epoca corrente come all’era dell’Antropocene, la prima era geologica dove i destini di tutte le specie sono legati indissolubilmente alle azioni dell’uomo; un cambiamento radicale che ci deve portare a una consapevolezza sempre maggiore delle nostre azioni e di quelle dei nostri governi. Partendo da queste premesse il Palco dell’Estinzione prevede una struttura che ricorda la stratificazione geologica, un palco diviso per future ere che si sviluppano su tre livelli, rappresentando il pianeta tra cinquanta, cento e centocinquanta anni. I tre livelli della struttura saranno ricoperti da disegni prodotti in modo collaborativo durante una serie di workshop pubblici sul tema dell’estinzione che si terranno, idealmente, al Museo Civico di Storia Naturale di Milano nel 2016-17. L’artista collaborerà con vari accademici, ricercatori e attivisti Italiani che fanno ricerca in campi come l’innalzamento del mare, la perdita di biodiversità, il futuro dell’approvvigionamento di risorse, considerando possibili soluzioni a questi scenari. Come possiamo accogliere e raccontare l’approssimarsi della fine della nostra specie? E se fossero dei bambini a raccontarcelo? E se non credessimo alla nostra estinzione imminente, quali strategie potremmo adottare per evitarla, e come le insegneremo alle future generazioni? Tra cinquanta, cento e centocinquanta anni quali disegni e conseguentemente quali futuri ci appariranno profetici? Il coinvolgimento delle scuole elementari nell’esercizio d’immaginazione di questi futuri ha sia una funzione pedagogica che una funzione spiazzante per il visitatore. Trovandosi immerso in una rappresentazione, prevalentemente apocalittica, creata da giovani membri della nostra società che la vivranno da adulti, il palco vuole instillare nel visitatore un senso di urgenza al quale è impossibile rispondere individualmente. Questo paradigma lega i nostri destini a doppio filo e ci chiede di rispondere coralmente. La funzione del palco non è solo rappresentativa. Il Palco dell’Estinzione è anche una fonte di energia pulita gratuita, grazie alla sua nuvola di pannelli solari e a vari punti di accesso situati sulla struttura stessa che erogano elettricità 24/7. La forma del palco ricorda quella di un’arena e può essere accessibile e liberamente utilizzata per incontri, proiezioni, concerti, seminari e performance, auto-illuminandosi anche nelle ore notturne. Il Palco dell’Estinzione vuole istigare “convers-azioni” che legano i nostri comportamenti di oggi a un futuro incerto e urgente, un tema che necessita un dialogo pubblico effettivo, riappropriandosi allo stesso tempo di uno spazio urbano chiuso da lungo tempo alla città. Eva Kot'átková Birds in the park/Caged birds/Bird cages Nelle mie opere cerco di materializzare la sensazione o la situazione di costrizione mentale, che può essere imposta dall'esterno, attraverso la forma assunta dalle regole interne delle istituzioni, che determinano i processi educativi e gli atti comunicativi; o che scaturisce all'interno della mente umana per le caratteristiche personali di ogni individuo. Ho costruito gabbie invisibili, ostacoli e barriere, muri e altre tipologie di restrizioni, spesso usate proprio per il mio corpo. In generale il tema principale del mio lavoro riguarda la situazione di un individuo che, sebbene si trovi all'interno di specifiche strutture sociali, non riesce completamente a integrarsi in modo attivo e partecipato. Uso disegni, oggetti e istallazioni, ma anche azioni dal vivo. Tuttavia in primo luogo realizzo strutture organiche che rispondono a un loro ordine e metodo. Più che da opere o da tecniche specifiche, il mio lavoro è costituito dalla ripetizione di motivi, che dopo ogni nuova composizione assumono nuovi contorni. Nel mio lavoro più imponente, Theatre of Speaking Objects, utilizzo il metodo della comunicazione indiretta e pongo gli oggetti come intermediari del discorso. Gli oggetti prendono in prestito la voce dai loro proprietari passivi e descrivono storie più o meno coerenti sull'isolamento umano, le diversità, il distacco, la comunicazione e altre difficoltà. Nei miei lavori più recenti esamino metodi alternativi di comunicazione non-verbale, espressioni non articolate attraverso il movimento, suoni non identificabili, pantomime e varianti della lingua dei segni. Il parco è il luogo della natura organizzata e controllata. L'erba cresce solo dove è permesso, le distanze tra un albero e l'altro sono misurate con precisione. Il parco è un enorme vaso di fiori, con confini prestabiliti. Eppure gli uccelli sembrano trovare accoglienza tra i suoi alberi e cespugli coltivati, adattandosi alla situazione così costruita. Il mio progetto prenderà la forma di enormi uccelli realizzati con una struttura metallica saldata. Le strutture possono essere utilizzate come voliere o gabbie così come delle strane forme di contenitore, di luogo di riposo o di parco giochi. I visitatori possono camminare all'interno e i veri uccelli possono entrarci o uscirne volando. Alterando la scala di misura si rende il parco simile al suo modello e le persone simili a miniature, mentre le figure degli uccelli sembrano assumere una posizione dominante. I corpi degli uccelli sono trasparenti e rivelano lo scheletro sui cui è possibile arrampicarsi o sedersi. All'interno dei corpi degli uccelli si può trovare un luogo di riposo, un riparo temporaneo, anche se in realtà non vi è un tetto. Una volta entrato il visitatore si pone in una posizione speciale. Entra volontariamente in una gabbia, diventando così l'oggetto isolato e osservato da chi resta fuori. La ringhiera (o il recinto, il muro) è un elemento che crea un confine tra interno ed esterno, tra chi è libero e chi invece è catturato o isolato. Determina i ruoli e il modo in cui le persone si guardano a vicenda. Rappresenta anche una rete, una struttura attraverso cui dall'interno osservare l'ambiente circostante. In ultimo ma non meno importante, entrando nel corpo dell'uccello si ha l'impressione di avvicinarsi alla natura mentre invece questa connessione è parzialmente persa. Lo scheletro metallico dell'uccello è solo un contorno, una sagoma, qualcosa difficile da ricostruire. La sua forma indica piuttosto il modo in cui noi rappresentiamo gli uccelli e gli altri animali nei libri per bambini. Sedendosi, sdraiandosi, chiacchierando all'interno del corpo dell'uccello il visitatore completa l'immagine per coloro che camminano al di fuori di esso. Un uomo mangiato da un uccello, un uomo che abita il corpo di un uccello, mezzo uomo mezzo uccello. La stessa cosa accade quando gli uccelli sostano sulla struttura metallica o quando vi entrano. Sembra quasi che gli uccelli vengano a discutere della propria rappresentazione, di come sono visti dalle persone. L'interno del corpo dell'uccello si trasforma da ritratto anatomico a complesso di elementi funzionali su cui le persone possono appoggiarsi, sedersi e riposare. Idealmente nel progetto ci dovrebbero essere tre uccelli da situare nel parco, ben distanziati tra loro ma in modo che allo stesso tempo possano guardarsi l'un l'altro. Il materiale usato è l'acciaio e le strutture sono assemblate in modo da essere abbastanza stabili per reggere, eventualmente, il peso delle persone sedute. Sono poi fissate al suolo con blocchi di cemento che non devono affondare troppo in profondità nel terreno, dal momento che le strutture si tengono in equilibrio su tutti i lati. Possono infine diventare incolte, essere ricoperte dalle piante del parco e diventarne così una parte integrante. Maria Loboda Success after anxiety Per ArtLine Milano vorrei proporre una scultura semplice e accessibile intitolata Success after anxiety, dedicata al tema della ricerca e dell'aspirazione umana per illuminazione, calma, purificazione e liberazione dall'ansia, e vagamente basata sugli elementi Compluvium e Impluvium appartenenti all’architettura greca e romana. Il Compluvium era un’apertura centrale nel tetto dell'atrio delle case greche o romane che permetteva di far circolare luce e aria. Il tetto spioveva verso il basso attorno a questa apertura e incanalava l'acqua piovana verso una vasca (Impluvium) posta sotto l'apertura. L'Impluvium era la parte sotterranea dell'atrio, progettata per raccogliere l'acqua piovana che arrivava dal Compluvium del tetto. Il progetto Success after anxiety misurerà approssimativamente 3,50 x 6,0 x 2,50 metri, con una struttura semi circolare composta da: 1. cemento per la struttura centrale 2. mattonelle fatte a mano e smaltate di colore celadon che copriranno l'interno e il fondo della vasca (Impluvium) 3. un rivestimento in rame attorno alle mattonelle (che si ritiene abbia la capacità di equilibrare le ansie) e uno in cemento per il tetto che sarà inclinato (Compluvium) 4. una selezione di minerali e cristalli che si ritiene abbiamo proprietà purificative ed energizzanti sull'acqua 5. piante selvatiche da campo che cresceranno sopra e attorno la parte esterna della struttura, pensata per essere accessibile e preferibilmente utilizzata per rilassarsi – ma non solo – durante i giorni di pioggia. I visitatori sono invitati a trovare riparo e riposo all'interno della scultura, sperimentando l'effetto calmante del colore scelto per le mattonelle interne, smaltate color celadon, e dell'acqua piovana purificata e carica di energia, che scorre tra i molti minerali di quarzo posti sul tetto (l'acqua non è da consumarsi ma naturalmente può essere toccata e i suoi vapori possono essere inalati). La scultura rappresenterà un interno quasi eccessivamente studiato e curato, un desiderio di perfezione e purezza circondato da una molteplicità di erbacce che crescono all'esterno, che delineano al contrario una natura grezza e forte, il subconscio indomabile contro la civiltà, il desiderio della classe media di controllo sulle emozioni e il successo dopo l'ansia. Ho sempre trovato piuttosto interessante il fatto che la natura nella sua semplicità sia da un lato desiderata, in quanto ambiente di vita salutare, ma anche temuta e domata. La civilizzazione in tutte le sue forme quali architettura, medicina, arte e creazione di città è in contrasto con la natura: uno spazio ideale organizzato dagli dei. La natura era popolata da mostri e bestie selvagge e doveva essere domata. La città non salta fuori dalla terra – la sfrutta e si difende da essa. Success after anxiety è un mio nuovo lavoro ma anche la continuazione di una ricerca personale riguardo l'ambizione umana di stabilità emozionale e autoperfezionamento nelle sue diverse manifestazioni materiali nel corso dei secoli. Da sempre gli esseri umani creano santuari e luoghi di benessere, antichi bagni pubblici, sorgenti termali, centri di ricreazione, ecc, ed elementi di architettura che si suppone abbiano un effetto rilassante sulle persone come l'Impluvium e il Compluvium. Si può trovare una grande varietà di spazi sacri creati per l’umana necessità di riposo non solo osservando l'architettura ma anche gli elementi interni come le sfumature di colore, la consistenza dei materiali usati, la posizione delle luci, la vegetazione, ecc. Anche i minerali e le pietre hanno un ruolo fondamentale nel rimuovere e controllare gli effetti esterni della natura, si pensi all'acqua purificata (che ironicamente viene contaminata proprio dall'uomo). Un minerale interessante che vorrei adoperare per il lavoro è il quarzo del litio. Il litio si trova in ogni cellula del corpo umano e contribuisce in gran parte all'equilibrio e al benessere di mente e corpo. Rinforza il sistema immunitario e rivitalizza il Prana (la forza vitale). Il litio possiede una straordinaria energia calmante che conforta ed equilibra il corpo. Quando l'acqua piovana supera le pietre sul tetto obliquo in cemento, scorre giù verso la struttura principale che è interamente piastrellata con mattonelle fatte a mano e smaltate color celadon. Celadon è un termine della ceramica che denota sia un tipo di smalto sia un tipo di ceramica dal colore particolare. Il termine “celadon” per indicare lo smalto delle ceramiche di colore verde-acqua tenue venne coniato dagli intenditori di ceramica europei. Le sfumature più conosciute variano da un colore molto tenue di verde a un verde più intenso, spesso con l'intento di raggiungere la tonalità di verde della giada. La ceramica celadon coreana è stata descritta dagli antichi artigiani cinesi come particolarmente elegante, il cui colore è “al di là di ogni descrizione”, nel senso che solo dopo averlo visto lo si può comprendere, e la sua semplicità nella forma e nello stile è stata comparata a quella dello spirito del buddismo zen. Trascorrere del tempo all'interno della scultura ed essere esposti all'eleganza e alla tranquillità di questo colore, che aprirà la mente del visitatore, ed essere inoltre circondati dall'acqua rilassante e purificante dovrebbe rendere l'idea di Success after anxiety, ma anche stimolare la contemplazione nell’assenza di spazi incontaminati e la trasformazione della parte “negativa” della natura, rappresentata dai fiori selvatici, in un santuario civilizzato e borghese. Armando Lulaj Play (the 21st century) Play (the 21st century) ritrae una serie di oggetti di uso quotidiano – un pallone da calcio, dodici pompe per gonfiare le ruote della bicicletta, dodici tubi per l’irrigazione – forgiati in acciaio inossidabile. Le pompe da bicicletta sono attaccate a una bassa piattaforma di cemento che pare a livello del suolo, ma in realtà sprofonda leggermente verso il centro e nei giorni di pioggia forma una piccola pozzanghera al di sotto del pallone da calcio. Il pallone, invece, è ben visibile sopra la piattaforma, sostenuto dai tubi che lo collegano alle pompe. Inoltre tutti gli oggetti rappresentati appaiono significativamente ingranditi nell'istallazione, circa il doppio della loro misura reale, così che l'altezza della pompa da bicicletta più grande raggiunge quella di un uomo adulto e quindi sovrasta un bambino. Nella sua interezza l'installazione misura quanto un parco giochi anche se, chiaramente, non lo è. Play (the 21st century) evoca un vecchio gioco che risale all'infanzia dell'artista, in cui bambini e bambine riempivano d’aria un pallone fino all’esplosione della pompa o del pallone stesso; più spesso era il pallone a esplodere. In questo modo l'installazione ci riconduce a un periodo in cui i giochi dei bambini mostravano ancora una certa ingenuità nell'appropriarsi delle “cose” reali e dei processi del mondo, la cui manipolazione e sovversione viene spesso intrapresa con un'irriverenza straordinaria. Ci trasporta anche in altri luoghi, prima e dopo, dove i bambini ancora dovevano ingegnarsi con ogni oggetto a disposizione per creare un gioco. Da un altro punto di vista, Play (the 21st century) rappresenta in un'allegoria le conseguenze devastanti dello sfruttamento spietato delle risorse naturali del pianeta, in particolare dei combustibili fossili, in nome del profitto e del progresso. Naturalmente questo risvolto distruttivo è già presente nel gioco dei bambini a cui fa riferimento l'installazione, dove alla fine uno o entrambi i “giochi” vengono distrutti. Bisogna anche notare che in alcuni casi i pistoni della pompa rappresentata sono tutti compressi, altre volte sono tutti decompressi. Ciò vuole suggerire che Play (the 21st century) offre un'immagine del mondo in cui è evidenziata la precarietà, più di ogni altra cosa, e dove implicitamente si mostra che non sia equamente distribuita e vissuta da tutti. Sappiamo che c’è una relazione tra la sfera del gioco e quella dell'economia o della politica: entrambe, infatti, rappresentano “cose” o attività che riteniamo importanti. È stato osservato, per esempio, che attraverso la miniaturizzazione qualsiasi cosa può essere trasformata in un gioco con cui poi i bambini possono divertirsi, cosa che non esitano mai a fare. In questo senso Play (the 21st century) assolve due funzioni in una sola volta: da un lato, permette di leggere all'interno di un vecchio gioco per bambini una metafora dello stato attuale delle cose; dall'altro, attraverso l'opera d'arte sospende il processo di disattivazione dei poteri di economia, politica e molto altro che ha luogo durante il gioco. Interrogando la capacità o incapacità dell'arte di cambiare lo status quo delle cose, Play (the 21st century) lascia intendere che questo oggi sia il compito principale dell’arte: un compito che, qualcuno potrebbe sostenere, è più che mai urgente laddove si parli di arte pubblica. (Jonida Gashi) Marie Lund Draperies La struttura della nuova area intorno ad ArtLine Milano è costituita soprattutto da cemento, coperto in larga parte da superfici in vetro e acciaio. Mi interessa esporre questi materiali da costruzione, in maniera visibile, a contatto con i visitatori e alle intemperie. Vorrei focalizzare l'attenzione sui materiali e la consistenza della superficie e degli oggetti, e su come questi materiali esposti a ogni storta di stato possono cambiare ed evolversi nel tempo. La mia proposta per ArtLine Milano consiste in una serie di blocchi di cemento disposti a terra su cui saranno impressi la forma e il drappeggio di alcune coperte. Vorrei costruire dai tre ai cinque blocchi di cemento: alcuni posti orizzontalmente al suolo come delle tavole, altri inseriti in verticale come bassi muri di separazione. I blocchi misureranno circa 120 cm di altezza, 220 cm di larghezza e 30 cm di spessore, e si riferiscono ai volumi usati per l'arredamento - come un materassino, una panca, un tavolo - introducendo una scala di misura in relazione diretta con il corpo. Grazie alla resistenza del cemento, le forme possono essere toccate dai visitatori e utilizzate per sedersi, arrampicarcisi sopra e appoggiarsi. I blocchi di cemento vengono costruiti in stampi rettangolari nella cui parte interna sono inserite delle coperte drappeggiate. Quando il cemento si è solidificato completamente, gli stampi vengono aperti e le stoffe rimosse, mettendo in luce la traccia lasciata dai tessuti delle coperte. Nel processo di solidificazione del cemento alcuni residui di tessuto rimangono incastrati nel materiale e il colore delle lenzuola passa all'interno, tingendo il cemento. Le sagome evocano la morbidezza delle coperte in cui ci avvolgiamo, presentate qui in contrasto con la durezza del cemento. Le misure di ogni coperta corrispondono a quelle necessarie per coprire il corpo umano, e in questo senso la coperta può diventare un ritratto allusivo, così come la sagoma si riferisce a un corpo assente. Il drappeggio delle coperte si inscrive automaticamente nella tradizione dei drappeggi delle sculture classiche, in cui tessuti finemente elaborati erano scolpiti nel marmo. Mi interessa rappresentare l'oggetto all'interno di un percorso dal finale a sorpresa, tra l’accadimento e il deterioramento. Mi interessa la superficie dell'oggetto in qualità di membrana porosa che permette una relazione tra oggetto e mondo esterno circostante; il luogo in cui l'oggetto espone la sua materialità e dove è a sua volta esposto al clima. Essendo l’opera situata all'aperto ed esposta alle intemperie, la superficie piana del cemento potrà respingere foglie secche e altri detriti, mentre l'area leggermente concava creata dalla stampa delle coperte li raccoglierà insieme all'acqua. Mi interessa creare le condizioni perché l’aspetto dell’opera possa eventualmente cambiare. Alcune parti della superficie potrebbero diventare lucide in seguito alla continua esposizione al tatto dei visitatori e alcune parti dell'area concava potrebbero diventare scure o verdi a causa dello sporco, del muschio e delle condizioni climatiche. Il progetto è in linea con la mia pratica scultorea e pone l'attenzione sulle proprietà interne del materiale e sul potenziale di un processo in continua evoluzione. Mi interessa la narrativa inscritta nell'oggetto scultoreo, come questo riporti in sé le tracce della sua costruzione, dell'usura e della pressione a cui è stato esposto. Mi interessa anche come questi fattori possono essere ricondotti al momento in cui i nostri corpi abitavano gli stessi spazi, rispecchiandone e riconoscendone misura e consistenza. Permettendo al clima di forgiare il materiale, le opere vengono ritratte tra passato e presente, immobilità e azione, scomparsa e resistenza. Per presentare il progetto ho elaborato tre modelli in scala 1:5 e due prove in scala 1:1 che mostrano alcuni particolari della consistenza e del colore, così come la relazione tra superficie piana in cemento e area impressionata. Questi sono solo esempi di volumi, modalità di drappeggio, consistenza e colore che saranno analizzati in seguito per la realizzazione del progetto. Lo spessore del materiale nel modello in scala 1:5 esagera la profondità dell'area concava, che sarà compresa tra 1 e 8 cm di profondità, come mostra la prova in scala 1:1. Nicola Martini QUINCUNX Il progetto si incentra sulla ricerca di alcune forme geometriche, identificate come costitutive della realtà. In particolar modo si concentra sulla forma-rapporto del Quinconce, il quale deve il suo nome al quincunx, una moneta di epoca romana il cui valore corrispondeva ai 5/12 dell’asse, ovvero cinque once dal latino quinque uncia. Si considera un quinconce l’insieme di cinque oggetti, dei quali quattro siano disposti sui vertici di un immaginario rettangolo e il quinto si trovi al centro di quest’ultimo. Lo si trova nella tetraktys pitagorica, la piramide dai dieci punti, esattamente al suo centro, Pentade, vita e potere. Il medico Thomas Browne (1605-1682) nel suo Garden of Cyrus (1658) individua tale rapporto come indice armonico e proporzionale, ordine regola del mondo, nelle sue concretizzazioni più dinamiche e nella staticità̀ del cristallo. Come descritto dallo scrittore W.G. Sebald ne Gli Anelli di Saturno (1995): “Rintraccia l’impronta di questa struttura nella materia animata e inanimata; in certe formazioni cristalline, nelle stelle e nei ricci di mare, nelle vertebre dei mammiferi, nella spina dorsale degli uccelli e dei pesci, sulla pelle di parecchie specie di serpenti, nelle tracce dei quadrupedi che si muovono incrociando i passi, nelle configurazioni assunte dai corpi dei bruchi, delle farfalle, dei bachi da seta e delle falene, nella radice della felce acquatica, nel disco del girasole e nella pigna dei pini a ombrello, all’interno dei nuovi germogli di quercia o sul gambo dell’equiseto e nelle opere d’arte dell’uomo, nelle piramidi egizie e nel mausoleo di Augusto, così come nel giardino di re Salomone dove sono disposti secondo uno schema regolare, alberi di melograno e candidi gigli”. Sono infiniti i fenomeni che si potrebbero far valere a questo titolo. Quincunx è un osservatorio, un palco per esperire se stesso, un laboratorio aperto per più di uno specifico evento materico, esperibile simultaneamente e da più̀ persone al suo interno e al suo esterno, intorno al suo perimetro e all’interno della sua area. È costituito dall’unione di due quinconce aventi due punti in comune, è un quinconce incompleto, formato da quattro punti, una losanga, i cui lati cosi ottenuti sono estrusi verticalmente sino ad un’altezza di 7 metri. L’area cosi ricavata risulta permeabile all’ingresso del pubblico, il quale è̀ invitato ad entrare da due aperture, tagli, lungo tutta l’altezza delle pareti, rispettivamente dai due lati lunghi. L’estrusione dei due setti fino ai 7 metri permette al percipiente al suo interno di isolarsi completamente dall’ambiente esterno e dalla sua antropizzazione, è in contatto con la materia e il cielo sovrastante. La forma delinea prossemicamente la sua funzione. Le distanze fra le due pareti ottenute all’interno del Quincunx portano l’osservatore a doversi orientare nella totalità dei suoi dettagli; spunto, possibilità e appunto un’attenzione al materico in relazione allo scorrere del tempo. La mia azione in scultura è addizione costante di livelli materici, i quali ogni volta assumono vesti semantiche, prossemiche e interpretative, su un piano micro e macroscopico. La struttura così composta è realizzata in cemento armato, su fondazione a platea, realizzata in situ, colata per pompaggio. Una volta disposto il calcestruzzo nel cassero in legno lamellare, precedentemente armato, si aspetta la titolazione del cemento, a seconda del composto utilizzato, normalmente 28 giorni per la necessaria stagionatura. A processo ultimato, prende forma la seconda parte, continuando per addizione di livelli: sistemi aperti dai confini porosi continuano a compenetrarsi. L’intera struttura, le pareti, interne ed esterne, e il pavimento, vengono rivestiti con un composto liquido fotosensibile: il bitume di Giudea. Tale processo viene innescato da me in persona. Il bitume di Giudea o asfalto siriano è un composto ottenuto dalla miscela in parti prestabilite di bitume, standolio e argilla, soluti in essenza di trementina. Largamente utilizzata in fotoincisione e nel restauro, ha svolto un ruolo fondamentale nella storia della fotografia, con Nicéphore Niépce, nei primi esperimenti sulla fotosensibilità, poi ripresi e perfezionati da Louis Daguerre. Si vuole spostare e ampliare il fuoco dell’attenzione verso l’esterno, un esterno monotonale, che ha al suo interno una rassegna di variabili tendente all’infinito: fondante, il ruolo dell’attenzione alla quantità di variabili materiche comprese e accettate dall’occhio del fruitore, una simultaneamente all’altra. La copertura con il bagno di bitume rivela paradossalmente ogni traccia presente nel calcestruzzo sottostante; la miscela fotosensibile, eccitata dai raggi solari, innesca una reazione che porterà, entropicamente, il parziale schiarire della tipica colorazione bruna del bitume. Questo processo si svolge in un lasso di tempo molto dilatato, contrariamente ai bagni chimici quali, ad esempio, i sali d’argento; ciò porta a modificazioni (di tonalità cromatiche, di di-svelamento delle tracce sottostanti, di durezza…) molto lente, quasi impercettibili, una storia materica che dal reale si astrae verso la suggestione. L’azione della stesura viene dilatata nel tempo, si modifica, estendendo la traccia del suo innesco, fino al perdersi dell’autorialità (il bitume assume la sua forma finale grazie alla porosità del supporto imbibito e secondo le condizioni di luce esterna). Lo strato, una volta asciugato, risulta comunque solubile in essenza di trementina (questo ne facilita le riprese); il pattern informale che si crea, non è dipendente da colui che lo mette in opera ma dalla situazione materica sottostante, per cui può essere ripreso e steso da chiunque. La copertura pittorica in bitume, una volta stesa, asciuga in poche ore, dopo le quali si innesca il processo. Il mantenimento dello strato pittorico nel tempo è molto semplice; il composto si presenta già miscelato (in essenza di trementina) in fusti da 20 litri. La stesura viene messa in opera come una normale vernice da esterni, utilizzato rulli per vernici a solventi e pennelli piatti. Haroon Mirza Proposal for Sundial Da Londra, dove vive, Haroon Mirza ha riscosso un successo internazionale per installazioni che mettono alla prova l'interrelazione e la frizione tra suono, luce e corrente elettrica. Sostenitore dell'interferenza (intesa come disturbo radio o elettroacustico), l'artista crea situazioni che deliberatamente attraversano cavi. Mirza descrive il suo ruolo come quello di un compositore, che manipola l'elettricità - un fenomeno vivo, invisibile e instabile - per farla ballare a un ritmo diverso. Nelle sue installazioni incorpora vari strumenti come elettrodomestici, vinili e giradischi, LED, mobili, filmati e opere d'arte già esistenti che assembla perché interagiscano in modo diverso. I processi sono visibili e i suoni occupano lo spazio in modo caotico, mettendo alla prova codici di condotta e caricando l'atmosfera. Mirza ci chiede di riconsiderare le distinzioni percettive tra rumore, suono e musica e ci coinvolge nell'interrogarci sulla categorizzazione delle forme culturali. “Tutta la musica è un insieme di suoni o rumori organizzati”, — afferma — “pertanto finché continui a organizzare materiale acustico, sono solo la percezione e il contesto a definire quello che fai come musica, rumore, suono, o una mera seccatura” (2013). La proposta di Mirza per ArtLine Milano comprende una grande scultura sviluppata a partire da una serie di lavori recenti dal titolo Solar Symphonies (sinfonie sonore). Le sculture e le superfici dell'opera sfruttano l'energia solare attraverso dei pannelli solari e la utilizzano per creare reazioni di suoni e luce. I LED colorati, inclusi nell'opera, illuminano gli altoparlanti, con cui si connettono per creare una “sinfonia” alternativa che può essere percepita sia con la vista che con l'udito. La prima opera esterna di questa serie, Standing Stones (Solar Symphony 8) (2015), nata da una collaborazione tra Haroon e Mattia Bosco, incorpora materiali scultorei più tradizionali con le tecniche e gli strumenti più contemporanei di oggi. Il materiale della scultura, il marmo nero Portoro, rappresenta un collegamento con monumenti dell'età neolitica come Stonehenge e le Nine Ladies, entrambi in territorio inglese. L'elettricità generata dal pannello solare sulla pietra più grande alimenta i LED inseriti nell'opera e gli altoparlanti incorporati nelle pietre. Standing Stones è stata esposta per la prima volta in giugno nella più grande mostra dell’artista, Haroon Mirza/hrm199 Ltd. al Museo Tinguely di Basilea ed è stata poi selezionata per essere esibita durante Frieze Art Fair nel parco di sculture realizzato a Regent’s Park. La presenza dell'opera nel parco è stata recentemente prolungata fino a gennaio 2016. Il progetto proposto per ArtLine Milano è una scultura site-specific che si colloca all’aperto e prosegue l'esplorazione dell'artista sulle relazioni tra elettricità, luce solare, suono e monumenti antichi del Neolitico. Il nuovo lavoro, che si comporterà come un grande e astratto disco solare, sfrutterà l'energia per inscenare uno spettacolo scultoreo interattivo e in continua evoluzione. La lunga lastra di marmo Marquina monterà al suo centro un pannello solare. Questo pannello alimenterà i LED posti sull'intera struttura e gli altoparlanti nascosti nella base della scultura. I LED, disposti all'interno del marmo Marquina, evidenzieranno le vene della pietra e produrranno luci in continuo mutamento – dal rosso al verde fino al blu – rispondendo alla potenza dei raggi solari nell'arco dell'anno. Una volta all'anno nel periodo del solstizio estivo, quando il sole raggiunge la precisa altezza e angolazione nel cielo, la luce verrà proiettata attraverso un piccolo foro in cima alla scultura, che attiverà un sensore al suolo. Il sensore sarà una cella solare realizzata su misura, con un disegno ispirato all'incisione labirintica di una pietra trovata in Val Camonica. L'immagine dei sentieri intricati del labirinto trova un parallelo nei circuiti e negli schemi spesso presenti nei lavori di Mirza, evidenziando il dialogo che si crea tra antico e moderno, naturale e artificiale, analogico e digitale. Per quei brevi minuti in cui la luce del sole entrerà in contatto con il sensore solare, la scultura prenderà vita improvvisamente, attivando gli altoparlanti nella pietra. La melodia risuonerà nell’aria fino a quando il sole non andrà oltre e il lavoro sprofonderà di nuovo nel silenzio delle sue luci tremolanti per tutto il resto dell'anno. Dal momento che l'opera è alimentata essenzialmente dal sole ed è progettata per rispondere al cambiamento della luce, la scultura è in mutazione continua, e l'esperienza del visitatore sarà sempre unica e legata alle condizioni climatiche del momento. Margherita Moscardini Asylia Milano è una città produttiva che da anni affida il progetto del proprio sviluppo orizzontale alla cosiddetta architettura colta, che serve la città e le sue funzioni. Di recente, invece, la città affronta la verticalità costruendo nuova architettura. Le torri di Porta Garibaldi e del quartiere ex Fiera, oltre a servire la “concentrazione” di abitanti, servizi e uffici, sono anche simboli che esprimono la volontà di lasciare un segno di questa epoca. ArtLine Milano invita gli artisti a contribuire con l’opportunità di misurarsi con quelle pratiche che in modo più diretto oggi lavorano sullo stesso livello di realtà delle cose del mondo (e qua dell’urbano). Pronti a interferire e condizionare il contesto. Tra le mie preoccupazioni iniziali c’è connettere il parco alla città sollecitando un’apertura al pubblico continuata, realizzare un oggetto e allo stesso tempo una piattaforma attiva (dispositivo), stimolare una pluralità di pubblico e funzione, riuscire a interrogare un ragazzino che deve ancora nascere. Gustafson Porter riproduce nel centro di Milano una porzione di territorio lombardo, io porto nel parco una condizione che riconosco come una preoccupazione globale. Asylia era un privilegio concesso nella Grecia antica a persone e a templi, e sta alla radice del moderno diritto di asilo. Per il singolo o per i gruppi (ambasciatori, araldi, artisti) la condizione di Asylia comportava che nulla avessero a temere, neppure in caso di guerra, da parte di chi aveva loro accordato il privilegio. Nei santuari l’inviolabilità proteggeva persone e cose. Nella Grecia ellenica tali concessioni diplomatiche erano date dalla potente corporazione artistica dei Technitai (τεχνιται), dionisiaci che elessero Teos come residenza ufficiale. Fino a metà Ottocento - e in alcuni casi ancora oggi come retaggio di antichi accordi tra Stato Italiano e Stato della Chiesa - le chiese su territorio italiano godevano del diritto di extra-territorialità. Questa giurisdizione è valida su tutto l’edificio incluso il sagrato, area antistante la facciata che spesso è una gradinata e un basamento che sostiene il corpo dell’edificio. Io isolo il sagrato (e la sua giurisdizione) e lo sposto nel parco. Da Masaccio a Brancusi al Teatro Continuo di Burri, il basamento è piedistallo. Asylia è un monolite nero, pura occupazione di suolo. Istanbul, standing people. La scultura è un rettangolo aureo di cemento nero largo 8,34 metri, lungo 13,5 metri e alto 0,80 metri, come un tavolo. Il cemento contiene polvere di marmo nero: il colore è il materiale. Se lo si scalfisce, il suo interno è identico alla superficie, come una roccia. E come una fusione in bronzo, è colato in un unico getto senza interruzioni per restituire, solidificandosi, un blocco monolitico. Il piano è progettato con la pendenza necessaria a evitare, a distanza, distorsioni ottiche di piani e direttrici. La scultura è messa in opera sul posto. È internamente cava e non ha fondamenta, non è ancorata, poggia direttamente al suolo. Per comunicare la qualità di oggetto, sono rimossi 40 cm di terra lungo il perimetro del volume, in modo che l’erba non risulti schiacciata dalla struttura. La scultura necessita di manutenzione ordinaria. L’architetto, l’impresa costruttrice e l’ingegnere incaricato forniscono i disegni esecutivi, le certificazioni, il libretto di istruzioni da consultare per l’adeguata conservazione dell’opera. La scultura occupa un’area del parco piana preferibilmente in prossimità della scuola infantile e nelle vicinanze di un’area boscosa che in inverno si rifletta sulla superficie umida del volume, e in estate garantisca ombreggiatura. Il nome Asylia, riportato in rilievo su un fianco del volume, è orientato a sud. Asylia è il nome proprio di una scultura che corrisponde a una porzione di suolo, che allude a una condizione giuridica, e a un certo utilizzo. La scultura è una piattaforma che può essere agita come seduta e palco. Auspicando una forma di collaborazione con l’UNHCR, Alto Commissariato ONU per i Rifugiati, la piattaforma è offerta da subito a una rete di realtà locali impegnate a sostegno dei diritti umani affinché la utilizzino per attività ed eventi. Un board (comitato scientifico internazionale) funziona da statement e monitora la qualità delle attività. I membri incarnano le figure e gli ambiti professionali che la piattaforma può offrire come servizi. Alla piattaforma di cemento corrisponde una piattaforma online che è agenda, archivio, spazio di approfondimento. Un coordinatore ha ruolo di sostegno scientifico e logistico alle attività per il primo anno, con l’obiettivo primario di renderla organismo autonomo. Che cosa succederebbe se sopra Asylia vigesse una particolare giurisdizione con elementi di extra-territorialità? Marlie Mul Outside La mia proposta per ArtLine Milano si articola in una serie di piccole sculture, una ricostruzione realistica di rifiuti in dimensioni reali 1:1, realizzati in marmo colorato – un’immagine dei resti mondani della vita e del consumo quotidiani. Queste sculture dovranno essere situate lungo tutto il parco di ArtLine Milano in modo tale da formare una presenza integrata e naturale con il parco stesso. Si potrebbe, per esempio, pensare a un pacchetto di sigarette vuoto, sacchetti di plastica sparpagliati qua e là, tazzine di caffè vuote e altri contenitori per bevande, un mucchio di mozziconi di sigarette, un giornale stropicciato, ecc. Questi oggetti saranno disseminati lungo il sentiero del parco, raggruppati sotto e attorno alle panchine o radunati attorno ai cestini della spazzatura. Ci saranno delle variazioni tra oggetti singoli (un singolo giornale arrotolato, per esempio) e istallazioni di gruppi di spazzatura (una pila di scarti accumulati). Visto che il sentiero del parco sarà realizzato in una resina solida e quindi avrà una superficie solida, queste sculture saranno disposte in cima a questa superficie e saranno quindi molto visibili, a dispetto della loro misura. La Fiera di Milano è sempre stato un luogo di incontro tra commercio e intrattenimento, in altre parole, un posto adatto all'interazione sociale. Vorrei enfatizzare questo aspetto posizionando gli oggetti che descrivono le azioni umane – i resti dell'uomo diventano strati culturali – all'interno del parco. Un elemento importante è il confronto che ha luogo nell'opera tra concetti come reale/artificiale, che credo costituiranno un elemento interessante per i fruitori quotidiani del parco: l'uomo che porta a passeggio il cane, chi corre nel parco, la madre col bambino, i ragazzi in skateboard, la passante che si dirige al lavoro. Oltre a questo, negli elementi comuni di urbanità, arredo stradale, rifiuti buttati qua e là e oggetti in disuso per le strade della città, esiste un potenziale di bellezza che possiamo trovare nella composizione spontanea creata in questi scenari/situazioni di apparente vita quotidiana. Questa sensibilità è quello che l'opera proposta vuole sottolineare e far conoscere agli utenti del parco. Il contesto di ArtLine Milano all'interno di un'area urbana residenziale è la caratteristica centrale osservata per questo progetto e sono convinta che attraverso l'apertura del lavoro e la posizione di rilievo, queste idee implicite saranno chiare e accessibili a tutti. Il materiale scelto per la scultura è il solido marmo, con intarsi colorati (sempre di marmo) che permettono di rendere anche i dettagli più minuti (si provi a immaginare un giornale in marmo bianco con intarsi di marmo nero che rappresentano i titoli principali, o un pacchetto di sigarette fatto di marmo bianco con intarsi rossi, ecc.). La qualità scultorea dell'opera sarà quindi riconoscibile dalla scelta del materiale, ma si presenta sotto una forma inaspettata vista la tipologia di soggetti realistici che raffigura . A livello pratico le proprietà del marmo, in quanto materiale solido e non poroso, rendono la scultura adatta a resistere alle intemperie, all'esposizione giornaliera e all'abrasione del parco. Esiste ovviamente una connessione tra il materiale e il luogo in cui devono essere esposte. Il marmo si può dire sia un simbolo culturale della tradizione. Inoltre nel contesto italiano in cui è situato il progetto, possiamo ritenerlo il materiale che incarna il patrimonio culturale del Paese. Storicamente la Lombardia possiede una chiara connessione con l'intricata arte degli scalpellini, si pensi per esempio ai Magistri Comacini e ai Maestri Campionesi del Medioevo. L'idea di lavorare con inserti colorati si ricollega alla lunga tradizione italiana delle statue di marmo policrome. Si tratta di una tecnica sulla quale sto facendo ricerche e sto cercando di lavorare da alcuni anni; questo progetto in particolare sarebbe l'opportunità perfetta per unire queste affascinanti tradizioni. La lavorazione del marmo è stata soggetta a numerosi e straordinari sviluppi tecnici nel corso degli ultimi due anni, specialmente se si pensa alle possibilità introdotte dalla tecnologia della lavorazione digitale. Le sculture saranno prodotte con l'ausilio di una stampante 3D e delle tecnologie di lavorazione 3D, che rappresentano per me, in quanto artista, un'incredibile risorsa per sviluppare nuove competenze in collaborazione con numerosi specialisti e inventori. Il progetto rappresenterebbe un'occasione incredibile per esplorare un materiale classico, che ha ancora molto da dare. Ornaghi e Prestinari Anche il luogo mi costruisce? “Nell’immaginazione popolare i Giganti sono Titani, come ci ricorda Roscher. La radice della parola ‘Titano’ significa ‘allungarsi, estendersi, espandersi, lottare, affaticarsi’.” J. Hillman, Politica della bellezza “Ciascuna pietra è diversa da ogni altra, pienamente individualizzata, come una monade, una solida rappresentazione di questo luogo e di nessun altro”. J. Hillman, Psicologia alchemica Ci siamo chiesti come l’apertura al pubblico di quest’area di Milano cambierà l’anima del luogo. Un luogo in cui l’architettura cerca di farsi ammirare come qualcosa di straordinario, cercando di imporsi per “farsi guardare”. I grattacieli per via della loro grandezza non raccontano più l’uomo e i suoi bisogni ma il suo ego e la sua volontà di travalicare i limiti, un uomo che cerca il cielo, l’altezza, di raggiungere le nuvole: l’uomo della Torre di Babele. “Non so perché mi augurerei che l’uomo, invece di enormi monumenti che testimoniano soltanto la grottesca disproporzione tra la sua immaginazione e il suo corpo, (...) mettesse la sua cura a crearsi nelle generazioni una dimora non molto più grande del suo corpo”. F. Ponge, Il partito preso delle cose Abbiamo allora pensato di bilanciare la verticalità del contesto attraverso un cambio di scala, una scala umana e non sovraumana; così due colonne a grandezza d’uomo si tengono braccetto e osservano i grattacieli. Vedere una scultura che guarda è il nostro invito a osservare per prendere coscienza di un mutamento che sta avvenendo e di cui siamo testimoni, così come la scultura è testimone, ma in un tempo diverso. Uno sguardo che si perde nella misura del tempo, una veglia costante sulla città. L’architettura che guarda l’architettura. La colonna, infatti, è un elemento architettonico primario portante e allo stesso tempo assolve una funzione di connessione rimandando all’innalzamento e all’edificazione. Nell’opera una colonna si fa crescere un braccio per avvicinare l’altra, come se fosse un corpo vivente: mentre la singola colonna è associata a una simbologia legata al potere, alla celebrazione e alla vittoria, la coppia di colonne segna un passaggio, un limite (Colonne d’Ercole), rimanda al portale. Il nodo sancisce un legame, come nelle colonne ofitiche diffuse nell’Italia settentrionale dal XII secolo. Si crea un abbraccio come augurio di convivenza per la nuova città. “Una volta pensavo che le imprese di un eroe, come Ercole, fossero la fantasia ispiratrice per la città, quella che tornava continuamente a fondarla. Tutti i cittadini – pensavo – potevano tornare a quei racconti e mettere in scena il loro mito di fondazione. Adesso penso che è il contesto di una comunità che fa il suo eroe, che crea il mito. Non è l’eroe a fondare la città, quanto piuttosto il collettivo della città a inventare l’eroe, come un focus collettivo”. J. Hillman, Politica della bellezza Augurandoci che questa nuova parte di Milano possa custodire storie, miti, costantemente traditi perché riattivati oggi, la scultura diventa occasione per raccontare il mito di Filemone e Bauci, un augurio di convivenza e ospitalità, che non dobbiamo perdere. A partire dall’importanza del mito nella fondazione della città, ci siamo interrogati sul ruolo attivo del luogo nella costruzione degli individui e su come la scultura sarà chiamata a essere partecipe della vita degli uomini che qui vi passeranno, facendo riferimento all’idea di statua come qualcosa che si colloca e si innalza a differenza dell’idea di monumento, che ricorda un evento ed è memoria. Una scultura come convitato di pietra è infatti chiamata a prendere parte nella vita degli uomini. “Certo la statua non parlerà mai con me, non vivrà con me. Ma io vivrò con essa, l’avrò nella mia vita, e le mie meditazioni su di essa non saranno sui suoi valori di opera d’arte ma sui suoi di partecipe della nostra esistenza, di figura della nostra esistenza”. E. Vittorini, Diario in pubblico Quest’opera mira a diventare più “vera” con il passare del tempo, perdendo la novità e acquisendo un carattere familiare e ordinario. Così, come se invecchiando una scultura tornasse a casa. Amalia Pica CONFUSED CHROMATIC La mia proposta per ArtLine Milano è collocare un semaforo nel contesto del parco e allo stesso tempo cambiarne i colori. Il semaforo è uno strumento di comunicazione quotidiana molto semplice, al quale siamo abituati; siamo così reattivi allo specifico codice di colori e sequenze che lo guardiamo quasi senza accorgercene. Vorrei spostare un semaforo in un luogo inusuale, dove non ci sono auto, che lo libererà della sua funzione e permetterà ai passanti di osservarlo come se fosse una scultura. In aggiunta vorrei alternarne i colori in modo che la sequenza efficace e ben conosciuta di rosso, giallo e verde sia sostituita da una combinazione più divertente, emancipando il colore dalla sua codifica e comprensione. La proposta è piuttosto semplice da descrivere e sarà facile da individuare se realizzata, perciò non richiede un linguaggio complesso che descriva l'effetto allarmante e tuttavia ironico del semaforo smarrito nel parco. L'aspetto fisico del semaforo sarà formalizzato dopo la selezione. Forma, colore, materiale e sequenza della scultura saranno influenzati dai semafori della città di Milano, in modo che la luce possa avere valore sia come oggetto del quotidiano che come scultura. Ho anche preso in considerazione la possibilità di acquistare il semaforo dalla SCAE, la società che fornisce i semafori in città, che potrebbe offrire un'alternativa percorribile. Al momento, per motivi pratici, il prezzo stimato è stato calcolato come se il semaforo dovesse essere costruito da zero, in quanto questa potrebbe essere una soluzione nel caso l'opzione precedente non fosse praticabile o se l’idea di usare i colori al LED non piacesse. Nel qual caso propenderei per usare vecchi modelli di semafori della città, magari fuori fabbricazione, come esempio e risorsa da restaurare. I colori specifici saranno scelti tra tutto lo spettro cromatico, escludendo rosso, giallo e verde. Il luogo sarà scelto dopo aver consultato curatori e costruttori: per esempio nell'intersezione tra sentieri, camminamenti o vialetti in ghiaia, creando una sorta di rotonda pedonale senza scopo. Un'altra posizione, più romantica, potrebbe essere scelta in mezzo agli alberi, a stabilire una connessione più diretta col silenzio e una diversa forma di futilità. Considero queste decisioni più specifiche come parte di un processo di produzione che avverrà se il progetto sarà selezionato per essere realizzato. Wilfredo Prieto Beso Beso è costituito dall'unione di due pietre di grandi dimensioni collocate l'una di fianco all'altra. Entrambe sono di forma sferica e si sfiorano in un solo punto simulando l'azione di un bacio. L'ubicazione di quest'opera all'interno di un parco in cui esiste uno spazio pubblico rappresentato tra le altre cose dalle abitazioni, dagli uffici e dai centri commerciali, offre un legame con la storia dell'arte e la tradizione del giardinaggio. Questo spazio organizzato, che parte da un disordine naturale e un ordine funzionale, estetico e artificiale, è il materiale di lavoro in cui il progetto si propone di inserirsi. L’uso di elementi minimi mette in rilievo l'organicità del contesto per parlare di un rapporto poetico tramite topos universali delle relazioni umane; costruisce, inoltre, un riflesso della vita sociale e dell'ambiente quotidiano, dove si stabilisce un dialogo con il passante che viene coinvolto e si muove in modo dinamico. Quindi, in un contesto caratterizzato dalla natura e dalla tradizione, si attivano aggregati simbolici ispirati dal materiale puro, semplice, comune, naturale, che suscitano riflessioni in un micro-universo, in una realtà manipolata in cui ciò che è simbolico diventa naturale e ciò che è naturale, artificiale. Jon Rafman (senza titolo) Credo che l'arte nel parco debba essere accessibile e molto visibile, e debba anche rappresentare il periodo, la cultura e il luogo in cui si trova. Nello specifico penso che le opere proposte dovrebbero parlare alle persone che vivono e lavorano nel cuore della città moderna. La mia serie New Age Demanded prende ispirazione dai busti degli antichi greci che incarnavano un’idea di permanenza e dalla poesia di Ezra Pound In a Station of the Metro del 1913, in cui il poeta paragona i volti della folla a “petali su un ramo umido e nero”. Il progetto di scultura che propongo suggerisce molteplici forme di anonimato nella città moderna. Ispirato a Ferron, un personaggio inquieto, i busti catturano il movimento accelerato di un istante. Le forme delle opere esistono nel tempo, eppure sono immobili, congelate a metà di una trasformazione. I busti possono anche suggerire scenari immaginari e futuri alternativi. Nonostante siano intagliati nel marmo classico, i busti sono stati concepiti in digitale e scolpiti con tecniche robotiche. Essendo esposti in un parco urbano le persone vi passeranno intorno per piacere, per raggiungere il lavoro o per comodità; in questo senso le storie e le tradizioni convergeranno e si disperderanno in un costante movimento. I busti, antichi e moderni allo stesso tempo, rievocano le trasformazioni dell'identità. La mia proposta prevede tre monumentali busti di marmo scolpiti in marmi diversi ma complementari. I busti saranno realizzati in forma digitale prima di essere scolpiti su una macchina CNC a sei assi. Ogni busto sarà direttamente posizionato sulla superficie prescelta, e uno sarà girato sul fianco, come a suggerire la storia di una “rudere” e allo stesso tempo uno sguardo verso il futuro. Le sculture saranno prive di ornamenti e di bordi taglienti, e la loro monumentalità sarà bilanciata da eleganza e accessibilità. Diverse caratteristiche contribuiscono a rendere questo progetto adatto allo spazio pubblico e in particolare a un parco. I materiali e i metodi di lavorazione garantiscono il rispetto dei vincoli di costo. La scelta della posizione dei busti rispetta il flusso dei visitatori e allo stesso tempo li spinge a interessarsi all'opera. Marmo e cemento sono materiali estremamente resistenti, l'uniformità di questi materiali e la scelta dei colori sono garanzia del minor danneggiamento possibile. L'opera d'arte verrà inoltre trattata con un prodotto anti-graffiti. Il materiale e il rivestimento protettivo finale permettono una facile e regolare manutenzione; sulla base dei miei altri interventi di arte pubblica e delle normative internazionali, suggerirei di pulirla settimanalmente, il che è facile da integrare a qualsiasi programma di manutenzione già in atto. Una pulizia più accurata dovrebbe essere attuata in seguito al protocollo di manutenzione programmata o su necessità. Il marmo è il classico materiale usato per le sculture e denota nobiltà e raffinatezza. Oggi è diventato un materiale attraverso cui tutti gli individui, che siano importanti o marginali, rispettati o stigmatizzati, possono riconoscersi. Il marmo, estratto come è noto dalla terra, rimanda all'archeologia e ci ricorda le fondamenta sotterranee della nostra città. La terra rappresenta anche la materia in cui le città antiche sono seppellite, proprio come la memoria è il medium dell’esperienza. L'installazione incoraggia una mediazione tra storia e futuro del sito, la sua diversità e il cambiamento del paesaggio umano. La mia serie New Age Demanded apparve la prima volta sul web, solo successivamente come un’opera bidimensionale da museo o galleria. Nel presentarla come opera d'arte pubblica, questa nuova proposta prevede una inedita e radicale fase nella trasformazione del virtuale in reale. Un elemento contemporaneo, tecnologicamente basato sulla modellazione di un materiale classico come il marmo, è anche innovativo. La forma tradizionale del busto scultoreo è tradizionalmente riservata alla canonizzazione degli individui di una certa importanza storica. Il mio progetto per Milano nega questa tradizione. I busti non divinizzano persone illustri, ma celebrano l'uomo, il familiare e l’alieno, il marginale e il molteplice, il passato e il futuro immaginario all'interno di ognuno di noi. Alice Ronchi Summer Reunion Sembrerebbe che scavando nel terreno per costruire il nuovo parco di ArtLine Milano siano stati ritrovati dei grandi sassi raffiguranti animali intenti a rincorrere una bandiera. Questo complesso di sette sculture in cemento dalla forma organica è stato chiamato Summer Reunion. Sei di esse sono disposte su due file parallele, tre per parte tutte rivolte verso la settima scultura collocata al centro dell’estremità di destra. La disposizione riproduce uno schema di gioco, gli studiosi ipotizzano si tratti dello schema del famoso gioco da praticare all’aperto: Rubabandiera. Un testo, qui sotto riportato, è stato ritrovato ai piedi del complesso, non è firmato ma si presume sia dell’artista. “Johan Huizinga, profondo conoscitore della natura ludica dell’uomo, ci invita a osservare ‘l’allegro ruzzare’ dei cuccioli per scorgere i tratti fondamentali del gioco nell’uomo; anche gli animali giocano! afferma. Ho pensato che quel ‘ruzzare felice’ fosse qualcosa di bello da ricordare, così ne ho fatto un monumento, non all’animale, ma al gioco stesso. Ancor prima però, pensavo ai passanti, ai passeggiatori, ai curiosi e agli esploratori, mi è venuto il desiderio di intrattenerli, così ho realizzato delle grandi sculture che giocano. La loro forma è paffuta ma anche monolitica come alcune stazze degli animali che in certe posture sembrano essere delle vere e proprie architetture; la superficie levigata, invece, ricorda quella dei sassi del mare che tendono sempre a una rotondità e morbidezza tipica del trascorrere del tempo su di essi. Tuttavia, nonostante la loro grande stazza, esse appaio come affettuose presenze, o perlomeno questa era la mia intenzione; volevo infondere loro la gentilezza e la timida eleganza che ogni volta ammiro nelle abitazioni primitive realizzate in argilla, caratterizzate da un incessante spalmare di terra, strato su strato, steso con le mani, talvolta con così tanta grazia da sembrare una carezza, domandandomi se forse sia proprio in quella carezza che si cela il rapporto di affetto tra l’architettura e l’uomo che la abita (mi affascina ogni masso capace di conservare l’affetto di quel tocco, vorrei farlo riaffiorare in superficie). Così questi grandi animali sono la mia architettura, un complesso di strutture godibili. Si possono cavalcare, abbracciare, si può giocare a nascondino o scivolare nei grandi buchi delle loro fessure, si può immaginare di correre con loro verso la bandiera, o si possono fare scommesse su quale animale la raggiungerà prima (quando il suo numero verrà chiamato) e molte altre cose. Anche di varia natura, come passeggiare in un’immaginaria navata centrale attorniati da animali in fila che come sfingi conducono verso un unico elemento focale in lontananza, la grande giraffa, che, astuta come una rana pescatrice, sventola davanti a sé una bandiera per attirarti vicino. Dopo tutto questo giocare però, può capitare di essere stanchi, così può tornar utile trasformare quel luogo in un paesaggio urbano, un’area di sosta, d’appoggio, di lettura, o semplicemente di compagnia. Ecco spiegata la scelta del materiale, il cemento, un elemento che contiene in sé un importante binomio: artificio e natura, materiale edile responsabile della costruzione di un paesaggio prettamente urbano e materiale naturale, composto da elementi provenienti dalla terra come la sabbia, la ghiaia e l’acqua di cui esso conserva il ricordo e l’aspetto una volta modellato. In questo binomio si cela il mio desiderio di costruire delle architetture affettuose e fruibili che possano ben integrarsi con il luogo che le ospita, assumendo così l’aspetto di grandi sassi naturali. Ps: la pinna soffre il solletico”. Matteo Rubbi Cieli di Belloveso “Come se si potessero trovare tra l’erba delle stelle, come se ci fossero finite per caso, tra i piedi veloci dei passanti, un cielo riemerso che non si vedeva da un pezzo, da quando qualcun altro nel fondo delle generazioni di questa città l’ha visto e lasciato andare, perché non c’è sosta nei moti del cielo come nel nostro sguardo”. Vorrei ricostruire, tra l’erba e gli alberi del nuovo parco, il cielo stellato visibile a Milano nella primavera del 600 a.C., data intorno alla quale Tito Livio colloca la leggendaria fondazione di Milano. La porzione di cielo ricostruita è quella intorno allo zenit, il punto immaginario direttamente sopra la nostra testa. Le stelle sono posizionate nel parco in modo speculare rispetto alla mappa costituendo una proiezione diretta dell’ipotetico cielo di allora, in relazione con il cielo di oggi e con i corpi celesti presenti e visibili nei mesi primaverili dell’anno. L’inesatta corrispondenza tra il disegno delle costellazioni a terra e quello visibile oggi a occhio nudo alla mezzanotte dei giorni a cavallo tra aprile e maggio, racchiude in sé l’intera storia millenaria della città, dalla sua ipotetica fondazione ai giorni nostri. Tito Livio descrive la fondazione di Milano come un avventuroso viaggio tra le montagne. Nell’allora sterminato e variegato mondo celtico ci fu a un certo punto un grande sovrappopolamento. Un principe guidò una vera e propria migrazione di popoli e guerrieri attraverso le Alpi inesplorate e vertiginose. Belloveso, questo il nome del principe, riuscì nell’impresa e giunto nella pianura lombarda a primavera sbocciata, si accordo pacificamente con il locale popolo degli Insubri per costruire un primo insediamento. La leggenda della fondazione è ammantata di dati astronomici. Milano sarebbe sorta in quel luogo perché al centro di coincidenze stellari particolari. Per questo sembra che sia stato “edificato” anche un tempio/calendario fatto di alberi e di movimenti celesti. Mettere oggi un cielo stellato, nel mezzo di una metropoli come Milano, ha per me un valore scardinante. Lo sviluppo smisurato delle città contemporanee ha determinato poco a poco l’estinzione delle stelle e del buio. L’osservazione delle stelle ha permesso lo sviluppo dell’orientamento, nel tempo e nello spazio, ha permesso il calcolo dei giorni e delle stagioni, il calcolo dei passi verso l’ignoto. L’idea stessa di viaggio, di spostamento e quindi incontro con l’altro è intimamente legata alle stelle. L’osservazione del cielo è oggi poco più che un affascinante accessorio, riservato a scienziati e appassionati; le costellazioni note sono fissate una volta per tutte in varie application per gli smartphone, e hanno perso quella carica straordinaria di lingua parlata comune, dove trovavano spazio pacificamente culture diverse tra di loro, dove il Mediterraneo non si è mai disgiunto e dove la parola zenit, ad esempio, è la bella sintesi di un pasticcio tra greco, arabo, latino, spagnolo antico e francese, che significa all’incirca direzione sopra la nostra testa. L’opera è composta da circa 100 stelle, di dimensioni e forme variabili. Le stelle sono sparse tra l’erba, gli alberi, i cespugli del parco, montate in modo da essere radenti al terreno e calpestabili, senza interferire con le normali attività del luogo. Ogni pezzo è realizzato in acciaio cor-ten massiccio e ricoperto da uno strato piano di acciaio inox di 12 mm rifinito a specchio. Lo spessore complessivo di ogni stella è di circa 4-5 cm. La rifinitura a specchio delle superfici permette che alla luce e ai colori dell’ambiente circostante di riflettersi e integrarsi nelle stelle; i materiali scelti assicurano un’ottima resistenza all’ossidazione e permettono di contenere le spese di manutenzione. Ogni pezzo è incassato nel terreno in modo da lasciare scoperta solo la superficie specchiante; il perimetro delle stelle è smussato e le punte dei raggi sono arrotondate per non costituire possibile motivo di inciampo per i passanti. Ogni elemento, posato su uno strato interrato di ghiaia drenante che ne evita lo sprofondamento, è assicurato al terreno da una catena e da un piatto per garantire l’ancoraggio a una profondità di 30-40 cm. Le stelle si dividono in sei gruppi a seconda della luminosità ad occhio nudo dalla Terra, rispettando l’antica suddivisione greca basata sull’osservazione diretta degli astri. Ipotizzando un’estensione complessiva del lavoro di circa 70 x 60 metri, la stella più grande, Vega, che fa da unità di misura, avrebbe un diametro esterno di 130 cm e interno di 22 cm; le più piccole avrebbero ognuna un diametro esterno di 38 cm e interno di 7 cm. Le dimensioni complessive del lavoro e di ogni elemento sono modulabili in base alla superficie disponibile per il lavoro. Il progetto vuole rimanere aperto a più livelli di lettura e fruizione. Le stelle sono infatti collocate senza che ne sia indicato il nome o la costellazione storica di appartenenza. Il lavoro è in questo senso una mappa muta: ognuno è libero di giocarci, di reinventare percorsi e comporre figure, scovare stelle nascoste nelle siepi o tra gli alberi, o semplicemente passeggiarci sopra. Solo sulla stella più grande, Vega, si trovano incise le coordinate temporali e storiche relative al cielo stellato presentato, una chiave che permette di leggere il disegno e di immaginare la città prima che tutta la sua storia cominciasse. Timur Si-Qin Ever Oceans Rompere la simmetria su mari eterni Ever Oceans è una scultura fatta essenzialmente di alluminio. La forma, che prende spunto dai resti fossili di un'antica balena, è attraversata da impianti luminosi distribuiti lungo tutta la superficie. Le informazioni pervenute allo scanner 3D sono state modificate per rispecchiarsi in modo simmetrico: un minimo gesto per incidere sulle informazioni e imprimere un segno dell’operato. Un segno di vita La simmetria riguarda i corpi e la vita in generale. I fossili emergono dalla roccia che li avvolge attraverso numerose simmetrie, radiali, traslazionali, bilaterali. I nostri occhi e il nostro cervello si sintonizzano in modo simmetrico per risolvere problemi di adattamento nel riconoscere animali e volti nel paesaggio. Una funzione così importante da aver fatto evolvere una specifica parte del cervello dedicata a questa tipo di processo visivo. La Fusiform Face Area (FFA) è la parte del cervello responsabile dell’identificazione dei volti. È responsabile anche della capacità di riconoscere volti in oggetti dalla forma casuale come le nuvole o i toast, un fenomeno noto come pareidolia. La FFA si ricollega a proprietà geometriche che si adattano bene alla struttura dei volti. Quando viene danneggiata o è inattiva non si riescono a riconoscere o distinguere i volti, una condizione nota come prosopagnosia. Ne deriva che la percezione della simmetria è una calibrazione molto ben orchestrata del nostro sistema cerebrale. La scultura rappresenta una duplicazione della simmetria già presente nella balena. Un super-fossile visto come l'immagine di due gemelli o amanti o cloni, che emerge dalla terra per ricordarci della correlazione tra vita e tempo. Elisa Strinna Ancora vi sono melodie da cantare, al di là degli uomini Quando sono stata in Messico la scorsa estate, sono stata a trovare Genaro Amaro Altamirano, direttore del Museo Comunitario della valle di Xico a Chalco, alla periferia di Città del Messico. Ho conosciuto Genaro grazie all’artista Maria Thereza Alves a Documenta dove Il ritorno del lago, il lavoro di Maria Thereza, racconta le vicende del museo e della sua comunità. Genaro, assieme ad altri abitanti di Chalco, si è impegnato a fondare un museo autogestito, in cui si stanno raccogliendo reperti precolombiani che la gente trova sparsi nella zona, e che altrimenti andrebbero perduti. Quando con Genaro ho visitato il museo, sono rimasta particolarmente colpita da una statua della loro collezione, El mirador del cielo, che rappresenta un antico azteco nell’atto di scrutare il firmamento. Quando glielo ho detto mi ha raccontato un’interessante storia: qualche tempo prima aveva scoperto la tomba di un astronomo recandosi con un archeologo in una zona alle pendici del vulcano. In questo luogo, che in vita era anche stato l’abitazione dell’uomo, avevano incontrato una postazione per osservare il cielo alquanto particolare: infatti, nella tomba, c’era un sedile di pietra collocato all’altezza del terreno, e di fronte a questo sedile un bacile tondo che l’archeologo riconobbe come adatto a essere riempito d’acqua: diventava così uno specchio per riflettere il cielo notturno. Mi sono trovata a pensare a lungo all’astronomo che passava le sue notti a osservare il cielo riflesso in uno specchio d’acqua con meticolosa dedizione. A chiedermi come i moti degli astri si riflettessero nei moti dell’anima di quest’uomo, intento a contemplare un cinema agli antipodi, che giorno dopo giorno gli restituiva la storia di un palmo di cielo. Il poeta Paul Celan scriveva: “Solo un pellegrino che sa leggere le rotte del cielo sa trovare il suo cammino sulla terra”. L’importanza che avevano le stelle nell’orientamento può essere interpretata in senso più ampio come l’importanza del saper leggere un mondo non solo umano e con esso relazionarsi. Sempre Paul Celan scriveva: “Ancora / vi sono melodie da cantare / al di là degli uomini" evocando la necessità di rivolgersi verso lo straordinario. Ancora vi sono melodie da cantare, al di là degli uomini nasce da queste suggestioni. Il progetto è il tentativo di creare all’interno del parco uno speciale osservatorio siderale. Riprodurre uno specchio d’acqua in una città come Milano, dove l’inquinamento luminoso è molto alto risultava un’impresa impossibile, così ho deciso di privilegiare l’ascolto alla visione. La forma di cono dello specchio d’acqua, che raccoglie in sé una porzione di cielo, mi ha riportato alle parabole delle moderne antenne utilizzate in radio astronomia. La parabola di un radiotelescopio è diventata così il punto di partenza per progettare il mio intervento. Ho deciso di riprodurre una parabola delle dimensioni di circa 4 metri di diametro, sezionarla e conficcare le due estremità nel terreno, a un’inclinazione tale che le persone possano utilizzare questa superficie come schienale per distendersi ed essere orientate con il volto verso il cielo. Le due parti di parabola saranno disposte in modo da creare un piccolo anfiteatro. La scultura sarà realizzata in lastre di ottone, materiale utilizzato per la costruzione di strumenti musicali, grazie alle sue caratteristiche acustiche. Sul retro della parabola saranno posizionate delle casse a vibrazione che messe direttamente a contatto con la struttura in ottone faranno entrare in risonanza l’intera superficie rendendola strumento di diffusione del segnale audio (whispering windows), nell’intento di proporre al fruitore un’esperienza sinestetica tra suono e materia. Il suono diffuso sarà invece, il risultato di una composizione elaborata da documenti scientifici, forniti in prevalenza dall’Osservatorio Astronomico di Brera a Milano. Con la supervisione di Stefano Sandrelli, coordinatore del progetto ExTRAS (INAF), esamineremo materiale d’archivio sullo studio del cielo. Oggetto dello studio saranno le emissioni luminose dei vari fenomeni galattici, con un’attenzione particolare al ritmo e all’intensità delle emissioni, nel tentativo di restituire, attraverso il suono, la storia delle dinamiche dell’energia e la natura dei vari corpi celesti. La traduzione trarrà spunto da John Cage e dal suo Atlas Eclipticalis (1962), dove l’artista riprende un atlante stellare pubblicato nel 1958 dall’astronomo ceco Antonín Becvár, e sovrappone i pentagrammi musicali alle carte, traducendo la luminosità delle stelle in musica. In questo caso sarà studiato un sistema di traduzione partendo dalle statistiche che registrano le variazioni delle emissioni di energia dei diversi astri presi in considerazione (si stima di analizzare un massimo di dieci fenomeni celesti). Con la supervisione dell’esperto di percussioni, il professor Guido Facchin, sarà codificato un sistema di traduzione. La scelta degli strumenti verrà orientata in particolare verso strumenti a percussione in ottone, come la parabola stessa, quali per esempio campane a lastra, campane tibetane o sonagli a vento, ecc. Per ogni oggetto celeste sarà identificato un determinato strumento, scelto dopo aver studiato la natura che caratterizza i fenomeni. Una volta studiato il sistema di traduzione sarà valutato se registrare un’esecuzione strumentale del materiale, se realizzare un sistema automatico di generazione audio. In questo caso la parabola andrebbe collegata alla rete internet, rendendo possibile inviare i dati raccolti dal dipartimento di astrofisica direttamente al generatore automatico di suono nella scultura, che si occuperà simultaneamente di tradurre i dati in musica con suoni studiati ad hoc. L’intento è quello di restituire, attraverso la musica, una porzione di cielo e la sua storia. Rayyane Tabet Bonifica, or The Forest that once was Sono venuto a Milano per la prima volta nel settembre 2015 e ci sono rimasto per quattro giorni per visitare le diverse parti della città e cercare di capire come potermi approcciare alla proposta per questa iniziativa. Trovo che concepire un’opera d’arte per gli spazi pubblici sia piuttosto complicato, soprattutto in un luogo dove la storia, esattamente come la fiera e la piazza d’armi, è stata quasi completamente cancellata per far posto a uno spazio dove si svilupperà anche il progetto ArtLine Milano. Nel secondo giorno di permanenza mi sono sentito scoraggiato e ho pensato di ritirarmi dalla gara. La visita al cantiere era pianificata per il terzo giorno e ci sono andato riluttante. Camminando nell'area dedicata al parco pubblico mi sono imbattuto in una montagna di ceppi di legno e rami accatastati. Chiedendo informazioni al riguardo sono venuto a sapere che erano i resti di una bonifica; un processo di risanamento molto usato in Italia in cui la terra che precedentemente era adoperata a scopi industriali deve essere lavorata e decontaminata per poter essere utilizzata di nuovo. Apparentemente si tratta di un processo lungo, complicato, che segue rigide linee guida e spesso causa tensioni tra chi deve ripulire il terreno e le società di controllo. Mi è sembrato che questa catasta di legna pronta per essere buttata fosse l'unico potenziale collegamento con quello che accadde in questo luogo e così ho deciso di tentare di salvaguardarla, sviluppando un progetto che partisse da questo incontro. Sono partito il giorno dopo senza nemmeno sapere se questo materiale era accessibile o utilizzabile. Dopo aver mediato con il gruppo di ArtLine Milano e la società di costruzioni, quella catasta è stata conservata e spostata temporaneamente in un magazzino dove si trova ancora oggi aspettando i risultati della gara. La mia proposta prevede di scegliere da questa catasta venti pezzi di legno e ripiantarli nel parco come indicatori dell'accumularsi del tempo, dei luoghi e degli eventi che sono stati spezzati con il loro abbattimento per la trasformazione del territorio. I frammenti saranno trattati con un composto di resine per preservarli e proteggerli e saranno fissati con l'ausilio di dischi di ferro incastrati nel legno che verranno fissati a basamenti di cemento sotterranei. Il posizionamento dell'opera all'interno del piano completo del parco non è definitivo e può variare a seconda degli altri progetti. L'unica direttiva consiste nel posizionare i venti frammenti al posto di venti alberi, alterando lievemente il paesaggio del parco. Se dovessi vincere la gara, il progetto sarà interamente sviluppato a Milano con l’ausilio di una squadra di artigiani locali e in accordo con gli architetti del paesaggio della società di costruzioni. Nico Vascellari Codalunga Codalunga è il nome di una parte del mio studio a Vittorio Veneto, che nel 2005 ho aperto al pubblico e dove regolarmente invito altri artisti a presentare il proprio lavoro. Tra le ragioni che mi hanno portato a concepire Codalunga c’era senz’altro quella di forzare un dialogo tra il mondo dell’arte e quello di una piccola comunità di provincia prevalentemente composta da individui non preparati o aperti verso il contemporaneo. Nel momento in cui ho visitato il cantiere dell’ex Fiera la mia attenzione si è focalizzata sui tre grattacieli il cui sviluppo verticale rimanda ad una tradizione e una simbologia piuttosto antica e costante nella storia dell’umanità. A questa verticalità ho sin da subito pensato di contrapporre qualcosa che operasse nel sottosuolo e che fosse in grado di scomparire. Immaginavo di poter applicare a una scultura aspetti organici che potessero richiamare a una crescita simile a quella delle piante o dei funghi, oppure a quei sorprendenti movimenti di espulsione dal sottosuolo di elementi come gas o lava. Una scultura che potesse sorprendere l’occhio del passante con una scomparsa o un’apparizione simile a quella del coniglio nel cilindro del mago. Tenendo presente questa necessità di contrapposizione della mia scultura alla monumentale verticalità immobile dei grattacieli ho cominciato a chiedermi come avrei potuto associarla alla mia volontà di coinvolgere, così come faccio a Vittorio Veneto, la comunità che animerà il parco. Da questa ricerca nasce la mia proposta: una scultura mobile che simbolicamente ho deciso di intitolare Codalunga. Codalunga è un obelisco telescopico in acciaio che partendo dal livello del terreno raggiunge i dieci metri d’altezza grazie all’ausilio di un sistema idraulico. Questo obelisco è concepito e progettato per sostenere ed esporre ciclicamente oggetti proposti dai cittadini. Per gestire non solo la selezione ma anche l’archiviazione degli oggetti di volta in volta proposti dalla comunità per essere esposti sopra Codalunga, ho pensato alla creazione di un sito web che sarebbe curato e gestito dallo staff del mio studio. Le persone interessate a proporre un loro oggetto potrebbero farlo inviando un’immagine e la descrizione dell’oggetto proposto insieme a una breve introduzione che specifichi per quali ragioni lo vorrebbero esporre pubblicamente. Non ci sono particolari criteri di selezione degli oggetti: verrebbero esclusi solo quelli che possono risultare offensivi per la cittadinanza. In pratica non sarebbe scartato alcun oggetto se non per questioni tecniche (dimensione o peso eccessivi) o perché oltraggioso. Gli oggetti verrebbero sostituiti ciclicamente con scadenze da definire dopo l’eventuale approvazione del progetto. La mia proposta è quella di esporre ogni oggetto per tre settimane, almeno per il primo anno, in modo da garantire a quante più persone possibile di poter esporre il proprio oggetto e comunicare il progetto alla comunità. Passato il primo anno il periodo di tempo di esposizione potrebbe aumentare fino a cinque settimane. Serena Vestrucci Vedovelle e Draghi Verdi Nello spazio pubblico l'opera d'arte si rivolge necessariamente a tutti i cittadini, in quanto fruitori del luogo. Il progetto che ho sviluppato non prevede l’aggiunta di nuovi elementi nel futuro parco dell’area dedicata ad ArtLine Milano, perché sceglie, al contrario, di intervenire su qualcosa che è già stato previsto in questo luogo: le fontanelle pubbliche, le classiche vedovelle, elementi tipici del Comune di Milano. Non c'è milanese che non le conosca, con le loro strutture in ghisa, dipinte di verde. Il termine vedovelle è dovuto al loro continuo scrosciare di acqua, che ricorda il pianto di una vedova, altrimenti conosciute anche come draghi verdi per il rubinetto a forma di testa di drago. Ciò che ha ispirato questo progetto è la possibilità di lavorare con quello che sarà l’elemento più storico inserito nel nascente parco. In un’area di riqualificazione urbana il cui piano di trasformazione mostra la sperimentazione di nuovi concetti spaziali, in un’area in grado di dare alla città un volto internazionale, caratterizzato da un alto livello di ricerca e innovazione, il mio progetto cerca un dialogo tra il contemporaneo e il classico, tra il cambiamento e la tradizione, tra la nuova e la vecchia Milano. Per ciascuna fontanella che sarà installata nel parco di ArtLine Milano, il mio intervento consiste nel riprogettare il rubinetto - originariamente in ottone proponendo una scultura di volta in volta diversa, ottenuta attraverso la lavorazione di un modello in cera, la sua conseguente fusione in bronzo e la successiva galvanizzazione in oro. Ognuna delle fontanelle presenterebbe così una testa di drago differente, unica. Non un multiplo industriale replicato. Così, pur mantenendo la presenza della fontanella originale - in quanto la struttura principale non verrebbe ad essere modificata rispetto al disegno del 1932 - viene ad innescarsi quel sottile spostamento di senso, quello scarto minimo ma indispensabile per passare dal meccanismo della riproducibilità tecnica, della serialità, a quello che invece è oggi ancora il valore del lavoro fatto a mano. Il progetto è stato reso possibile dal dialogo che ho attivato tra due fonderie presenti e attive in città: la Fonderia Lamperti, la sola che fornisce per il Comune le fontanelle originali alla Metropolitana Milanese Spa (Società addetta al Servizio Idrico Integrato per la città di Milano), e la Fonderia Battaglia, con cui è stato possibile trasformare un oggetto tradizionale in ottone in una scultura pubblica di bronzo rivestito in oro. Dal momento che ad oggi non sappiamo con precisione quante saranno le fontane presenti nel parco - perché siamo in attesa dell’approvazione del piano definitivo da parte del Settore Verde del Comune - ne propongo 6 come numero indicativo. Nel caso in cui il mio lavoro venisse selezionato, adatterò questa cifra all'effettiva quantità stabilita. L’opera che ho progettato chiede di muoversi, di perdersi, di girare nella geografia del luogo per essere vista nella sua interezza, come se, osservato dall’alto, il parco fosse un campo scandito da punti, da accenti, da intervalli, attraverso cui il paesaggio trova dei momenti di pausa. Vedovelle e Draghi Verdi attiva un discorso sul camminare, inteso come gesto, come azione, come investigazione di un luogo, come meccanismo di conoscenza, di scoperta, come anti-monumento, come scultura vivente, come forma nello spazio. L’opera agisce su due scale, una finita e una infinita, una visibile e una invisibile: da un lato è il disegno di una mappa immateriale, di un tracciato immaginario e ogni volta diverso che ci porta a trovare, in quattro, cinque o sei collocazioni diverse, l'acqua pubblica; dall’altro si offre nella sua forma concreta e tangibile come una narrazione di sculture cittadine di tutti e per tutti, che possano valorizzare ed evidenziare l'acqua come bene comune. Il mio lavoro vuole riportare l’arte a un’umana proporzione: un intervento non incisivo sul paesaggio, non spettacolare, un gesto silenzioso di cui si accorge solo chi andrà ad avvicinare le sue labbra per bere. Xu Zhen (prodotto da MadeIn Company) Eternity-Unique forms of continuity in space, Proserpina Xu Zhen è un artista concettuale di Shanghai le cui opere variano molto tra di loro. Sono spesso teatrali e molto provocatorie, affrontano i tabù culturali e sfidano l'ordine prestabilito delle cose. Propongono una nuova visione della storia dell’arte e della nostra cultura in generale. Eternity è il nome di una serie di installazioni scultoree iniziate nel 2013 con il marchio di MadeIn Company: “Xu Zhen”. Questa serie di lavori consiste in composizioni di copie di statue classiche con un chiaro riferimento alla cultura occidentale e/o asiatica. Statue che ricoprono un importante ruolo storico e artistico vengono assemblate in una combinazione aerea e acrobatica in cui le posture e i movimenti sono amplificati per creare una nuova forma dinamica. Eternity offre una prospettiva inedita sul nostro modo di comprendere la cultura e la storia, ed esplora la contraddizione già largamente affrontata delle nostre società contemporanee all'interno dello scenario della globalizzazione. Questa opera abbina fisicamente due grandi sculture della storia dell'arte senza comprometterne i dettagli: Forme uniche della continuità nello spazio, un'opera futurista creata da Umberto Boccioni e successivamente forgiata in bronzo, e una replica della dea romana Proserpina dal Ratto di Proserpina, un capolavoro di Gian Lorenzo Bernini. Entrambe incorporano un retaggio culturale della civiltà italiana e rappresentano il culmine di periodi artistici italiani distanti tra loro. Priva di trasformazioni sontuose e dettagli manieristi, questa composizione costituisce un gesto semplice e tuttavia inedito che combina due capolavori, dandogli una nuova lettura. Entrambe le forme a spirale delle sculture evocano un forte senso di vivacità ed evoluzione quasi come se i contorni fossero stati scavati da un forte vento. La fusione anacronistica tra barocco e moderno, quasi assurda, dà voce a una provocazione fortemente intrisa dall'ironia idiosincratica di Xu Zhen. Eternity è la risposta a una particolare sfida dettata dell'epoca moderna, che accomuna la maggior parte delle metropoli nello stesso periodo storico: come riuscire ad affrontare le eredità storiche di una città. Attraverso questa creazione, Xu Zhen stimola ingegnosamente il nostro spirito di osservazione e senso critico.