Lavoratore irregolare : la presunta subordinazione va accertata con rigore Renzo La Costa Non si è soliti in questo spazio informativo, commentare sentenze o provvedimenti di primo grado, stante la loro non definitività. Ma la sentenza della Commissione Provinciale Tributaria di Matera nr. 118/2/11 di qualche giorno fa, è indubbiamente meritevole di segnalazione anche in quanto, un caso di presunto lavoro irregolare, viene trattato in sede di contenzioso tributario dalla quale possono desumersi importanti criteri per l’accertamento della subordinazione Questi i fatti. Una pattuglia della Guardia di Finanza di Matera nell' ambito di un controllo dell'osservanza delle disposizioni di legge in materia di ricevute e scontrini fiscali accedeva all'interno del locale aziendale di una ditta, esercente attività di panificazione. Nel locale trovava una sola persona, fratello non convivente del titolare della ditta, al quale i militari chiedevano l'esibizione della documentazione contabile necessaria all' espletamento del controllo (registro corrispettivi, registro corrispettivi per mancato funzionamento misuratore fiscale, libretto dotazione del misuratore fiscale, attestazione tenuta scrittura contabili), nonché l'esibizione del libro matricola contenente le generalità del personale dipendente della ditta. L’interrogato non dava esito a tali richieste, non sapendo dove si trovassero i registri, in quanto la sua presenza nel negozio era casuale e dovuta alla necessità di sostituire temporaneamente il fratello , allontanatosi urgentemente per motivi familiari. Pertanto, i militari redigevano verbale di operazioni compiute, in cui invitavano la ditta ad esibire la citata documentazione: il verbale era sottoscritto dalla persona presente. Il titolare dell'esercizio controllato, si presentava successivamente presso il Comando della Guardia di Finanza, esibendo la documentazione richiesta, regolarmente tenuta ed aggiornata. Con p.v. di costatazione in pari data , non recando il libro matricola della ditta il nominativo della persona presente all’accesso fra i dipendenti della ditta, i militari della Guardia di Finanza , sul presupposto che la predetta fosse stata, nell’ occasione, trovata “intento a svolgere attività lavorativa”, contestavano al titolare: - l’ irregolare tenuta del libro matricola; - l'omessa esibizione delle scritture contabili all'atto dell' accesso. A seguito di detto processo verbale, l'Agenzia delle Entrate notificava alla ditta l’atto di contestazione ; sanzionava l'omessa annotazione sui libri del lavoro del nominativo del fratello del titolare e l’ omessa esibizione delle scritture contabili. Il ricorso Il titolare della ditta presentava ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale “per l'impugnativa dell'atto di contestazione, esprimendo iseguenti motivi di doglianza: 1. nullità dell' atto d’accertamento (ex art. 42 dpr n. 600/1973), in quanto non sottoscritto dal direttore dell’ Agenzia delle entrate, ma da altro funzionario per abilitare il quale non risultava esser stata fatta la prescritta delega. 2. infondatezza della pretesa fiscale. Il verbale di constatazione del 3.9.2004 (redatto da una coppia di militari diversa da quella che aveva eseguito l'accesso) erroneamente riferiva che sarebbe stato trovato nell’ esercizio commerciale del fratello “intento a svolgere attività lavorativa", senza indicare quale. Sennonché il predetto, all'epoca dei fatti, ed all’ attualità, è (da oltre venti anni) invalido civile perché affetto da una forma allergica agli sfarinati, ai cereali, ecc., con "deficit ventilatorio di tipo misto di grado mediograve" e diagnosi di "asma professionale da farina di frumento": di guisa che, avendo una tale patologia, non avrebbe potuto assolutamente svolgere alcuna attività lavorativa in un panificio. Né risponde al vero che lo stesso in quella circostanza stava servendo clienti, tant’ è vero che ciò non era stato neanche segnalato dai militari, nonostante avessero fatto l'accesso appunto "al fine di eseguire un controllo sull'esatta osservanza delle disposizioni di legge in materia di ricevute e scontrini fiscali”. In verità, il fratello del ricorrente , invece che per svolgere attività lavorativa dipendente, si trovava in quel sito occasionalmente e da poco prima dell'ingresso della Guardia di Finanza al solo scopo di provvedere alla chiusura dell'esercizio commerciale e di portar le chiavi alla casa del congiunto, dove questi si era dovuto recare con urgenza, nel caso in cui il fratello non fosse a breve ritornato . Siffatte circostanze ha puntualizzato il ricorso sono state già esposte, in un' istanza di annullamento per autotutela fatta dal titolare all'Agenzia delle Entrate , corredata della documentazione occorrente, compresa anche la refertazione medica attestante la grave forma di allergia ai farinacei . L’ Agenzia delle Entrate, in risposta, non solo l’ha rigettata, ma anche ha rappresentato, nella parte motivazionale del provvedimento reiettivo, che la persona"… . aveva sostituito appieno il fratello titolare dell'impresa sino all'orario di chiusura dell' esercizio e non per soli 15 20 minuti ...", in tal modo ignorando che la verifica dei militari della G.d.F. era durata solo dieci minuti (dalle ore 19,30, momento dell'accesso, alle ore 19,40, momento di conclusione) e non oltre, come risultante chiaramente dalle annotazioni riportate sul verbale delle operazioni .Non essendovi pertanto fra i soggetti alcun rapporto di lavoro, nessun obbligo di annotazione sul libro matricola incombeva quindi a quest’ ultimo, come anche nessun fondamento ha avuto la contestazione relativa alla mancata esibizione, dei libri e registri contabili da parte della persona presente all’accesso, il quale non poteva sapere dove i registri contabili si trovassero, né avrebbe avuto comunque la facoltà qualora l'avesse saputo di esibire tale documentazione, poiché soggetto totalmente estraneo alle vicende dell'impresa. La versione dell’Agenzia Resisteva al ricorso l’ Agenzia delle Entrate asserendo che le “eccezioni dì parte, sollevate in sede contenziosa, non hanno ragione di essere”. Ha osservato che: la contestualità dell'accesso da parte dei verificatori ha permesso di rilevare la presenza del lavoratore irregolare, circostanza che ha favorito, dunque, l'emersione di elementi, di sufficiente grado di gravità, precisione e concordanza per soddisfare l'onere probatorio ed affermare la presenza di rapporti di lavoro irregolari nell'azienda; per questo essa Agenzia delle Entrate ha emesso l'atto di irrogazione di sanzioni, con il quale ha evidenziato l'impiego del lavoratore dipendente irregolare ed irrogato le sanzioni, previste dall'art.3, comma 3 del D.L.23.04.2002 n.73, ai sensi del quale “ferma restando l'applicazione delle sanzioni previste, l'impiego dei lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatoria è altresì punito con la sanzione amministrativa dal 200 al 400 per cento dell' importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso tra l'inizio dell' anno e la data di constatazione della violazione."; assolutamente improprie appaiono le eccezioni legate alla nullità del provvedimento impugnato per violazione dell' art.42 del DPR 600/73, in quanto non sottoscritto da soggetto legittimato, Direttore dell'Ufficio, ma da un funzionario delegato, senza che all'atto contestato fosse stato allegata copia della delega. Invero, posto che secondo quanto previsto dall'art.42 del DPR n. 600/73 gli avvisi possono essere "sottoscritti dal capo dell'Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato", nessun obbligo di portarla a conoscenza della ricorrente sussiste in capo all' amministrazione finanziaria, trattandosi di atto di natura meramente interna e che, ai sensi delle disposizioni contenute nel citato art.42, non deve necessariamente essere motivato proprio perché non prevede alcuna condizione normativa per poter essere concessa. “Per mero scrupolo processuale ed al fine di confutare qualsiasi dubbio”, ha prodotto l'atto con cui il Direttore pro tempore dell'Ufficio aveva provveduto a delegare il funzionario in questione. Essendo stata al momento dell' accesso rilevata la sola presenza della persona, “è evidente che fosse intento al lavoro attesa l'assenza di qualsiasi altro dipendente all' interno dell' esercizio”, con la conseguenza che “… la procedura sanzionatoria è stata determinata dal fatto che il medesimo è stato trovato dai verbalizzanti intento al lavoro, sostituendo il fratello titolare che, al momento dell'accesso era assente ma, soprattutto, perché tale assenza si è protratta fino all'orario di chiusura dell' esercizio e non per soli 15/20 minuti, al contrario di quanto affermato nelle memorie difensive dal ricorrente stesso.”. A ciò aggiungasi che: “…il predetto presente all’accesso non è stato e non è tuttora titolare di alcun reddito ma percepisce la sola rendita derivante da infortunio sul lavoro, essendo invalido con una percentuale del 36%; tale incapacità, non rende del tutto inabile a tale tipo di lavoro il suddetto e ciò sta a significare, che, l'attività contestata dai verbalizzanti nei confronti di detta persona può ritenersi verosimilmente fonte principale del reddito per sé e per il proprio nucleo familiare atteso che anche altri componenti della famiglia non percepiscono redditi.”. Il che “attesta, inoltre, che l'invalidità permanente attribuita dall'INAIL non ostacola il normale espletamento della funzione di ‘operaio comune’ attribuita dai verbalizzanti in sede di accesso”. Peraltro, “se si dovesse considerare la invalidità riconosciuta , come fattore impeditivo dell'attività lavorativa, a maggior ragione la presenza nell'esercizio non troverebbe alcuna ragione poiché i fattori scatenanti, dovuti all'inalazione di polveri di farina di frumento ed in genere ad irritanti respiratori, non permetterebbero neanche la presenza provvisoria a in locali inquinati da tali agenti.”. Ha concluso, chiedendo che la Commissione Tributaria Provinciale rigetti il ricorso. La decisione della CTP La tesi sostenuta dall’Agenzia, non ha convito i giudici di primo grado, e con ampia motivazione. È pacifico in atti - hanno evidenziato - , perché emerge dal contenuto del “verbale delle operazioni compiute”, redatto dai militari della Guardia di Finanza aperto alle ore 19.30 e chiuso alle ore 19.40, che la persona è stata dai verbalizzanti “trovata” nell’ esercizio commerciale della ditta individuale del fratello ,attuale ricorrente; che, in tale contesto, lo stesso ha dichiarato “in merito alle operazioni di servizio” ed a fronte della richiesta di esibire la documentazione descritta in narrativa: “Mi trovo nel negozio per caso, sono stato chiamato da mio fratello perché assente per motivi di famiglia. Non ho altro da aggiungere.”; che null’ altro è stato dai verbalizzanti ivi attestato. Sulla scorta di siffatte risultanze, e del contenuto del p.v. di constatazione redatto, sempre dalla G.d.F., in giorno successivo l’ agenzia delle Entrate ha ritenuto “…evidente che (quegli) fosse intento al lavoro attesa l'assenza di qualsiasi altro dipendente all' interno dell' esercizio”. Orbene, è proprio siffatto semplicistico parallelismo fra (brevissima) permanenza accertata (dalle 19,30 alle 19,40), ma non qualificata, del fratello nell’ esercizio commerciale (nulla è detto nel verbale a cosa, in fatto, il medesimo fosse, in quel contesto, intento) e sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra lo stesso ed il fratello titolare del negozio, che non convince. Vale rammentare in proposito la costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale in tema di onere della prova relativo al rapporto di lavoro subordinato, ove la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative fra persone legate da vincoli di parentela o affinità debba essere esclusa per l'accertato difetto della convivenza degli interessati, non opera ipso iure però una presunzione di contrario contenuto, indicativa dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Pertanto, la parte che faccia valere diritti derivanti da tale rapporto ha comunque l'obbligo di dimostrarne, con prova precisa e rigorosa, tutti gli elementi costitutivi e, in particolare, i requisiti indefettibili della onerosità e della subordinazione . Nella specie, al contrario, nel mentre la resistente si è trincerata dietro l’ apodittica affermazione dell’ “evidente” sussistenza del rapporto lavorativo dipendente de quo (esistenza che non può esser desunta presuntivamente sulla base del solo e non grave elemento del rinvenimento della persona nell’ esercizio commerciale del fratello), il ricorrente ha fornito la prova documentale attestante lo stato patologico del congiunto, tale da avergli fatto riconoscere sin da anni addietro una rendita INAIL per aver contratto una malattia professionale e l’ inabilità lavorativa a causa di “deficit ventilatorio di tipo misto di grado medio grave”, nonché l’ indicazione terapeutica, secondo la quale sono al predetto “controindicate mansioni lavorative che espongono all’ inalazione di polveri di farina di frumento ed in generale ad irritanti respiratori”. A ciò aggiungasi che, la norma dell’ art. 9 Dlgs. N. 471/1997, posta alla base della prima delle violazioni indicate nell’atto di contestazione qui oggetto d’ impugnazione, è stabilito che: “co.1 Chi non tiene o non conserva secondo le prescrizioni le scritture contabili, i documenti e i registri previsti dalle leggi in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto ovvero i libri, i documenti e i registri, la tenuta e la conservazione dei quali è imposta da altre disposizioni della legge tributaria, è punito con la sanzione amministrativa da euro 1.032 ad euro 7.746”. “co.2 La sanzione prevista nel comma 1 si applica a chi, nel corso degli accessi eseguiti ai fini dell'accertamento in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto, rifiuta di esibire o dichiara di non possedere o comunque sottrae all'ispezione e alla verifica i documenti, i registri e le scritture indicati nel medesimo comma ovvero altri registri, documenti e scritture ancorché non obbligatori, dei quali risulti con certezza l'esistenza.”. Orbene, nel caso all’ esame, difetta sia la circostanza che il ricorrente non tenesse o non conservasse secondo le prescrizioni la ripetuta documentazione, tant’ è che essa è stata poi esibita sollecitamente, così come prescritto al ricorrente nel verbale delle operazioni compiute di cui s’ è detto, ma anche che, quanto a detta documentazione, è del tutto mancato il rifiuto di esibizione o la dichiarazione d’impossidenza o comunque la sottrazione all'ispezione e alla verifica, descritte dal comma 2 della ripetuta norma. Né è dato capire perché detta violazione si sarebbe in questo caso concretizzata a seguito della dichiarazione del presente all’accesso di non essere in possesso di detta documentazione e di non poterla esibire: anche a voler ritenere che fosse lavoratore dipendente del fratello, trattasi di una richiesta che i verbalizzanti non avrebbero potuto per questo rivolgere a lui, piuttosto che al titolare della ditta. Ma v’ è di più. Non è in dubbio che l’ atto di contestazione de quo non sia stato firmato dal direttore dell’ Agenzia delle Entrate, ma da un funzionario delegato: dal timbro apposto, scarsamente leggibile, si evince una firma che ben può essere intesa “Izzo”. Né è dubbio che all’ atto non fosse allegata la necessaria delega o fatto un riferimento alla sua esistenza e portata. La resistente ha ritenuto di poter vicariare tale mancanza producendo in atti, nel giudizio, siffatto documento. Ma lo stesso, nominato “Atto dispositivo n. 14” del 18 giugno 2007, è stato prodotto monco: annovera infatti soltanto la pagina 1 e la pagina 4, né risulta in calce la sottoscrizione del Direttore dell’ Ufficio. E ciò che più conta, laddove prevede la “Delega di firma ai Coordinatori dei Gruppi di controllo (capi team) 1, 2, 3, 4”, per abilitarli a sottoscrivere atti del tipo all’ esame, non fa riferimento ad alcun nominativo, tanto meno a quello “Izzo”. Ne deriva che la sottoscrizione dell’ atto de quo non soddisfa il requisito di sottoscrizione previsto, a pena di nullità, dall’ art. 42 co. 1 e 3 dpr n. 600/1973 (Cass. 27 ottobre 2000 n. 15195; 10 novembre 2000, n. 14626). Le conclusioni All’accoglimento del ricorso consegue la condanna della parte resistente al pagamento, in favore di controparte, delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.