BREVE GUIDA ALLA MOSTRA
La mostra e il concorso
ArtLine Milano 30 progetti per il Parco d’Arte Contemporanea è un’esposizione di
progetti realizzati da trenta artisti under 40, italiani e internazionali. Invitati dal
Comune di Milano - su proposta dei curatori dell’iniziativa, Roberto Pinto e Sara Dolfi
Agostini – hanno ideato un’opera di arte pubblica inedita per l’area pedonale
denominata CityLife che si sviluppa intorno alla nuova fermata della metropolitana
M5 Tre Torri. Otto di loro, individuati da una giuria internazionale, vedranno realizzati
i loro lavori a partire dalla prossima primavera.
Il progetto
Oltre alle otto opere selezionate tramite il concorso, il progetto ArtLine Milano
prevede la realizzazione di più di dieci opere da parte di alcuni tra i più autorevoli
esponenti della scena artistica internazionale. L’obiettivo è quello di creare un parco
per l’arte contemporanea, mostrando le molteplici forme che l’arte può assumere
nello spazio pubblico in termini di contenuti, esperienze visive e materiche. Tutti gli
artisti invitati si sono distinti per la loro capacità di sperimentare nuovi linguaggi,
rileggere la storia dell’arte e proporre nuovi percorsi estetici. Ognuno di loro, in modi
diversi, ha affrontato il tema dello spazio pubblico riflettendo su come l’arte possa
acquisire una dimensione ambientale, sui rapporti che si instaurano tra lo spettatore,
lo spazio architettonico e sociale in cui le opere saranno collocate e sulla memoria
dei luoghi.
Arte negli spazi pubblici
ArtLine Milano sarà una collezione a cielo aperto che mostrerà le tendenze e le
personalità internazionali che stanno trasformando le forme e i contenuti dell’arte di
oggi. Una linea invisibile si svilupperà in orizzontale nell’area verde e nei
camminamenti che uniscono strade, tracciati e opere d’arte, a fare da contrappunto
ai nuovi concetti spaziali e architettonici della città che sollecitano lo sguardo verso
l’alto.
Nel suo complesso, ArtLine Milano offrirà un percorso articolato in oltre venti opere
permanenti in un luogo tuttora in costruzione che per la prima volta, dopo esser stato
una Piazza d’Armi e la sede della Fiera di Milano, acquista lo status di spazio
pubblico e ridefinisce la propria identità in sintonia con un progetto artistico. Arte e
verde cresceranno insieme.
Con questa iniziativa, ArtLine Milano si propone di diffondere l'arte nella città,
facendola vivere a contatto con gli abitanti del quartiere, coloro che passeggeranno
nel parco e tutti i cittadini. L’obiettivo è quello di ricorrere all’arte come a una risorsa
per osservare la realtà da altre prospettive, con occhi nuovi.
ArtLine Milano rimarrà aperta 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e sarà fruibile gratuitamente
per ribadire l’importanza dello spazio pubblico nell’ottica di una condivisione del
patrimonio artistico e culturale della città.
La giuria
A scegliere i vincitori del concorso sarà una giuria di professionisti internazionali
individuati per l’eccellenza del loro lavoro e per la loro competenza. Tale giuria è
composta da Charles Esche, Mary Jane Jacob, James Lingwood, Gianfranco
Maraniello, Lea Vergine e Angela Vettese. I giurati saranno affiancati nel lavoro di
selezione da Iolanda Ratti, conservatrice presso il Polo Arte Moderna e
Contemporanea di Milano, in rappresentanza del Comune.
Gli artisti invitati alla mostra
Alis/Filliol, Giorgio Andreotta Calò, Maria Anwander, Francesco Arena, Riccardo
Benassi, Rossella Biscotti, Mircea Cantor, Linda Fregni Nagler, Shilpa Gupta, Adelita
Husni-Bey, Eva Kotátková, Maria Loboda, Armando Lulaj, Marie Lund, Nicola
Martini, Haroon Mirza, Margherita Moscardini, Marlie Mul, Ornaghi e Prestinari,
Amalia Pica, Wilfredo Prieto, Jon Rafman, Alice Ronchi, Matteo Rubbi, Timur Si-Qin,
Elisa Strinna, Rayyane Tabet, Nico Vascellari, Serena Vestrucci, Xu Zhen (MadeIn
Company).
Alis Filliol
Hum
Nel corso degli anni la nostra ricerca ci ha portato a elaborare una sorta di mondo
parallelo, popolato da forme scultoree che costituiscono porzioni di una struttura
narrativa in divenire. Le forme che abitano questo mondo immaginifico hanno talvolta
delle connotazioni umanoidi e, talvolta, sono vere e proprie costruzioni irrisolte,
volumi in trasformazione che sfuggono a un’immediata classificazione. Ogni lavoro è
un frammento di questa sceneggiatura che consideriamo come una struttura in
perenne autocostruzione.
La nostra ricerca consiste nel costruire forme aliene, quasi fossero parte di una
struttura di pensiero alternativa, che mettiamo in dialogo con le forme del nostro
pianeta. Le sculture sono il frutto di una ricerca che investe svariati tipi di tecniche
differenti che inventiamo di volta in volta, al fine di riuscire a generare delle forme in
grado di esulare da una predeterminata pianificazione progettuale. Delle forme in
grado di sorprenderci. Uno dei motivi per cui lavoriamo in due è, infatti, la possibilità
di sovrascrivere le nostre individuali progettualità l'una sull'altra in modo tale da
ottenere qualcosa che esuberi da una definizione formale del singolo. L'incontro con
l'altro genera forme imprevedibili. Ci consideriamo una micro-cellula di una comunità
costituita dal numero due che prolifera attraverso la perenne generazione del terzo
termine.
Per la realizzazione del progetto per ArtLine Milano, dal titolo Hum, ci siamo
concentrati sulla presenza delle forme di vita invisibili che lo popolano. Abbiamo
perciò collaborato, per la prima fase della ricerca, con un entomologo al fine di
scandagliare le specie di insetti sotterranei che vivono nel nostro ambiente. Abbiamo
infine individuato un tipo di larva che si sviluppa in uno scarabeo nominato Cetonia
Aurata, un coleottero appartenente alla famiglia degli Scarabeidi, molto comune in
Italia e in Europa e presente in tutte le aree verdi di Milano.
Questo insetto ci ha colpito per la sua forma e per la sua attitudine a rifugiarsi nel
sottosuolo lontano dalla luce. Per inabissarsi nel terreno compie un gesto particolare,
arcuando il proprio corpo e rovesciandosi sul dorso dove sono presenti le zampe con
cui scava la terra. Osservandolo da vicino ha una forma mostruosa e ci divertiva
immaginare di vedere emergere dal suolo questa creatura sotterranea, in una
versione ingigantita, come fosse l'inizio di un'invasione aliena.
Grazie all'entomologo abbiamo catturato alcuni esemplari di questo insetto per
studiarne il comportamento. Ci siamo quindi rivolti a un’azienda che si occupa di
produzioni di stampa in 3D. Il nostro intento era scansionare la larva viva, in
movimento. Eravamo affascinati dalla possibilità di forme che potevano generarsi
attraverso la scansione meccanica di un corpo vivo. I suoi movimenti descrivono
traiettorie normalmente invisibili, ma data la natura della tecnologia per scansionare
è stato possibile registrarne le oscillazioni in tempo reale, dando luogo a forme prima
inesistenti.
La seconda fase della nostra ricerca era costituita dalla preparazione della larva alla
scansione. Il punto era creare le condizioni ottimali per ottenere diversi tipi di
movimento e, quindi, di forme. Uno stimolo fondamentale era costituito dalla luce. Un
altro parametro basilare era la loro posizione nello spazio. Ad esempio uno dei nostri
interessi era capire come la larva avrebbe reagito alla gravità senza essere
appoggiata a una superficie. Abbiamo quindi provato a sospenderla con un filo. Il
comportamento della larva è diventato frenetico e confuso, così abbiamo congelato il
coleottero per alcuni minuti in modo da rallentarne il movimento in maggiore accordo
con i tempi della scansione. In seguito abbiamo inserito le larve su un piano costituito
da un sottile strato di terra in modo che poggiassero al suolo come nel loro habitat.
Siamo cosi riusciti, dopo diversi tentativi, a riprendere il suo naturale comportamento
sulla superficie cogliendo l'attimo essenziale in cui la larva si capovolge per
inabissarsi nel terreno.
Nella terza fase abbiamo passato al vaglio le varie forme riprese dallo scanner al fine
di rintracciare i movimenti a nostro avviso più significativi, isolandoli e componendoli
in un'unica forma. Il risultato è una nostra personale rielaborazione di uno specifico
movimento: il momento prima che la forma della larva scomparisse di fronte ai nostri
occhi. La forma che nasce è l'espressione di un corpo che si sovrascrive per tutto il
tempo della scansione.
La realizzazione della scultura nel parco prevede l’utilizzo di fibra di carbonio che
consente un’estrema resistenza agli agenti atmosferici e una definizione ottimale
della forma. Le misure del lavoro saranno di circa 4 x 2 x 2 metri. Durante la
lavorazione valuteremo come intervenire sulla patina finale che determinerà il colore
della scultura.
Giorgio Andreotta Calò
Scolpire il tempo
Scolpire il Tempo è̀ il titolo dell’installazione pensata per il nuovo parco di Milano,
risultato di una lunga ricerca che gravita attorno alla dimensione della scultura. Per
scultura si intende un processo di trasformazione che, a partire dal gesto umano e
naturale prolungato in un tempo e in uno spazio, si cristallizza in un oggetto che
rappresenta l’ultimo stadio di modificazione della materia. Tre forme verticali che
fanno da contrappunto alle tre torri di Isozaki, Hadid e Libeskind. Ognuna delle tre
sculture evoca idealmente l’elemento architettonico della colonna portante, ma al
tempo stesso nasce a partire da un elemento naturale, un tronco d’albero piantato
nell’acqua della Laguna di Venezia che ha raggiunto lo stadio conclusivo del suo
ciclo di utilizzo. Le tre sculture sono, infatti, la risultante di un processo di
trasformazione naturale e umano. In origine, lunghi pali di legno piantati in acqua,
consumati dall’erosione della marea e infine estratti e fusi in bronzo. Le tre sculture
esprimono insieme l’idea di passaggio del tempo. La loro forma speculare è̀ quella di
tre grandi clessidre, di dimensioni in scala proporzionale alle tre torri. Speculare è̀ il
rapporto con l’architettura e speculare il rapporto tra due luoghi: la piazza e il parco.
Le tre clessidre creano uno spazio autonomo all’interno del parco, uno spazio dove il
visitatore può ritrovare una dimensione umana e dove il tempo è̀ metaforicamente
sospeso. Esse rappresentano idealmente le tre declinazioni del tempo: passato,
presente e futuro.
Il bronzo utilizzato per la fusione è una lega di rame e zinco caricata manganese che
dona al metallo maggiore resistenza alla corrosione e una peculiare colorazione
platino. Le tre clessidre non hanno basamento, ma sono ancorate al suolo, come
fossero piantate direttamente a terra. La porzione di terreno su cui poggiano verrà̀
consolidata con uno spessore superficiale di caranto, uno strato discontinuo di argilla
sovraconsolidata e impermeabile su cui poggia la laguna di Venezia, luogo da cui
prende spunto parte di questa ricerca. La presenza del caranto impermeabile nello
strato superficiale del suolo forma nei giorni di pioggia un ristagno di acqua. Lo
specchio d'acqua che si crea alla base delle sculture genera un riflesso, non solo di
tipo fisico e visivo, ma anche del pensiero poichè́ riconduce l'elemento naturale alla
specularità della forma scultorea e alla sua valenza simbolica, una clessidra,
strumento di misurazione del tempo.
Quando ho visitato per la prima volta il nuovo quartiere ho trovato un cantiere aperto.
Uno spazio in costruzione e mutamento. Un luogo dove assistere al lavoro in corso e
solo intuirne il risultato finale. In questa area è̀ l'architettura a caratterizzare il
paesaggio. La torre di Isozaki già̀ eretta e le altre due in via di costruzione,
costituiscono i tre elementi dominanti e mostrano le diverse fasi del processo
costruttivo: dallo scavo delle fondamenta, al progressivo sviluppo verticale, fino alla
forma compiuta. Ho deciso di partire dal processo costruttivo per creare un'analogia
speculare con un altro luogo, Venezia, e con altri elementi costruttivi. Qui, ho
lavorato all'interno di un cantiere che si occupa di opere marittime come il
consolidamento delle fondamenta della città̀ e l'impianto e l'espianto di grandi pali di
legno nell'acqua. I pali rievocano la struttura di una colonna portante, ma di fatto
sono tronchi di albero ed è proprio questa loro natura che stabilisce un contrappunto
tra le tre torri e le forme inserite nello spazio verde del parco.
Ho fatto estrarre dall'acqua tre pali uniti a formare un fascio (bricola), per poi
ripiantarli nel terreno separati l'uno dall'altro. Ho fatto tagliare le punte in modo da
ottenere tre dimensioni in scala proporzionale a quelle delle torri rispettivamente di 8
metri, 7,40 metri e 7,60 metri. Nell’immagine dei tre pali ho ridotto la parte mediana,
assottigliandola fino a ottenere la forma di una clessidra, e inserito in post
produzione le tre torri.
Maria Anwander
IF WE HAVE NO BREAD WE WILL EAT YOUR CAKE
“Che mangino brioche” è la traduzione comune della frase francese “Qu’ils mangent
de la brioche”, erroneamente attribuita alla regina Maria Antonietta dopo aver saputo
che la popolazione non aveva più pane. Non vi è nessuna prova che questa frase sia
stata pronunciata dalla regina. Compare come citazione pronunciata da “una grande
principessa” nelle Confessioni di Jean-Jacques Rousseau (opera autobiografica), i
cui primi sei libri furono scritti nel 1765, quando Maria Antonietta aveva nove anni.
Pare che l'eventuale citazione “S’ils n’ont pas de pain, qu’ils mangent de la brioche!”
fosse stata messa in circolazione dai suoi avversari politici all'alba della rivoluzione
francese. Secondo Zhu Muzhi, presidente dell'associazione cinese sugli studi per i
diritti umani (China Society for Human Rights Studies), la versione di Rousseau
rappresenterebbe la distorsione di un aneddoto molto più datato: “Un antico
imperatore cinese, avendo saputo che il suo popolo non aveva abbastanza riso da
mangiare, rispose: 'Perché non mangiano carne allora?'”.
A prescindere da chi l'abbia pronunciata, questa frase rimane una manifestazione di
decadenza e, sfortunatamente, è sempre rappresentativa dell'enorme disparità che
esiste al mondo, di cui tutti, in qualche modo, chi più, chi meno, siamo parte.
Estraniarsi completamente dalla società sembra quasi impossibile dal momento che
politica e capitalismo sono estremamente intrecciati nell'intero sistema. Da quando i
nostri bisogni hanno iniziato a essere in contrasto con le azioni predatorie di coloro
che detengono il potere capitalista, le banche e le multinazionali si sono insediate al
posto di monarchi e dittatori. Anche se siamo coscienti del fatto che il nostro sistema
sia ingiusto e sfrutti la povertà, tutti noi ne siamo parte. Per questo il sistema deve
riflettere i problemi della nostra società capitalistica.
Annidata tra il centro congressi, il centro commerciale, le tre torri e i lussuosi
appartamenti con prezzi che arrivano a € 13.000 a metro quadro, ArtLine Milano
offre il perfetto luogo di incontro per affrontare questioni legate alla disuguaglianza e
cercare di cogliere cosa sia la giustizia. Altrettanto importante per il futuro del sito
espositivo è la sua storia. Una fiera rappresenta solitamente il luogo in cui si
vendono prodotti al fine di ricavarne un guadagno economico.
Nel libro La Fiera di Milano, Massimiliano Finazzer Flory definisce la fiera “uno
scambio come viaggio in cui si parte da una mancanza per approdare a un
desiderio”. Ma questo desiderio non porta forse a un consumo basato sul
deterioramento delle frontiere e a un terreno fertile per la globalizzazione e le sue
derive negative? Nello stesso libro si cita anche Frédéric Bastiat: “Dove passano le
merci, non passano i cannoni”. Ma le lobby intessono relazioni con la politica,
l'industria delle armi è in parte coinvolta nelle case farmaceutiche e nell'industria
automobilistica; tutto ciò rende questa citazione alquanto obsoleta.
In contrasto con il resto d'Italia, Milano, con il suo mercato azionario, è la città più
ricca del Paese, un centro per moda, cultura e mezzi di comunicazione. Inoltre
questo nuovo quartiere della città, con le lussuose aree dedicate allo shopping e le
case lussuose può essere visto come un'isola nell'isola. Per chi abita in un parco
all'interno di un lussuoso e sofisticato condominio situato nel centro della città è facile
dimenticare i problemi del resto del mondo. Guidata dal consumismo, la comunità
segue uno stile di vita privilegiato tra centri commerciali, ristoranti e cinema, dove è
difficile ricordare che esiste un mondo privo degli agi della prosperità.
Noi tutti abbiamo una certa responsabilità nei confronti degli altri membri della
società. Il testo messo su un’opera d'arte pubblica ci illumina su questa
responsabilità e ribalta il significato originale di una frase che suona oggi più che mai
decadente: “Se non hanno pane, dategli una torta”. Cambiando le parole, la scultura
si trasforma in una silenziosa richiesta di eguaglianza e costituisce un promemoria
quotidiano per i residenti dell'area, molti dei quali potrebbero condurre uno stile di
vita sfrenato, dimenticando il loro dovere nei confronti della società. Rinforzando lo
“scambio di idee” proposto nel libro, la scultura pubblica rappresenta anche un segno
di benvenuto per chi in quell'area non è così benestante ed è inoltre segno di
scambio intellettuale e sociale.
Mutando la grammatica della frase originale, il “loro” diventa qui un “noi”, mostrando
la frase da un nuovo punto di vista. Con il potere della lingua la nuova frase mette in
risalto l'esistenza di più di una prospettiva e il fatto che il soggetto possa essere
facilmente ribaltato. Al contrario che in altri luoghi dove il benessere si unisce a
condizioni di segregazione e nell'isolamento, qui la scultura sarà un simbolo di
benvenuto e provvederà fin dall'inizio a creare un senso di appartenenza.
La traduzione inglese della parola Fiera è “fair”. Il suo primo significato è legato a un
luogo dove sostenere e scambiare idee, prodotti e merce in generale. In secondo
luogo e in maniera più importante “fair” significa imparzialità, equità dei beni preziosi
per l'umanità. E quindi Se non abbiamo pane mangeremo la vostra torta.
Francesco Arena
55 quadrati
Nella città una scultura può sopravvivere? Cosa è una scultura pubblica e a cosa
serve? Cosa è un monumento? Ha senso parlare di resistenza del monumento? Può
esserci un monumento personale che parli a tutti? Le sculture occupano lo stesso
spazio degli uomini? Anche le sculture muoiono? Il mio progetto per ArtLine Milano
deriva da queste domande e da una storia.
Tra il 1940 e il 1945 Milano subì una serie di pesanti bombardamenti, un terzo degli
edifici della città̀ furono distrutti. In un terreno in via Del Bollo, in pieno centro di
Milano, in zona Cinque Vie, sino a poco tempo fa era ancora possibile vedere i ruderi
di un complesso distrutto in uno di questi bombardamenti. All'inizio del secolo, in via
S. Marta n.1 c’era un classico palazzetto milanese a tre piani con negozi a
pianterreno. Come testimonia una rara foto d'epoca, c'erano la rinomata "Farmacia
alle Cinque Vie", già Carlo Valsecchi, con "specialità nazionali ed estere", e una
bottega di "Mercerie"; sull'altro angolo la "Pontificia Cereria S. Orsola", che stando
all'insegna vendeva, oltre a steariche e lumini, anche spremuta, caffè tostato e "le
migliori marche di saponi profumati e da bucato". Nel 1942, il palazzo fu espropriato
dal podestà di Milano insieme con altre due proprietà: quella adiacente, via S. Marta
n.3, e la casa di via Zecca Vecchia n.2 (piazza S. Sepolcro). L'esproprio fu fatto per
conto della Stipel, Società Telefonica Interregionale del Piemonte e della Lombardia,
l'antenata della Sip. La Stipel in cambio si impegnò con una convenzione a costruire
un palazzo per conto del Comune. Una convenzione che ebbe vita breve: dopo pochi
mesi caddero le bombe alleate. La palazzina non è stata ancora ricostruita.
55 quadrati consiste in 55 cornici di 100x100 cm; ogni cornice è un metro quadro,
elemento base e modulo dell’architettura. I quadrati sono 55 come i 55 metri quadri
di una delle case del complesso che sorgeva in via Del Bollo angolo con via Santa
Marta distrutto dai bombardamenti degli alleati durante la seconda guerra mondiale. I
55 quadrati, i 55 metri quadri di via Del Bollo, saranno disseminati all’interno del
parco, non solo nello spazio destinato al progetto ArtLine Milano, ma in tutto il
quartiere. Ogni quadrato sarà installato in modo da interagire con un elemento del
quartiere che sia esso architettonico (una panchina, un’altalena, un pilastro esterno,
un sentiero) o paesaggistico (il tronco di un albero, un pezzo di prato, una siepe,
affogato nel selciato).
In 55 quadrati il metro quadro non sarà solo un elemento utile per misurare una
superficie calpestabile, ma sarà utilizzato anche come cornice appesa capace di
inquadrare e misurare il cielo. Distruzione e costruzione, unità e disgregazione,
conservazione e rimozione sono tutti concetti che danno forma al progetto per
ArtLine Milano.
I 55 quadrati sono realizzati con una barra di bronzo piena di sezione quadra di
2,5x2,5 cm; il bronzo sarà lucidato a specchio e successivamente galvanizzato in
modo da rendere la lucidatura più resistente. Ho scelto il bronzo perché rappresenta
storicamente il materiale, resistente al tempo, usato per realizzare i monumenti. In
questo caso non è lo spazio circostante a fare da cornice al monumento, ma è la
scultura stessa a essere cornice di un particolare dell’area in cui è ospitata. La
suggestione che mi ha ispirato è l’idea che uno degli appartamenti di via Del Bollo,
diffuso e frantumato, abbracciasse quest’area della città, non la casa circondata dalla
città ma la città circondata dalla casa.
I 55 quadrati sono presenze discrete, sfuggenti a uno sguardo distratto, chi
frequenterà il quartiere li incontrerà ripetutamente camminando nel parco.
Riccardo Benassi
Daily Desiderio
Daily Desiderio è un intervento pubblico formato da una struttura minimale in
alluminio verniciato il cui nucleo pulsante è un display a LED bianchi. All’interno del
display LED, Riccardo Benassi si impegna a trasmettere – grazie ad un sistema di
broadcasting remoto, integrato e autonomo – un nuovo messaggio testuale per ogni
giorno della sua vita, dal giorno di inaugurazione dell’opera fino alla morte dell’artista
stesso. Quando la morte dell’artista sopraggiungerà, i messaggi ricominceranno da
capo, in loop.
Daily Desiderio è un intervento basato su un’estetica funzionale e povera – che pur
avendo un design realizzato ad hoc, flirta con l’idea di standard / default e con l’uso
che potrebbe fare della tecnologia LED l’azienda pubblica dei servizi e dei trasporti.
Al suo interno però, l’opera ha un software di ultima generazione altamente
sofisticato, che permette all’artista di aggiornarla in qualsiasi momento da qualsiasi
parte del mondo.
Benché Daily Desiderio sia un intervento oggettuale pensato per un’installazione
definitiva e perenne, esso reintroduce al suo interno qualità effimere legate all’evento
e all’imprevedibilità del processo che garantiscono alla scultura un alto grado di
umanizzazione. A livello concettuale l’opera – così come ogni essere umano –
bilancia la sua esistenza tra la tranquillità offerta dalla ripetizione quotidiana e la sfida
del perenne cambiamento. E così come ogni esistenza è interconnessa e dipendente
ad altre esistenze.
Daily Desiderio è il risultato della volontà da parte dell’artista di sincronizzare il suo
operato al contesto ambientale del parco e di ArtLine Milano – al fine di escludere
volontariamente l’opera dal paradigma dell’autosufficienza estetica. L’opera –
offrendo esche al libero arbitrio – intende contribuire al miglioramento dell’esistente,
e tale miglioramento è visto come frutto di forze cooperanti. L’ubicazione di Daily
Desiderio ne è il più chiaro esempio: installata in prossimità di una panchina – che a
sua volta si affaccia su uno dei camminamenti principali del parco – la scultura
collabora con elementi contestuali preesistenti alla creazione di una immaginaria
fermata di un mezzo di trasporto pubblico.
Nel proporre un’opera prevalentemente testuale non c’è una totale volontà
iconoclasta da parte dell’artista, piuttosto l’idea che l’opera si faccia immagine in
collaborazione ad altri elementi paesaggistici – cui ruolo centrale ha l’abitante con
tutta la sua immaginazione. L’opera, infatti, non esclude affatto il passante, il
pubblico non allertato e nemmeno lo sguardo distratto del turista, ma offre il suo
potenziale e la sua massima efficacia esclusivamente a chi compie l’atto dell’abitare:
solo vedendo Daily Desiderio in giorni diversi è possibile intuire il fatto che i
messaggi cambiano costantemente. Cambiano, per la precisione, allo scoccare di
ogni mezzanotte, e contengono momenti passeggeri di verità che Riccardo Benassi
ha deciso di raccogliere in forma scritta e poi – pensando che se sono serviti a lui,
allora sarebbero potuti servire anche ad altri – ha deciso di renderli metodologia
pratica.
Daily Desiderio però, non intende essere la rappresentazione fisica dell’oracolo
destinato a dispensare perle quotidiane di saggezza vergate dall’artista-vate. Al
contrario, è la quotidianità stessa a esserne sia frame temporale che bacino di
riferimento contenutistico: l’opera da voce a piccoli gesti ripetuti che finiscono per
diventare infiniti. Non è l’artista-vate ma la vita quotidiana la vera dispensatrice di
perle di saggezza: piuttosto, nella migliore delle ipotesi, l’artista darà un nuovo nome
a qualcosa che è sempre esistito. E se iniziamo a vedere tutte le parole e tutte le
immagini alle quali siamo quotidianamente soggetti come a delle possibili piccole
perle, allora i messaggi di Riccardo Benassi funzionano come un filo sottile che lega
alcune di queste perle insieme come una collana. Alcuni messaggi più succinti e
meno articolati di altri potrebbero sembrare in realtà braccialetti più che collane, o
addirittura anelli – ma la loro qualità transitoria e non oggettuale è dimostrata dalla
durata di un solo giorno. L’immagine delle perle legate insieme da un filo non vuole
rimandare all’immagine di un gioiello, ma – così come un anello di fidanzamento –
vuole essere il referente simbolico di una proposta di vita. Attraverso i messaggi
l’artista si propone di dare voce a uno stile narrativo che unisca tre possibili approcci:
quello giornalistico – legato ai fatti condivisi e filtrati mediaticamente, quello diaristico
– legato alla quotidianità soggettiva e sensibile, e quello letterario – che, con lo
stratagemma dell’invenzione, catapulti in qualche modo questi giorni nell’infinità. Ma
un uomo da solo non può garantire l’esistenza dell’infinito: Riccardo Benassi, infatti,
definisce i messaggi dei “dialoghi in assenza di suono” rimandando alla possibilità
che possano in breve trasformarsi in parola e diventare argomento di riflessione e
conversazione nella immediata copresenza tra esseri umani e opera nel mondo
sensibile.
Nonostante l’aggiornamento quotidiano dell’opera sia inteso dall’autore come un atto
artistico di libertà, dedizione e responsabilità civica piuttosto che costrizione
contrattuale, i limiti fisiologici, legali e di forza maggiore del suo operato verranno
esaminati nel dettaglio attraverso un contratto legale stipulato con tutte le parti
collaboranti in presenza di un notaio. In questo contratto Riccardo Benassi si assume
totale responsabilità del contenuto dei messaggi di fronte alla legislatura vigente in
materia.
Rossella Biscotti
Come fare?
È nel XIX secolo che educatori, artisti e architetti iniziano a usare esercizi basati
sull’utilizzo di moduli con forme geometriche astratte per sviluppare una più ampia
comprensione dello spazio, della composizione e della narrazione, senza alcuna
sottomissione a regole precostituite.
Per Friedrich Wilhelm August Fröbel (1782 - 1852), l'ideatore del Kindergarten, il
dotare il bambino di moduli di legno dalle forme geometriche essenziali (doni,
Fröbelgaben), genera una differente percezione e conoscenza della realtà e del
proprio spazio vitale. Il principio si basa sulla forte stimolazione dell'attività creativa
attraverso la scomposizione (analisi) e la composizione (sintesi) delle numerose
combinazioni delle forme.
Da Frank Lloyd Wright (1869-1959) ai designer Charles and Ray Eames (1907-1978
e 1912-1988), i giochi di costruzione costituiscono non solo una modalità̀ di verifica
dei principi di costruzione e decostruzione ma anche di formazione di nuove idee.
Quando agli inizi degli anni '40 Ladislav Sutnar (1897-1976) realizza i prototipi per il
gioco Build the town, creando un forte collegamento con gli studi pedagogici di
Fröbel prima e di Maria Montessori dopo, manifesta l'importanza di concepire e
progettare lo spazio come un organismo aperto. Sutnar ritiene che la combinazione
di forme, colori e motivi decorativi, con i suoi contrasti e giustapposizioni, possa
ispirare creazioni dotate di grande forza e poderosa significazione.
Il progetto Come fare? fa riferimento a una densa storia di sperimentazioni
architettoniche, di pedagogia radicale e di design. È un lavoro che riflette sulla
metodologia della creazione e sulla possibilità estesa a tutti di creare forme e idee
grazie all’utilizzo di strumenti semplici ed essenziali.
Il lavoro presenta un paesaggio che assomiglia a un agglomerato urbano in
miniatura, ognuna delle forme che lo costituisce è composta attraverso un processo
di addizione di differenti moduli più piccoli.
Ciascun visitatore, oltre ad attivare un'esperienza attraverso i singoli elementi, potrà
riconoscerne il disegno ricostruendo il processo della composizione, e quindi il
metodo dell'associazione delle forme. L'installazione, infatti, vuole aprire una
riflessione sul concetto di design, da intendere non solamente come un vocabolario,
ma anche come un linguaggio da poter analizzare grazie alla composizione e
scomposizione degli elementi base (frasi, parole, lettere). I moduli, appositamente
realizzati per il progetto, ambiscono a innescare un processo fisico e di significato
attraverso l'articolazione di un percorso esperienziale e percettivo, e sono concepiti
come strumento per generare consapevolezza e prospettiva critica, sia durante la
fase della presentazione progettuale, concepita con prototipi in legno, che durante la
realizzazione all’interno del parco.
Ai fini dell’esposizione del progetto sono, infatti, allestite due diverse piattaforme che
delimitano uno spazio di azione astratto. La prima area rappresenta la proposta
artistica, la seconda, vuota, vuole attivare un dispositivo di partecipazione: i blocchi
in legno sono messi a disposizione del visitatore che può arrangiarli a suo
piacimento e suggerire una composizione alternativa alla proposta artistica
presentata. Scomponendo l’architettura in parti elementari, il visitatore avrà la
possibilità di pensare non solo a come riconfigurare i blocchi, ma di analizzare e
ridiscutere l'ambiente urbano che quotidianamente lo circonda.
Il percorso nel parco è strutturato in 5 “isole”, agglomerati di elementi in mattoni e
cemento in relazione tra loro, la cui forma più alta ha dimensioni di 200 cm. In questo
modo, lo spettatore avrà la percezione di una composizione urbana a scala ridotta e
potrà rapportarsi all’installazione con il proprio corpo, avendo contemporaneamente
una visione completa dello spazio e della sua organizzazione. Il percorso è attivato
proprio dal movimento delle persone che lo attraversano e che sono invitate a
interagire in vari modi: utilizzando i blocchi come sedute, come tavoli, per
arrampicarsi, o cercando semplicemente di capirne la provenienza, la loro relazione.
Ciascuna isola si sviluppa autonomamente pur non perdendo la relazione con le
altre, attraverso un gioco di rapporti tra forme e dimensioni. Ad esempio: nella “Isola
dei bambini” la relazione tra le piattaforme basse, i cubi piccoli e le colonne sottili
crea dei passaggi stretti che ricordano case e ciminiere. Accanto a questo
agglomerato ci sono una serie di colonne che variano in larghezza e altezza, dalla
più bassa e sottile, di 25 x 25 x 75 cm, a quella di 50 x 50 x 175 cm, sviluppando un
gioco di relazioni tra grande e piccolo, basso e alto, metafora del concetto di
proporzione e differenza. Nella "Isola Noguchi" (omaggio all’architetto e designer di
parchi giochi) estrusioni a gradoni si estendono dalla piattaforma bassa alla pila dei
cubi “perfetti” 50 x 50 x 50 cm, sviluppando una variazione sul volume che mette in
relazione questa scalinata con la vicina “Isola dei bambini”. Da qui in poi altre isole si
sviluppano in dimensione e complessità.
Una volta individuata l'area destinata alle sculture, il lavoro sarà sviluppato in
maniera site-specific - così come avvenuto in precedenti progetti - inserendo le forme
geometriche in modo organico e in relazione con il paesaggio e, se necessario,
entrando in dialogo con le altre opere. Le costruzioni saranno realizzate in mattoni,
un materiale povero e durevole che ha caratterizzato le edificazioni sin dall'antichità,
e che saranno specificamente prodotti o scelti per il progetto. La sagoma sarà
studiata affinché possano determinare delle forme geometriche perfette.
Parte delle costruzioni sarà parzialmente stuccata e colorata, cosi da introdurre dei
nuovi elementi di gioco tra volume, superficie e profondità. La sovrapposizione dei
mattoni sarà studiata in maniera tale da sembrare posati l’uno sull’altro “a secco”.
Per dare stabilità alle strutture si provvederà a costruire delle fondamenta in
cemento, inserite nel suolo a una profondità di circa 40 cm, che accorperanno uno o
più elementi.
Mircea Cantor
Give more Sky to the Flags
Una delle questioni più importanti della sfera pubblica è il suo aspetto provvisorio, di
territorio in transizione, dove si presume possa fare degli incontri o relazionarmi con
altre persone. Persone che posso conoscere o meno. Persone del luogo o meno.
Residenti o turisti.
Mi ricordo che da bambino, quando camminavo nella mia città natale (e
successivamente in altre città del mondo), il fascino che mi suscitavano i monumenti
che ritraevano persone con una bandiera e mi chiedevo sempre: cosa significa
quella bandiera? Certo si trattava di una bandiera locale o nazionale retta da una
persona importante, ma il cui colore era sempre neutro o color pietra a seconda del
materiale usato. Così la immaginavo come un possibile “schermo” dove proiettare i
miei colori, la mia identità, i miei sogni. Naturalmente tutti sappiamo che le bandiere
rappresentano un'identità, reclamano un territorio e assimilano gruppi di persone di
diversi orientamenti (politici, sociali, culturali, religiosi).
Per Milano, una delle città europee più importanti a livello di commercio, economia,
cultura e moda, mi sono immaginato un progetto in cui due bandiere si intersecano
tra loro. Non ne conosciamo il colore e neppure cosa stiano a significare. Una
potrebbe essere vostra e la seconda “degli altri”. Eppure sappiamo che sono in
contatto, interagiscono, penetrandosi l'una con l'altra. Quest'interazione non riguarda
i conflitti o le tensioni, ma piuttosto un momento poetico in cui due sconosciuti
passano e si sorridono, magari sentono il profumo l'uno dell'altro e anche si salutano.
Queste sono le espressioni immateriali che ho voluto visualizzare e incarnare nel
concepire la scultura.
Il fatto che sia realizzata in acciaio patinato cor-ten si ricollega all'idea di memoria
atemporale, qualcosa che esiste da molto tempo. Immagino che la superficie
accoglierà qualche piccolo graffito, dichiarazioni d'amore e altri messaggi di diverso
tipo. Per me fanno parte dell'opera e non voglio necessariamente cancellarli, a meno
che il testo non contenga messaggi d'odio o che siano offensivi. Un aspetto molto
importante riguarda le misure e i numeri che ho utilizzato per eseguire la scala del
lavoro. Le misure e proporzioni delle “bandiere” e della popolazione sono calcolate
sulla base della sezione aurea (phi, 1,618), la famosa formula usata persino
nell'Ultima Cena di Leonardo Da Vinci – uno dei capolavori di Milano.
Riassumendo quanto sopra, vorrei aggiungere che la mia scultura vuole diventare
soprattutto un punto di incontro per le persone, un luogo vivace sulla mappa di
Milano, che immagino col tempo diventi un punto di ritrovo dove le persone possano
far propria l'arte e dire: “Ci vediamo domani alle bandiere”.
Linda Fregni Nagler
Ophrys
“Photographic negatives in [Eadweard] Muybridge’s day were made on glass plates,
and glass itself was a valuable material. Photographers sometimes scraped the
plates clean to start over, and many of the negatives of the Civil War were recycled
into green-house plates without being scraped, their images of the harvest of death
gradually fading away to let more and more light in on the orchids or cucumbers
beneath.”
Rebecca Solnit, River of Shadows
Per un lungo periodo la fotografia e le serre sono state accomunate dall’utilizzo dello
stesso materiale: il vetro. Prima dell’adozione della cellulosa, infatti, il vetro veniva
impiegato come supporto per i negativi fotografici. Esistono diverse testimonianze
della conversione di lastre fotografiche in materiale per costruire serre, soprattutto
durante le guerre o le crisi economiche, quando il vetro diventava un materiale
difficile da reperire. La trasformazione di queste fragili matrici fotografiche in vetrate
non impediva tuttavia alle immagini impresse di continuare a essere visibili in
trasparenza fino a quando la luce non le avesse dissolte. Lo svelarsi delle immagini
in alcuni punti delle vetrate della serra creava involontariamente un confronto tra la
fugacità della vita e il desiderio dell’uomo di fermare il tempo.
Il progetto dello studio di architettura Gustafson Porter per la nuova area verde di
Milano presenta una campionatura delle specie botaniche e arboree dalla Pianura
Padana alle Prealpi. Questa scelta mi ha portato a indagare le specie endemiche e
autoctone meno note e in via di estinzione e a riflettere sui meccanismi attualmente
messi in atto per la loro tutela.
In Lombardia interi ambienti, come le torbiere o i prati aridi prealpini, sono stati per
sempre compromessi poiché improduttivi ai fini dello sfruttamento agricolo e
industriale. La scomparsa di questi ambienti, che presentano un’altissima
biodiversità e ricchezza di specie di pregio, e che hanno anche un valore
paesaggistico e culturale, sta causando l’estinzione di una grande varietà di specie
botaniche che crescevano in questi habitat, talvolta sconosciute anche agli abitanti
locali. Ho avvertito, dunque, la necessità di reagire a questa perdita, sollecitata
anche dal dipartimento di Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano che mi ha
supportato in questo progetto.
Il mio intervento per ArtLine Milano prevede la costruzione di una serra destinata a
studi e ricerche sulle specie botaniche autoctone rare e in via di estinzione. La serra
e i suoi impianti tecnici sono stati progettati in partenariato con il Dipartimento di
Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano e con l’Orto Botanico di Città Studi, il
cui know how garantisce la coerenza scientifica del progetto. La struttura risponde
pienamente alle esigenze specifiche di studio del Dipartimento e alle direttive in
materia di sicurezza.
Il budget del concorso sarà dunque investito per la realizzazione di una struttura
concepita secondo gli standard scientifici più all’avanguardia, votata allo studio e alla
conservazione di specie botaniche autoctone e rare, e alla sperimentazione per la
salvaguardia delle specie botaniche presenti in uno degli ambienti fortemente a
rischio in Lombardia, quello dei prati prealpini. Queste specie costituiscono un
modello per verificare i rischi di estinzione causati dalle attività umane o dai
cambiamenti naturali.
Scopo non secondario e conseguente delle attività che si svolgeranno all’interno
della serra è quello del ripopolamento delle specie botaniche oggetto di studio. Come
un satellite della ricerca universitaria, la serra sarà un luogo simbolico trasparente e
visibile in una zona centrale della città.
La consuetudine di impiegare i negativi di vetro come materiale da costruzione verrà
ripresa lungo il perimetro superiore della serra, che sarà istoriato con lastre
fotografiche in vetro che riproducono immagini di specie botaniche estinte, tratte dal
prezioso e poco noto Erbario Sordelli (1872-97), conservato nella collezione di erbari
storici dell’Università degli Studi di Milano.
Qualora il progetto dovesse vincere il concorso, la manutenzione della serra sarà a
carico di uno sponsor privato che provvederà, attraverso un atto di liberalità, al
pagamento delle spese di gestione della struttura e al contratto per un ricercatore
incaricato dal Dipartimento di Bioscienze dell’Università di Milano. Concepire
un’opera di arte pubblica significa mettersi in relazione con il tessuto sociale e
urbano in cui questa sorgerà. L’opera che propongo per ArtLine Milano non è un
monumento nel senso stretto del significato, non lo è volutamente. Progettando uno
spazio che sarà votato alla ricerca, ho voluto esplicitare il mio desiderio di contribuire
a una riflessione che estenda la sua azione verso una coscienza collettiva.
Shilpa Gupta
Untitled
La scultura proposta è basata sulla storia delle tre scimmiette, associata al Mahatma
Gandhi, nella quale le scimmie si coprono occhi, orecchie e naso - una non vede il
male, l’altra non sente il male, e l’ultima non parla del male. Tuttavia al giorno d'oggi,
in un mondo guidato da capitalismo e individualismo, è diventato troppo comodo
mettere a tacere i nostri sensi e rimanere indifferenti nei confronti di ciò che ci
circonda.
“Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti
essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa
aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto”
Henry David Thoreau, 1854
“Esistevo nel passato o no? / Cos'ero nel passato? / Esisterò nel futuro o no? / Cosa
sarò nel futuro?”
Sabbasava Sutra
“L’essere e l’agire, espansivo, scintillante, espressivo, evaporava; e ci si ritraeva, con
una certa solennità, nei confini di sé stessi, un nucleo di oscurità in forma di cuneo,
qualcosa di invisibile agli altri”
Virginia Woolf, Al faro
Adelita Husni Bey
Palco dell’Estinzione
L’idea del Palco nasce come monito, allarme, rassegnazione e propulsione verso un
futuro non più tanto ignoto; un punto di confronto sia fisico che concettuale basato
sulla nostra prossima estinzione. Bruno Latour, filosofo contemporaneo, sostiene
tramite l’ottica dell’ecologia oscura (dark ecology) che è necessario distruggere l’idea
della natura come oggetto “romantico”, essenzialmente separato dalla razza umana,
e trovare un nuovo linguaggio per parlare della centralità del rapporto dialettico tra
l’umanità e l’ambiente in modo politico. Geologi e filosofi odierni ci invitano a pensare
all’epoca corrente come all’era dell’Antropocene, la prima era geologica dove i
destini di tutte le specie sono legati indissolubilmente alle azioni dell’uomo; un
cambiamento radicale che ci deve portare a una consapevolezza sempre maggiore
delle nostre azioni e di quelle dei nostri governi.
Partendo da queste premesse il Palco dell’Estinzione prevede una struttura che
ricorda la stratificazione geologica, un palco diviso per future ere che si sviluppano
su tre livelli, rappresentando il pianeta tra cinquanta, cento e centocinquanta anni. I
tre livelli della struttura saranno ricoperti da disegni prodotti in modo collaborativo
durante una serie di workshop pubblici sul tema dell’estinzione che si terranno,
idealmente, al Museo Civico di Storia Naturale di Milano nel 2016-17. L’artista
collaborerà con vari accademici, ricercatori e attivisti Italiani che fanno ricerca in
campi come l’innalzamento del mare, la perdita di biodiversità, il futuro
dell’approvvigionamento di risorse, considerando possibili soluzioni a questi scenari.
Come possiamo accogliere e raccontare l’approssimarsi della fine della nostra
specie? E se fossero dei bambini a raccontarcelo? E se non credessimo alla nostra
estinzione imminente, quali strategie potremmo adottare per evitarla, e come le
insegneremo alle future generazioni? Tra cinquanta, cento e centocinquanta anni
quali disegni e conseguentemente quali futuri ci appariranno profetici?
Il coinvolgimento delle scuole elementari nell’esercizio d’immaginazione di questi
futuri ha sia una funzione pedagogica che una funzione spiazzante per il visitatore.
Trovandosi immerso in una rappresentazione, prevalentemente apocalittica, creata
da giovani membri della nostra società che la vivranno da adulti, il palco vuole
instillare nel visitatore un senso di urgenza al quale è impossibile rispondere
individualmente. Questo paradigma lega i nostri destini a doppio filo e ci chiede di
rispondere coralmente.
La funzione del palco non è solo rappresentativa. Il Palco dell’Estinzione è anche
una fonte di energia pulita gratuita, grazie alla sua nuvola di pannelli solari e a vari
punti di accesso situati sulla struttura stessa che erogano elettricità 24/7. La forma
del palco ricorda quella di un’arena e può essere accessibile e liberamente utilizzata
per incontri, proiezioni, concerti, seminari e performance, auto-illuminandosi anche
nelle ore notturne. Il Palco dell’Estinzione vuole istigare “convers-azioni” che legano i
nostri comportamenti di oggi a un futuro incerto e urgente, un tema che necessita un
dialogo pubblico effettivo, riappropriandosi allo stesso tempo di uno spazio urbano
chiuso da lungo tempo alla città.
Eva Kot'átková
Birds in the park/Caged birds/Bird cages
Nelle mie opere cerco di materializzare la sensazione o la situazione di costrizione
mentale, che può essere imposta dall'esterno, attraverso la forma assunta dalle
regole interne delle istituzioni, che determinano i processi educativi e gli atti
comunicativi; o che scaturisce all'interno della mente umana per le caratteristiche
personali di ogni individuo. Ho costruito gabbie invisibili, ostacoli e barriere, muri e
altre tipologie di restrizioni, spesso usate proprio per il mio corpo. In generale il tema
principale del mio lavoro riguarda la situazione di un individuo che, sebbene si trovi
all'interno di specifiche strutture sociali, non riesce completamente a integrarsi in
modo attivo e partecipato. Uso disegni, oggetti e istallazioni, ma anche azioni dal
vivo. Tuttavia in primo luogo realizzo strutture organiche che rispondono a un loro
ordine e metodo. Più che da opere o da tecniche specifiche, il mio lavoro è costituito
dalla ripetizione di motivi, che dopo ogni nuova composizione assumono nuovi
contorni. Nel mio lavoro più imponente, Theatre of Speaking Objects, utilizzo il
metodo della comunicazione indiretta e pongo gli oggetti come intermediari del
discorso. Gli oggetti prendono in prestito la voce dai loro proprietari passivi e
descrivono storie più o meno coerenti sull'isolamento umano, le diversità, il distacco,
la comunicazione e altre difficoltà. Nei miei lavori più recenti esamino metodi
alternativi di comunicazione non-verbale, espressioni non articolate attraverso il
movimento, suoni non identificabili, pantomime e varianti della lingua dei segni.
Il parco è il luogo della natura organizzata e controllata. L'erba cresce solo dove è
permesso, le distanze tra un albero e l'altro sono misurate con precisione. Il parco è
un enorme vaso di fiori, con confini prestabiliti. Eppure gli uccelli sembrano trovare
accoglienza tra i suoi alberi e cespugli coltivati, adattandosi alla situazione così
costruita. Il mio progetto prenderà la forma di enormi uccelli realizzati con una
struttura metallica saldata. Le strutture possono essere utilizzate come voliere o
gabbie così come delle strane forme di contenitore, di luogo di riposo o di parco
giochi. I visitatori possono camminare all'interno e i veri uccelli possono entrarci o
uscirne volando. Alterando la scala di misura si rende il parco simile al suo modello e
le persone simili a miniature, mentre le figure degli uccelli sembrano assumere una
posizione dominante. I corpi degli uccelli sono trasparenti e rivelano lo scheletro sui
cui è possibile arrampicarsi o sedersi. All'interno dei corpi degli uccelli si può trovare
un luogo di riposo, un riparo temporaneo, anche se in realtà non vi è un tetto. Una
volta entrato il visitatore si pone in una posizione speciale. Entra volontariamente in
una gabbia, diventando così l'oggetto isolato e osservato da chi resta fuori. La
ringhiera (o il recinto, il muro) è un elemento che crea un confine tra interno ed
esterno, tra chi è libero e chi invece è catturato o isolato. Determina i ruoli e il modo
in cui le persone si guardano a vicenda. Rappresenta anche una rete, una struttura
attraverso cui dall'interno osservare l'ambiente circostante. In ultimo ma non meno
importante, entrando nel corpo dell'uccello si ha l'impressione di avvicinarsi alla
natura mentre invece questa connessione è parzialmente persa. Lo scheletro
metallico dell'uccello è solo un contorno, una sagoma, qualcosa difficile da
ricostruire. La sua forma indica piuttosto il modo in cui noi rappresentiamo gli uccelli
e gli altri animali nei libri per bambini. Sedendosi, sdraiandosi, chiacchierando
all'interno del corpo dell'uccello il visitatore completa l'immagine per coloro che
camminano al di fuori di esso. Un uomo mangiato da un uccello, un uomo che abita il
corpo di un uccello, mezzo uomo mezzo uccello. La stessa cosa accade quando gli
uccelli sostano sulla struttura metallica o quando vi entrano. Sembra quasi che gli
uccelli vengano a discutere della propria rappresentazione, di come sono visti dalle
persone. L'interno del corpo dell'uccello si trasforma da ritratto anatomico a
complesso di elementi funzionali su cui le persone possono appoggiarsi, sedersi e
riposare. Idealmente nel progetto ci dovrebbero essere tre uccelli da situare nel
parco, ben distanziati tra loro ma in modo che allo stesso tempo possano guardarsi
l'un l'altro. Il materiale usato è l'acciaio e le strutture sono assemblate in modo da
essere abbastanza stabili per reggere, eventualmente, il peso delle persone sedute.
Sono poi fissate al suolo con blocchi di cemento che non devono affondare troppo in
profondità nel terreno, dal momento che le strutture si tengono in equilibrio su tutti i
lati. Possono infine diventare incolte, essere ricoperte dalle piante del parco e
diventarne così una parte integrante.
Maria Loboda
Success after anxiety
Per ArtLine Milano vorrei proporre una scultura semplice e accessibile intitolata
Success after anxiety, dedicata al tema della ricerca e dell'aspirazione umana per
illuminazione, calma, purificazione e liberazione dall'ansia, e vagamente basata sugli
elementi Compluvium e Impluvium appartenenti all’architettura greca e romana. Il
Compluvium era un’apertura centrale nel tetto dell'atrio delle case greche o romane
che permetteva di far circolare luce e aria. Il tetto spioveva verso il basso attorno a
questa apertura e incanalava l'acqua piovana verso una vasca (Impluvium) posta
sotto l'apertura. L'Impluvium era la parte sotterranea dell'atrio, progettata per
raccogliere l'acqua piovana che arrivava dal Compluvium del tetto.
Il progetto Success after anxiety misurerà approssimativamente 3,50 x 6,0 x 2,50
metri, con una struttura semi circolare composta da:
1. cemento per la struttura centrale
2. mattonelle fatte a mano e smaltate di colore celadon che copriranno l'interno e il
fondo della vasca (Impluvium)
3. un rivestimento in rame attorno alle mattonelle (che si ritiene abbia la capacità di
equilibrare le ansie) e uno in cemento per il tetto che sarà inclinato (Compluvium)
4. una selezione di minerali e cristalli che si ritiene abbiamo proprietà purificative ed
energizzanti sull'acqua
5. piante selvatiche da campo che cresceranno sopra e attorno la parte esterna della
struttura, pensata per essere accessibile e preferibilmente utilizzata per rilassarsi –
ma non solo – durante i giorni di pioggia.
I visitatori sono invitati a trovare riparo e riposo all'interno della scultura,
sperimentando l'effetto calmante del colore scelto per le mattonelle interne, smaltate
color celadon, e dell'acqua piovana purificata e carica di energia, che scorre tra i
molti minerali di quarzo posti sul tetto (l'acqua non è da consumarsi ma naturalmente
può essere toccata e i suoi vapori possono essere inalati).
La scultura rappresenterà un interno quasi eccessivamente studiato e curato, un
desiderio di perfezione e purezza circondato da una molteplicità di erbacce che
crescono all'esterno, che delineano al contrario una natura grezza e forte, il
subconscio indomabile contro la civiltà, il desiderio della classe media di controllo
sulle emozioni e il successo dopo l'ansia.
Ho sempre trovato piuttosto interessante il fatto che la natura nella sua semplicità sia
da un lato desiderata, in quanto ambiente di vita salutare, ma anche temuta e
domata. La civilizzazione in tutte le sue forme quali architettura, medicina, arte e
creazione di città è in contrasto con la natura: uno spazio ideale organizzato dagli
dei. La natura era popolata da mostri e bestie selvagge e doveva essere domata. La
città non salta fuori dalla terra – la sfrutta e si difende da essa.
Success after anxiety è un mio nuovo lavoro ma anche la continuazione di una
ricerca personale riguardo l'ambizione umana di stabilità emozionale e autoperfezionamento nelle sue diverse manifestazioni materiali nel corso dei secoli. Da
sempre gli esseri umani creano santuari e luoghi di benessere, antichi bagni pubblici,
sorgenti termali, centri di ricreazione, ecc, ed elementi di architettura che si suppone
abbiano un effetto rilassante sulle persone come l'Impluvium e il Compluvium. Si può
trovare una grande varietà di spazi sacri creati per l’umana necessità di riposo non
solo osservando l'architettura ma anche gli elementi interni come le sfumature di
colore, la consistenza dei materiali usati, la posizione delle luci, la vegetazione, ecc.
Anche i minerali e le pietre hanno un ruolo fondamentale nel rimuovere e controllare
gli effetti esterni della natura, si pensi all'acqua purificata (che ironicamente viene
contaminata proprio dall'uomo). Un minerale interessante che vorrei adoperare per il
lavoro è il quarzo del litio. Il litio si trova in ogni cellula del corpo umano e
contribuisce in gran parte all'equilibrio e al benessere di mente e corpo. Rinforza il
sistema immunitario e rivitalizza il Prana (la forza vitale). Il litio possiede una
straordinaria energia calmante che conforta ed equilibra il corpo.
Quando l'acqua piovana supera le pietre sul tetto obliquo in cemento, scorre giù
verso la struttura principale che è interamente piastrellata con mattonelle fatte a
mano e smaltate color celadon. Celadon è un termine della ceramica che denota sia
un tipo di smalto sia un tipo di ceramica dal colore particolare. Il termine “celadon”
per indicare lo smalto delle ceramiche di colore verde-acqua tenue venne coniato
dagli intenditori di ceramica europei. Le sfumature più conosciute variano da un
colore molto tenue di verde a un verde più intenso, spesso con l'intento di
raggiungere la tonalità di verde della giada. La ceramica celadon coreana è stata
descritta dagli antichi artigiani cinesi come particolarmente elegante, il cui colore è
“al di là di ogni descrizione”, nel senso che solo dopo averlo visto lo si può
comprendere, e la sua semplicità nella forma e nello stile è stata comparata a quella
dello spirito del buddismo zen.
Trascorrere del tempo all'interno della scultura ed essere esposti all'eleganza e alla
tranquillità di questo colore, che aprirà la mente del visitatore, ed essere inoltre
circondati dall'acqua rilassante e purificante dovrebbe rendere l'idea di Success after
anxiety, ma anche stimolare la contemplazione nell’assenza di spazi incontaminati e
la trasformazione della parte “negativa” della natura, rappresentata dai fiori selvatici,
in un santuario civilizzato e borghese.
Armando Lulaj
Play (the 21st century)
Play (the 21st century) ritrae una serie di oggetti di uso quotidiano – un pallone da
calcio, dodici pompe per gonfiare le ruote della bicicletta, dodici tubi per l’irrigazione
– forgiati in acciaio inossidabile. Le pompe da bicicletta sono attaccate a una bassa
piattaforma di cemento che pare a livello del suolo, ma in realtà sprofonda
leggermente verso il centro e nei giorni di pioggia forma una piccola pozzanghera al
di sotto del pallone da calcio. Il pallone, invece, è ben visibile sopra la piattaforma,
sostenuto dai tubi che lo collegano alle pompe. Inoltre tutti gli oggetti rappresentati
appaiono significativamente ingranditi nell'istallazione, circa il doppio della loro
misura reale, così che l'altezza della pompa da bicicletta più grande raggiunge quella
di un uomo adulto e quindi sovrasta un bambino. Nella sua interezza l'installazione
misura quanto un parco giochi anche se, chiaramente, non lo è.
Play (the 21st century) evoca un vecchio gioco che risale all'infanzia dell'artista, in
cui bambini e bambine riempivano d’aria un pallone fino all’esplosione della pompa o
del pallone stesso; più spesso era il pallone a esplodere. In questo modo
l'installazione ci riconduce a un periodo in cui i giochi dei bambini mostravano ancora
una certa ingenuità nell'appropriarsi delle “cose” reali e dei processi del mondo, la cui
manipolazione e sovversione viene spesso intrapresa con un'irriverenza
straordinaria. Ci trasporta anche in altri luoghi, prima e dopo, dove i bambini ancora
dovevano ingegnarsi con ogni oggetto a disposizione per creare un gioco. Da un
altro punto di vista, Play (the 21st century) rappresenta in un'allegoria le
conseguenze devastanti dello sfruttamento spietato delle risorse naturali del pianeta,
in particolare dei combustibili fossili, in nome del profitto e del progresso.
Naturalmente questo risvolto distruttivo è già presente nel gioco dei bambini a cui fa
riferimento l'installazione, dove alla fine uno o entrambi i “giochi” vengono distrutti.
Bisogna anche notare che in alcuni casi i pistoni della pompa rappresentata sono
tutti compressi, altre volte sono tutti decompressi. Ciò vuole suggerire che Play (the
21st century) offre un'immagine del mondo in cui è evidenziata la precarietà, più di
ogni altra cosa, e dove implicitamente si mostra che non sia equamente distribuita e
vissuta da tutti. Sappiamo che c’è una relazione tra la sfera del gioco e quella
dell'economia o della politica: entrambe, infatti, rappresentano “cose” o attività che
riteniamo importanti. È stato osservato, per esempio, che attraverso la
miniaturizzazione qualsiasi cosa può essere trasformata in un gioco con cui poi i
bambini possono divertirsi, cosa che non esitano mai a fare. In questo senso Play
(the 21st century) assolve due funzioni in una sola volta: da un lato, permette di
leggere all'interno di un vecchio gioco per bambini una metafora dello stato attuale
delle cose; dall'altro, attraverso l'opera d'arte sospende il processo di disattivazione
dei poteri di economia, politica e molto altro che ha luogo durante il gioco.
Interrogando la capacità o incapacità dell'arte di cambiare lo status quo delle cose,
Play (the 21st century) lascia intendere che questo oggi sia il compito principale
dell’arte: un compito che, qualcuno potrebbe sostenere, è più che mai urgente
laddove si parli di arte pubblica. (Jonida Gashi)
Marie Lund
Draperies
La struttura della nuova area intorno ad ArtLine Milano è costituita soprattutto da
cemento, coperto in larga parte da superfici in vetro e acciaio. Mi interessa esporre
questi materiali da costruzione, in maniera visibile, a contatto con i visitatori e alle
intemperie. Vorrei focalizzare l'attenzione sui materiali e la consistenza della
superficie e degli oggetti, e su come questi materiali esposti a ogni storta di stato
possono cambiare ed evolversi nel tempo.
La mia proposta per ArtLine Milano consiste in una serie di blocchi di cemento
disposti a terra su cui saranno impressi la forma e il drappeggio di alcune coperte.
Vorrei costruire dai tre ai cinque blocchi di cemento: alcuni posti orizzontalmente al
suolo come delle tavole, altri inseriti in verticale come bassi muri di separazione. I
blocchi misureranno circa 120 cm di altezza, 220 cm di larghezza e 30 cm di
spessore, e si riferiscono ai volumi usati per l'arredamento - come un materassino,
una panca, un tavolo - introducendo una scala di misura in relazione diretta con il
corpo. Grazie alla resistenza del cemento, le forme possono essere toccate dai
visitatori e utilizzate per sedersi, arrampicarcisi sopra e appoggiarsi.
I blocchi di cemento vengono costruiti in stampi rettangolari nella cui parte interna
sono inserite delle coperte drappeggiate. Quando il cemento si è solidificato
completamente, gli stampi vengono aperti e le stoffe rimosse, mettendo in luce la
traccia lasciata dai tessuti delle coperte. Nel processo di solidificazione del cemento
alcuni residui di tessuto rimangono incastrati nel materiale e il colore delle lenzuola
passa all'interno, tingendo il cemento.
Le sagome evocano la morbidezza delle coperte in cui ci avvolgiamo, presentate qui
in contrasto con la durezza del cemento. Le misure di ogni coperta corrispondono a
quelle necessarie per coprire il corpo umano, e in questo senso la coperta può
diventare un ritratto allusivo, così come la sagoma si riferisce a un corpo assente. Il
drappeggio delle coperte si inscrive automaticamente nella tradizione dei drappeggi
delle sculture classiche, in cui tessuti finemente elaborati erano scolpiti nel marmo.
Mi interessa rappresentare l'oggetto all'interno di un percorso dal finale a sorpresa,
tra l’accadimento e il deterioramento. Mi interessa la superficie dell'oggetto in qualità
di membrana porosa che permette una relazione tra oggetto e mondo esterno
circostante; il luogo in cui l'oggetto espone la sua materialità e dove è a sua volta
esposto al clima.
Essendo l’opera situata all'aperto ed esposta alle intemperie, la superficie piana del
cemento potrà respingere foglie secche e altri detriti, mentre l'area leggermente
concava creata dalla stampa delle coperte li raccoglierà insieme all'acqua. Mi
interessa creare le condizioni perché l’aspetto dell’opera possa eventualmente
cambiare. Alcune parti della superficie potrebbero diventare lucide in seguito alla
continua esposizione al tatto dei visitatori e alcune parti dell'area concava potrebbero
diventare scure o verdi a causa dello sporco, del muschio e delle condizioni
climatiche.
Il progetto è in linea con la mia pratica scultorea e pone l'attenzione sulle proprietà
interne del materiale e sul potenziale di un processo in continua evoluzione. Mi
interessa la narrativa inscritta nell'oggetto scultoreo, come questo riporti in sé le
tracce della sua costruzione, dell'usura e della pressione a cui è stato esposto. Mi
interessa anche come questi fattori possono essere ricondotti al momento in cui i
nostri corpi abitavano gli stessi spazi, rispecchiandone e riconoscendone misura e
consistenza. Permettendo al clima di forgiare il materiale, le opere vengono ritratte
tra passato e presente, immobilità e azione, scomparsa e resistenza.
Per presentare il progetto ho elaborato tre modelli in scala 1:5 e due prove in scala
1:1 che mostrano alcuni particolari della consistenza e del colore, così come la
relazione tra superficie piana in cemento e area impressionata. Questi sono solo
esempi di volumi, modalità di drappeggio, consistenza e colore che saranno
analizzati in seguito per la realizzazione del progetto. Lo spessore del materiale nel
modello in scala 1:5 esagera la profondità dell'area concava, che sarà compresa tra
1 e 8 cm di profondità, come mostra la prova in scala 1:1.
Nicola Martini
QUINCUNX
Il progetto si incentra sulla ricerca di alcune forme geometriche, identificate come
costitutive della realtà. In particolar modo si concentra sulla forma-rapporto del
Quinconce, il quale deve il suo nome al quincunx, una moneta di epoca romana il cui
valore corrispondeva ai 5/12 dell’asse, ovvero cinque once dal latino quinque uncia.
Si considera un quinconce l’insieme di cinque oggetti, dei quali quattro siano disposti
sui vertici di un immaginario rettangolo e il quinto si trovi al centro di quest’ultimo. Lo
si trova nella tetraktys pitagorica, la piramide dai dieci punti, esattamente al suo
centro, Pentade, vita e potere.
Il medico Thomas Browne (1605-1682) nel suo Garden of Cyrus (1658) individua tale
rapporto come indice armonico e proporzionale, ordine regola del mondo, nelle sue
concretizzazioni più dinamiche e nella staticità̀ del cristallo. Come descritto dallo
scrittore W.G. Sebald ne Gli Anelli di Saturno (1995): “Rintraccia l’impronta di questa
struttura nella materia animata e inanimata; in certe formazioni cristalline, nelle stelle
e nei ricci di mare, nelle vertebre dei mammiferi, nella spina dorsale degli uccelli e
dei pesci, sulla pelle di parecchie specie di serpenti, nelle tracce dei quadrupedi che
si muovono incrociando i passi, nelle configurazioni assunte dai corpi dei bruchi,
delle farfalle, dei bachi da seta e delle falene, nella radice della felce acquatica, nel
disco del girasole e nella pigna dei pini a ombrello, all’interno dei nuovi germogli di
quercia o sul gambo dell’equiseto e nelle opere d’arte dell’uomo, nelle piramidi egizie
e nel mausoleo di Augusto, così come nel giardino di re Salomone dove sono
disposti secondo uno schema regolare, alberi di melograno e candidi gigli”. Sono
infiniti i fenomeni che si potrebbero far valere a questo titolo.
Quincunx è un osservatorio, un palco per esperire se stesso, un laboratorio aperto
per più di uno specifico evento materico, esperibile simultaneamente e da più̀
persone al suo interno e al suo esterno, intorno al suo perimetro e all’interno della
sua area. È costituito dall’unione di due quinconce aventi due punti in comune, è un
quinconce incompleto, formato da quattro punti, una losanga, i cui lati cosi ottenuti
sono estrusi verticalmente sino ad un’altezza di 7 metri.
L’area cosi ricavata risulta permeabile all’ingresso del pubblico, il quale è̀ invitato ad
entrare da due aperture, tagli, lungo tutta l’altezza delle pareti, rispettivamente dai
due lati lunghi. L’estrusione dei due setti fino ai 7 metri permette al percipiente al suo
interno di isolarsi completamente dall’ambiente esterno e dalla sua antropizzazione,
è in contatto con la materia e il cielo sovrastante.
La forma delinea prossemicamente la sua funzione. Le distanze fra le due pareti
ottenute all’interno del Quincunx portano l’osservatore a doversi orientare nella
totalità dei suoi dettagli; spunto, possibilità e appunto un’attenzione al materico in
relazione allo scorrere del tempo.
La mia azione in scultura è addizione costante di livelli materici, i quali ogni volta
assumono vesti semantiche, prossemiche e interpretative, su un piano micro e
macroscopico.
La struttura così composta è realizzata in cemento armato, su fondazione a platea,
realizzata in situ, colata per pompaggio. Una volta disposto il calcestruzzo nel
cassero in legno lamellare, precedentemente armato, si aspetta la titolazione del
cemento, a seconda del composto utilizzato, normalmente 28 giorni per la
necessaria stagionatura. A processo ultimato, prende forma la seconda parte,
continuando per addizione di livelli: sistemi aperti dai confini porosi continuano a
compenetrarsi. L’intera struttura, le pareti, interne ed esterne, e il pavimento,
vengono rivestiti con un composto liquido fotosensibile: il bitume di Giudea. Tale
processo viene innescato da me in persona.
Il bitume di Giudea o asfalto siriano è un composto ottenuto dalla miscela in parti
prestabilite di bitume, standolio e argilla, soluti in essenza di trementina. Largamente
utilizzata in fotoincisione e nel restauro, ha svolto un ruolo fondamentale nella storia
della fotografia, con Nicéphore Niépce, nei primi esperimenti sulla fotosensibilità, poi
ripresi e perfezionati da Louis Daguerre.
Si vuole spostare e ampliare il fuoco dell’attenzione verso l’esterno, un esterno
monotonale, che ha al suo interno una rassegna di variabili tendente all’infinito:
fondante, il ruolo dell’attenzione alla quantità di variabili materiche comprese e
accettate dall’occhio del fruitore, una simultaneamente all’altra.
La copertura con il bagno di bitume rivela paradossalmente ogni traccia presente nel
calcestruzzo sottostante; la miscela fotosensibile, eccitata dai raggi solari, innesca
una reazione che porterà, entropicamente, il parziale schiarire della tipica
colorazione bruna del bitume.
Questo processo si svolge in un lasso di tempo molto dilatato, contrariamente ai
bagni chimici quali, ad esempio, i sali d’argento; ciò porta a modificazioni (di tonalità
cromatiche, di di-svelamento delle tracce sottostanti, di durezza…) molto lente, quasi
impercettibili, una storia materica che dal reale si astrae verso la suggestione.
L’azione della stesura viene dilatata nel tempo, si modifica, estendendo la traccia del
suo innesco, fino al perdersi dell’autorialità (il bitume assume la sua forma finale
grazie alla porosità del supporto imbibito e secondo le condizioni di luce esterna). Lo
strato, una volta asciugato, risulta comunque solubile in essenza di trementina
(questo ne facilita le riprese); il pattern informale che si crea, non è dipendente da
colui che lo mette in opera ma dalla situazione materica sottostante, per cui può
essere ripreso e steso da chiunque.
La copertura pittorica in bitume, una volta stesa, asciuga in poche ore, dopo le quali
si innesca il processo. Il mantenimento dello strato pittorico nel tempo è molto
semplice; il composto si presenta già miscelato (in essenza di trementina) in fusti da
20 litri. La stesura viene messa in opera come una normale vernice da esterni,
utilizzato rulli per vernici a solventi e pennelli piatti.
Haroon Mirza
Proposal for Sundial
Da Londra, dove vive, Haroon Mirza ha riscosso un successo internazionale per
installazioni che mettono alla prova l'interrelazione e la frizione tra suono, luce e
corrente elettrica. Sostenitore dell'interferenza (intesa come disturbo radio o elettroacustico), l'artista crea situazioni che deliberatamente attraversano cavi. Mirza
descrive il suo ruolo come quello di un compositore, che manipola l'elettricità - un
fenomeno vivo, invisibile e instabile - per farla ballare a un ritmo diverso. Nelle sue
installazioni incorpora vari strumenti come elettrodomestici, vinili e giradischi, LED,
mobili, filmati e opere d'arte già esistenti che assembla perché interagiscano in
modo diverso. I processi sono visibili e i suoni occupano lo spazio in modo caotico,
mettendo alla prova codici di condotta e caricando l'atmosfera. Mirza ci chiede di
riconsiderare le distinzioni percettive tra rumore, suono e musica e ci coinvolge
nell'interrogarci sulla categorizzazione delle forme culturali. “Tutta la musica è un
insieme di suoni o rumori organizzati”, — afferma — “pertanto finché continui a
organizzare materiale acustico, sono solo la percezione e il contesto a definire
quello che fai come musica, rumore, suono, o una mera seccatura” (2013).
La proposta di Mirza per ArtLine Milano comprende una grande scultura sviluppata a
partire da una serie di lavori recenti dal titolo Solar Symphonies (sinfonie sonore). Le
sculture e le superfici dell'opera sfruttano l'energia solare attraverso dei pannelli
solari e la utilizzano per creare reazioni di suoni e luce. I LED colorati, inclusi
nell'opera, illuminano gli altoparlanti, con cui si connettono per creare una “sinfonia”
alternativa che può essere percepita sia con la vista che con l'udito. La prima opera
esterna di questa serie, Standing Stones (Solar Symphony 8) (2015), nata da una
collaborazione tra Haroon e Mattia Bosco, incorpora materiali scultorei più
tradizionali con le tecniche e gli strumenti più contemporanei di oggi. Il materiale
della scultura, il marmo nero Portoro, rappresenta un collegamento con monumenti
dell'età neolitica come Stonehenge e le Nine Ladies, entrambi in territorio inglese.
L'elettricità generata dal pannello solare sulla pietra più grande alimenta i LED
inseriti nell'opera e gli altoparlanti incorporati nelle pietre. Standing Stones è stata
esposta per la prima volta in giugno nella più grande mostra dell’artista, Haroon
Mirza/hrm199 Ltd. al Museo Tinguely di Basilea ed è stata poi selezionata per
essere esibita durante Frieze Art Fair nel parco di sculture realizzato a Regent’s
Park. La presenza dell'opera nel parco è stata recentemente prolungata fino a
gennaio 2016.
Il progetto proposto per ArtLine Milano è una scultura site-specific che si colloca
all’aperto e prosegue l'esplorazione dell'artista sulle relazioni tra elettricità, luce
solare, suono e monumenti antichi del Neolitico. Il nuovo lavoro, che si comporterà
come un grande e astratto disco solare, sfrutterà l'energia per inscenare uno
spettacolo scultoreo interattivo e in continua evoluzione. La lunga lastra di marmo
Marquina monterà al suo centro un pannello solare. Questo pannello alimenterà i
LED posti sull'intera struttura e gli altoparlanti nascosti nella base della scultura. I
LED, disposti all'interno del marmo Marquina, evidenzieranno le vene della pietra e
produrranno luci in continuo mutamento – dal rosso al verde fino al blu –
rispondendo alla potenza dei raggi solari nell'arco dell'anno.
Una volta all'anno nel periodo del solstizio estivo, quando il sole raggiunge la precisa
altezza e angolazione nel cielo, la luce verrà proiettata attraverso un piccolo foro in
cima alla scultura, che attiverà un sensore al suolo. Il sensore sarà una cella solare
realizzata su misura, con un disegno ispirato all'incisione labirintica di una pietra
trovata in Val Camonica. L'immagine dei sentieri intricati del labirinto trova un
parallelo nei circuiti e negli schemi spesso presenti nei lavori di Mirza, evidenziando
il dialogo che si crea tra antico e moderno, naturale e artificiale, analogico e digitale.
Per quei brevi minuti in cui la luce del sole entrerà in contatto con il sensore solare,
la scultura prenderà vita improvvisamente, attivando gli altoparlanti nella pietra. La
melodia risuonerà nell’aria fino a quando il sole non andrà oltre e il lavoro
sprofonderà di nuovo nel silenzio delle sue luci tremolanti per tutto il resto dell'anno.
Dal momento che l'opera è alimentata essenzialmente dal sole ed è progettata per
rispondere al cambiamento della luce, la scultura è in mutazione continua, e
l'esperienza del visitatore sarà sempre unica e legata alle condizioni climatiche del
momento.
Margherita Moscardini
Asylia
Milano è una città produttiva che da anni affida il progetto del proprio sviluppo
orizzontale alla cosiddetta architettura colta, che serve la città e le sue funzioni. Di
recente, invece, la città affronta la verticalità costruendo nuova architettura. Le torri di
Porta Garibaldi e del quartiere ex Fiera, oltre a servire la “concentrazione” di abitanti,
servizi e uffici, sono anche simboli che esprimono la volontà di lasciare un segno di
questa epoca.
ArtLine Milano invita gli artisti a contribuire con l’opportunità di misurarsi con quelle
pratiche che in modo più diretto oggi lavorano sullo stesso livello di realtà delle cose
del mondo (e qua dell’urbano). Pronti a interferire e condizionare il contesto. Tra le
mie preoccupazioni iniziali c’è connettere il parco alla città sollecitando un’apertura al
pubblico continuata, realizzare un oggetto e allo stesso tempo una piattaforma attiva
(dispositivo), stimolare una pluralità di pubblico e funzione, riuscire a interrogare un
ragazzino che deve ancora nascere.
Gustafson Porter riproduce nel centro di Milano una porzione di territorio lombardo,
io porto nel parco una condizione che riconosco come una preoccupazione globale.
Asylia era un privilegio concesso nella Grecia antica a persone e a templi, e sta alla
radice del moderno diritto di asilo. Per il singolo o per i gruppi (ambasciatori, araldi,
artisti) la condizione di Asylia comportava che nulla avessero a temere, neppure in
caso di guerra, da parte di chi aveva loro accordato il privilegio. Nei santuari
l’inviolabilità proteggeva persone e cose. Nella Grecia ellenica tali concessioni
diplomatiche erano date dalla potente corporazione artistica dei Technitai (τεχνιται),
dionisiaci che elessero Teos come residenza ufficiale.
Fino a metà Ottocento - e in alcuni casi ancora oggi come retaggio di antichi accordi
tra Stato Italiano e Stato della Chiesa - le chiese su territorio italiano godevano del
diritto di extra-territorialità. Questa giurisdizione è valida su tutto l’edificio incluso il
sagrato, area antistante la facciata che spesso è una gradinata e un basamento che
sostiene il corpo dell’edificio. Io isolo il sagrato (e la sua giurisdizione) e lo sposto nel
parco.
Da Masaccio a Brancusi al Teatro Continuo di Burri, il basamento è piedistallo.
Asylia è un monolite nero, pura occupazione di suolo. Istanbul, standing people. La
scultura è un rettangolo aureo di cemento nero largo 8,34 metri, lungo 13,5 metri e
alto 0,80 metri, come un tavolo. Il cemento contiene polvere di marmo nero: il colore
è il materiale. Se lo si scalfisce, il suo interno è identico alla superficie, come una
roccia. E come una fusione in bronzo, è colato in un unico getto senza interruzioni
per restituire, solidificandosi, un blocco monolitico.
Il piano è progettato con la pendenza necessaria a evitare, a distanza, distorsioni
ottiche di piani e direttrici. La scultura è messa in opera sul posto. È internamente
cava e non ha fondamenta, non è ancorata, poggia direttamente al suolo. Per
comunicare la qualità di oggetto, sono rimossi 40 cm di terra lungo il perimetro del
volume, in modo che l’erba non risulti schiacciata dalla struttura.
La scultura necessita di manutenzione ordinaria. L’architetto, l’impresa costruttrice e
l’ingegnere incaricato forniscono i disegni esecutivi, le certificazioni, il libretto di
istruzioni da consultare per l’adeguata conservazione dell’opera. La scultura occupa
un’area del parco piana preferibilmente in prossimità della scuola infantile e nelle
vicinanze di un’area boscosa che in inverno si rifletta sulla superficie umida del
volume, e in estate garantisca ombreggiatura. Il nome Asylia, riportato in rilievo su un
fianco del volume, è orientato a sud.
Asylia è il nome proprio di una scultura che corrisponde a una porzione di suolo, che
allude a una condizione giuridica, e a un certo utilizzo. La scultura è una piattaforma
che può essere agita come seduta e palco. Auspicando una forma di collaborazione
con l’UNHCR, Alto Commissariato ONU per i Rifugiati, la piattaforma è offerta da
subito a una rete di realtà locali impegnate a sostegno dei diritti umani affinché la
utilizzino per attività ed eventi. Un board (comitato scientifico internazionale) funziona
da statement e monitora la qualità delle attività. I membri incarnano le figure e gli
ambiti professionali che la piattaforma può offrire come servizi.
Alla piattaforma di cemento corrisponde una piattaforma online che è agenda,
archivio, spazio di approfondimento. Un coordinatore ha ruolo di sostegno scientifico
e logistico alle attività per il primo anno, con l’obiettivo primario di renderla organismo
autonomo.
Che cosa succederebbe se sopra Asylia vigesse una particolare giurisdizione con
elementi di extra-territorialità?
Marlie Mul
Outside
La mia proposta per ArtLine Milano si articola in una serie di piccole sculture, una
ricostruzione realistica di rifiuti in dimensioni reali 1:1, realizzati in marmo colorato –
un’immagine dei resti mondani della vita e del consumo quotidiani.
Queste sculture dovranno essere situate lungo tutto il parco di ArtLine Milano in
modo tale da formare una presenza integrata e naturale con il parco stesso. Si
potrebbe, per esempio, pensare a un pacchetto di sigarette vuoto, sacchetti di
plastica sparpagliati qua e là, tazzine di caffè vuote e altri contenitori per bevande, un
mucchio di mozziconi di sigarette, un giornale stropicciato, ecc. Questi oggetti
saranno disseminati lungo il sentiero del parco, raggruppati sotto e attorno alle
panchine o radunati attorno ai cestini della spazzatura. Ci saranno delle variazioni tra
oggetti singoli (un singolo giornale arrotolato, per esempio) e istallazioni di gruppi di
spazzatura (una pila di scarti accumulati). Visto che il sentiero del parco sarà
realizzato in una resina solida e quindi avrà una superficie solida, queste sculture
saranno disposte in cima a questa superficie e saranno quindi molto visibili, a
dispetto della loro misura.
La Fiera di Milano è sempre stato un luogo di incontro tra commercio e
intrattenimento, in altre parole, un posto adatto all'interazione sociale. Vorrei
enfatizzare questo aspetto posizionando gli oggetti che descrivono le azioni umane –
i resti dell'uomo diventano strati culturali – all'interno del parco. Un elemento
importante è il confronto che ha luogo nell'opera tra concetti come reale/artificiale,
che credo costituiranno un elemento interessante per i fruitori quotidiani del parco:
l'uomo che porta a passeggio il cane, chi corre nel parco, la madre col bambino, i
ragazzi in skateboard, la passante che si dirige al lavoro.
Oltre a questo, negli elementi comuni di urbanità, arredo stradale, rifiuti buttati qua e
là e oggetti in disuso per le strade della città, esiste un potenziale di bellezza che
possiamo trovare nella composizione spontanea creata in questi scenari/situazioni di
apparente vita quotidiana. Questa sensibilità è quello che l'opera proposta vuole
sottolineare e far conoscere agli utenti del parco. Il contesto di ArtLine Milano
all'interno di un'area urbana residenziale è la caratteristica centrale osservata per
questo progetto e sono convinta che attraverso l'apertura del lavoro e la posizione di
rilievo, queste idee implicite saranno chiare e accessibili a tutti.
Il materiale scelto per la scultura è il solido marmo, con intarsi colorati (sempre di
marmo) che permettono di rendere anche i dettagli più minuti (si provi a immaginare
un giornale in marmo bianco con intarsi di marmo nero che rappresentano i titoli
principali, o un pacchetto di sigarette fatto di marmo bianco con intarsi rossi, ecc.).
La qualità scultorea dell'opera sarà quindi riconoscibile dalla scelta del materiale, ma
si presenta sotto una forma inaspettata vista la tipologia di soggetti realistici che
raffigura . A livello pratico le proprietà del marmo, in quanto materiale solido e non
poroso, rendono la scultura adatta a resistere alle intemperie, all'esposizione
giornaliera e all'abrasione del parco.
Esiste ovviamente una connessione tra il materiale e il luogo in cui devono essere
esposte. Il marmo si può dire sia un simbolo culturale della tradizione. Inoltre nel
contesto italiano in cui è situato il progetto, possiamo ritenerlo il materiale che
incarna il patrimonio culturale del Paese. Storicamente la Lombardia possiede una
chiara connessione con l'intricata arte degli scalpellini, si pensi per esempio ai
Magistri Comacini e ai Maestri Campionesi del Medioevo. L'idea di lavorare con
inserti colorati si ricollega alla lunga tradizione italiana delle statue di marmo
policrome. Si tratta di una tecnica sulla quale sto facendo ricerche e sto cercando di
lavorare da alcuni anni; questo progetto in particolare sarebbe l'opportunità perfetta
per unire queste affascinanti tradizioni.
La lavorazione del marmo è stata soggetta a numerosi e straordinari sviluppi tecnici
nel corso degli ultimi due anni, specialmente se si pensa alle possibilità introdotte
dalla tecnologia della lavorazione digitale. Le sculture saranno prodotte con l'ausilio
di una stampante 3D e delle tecnologie di lavorazione 3D, che rappresentano per
me, in quanto artista, un'incredibile risorsa per sviluppare nuove competenze in
collaborazione con numerosi specialisti e inventori. Il progetto rappresenterebbe
un'occasione incredibile per esplorare un materiale classico, che ha ancora molto da
dare.
Ornaghi e Prestinari
Anche il luogo mi costruisce?
“Nell’immaginazione popolare i Giganti sono Titani, come ci ricorda Roscher. La
radice della parola ‘Titano’ significa ‘allungarsi, estendersi, espandersi, lottare,
affaticarsi’.”
J. Hillman, Politica della bellezza
“Ciascuna pietra è diversa da ogni altra, pienamente individualizzata, come una
monade, una solida rappresentazione di questo luogo e di nessun altro”.
J. Hillman, Psicologia alchemica
Ci siamo chiesti come l’apertura al pubblico di quest’area di Milano cambierà l’anima
del luogo. Un luogo in cui l’architettura cerca di farsi ammirare come qualcosa di
straordinario, cercando di imporsi per “farsi guardare”. I grattacieli per via della loro
grandezza non raccontano più l’uomo e i suoi bisogni ma il suo ego e la sua volontà
di travalicare i limiti, un uomo che cerca il cielo, l’altezza, di raggiungere le nuvole:
l’uomo della Torre di Babele.
“Non so perché mi augurerei che l’uomo, invece di enormi monumenti che
testimoniano soltanto la grottesca disproporzione tra la sua immaginazione e il suo
corpo, (...) mettesse la sua cura a crearsi nelle generazioni una dimora non molto più
grande del suo corpo”.
F. Ponge, Il partito preso delle cose
Abbiamo allora pensato di bilanciare la verticalità del contesto attraverso un cambio
di scala, una scala umana e non sovraumana; così due colonne a grandezza d’uomo
si tengono braccetto e osservano i grattacieli.
Vedere una scultura che guarda è il nostro invito a osservare per prendere coscienza
di un mutamento che sta avvenendo e di cui siamo testimoni, così come la scultura è
testimone, ma in un tempo diverso. Uno sguardo che si perde nella misura del
tempo, una veglia costante sulla città. L’architettura che guarda l’architettura. La
colonna, infatti, è un elemento architettonico primario portante e allo stesso tempo
assolve una funzione di connessione rimandando all’innalzamento e all’edificazione.
Nell’opera una colonna si fa crescere un braccio per avvicinare l’altra, come se fosse
un corpo vivente: mentre la singola colonna è associata a una simbologia legata al
potere, alla celebrazione e alla vittoria, la coppia di colonne segna un passaggio, un
limite (Colonne d’Ercole), rimanda al portale. Il nodo sancisce un legame, come nelle
colonne ofitiche diffuse nell’Italia settentrionale dal XII secolo. Si crea un abbraccio
come augurio di convivenza per la nuova città.
“Una volta pensavo che le imprese di un eroe, come Ercole, fossero la fantasia
ispiratrice per la città, quella che tornava continuamente a fondarla. Tutti i cittadini –
pensavo – potevano tornare a quei racconti e mettere in scena il loro mito di
fondazione. Adesso penso che è il contesto di una comunità che fa il suo eroe, che
crea il mito. Non è l’eroe a fondare la città, quanto piuttosto il collettivo della città a
inventare l’eroe, come un focus collettivo”.
J. Hillman, Politica della bellezza
Augurandoci che questa nuova parte di Milano possa custodire storie, miti,
costantemente traditi perché riattivati oggi, la scultura diventa occasione per
raccontare il mito di Filemone e Bauci, un augurio di convivenza e ospitalità, che non
dobbiamo perdere. A partire dall’importanza del mito nella fondazione della città, ci
siamo interrogati sul ruolo attivo del luogo nella costruzione degli individui e su come
la scultura sarà chiamata a essere partecipe della vita degli uomini che qui vi
passeranno, facendo riferimento all’idea di statua come qualcosa che si colloca e si
innalza a differenza dell’idea di monumento, che ricorda un evento ed è memoria.
Una scultura come convitato di pietra è infatti chiamata a prendere parte nella vita
degli uomini.
“Certo la statua non parlerà mai con me, non vivrà con me. Ma io vivrò con essa,
l’avrò nella mia vita, e le mie meditazioni su di essa non saranno sui suoi valori di
opera d’arte ma sui suoi di partecipe della nostra esistenza, di figura della nostra
esistenza”.
E. Vittorini, Diario in pubblico
Quest’opera mira a diventare più “vera” con il passare del tempo, perdendo la novità
e acquisendo un carattere familiare e ordinario. Così, come se invecchiando una
scultura tornasse a casa.
Amalia Pica
CONFUSED CHROMATIC
La mia proposta per ArtLine Milano è collocare un semaforo nel contesto del parco e
allo stesso tempo cambiarne i colori. Il semaforo è uno strumento di comunicazione
quotidiana molto semplice, al quale siamo abituati; siamo così reattivi allo specifico
codice di colori e sequenze che lo guardiamo quasi senza accorgercene.
Vorrei spostare un semaforo in un luogo inusuale, dove non ci sono auto, che lo
libererà della sua funzione e permetterà ai passanti di osservarlo come se fosse una
scultura. In aggiunta vorrei alternarne i colori in modo che la sequenza efficace e ben
conosciuta di rosso, giallo e verde sia sostituita da una combinazione più divertente,
emancipando il colore dalla sua codifica e comprensione.
La proposta è piuttosto semplice da descrivere e sarà facile da individuare se
realizzata, perciò non richiede un linguaggio complesso che descriva l'effetto
allarmante e tuttavia ironico del semaforo smarrito nel parco.
L'aspetto fisico del semaforo sarà formalizzato dopo la selezione. Forma, colore,
materiale e sequenza della scultura saranno influenzati dai semafori della città di
Milano, in modo che la luce possa avere valore sia come oggetto del quotidiano che
come scultura.
Ho anche preso in considerazione la possibilità di acquistare il semaforo dalla SCAE,
la società che fornisce i semafori in città, che potrebbe offrire un'alternativa
percorribile. Al momento, per motivi pratici, il prezzo stimato è stato calcolato come
se il semaforo dovesse essere costruito da zero, in quanto questa potrebbe essere
una soluzione nel caso l'opzione precedente non fosse praticabile o se l’idea di usare
i colori al LED non piacesse. Nel qual caso propenderei per usare vecchi modelli di
semafori della città, magari fuori fabbricazione, come esempio e risorsa da
restaurare.
I colori specifici saranno scelti tra tutto lo spettro cromatico, escludendo rosso, giallo
e verde. Il luogo sarà scelto dopo aver consultato curatori e costruttori: per esempio
nell'intersezione tra sentieri, camminamenti o vialetti in ghiaia, creando una sorta di
rotonda pedonale senza scopo. Un'altra posizione, più romantica, potrebbe essere
scelta in mezzo agli alberi, a stabilire una connessione più diretta col silenzio e una
diversa forma di futilità.
Considero queste decisioni più specifiche come parte di un processo di produzione
che avverrà se il progetto sarà selezionato per essere realizzato.
Wilfredo Prieto
Beso
Beso è costituito dall'unione di due pietre di grandi dimensioni collocate l'una di
fianco all'altra. Entrambe sono di forma sferica e si sfiorano in un solo punto
simulando l'azione di un bacio.
L'ubicazione di quest'opera all'interno di un parco in cui esiste uno spazio pubblico
rappresentato tra le altre cose dalle abitazioni, dagli uffici e dai centri commerciali,
offre un legame con la storia dell'arte e la tradizione del giardinaggio.
Questo spazio organizzato, che parte da un disordine naturale e un ordine
funzionale, estetico e artificiale, è il materiale di lavoro in cui il progetto si propone di
inserirsi. L’uso di elementi minimi mette in rilievo l'organicità del contesto per parlare
di un rapporto poetico tramite topos universali delle relazioni umane; costruisce,
inoltre, un riflesso della vita sociale e dell'ambiente quotidiano, dove si stabilisce un
dialogo con il passante che viene coinvolto e si muove in modo dinamico.
Quindi, in un contesto caratterizzato dalla natura e dalla tradizione, si attivano
aggregati simbolici ispirati dal materiale puro, semplice, comune, naturale, che
suscitano riflessioni in un micro-universo, in una realtà manipolata in cui ciò che è
simbolico diventa naturale e ciò che è naturale, artificiale.
Jon Rafman
(senza titolo)
Credo che l'arte nel parco debba essere accessibile e molto visibile, e debba anche
rappresentare il periodo, la cultura e il luogo in cui si trova. Nello specifico penso che
le opere proposte dovrebbero parlare alle persone che vivono e lavorano nel cuore
della città moderna. La mia serie New Age Demanded prende ispirazione dai busti
degli antichi greci che incarnavano un’idea di permanenza e dalla poesia di Ezra
Pound In a Station of the Metro del 1913, in cui il poeta paragona i volti della folla a
“petali su un ramo umido e nero”. Il progetto di scultura che propongo suggerisce
molteplici forme di anonimato nella città moderna. Ispirato a Ferron, un personaggio
inquieto, i busti catturano il movimento accelerato di un istante. Le forme delle opere
esistono nel tempo, eppure sono immobili, congelate a metà di una trasformazione.
I busti possono anche suggerire scenari immaginari e futuri alternativi. Nonostante
siano intagliati nel marmo classico, i busti sono stati concepiti in digitale e scolpiti con
tecniche robotiche. Essendo esposti in un parco urbano le persone vi passeranno
intorno per piacere, per raggiungere il lavoro o per comodità; in questo senso le
storie e le tradizioni convergeranno e si disperderanno in un costante movimento. I
busti, antichi e moderni allo stesso tempo, rievocano le trasformazioni dell'identità.
La mia proposta prevede tre monumentali busti di marmo scolpiti in marmi diversi ma
complementari. I busti saranno realizzati in forma digitale prima di essere scolpiti su
una macchina CNC a sei assi. Ogni busto sarà direttamente posizionato sulla
superficie prescelta, e uno sarà girato sul fianco, come a suggerire la storia di una
“rudere” e allo stesso tempo uno sguardo verso il futuro. Le sculture saranno prive di
ornamenti e di bordi taglienti, e la loro monumentalità sarà bilanciata da eleganza e
accessibilità.
Diverse caratteristiche contribuiscono a rendere questo progetto adatto allo spazio
pubblico e in particolare a un parco. I materiali e i metodi di lavorazione garantiscono
il rispetto dei vincoli di costo. La scelta della posizione dei busti rispetta il flusso dei
visitatori e allo stesso tempo li spinge a interessarsi all'opera. Marmo e cemento
sono materiali estremamente resistenti, l'uniformità di questi materiali e la scelta dei
colori sono garanzia del minor danneggiamento possibile.
L'opera d'arte verrà inoltre trattata con un prodotto anti-graffiti. Il materiale e il
rivestimento protettivo finale permettono una facile e regolare manutenzione; sulla
base dei miei altri interventi di arte pubblica e delle normative internazionali,
suggerirei di pulirla settimanalmente, il che è facile da integrare a qualsiasi
programma di manutenzione già in atto. Una pulizia più accurata dovrebbe essere
attuata in seguito al protocollo di manutenzione programmata o su necessità.
Il marmo è il classico materiale usato per le sculture e denota nobiltà e raffinatezza.
Oggi è diventato un materiale attraverso cui tutti gli individui, che siano importanti o
marginali, rispettati o stigmatizzati, possono riconoscersi. Il marmo, estratto come è
noto dalla terra, rimanda all'archeologia e ci ricorda le fondamenta sotterranee della
nostra città. La terra rappresenta anche la materia in cui le città antiche sono
seppellite, proprio come la memoria è il medium dell’esperienza. L'installazione
incoraggia una mediazione tra storia e futuro del sito, la sua diversità e il
cambiamento del paesaggio umano.
La mia serie New Age Demanded apparve la prima volta sul web, solo
successivamente come un’opera bidimensionale da museo o galleria. Nel
presentarla come opera d'arte pubblica, questa nuova proposta prevede una inedita
e radicale fase nella trasformazione del virtuale in reale. Un elemento
contemporaneo, tecnologicamente basato sulla modellazione di un materiale
classico come il marmo, è anche innovativo. La forma tradizionale del busto
scultoreo è tradizionalmente riservata alla canonizzazione degli individui di una certa
importanza storica. Il mio progetto per Milano nega questa tradizione. I busti non
divinizzano persone illustri, ma celebrano l'uomo, il familiare e l’alieno, il marginale e
il molteplice, il passato e il futuro immaginario all'interno di ognuno di noi.
Alice Ronchi
Summer Reunion
Sembrerebbe che scavando nel terreno per costruire il nuovo parco di ArtLine Milano
siano stati ritrovati dei grandi sassi raffiguranti animali intenti a rincorrere una
bandiera. Questo complesso di sette sculture in cemento dalla forma organica è
stato chiamato Summer Reunion. Sei di esse sono disposte su due file parallele, tre
per parte tutte rivolte verso la settima scultura collocata al centro dell’estremità di
destra. La disposizione riproduce uno schema di gioco, gli studiosi ipotizzano si tratti
dello schema del famoso gioco da praticare all’aperto: Rubabandiera.
Un testo, qui sotto riportato, è stato ritrovato ai piedi del complesso, non è firmato ma
si presume sia dell’artista.
“Johan Huizinga, profondo conoscitore della natura ludica dell’uomo, ci invita a
osservare ‘l’allegro ruzzare’ dei cuccioli per scorgere i tratti fondamentali del gioco
nell’uomo; anche gli animali giocano! afferma. Ho pensato che quel ‘ruzzare felice’
fosse qualcosa di bello da ricordare, così ne ho fatto un monumento, non all’animale,
ma al gioco stesso. Ancor prima però, pensavo ai passanti, ai passeggiatori, ai
curiosi e agli esploratori, mi è venuto il desiderio di intrattenerli, così ho realizzato
delle grandi sculture che giocano.
La loro forma è paffuta ma anche monolitica come alcune stazze degli animali che in
certe posture sembrano essere delle vere e proprie architetture; la superficie
levigata, invece, ricorda quella dei sassi del mare che tendono sempre a una
rotondità e morbidezza tipica del trascorrere del tempo su di essi. Tuttavia,
nonostante la loro grande stazza, esse appaio come affettuose presenze, o
perlomeno questa era la mia intenzione; volevo infondere loro la gentilezza e la
timida eleganza che ogni volta ammiro nelle abitazioni primitive realizzate in argilla,
caratterizzate da un incessante spalmare di terra, strato su strato, steso con le mani,
talvolta con così tanta grazia da sembrare una carezza, domandandomi se forse sia
proprio in quella carezza che si cela il rapporto di affetto tra l’architettura e l’uomo
che la abita (mi affascina ogni masso capace di conservare l’affetto di quel tocco,
vorrei farlo riaffiorare in superficie).
Così questi grandi animali sono la mia architettura, un complesso di strutture godibili.
Si possono cavalcare, abbracciare, si può giocare a nascondino o scivolare nei
grandi buchi delle loro fessure, si può immaginare di correre con loro verso la
bandiera, o si possono fare scommesse su quale animale la raggiungerà prima
(quando il suo numero verrà chiamato) e molte altre cose. Anche di varia natura,
come passeggiare in un’immaginaria navata centrale attorniati da animali in fila che
come sfingi conducono verso un unico elemento focale in lontananza, la grande
giraffa, che, astuta come una rana pescatrice, sventola davanti a sé una bandiera
per attirarti vicino.
Dopo tutto questo giocare però, può capitare di essere stanchi, così può tornar utile
trasformare quel luogo in un paesaggio urbano, un’area di sosta, d’appoggio, di
lettura, o semplicemente di compagnia. Ecco spiegata la scelta del materiale, il
cemento, un elemento che contiene in sé un importante binomio: artificio e natura,
materiale edile responsabile della costruzione di un paesaggio prettamente urbano e
materiale naturale, composto da elementi provenienti dalla terra come la sabbia, la
ghiaia e l’acqua di cui esso conserva il ricordo e l’aspetto una volta modellato.
In questo binomio si cela il mio desiderio di costruire delle architetture affettuose e
fruibili che possano ben integrarsi con il luogo che le ospita, assumendo così
l’aspetto di grandi sassi naturali.
Ps: la pinna soffre il solletico”.
Matteo Rubbi
Cieli di Belloveso
“Come se si potessero trovare tra l’erba delle stelle, come se ci fossero finite per
caso, tra i piedi veloci dei passanti, un cielo riemerso che non si vedeva da un pezzo,
da quando qualcun altro nel fondo delle generazioni di questa città l’ha visto e
lasciato andare, perché non c’è sosta nei moti del cielo come nel nostro sguardo”.
Vorrei ricostruire, tra l’erba e gli alberi del nuovo parco, il cielo stellato visibile a
Milano nella primavera del 600 a.C., data intorno alla quale Tito Livio colloca la
leggendaria fondazione di Milano. La porzione di cielo ricostruita è quella intorno allo
zenit, il punto immaginario direttamente sopra la nostra testa. Le stelle sono
posizionate nel parco in modo speculare rispetto alla mappa costituendo una
proiezione diretta dell’ipotetico cielo di allora, in relazione con il cielo di oggi e con i
corpi celesti presenti e visibili nei mesi primaverili dell’anno. L’inesatta
corrispondenza tra il disegno delle costellazioni a terra e quello visibile oggi a occhio
nudo alla mezzanotte dei giorni a cavallo tra aprile e maggio, racchiude in sé l’intera
storia millenaria della città, dalla sua ipotetica fondazione ai giorni nostri.
Tito Livio descrive la fondazione di Milano come un avventuroso viaggio tra le
montagne. Nell’allora sterminato e variegato mondo celtico ci fu a un certo punto un
grande sovrappopolamento. Un principe guidò una vera e propria migrazione di
popoli e guerrieri attraverso le Alpi inesplorate e vertiginose. Belloveso, questo il
nome del principe, riuscì nell’impresa e giunto nella pianura lombarda a primavera
sbocciata, si accordo pacificamente con il locale popolo degli Insubri per costruire un
primo insediamento. La leggenda della fondazione è ammantata di dati astronomici.
Milano sarebbe sorta in quel luogo perché al centro di coincidenze stellari particolari.
Per questo sembra che sia stato “edificato” anche un tempio/calendario fatto di alberi
e di movimenti celesti.
Mettere oggi un cielo stellato, nel mezzo di una metropoli come Milano, ha per me un
valore scardinante. Lo sviluppo smisurato delle città contemporanee ha determinato
poco a poco l’estinzione delle stelle e del buio. L’osservazione delle stelle ha
permesso lo sviluppo dell’orientamento, nel tempo e nello spazio, ha permesso il
calcolo dei giorni e delle stagioni, il calcolo dei passi verso l’ignoto. L’idea stessa di
viaggio, di spostamento e quindi incontro con l’altro è intimamente legata alle stelle.
L’osservazione del cielo è oggi poco più che un affascinante accessorio, riservato a
scienziati e appassionati; le costellazioni note sono fissate una volta per tutte in varie
application per gli smartphone, e hanno perso quella carica straordinaria di lingua
parlata comune, dove trovavano spazio pacificamente culture diverse tra di loro,
dove il Mediterraneo non si è mai disgiunto e dove la parola zenit, ad esempio, è la
bella sintesi di un pasticcio tra greco, arabo, latino, spagnolo antico e francese, che
significa all’incirca direzione sopra la nostra testa.
L’opera è composta da circa 100 stelle, di dimensioni e forme variabili. Le stelle sono
sparse tra l’erba, gli alberi, i cespugli del parco, montate in modo da essere radenti al
terreno e calpestabili, senza interferire con le normali attività del luogo. Ogni pezzo è
realizzato in acciaio cor-ten massiccio e ricoperto da uno strato piano di acciaio inox
di 12 mm rifinito a specchio. Lo spessore complessivo di ogni stella è di circa 4-5 cm.
La rifinitura a specchio delle superfici permette che alla luce e ai colori dell’ambiente
circostante di riflettersi e integrarsi nelle stelle; i materiali scelti assicurano un’ottima
resistenza all’ossidazione e permettono di contenere le spese di manutenzione. Ogni
pezzo è incassato nel terreno in modo da lasciare scoperta solo la superficie
specchiante; il perimetro delle stelle è smussato e le punte dei raggi sono
arrotondate per non costituire possibile motivo di inciampo per i passanti. Ogni
elemento, posato su uno strato interrato di ghiaia drenante che ne evita lo
sprofondamento, è assicurato al terreno da una catena e da un piatto per garantire
l’ancoraggio a una profondità di 30-40 cm.
Le stelle si dividono in sei gruppi a seconda della luminosità ad occhio nudo dalla
Terra, rispettando l’antica suddivisione greca basata sull’osservazione diretta degli
astri. Ipotizzando un’estensione complessiva del lavoro di circa 70 x 60 metri, la
stella più grande, Vega, che fa da unità di misura, avrebbe un diametro esterno di
130 cm e interno di 22 cm; le più piccole avrebbero ognuna un diametro esterno di
38 cm e interno di 7 cm. Le dimensioni complessive del lavoro e di ogni elemento
sono modulabili in base alla superficie disponibile per il lavoro.
Il progetto vuole rimanere aperto a più livelli di lettura e fruizione. Le stelle sono
infatti collocate senza che ne sia indicato il nome o la costellazione storica di
appartenenza. Il lavoro è in questo senso una mappa muta: ognuno è libero di
giocarci, di reinventare percorsi e comporre figure, scovare stelle nascoste nelle siepi
o tra gli alberi, o semplicemente passeggiarci sopra. Solo sulla stella più grande,
Vega, si trovano incise le coordinate temporali e storiche relative al cielo stellato
presentato, una chiave che permette di leggere il disegno e di immaginare la città
prima che tutta la sua storia cominciasse.
Timur Si-Qin
Ever Oceans
Rompere la simmetria su mari eterni
Ever Oceans è una scultura fatta essenzialmente di alluminio. La forma, che prende
spunto dai resti fossili di un'antica balena, è attraversata da impianti luminosi
distribuiti lungo tutta la superficie.
Le informazioni pervenute allo scanner 3D sono state modificate per rispecchiarsi in
modo simmetrico: un minimo gesto per incidere sulle informazioni e imprimere un
segno dell’operato.
Un segno di vita
La simmetria riguarda i corpi e la vita in generale. I fossili emergono dalla roccia che
li avvolge attraverso numerose simmetrie, radiali, traslazionali, bilaterali. I nostri
occhi e il nostro cervello si sintonizzano in modo simmetrico per risolvere problemi di
adattamento nel riconoscere animali e volti nel paesaggio. Una funzione così
importante da aver fatto evolvere una specifica parte del cervello dedicata a questa
tipo di processo visivo.
La Fusiform Face Area (FFA) è la parte del cervello responsabile dell’identificazione
dei volti. È responsabile anche della capacità di riconoscere volti in oggetti dalla
forma casuale come le nuvole o i toast, un fenomeno noto come pareidolia. La FFA
si ricollega a proprietà geometriche che si adattano bene alla struttura dei volti.
Quando viene danneggiata o è inattiva non si riescono a riconoscere o distinguere i
volti, una condizione nota come prosopagnosia. Ne deriva che la percezione della
simmetria è una calibrazione molto ben orchestrata del nostro sistema cerebrale.
La scultura rappresenta una duplicazione della simmetria già presente nella balena.
Un super-fossile visto come l'immagine di due gemelli o amanti o cloni, che emerge
dalla terra per ricordarci della correlazione tra vita e tempo.
Elisa Strinna
Ancora vi sono melodie da cantare, al di là degli uomini
Quando sono stata in Messico la scorsa estate, sono stata a trovare Genaro Amaro
Altamirano, direttore del Museo Comunitario della valle di Xico a Chalco, alla
periferia di Città del Messico. Ho conosciuto Genaro grazie all’artista Maria Thereza
Alves a Documenta dove Il ritorno del lago, il lavoro di Maria Thereza, racconta le
vicende del museo e della sua comunità. Genaro, assieme ad altri abitanti di Chalco,
si è impegnato a fondare un museo autogestito, in cui si stanno raccogliendo reperti
precolombiani che la gente trova sparsi nella zona, e che altrimenti andrebbero
perduti.
Quando con Genaro ho visitato il museo, sono rimasta particolarmente colpita da
una statua della loro collezione, El mirador del cielo, che rappresenta un antico
azteco nell’atto di scrutare il firmamento. Quando glielo ho detto mi ha raccontato
un’interessante storia: qualche tempo prima aveva scoperto la tomba di un
astronomo recandosi con un archeologo in una zona alle pendici del vulcano. In
questo luogo, che in vita era anche stato l’abitazione dell’uomo, avevano incontrato
una postazione per osservare il cielo alquanto particolare: infatti, nella tomba, c’era
un sedile di pietra collocato all’altezza del terreno, e di fronte a questo sedile un
bacile tondo che l’archeologo riconobbe come adatto a essere riempito d’acqua:
diventava così uno specchio per riflettere il cielo notturno.
Mi sono trovata a pensare a lungo all’astronomo che passava le sue notti a
osservare il cielo riflesso in uno specchio d’acqua con meticolosa dedizione. A
chiedermi come i moti degli astri si riflettessero nei moti dell’anima di quest’uomo,
intento a contemplare un cinema agli antipodi, che giorno dopo giorno gli restituiva la
storia di un palmo di cielo. Il poeta Paul Celan scriveva: “Solo un pellegrino che sa
leggere le rotte del cielo sa trovare il suo cammino sulla terra”. L’importanza che
avevano le stelle nell’orientamento può essere interpretata in senso più ampio come
l’importanza del saper leggere un mondo non solo umano e con esso relazionarsi.
Sempre Paul Celan scriveva: “Ancora / vi sono melodie da cantare / al di là degli
uomini" evocando la necessità di rivolgersi verso lo straordinario.
Ancora vi sono melodie da cantare, al di là degli uomini nasce da queste suggestioni.
Il progetto è il tentativo di creare all’interno del parco uno speciale osservatorio
siderale. Riprodurre uno specchio d’acqua in una città come Milano, dove
l’inquinamento luminoso è molto alto risultava un’impresa impossibile, così ho deciso
di privilegiare l’ascolto alla visione.
La forma di cono dello specchio d’acqua, che raccoglie in sé una porzione di cielo,
mi ha riportato alle parabole delle moderne antenne utilizzate in radio astronomia. La
parabola di un radiotelescopio è diventata così il punto di partenza per progettare il
mio intervento. Ho deciso di riprodurre una parabola delle dimensioni di circa 4 metri
di diametro, sezionarla e conficcare le due estremità nel terreno, a un’inclinazione
tale che le persone possano utilizzare questa superficie come schienale per
distendersi ed essere orientate con il volto verso il cielo. Le due parti di parabola
saranno disposte in modo da creare un piccolo anfiteatro.
La scultura sarà realizzata in lastre di ottone, materiale utilizzato per la costruzione di
strumenti musicali, grazie alle sue caratteristiche acustiche. Sul retro della parabola
saranno posizionate delle casse a vibrazione che messe direttamente a contatto con
la struttura in ottone faranno entrare in risonanza l’intera superficie rendendola
strumento di diffusione del segnale audio (whispering windows), nell’intento di
proporre al fruitore un’esperienza sinestetica tra suono e materia.
Il suono diffuso sarà invece, il risultato di una composizione elaborata da documenti
scientifici, forniti in prevalenza dall’Osservatorio Astronomico di Brera a Milano. Con
la supervisione di Stefano Sandrelli, coordinatore del progetto ExTRAS (INAF),
esamineremo materiale d’archivio sullo studio del cielo. Oggetto dello studio saranno
le emissioni luminose dei vari fenomeni galattici, con un’attenzione particolare al
ritmo e all’intensità delle emissioni, nel tentativo di restituire, attraverso il suono, la
storia delle dinamiche dell’energia e la natura dei vari corpi celesti.
La traduzione trarrà spunto da John Cage e dal suo Atlas Eclipticalis (1962), dove
l’artista riprende un atlante stellare pubblicato nel 1958 dall’astronomo ceco Antonín
Becvár, e sovrappone i pentagrammi musicali alle carte, traducendo la luminosità
delle stelle in musica. In questo caso sarà studiato un sistema di traduzione partendo
dalle statistiche che registrano le variazioni delle emissioni di energia dei diversi astri
presi in considerazione (si stima di analizzare un massimo di dieci fenomeni celesti).
Con la supervisione dell’esperto di percussioni, il professor Guido Facchin, sarà
codificato un sistema di traduzione. La scelta degli strumenti verrà orientata in
particolare verso strumenti a percussione in ottone, come la parabola stessa, quali
per esempio campane a lastra, campane tibetane o sonagli a vento, ecc. Per ogni
oggetto celeste sarà identificato un determinato strumento, scelto dopo aver studiato
la natura che caratterizza i fenomeni.
Una volta studiato il sistema di traduzione sarà valutato se registrare un’esecuzione
strumentale del materiale, se realizzare un sistema automatico di generazione audio.
In questo caso la parabola andrebbe collegata alla rete internet, rendendo possibile
inviare i dati raccolti dal dipartimento di astrofisica direttamente al generatore
automatico di suono nella scultura, che si occuperà simultaneamente di tradurre i
dati in musica con suoni studiati ad hoc.
L’intento è quello di restituire, attraverso la musica, una porzione di cielo e la sua
storia.
Rayyane Tabet
Bonifica, or The Forest that once was
Sono venuto a Milano per la prima volta nel settembre 2015 e ci sono rimasto per
quattro giorni per visitare le diverse parti della città e cercare di capire come potermi
approcciare alla proposta per questa iniziativa. Trovo che concepire un’opera d’arte
per gli spazi pubblici sia piuttosto complicato, soprattutto in un luogo dove la storia,
esattamente come la fiera e la piazza d’armi, è stata quasi completamente cancellata
per far posto a uno spazio dove si svilupperà anche il progetto ArtLine Milano.
Nel secondo giorno di permanenza mi sono sentito scoraggiato e ho pensato di
ritirarmi dalla gara. La visita al cantiere era pianificata per il terzo giorno e ci sono
andato riluttante. Camminando nell'area dedicata al parco pubblico mi sono
imbattuto in una montagna di ceppi di legno e rami accatastati. Chiedendo
informazioni al riguardo sono venuto a sapere che erano i resti di una bonifica; un
processo di risanamento molto usato in Italia in cui la terra che precedentemente era
adoperata a scopi industriali deve essere lavorata e decontaminata per poter essere
utilizzata di nuovo. Apparentemente si tratta di un processo lungo, complicato, che
segue rigide linee guida e spesso causa tensioni tra chi deve ripulire il terreno e le
società di controllo.
Mi è sembrato che questa catasta di legna pronta per essere buttata fosse l'unico
potenziale collegamento con quello che accadde in questo luogo e così ho deciso di
tentare di salvaguardarla, sviluppando un progetto che partisse da questo incontro.
Sono partito il giorno dopo senza nemmeno sapere se questo materiale era
accessibile o utilizzabile. Dopo aver mediato con il gruppo di ArtLine Milano e la
società di costruzioni, quella catasta è stata conservata e spostata
temporaneamente in un magazzino dove si trova ancora oggi aspettando i risultati
della gara.
La mia proposta prevede di scegliere da questa catasta venti pezzi di legno e
ripiantarli nel parco come indicatori dell'accumularsi del tempo, dei luoghi e degli
eventi che sono stati spezzati con il loro abbattimento per la trasformazione del
territorio. I frammenti saranno trattati con un composto di resine per preservarli e
proteggerli e saranno fissati con l'ausilio di dischi di ferro incastrati nel legno che
verranno fissati a basamenti di cemento sotterranei.
Il posizionamento dell'opera all'interno del piano completo del parco non è definitivo
e può variare a seconda degli altri progetti. L'unica direttiva consiste nel posizionare i
venti frammenti al posto di venti alberi, alterando lievemente il paesaggio del parco.
Se dovessi vincere la gara, il progetto sarà interamente sviluppato a Milano con
l’ausilio di una squadra di artigiani locali e in accordo con gli architetti del paesaggio
della società di costruzioni.
Nico Vascellari
Codalunga
Codalunga è il nome di una parte del mio studio a Vittorio Veneto, che nel 2005 ho
aperto al pubblico e dove regolarmente invito altri artisti a presentare il proprio
lavoro. Tra le ragioni che mi hanno portato a concepire Codalunga c’era senz’altro
quella di forzare un dialogo tra il mondo dell’arte e quello di una piccola comunità di
provincia prevalentemente composta da individui non preparati o aperti verso il
contemporaneo.
Nel momento in cui ho visitato il cantiere dell’ex Fiera la mia attenzione si è
focalizzata sui tre grattacieli il cui sviluppo verticale rimanda ad una tradizione e una
simbologia piuttosto antica e costante nella storia dell’umanità. A questa verticalità
ho sin da subito pensato di contrapporre qualcosa che operasse nel sottosuolo e che
fosse in grado di scomparire. Immaginavo di poter applicare a una scultura aspetti
organici che potessero richiamare a una crescita simile a quella delle piante o dei
funghi, oppure a quei sorprendenti movimenti di espulsione dal sottosuolo di
elementi come gas o lava. Una scultura che potesse sorprendere l’occhio del
passante con una scomparsa o un’apparizione simile a quella del coniglio nel cilindro
del mago.
Tenendo presente questa necessità di contrapposizione della mia scultura alla
monumentale verticalità immobile dei grattacieli ho cominciato a chiedermi come
avrei potuto associarla alla mia volontà di coinvolgere, così come faccio a Vittorio
Veneto, la comunità che animerà il parco. Da questa ricerca nasce la mia proposta:
una scultura mobile che simbolicamente ho deciso di intitolare Codalunga.
Codalunga è un obelisco telescopico in acciaio che partendo dal livello del terreno
raggiunge i dieci metri d’altezza grazie all’ausilio di un sistema idraulico. Questo
obelisco è concepito e progettato per sostenere ed esporre ciclicamente oggetti
proposti dai cittadini. Per gestire non solo la selezione ma anche l’archiviazione degli
oggetti di volta in volta proposti dalla comunità per essere esposti sopra Codalunga,
ho pensato alla creazione di un sito web che sarebbe curato e gestito dallo staff del
mio studio. Le persone interessate a proporre un loro oggetto potrebbero farlo
inviando un’immagine e la descrizione dell’oggetto proposto insieme a una breve
introduzione che specifichi per quali ragioni lo vorrebbero esporre pubblicamente.
Non ci sono particolari criteri di selezione degli oggetti: verrebbero esclusi solo quelli
che possono risultare offensivi per la cittadinanza. In pratica non sarebbe scartato
alcun oggetto se non per questioni tecniche (dimensione o peso eccessivi) o perché
oltraggioso.
Gli oggetti verrebbero sostituiti ciclicamente con scadenze da definire dopo
l’eventuale approvazione del progetto. La mia proposta è quella di esporre ogni
oggetto per tre settimane, almeno per il primo anno, in modo da garantire a quante
più persone possibile di poter esporre il proprio oggetto e comunicare il progetto alla
comunità. Passato il primo anno il periodo di tempo di esposizione potrebbe
aumentare fino a cinque settimane.
Serena Vestrucci
Vedovelle e Draghi Verdi
Nello spazio pubblico l'opera d'arte si rivolge necessariamente a tutti i cittadini, in
quanto fruitori del luogo. Il progetto che ho sviluppato non prevede l’aggiunta di nuovi
elementi nel futuro parco dell’area dedicata ad ArtLine Milano, perché sceglie, al
contrario, di intervenire su qualcosa che è già stato previsto in questo luogo: le
fontanelle pubbliche, le classiche vedovelle, elementi tipici del Comune di Milano.
Non c'è milanese che non le conosca, con le loro strutture in ghisa, dipinte di verde.
Il termine vedovelle è dovuto al loro continuo scrosciare di acqua, che ricorda il
pianto di una vedova, altrimenti conosciute anche come draghi verdi per il rubinetto a
forma di testa di drago.
Ciò che ha ispirato questo progetto è la possibilità di lavorare con quello che sarà
l’elemento più storico inserito nel nascente parco. In un’area di riqualificazione
urbana il cui piano di trasformazione mostra la sperimentazione di nuovi concetti
spaziali, in un’area in grado di dare alla città un volto internazionale, caratterizzato da
un alto livello di ricerca e innovazione, il mio progetto cerca un dialogo tra il
contemporaneo e il classico, tra il cambiamento e la tradizione, tra la nuova e la
vecchia Milano.
Per ciascuna fontanella che sarà installata nel parco di ArtLine Milano, il mio
intervento consiste nel riprogettare il rubinetto - originariamente in ottone proponendo una scultura di volta in volta diversa, ottenuta attraverso la lavorazione
di un modello in cera, la sua conseguente fusione in bronzo e la successiva
galvanizzazione in oro.
Ognuna delle fontanelle presenterebbe così una testa di drago differente, unica. Non
un multiplo industriale replicato. Così, pur mantenendo la presenza della fontanella
originale - in quanto la struttura principale non verrebbe ad essere modificata rispetto
al disegno del 1932 - viene ad innescarsi quel sottile spostamento di senso, quello
scarto minimo ma indispensabile per passare dal meccanismo della riproducibilità
tecnica, della serialità, a quello che invece è oggi ancora il valore del lavoro fatto a
mano.
Il progetto è stato reso possibile dal dialogo che ho attivato tra due fonderie presenti
e attive in città: la Fonderia Lamperti, la sola che fornisce per il Comune le fontanelle
originali alla Metropolitana Milanese Spa (Società addetta al Servizio Idrico Integrato
per la città di Milano), e la Fonderia Battaglia, con cui è stato possibile trasformare
un oggetto tradizionale in ottone in una scultura pubblica di bronzo rivestito in oro.
Dal momento che ad oggi non sappiamo con precisione quante saranno le fontane
presenti nel parco - perché siamo in attesa dell’approvazione del piano definitivo da
parte del Settore Verde del Comune - ne propongo 6 come numero indicativo. Nel
caso in cui il mio lavoro venisse selezionato, adatterò questa cifra all'effettiva
quantità stabilita.
L’opera che ho progettato chiede di muoversi, di perdersi, di girare nella geografia
del luogo per essere vista nella sua interezza, come se, osservato dall’alto, il parco
fosse un campo scandito da punti, da accenti, da intervalli, attraverso cui il
paesaggio trova dei momenti di pausa.
Vedovelle e Draghi Verdi attiva un discorso sul camminare, inteso come gesto, come
azione, come investigazione di un luogo, come meccanismo di conoscenza, di
scoperta, come anti-monumento, come scultura vivente, come forma nello spazio.
L’opera agisce su due scale, una finita e una infinita, una visibile e una invisibile: da
un lato è il disegno di una mappa immateriale, di un tracciato immaginario e ogni
volta diverso che ci porta a trovare, in quattro, cinque o sei collocazioni diverse,
l'acqua pubblica; dall’altro si offre nella sua forma concreta e tangibile come una
narrazione di sculture cittadine di tutti e per tutti, che possano valorizzare ed
evidenziare l'acqua come bene comune.
Il mio lavoro vuole riportare l’arte a un’umana proporzione: un intervento non incisivo
sul paesaggio, non spettacolare, un gesto silenzioso di cui si accorge solo chi andrà
ad avvicinare le sue labbra per bere.
Xu Zhen
(prodotto da MadeIn Company)
Eternity-Unique forms of continuity in space, Proserpina
Xu Zhen è un artista concettuale di Shanghai le cui opere variano molto tra di loro.
Sono spesso teatrali e molto provocatorie, affrontano i tabù culturali e sfidano l'ordine
prestabilito delle cose. Propongono una nuova visione della storia dell’arte e della
nostra cultura in generale. Eternity è il nome di una serie di installazioni scultoree
iniziate nel 2013 con il marchio di MadeIn Company: “Xu Zhen”. Questa serie di
lavori consiste in composizioni di copie di statue classiche con un chiaro riferimento
alla cultura occidentale e/o asiatica. Statue che ricoprono un importante ruolo storico
e artistico vengono assemblate in una combinazione aerea e acrobatica in cui le
posture e i movimenti sono amplificati per creare una nuova forma dinamica. Eternity
offre una prospettiva inedita sul nostro modo di comprendere la cultura e la storia, ed
esplora la contraddizione già largamente affrontata delle nostre società
contemporanee all'interno dello scenario della globalizzazione.
Questa opera abbina fisicamente due grandi sculture della storia dell'arte senza
comprometterne i dettagli: Forme uniche della continuità nello spazio, un'opera
futurista creata da Umberto Boccioni e successivamente forgiata in bronzo, e una
replica della dea romana Proserpina dal Ratto di Proserpina, un capolavoro di Gian
Lorenzo Bernini. Entrambe incorporano un retaggio culturale della civiltà italiana e
rappresentano il culmine di periodi artistici italiani distanti tra loro. Priva di
trasformazioni sontuose e dettagli manieristi, questa composizione costituisce un
gesto semplice e tuttavia inedito che combina due capolavori, dandogli una nuova
lettura. Entrambe le forme a spirale delle sculture evocano un forte senso di vivacità
ed evoluzione quasi come se i contorni fossero stati scavati da un forte vento. La
fusione anacronistica tra barocco e moderno, quasi assurda, dà voce a una
provocazione fortemente intrisa dall'ironia idiosincratica di Xu Zhen.
Eternity è la risposta a una particolare sfida dettata dell'epoca moderna, che
accomuna la maggior parte delle metropoli nello stesso periodo storico: come
riuscire ad affrontare le eredità storiche di una città. Attraverso questa creazione, Xu
Zhen stimola ingegnosamente il nostro spirito di osservazione e senso critico.
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