Avevo organizzato tutto nei minimi dettagli. Mi sono tenuto il pomeriggio libero da impegni. Ho chiamato sua madre per dirle che sarebbe tornata non più tardi delle 15. Sono arrivato davanti a scuola in notevole anticipo per trovare un parcheggio sul viale e avere la macchina vicina. Mi sono nascosto dietro la cabina telefonica rotta e piena di scritte che sta davanti alle scale del suo liceo, quello che fino a due anni fa era anche il mio. Voleva essere una sorpresa, ma pare che a me le sorprese non riescano bene. È uscita e si è guardata attorno, bella come se l’avessero disegnata, e ha sorriso. Stavo per uscire dal mio nascondiglio, andarle incontro e dirle “Stella, 3 giorni fa era il nostro secondo mesiversario ma tu avevi da fare e io avevo da fare, usciamo a pranzo e poi ti riporto a casa, ti va?” ma lei mi ha preceduto, ha sceso le scale e si è buttata nel marasma di gente dell’una. E ora sono qui, a fissarla tra le braccia di uno stronzo che le coccola i capelli e la bacia sulle labbra. Lo stronzo si chiama Tommaso ed è il suo ex. Lei si chiama Lisa e, fino a pochi secondi fa, era la mia morosa. Mi faccio largo tra la gente per raggiungere la macchina. Non ho intenzione di rivolgerle né la parola né lo sguardo, l’ho già fatto troppe volte e inutilmente, ma credo che mi veda, o che mi veda lui, e quindi sento la sua voce chiamarmi –Jacopo!- come per dire Merda! Non l’ascolto. -Jacopo!- ripete, e sento la sua mano appoggiarsi sulla mia spalla. Faccio un giro su me stesso e evito il contatto. La guardo negli occhi e muoio un po’ dentro, perché quegli occhi continuano ad essere dannatamente belli. -Lisa, lascia stare.-Jaco…-Jaco un cazzo, sei una puttana e puoi tornare dal tuo coglione là in fondo, tanto sei di nuovo single.- Indicando l’idiota e gesticolando come un cretino faccio qualche passo indietro, riesco finalmente a darle la schiena e mi dirigo verso la macchina. Non voglio voltarmi. Non devo farlo. Vorrei vedere la sua faccia, vorrei davvero tanto, ma non le do questa soddisfazione. Non la do neanche a me, che mi sono affezionato, innamorato e lasciato inculare da ‘sta stronza. Salgo in macchina e rimango per un po’ con le mani appoggiate al volante. Sento gli occhi stanchi e lucidi. Quattro anni da quando ci siamo conosciuti. Quattro anni da quando mi sono reso conto che averti per me sarebbe stato improbabile, se non impossibile. Quattro anni per tenerti relegata e nascosta nella mia mente, avendoti sotto gli occhi tutti i giorni, quattro anni per convincermi che non saresti stata mia nel modo in cui avrei voluto lo fossi. Pochi mesi per convincermi del contrario. (Colpa del fatto che sei una troia? Colpa del fatto che sono un credulone?) Pochi secondi per mandare tutto a puttane. Mi hai preso per il culo, tutto questo tempo. Tutte quelle belle parole, tutti i sorrisi che mi avevano fatto intuire che eri quello che desideravo e di cui avevo bisogno, era tutto una presa per il culo. Sei solo l’ennesima delusione. Ennesima e ultima. Continuerò da solo. Non è un problema. Retromarcia, mi infilo nel traffico di viale Reiter, prima, via. Ieri ho anche comprato un pacchetto di paglie, non ne ho ancora fumata una. Perfetto. Andrò a casa, mi sbatterò sul letto, aprirò le finestre e lascerò entrare quest’aria di fine settembre, mi fumerò tutte le paglie di cui ho bisogno, mangerò pop corn fino allo sbocco e ascolterò musica fino a che mia madre non mi urlerà di abbassare il volume. La prima volta che sono andato alle prove per lo spettacolo dopo aver mollato Lisa è stato un po’ un trauma, perché si dà il caso che io faccia teatro e lei lo faccia con me. Ho cercato di recitare la parte del solito me meglio che potevo, ma non so quanto abbia funzionato. Lei, superato lo stupore iniziale (probabilmente non pensava che sarei venuto), non mi ha praticamente guardato in faccia. Fortunatamente io sono Mercuzio e lei Giulietta. Pensare che, quando c’hanno assegnato le parti, ero incazzato perché non potevo limonarmela sul palco… ora non sono mai stato tanto felice di essere un co-protagonista. Stefano, il regista, si rende conto da come urlo “una maledizione su entrambe le vostre famiglie” che non sto tanto bene, così chiama la pausa. Filippo, il Tebaldo che ho strattonato fino a qualche minuto fa, mi si avvicina. È parecchio frocio, credo che abbia una cotta per me e ora non lo voglio tra le palle. -Jaco, tutto bene? Mi sembri un po’ sfatto.-Che occhio.-Ma stai bene?-Ora no.-Hai bisogno di qualcosa?-Filippo, che cazzo c’hai? Cosa vuoi chiedermi?Abbassa un po’ lo sguardo, preferiva l’aggressione fisica di Mercuzio alla mia verbale. –Mi si è piantato il computer, un amico mi ha consigliato di formattarlo, e così ho pensato…-Hai pensato che siccome faccio Informatica ti avrei aiutato. Sì, dimmi un giorno in cui posso venire da te così non rompi.Lui sorride, nonostante il mio tono. –Anche domani, se per te va bene.Annuisco, Stefano ci richiama all’ordine. Quando sono tornato a casa ho anche un po’ pianto, ma non l’ho detto a nessuno. Filippo mi accoglie in casa sua come un vecchio bavoso accoglierebbe una puttana d’alto bordo. Per fortuna non ha la vestaglia di seta leopardata. In compenso però ha le pantofole lilla, che sono una cosa oscena. Come lui, d’altronde. Mi offre qualcosa da bere, ma non l’accetto per paura che c’abbia messo dentro degli afrodisiaci pesanti. Non si sa mai cosa aspettarsi da un Filippo. Mi mette davanti al computer, gli scarico un programmino carino per fare il defrag e aspetto. Lui si appoggia sulle mie spalle con le braccia e sulla mia testa col mento. -Come procede?Come se ci fosse qualcosa da far procedere, sta facendo tutto il pc. –Tutto bene, tra un po’ ha finito.-Bene. Tu come stai?Rimango in silenzio per un attimo. Può darsi che l’abbia scoperto. –Regolare.-Mi fai impazzire quando fai la parte dell’insensibile…- dice, con voce decisamente troppo languida e maliziosa per i miei gusti, afferrandomi per le spalle e facendo girare la sedia verso di lui. Ho di fronte l’uomo che ieri a teatro mi ha sussurrato “se non fossimo nemici cambierei il copione e ti bacerei”, siamo troppo vicini e nonostante ciò io non riesco a muovere un muscolo. Non voglio farlo, non ne ho le forze. Ho la netta impressione che, qualsiasi cosa mi possa accadere, ora come ora, non sarebbe in grado di peggiorare lo stato in cui mi trovo. Per una volta nella vita mi sento passivo spettatore. Mi si avvicina ancora, io sposto la testa di lato. Mi sorride. –Non vuoi?- Non gli rispondo. –Non devi fare niente, Jacopo,- sillaba lentamente, appoggiando una mano al cavallo dei miei pantaloni e cominciando a slacciare la cintura –assolutamente niente.Non lo fermo. Ho le sue labbra su di me prima che possa realizzare la stronzata che mi sto facendo fare. Faccio di tutto per non guardarlo, e vengo con un sospiro. Prima che si metta in testa di cominciare qualsiasi altra cosa mi alzo, mi riallaccio i pantaloni e con un –Quando la barra verde ha completato premi ok e riavvia il pc.- lo saluto e me ne vado, senza guardarlo, spinto più giù nel baratro di qualche metro. -È un po’ che non mi faccio sentire, lo so.-Avevamo paura che fossi morto!Più o meno. Amo Giulio che parla al plurale perché fa le veci anche di Cavazza il robot. – Tranquilli, mi ci vorranno ancora un paio di sigarette.-Deficiente… che è successo? È una settimana che non ti sentiamo.- -Ho avuto un po’ da fare.-Jaco…Giulio è mio amico da sempre, credo di non avere ricordi di cose successe prima di conoscerlo, certe cose le capisce per osmosi. E io so cosa vuole sentirsi dire. -Ho mollato Lisa.Niente più che la verità. Non è proprio il momento per una delle sue solite sceneggiate sfonda timpani. -COSA?-Ho mollato Lisa.-Avevo capito ma… perché?-L’ho vista col suo ex.-Ma non vuol dire che…-Si stavano baciando.-Ah.-Già.Espiro il fumo dall’ennesima sigaretta che sto fumando, sistemandomi la cornetta sulla spalla. Non fa più così tanto male pensarci. No, non è vero. Fa ancora malissimo. -Vuoi che venga lì?-Come ti pare.-Ok, sto arrivando.Cavazza lo scopre dopo, tramite Giulio. Cavazza era il mio compagno di banco al liceo, ci conosciamo da sette anni su venti, eppure sembra capirmi anche meglio di Giulio. Nonostante la sua gamma di espressioni facciali disponga, se va bene, di tre conformazioni per esternare ciò che prova e il suo vocabolario si riduca per la maggior parte delle volte a “sì”, “no”, “ok” o “vai a fare in culo”, si fa capire abbastanza bene, se sei disposto ad ascoltarlo. E infatti non appena ci vediamo mi tira una sfilarata di pugni che non finisce più perché, come al solito, mi sono tenuto tutto per me. Il discorso comincia più o meno così, con le sue botte e una sua bestemmia, mentre ci fumiamo l’ennesima sigaretta seduti per terra, con la schiena appoggiata al mio letto. -Non me l’hai chiesto.Altro pugno. –Sei un deficiente, lo sai che non è quello il punto.-Sì che lo è, stavamo insieme io e lei, non noi e lei, quindi piantala di scassare il cazzo.Fa una pausa e sospira. –Sei un coglione.-Può darsi, forse è per quello che è tornata con Tommaso.- Lo so perfettamente che non è vero, doveva essere una sua idea già da prima quella di usarmi come arma di gelosia, ma è giusto per rompere un po’ le palle a Cavazza, che la sua storia d’amore ce l’ha ed è tutta rose e fiori. Che poi la sua dolce metà sia proprio Giulio, questo è un altro discorso. Contro ogni previsione, mi abbraccia. Mi stringe forte. Io ci provo a trattenere le lacrime, ma è quasi impossibile. Mi ritrovo a piangere senza singhiozzi, a lasciare che le lacrime bagnino la maglietta di Cavazza. Non parliamo più. Ce ne restiamo così, lui mi accarezza la testa, io prendo una ciocca dei suoi capelli e me la giro tra le dita. Rimane anche da me a dormire. La mattina dopo apre la finestra e lascia che il freddo autunnale mi svegli. Dormendo io in boxer, la cosa non prende tanto tempo. Gli urlo qualcosa, lui ride e salta sul mio letto, spingendomi contro il materasso e facendomi ridere a mia volta. Finiamo per fare la lotta, vince lui solo perché era sveglio da più tempo. Facciamo colazione in silenzio, guardandoci ogni tanto e sorridendo. Io gli verso il succo di frutta nel latte, lui bestemmia e prova a fare lo stesso, ma scopre che la mia tazza era vuota, e bestemmia di nuovo. Rido e lo prendo per il culo. Va a finire che mi riprenderò grazie a ‘sto coglione, ed è giusto che sia così. -Cava, questo week end si fa un laser game di facoltà?-Tanto perdete.- Alla fine invece gruppo Informatica (direttamente da Bologna almeno una volta al mese solo per sfide come questa) batte gruppo Chimica 6 basi a 3, perché Giulio è un incapace e Cavazza gioca da solo senza cagare gli altri. E perché, ammettiamolo, anche senza l’appoggio di Fonta io spadroneggio. Partono cori di insulti reciproci contro le madri altrui perché non ci vogliono offrire da bere, poi ovviamente la cosa degenera e finiamo a fare la guerra con gli sputi nel parcheggio. Questa volta non si sa chi vince, ci fermiamo perché ci sono da accompagnare in stazione i tre bolognesi. Rimandiamo al prossimo mese. La vita riprende più o meno regolarmente, partendo dagli amici e arrivando al sesso: la prima ragazza con cui scopo dopo Lisa (lasciando perdere Filippo) è la Fre. La conosco dall’estate della maturità, il primo nome che ha avuto nella mia rubrica era “Fre bocchino”, poi l’ho conosciuta meglio ed è rimasta solo “Fre”. Lei è la ragazza con cui ho giocato mille e più tornei di Battlefield, tutti perennemente interrotti da una sua mano nelle mie mutande. Per quanto mi riguarda, lasciando per un attimo da parte l’attrazione fisica, è l’unica ragazza che posso veramente considerare mia amica. La accompagno volentieri a fare shopping, e la consolo quando sta male, non necessariamente con un secondo fine (come mio solito). I suoi modi spigliati e senza mezzi termini me la fanno pensare un po’ come ad un ragazzo in un corpo di donna (corpo tutt’altro che sgradevole, tra l’altro): ragiona come un uomo, non rompe il cazzo, e fa dei grattini che me li sogno la notte. Le voglio un bene dell’anima e niente più, non siamo mai stati insieme e mai lo saremo. Si è precipitata a casa mia dopo aver scoperto che avevo mollato Lisa. Sembrava quasi felice, ma non lo dava troppo a vedere. A volte penso che si sia innamorata di me, ma finché questo non mina la mia quiete personale e il nostro rapporto, credo che mi concederò il beneficio del dubbio. Mi sono addormentato abbracciandola come fosse un pupazzo, mentre lei mi accarezzava la nuca. Qualche ora dopo mi sono svegliato e lei mi ha salutato con “Ciao Pino bello”, che è come mi chiama lei, diminutivo di Jacopino. Ancora non mi sentivo di ricominciare a chiamarla “stella” come facevo con tutte le ragazze che lasciavano una traccia significativa nella mia vita (Lisa e lei, per ora), per cui le ho solo sorriso e detto “Ciao splendore”. Era felice lo stesso. Un po’ meno, ma lo ero anche io. È giugno quando una voce femminile sull’orlo dell’isteria mi chiama e tutto d’un fiato dice: -Ciao, parlo con Leonardo? Ho visto il tuo annuncio in giro per Bologna e volevo sapere se è ancora libero.-Sì.Dovrò ricominciare l’estenuante trafila dei colloqui, e non ne ho per niente voglia. Eppure non riesco a vivere da solo: voglio avere qualcuno nella stessa stanza, per non sentirmi più così abbandonato a me stesso. Questa ragazza non sembra normale al telefono, ma magari è diversa da tutti gli altri nove coinquilini che ho avuto nell’ultimo anno. Quando apro la porta alla ragazza isterica, il cui nome all’anagrafe risulta essere Claudia, non mi aspetto niente se non l'ennesima delusione. Si guarda intorno e so che la prima cosa che dirà sull'appartamento è qualcosa sulle sue dimensioni irrisorie e che pochi vogliono viverci con uno sconosciuto. -È piccolo.-Già.-E tu sei un ragazzo.-È un problema?Lei soppesa il mio sguardo, interrogativa. -Be’... Per me in realtà no. Per te?-Non ti stuprerò nel sonno, tranquilla.-Non insinuavo niente del genere. Mi sembri un ragazzo simpatico...- torna in cucina e dietro il bancone vede i pattumi della raccolta differenziata. -Oddio, sei il primo che trovo! Se mi dici che sei vegetariano vengo qui domani.Non so niente di lei. Non le ho chiesto niente. Ma accetto la sfida. Le confesso di essere vegetariano e stringendole la mano dico: -A domani, allora, con armi e bagagli.Lei mi salta al collo e se ne va chiamando il moroso con ottime notizie. Ha la mia stessa età e studia lettere, è fidanzata da tre anni con lo stesso ragazzo e abitano entrambi in un paesino in culo alla provincia di Parma. Tutte queste cose le scopro mentre sistema le sue cose dove prima sono state quelle di tanti altri. Io e la mia nuova coinquilina prepariamo insieme gli esami della sessione estiva. Mi piace moltissimo: è curiosa, ma non invadente. Attenta, ma non soffocante. Non passa sei ore in bagno, si lamenta poco, non si trucca e capisce quando bisogna tacere. L’unico difetto che le trovo, dopo un mesetto di convivenza, è che studia in modo caotico: colori in ogni sfumatura, post-it e fogli volanti numerati, fotocopie a destra e a manca. Una volta, nel prepararsi una piadina, ha dato fuoco ad un capitolo della Colonna Infame di Manzoni. Ed è anche quello il motivo per cui abbiamo deciso di prendere un segnalatore di fumo. Claudia è seduta di fronte a me e stiamo mangiando una pizza presa all’ultimo secondo al forno in fondo alla strada, perché siamo due smemorati del cazzo e nessuno di noi si è ricordato di fare la spesa in questi giorni. Il suo viso furbo tradisce una domanda: ho imparato a conoscerla in meno di quattro mesi, e in fondo ne sono contento, ho smesso di sentirmi tanto solo e il suo pensiero mi fa compagnia. -Cosa?- sono seccato dalla sua insistenza, anche se non ha aperto bocca. -Lo sai che sei bello?Claudia ti prego, mi piaci veramente un sacco come coinquilina, sei fidanzata. Non complicare le cose, davvero. -Grazie.- torno ad interessarmi della pizza come se fosse la mia unica ragione di vita e spero con tenace intensità che l’argomento cada e venga dimenticato. -Possibile che non ci sia una fila di donne alla porta che vuole uscire con te?- -A quanto pare sì, perché non c’è il numerino al portone.-A Nicola ho detto che sei fidanzato, per tranquillizzarlo. Non è che ne sia stato eccessivamente contento, teme ancora che tu possa saltarmi addosso… anche se…Sistema delicatamente la pizza sul piatto e si pulisce le mani nel tovagliolo, pianta bene i gomiti sulla tavola, appoggia il mento alle mani intrecciate e si sporge un po’ verso di me, prendendo un profondo respiro. -Ho una mia teoria.Deglutisco. Una volta un boccone, la seconda, la terza e la quarta a vuoto. Pensavo mi volesse baciare. Ho perso sei anni di vita. -Una teoria sul perché le donne non vogliano uscire con me o cos’altro?Tipo sul perché io non voglio uscire con loro? -Sul perché le donne non stanno facendo la fila per te.-Avanti, sentiamo.Claudia abbandona la posizione di attacco e si rilassa mentre espone la sua teoria, che a conti fatti consiste in una gnocca da manicomio ma stronza di cui io sono follemente innamorato che mi molla dopo appena due mesi che stiamo assieme perché mi aveva solo usato per far ingelosire l’ex moroso. -Oppure sei gay.- conclude, poco convinta, riprendendo a mangiare. Ora so come si sente una volpe quando sente i cani abbaiare e i corni della caccia. -E perché è un’opzione valida?-Non mi guardi le tette, nemmeno per sbaglio!Rido fino alle lacrime, e non so il perché. Probabilmente è simile all’isteria, è qualcosa che non mi fa essere me. Mi riprendo sotto lo sguardo sconvolto di Claudia. -Ma cosa significa? Per non essere gay devo essere maleducato?-Io non so come ti abbiano allevato i tuoi, ma questa casa è uno specchio, non c’è mai nulla fuori posto, mangi come se fossi al Ritz tutti i giorni e la cosa più spaventosa è che ti viene naturale… in più consideri maleducazione guardare le tette di una donna! Sono allibita.Guardo la mia pizza. Guardo Claudia. Ancora la pizza: -A me non va più.- confesso alla mozzarella. Metto via le stoviglie, e mentre mi dirigo verso il bagno sento Claudia chiamarmi indietro. -Non ci sarebbe niente di male.Non ne sono poi così sicuro. Vorrei dirglielo. Ma la bocca non si apre, la lingua non si muove, non riesco proprio a parlarle, adesso. Muovo un altro passo verso il bagno, sperando che la questione si perda nell’imbarazzo più totale e da lì nell’oblio. -Leo.Mi fermo, di nuovo, ma almeno mi volto a guardarla. -Dimmelo.-Cosa?-Perché sei così dannatamente bello ma anche così terribilmente solo. Siamo amici, no?-Non ho mai avuto… davvero degli amici.-Avanti, siediti e raccontami.Anche se pensavo di non volerlo le racconto tutto. Le racconto di me e di Alessandro e della gita a Londra, di come la preside volesse sospenderci per il nostro comportamento; di come mio padre e mia madre si siano chiusi in un silenzio carico d’odio perché sono gay, ma le parlo anche di mio zio Francesco che mi ama come se fossi suo figlio; le spiego che vivo da solo perché è la versione socialmente accettabile dell’essere cacciato di casa secondo i miei genitori. Confesso che la libertà di cui godo non compensa l’affetto che mi sento negato, e il tutto è acuito dai sensi di colpa per aver smesso di essere il loro figlio perfetto e dal loro costante e persistente rifiuto della mia esistenza come tale. Le racconto del modo strano in cui io e Alle ci siamo mollati quando ha deciso di andare a fare Lingue a Napoli, nonostante la stessa facoltà ci fosse anche a Bologna. Le racconto di come ci siamo rimessi insieme e rimollati le prime volte che tornava a casa. Confesso anche tutto il male che mi ha fatto, e questo lo sa solo lei, a lui non l'ho mai detto. Le spiego che, un po’ perché gli voglio bene, un po’ perché è importante, un po’ perché non ho nessun altro a parte lui, siamo rimasti amici, e ci scriviamo almeno una mail a settimana. Quando finisco abbasso lo sguardo, e non riesco a rialzare la testa per vedere la sua espressione. -Leo, guardami.Obbedisco. -Che coglione.Scoppio di nuovo a ridere: -Ma no, perché…-Ma dio! Se io fossi un uomo gay non ti avrei mai mollato, ma ahimè…-Possiamo essere amici!- appena mi sento pronunciare una cosa del genere me ne pento amaramente. Cosa sono, alle medie? Vorrei sbattere la testa sul tavolo e fare harakiri con la forchetta. -Possiamo essere migliori amici.- risponde, con un sorriso. -Claudia, ti ho mai detto che ti voglio bene?-No, ma non metterti a fare lo sdolcinato adesso, eh!È ottobre, ho una migliore amica, le mie relazioni con gli altri sono migliorate in maniera esponenziale e inaspettata. Rido di più, mangio di più, sono meno preoccupato di cosa pensano gli altri di me. A Greenpeace faccio amicizia con un paio di ragazzi che vedo anche in facoltà, Beppe e Valerio, poi c’è tutto il gruppetto delle ragazze che mi sta appiccicato, ma non ho capito se è perché sono simpatico, se risveglio il loro istinto da crocerossine o se sono solo un figo da paura e loro mi sbavano dietro. Quello con cui mi trovo meglio è Beppe, che ha l’unico difetto di continuare a presentarmi ragazze. -E tu digli che sei gay.-Ma Cla…-Ma cosa! Diglielo e basta. Se è scemo non ti parla più, se è vagamente normale continuerà e smetterà con la svendita della patata.E così, prendendo il coraggio a quattro mani, sono davanti a Beppe che mi ha di nuovo proposto un’uscita a quattro con una fanciulla di nome Ilenia. -Spero non ti dia fastidio ma... non cercare di accoppiarmi.-Non ti piacciono quelle che ti ho presentato fin’ora? Ne conosco altre più fighe, ma sono un po’ troiette e tu non mi sembravi il tipo…-No… è che… non sono interessato, ecco…-Hai trovato la ragazza? O vuoi le troiette? Ce n’è una che…Ok, proviamo con una metafora: -Beppe, è che la patch donna non è compatibile con il mio programma sessuale.Mi guarda, stordito. Non ha capito. -Beppe, mi piacciono gli uomini.- chiudo gli occhi, deglutisco. Trattengo il fiato: tre, due, uno… -Ah.Silenzio. -Ma per davvero?-Sì.Altro silenzio. -Conosco un ragazzo gay! Si chiama Davide! Magari te lo presento!- Non è nella mia indole essere un rivoluzionario politico: il mio massimo è stato contestare un 4 alla prof di latino che mi amava alla follia e mi dava comunque 6 in pagella. Ma la situazione ora è un po’ diversa: la faccenda mi riguarda da vicino, e siccome ne va anche del mio futuro di studente e impiegato statale mi sento più coinvolto. Ed è per questo che oggi io e il mio senso morale abbiamo deciso di partecipare al sit-in in piazza Maggiore organizzato dagli studenti dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, ci siamo alzati presto e ci stiamo aggirando per i corridoi della facoltà alla ricerca di gente conosciuta. Apparentemente, nessuno dei miei compagni di studio si è degnato di fare lo stesso. Finalmente noto Lucia, una ragazza rossiccia con cui ho scambiato due chiacchiere qualche volta, mentre sta parlando animatamente con un’amica, così mi avvicino cercando di carpirle informazioni. Lei mi vede mentre le vado incontro alzando una mano in saluto, e i suoi grandi occhi verdi mi sorridono. La giornata comincia in modo produttivo. -Jaco! Non pensavo saresti venuto, ti facevo più cazzaro!-C’ho pensato, però ho deciso di assecondare il mio lato responsabile.- Ride di gusto, e io le sorrido in risposta –Si sa qualcosa per dopo? Sarò anche venuto, ma sono un totale ignorante.-Guarda, stavo giusto andando da Leo Amore per sentire come continua la manifestazione, lui è uno degli organizzatori.-Allora ti seguo.- Le avvolgo un braccio attorno alle spalle e lei mi si avvinghia, abbracciandomi per la vita, e saluta l’amica. Così legati raggiungiamo un gruppetto di gente intenta a discutere e a darsi indicazioni; suppongo che sia il gruppo a capo di noi rivoltosi, e mi domando se Leo Amore non sia il nome della strana organizzazione universitaria che gestiscono. Lucia tocca la spalla ad un ragazzo di schiena, che si gira sorpreso: -Leo, abbiamo bisogno di te!- No, alla fine non era l’organizzazione. L’attenzione del ragazzo indugia un po’ su di lei per poi fissarsi su di me, e la mia su di lui. La prima cosa che noto è lo sguardo da eroe della nazione ingabbiato dietro due iridi limpide e azzurre. Ha i capelli biondo cenere legati nella tipica coda di chi non vuole ciuffi davanti agli occhi perché non ha tempo da perdere per spostarseli. -Per cosa?- chiede, sempre guardandomi, così suppongo che voglia parlare con me. -Siamo poveri cittadini disorganizzati e vorremmo essere utili alla causa.- dico, sorridendogli e porgendogli la mano –Jacopo.Lui affila lo sguardo, studia il mio gesto, e afferra la mia mano con cauta diffidenza. – Leonardo.- Gliela stringo con decisione, e noto che porta un sacco di anelli, quasi uno per dito. Li sento freddi a contatto con la mia pelle sempre calda, e penso che col suo look sfatto da centro sociale e le sue labbra piene è veramente un figo da paura. A uno così, forse glielo darei pure, nonostante la mia indubbia passione per il sesso femminile. Non sono intollerante, tantomeno schizzinoso, e per Leonardo Amore confermerei questa tendenza. -Stai attento a Sacchi, Leo, non ascoltare quello che dice! È un idiota!- salta su Lucia, tirandomi un colpo sulla nuca, al quale rispondo con una risata. -Ma che ho detto, volevo solo essere informato!Lucia borbotta qualcosa tentando di farmi il solletico, Leo Amore invece accenna un sorriso e mi guarda piegando la testa. –Mentre andiamo in piazza vi spiego.Mentre camminiamo ci spiega del corteo, delle manifestazioni successive e anche un po’ dell’aspetto politico-legislativo, e io noto il modo enfatizzante che ha di gesticolare e il tono di voce. Per un qualche motivo, forse per colpa dei troppi amici finocchi, ho l’impressione che, in caso mi venisse la malata idea di provarci, non gli dispiacerebbe poi così tanto. Arrivati in piazza Maggiore ci lascia per raggiungere i suoi compagni, mentre io e Lucia ci mettiamo a sedere tra la folla, abbastanza avanti. -‘Scolta Lu, ma… perché Amore?-Perché è il suo cognome, cretino, si chiama Leonardo Amore.- Quando, qualche minuto dopo, lo vedo apparire col megafono, ripenso alle parole di Lucia, e l’idea malsana che mi stava navigando in testa già da un po’ prende piede. Non riuscendo a trattenerla, comincio a cantare una versione riarrangiata di una canzone dei Beatles, che diventa “All we need is Love”: Lucia scoppia a ridere e mi segue a ruota, assieme a tutta l’apparecchiata di gente manifestante che, lentamente, si unisce alla corale. -Chi è stato a far partire il coro?- chiede il suddetto Love, alterato e curioso, non appena le voci e le risate si sono calmate. Purtroppo o per fortuna non sono una persona facilmente assoggettabile, nemmeno dal suo sguardo da potente rivoluzionario, così mi alzo in piedi orgoglioso di poter rispondere: -Io!Love mi guarda, mi riconosce, e sostituisce l'espressione irritata con un sorriso perfido. Mi chiedo come io sia stato archiviato nella sua mente e se, dopo questa prima stronzata per lui ma non ultima da parte mia, io sia migliorato o peggiorato. -Sacchi... a te ci penso dopo.A me ci pensa dopo. -Ehi, Sacchi.-Oh, Love!Mi guarda male, ma lo tradisce un sorriso. -Non so se apprezzare il gesto o punirti.Subito mi vengono in mente porcate di proporzioni cosmiche ma cerco di contenere la mia personalità puttana (abbastanza significativa, a dir la verità) restando sul generico. –Qualsiasi cosa è ben accetta, da te.-Allora ci penso su.- dice divertito, apparentemente per nulla disturbato; anzi, prende a ignorarmi per risolvere i dubbi di un tizio con un naso orribile che gli si è affiancato. Rimango lì, più ad ascoltare il mio flusso di coscienza che ad aspettare, in uno stato di apatia rilassante che si interrompe quando Love saluta il cesso e si rivolge nuovamente a me, scusandosi per aver interrotto la conversazione. -Tranquillo, avevo spento il cervello e non ho sentito il passare del tempo.La mia idiozia sortisce l'effetto desiderato e Love ride, chiudendo gli occhi e infilandosi una mano tra i capelli. Poi si morde il labbro inferiore, mi fissa con uno sguardo allegro e soddisfatto e dice: -Sta per partire il corteo, andiamo?Ho come l'impressione che volesse cambiare discorso. Chiacchieriamo tutto il pomeriggio, e di lui scopro che, oltre ad essere una staffetta dell'impegno politico, è anche vegetariano, eco-compatibile e biodegradabile: sulla via per la santità e l’anoressia, insomma. La manifestazione è ormai conclusa, e io accolgo il tramonto e l'aria fresca di inizio ottobre fumandomi una sigaretta. Mi è appena arrivato un messaggio da Fabri, compagno di studi e paccaro professionista, il quale mi informa che stasera niente aperitivo al Cabala perché tutti danno buca per cazzi e mazzi propri. In più ho pure perso Lucia in giro per il corteo, quindi mi tocca proprio andare a casa ad un orario decente. Love saluta qualcuno con ordinaria cortesia e torna a concentrarsi su di me, con uno sguardo pensieroso che ricambio. -Love, Love, Love.- canticchio, richiamando i Beatles, mentre espiro il fumo. Lui mi sorride, infilandosi le mani in tasca –Forse è il caso che mi incammini verso la stazione.- aggiungo, sistemandomi i capelli sulla nuca. -Ah, non sei di Bologna?-No, di Modena. Infatti ho scoperto di questa manifestazione solo l'altro ieri.-Oh... Be', se ti interessa posso informarti io, se ci sono altre iniziative del genere.- dice, abbassando lo sguardo, come se si vergognasse di essersi offerto. Tiro una boccata dalla sigaretta e gli sorrido. -339...- comincio; lui, dopo un iniziale momento di stupore, prende fuori dalla tasca un Nokia 3310 scassatissimo e si prepara a farsi dettare il mio numero. -Fammi uni squillo.- gli dico, prendendo il mio leggermente più all'avanguardia. -Non so se voglio sapere come mi salverai in rubrica.-“Amore”, ovvio!-E che culo.- Se lo aspettava, dai, la mia idiozia è così prevedibile… Rido, salvo il nuovo numero e intasco il cellulare, facendo qualche passo verso la strada. -Ti faccio sapere se ci sono novità.-Ci conto.-Dai, muoviti, che poi perdi il treno!-E se succedesse mi terresti a dormire da te?- dico ammiccando, girandomi verso di lui e camminando all’indietro. -Piuttosto ti faccio dormire sotto i ponti!Rido ancora, tiro un'altra boccata e gli do la schiena, dirigendomi verso la stazione con tutta la calma del mondo. Mi chiedo se mi stia ancora guardando, più per vanità che per altro. Nel tragitto finisco la sigaretta e, invece di buttarla per terra e spegnerla con la suola della scarpa, come al solito, aspetto di trovare un cestino e ce la butto. Se continuo a frequentarlo va a finire che mi eco-compatibilizzo anch'io. Quando le agenzie annunciano la manifestazione del 14 dicembre durante la votazione della fiducia al governo, la prima cosa che faccio è guardare Claudia e dirle –Andiamo!-Te stai male, io non ce li ho tutti quei soldi.-E allora ci vado da solo.-Leo, non ti ci mando da solo, è pericoloso!La guardo, scettico. –Claudia, non sei mia madre.-Infatti, quella degenerata non ti parlerebbe mai così! Da solo no, Leo, ti prego.Sospiro, quasi infastidito dalla sua preoccupazione non necessaria, ma alla fine mi arrendo. Per primo chiamo Beppe, sperando che almeno lui sia disposto a sacrificare tempo e soldi, ma prima mi ride in faccia pensando ad uno scherzo poi, rassegnato, mi dice cortesemente di no. Dopo di lui comincio a chiamare tutte le persone che figurano nella mia rubrica; per alcune la possibilità che mi dicano di sì è anche alta, per altri, invece, spreco solo credito telefonico. Alessandro. Eleonora. Elisa Emanuele. Un altro Emanuele. Fabio. Francesco. Gabriele, Giovanni… Luca. Mario, Maria, Martina, Maurizio… Non so se attribuirli alla manifestazione o alla mia persona, ma qualunque sia il motivo ottengo solo dei rifiuti. Sacchi, Jacopo. Fisso il nome selezionato con un misto di stupore (non ricordavo neanche di avere il suo numero) e indecisione. Leonardo, ti sembra una buona idea chiamare quel ragazzo tanto carino e anche tanto simpatico per chiedergli di passare a Roma una notte con te? Ok che è per una manifestazione politica, ok che dormirete in letti separati, ma sembra tanto un week end romantico. È davvero una buona idea? Chiamata in corso. -Buonasera, Amore.-Ok, Sacchi, mettiamo una cosa in chiaro: puoi evitare di chiamarmi per cognome?Perché dovrebbe darmi fastidio che un ragazzo mi chiami per cognome? Sembro una checca acida e impotente. Che cazzo, Leo, RILASSATI! -Non puoi chiedermelo, è più forte di me! Ho letto il nome sul display e ho agito di riflesso.Sospiro, raggiungendo in breve tempo la consapevolezza che sulla questione non avrò mai la meglio. –Va bene. Senti, ti stavo chiamando perché mi hai detto di non essere molto informato, per cui ti volevo dire che ci sarà una manifestazione a Roma, il 14 dicembre, durante la votazione della fiducia al governo. E io sto disperatamente cercando qualcuno con cui andarci.-Calma, calma, mi stai invitando ad una di quelle manifestazioni con la DIGOS e gli scudi?-Precisamente. Non dirmi che te la fai sotto.-Ma ‘sto cazzo, ci sono di sicuro!-Così ti voglio! Vuoi dire la tua sull'ostello o posso prenotare tutto io e tu ci metti solo la tua quota?-Mi fido di te, Amore mio.Come volevasi dimostrare… scuoto la testa e rido, almeno ho trovato qualcuno con cui farmi uccidere in nome della democrazia. -Mi chiami per le conferme e gli orari? Hai bisogno che faccia qualcosa?- -Ti mando un messaggio, prepara un centinaio d'euro se non di più, essere un rivoluzionario costa.-Tranquillo.-Va bene, allora ci sentiamo.-Ciao biondo.-Ciao.- Metto giù soddisfatto e preoccupato, incapace di godermi le piccole cose senza pensarci troppo. -Cla, ho trovato con chi andare a Roma.- annuncio, sedendomi di fronte a lei. -E a me?- mi sta ignorando per controllare qualcosa al computer, suppongo le notifiche di Facebook, ma so come attirare la sua attenzione. -È Sacchi.Il suo sguardo si sposta dallo schermo alla mia faccia: -Ma chi, quello carino della manifestazione?-Esattamente.Sul suo viso si allarga un sorriso malizioso. –E cosa ti metterai?-Ma come cosa mi metto! Chissenefrega!Mi guarda scettica, arricciando le labbra. -Tanto mi sta bene tutto.- aggiungo con un’alzata di spalle e un tono da finta checca. Riesco a farle una linguaccia prima che mi tiri dietro una penna. La manifestazione comincia in modo pacifico, ma non finisce allo stesso modo. Vola di tutto, anche i san pietrini, incendiano alcune macchine, lanciano i fumogeni, picchiano coi manganelli. Non è la prima volta che li vedo, ma questa volta non so perché mi fanno più male del solito, anche se ne esco illeso. Per la prima volta mi sembrano seriamente ingiustificati, mandati dall’alto, assurdamente presenti. Dittatoriali. Come un cancro: un corpo che attacca se stesso. Lo stato che attacca i suoi cittadini. Appena intuisco cosa sta accadendo trascino Jacopo in un vicolo, anche se non sarei pronto a giurare di essere il primo a prendere questa iniziativa: quando cerco le sue mani le trovo che fanno lo stesso, e scappiamo insieme. Ci ritroviamo in una piccola piazza con pochi turisti, un bar deserto, e un’anonima fontana, e ci sediamo su dei gradini per riprendere fiato. Sentiamo ancora il rumore della manifestazione in lontananza con le sue urla, gli slogan, i botti. Controllo che stia bene, e forse lo tasto con troppa insistenza perché ad un certo punto mi blocca per i polsi e mi dice: -Amore, sto bene.-Sicuro?-Sicuro.- le sue mani si arrampicano sulla mia nuca e mi tirano leggermente verso il basso, e ho la vaga sensazione che questo insignificante gesto possa condurre a qualcosa di più, ma reprimo il pensiero e allontano le mani. -Scusa.- sorrido, imbarazzato dalla situazione e dai miei stessi pensieri. -Figurati.- il suo sorriso sincero acuisce i miei sensi di colpa dovuti all’ennesimo momento di debolezza che non posso permettermi di avere. –Tu?Chissà cosa pensa di me. Si sarà visto? L’avrà notato? Non voglio che lo sappia, non deve saperlo, perché saperlo… Lo fisso negli occhi cercando tracce di malessere che non vuole confessarmi, ma non ne trovo: sospiro, sollevato. –Tutto ok.Jacopo sbuffa, la sua espressione tesa si rilassa e gli scappa una risata. –Cazzo, credo di essermi visto un coso volarmi qua.- si passa la mano accanto all'orecchio tracciando la traiettoria del san pietrino. Scatto di nuovo sull’attenti, ma cerco di nascondere la mia esagerata apprensione. –Non ti ha colpito, vero?-No, no, non mi ha colpito!- sembra sinceramente divertito dalla situazione e mi strofina una mano sulla spalla, in un gesto, credo, che serva per calmarmi. –Tranquillo, davvero, sto benone.- aggiunge, in tono rassicurante. Evito di pensare alla brutta persona che sono per averlo trascinato qua e prendo la bottiglietta dallo zaino. –Tieni, bevi piano che è fredda.-Uh, che premuroso, grazie.- Sacchi fa un sorrisone, e io ricambio ma evito di guardarlo. Aleggia un’aria ambigua, leggermente imbarazzante, mi fa sentire in colpa e non ho capito perché. Credo che come al solito sia tutto nella mia testa di paranoico cerebroleso quale sono, perché non è neanche lontanamente immaginabile che lo scambio di una bottiglietta d’acqua possa essere sessualmente connotato. -Tieni.- mi ripassa la bottiglietta che rimetto al suo posto, provando a mascherare al meglio la mia insicurezza. Lo guardo sottecchi, cercando di capire cosa pensa, ma probabilmente non sta pensando a niente; è seduto tranquillo con i gomiti sulle ginocchia e alza appena la testa per chiedermi –Cosa abbiamo intenzione di fare?-Non lo so, non ne ho idea…- non avevo calcolato la possibilità che succedesse davvero qualcosa di pericoloso, non a questi livelli di guerriglia urbana, almeno. Sono deluso, arrabbiato, amareggiato. È l’ennesimo tentativo di democrazia fallita. –È tutto uno schifo…-Dai, andiamo a fare un giro, l'ultima volta che sono stato a Roma era per un cabò in quinta liceo!- si alza in piedi e controvoglia lo faccio anche io, per poi ritrovarmi incastrato sotto un suo braccio che mi avvolge le spalle. La cosa è strana per una serie di motivi, di cui i più importanti sono: siamo due uomini e la cosa non va bene, e lui è più basso di me. Di poco, ma più basso, e la cosa potrebbe risultare… ridicola? Mi divincolo cercando di non dare a vedere che la cosa mi ha messo a disagio. –Hai idea di dove andare?-No.Mi viene da sorridere perché è un momento che mi è familiare: io e Alle ci siamo trovati troppe volte a vagare senza meta per Bologna, e stufi di passare per i soliti posti ce ne siamo usciti con uno stupidissimo modo per variare la routine. –Facciamo un gioco: ad ogni incrocio scegliamo se andare a destra o a sinistra, o dritto.-Oh, cazzo, ci sto!Giriamo per Roma completamente a caso, e il gioco è molto rapido perché non riusciamo a fare che una decina di passi prima di decidere se tirare dritto o voltare. Sacchi si diverte a girare su se stesso prima di indicare la via, e la cosa mi fa dubitare della sua sanità mentale, ma lo lascio fare. Cammina con le mani perennemente in tasca e l’andatura di uno che sa di essere guardato; “spanizzo” l’avrebbe definito una mia compagna di classe. Jacopo ha appena deciso di proseguire dritto dopo una conta lunga un quarto d’ora quando mi vibra il cellulare. –Scusa un attimo.- gli dico, lui fa un cenno con la testa e si siede su una fontana ad aspettarmi, da bravo cane bastardo che è. -Claudia, dimmi.- la sento solo tirare su con il naso, e il rumore mi è abbastanza conosciuto da capire che ha appena smesso di piangere, ma non vuole farmelo sapere. Penso a tutte le possibili disgrazie che potrebbero ridurla in questo stato, tragedie condensate in un attimo che reprimo per scoprire la verità. –Che è successo?-No niente… lascia stare. Stai bene?-Sì, non ti preoccupare. Ce ne siamo andati appena sono cominciati i casini… Pimpa, mi dici cosa c’è?-Nicola è uno stronzo.Sbuffo. Il suo moroso non lo conosco, ma da come ne parla mi sembra una testa di cazzo, e dato che la fa stare male lo odio per principio. –Che ha fatto, questa volta?-Ma niente, come al solito non capisce un cazzo…- mi racconta l’episodio scatenante, un problema da nulla, come sempre, ingigantito dalla distanza. Sarebbe una litigata da poco per due persone che stanno insieme da quasi due anni come loro, ma lui non ha mai preso bene il fatto che lei sia trasferita per studiare, né il fatto che viva con me. Claudia mi ha detto che lui addirittura non crede che io sia gay, e che faccia solo finta per portarmela a letto. A parte il fatto che il suo ragionamento non ha un senso, un po’ mi consola sapere che non sono l’unico maschio paranoico su questa terra. La tranquillizzo come posso, troviamo una soluzione temporanea, l’ennesima pezza ad una storia che è finita da quando Claudia vive con me e forse anche da un po’ prima, e vado a sedermi accanto a Sacchi. -Tutto bene?- -Sì, avevo una coinquilina in crisi con il moroso… non capisco perché si ostinino a stare insieme. Si capisce benissimo che non sono fatti l'uno per l'altra... perché continuare a trascinare il cadavere di una relazione?L’espressione di Jacopo ha un leggero cambiamento, come se gli fosse passata sopra una piccola tempesta invisibile, e mi guarda con aria un po’ afflitta: -Non saprei, forse non tutti hanno le palle di troncare una storia prima ancora che sia finita per entrambi.Rifletto sulle sue parole, ma non hanno senso: se non funziona, perché ostinarsi? L’ho provato sulla mia pelle, so di cosa parlo, mollare Alle è stato meglio che pensarlo come una spada di Damocle sopra la mia testa. –Sacchi, ma è stupido.-Non dirlo a me, io lo so.È la prima volta che lo sento parlare con questo tono di voce, e se dovessi dipingerlo sceglierei un bel grigio plumbeo, quasi funereo. Ho come l’impressione che la sua vita non sia stata tranquilla come l’immaginavo prima di questo esatto momento, e mi sento un po’ in colpa per averlo sottovalutato. Se ti chiedo cosa c’è penserai che è fuori luogo e che mi devo fare i cazzi miei? -Che c’è?- chiedo, infine, vinto dalla curiosità. -Niente.Ovviamente, non sono cazzi miei. -Sei stanco? Vuoi che andiamo in ostello?-Sono stanco di pensare a queste cose.-Perché, ci pensi spesso?- mentre glielo chiedo realizzo che c’è qualcosa che non va, perché non è da me essere così curioso; inoltre, Sacchi e pensare sembrano due cose molto, molto, molto distanti. Sacchi e pensare ai sentimenti, poi, sembrano pianeti di due sistemi distanti anni luce. -Più o meno...- mi scruta un po’ prima di un aggiungere –Mi scoccia un po'.-Parlarne?-Pensarci. Pensarla, a dir la verità.- gli sfugge una risata nervosa. –Che sfigato.Segno un punto mentale per me, una triste vittoria annunciata: Sacchi è etero, come solo si poteva sospettare il contrario? -Ma no... cioè, credo che sia normale. Ti dispiace se ti chiedo chi è?-La mia ex. In realtà sono passati 3 mesi, quindi non mi dovrebbe disturbare più, però... mi scoccia, sì.- il sorriso che si stampa in faccia a forza è una delle cose più finte che abbia mai visto. -Come mai vi siete mollati?- non faccio in tempo a dirlo che già mi do del coglione. Non ci vuole pensare e io gli chiedo di raccontarmelo? –Scusa. Se non vuoi pensarla cambiamo argomento. Che deficiente che sono…-Tranquillo. Se la faceva con il suo ex.-Ah.-Ma io l'ho beccata prima che potesse godere di un'altra scopata.- ora ha un’espressione soddisfatta e più entusiasta di prima; io, d’altro canto, sono a disagio per la rivelazione. -Che puttana.- è l’unico laconico commento sensato che riesco a dire. -Mai quanto me.- Sacchi si alza prima che io possa chiedere spiegazioni, partendo in quarta. –Alors, spuntino? Voglio una pizza da due etti!-Tutto quello che vuoi, ma prima cerchiamo di capire dove siamo.Apro la cartina, ma Sacchi mi getta un’occhiata di sufficienza e se ne va urlando: -Basta chiedere!Incredibile ma vero, anche Sacchi sa fare qualcosa: un vecchietto gentile ci ha indicato la strada, e ora stiamo camminando seguendo il percorso delle fermate dell’autobus alla ricerca di un forno che appaghi la sua fame. Si è stranamente calmato, dopo aver fatto il coglione per un lungo pezzo di strada. Immagino che sia colpa del suo stomaco che non gli dà tregua, o forse è solo stufo di fare il buffone. -Love.- salta su ad un certo punto con un sorrisino che non preannuncia niente di buono. -Oh.-Ma tu lo soffri il solletico?- e senza aspettare una risposta mi afferra per i fianchi e le sue mani malefiche si infilano sotto la giacca e cominciano a torturami. Lui smettere di fare il buffone? Mai. Mi chino in avanti e lo zaino mi finisce sopra la testa, prendendo contro la nuca. Vorrei lamentarmi, ma non ci riesco. -SACCHI, SMETTILA!- cerco di dire tra le risate, ma non sono sicuro che si capisca. -Soffri il solletico!- è il commento lapalissiano di Sacchi che non mi lascia andare per quanto io provi a divincolarmi. –Stanotte ne vedremo delle belle.Smetto di ridere per un secondo perché realizzo che lui è esattamente dietro di me e io sono piegato sugli 82 gradi, e che la cosa non mi dispiace come dovrebbe. –Mollamiiiiii!Io stanotte volevo dormire, e invece mi troverò accerchiato dal terrore di venir svegliato da un attacco di solletico in una stanza con altre 8 persone e dai pensieri poco casti che questo momento mi ha portato alla mente. Leonardo, è stata una pessima, pessima, pessima idea chiedere a Sacchi di accompagnarti. Finalmente mi lascia, ma non appena ristabilisco la mia postura eretta mi spettina i capelli. Sono rosso come un pomodoro, con il fiatone e preoccupato. Evito il suo sguardo e mi rifaccio la coda andata distrutta per colpa di Sacchi. È tutta colpa di Sacchi. -Guarda, là c’è un forno.- è il mio palese tentativo di distogliere la sua attenzione da me, eppure ci casca. -Potrebbe andare.- si ferma sul bordo del marciapiede e prima di attraversare si volta. –Tu non vieni?-No, ti aspetto qui.Lo guardo allontanarsi e sono sollevato da questo momento di solitudine. Butto la testa all’indietro sbuffando, e il mio fiato forma una nuvoletta di fumo grigiastro. Mi piacerebbe avere una sigaretta a portata di mano, ora, ma ho smesso anni fa per la salute mia e dell’ambiente. Oggi è una giornata strana. Sono triste e sono arrabbiato per molte ragioni. Ho pensato tante volte ad Alle e non mi capitava da tempo. Non mi manca, ma forse mi manca qualcuno che si prenda cura di me. Forse mi manca qualcuno di speciale, un… un… Non riesco nemmeno a pensarlo, figuriamoci cercarlo. Come si fa ad avere vent’anni nel 21esimo secolo e vergognarsi ancora di quello che si è? Forse ha ragione Claudia a dire che è tutta colpa dei miei genitori che mi hanno riempito la testa solo di stronzate, forse ha ragione Beppe sostenendo che devo smetterla di dare retta a quella vocina che mi urla “brucerai all’inferno”, soprattutto perché ho smesso di credere in un Dio che non mi accetti per come mi ha creato. Forse ha ragione mio zio a dire che di vita ce n’è una sola e che mi vuole bene a prescindere da chi amo, anche se non lo faccio con me stesso. Forse aveva ragione Alle a dire che mi amava per entrambi. Forse hanno ragione i miei genitori ad odiarmi. O, forse, chissà… -Oh, cos’è sucesso?Ero talmente preso a deprimermi che non mi sono accorto del ritorno di Sacchi con la sua pizza grande due volte la sua faccia. -Niente, perché?- faccio lo gnorri, sperando che ci caschi e che non cerchi di approfondire le motivazioni della già abissale tristezza che mi ha assalito. -Hai la faccia triste.-Sono solo stanco.-Sicuro?-Sì, sicuro.-Vuoi… un morso di pizza?- allunga verso di me la portaerei di mozzarella e pomodoro che regge in mano e io scuoto la testa. -No, grazie, non ho fame.-Vuoi… un abbraccio?-No, non ne ho bisogno.- Che poi peggioriamo la situazione. -Vuoi… che la pianti?Mio malgrado mi sfugge un sorriso. –Sì, sarebbe cosa gradita.-Ok, allora andiamo.- mi prende per il polso e mi trascina per un paio di metri, riprendendo il nostro percorso. Rimaniamo in silenzio per tutto il tragitto: lui rumina la sua pizza e io i miei pensieri da autolesionista paranoico, alla disperata ricerca di una risposta che non è mai arrivata e di certo non arriverà oggi. Finita la pizza e buttata via la carta mi getta un braccio intorno alle spalle e chiede –Passato?-Non c’era niente che dovesse passare.- mi divincolo per l’ennesima volta e mi do del coglione perché potrei semplicemente dirgli di non farlo. Mi guarda e sorride. La sua espressione tradisce qualcosa di non detto, e commenta solo con uno scarno: -Sei ermetico.Non voglio chiedergli perché, l’ultima cosa che voglio è parlare di me, così dico la prima cosa che mi salta in mente all’aggettivo “ermetico”: -Come un contenitore per le lasagne.Sacchi si piega in due e gli sfugge anche una lacrima dal ridere. -Cazzo ti ridi?- in realtà sono contento perché l’ho distratto. Due a zero per me. -Non aveva senso! Tu sei pure vegetariano!-Eh, dillo a mio zio. Avresti dovuto vedere la scenata che mi ha fatto quando ho sbagliato contenitore.Jacopo aggrotta le sopracciglia chiedendomi spiegazioni con lo sguardo. -I miei hanno un ristorante e mio zio è lo chef.-AH! E non mi hai ancora invitato, brutto stronzo?-Mi sa che non succederà mai, sai?-Ma come.- Jacopo sembra la caricatura di una bambina a cui hanno rubato il lecca-lecca: labbro inferiore sporto in fuori, sopracciglia a virgola unite in alto e sguardo triste. -Non voglio pensare a che faccia farebbe mio zio se ti vedesse.-Sono così terribile?No, tutt’altro. Due a uno. Non so se si renda conto della malizia che ha messo in queste parole, ma devo fare un enorme sforzo per non rispondere quello che penso. –Non lo so… che cazzo di domanda è, scusa?-E perché tuo zio dovrebbe fare una faccia particolare nel vedermi?Perché capirebbe da lontano un miglio che potresti piacermi e comincerebbe a fare domande. -Perché sei diverso da tutti i miei amici.-E in che modo?Ho il vago sospetto che non creda alle mie scuse, e anche io comincio a sentire il terreno mancarmi sotto i piedi. –È che sei un po’ un fighetto.-Vero.Tre a uno per me. Rimane in silenzio, con lo sguardo fisso su di me e le mani in tasca. Roteo gli occhi, spazientito. -Quindi non m’inviti?- salta su dopo un po’. -No!- rido. –Che coglione…-Secondo me è colpa di mia madre che mi tirava le sberle dietro la testa perché non capivo, in realtà ha peggiorato la situazione.-Ci hai fatto uno studio dietro, vedo.-Eh, sembro scemo ma in realtà… alla maturità ho preso poi 82, cosa credi, mica cazzi!-Oh, complimenti!-E tu? -Che liceo hai fatto?-Scientifico. Ma non hai risposto alla mia domanda.E Sacchi segna un punto. Tre a due, siamo quasi al pareggio. -100 e lode.Jacopo prorompe in una risata. –Pure secchione! Che scuola?-Liceo artistico.-Uuuuh, fammi un ritratto, fammi un ritratto!-Neanche per idea.- ho il limpido ricordo di Alle a cavalcioni di una sedia, con il mento appoggiato alle braccia conserte sullo schienale, che mi guarda con i suoi occhioni blu e mi dice “Fai i compiti con me?”, seguito da quello del ritratto che gli ho fatto in quell’esatta posizione e del commento della prof “Leonardo, finalmente del sentimento sincero!”. Guardo Sacchi per un momento, e il suo broncio scaccia il ricordo. –Al massimo ti faccio una caricatura.Prendo fuori quaderno e penna dallo zaino e disegno con pochi tratti una bocca enorme, due puntini come occhi, una testa quadrata con il suo ciuffo disordinato e un corpicino minuscolo. Ma senza dimenticare il dettaglio del sedere sempre fuori dai pantaloni, caratteristica inalienabile di Jacopo Sacchi. Jacopo getta un’occhiata e scoppia a ridere. –Lo voglio!Strappo la pagina e gliel’allungo. –Tieni.Mi sorride riconoscente prima di abbracciarmi. –Graaaaaaaaaaaaaaazie!Sguscio via dalla stretta borbottando un prego non troppo convinto. Jacopo mi osserva, e io deglutisco domande perché non voglio sentire le risposte; piega il disegno in due e se lo infila in tasca. –Anche se ermetizzi, mi piaci.-Cosa vuol dire che ermetizzo?- ora mi è impossibile evitare l’argomento. Tre a tre. -Eh, che parli pochissimo di te, e bisogna sempre strapparti le parole di bocca!Faccio spallucce. –Non c’è praticamente niente da dire, forse è per quello che non parlo, no?O più probabilmente perché non voglio che la gente si avvicini troppo a me. -Ecco, vedi, anche adesso, non si capisce quello che dici.-Per forza non mi capisci, mi conosci appena.-Vabbè, gli effetti di quello che pensi o delle tue motivazioni mi piacciono, a prescindere dal fatto che io le sappia o no. Nel senso, se me le vuoi dire ok, altrimenti- fa spallucce –è ok comunque.La sua voce non ha il tono di un’accusa, ha più quello di un banale commento su una cosa qualunque. Il fatto mi stupisce: ogni volta che mi viene detto “non parli mai” solitamente si aspettano spiegazioni, o quantomeno chiarimenti. A volte, addirittura, scuse. A lui, invece, non sembra interessare. -Ok.Siamo stanchi morti, e decidiamo che è venuto il momento di battere la ritirata. Ho i piedi congelati e non sento più la punta delle orecchie da ore, ma per il resto sto bene. Un po’ scombussolato, ma bene. Jacopo scende dall’autobus sbuffando. –Oddio, ho mangiato troppo!- non ha fatto che lamentarsi per tutto il viaggio in autobus. Credo che quella pizza diventerà la sua ultima cena, se non la smette. –Diventerò una balena!-Le balene sono i miei animali preferiti.-Come fanno ad essere i tuoi animali preferiti?-Sono gli animali più grandi al mondo e non si sa praticamente niente di loro. Lo trovo molto affascinante.-Ti piacciono le cose grandi, vecchio marpione!Ignoro tutti i doppi sensi di questa frase mentre varchiamo la soglia dell’ostello. Ci facciamo indicare la stanza e il numero dei letti, paghiamo e saliamo nella nostra camera. Enorme. Piena di roba di altri otto ragazzi. Di cui quattro sono a torso nudo. Sono in cinque in realtà, ma uno è grasso e per nulla carino, e la cosa non sortisce quell’effetto su di me. Gli altri però non sono per niente male, e volente o nolente il mio sguardo si volta nella loro direzione. -Vuoi stare sopra o sotto?- chiedo, nel tentativo di sembrare normale. -Sempre sopra, Amour.- mi risponde, togliendosi la maglietta. E con questo siamo a cinque figoni e uno stimolo neutro. -Ehi ehi ehi frena. Frena. Non puoi farlo da un'altra parte?-Cosa?Come se non ci fosse alcun problema (e dal suo punto di vista effettivamente, non c’è!) si china a novanta davanti a me per ravanare nella borsa. Provo a salvare la situazione, ma non ci riesco tanto bene. Balbetto. -Spogliarti. Cioè... ok, siamo tutti uomini ma...- distolgo lo sguardo, ma finisco per fissare il numero tre che si sta controllando il petto alla ricerca di brufolini da pelo in ricrescita. -Allora ok, va bene, io sono un uomo noioso e vado a cambiarmi in bagno perché ho il pigiama.- recupero il tutto dallo zaino e passo la soglia con un “ciao” di Jaco che suona tanto come un “va bene, sfigato”. Mi chiudo in una toilette che puzza di piscio e scuoto la testa. Sapevo che Sacchi era carino. Lo sapevo. Labbra da pompinaro e un culo meraviglioso che di certo quelle sue mutandine di microfibra (e quindi inquinanti) non nascondono, ma anche tutto il resto è da panico. Puro assoluto eccitante panico. No. Qua ci vuole un bel punto fermo. Lui è etero e per quanto ne sa lui lo sei pure tu. La prossima volta che lo vedi fissare una ragazza assicurati che lo stia facendo perché la trova carina e poi apprezza anche tu, dai Leo che ce la puoi fare! No, non ci riesco. Mi cambio ripetendo mentalmente: ok, Leo: una notte. Dorme sopra, tanto. Una notte in due letti separati ce la fai a reggere, io credo in te! No, non ci riesco. Sbatto la fronte al muro sul numero di cellulare di “Cristiano il voglioso di cazzo att e pass” nel tentativo di recuperare qualche sinapsi. Un po’ funziona. Nel dolore trovo il coraggio di tornare di là, e trovo il numero 5 (al secolo, Jacopo Sacchi) seduto sul mio letto parlare al telefono. Almeno ha ancora i pantaloni, e questo diminuisce un po’ l’effetto pornografico della scena. -Sì… sto bene… abbiamo abbandonato subito la manifestazione perché lanciavano roba… sì uno dietro la nuca, Giulio. Deficiente, smettila di preoccuparti. Davvero, è tutto ok. Sì, salutami Cavazza. Ok va bene, ciao ciao.- chiude la telefonata con un sbuffo e prima di alzare lo sguardo verso di me si spettina il ciuffo che ritorna nella stessa identica posizione di prima. -È il mio letto o hai cambiato idea?Sorride. –Era il mio migliore amico super gay e super apprensivo che si preoccupa per la mia salute, ora me ne vado al cesso.Migliore amico gay? Non capisco se dice così perché è il normale maschio etero che chiama i suoi amici “gay” “finocchio”, “checca” e simili o se questo migliore amico sia gay davvero. Ma la cosa, in realtà, mi tocca poco: sicuramente non gli dirò che lo sono anche io solo per il suo amico. -Carino da parte sua.-Ma che faccia hai?- Jacopo si alza dal mio letto, avvicinandosi tanto da superare il limite della molestia sessuale; in più mi sta scrutando con i suoi occhi color terra di Siena bruciata e mi ritrovo a combattere contro la strana forza che mi spingerebbe a chinarmi un po’ e dargli un non proprio casto bacio della buonanotte. -Che faccia ho?-Da gufo.-Che faccia ha un gufo, scusa?Sacchi spalanca gli occhi e stringe le labbra, tirando indietro il mento. –Questa.Soffoco una risata. –Sì, sembro proprio un gufo.Ci scambiamo un’occhiata complice e ho il presentimento che da questo istante io non possa più definire Sacchi un mero conoscente, ma un amico. -Vado in bagno.-Va bene.Uno dei ragazzi (quello brutto) ha spento la luce, e io mi sono messo a letto, nella vana speranza di prendere sonno. Il mio cervello elabora mondi alternativi a velocità impressionanti, e in ognuno di questi io non sono mai felice. L’oggetto principale delle mie paranoie, oggi, è Sacchi. Sacchi che scopre che sono gay e mi odia, Sacchi che scopre che sono gay e se ne frega, Sacchi che scopre che sono gay e lo sputtana in giro. Sacchi che scopre che sono gay, se ne frega, ma poi lo dice a qualcuno a cui frega e succede un casino. Sacchi che scopre che sono gay e mi odia e non mi rivolge più la parola, lo dice ad un prof e non mi fanno laureare. Cose così, ordinaria amministrazione di un ragazzo complessato e incasinato come me. Sento qualcuno entrare in camera ed accucciarsi accanto al mio letto, ma non sono sicuro che sia Sacchi finché non lo sento dire –Love.- -Oh.-Ma i gufi lo soffrono il solletico?- stavolta le sue mani sono fresche e umide, ma non riesco a rallegrarmi del fatto che Sacchi si attenga alle normali regole di igiene personale perché sono troppo occupato a cercare di allontanarlo e ridere piano. -No no no smettilaaaaaaaaa!Jacopo mi sale a cavalcioni e continua, imperterrito, a infilare le sue dita malefiche tra le mie braccia. –Sacchi… c’è altra gente che… dorme!Si interrompe, soddisfatto. –Suppongo che la risposta sia sì.Ho il fiatone, sono sicuramente rosso fuoco ma spero che al buio non si veda, ho un figo da paura sopra di me, a cavalcioni, e che mi sta abbracciando, e che non sa che sono gay. In più non ho idea di cosa fare per cambiare la situazione. La mia vita a volte è veramente assurda. -Love.-Ooooh.-Ma i gufi…-No, basta solletico!-No. I gufi dimostrano affetto?- intuisco la voglia di un abbraccio dietro quelle parole, ma sono troppo spaventato per riuscire a ricambiare la stretta. Sono troppo preoccupato e perplesso per fare una cosa del genere con una persona che conosco così poco. Mamma mia, Leonardo, manco ci dovessi scopare. -Non lo so, non credo.-E le balene?Non può essere vero. È la prima cosa che penso, prima di accorgermi di una sensazione al petto che non sentivo da un po’. È come se il cuore avesse mancato un battito, o come se qualcuno, incurante di pelle muscoli e ossa, mi avesse infilato nel petto tutta la mano e l’avesse stretto per un attimo. -Forse le balene sì.- gli metto una mano sulla schiena nuda e comincio ad accarezzargliela. Passiamo dieci minuti buoni in questa posizione, senza che nessuno dei due senta il bisogno di parlare o, nel mio caso, senza che la cosa risulti così strana; il ritmo del suo respiro diventa misura del mio, il suo odore mi diventa familiare e il movimento delle sue dita sulla mia maglietta non è motivo di imbarazzo. Poi ho un momento di lucidità in cui realizzo quanto tutto questo sia assolutamente privo di alcuna logica e decido di sbatterlo fuori. –Sacchi, penso che sia il caso che tu vada nel tuo letto, domattina dobbiamo svegliarci presto.Sbuffa. –Va bene, mamma!-Vedi un po’ di andartene affanculo, stronzo.- dico con un sorriso, divertito. -Va bene.- Sacchi mi dà un veloce bacio sulla guancia e scende dal mio letto. Si toglie con un ennesimo sbuffo i pantaloni e poi si arrampica sulla scaletta. La luce del lampione mi permette di avere una visione delle sue mutande di microfibra: non che io non le abbia mai viste, ma questa nuova prospettiva mi si è stampata in testa e non la dimenticherò facilmente. Credo che nella mail ad Alle dovrò omettere molti particolari di questi due giorni a Roma. Più o meno tutto quello che riguarda Jacopo Sacchi, lui e le sue… Mi sa che stanotte non dormirò molto. Le mie previsioni erano corrette. Non ho dormito un cazzo, e mi sveglio con la fame che solo l’aver saltato due pasti ti può dare. Mentre andiamo in stazione ci fermiamo in un forno a prendere qualcosa per fare colazione e io compro una quantità di roba tale che la commessa commenta con “se prendi altro oggi chiudo prima”. Il treno mette sonnolenza, Jaco si appoggia ad una mia spalla e si addormenta con la bocca aperta. La sua testa si muove con gli scossoni del treno. Una volta nelle tre ore e mezzo che ci separano da Bologna si sveglia, apre un occhio e mi chiede: -Sto sbavando?-No, tranquillo.- dico, sistemandomi meglio per farlo stare più comodo. -Sei comodo.Alle mi diceva sempre il contrario, lamentandosi della mia magrezza eccessiva. –Ma se sono tutto uno spigolo...-Non lo so, in un qualche modo la mia tempia s’incastra bene con la tua spalla.Sento di nuovo quella piccola fitta di felicità che Jacopo mi ha già fatto provare. Sorrido, contento di essere dove sono con questo ragazzo. Mi fa paura rendermi conto che un altro essere umano si sta avvicinando di proposito a me, ma ho l’impressione di non poterlo impedire, dato che io stesso vorrei avvicinarmi a lui. -Oh, se vuoi mi sveglio, eh...- biascica Sacchi stropicciandosi gli occhi. -Ma no, dormi.- si è girato su un fianco, ha incastrato le gambe nel piccolo spazio tra il sedile e il finestrino e ha ripreso a dormire. -Siamo in arrivo a Bologna. Centrale.La pausa tra nome e aggettivo mi ha sempre fatto sorridere, e lo faccio anche mentre Jacopo sbuffa un “che palle” e si alza i pantaloni che gli sono finiti sotto le chiappe. Povero me. -Se vuoi aspetto con te il tuo treno.-Non ce n’è bisogno.- minimizza lui. -Ma no, dai. Ricambio il tuo favore di essere venuto a Roma con me.Alza il sopracciglio come a rimproverarmi, poi si accende una paglia. –Ma guarda, a parte i san pietrini sopra la testa è stato anche bello.-È stato uno schifo, non è servito a niente.- La delusione per il governo ancora in piedi mi spingerebbe a gettarmi sotto il treno merci che ci sfila davanti. Eppure dovrei essere molto più giù di così, e so che il merito del mio quasi-buon umore è tutto di Sacchi. Prima di mettere le mani a coppa per riparare la sigaretta Jacopo mi sfiora un gomito, una carezza consolatoria. Aspettiamo in silenzio che passi, dire qualsiasi parola sarebbe inutile perché il vento se la porterebbe via. -Ehi, tranquillo.Il suo treno arriva dopo pochissimi minuti; Jaco scuote le spalle, spegne la sigaretta ancora a metà nel posacenere vicino ai pattumi e mi sorride. –Situazione dell'Italia a parte mi sono divertito.Sale sul treno che ha aperto le porte. -Ci vediamo a lezione, vecchio.-Dopodomani, allora.-Dopodomani, sì.- si volta, la porta si chiude. Mi fa ciao con la mano da dietro il vetro sporco e io mi sento solo. L'autobus è pure in ritardo. A casa Claudia mi accoglie con un sorriso e una tazza di tè bollente. Forse a qualcosa le donne servono, mi dico, mentre mi chiede com'è andata. -Male.-Come male?-Pimpa, ma li hai sentiti i telegiornali?-Sì, ma volevo sapere di te e quello là.-Quello là si chiama Jacopo Sacchi.-Te e Sacchi.Faccio spallucce. –È andata.-Sì ma come?- insiste lei. -Claudia, che palle!- faccio sciogliere un cucchiaino di zucchero nella tazza, ma Claudia mi sta fissando e non la smetterà finché non le dirò tutto per filo e per segno. Mi arrendo al secondo sorso, e le racconto ogni singola cosa. -Beh, ma insomma, gliel’hai detto o no?-Cosa?-Che sei gay.-Ma no che non gliel’ho detto! Ciao scusa sai che mi piacciono gli uomini?-Sarebbe stato un buon modo.-No, non lo sa. E poi perché dovrei dirglielo?-Perché così avresti un altro amico.La odio quando si comporta in questo modo. È quasi subdola nel suo aver ragione. -Non so se mi posso fidare, non l’ho capito. Lui è…-Tanto carino.-È un pericolo sentimentale che cammina.Claudia ricambia il mio sguardo con un sorriso. Non sono sicuro nemmeno io di aver capito il significato della mia frase, ma lei sembra aver compreso. E va bene così. Il giorno dopo la fine delle lezioni accompagno Claudia in stazione, che torna a casa a Berceto dai genitori e dal ragazzo. -Mi mancherai, Pimpa!-Sicuro che non mi vuoi raggiungere per l'anno nuovo? I miei vorrebbero rivederti e anche Nicola sarebbe felice di conoscerti...-Vado a fare da balia a Beppe, ma grazie dell'offerta.-Allora ciao... ci sentiamo, ti aggiorno su tutto!-Ovvio!-Leo...-Dimmi.-Sopravvivi alla stagione all'inferno...Il treno taglia le rassicurazioni alla mia migliore amica, che mi manda baci da dietro un finestrino unto e mi domando perché ultimamente la Trenitalia si diverta a portare via le persone che mi piacciono di più al mondo. Alla mezzanotte del 31 dicembre 2010 Beppe è ubriaco, Valerio ha vomitato, Sabrina ha già infranto il suo proposito di smettere di fumare salutando l'anno nuovo con il brindisi di rito e una sigaretta accesa tra le labbra. Francesco dorme nonostante tutti gli abbiano urlato le peggio cose nelle orecchie e io non riesco a divertirmi. I miei genitori mi hanno lasciato con il solito fondo amaro nell'anima. Dietro le loro facce fintamente sorridenti intuisco il disgusto, e con gli anni mio padre non si sta nemmeno più impegnando a nascondere la delusione che è il suo unico figlio. Il cellulare non fa altro che squillare, sms impersonali e catene inutili che elimino prontamente, giusto per tenere impegnate le mani e non attaccarmi alla bottiglia. Un uomo sobrio serve. “Auguri Amore bello!” Non appena leggo il nome sul display ho la stessa, immancabile, reazione: momentanea e colpevole felicità posizionata proprio vicino al cuore. Sacchi si è pure impegnato a mandarmi un messaggio personalizzato e sorrido. È l'unico a cui rispondo, e di cui conservo il messaggio, Claudia la chiamo. Forse l'anno nuovo non è tanto male, magari porta qualche novità. Da quando il 2011 ha fatto capolino dalla porta con una bottiglia di vodka e un vassoio di rose del deserto, alzarmi la mattina è sempre un problema. Ormai è passata da un pezzo, ma ho come l’impressione di dover ancora smaltire la sbronza di Capodanno; che, tra l’altro, è stato uno stupendo macello, almeno finché ricordo. So solo che abbiamo cominciato in casa di Giulio, perfettamente sobri, e l’ultima cosa che mi ricordo è il brindisi e Love che risponde al mio messaggio (“Anche a te Sacchi”, si deve essere divertito come un matto). Poi mi sono svegliato all’una e dodici in una casa che mi ricordava qualcosa: quando è spuntata una Fre in mutande e reggiseno dalla porta della camera, ho ricollegato. Ubriaco com’ero devo aver fatto pena, penso. “Buongiorno, Pino”, mi dice con un sorriso. Ok, è soddisfatta, suppongo che l’alcol non mi comprometta da quel punto di vista, penso di nuovo. “Buongiorno, splendore”, dico. Almeno non mi ha fatto pensare a Lisa. O per lo meno, se anche c’avessi pensato, non me lo ricorderei. Ma il punto è che sto facendo un esame, il primo di due parziali, per l’esattezza, e mi è partito un flash di Capodanno che non ho capito se è successo davvero o se me lo sono sognato, ma c’entra con la bocca della Fre, e mi sono perso tra i numeri scritti sul mio foglio. Li guardo, cercando di dar loro un senso matematico, possibilmente giusto. Ci riesco. Alla mia sinistra, categoria pesi mosca, mancino, un diligentissimo Leonardo Amore sta scrivendo fitte righe di calcoli. Se alzasse ora lo sguardo penserebbe che lo sto copiando, così mi concentro nuovamente sul compito, malgrado il suo foglio mi incuriosisca più del mio, non so per quale strana forza apparente. Fabri, da qualche posto dietro, mi lancia la gomma e mi prende in pieno un orecchio. Lo maledico in ogni modo che conosco e mi riprometto di usare i suoi appunti di Sistemi per farmi una canna. -Love, pranzo al forno?- propongo a fine esame. Si spende poco e si mangia anche vegetariano. -Scusa, non posso, torno a casa da Claudia, è stata mollata dal ragazzo.Mi sconvolgo un attimo, non tanto perché la sua coinquilina è stata scaricata, dopo la telefonata a Roma era scontato, ma quanto più perché sta rifiutando me, insomma, però mi rendo conto che magari lei sta male e quindi dico solo: -Oh…-Vuoi venire anche tu? Mangiamo tagliatelle ai funghi, e poi studiamo!- Sorrido per il tono da esaltato e anche un po’ da checca che gli è uscito, ma non glielo dico. -Hai intenzione di studiare dopo un esame?- chiedo invece, stupito del suo essere sfacciatamente secchione senza nemmeno rendersene conto. -Eh, io devo studiare per Analisi, non posso permettermi di cazzeggiare.- Scuote la testa, per enfatizzare l’ineluttabilità della sua condizione da imparanoiato, e io gli sbuffo in faccia senza ritegno. -Va bene, ti do una mano.Mi sento quasi in dovere di aiutare un povero ex studente dell’artistico senza basi per affrontare il temibile esame di Analisi I, così lo seguo nella via di casa sua. E poi chissà, magari questa Claudia è pure carina. Effettivamente è una gnocca. Fisico proporzionato, fianchi stretti, culo sodo e tette tonde. Piercing al labbro inferiore, bocca non troppo piena. Capelli castani, taglio anonimo, sguardo fiero e determinato a non sembrare triste. Veramente una gnocca. Saluta Love con un bacio e fa ciao con la mano a me. Io le sorrido. –Piacere di conoscerti, Claudia.Love sospira perché credo mi abbia stanato. Claudia non ha ancora capito. Mangiamo, Love resta in silenzio per un qualche motivo, io e Claudia chiacchieriamo del più e del meno. Mi piace perché vuole tentare di nascondere la debolezza con un sorriso tirato, ma non sa che non mi frega. Il fatto è che me la farei proprio. Ma di brutto. E sembra pure simpatica. Ad un certo punto, a pranzo finito, la conversazione gira così. -Senti Cla, ma c’è la remota possibilità che io e te…- dico io, cominciando una proposta indecente metà vera (nel senso che ci metterei la firma) e metà falsa (nel senso che la sto mettendo sullo scherzoso andante, anche perché lei non mi sembra molto per la quale). Forse la pausa è stata troppo lunga, perché mi interrompe con un: -Non ci vengo a letto con te.- Sotto le sue parole apparentemente fredde colgo una nota divertita. -A parte che non l’ho detto, ma…- sospiro –perché no?- concludo, mettendo su una faccetta finta angelica. -Non posso. Sei molto carino, anche se non sei il mio tipo, ma mangi carne.- risponde, con una scusa troppo improbabile per essere vera. -Non te ne pentiresti.-No, noi adesso studiamo e lei va in camera a piangere.- dice Love, intromettendosi brutalmente. -Ecco, sì, vado ad affrontare il mio lutto!- dice lei, alzandosi e dirigendosi verso la camera da letto. -Ma cherie, ma ti consolo io!- intono, con enfasi da teatrante. Lei ride, Love sospira. -Jacopo, ti prego, studiamo? Dopo se vuoi io devo uscire. E devo cambiare le lenzuola. Quindi potreste pure farlo sul letto matrimoniale.Non so perché mi stia dando corda, ma è un gioco che mi piace. –Oh, perfetto. Grazie vecchio.-Eccolo. Una volta che ha la topa assicurata guarda com’è contento!-Oh, ma la topa è la topa.-Eh, e un panda è un panda.Finito di sistemare la cucina (Love ha potuto appurare che sono un asso a caricare la lavastoviglie e a chiuderla con un colpo di bacino) ci mettiamo a dimostrare teoremi, come due bravi studenti modello. Ho così modo di constatare che Leonardo Amore avrà anche preso 100 e lode alla maturità, ma in Analisi proprio non ce la può fare. Per quanto le mie capacità di insegnamento possano essere sviluppate, non c’è modo di fargli entrare in testa questa roba. Fortunatamente per lui (e per me, visto che sono stato ufficialmente assunto come suo dispensa-formule), all’appello manca ancora abbastanza. Sto cercando di spiegargli un problema di massimo, quando Claudia entra in cucina per prendere da bere. Non la consideriamo, ma lei si fa notare andando ad abbracciare Love, sbaciucchiandolo un po’. Quando fa per andarsene, alzo la testa dal mio foglio e decido di azzardare. –E a me niente?-Cosa mi dai in cambio?- risponde. Tutta questa gente che dà corda alle mie buffonate mi piace. -Cosa vuoi?- sfodero il sorriso da playboy. La Giulia diceva che con quello e il giusto outfit avrei convertito una lesbica. Claudia ci pensa un po’ e poi risponde: -Del gelato.-Va bene, dopo te lo vado a prendere. Ora voglio un bacio!-Col cazzo.-Io te l’avevo detto che non era carina e gentile.- mi apostrofa Love. -Ma a me piacciono le difficili. TANTO NON MI SFUGGI!- rispondo, urlando a Claudia che se n’è tornata in camera. Love mi guarda malissimo e parte con una tirata sulla fragilità di Claudia in questo momento, di non farle del male, di non giocare con i sentimenti delle persone (che neanche mia madre mi fa di questi discorsi, non me li ha mai fatti, lei mi dice “se te la scopi lei si affeziona, tienilo presente e prenditi le tue responsabilità”). E invece ho Amore in persona che mi dice cosa devo fare. Uno, come se mi importasse qualcosa. Due, come se non lo sapessi. Tre, come se non fossi a conoscenza del fatto che io e Claudia non finiremo a letto insieme. Né ora né mai. Che poi, non è che una con una scopata si innamora perdutamente. A me è successo una volta sola, ma lei aveva tipo quindici anni ed è stata Paura Vera poi scollarsela di dosso. Ma quello non conta! Anche perché il problema non esiste. Vedi punto tre. Detto sinceramente, sono più predisposto a pensare di finire a letto con Love, viste certe occhiate che ogni tanto mi rifila. Viste quelle che mi ha rifilato a Roma. Visto quel momento di panico assoluto appena usciti dalla folla manifestante, in cui davvero pensavo che l’avrei baciato, e che lui ci sarebbe stato. Non sono così sicuro che mi dispiaccia, come pensiero. Claudia torna dopo un po’ perché si annoia, come si è premurata di farci sapere urlandomelo in un orecchio. -Tranquilla, cinque minuti e andiamo a prendere il gelato, lasciaci finire l’esercizio.- dico, dopo essermi riassestato e averla insultata. -Ma non ci metterà mai così poco!- ribatte lei, pungendo Love sul vivo, che le fa una linguaccia. -Veh, stronza!-Se ci sono io è più concentrato.- dico, ammiccando a Claudia; gesto perso nel vuoto, visto che lei non sta guardando me, ma Love, e quando il suo sguardo si posa su di me scoppia a ridere. -Cosa?- chiedo, perplesso, girandomi verso Love e cercando spiegazioni. Mi è mancato un pezzo, lo so. Lui, di tutta risposta, gufa pesantemente e non mi risponde, scrivendo qualcosa sul foglio, probabilmente numeri a caso. -Leo mi ha sempre detto che preferisce studiare da solo.- spiega Claudia, anche se suppongo ci sia qualcosa di più. -Ah, hai capito lo sfruttatore?- dico, prendendolo in giro con un tono finto accusatorio, ma lui è davvero imbarazzato. -È che Analisi non la capisco!- boccheggia, e io sorrido del suo disagio. -È per questo che sono qua, no?-Eh, sì.-La prossima volta studi da solo.-No, dai! Ho davvero bisogno di Analisi, mi devo laureare!-Mh, dunque la tua laurea è nelle mie mani!- ridacchio malignamente, e un sorriso scappa pure a lui. La tensione si è allentata, e io mi sto divertendo. -Smettila di fare il bastardo che finiamo, così poi andate.Acconsento con un cenno e assicuro a Claudia il nostro “appuntamento”. Lei, soddisfatta, ciabatta via con indifferenza. -Allora, dove eravamo?- dico, prendendo in mano la matita e chinandomi sul suo foglio per vedere gli ultimi calcoli. Effettivamente i numeri che aveva scritto prima erano totalmente casuali, cifre senza senso. Mi chiedo il motivo, ma Love interrompe i miei pensieri. -Vuoi che me ne vada?Lo guardo un secondo, cercando sovrappensiero il collegamento tra la sua domanda e Analisi. -E perché?-Io posso anche uscire, se voi volete stare un po’ in casa da soli…Realizzo il contesto e rido, di gusto. –Tranquillo, se voglio provarci posso farlo anche con te presente.- sorrido in cattiva fede, e vedo il suo sguardo perdersi per un secondo nel vuoto, poi tornare sulla terra e accompagnare il suo “ok” con una strana indifferenza. Evito di sondare la situazione, è fatto così, e io non so proprio cosa farci se non tornare all’argomento principale. -Allora, derivata?Sono quasi sicuro che Love venga con noi a prendere il gelato, così non capisco bene perché non si stia mettendo la giacca. –Oh, tu non vieni?-No.- dice solo, spalancando gli occhi e guardandomi come se avessi detto la più grossa delle bestemmie. -Ma no, dai, vieni!- cerca di convincerlo Claudia, con un’enfasi che mi fa sorridere: molto probabilmente mi crede un maniaco sessuale del tutto intenzionato a molestarla sessualmente. La cosa è, glielo concedo, parzialmente vera. -No, preferisco pulire casa.-Wow, che divertimento!- ironizzo, cercando di smuoverlo un po’ dal suo calco di antipatia. -Non ho una mamma che sistema per me.-Se uscissi, dopo ci sarebbe un Sacchi disposto a darti una mano, ma…-Preferisco fare da me.-Come vuoi. A dopo!Non aspetto che Claudia saluti Love ed esco, lasciando che mi raggiunga lungo le scale. -No, non puoi assaggiarlo, sei uno schifoso mangiacarne!-Guarda che un po’ di proteine indirette non possono che farti bene, sai?Stiamo mangiando il nostro gelato seduti al tavolino di un bar, sui divanetti incassati nel muro, e stiamo ridendo, lei in particolare. Mi convinco di essere io la causa e sono contento di esserle utile, so come ci si sente. Finisce per raccontarmi di Nicola, il suo stronzo, sfogandosi come solo una donna delusa e ferita può fare, e io, un po’ per par condicio un po’ per consolarla, le parlo del modo in cui la mia cotta quadriennale per Lisa sia finita nel cesso. Mentre le racconto del giorno davanti alla scuola vengo atterrato da una botta di nostalgia e rancore come non mi capitava da qualche mese, ma cerco di nasconderla quando noto negli occhi di Claudia un sentore di pianto imminente. -Vuoi una coccola in simpatia e priva di necessità sessuali?- le dico, avvolgendole un braccio attorno ad una spalla. -Sarebbe molto gradita, stella.La stringo a me mentre scoppia a piangere come un’aquila, e io le appoggio la guancia sulla testa cercando di non pensare al fatto che mi ha chiamato “stella”, il mio nomignolo per le persone importanti. Anche questo ricordo non ci voleva proprio. Cerco di concentrarmi sulla sensazione piacevole provocata dal suo naso nell’incavo del mio collo. -Mio dio, sono uno schifo…- sussurra con voce nasale, sollevandosi dalla tana che si è fatta su di me per soffiarsi il naso. -E perché? Perché ti sfoghi? Tu ne hai tutto il diritto, con un puttan-ex del genere.Sento freddo su un dito, e mi accorgo che il gelato mi sta per colare sulla felpa nuova; la salvo in corner con un rapido movimento di lingua, e mi sento un figone. Claudia assiste al mio teatrino e ride. –Certo che Leo ha sempre ragione…-Riguardo cosa?-Riguardo al fatto che sei un pericolo sentimentale che cammina.-E cioè?-Significa che è fin troppo facile volerti bene.Indugio un secondo in più con la lingua sul gelato, rimanendoci appeso come un vero pirla, ma proprio non me l’aspettavo una cosa del genere. Love ha parlato con Claudia, di me? In questi termini? Raccontandole di Roma, magari? Mi ritrovo a sorridere guardando Claudia, anche se vorrei farlo guardando Love, per ringraziarlo: non so per quale motivo mi sento in dovere di essergli riconoscente, e anche se so che è principalmente merito del mio carattere se è arrivato a pensare una cosa del genere sul mio conto, suppongo che non faccia entrare chiunque nella sua vita. -Va meglio?- le chiedo, baciandole la testa. Non dovevo farlo, i momenti da esaltato si esauriscono in fretta quando Lisa decide di tornare. Possibile che, per quanto ci pensi sempre meno, l’intensità del rancore non decresca col tempo? -Sì, un po’. Sei veramente carino.-Anche fisicamente?- ammicco, tentando di nascondere il momento di sconforto galoppante. Ci riesco. -Cla.-Non chiamarmi Cla.-Tesoro.-Ma nemmeno tesoro.- -Luce dei miei occhi.-Chiamami Pimpa, come fanno tutti.-Pimpa mi fa pensare ad una metallara col morbillo.-Ero un'ambientalista con il morbillo.-Pimpa.-Sì, lo so. Se ti sbagli al scrivere sul computer viene pompa.-Posso farti la domanda che ho in testa da quaranta minuti o vuoi farmela dimenticare, cazzo?-Fammela.-Ricordami il motivo per cui io e te siamo abbracciati in un bar e non nudi nel tuo letto.-Perché... perché no, Jaco, cazzo. Io sono fragile emotivamente e poi sarebbe un errore.-E perché sarebbe un errore?-Perché faremmo male a più di una persona. Me in primis.-Ma guarda che sono attento, io.-Certo che non capisci proprio un cazzo.-No, in effetti no.Ognuno di noi ha un personaggio da interpretare. Ed è bellissimo e un po’ triste vedere come la gente non sospetti la veridicità dei tuoi comportamenti quando questi si attengono al carattere del tuo personaggio. Lisa, come una pendola scassata, mi sta perforando il cervello coi suoi rintocchi fastidiosi più del solito, forse anche perché non la posso sfogare, ma a fare il buffone Claudia non si accorge di niente. Ormai il gelato l’abbiamo finito entrambi; decidiamo di dondolare l’una nelle braccia dell’altro ancora per un po’, poi riprendiamo in mano le redini della nostra esistenza da single e torniamo dall’eremita casalingo. Entriamo in casa urlando un “ciao” sincronizzato, ma Love non ci risponde con lo stesso entusiasmo. -Ciao ragazzi, sto mettendo su dell’acqua per il tè, ne volete?Claudia annuisce contenta, io ne approfitto per fare il coglione un altro po’, abbracciandolo di slancio e appoggiandogli il mento su una spalla. –Ma sì dai, un po’ di te!Sento Claudia ridere alle mie spalle, mentre Love gufa e si divincola, in modo più palese e irritato del solito. –Cosa fai?-Ti dimostro affetto.-Adesso non è il momento che c’è il fuoco acceso.Lo guardo storto, arricciando le labbra, ma lui continua a non considerarmi, armeggiando con la teiera. Claudia, con tono imbarazzato, si esclude: -Vado in bagno!- Love la guarda malissimo e prende fuori le tazze da uno sportello. Io mi svacco su una sedia, con le gambe aperte e distese davanti a me, e gli guardo la curva della nuca. -Che c’hai?-Nulla. Com’è andata con Claudia?-Come doveva andare, scusa?-Ah non lo so, è per questo che te lo chiedo.-È andata che abbiamo preso il gelato e fatto due chiacchiere, fine.-Bravi.- Si gira verso di me mostrandomi alcune bustine di tè, cominciando a blaterarne i gusti che io, dopo “limone”, smetto di capire perché sta parlando troppo velocemente, troppo piano, e soprattutto non mi sta guardando in faccia. –Allora, cosa vuoi?- mi richiama all’attenzione, incrociando il mio sguardo per un attimo e spostandolo subito dopo per rimettere via le bustine. -Vuoi la risposta seria o quella Sacchi?- Faccio un ultimo tentativo per risollevare il morale di questa stanza, pensando ad una stronzata. -Quella che ti pare.- mi risponde lui, rassegnato e chino sul bancone. Cambio di programma, questa situazione sta cominciando a farmi incazzare. –Ce l’hai con me?- provo ad aggredirlo, magari si smuove e mi dice cos’è successo. -No.-E allora perché fai così?- -C’ho i coglioni di traverso, lascia stare.- Ma che gli è preso mentre eravamo via, ha fatto a botte con la lavastoviglie? -Non è colpa mia però.-Tu lasciami in pace e vedrai che non succede niente.- Perché, che cazzo deve succedere? Picchi pure me, braccine da vegetoscemo? Ma per piacere… Mi sento stretto dalla sua arroganza ingiustificata, così mi alzo e vado a prendere la mia giacca. –Non farlo per me, il tè.Claudia esce dal bagno, guardandomi sconvolta. –Ma dove vai?Io faccio spallucce. –A casa.- Non ho idea di cosa sia successo, ma non ci vuole molto a capire quando non si è desiderati. -Ma…- il suo sguardo passa da me a Love, poi di nuovo a me, e mi chiede silenziose spiegazioni. Faccio ancora spallucce e sistemo la sciarpa dentro la giacca, fissando Love. Mi sta guardando con un’espressione che non gli avevo mai visto addosso, che fa sembrare i suoi occhi ancora più azzurri e l’umore ancora più grigio: forse mi sta chiedendo di restare, forse mi sta accusando di qualcosa che non so. Fatto sta che ricambio a modo mio, scrutandolo dal basso, rispondendo a qualsiasi cosa stia cercando di dirmi con un semplice no. Suppongo gli passerà. -Allora… ciao.- sussurra Claudia con una vocina flebile, e io la raggiungo per darle un bacio sulla fronte e salutarla. Esco dalla casa con gli sguardi di entrambi sulla nuca, ma cerco di fare poco caso a quello che potrebbero dire di me. Faccio attenzione a non sbattere la porta, che non è il caso, scendo le scale a passo medio e vado verso la stazione. Per un qualche motivo, mentre aspetto il treno, mi passa davanti agli occhi la visione di Lisa che bacia il suo ex in presenza di un inaspettato me, ma è un attimo. Vedo l’espressione indecifrabile di Love, che è un altro attimo. Si vede che la mia mente ha deciso di farmi rivivere i momenti significativi della giornata. O quelli per cui varrebbe la pena perdere un pensiero. Ma in realtà non ho voglia di pensarci, né a l’una, né all’altro, così me ne frego e mi concentro sul culo di una tipa che si è piazzata ad aspettare proprio accanto a me. Alla fine non lo scopro, il perché. Passano due settimane e smettiamo di sentirci, lui non mi chiama per farsi aiutare in Analisi come aveva minacciato di fare, ma la cosa mi tocca relativamente, passato il momento di sconforto sono tornato il solito menefreghista di sempre. Quindi non mi interessa più così tanto, anche perché sono praticamente certo di vederlo all’appello per la seconda parte del parziale. E infatti non mi sbaglio: quando arrivo noto per prima Lucia, che mi salta in braccio e mi attacca una pezza infinita mentre io mi guardo attorno e lo vedo seduto sulle sedie lungo il corridoio poco più distante da noi, immerso da fogli di appunti. Lo guardo per qualche secondo prima che alzi lo sguardo e mi veda, mi sorrida impacciatamente e mi saluti alzando un braccio. Lascio che Lucia finisca di parlare, poi la interrompo alla bell’e meglio e la saluto, andandomi a sedere accanto al secchione. -Buongiorno.- lo saluto, appoggiando i gomiti alle ginocchia e sorridendogli. -Ciao… come stai?-A posto. Tu?-Bene…- fa il sorriso più finto della storia guardandomi in faccia, poi distoglie lo sguardo e fissa il pavimento. –solo un po’ impegnato, ma in realtà come sempre.-Non avevo dubbi. Non ti sento da due settimane!-Scusa… e, a proposito, volevo anche chiederti scusa per l’ultima volta che ci siamo visti. Ero arrabbiato per i fatti miei e tu non c’entravi niente.Rido guardandomi le mani, rilassato. –Tranquillo, figurati. Se dopo non hai nulla da fare e hai voglia di cazzeggiare in compagnia, posso parcheggiarmi da te.- mi permetto di dire, con un sorrisone. Nessuno può rifiutare un Sacchi sorridente! -Ok…Gli tiro un pugnetto su una spalla, ma la nostra riappacificazione viene interrotta dalla Lucia che, come un bulldozer in leggings e vestitino, mi si siede di fianco e mi si butta in braccio, per entrare anche nel campo uditivo di Love. –Oh raga, ma lo sapete che un tizio si è fatto beccare a copiare e il prof si rifiuta di rifargli fare l’esame almeno per quest’anno?- mormora, da brava pettegola. Io rido, ma lei continua: -Il problema è che a questo mancano due esami per laurearsi ed è già fuori corso!-Che povero scemo.- dico, appoggiandole una mano sulla testa. –Allora te lo scordi un altro esame come quello di Algebra!Love mi fulmina con lo sguardo, e io rabbrividisco. Non tanto per lo sguardo in sé, quanto per quello che preannuncia: infatti, di lì a qualche secondo, mi becco una mitragliata impietosa di motivi per cui è sbagliato copiare, e del danno che la copiatura comporta allo studente, e di come il prof non possa fare il carabiniere per due ore con dei ragazzi teoricamente maturi. Lucia rimane tutto il discorso a bocca aperta, probabilmente alla ricerca di un modo per filarsela che non trova in tempo, io lo guardo con un sorrisino da faccia di merda e penso a un milione di cose, tranne a quello di cui lui sta parlando, tra le quali: quanto gli farei una pernacchia per farlo incazzare, quanto è figo, quanto lo voglio disturbare durante l’esame. Finalmente il professore ci richiama all’ordine, Lucia se la svigna come un gatto e io tiro un coppino affettuoso a Love. –Ma Claudia riesce a sopportarti 24 ore al giorno?- anche se vorrei chiedergli ma anche a letto sei così rumoroso? L’esame è relativamente facile e riesco a finire tutto prima dello scadere delle due ore, così mi fisso a guardare Love, che mi è seduto proprio accanto. Se allungassi una mano potrei toccargli il gomito e farlo sbavare, ma ho in mente un altro modo per infastidirlo. Strappo un pezzettino di carta da un foglio di brutta e glielo lancio sulla guancia. Lui si gira verso di me, furente. Mimo un’espressione impanicata e gli faccio un due con la mano. Guardo il mio foglio e poi ancora lui, con aria interrogativa. Lui mi fissa come si fisserebbe un suicida che ha deciso di buttarsi dal balcone proprio mentre stai per passare tu, e mi prega di non chiederglielo. Io ribadisco lo sconforto e unisco le mani a mo’ di preghiera. Guarda il suo foglio, sbuffa, si guarda attorno, sbuffa un’altra volta, poi mi guarda e in un nanosecondo mi sillaba la risposta, riappiattendosi subito sul suo banco. Controllo che la sua soluzione coincida con la mia, sorrido malignamente e consegno. Decido di aspettarlo all’uscita, e non appena me lo vedo sfilare davanti gli avvolgo un braccio attorno ai fianchi e lo spintono di lato. –Grazie, vecchio.-Vaffanculo, troia!- mi urla in un orecchio, picchiandomi poco seriamente il petto e una spalla. Io rido forte, senza nemmeno rispondere alle accuse fisiche. –Coglione!- Sono troppo divertito e contento per ribattere, così incasso e lo lascio sfogare. Pace fatta, a quanto pare. Continua ad insultarmi ancora sulla strada verso casa sua, ma alla fine mi lascia entrare senza troppe storie, e mangiamo in silenzio una strana pasta di uno strano cereale che credo comprino solo lui e la famiglia del produttore. -E Claudia?- chiedo ad un certo punto, interrompendo il silenzio che, se ci fosse stata lei, non sarebbe durato così a lungo. - Fuori. Perché?-Volevo sapere come stava.-Meglio.-Salutamela se torna che me ne sono già andato.Si infila una forchettata di roba in bocca e si allunga verso un mobile, prendendo un blocchetto di post-it e una penna. –Scriviglielo.Li afferro sorridendo, e penso a qualcosa di stupido da lasciarle scritto mentre finisco di masticare. “Ciao, Pimpa del mio cuor! Passavo di qua e tu non c’eri. Niente gelato per te, oggi!” Love sorride, prende il post-it con un dito e lo attacca al frigo, poi mette via il resto, mentre io finisco di ripulire il piatto dal sugo. Sento lo sguardo di Love sui capelli, e quando alzo lo sguardo lui mi sta effettivamente fissando. Gli sorrido. –Dai, alla fine non faceva poi così schifo, ‘sta bio-roba.Ricambia il sorriso e distoglie lo sguardo, cominciando a rigirarsi gli anelli. –Te l’avevo detto.Non appena finito di mangiare, sento l’irrefrenabile desiderio di scagliarmi con impeto su un divano e lì rimanere per sempre, ma mi rendo conto che non posso farlo, per un motivo molto semplice. –Ma non c’è un divano in questa casa?- -E dove lo mettiamo? C’è il mio letto, è quello grande.Parto deciso ad esplorare la casa, della quale ho visto solamente la piccola cucina, apro la prima porta che mi trovo davanti e ora so dov’è il bagno. La porta successiva è quella della camera, non troppo grande forse anche a causa dei due letti che ne occupano buona parte. Uno dei due, comunque, è meravigliosamente matrimoniale, di quelli su cui ti butteresti di pancia in un negozio d’arredamento. –Bingo!- esulto, tuffandomi a pesce e arricciandomi nelle lenzuola, tra le quali riconosco il suo odore. Mi fa uno strano effetto, come di familiarità. -Vuoi una mano?- urlo, per farmi sentire dallo sguattero ancora in cucina a sistemare. -No, faccio prima da solo.Mi alzo di malavoglia dalla cuccia che m’ero fatto e vado ad aiutarlo, prendendo uno straccio dal termosifone e mettendomi ad asciugare i piatti che sta lavando. -Ma non ce n’è bisogno!-Volevo.Continuo ad asciugare, mentre lui, sconfitto, me lo lascia fare, anche se credo gli faccia piacere che lo stia aiutando. Finito di sistemare mi ruba lo straccio dalle mani e lo stende su una sedia, con cura. –E ora che si fa?-Tu non lo so, io torno sul letto.- dico, tornando alla carica verso la camera e incastrandomi di nuovo nella conca, seguito da Love che si appoggia allo stipite della porta, incrociando le braccia. Ho la netta e sconveniente impressione che, se per caso non dovessi rivederlo mai più, lo ricorderei così, in quella esatta posizione: in attesa. -È troppo comodo!- aggiungo, strusciando la guancia sul cuscino, tipo gatto in vena di grattini. -Non lasciare segni di bava, lumacone!A causa di un discorso molto simile, io e Fonta (uno dei miei migliori amici del liceo assieme a Cavazza), avevamo preso a chiamarci “Chiocciola” tra di noi, così ripenso a lui e mi accascio sulla schiena, ridendo fortissimo. Non è il momento di concentrarmi a pensare da quanto tempo non lo vedo, così batto una mano sul letto, per invitare Love a raggiungermi. Lui si toglie quelle vecchie All Star scassate e bucate che si ritrova ai piedi e mi scavalca, sedendosi a gambe incrociate accanto a me. Mi infilo le mani sotto la testa e mi volto a guardarlo. -Allora?- dice, con un tono che dovrebbe essere normale ma che in realtà tende all’irrequieto, non ho idea del perché. Di cos’ha paura, che a stare troppo in silenzio ci si corrodano i timpani? -Allora cosa?-Cosa facciamo.-Non lo so, cazzeggiamo.-E come si fa?Questo ragazzo mi sconvolge ogni giorno di più. –Non c’è una regola precisa. Non so… che hai fatto sabato sera?-Sabato sera… ho studiato, ho guardato un film e poi sono andato a letto.E credo che non smetterà di sconvolgermi proprio oggi. –Mamma mia che depressione, Love… ma non esci mai?-No, se non ci sono delle cose da fare.-E quindi non esci con nessuno?-No, cioè… di solito esco quando mi chiedono di uscire. Però non succede spesso.Mi verrebbe da ridergli in faccia, perché non ci crederò mai e poi mai che uno come lui non abbia almeno una quarantina di quindicenni che lo pedinano, ma reggo il suo gioco e faccio lo gnorri, per vedere dove andiamo a finire. -E tu non hai nessuna persona con cui vorresti uscire?-Mh… ho dei gusti difficili.Gusti difficili? I sospetti di Roma si fanno più vividi e verosimili. Dalla sua espressione sembrerebbe che si stia impegnando molto per non lasciar trapassare neanche un’emozione, così decido di non essere da meno e continuo a fare domande disinteressate, permettendomi una risata. –Fammi un esempio.-Ma… non c’è un tipo, è solo che la maggior parte delle persone sembra non valerne la pena.- Ho come l’impressione che Love, come tante altre persone, a vent’anni abbondanti, non riesca ancora a cogliere la differenza tra “amico” e “scopare”. E dire che sono un sostantivo e un verbo, non dovrebbe essere così difficile. O sono io che sono un genio della grammatica? Sono scettico. –E quindi non ti sei mai interessato a nessuno?-No, Dio, sono stato anche… fidanzato…- Il gufo regna sovrano sulla sua espressione, e a me scappa da ridere, sia perché lui si è stupito delle sue stesse parole, sia perché la scelta delle parole è alquanto sospetta, per quanto mi riguarda. Sacchi si avvicina all’obiettivo con passo felpato. -Wow, sembrava una cosa importante.-Ah, per quanto poteva esserlo, sì.Assottiglio lo sguardo e inclino la testa. –Non ti sto capendo. Ti dispiace… parlare?-Ma ti sto parlando!-No, tu stai omettendo e basta.-Be’, sono stato fidanzato e per quanto poteva esserlo è stata una storia seria.Continuo a fissarlo con gli occhi tesi e piccoli, scettico. Lui ridacchia, sull’orlo dell’isteria. Cosa non mi sta dicendo? Ci sta girando attorno da quando abbiamo cominciato a parlarne, e per quanto io abbia già capito che c’entra con la sua sessualità non me la sento né di sbattergli in faccia la verità, né tantomeno di lasciar perdere. Mi piacerebbe che arrivasse a dirmelo come lo si dice ad un amico. Sarebbe il segnale che faccio ufficialmente parte della sua vita, dalla quale esclude la maggior parte delle persone. Se riesco a farlo parlare ora, forse non ci sarà più bisogno di cavargli le parole di bocca in futuro. Decido di prenderla alla larga, ma neanche troppo. -Love.-Oh…- continua a sorridermi, teso e preoccupato. -Perché non avrebbe dovuto essere una storia seria?-Perché per me una storia seria tende al matrimonio. E non ci saremmo potuti sposare.-Ma perché le famiglie non volevano, perché non c’è una legge a riguardo o per qualcos’altro che mi sfugge?-Possiamo non parlarne?- piega le gambe chilometriche e se le stringe al petto, guardandomi da sopra le ginocchia con i suoi occhioni blu da pennuto notturno. Lo trovo tremendamente carino. -Se ti deve far star male, per l’amor di dio. Però vorrei capire, mi sembra una cosa abbastanza importante.Sbuffa e abbassa lo sguardo, in silenzio. Si immobilizza in quella posa, credo stia ponderando se e cosa dirmi, io gli lascio il tempo che gli serve. –Lo vuoi sapere?- è il responso. Io annuisco, lui sbuffa di nuovo e prende un grosso respiro. –Si chiamava Alessandro.- Le parole sono una attaccata all’altra, come se ne formassero una unica, i suoi occhi si annebbiano di terrore e le braccia si stringono attorno alle gambe. A modo suo, me l’ha detto. -Non c’è la legge.- Guardo avanti, affondando meglio nel cuscino e facendomi largo nel materasso muovendo il sedere di lato. –Come vi siete mollati?-Si è trasferito a Napoli dai suoi zii per studiare Lingue.-Ma Lingue è anche a Bologna!-Lo so, ma ha valutato a lungo i pro e i contro di ogni università… e alla fine ha vinto Napoli. Scelta di merda.Ci deve essere stato malissimo, da una persona che ami non t'aspetti mai colpi bassi del genere. Il terrore nei suoi occhi non se n’è ancora andato, ora pure accompagnato dal dolore, o dalla nostalgia, non riesco mai a distinguerli bene. –Che c’è? Di che cos’hai paura?- gli chiedo, abbassando il tono di voce. Fa lente spallucce, guardandomi da dietro il ciuffo di capelli biondi. –Di…- respira due o tre volte, per trovare le parole –di non essere accettato, suppongo.-Ah, non da me di certo!- Il momento sacrale è finito, interrotto dal mio balzo tra le braccia di Love. -Ma mi hai ascoltato?- sibila, divincolandosi dalla mia stretta per l’ennesima volta. -Sìììììì!- urlo, abbrancandolo di nuovo e con più insistenza. -Ma… hai capito che mi piacciono gli uomini?-E tu hai capito che non me ne frega niente?- -No, non l’avevo capito.-Ora lo sai.- Appoggio il mento alla sua spalla e gli studio il profilo. Provo ad immaginare questo Alessandro, e mi chiedo quale problema avesse con Love per lasciarlo andare così. -Sacchi, solo una cosa… non dirlo in giro.-Cosa?- mi guardo attorno, gnorri all’ennesima potenza. -Dai!- ride, tirandomi un pugno sulla spalla. Lo sento più rilassato, e ne sono contento. Ho un’insana voglia di fumarmi una paglia, ma so che lui non sopporta chi fuma in casa, così evito anche di chiederlo per non rovinare il momento. Troverò il modo per compensare. -Sì, sì, va bene. Se poi mi facessi i pop corn, andrebbe ancora meglio.-Non ce li ho.- Il mondo mi crolla addosso, e mi preparo ad affrontare una giornata senza pop corn guardando Love con la faccia da cane bastonato. –Però possiamo andarli a comprare.aggiunge, come una mamma che infila il ciuccio in bocca al bimbo per non sentire le sue urla. Nella luce fornita dal mio sorriso a ottantadue denti, ci infiliamo scarpe e giacche e voliamo fuori a prendere i pop corn. Mentre litighiamo per la scelta del mais (io voglio quello non biologico anche se Love mi minaccia una mutazione genetica per colpa degli agenti chimici) penso a quanto sia rompicoglioni quest’uomo e a come, con calma, ci si possa incastrare bene anche tra gli spigoli. Gennaio finisce, attacca febbraio con un nuovo numero preso in discoteca (Nina, come la gnocca di Tekken), soliti vecchi amici, un voto in più sul libretto ma nessuno di castità, e un mese lunare di distanza dal mio compleanno. San Valentino lo passo a scopare con la Fre, che non chiede nulla ma dà sempre tanto. Almeno al sottoscritto. Un nome, una certezza, praticamente. Insomma, in quanto studente universitario conduco una vita fondamentalmente monotona. O almeno, la condurrei, se non ci fosse la variabile Amore a farmi imbizzarrire un giorno sì e l’altro pure, in un modo o nell’altro. Da quando mi è stato confermato il dubbio della sua omosessualità, il mio Dispositivo per il Pensiero Porno ha qualche difetto, perché tende sempre inesorabilmente verso di lui. Mi sono persino ritrovato a sognarlo, una qualche notte: niente di esagerato, neanche un po’ di lingua, ma abbastanza da farmi rintronare e irritare. Insomma, chi non ha mai avuto dubbi a riguardo? Ma io pensavo di aver messo a tacere i miei un sacco di tempo fa, con Fonta, con Giulio, e anche con Filippo, quel frocio. Mi sento un immaturo totale, tipo ragazzetta quindicenne convinta di essere bisessuale solo perché ha baciato l’amica. E perché non so cosa pensare di questo tizio che ancora non mi piace in quel modo ma che forse in un futuro non troppo prossimo mi verrà a piacere. Non voglio pensare che io mi stia comportando così assurdamente per colpa di Lisa. Io non sono una persona fragile. Ho solo un collasso da patata, “sindrome del ginecologo”. Troppa patata. Ma che stronzate, Sacchi, la patata non è mai troppa! “Dai, Sacchi”, come mi dice sempre Love, con quel “dai” che sembra quasi un “doi”, per come lo pronuncia lui. E che cazzo però, basta con ‘sto Love! Basta… A rompermi l’anima ci si è messo pure Filippo, che ha deciso di farmi una scenata di gelosia quando mi ha sentito parlare al telefono con un uomo che, guarda caso, chiamavo Amore. Gli è partito l’embolo perché pensava gli fossi diventato finocchio sotto il naso, dopo averlo rifiutato in ogni modo possibile e immaginabile. -Mi hai fatto un pompino, mi sembra abbastanza.- gli ho detto, e me ne sono andato con aria tragica. Ora sai cosa fai, Sacchi? Ti metti a posto le idee, che mi paiono un po’ confuse. È tra gli ultimi numeri che ti hanno chiamato, “Fre”, non ci vuole molto. Hai passato con lei San Valentino, vuoi che si rifiuti? -Signorina Torricelli, non è che per caso sarebbe libera oggi pomeriggio per una partita a Battlefield?Ovvio. Lei me la dà di sicuro. Doi, Sacchi. ’ Claudia mi osserva da dietro la sua tazza di tè, soppesando pensierosa i miei gesti. –Perché lo fai?-Cosa?-Tu li odi… perché vai a pranzo da loro?-Claudia, devo. Sono i miei genitori.- mi chino per allacciarmi una scarpa, ma subito una vibrazione proveniente dal cuscino mi fa scattare di lato per prendere il cellulare. Probabilmente sarà l’ennesimo messaggio di auguri, ma una parte di me spera che sia Jacopo. Non sarebbe così improbabile, sembra quasi che si diverta a raccontarmi i dettagli inutili della sua ancor più inutile esistenza, ma nonostante tutto aspetto sempre che sia lui il primo a contattarmi. Incredibile ma vero le mie speranze sono state esaudite. Nuovo messaggio da Sacchi: “Non è ironico che un single come me abbia passato la notte di san Valentino a scopare ma non abbia nulla da fare proprio oggi?” Che premuroso ad avvertirmi delle sue avventure sessuali, grazie… come se volessi saperlo o dovessi essere informato di quello che combina con il contenuto delle sue mutande. Rispondo, con una punta d’invidia nei confronti della fortunata (o sfortunata, perché da quello che so e che ho capito, Sacchi non ha alcuna intenzione di mettere la testa a posto). “Beato te, io devo andare dai miei.” Il messaggio successivo arriva mentre finisco di allacciarmi la camicia. “Successo qualcosa?” “21 anni fa ho avuto la brutta idea di nascere.” Non ho mai considerato l’essere nato il 15 di febbraio e chiamarmi Amore una disgrazia, ma semplicemente la prova che Dio ha, qualche volta, un pessimo senso dell’umorismo, considerata anche la mia sessualità. Non appena infilo il cellulare nella tasca interna della giacca questo comincia a vibrare forsennatamente. Perché cazzo Sacchi mi sta chiamando? -Sacchi, cosa vuoi.-Ma è il tuo compleanno e non me l’hai detto! -Eh certo, dovevo farti il countdown, per caso?-No, ma ieri potevi dirmelo, ti avrei fatto gli auguri!-Fammeli adesso!-AUGURI!-GRAZIE!Claudia origlia la conversazione e non riesce a trattenere una risata. Vorrei farlo anche io, ma Sacchi non mi lascia il tempo. -Quando ci vediamo per festeggiare? -Per festeggiare, mai.-Allora quando ci vediamo e basta?-Boh, sabato ho il pomeriggio libero.-E allora verrò sabato, aspettami in stazione per le tre e un po’.-Ok.Mentre lo saluto zittisco le molte domande che mi affollano la testa, dando la priorità alla condanna a morte che sta per essere eseguita su di me tra meno di un’ora. Mi volto verso Claudia, finalmente non più piegata in due dal ridere. –Come sto?-Con il completo sei un figo, davvero.-Va bene. Ci vediamo oggi pomeriggio, Pimpa.La saluto con un bacio sulla fronte e scendo ad aspettare il mio taxi. Non. Mi. Va. I miei genitori abitano nella campagna bolognese in quella che fino a qualche anno fa consideravo casa nostra; adesso è solo una vecchia villa a tre piani, unico, dal mio punto di vista, manicomio non chiuso dalla legge Basaglia. Vado a trovarli solo per le feste comandate da Sacra Romana Chiesa Cattolica e Apostolica, e per il mio compleanno. Ma anche questa ricorrenza teoricamente laica per mia madre assume toni religiosi e mistici, giustificando la mia nascita come espressione della volontà del Signore, e non come il semplice risultato di una scopata fortuita senza metodi contraccettivi. Se ci fossero solo loro, con il loro martellante silenzio e i loro finti sorrisi pieni di pietà, ogni compleanno lo passerei a tracannare detersivi e ad essere sottoposto a lavande gastriche dal primo specializzando di turno. Per fortuna ci sono anche mio zio, fratello di mio padre, e la sua famiglia composta da: moglie sana di mente e figlio brufoloso, il mio adorabile cuginetto spione, Giovanni. Non mi era mai veramente importato nulla della sua esistenza e, oltre all’invidia per essere figlio di mio zio, non nutrivo altri sentimenti nei suoi confronti. Poi mi sono messo con Alle, i miei genitori l’hanno scoperto e hanno fatto di tutto per impedirmi di vederlo: mi hanno sequestrato il cellulare, tolto internet, impedito di uscire se non veniva qualcuno di loro conoscenza e completa fiducia a prendermi e riportami a casa prima di mezzanotte. Non mi lasciavano neanche in casa da solo, e dovevo lasciare sempre aperta la porta di camera mia. Volevano anche cambiarmi scuola perché la frequentava lui. Nonostante la situazione da carcere di massima sicurezza io e Alle riuscivamo a vederci, oltre che a scuola, anche a casa mia, in una vecchia stalla dove andavo a giocare da piccolo. Un giorno Giovanni ci vide, e nonostante io abbia provato a corromperlo in ogni modo lo raccontò ai miei, con conseguenze tutt’altro che piacevoli. Da quel momento l’indifferenza si è tramutata in odio, e sto coltivando la mia vendetta, anche se so che a fargli la ramanzina e a tirargli quattro sberle ci ha già pensato suo padre. Tuttavia con lui riesco a parlare liberamente. Coi miei, invece, per ogni frase c’è un significato manifesto e uno sottointeso: le domande di rito riguardano la casa, il mio stato di salute generale e l’università. Almeno su quella ci sono solo le note positive del mio rendimento, per cui l’argomento verrà sviscerato fino a sapere la pagina in cui era scritta la risposta giusta dell’ultima domanda dell’ultimo esame dell’ultima sessione. Che ho dato con Sacchi, e questo ci porterebbe all’argomento tabù, ovvero la mia vita sentimentale, ma solo nella mia testa. Se gli raccontassi tutto questo disastro, come reagirebbe? Non ho il tempo di rispondermi. Benvenuto all’inferno, Leonardo. Il pranzo va meglio di quello che mi aspettassi: non ci sono stati troppi momenti di silenzio teso, nessun commento sulla mia magrezza e, incredibile ma vero, quattro piatti su cinque erano vegetariani, per cui quest’anno ho mangiato anche io. Siamo alla pausa prima del caffè, momento destinato all’apertura dei regali. Non fatico ad immaginare cosa sia, date le sottili dimensioni della busta e la scarsa motivazione dei miei a modificare le proprie abitudini; dopotutto non vedo come possano avere nuove idee non sapendo nulla di me. Soldi, biglietto a tema religioso, citazione biblica, dedica scritta da mamma e un’iniziale frettolosa scribacchiata da mio padre. Quest’anno al centro del biglietto, retta da un angelo, troneggia una pergamena su cui è scritto: “Non dimenticare il mio insegnamento, e il tuo cuore custodisca i miei comandamenti, perché ti procureranno lunghi giorni, anni di vita e di prosperità. - Proverbi 3:1-2”. All’interno, invece, dopo la data: Caro Leonardo, che questi soldi non siano per te mezzo di peccato, ma strumento di salvezza. Ricorda che il Signore è sempre pronto ad accogliere un Suo figlio smarrito che ha ritrovato la strada della Sua casa. Con sincero affetto… Sincero affetto di ‘sto cazzo, mamma, so che preferiresti che io fossi un drogato, piuttosto che un finocchio. Nonostante io sia consapevole del fatto che non cambieranno mai il loro comportamento, la cosa mi ferisce. Ringrazio, e lo faccio nel modo più sincero e sottomesso che mi viene da fingere. Mio zio e la sua famiglia mediamente credente e mediamente normale mi regalano un’altra busta, ma il contenuto è l’attestato di una donazione a Greenpeace. Per ringraziare loro non devo fingere niente, se non mascherare l’amarezza di aver sbagliato ramo della famiglia. Dopo il caffè, mio zio si alza e con i suoi modi un po’ bruschi annuncia: -Leo, ti porto a casa subito.-Ma posso prendere un taxi.-Ti porto a casa.Non ho possibilità di dire di no e, ad essere onesti, non ne ho nemmeno voglia. Saluto mio padre con una fredda e frettolosa stretta di mano, gli altri con due baci sulle guance più o meno sentiti, poi mi rifugio nel grosso furgone del ristorante che mio zio usa come macchina. Non dico niente, e nemmeno ne sento il bisogno. La nostra relazione zio-nipote è cominciata veramente una sera dei miei sedici anni, in cui sono praticamente scappato da tavola senza cenare perché non riuscivo ad affrontare lo sguardo di mio padre, e lui mi ha portato dei biscotti e una tazza di latte in camera. È entrato senza chiedere il permesso, ha appoggiato il vassoio sulla scrivania, mi ha fatto una carezza sulla testa e poi si è dileguato taciturno, così com’era entrato. Scendo dalla macchina con un senso di malinconica rassegnazione, ma sono in condizioni migliori di quelle che avevo ipotizzato. -Zio, grazie.-E di cosa?- ci scambiamo un sorriso e un ciao con la mano, poi lo guardo allontanarsi. Mi ha sempre fatto capire, con poche parole o senza, quanto bene mi vuole. Realizzo, in un attimo di assoluta chiarezza, che mio zio Francesco è l’unica persona a non farmi sentire abbandonato quando se ne va. La sera Beppe e Valerio, con la complicità di Claudia, fanno irruzione in casa nostra e mi prelevano a forza, portandomi di bar in bar a bere e a scroccare birra al barista di turno, con la giustificazione (del tutto aleatoria) che, chiamandomi io Amore ed essendo nato il 15 febbraio, l’alcol è l’unica cosa che mi possa salvare dal rimanere single a vita. Il giorno dopo ricordo poco e niente, ma sulla scrivania trovo una lettera di Alle e un bigliettino scritto dalla Pimpa. Mi sento sommerso di affetto e sono commosso, ma cerco di non darlo a vedere. Ho altro a cui pensare. Ho passato i quattro giorni tra il mio compleanno e ora a chiedermi se fosse veramente una buona idea. È sabato pomeriggio e sono in stazione. Mi sono risolto per il sì, a quanto pare. Io non dovrei farmi coinvolgere tanto da Jacopo. Non dovrei proprio. Le persone che t’ispirano subitanea fiducia sono quelle che ti deluderanno di più… è sempre stato così, perché ci spero ancora? Sento dei passi frettolosi alle spalle e faccio appena in tempo a voltarmi per vedere Sacchi che mi salta al collo urlando: –AUGURI AMOREEEEE!Ma si diverte? No dico, ma mi ha ascoltato quando gli ho detto che cioè, sì, insomma… che non sono tanto normale? Che vivo al di là del fiume… Per un terribile e osceno secondo ho l’immagine di me in versione Pocahontas che guarda la vallata da un’altura, con un venticello colorato da foglie stilizzate che mi sfiora i capelli biondi. Aiuto. Scuoto la testa e lo ringrazio. Mentre lo guardo staccarsi da me ho l’istinto di seguire il suo gesto, chinarmi verso di lui e baciarlo. Ma che diavolo mi prende…? -Lo vuoi subito o dopo il tuo regalo?-Mi hai fatto un regalo?- sono basito, e non so dire se la cosa è piacevole o meno. Quest’ultimo interrogativo viene soppiantato da uno più grande: perché Sacchi mi ha fatto un regalo? Effettivamente è il mio compleanno, è una consuetudine abbastanza consolidata omaggiare il festeggiato, ma Sacchi lo conosco troppo poco e non c’è nessuna festa di mezzo. Per quale diavolo di motivo mi ha portato un regalo? Io non glielo farei mai. O forse sì. Quando compie gli anni Sacchi…? Jacopo mi sta fissando con un sorrisone soddisfatto stampato in faccia, in attesa di una risposta. –Dai, dammelo adesso che sono curioso.Nonostante e a causa della sua espressione ho paura di sapere cos’è. Per com’è fatto Sacchi potrebbe essere un vibratore o una rivista porno gay. Fruga nella tracolla e ne estrae un piccolo pacchetto di carta azzurra con un post-it sopra a mo’ di biglietto. Sopra nessuna citazione, solo un misterioso messaggio: “Ti somiglia”. Lo scarto e dentro c’è un piccolo gufo di stoffa di vari colori (ma in prevalenza verde), simile ad una pallina con le orecchie. Al posto degli occhi ha due grandi bottoni e le zampine sono due campanellini. -Oddio, ma è bellissimo!- fisso il portachiavi con un sorriso, cercando nei suoi occhi qualcosa di intelligente da dire. L’unica cosa che mi viene in mente e mi sconvolge è ogni singola cosa che fai mi porta a pensare che potrei innamorarmi di te, per cui, ti prego, smettila. -Non è vero che mi somiglia.- Non è una cosa intelligente, non è quello che penso ma è la cosa migliore che potesse uscire dalla mia bocca. -Invece sì, come a Roma. Love sconvolto è Love gufo.Passo ossessivamente con lo sguardo dal gufo a Sacchi e viceversa. –Grazie, ma non dovevi.-Volevo.Quando mi risponde così le mie capacità di replica non esistono, e vengono mandate in frantumi da una sua semplice parola. Penso a come devo essere, visto da fuori: un ragazzo coi capelli biondi che cerca inutilmente di trattenere la felicità per un gufo di stoffa. –È il più bel regalo che mi abbiano mai fatto.-Figurati.- Jacopo mi dà una virile pacca sulla spalla, ma mi sembra che la sua mano indugi un po’ troppo prima di tornare nella sua tasca. Mi sto facendo dei viaggioni pesanti. Leonardo, trovati. -Che vuoi fare?-Allora: siccome siamo entrambi single e scaricati, ci comportiamo da single scaricati comprando la Torta del Depresso e mangiandola davanti ad un film strappalacrime.L’osservo attentamente per cercare la più minima traccia di una farsa, ma la sua espressione da idiota dimostra solo le sue convinte intenzioni. -Sacchi, il 15 febbraio era 4 giorni fa, e noi non siamo stati scaricati. Non da così poco, almeno.Mi guarda, deluso. –Cazzo, ma io volevo la torta…-Ah, facciamola.- il problema è stato risolto in meno tempo del previsto, e la soluzione è anche facile. -Ma io non ne sono capace!- si lamenta lui, con una faccia da cane bastonato e la voce simile ad un guaito. Il solito teatrante. -Ma io sì, mio padre al ristorante si occupava anche di dolci, e io l’ho aiutato spesso.La sua bocca si apre con un gesto di stupore e poi, con un braccio alzato in un gesto da supereroe zuccheromane dice: –Cosa stiamo aspettando!Dato che non sono sicuro di avere tutta la roba in casa decidiamo di andare al supermercato, ed è un’esperienza che non ripeterò tanto presto. Sacchi decide di parlare con accento moldavo (o russo, non so la differenza e non mi interessa) e va apposta contro i carrelli della gente per poter chiedere scusa con la sua nuova nazionalità. Il bello è che tra i due, quello straniero sembro io, per cui guardano male anche me che non sto facendo assolutamente niente. Finita la sceneggiata esteuropea si appoggia con gli avambracci al manico del carrello e, chinato a novanta, comincia a commentare tutto quello che compro. -Love, ma davvero serve tanta roba?-Oh, Love, già che ci siamo prendiamo le codette di cioccolato?-Love, ma alla fine a cosa la facciamo?-Oh, Love, compriamo i popcorn?-Love, ma le codette di cioccolato non ci servono proprio, eh?-Love, le vuoi le pantofole delle superchicche?Ora siamo a casa, e non ho fatto in tempo ad aprire il sacchetto che me lo sono ritrovato già sporco di farina. Gli metto in una mano una ciotola e nell’altra una frusta, lui ricambia i miei gesti con uno sguardo vacuo. –Toh, mescola finché non diventano più chiari e spumosi.-Che c’è qui dentro?-Tuorli e zucchero.- Spero che il ripetitivo movimento di sbattere le uova lo calmi, e mi metto a setacciare la farina. -Vanno bene così?Mi volto, e Sacchi si sta portando alla bocca il dito indice sporco di impasto, lo sta succhiando con le guance incavate e mi guarda con un’espressione da maniaco sessuale. È la caricatura di qualcosa di sexy, e mi viene da ridere mentre penso che forse Darwin non aveva considerato la possibilità che alcuni individui possano risultare più attraenti di altri, anche se stupidi. –Sì, vanno benissimo.-Sacchi, ti va un tè?Io non so come si faccia ad essere così coglioni e ancora in vita, si vede che da qualche parte Darwin aveva dimenticato una postilla. -Volentieri.- dice, chiudendo il forno con un colpo di bacino e un’espressione da maniaco che sta cominciando a diventare familiare. Si può essere più deficienti? Mentre aspetto che l’acqua bolla valuto lo stato della cucina e dei nostri vestiti. Io non ho che uno schizzo di impasto gettatomi da Jacopo sulla maglia, mentre lui sembra un piano di lavoro imbrattato da secoli di torte. -Tu così sul mio letto non ci sali.-Se mi dai una maglietta mi cambio.Valuto brevemente la possibilità di vederlo di nuovo seminudo, e poi di vederlo con una mia maglietta sul mio letto. Maglietta che prenderà il suo odore, o maglietta che mi vedrò restituita con l’odore di pulito di casa Sacchi, maglietta che… no, non è una buona idea. –Ma no, dai, a pensarci bene devo cambiare le lenzuola, fa lo stesso.Ricevo un lungo “uh” in risposta e un marcato ammiccamento. -Cosa?C’è uno scambio di sguardi significativo. Lui ammicca un “so che hai fatto qualcosa”, io nego. Lui insiste facendo spallucce e alzando le sopracciglia: “eddaiiiiii”. -No.- replico secco, perdendo la muta battaglia ma sperando di vincere la guerra. -Magari c’era un motivo particolare per cui dovevi cambiarle.-No.- rispondo con un tono ancora più brusco. Sacchi sbuffa, scocciato. –Non c’hai mai niente da raccontarmi.-No.Versiamo l’acqua nelle nostre tazze e ci dirigiamo in camera. Jacopo, prima di sedersi mi sorride con aria trionfante e mi indica. Suppongo che abbia realizzato che qualcosa da dirlo ce l’ho, anche se non ho la minima idea di cosa possa essere. –E invece qualcosa da raccontarmelo ce l’hai!-No…?- sono scettico e perplesso, anche un tantino preoccupato. Cosa diavolo vuole sapere? -Hai avuto il moroso, te lo sarai pur scopato.In questo momento penso di avere la stessa faccia del mio regalo. Gufove. Senza contare che sento uno strano calore, il che può significare solo che sto diventato più rosso di una barbabietola. È una cosa che odio, ma non posso evitarla. -NO!-Daiiiii. Io non ho mai scopato con un uomo.- Si siede accanto a me con aria implorante, ma io non cedo e continuo a negare. –Raccontamelo!-No, no, no, no, chiedilo a qualcun altro.- appoggio la mia tazza sul comodino accanto a me, per essere libero di rigirarmi gli anelli, in un tentativo alquanto misero di stemperare l’agitazione. -Non posso, se lo chiedo ai miei migliori amici mi sale lo sbocco.-I tuoi migliori amici sono gay?- ripenso a Roma e alla telefonata che ha fatto mentre era seduto sul mio letto a torso nudo e realizzo che, probabilmente, l’aveva definito super gay perché è davvero un super gay. -Giulio è molto gay, Cavazza non lo è per niente, però stanno insieme da 6 mesi e nessuno dei due ha ancora deciso di lasciar perdere.-Com’è che Cavazza che non è gay si è messo con Giulio?Ehi, Sacchi, lo sai che da quando ti conosco sono veramente bravo a sviare l’attenzione? -Si è preso una svalvolata atomica. E Giulio riesce a tenere a bada quel suo carattere di merda.-Ah….- c’è un attimo di silenzio e io sono sorpreso di aver evitato l’argomento ancora una volta. Bevo il mio tè, trionfante. -Non hai risposto alla mia domanda. Com’è scopare con un uomo?Gufo, di nuovo. Ancora di più. Sono una civetta. -Non puoi cercare su internet?-Ma io voglio che me lo racconti tu, non un perfetto sconosciuto su internet!-Ci sono un sacco di bellissimi libri con…-Non me ne frega un cazzo.Gonfio le guance, emettendo un lungo sbuffo infastidito. -Dai, Love…- mi incalza lui. Abbiamo un’altra conversazione fatta di sguardi, in cui lo imploro di non chiedermelo, e lui risponde con un sorriso accogliente e poi pregandomi, quasi in ginocchio, di dirgli quello che so. Cedo. Mi viene in mente che non è la prima volta e, temo, non sarà neanche l’ultima. -Allora. Ci sono tre cose essenziali: lubrificante, dita e preservativi. Ora, siamo entrambi adulti e non ti spiegherò esattamente dove va messo cosa, penso che tu lo sappia. Ci sono un paio di accortezze preliminari quali fare un clistere, tipo… sarebbe una buona idea…- faccio una pausa perché penso di star per prender fuoco –e le dita servono per preparare ed evitare di far male all’altra persona, soprattutto se è la prima volta. Il lubrificante è essenziale perché, non essendo stato destinato a quello, è un po’… angusto? In linea generale se fa male non va bene. Ma questo anche nel sesso etero.- sorrido, imbarazzato. –Penso che sia tutto.-Mh. Be’ dai, aveva ragione Cavazza, non cambia neanche tanto. -Non potevi chiedergli anche il resto?- una parte di me vorrebbe prenderlo a calci fino a fargli diventare viola il sedere; un’altra, piccola, testarda e insistente parte di me vorrebbe semplicemente consigliarli “prova, no?”. -Ti ho già detto che i dettagli mi avrebbero fatto vomitare.-Ah, per i dettagli che ti ho detto io… e che non ti dirò!- aggiungo in fretta, prima che gli salti in mente di volerne sapere di più.-Peccato.- dice, ammiccando. E per fortuna, altrimenti l’avrei preso sul serio e… no, meglio non pensarci neanche. Quando sento suonare il campanello del forno faccio un piccolo salto. Non me l’aspettavo, non mi sembrano passati 40 minuti, ma il timer dev’essere più obbiettivo di me. Sacchi mi segue mollemente in cucina, scontento di dover scendere dal letto e si siede con uno dei suoi tipici sbuffi. Gli servo una fetta con una certa apprensione, preoccupato del suo giudizio. Jacopo ne morde cautamente la punta e la mastica molto lentamente, guardandosi attorno, incurante del mio stato d’animo. -Certo che si sente quanto sono stato bravo a sbattere le uova.Lo mando a cagare con lo sguardo. –Eccerto.Mi sorride, contento. –Ma sì, dai, i dolci li sai fare.- poi si allunga e mi spettina i capelli. Trattengo l’ennesimo gufo per il contatto fisico inaspettato, ma non riesco ad impedirmi di irrigidire mentre la sua mano è ancora sulla mia testa e lui continua a mangiare la torta come se non ci fosse nulla di strano. Guardo preoccupato l’orologio. –Sono le sei, non hai qualche bella ragazza da infastidire stasera?- Jacopo, per tutta risposta, si alza, dà l’ultimo morso alla torta, finendola, e si allontana senza degnarmi di una risposta. –Ma dove vai?-Mi mandi via?- chiede con tono languido. È sdraiato sul letto di pancia, con la schiena leggermente incurvata e un braccio sotto la faccia. Vedo spuntare solo un occhio, ma è abbastanza provocante da… censuro, per la mia salute mentale, l’ennesimo pensiero fuori luogo. -Ehm… è che…-Vedi qualcuno tu?- ammicca, sempre con la solita malizia da puttana incallita che le ha viste tutte, ha soddisfatto tutti i desideri e ora gode solo a sapere le avventure sentimentali dell’amica verginella. Avvampo, di nuovo. Oltre che un gufo devo sembrare un camaleonte. -Sì, in realtà sì, ma non ne ho tanta voglia.Mi assorda con un: -MA IO VOGLIO SAPERE!- -Non ti riguarda, Sacchi.- tento di tagliare corto un discorso che non voglio affrontare. -Ma come non mi riguarda!- Il tono e l’espressione che assume potrebbero concorrere per il premio di “miglior capriccio dell’anno”. E anche vincere. -Riguarda solo me e lui, anzi, lui pure meno perché io non ci volevo uscire ed è tutta colpa di Beppe e della mia incapacità di dire di no.-Ma io e te siamo amici, uffa, tu non mi racconti mai niente.E, ancora una volta, Sacchi ha vinto la battaglia per farsi i cazzi miei. Gli racconto quel poco che so sul conto di Davide, una serie di informazioni poco utili che mi ha dato Beppe e qualche messaggio scambiato con lui durante la settimana. -Si chiama Davide, lavora per mantenersi e fa la raccolta differenziata da quando vive solo, quasi 5 anni. È alto, moro, occhi chiari, ma Beppe non ricorda il colore esatto. Fine.Dalla descrizione fisica assomiglia ad Alle, questo lo rende il mio tipo? Sacchi annuisce e mi informa che l’ultimo treno ce l’ha a mezzanotte, e che se ne andrà quando glielo dirò. Lo osservo per la millesima volta, cercando di ridurre il suo viso a linee tracciabili su un foglio e penso che io, un tipo, non ce l’ho e non lo voglio. Mi basta qualcuno che mi faccia contento. Nel tentativo di districarmi tra i miei stessi pensieri provo a schematizzarli. Dovrei uscire con questo tizio per cui Beppe mi ha esasperato? Sì. Voglio che Sacchi se ne vada? No. Voglio uscire? No. Voglio rimanere qui con lui? Sì. È una buona idea? Ovviamente no. -Sacchi. Ma tu…-Cosa mi stai per chiedere.Voglio colmare questa distanza che sento, non voglio che un mio stupido desiderio rovini la nostra amicizia. Voglio essere normale, voglio sentirmi davvero a mio agio con un’altra persona… voglio sentirmi sempre come mi fa sentire lui, contento. -Tu… lo soffri il solletico?- lo attacco a sorpresa, sperando di aver trovato un suo punto debole. Invece rimane impassibile. -Io no, ma tu sì.- con aria soddisfatta è lui a farmi il solletico e io, al solito, finisco per soccombere. Cerco in tutti i modi di fermarlo, ma finisco praticamente sdraiato sul suo petto, con le mie mani tra le sue, bacino contro bacino e una serie infinita di pensieri che non vorrei fare. -Guarda che se continui così all’appuntamento mica ci vai!- non vedo se sta sorridendo, ma lo sento dalla sua voce, dal suo tono felice e dalle sue labbra vicino al mio orecchio. -Guarda che se continui così all’appuntamento mica ci vado.Mi pento immediatamente delle mie parole, che sembrano tanto una confessione che non sono pronto né a fargli né a farmi. L’atmosfera ha un repentino cambiamento: da quella frenetica della lotta ad una tensione statica e imbarazzata. Ho rovinato tutto… Jacopo mi dà una mano a sollevarmi e mi fissa, serio. -Allora?Ho un tuffo al cuore. Di cosa stiamo parlando, realmente...? È come sempre tutto nella mia testa? Immagino tutto questo per farmi del male o anche lui sente quest’aria pesante carica di ambiguità? -Sacchi, tu perché vuoi rimanere qui?Jacopo, ti prego, dimmi qualcosa, così io posso fare qualcosa… -Non è che voglio rimanere qui, sei tu quello che ha un appuntamento e non sembra intenzionato ad andarci.No, se tu continui a stare qui così la voglia di uscire sicuramente non mi viene. –Io dovrei andarci…- -E allora vacci!- Jacopo si mette a sedere, pronto per alzarsi e andarsene. Allora mi sono immaginato tutto, sul serio. Tiro un deluso sospiro di sollievo. -Ah, sì, va bene…- mi alzo, ben intenzionato a sbatterlo fuori e chiamare Davide per dargli buca. -Se però me ne vado ci vai.Ma che fa, mi legge nel pensiero? Faccio spallucce, improvvisamente intrappolato dagli eventi senza via di fuga. Lo sguardo di Jacopo rimprovera la mia paura. Tento inutilmente di camuffarla per pigrizia, ma fallisco. -Dai, ti ci accompagno io, vatti a far la doccia.-Ma, cosa, no! Sono capace anche da solo, sai?-Di te non mi fido, vatti a far la doccia che ti aspetto, io prendo il treno dopo.- dice, apostrofandomi con il dito che indica il bagno. Sacchi vince sempre. Questo devo imparare ad accettarlo. Mi lavo e mi asciugo, insoddisfatto del mio comportamento, pieno di sensi di colpa per l’istinto che Sacchi scatena in me e che non riesco a tenere a freno. Sono deluso da me stesso e dalla mia totale e assoluta incapacità di essere vagamente normale. Anche come gay faccio pena, guarda tu, mi vado a prendere una sbandata per un ragazzo etero, che non solo non ricambierà mai, ma ha pure la fila di donne che gli sbavano dietro. Ma, in fin dei conti, cosa voglio? Io non la voglio una storia. È passato troppo tempo. Lo so che è un’obiezione stupida, e che non ha senso tirare in ballo da quanto io e Alle ci siamo mollati per avere un nuovo ragazzo. È che non voglio passare attraverso tutto, di nuovo. Non per qualcuno che non ne valga la pena. E anche se non lo conosco, Davide mi ha già rotto. Ma mi tocca uscirci, perché Sacchi è nell’altra stanza e mi porterà a quell’appuntamento, anche a suon di calci nel culo. -Eccomi, sono pronto.-Uh, mi ero appisolato!- Sacchi si gira di pancia, stiracchiandosi come un gatto e facendo sporgere il suo culo. Se lo faccia apposta o meno rimane per me un mistero. -Ecchecculo.- e che culo davvero. -Ma per uscire ti metti quella roba?- accenna alla felpa di Greenpeace che ho addosso, mettendosi a sedere e sistemandosi i capelli con una mano. -Ci siamo messi d’accordo così, altrimenti come facciamo a riconoscerci?Sacchi mi squadra scuotendo la testa, e sorride con una certa tenerezza. Ma penso di essermela solo immaginata, perché ora mi sta intimando di sbrigarmi sennò arriviamo in ritardo. Non gli dico che l’appuntamento è solo mio, dato che non siamo gemelli siamesi, e chiudo la porta con un sospiro. In autobus Sacchi tace e sbadiglia, mentre io mi tormento con le mie solite paranoie. Come andrà? Come sarà? Perché continuo a pensare che vorrei incontrare Jacopo sotto le torri e non questo sconosciuto? Sono così perso nelle mie elucubrazioni che per poco non manco la fermata. –Sacchi, dobbiamo scendere qui.Jacopo mi segue lentamente giù dall’autobus, guardandosi attorno circospetto, ammiccando alle ragazze più carine e fissando passanti maschi che si avvicinano, suppongo, alla ricerca di Davide. -Dov’è?-Ah non lo so. L'appuntamento era sotto la statua di San Petronio delle torri, e noi siamo dove dovremmo essere. Dove io dovrei essere.Jacopo mi guarda facendo qualche passo all’indietro. –Forse dovrei allontanarmi...- si gira fischiettando un motivetto e accelera il passo. -No, ma dove vai, non lasciarmi solo!- lo riagguanto per maglia, trascinandolo al suo posto vicino a me. Al suo posto vicino a me. Cos’è, la mia nuova coperta di Linus? La parola coperta mi fa venire in mente un letto, e l’immagine che mi salta in mente subito dopo, data l’associazione tra le parole coperta e letto è Sacchi. E nudo. Scuoto la testa nel tentativo di cancellare tutta questa pornografia e guardo Jacopo. Tentativo fallito. Se possibile è pure peggio perché le mie fantasie si colorano di un certo realismo che mi rende ancora più difficile ignorarle. -Ma sei sicuro che arrivi?-Credo di sì…-Non è che la tua radiosa bellezza l’ha accecato e ora ci tocca cercarlo mentre vaga a caso per via Zamboni?Gli tiro una sberla, e lui mi risponde con un piccolo pugno su una spalla. Ad interrompere questa schermaglia è un ragazzo, corrispondente alla descrizione di Davide, che si avvicina titubante. Mi blocco e ricambio lo sguardo stranito, mentre Jacopo si allontana un po’. -Leonardo?- chiede, esitante, allungando la mano. -Sì. Tu sei Davide?- gliela stringo, e la stretta è forte e sicura. Forse non andrà tanto male, e forse mi passerà la cotta che ho maturato oggi per Sacchi. -Mi hai scoperto.Forse non cambierà niente. Sento il braccio di Jacopo stringermi il collo, Davide chiedere –E tu sei?- e Sacchi dire –Il fratello, molto piacere.Mi divincolo dall’abbraccio, e gli tiro una sberla più forte della prima. –MA SEI UN IMBECILLE!Davide è leggermente perplesso e mi guarda alla ricerca di una risposta. -Non è mio fratello, è un mio compagno di università deficiente.Sacchi ride soddisfatto di aver fatto una pagliacciata delle sue: -È vero, in realtà l'ho accompagnato perché da solo si vergognava.- così dicendo mi prende la testa e mi da un bacio sulla guancia. Nonostante la figura di merda e la sua faccia da schiaffi, vorrei che si fermasse un po’ di più. -Vattene, stronzo!-Seh, ciao. Ci vediamo all’uni.- Jacopo mi sorride, salutandoci con la mano da lontano. Un po’ lo odio perché se ne sta andando lasciandomi in balia di questo Davide. -Sembra simpatico.Davide, perdi punti. Non è solo simpatico, è anche un figo pazzesco, è intelligente, carino, gentile, mi capisce, sa starmi vicino anche quando sembra troppo invadente, mi piace la sua presenza nella mia vita. MERDA. -Lo è, è solo un po’ matto.Davide mi guarda, con un sorriso spaesato e imbarazzato da paresi facciale. –Ti va una birra?-Massì, dai, perché no.È domenica mattina, e non ho dormito molto. Mi sono rigirato tutta notte, arrovellandomi tra i sensi di colpa, i pensieri a sfondo sessuale e la voglia di farmi una sega pensando a… -Sacchi.-Dovevi chiamarmi.- il tono di rimprovero è calcolato alla perfezione, ma biascica le vocali. -Pensavo che per te fosse l’alba.-Infatti ho preso due moke di caffè.Anche se non lo vedo riesco ad immaginarmi perfettamente la sua faccia dall’altro capo del telefono. -E tutto per chiamarmi per sapere della mia vita amorosa?-Sì!- Tono felice, risposta celere, la voce di chi sta sorridendo. –Cioè no.- Aggrotta le sopracciglia, si tira una ciocca di capelli, serra la mascella. –È che mia mamma mi ha svegliato presto perché aveva da rompere.Ed ecco la verità, sempre l’ultima della coda nelle parole di Jacopo Sacchi. Rido. –Non è successo niente. Ci annoiavamo a vicenda e non è scoccata alcuna scintilla.-Non ti credo.-Eh, oh. Cazzi tuoi.-Sei una palla unica.-Tu un tedio di dimensioni colossali!- Non avendo altro da dirci, ci salutiamo senza troppi entusiasmi, e non so come ma mi alzo e sono abbastanza lucido per fare un tè. La mia giornata passa lenta, in attesa di una rivelazione divina che mi riporti sulla strada della sana omosessualità in tempi brevi. L’appuntamento con Davide non ha fatto altro che palesare quanto Sacchi si sia intrufolato nei miei pensieri contro la mia volontà, e quanto io non faccia altro che crogiolarmi nell’ipotesi, assurda, di avere una minima possibilità. Lo devo dimenticare, o quantomeno mi devo far passare questa sottospecie di cotta. Giuro che lo dimentico, giuro che mi passerà… lo giuro. Però… rigiro il gufo tra le mani, sorridendo. Magari ci penso più tardi. Quando sento la porta sbattere scatto come un centometrista in cucina, giusto in tempo per permettere a Claudia di saltarmi addosso urlandomi: -Ciao Leo!Vorrei che la mia vita fosse fatta solo di questo attimo, in cui le braccia di una persona che ti stringono ti fanno sentire a casa. -L’appuntamento con il fantomatico Davide?-Boh, normale.-Era brutto?-Ma no, era carino…-Aveva un terzo capezzolo?-Claudia, ma che…? Ma no!-E allora cosa aveva che non andava? -Non so, boh… non sembra valerne la pena.-Non sai neanche chi è! Escici un’altra volta almeno, dai! So che i tuoi ti avrebbero voluto almeno prete, ma non puoi metterti a fare la suora di clausura! E il cattolicesimo trans gender poi non è ben visto dai vertici del clero…Scoppiamo entrambi a ridere e l’aiuto a sistemare la sua roba. -Per cena ti va una torta salata?-Sei il coinquilino più bello del mondo. Che hai fatto questo weekend? A parte annoiarti con Davide.-Visto Jaco.-Ah.Corrugo la fronte e faccio spallucce. –Perché?-È per lui che non è andata con Davide?-Ma no, ma cosa c’entra…-C’entra, pendi dalle sue labbra!-Fidati che se pendessi dalle sue labbra tu non saresti qui e io non sarei vestito.Ride, sonoramente. –È etero.-Lo so.-E allora dimenticalo.Dovrei trovare inquietante il fatto che Claudia sappia leggermi nella mente anche a più di 150 km di distanza, ma la cosa mi rassicura. Peccato solo che sia finita ancor prima di cominciare, persino nelle mie fantasie. -VESTITI, COGLIONE!- è la prima cosa che sento questa mattina e l’ultima che sentirò nella vita. Qualcosa mi dice che rimarrò sordo e rimbambito per il resto della mia breve e giovane esistenza. Sono felice di constatare che i miei timpani non sono sfondati quando mi sento urlare una bestemmia e un –MA TI SEI RINCOGLIONITO?Allungo un occhio verso l’orologio. Cavazza. Sono le 6. Perché? -Sì, vecchio! Dai che dormi in macchina!Ma che macchina e macchina, io voglio il piumino! –Dio, come ti odio!-Amami!-TI INCULO!Lui ride, io alla fine mi alzo. Barcollando, ma mi alzo. Provo a tirargli qualcosa di simile ad un pugno sulla spalla, ma sembra che gliela voglia sprimacciare, più che gonfiare. Lui non smette di ridere, avrò dei capelli da panico. –Che poi, che cazzo vuoi tu? Cosa ci fai in casa mia all’alba?-Febbraio, fine febbraio. Sei un vecchio, vez! VENTUNO!Merda. C’è da dire che ho un’ottima memoria per certe cose. -Appunto, mi farai morire d’infarto.- dico, sbuffando e disordinandomi in modo più figo i capelli con una mano. Vittorio mi scuote, mi incita e mi convince a cambiarmi e a muovermi nel farlo. Sono pronto, bello come il sole che oggi non mi bacerà, troppe nuvole. Ogni tanto si vergogna anche lui. -Cosa mi stai per fare?- gli chiedo, con disinteresse tutt’altro che finto. -Portare al mare.-Perché.- Inarco le sopracciglia e arriccio le labbra. C’è sicuramente sotto qualcosa se Cavazza mi propone una cosa del genere. Non ci credo che lo fa per buon samaritanesimo. -Perché così non fiacchi il cazzo.-Ottima idea, andiamo al mare il 28 di febbraio che sicuramente c'è il sole!-Se ti porto in montagna poi ti incazzi!- Che cazzo cambia da mare a montagna, il 28 di Febbraio? Il mare è troppo freddo per fare il bagno e la neve è sciolta. Bella roba! -VA BENE IL MARE!-No. Adesso stiamo qua. Così impari.-Cavazza, mi hai svegliato alle SEI DEL MATTINO, adesso mi fai fare qualcosa, e di divertente pure!Lui mi ammicca e ride. –Una sega!- dice, come se non mi conoscesse, o come se mi conoscesse troppo bene e aspettasse la mia reazione che non tarda certo ad arrivare. Faccio per slacciarmi i pantaloni che mi sono appena abbottonato. –Metti via il pappagallo, uccel di bosco!- mi ferma lui, soffocando una risata. -Allora portami al mare.- Alla fine l’idea non è così male. Mi faccio portare in sala giochi. E poi sulla spiaggia a sentire quanto è fredda l’acqua. E come soffia il vento quando hai un anno in più. Il fatto che la Sega abbia fatto un gioco in cui tu devi reggere una canna e pescare pesci non ha che contribuito a creare un grande inizio per un alternativo compleanno. Cavazza sembra tornato ai tempi del liceo, quando ancora non gli avevo presentato Giulio e nessuna idea frocia gli aveva mai attraversato il cervello. Adesso invece se lo scopa, studia chimica e chi s’è visto s’è visto. Lo so, è anche colpa mia se non ci vediamo così spesso. Non mi sono mai fatto troppi problemi a lasciare le relazioni allo sbando, visto che in un qualche modo chi mi voleva mi cercava e tanti saluti alla responsabilità sociale, però è in situazioni come questa che mi sento anche un po’ in colpa. Siamo sdraiati sulla sabbia, avvolti in asciugamani, coperte e giacconi perché fa un freddo criminale, guardiamo la giornata grigia come due vecchi nostalgici dei periodi giovanili e provo la stessa sensazione che provavo quando, con qualche occhiata, pochi e significativi gesti e le parole necessarie riuscivamo a suggerirci intere risposte di filosofia o scienze durante le verifiche, nonostante i prof ci avessero diviso apposta per non farci copiare. Guardo il suo profilo concentrato a sembrare indifferente. -Merda vecchio, più cresci e più diventi figo.Non stacca lo sguardo dall’orizzonte finché non dice –Se avessi una madre parlerebbe così.- e mi guarda. Poi sorride con le labbra e mi ringrazia con gli occhi. Torniamo verso sera. Mangiamo una piadina-merda sulla via Emilia prendendo per il culo la gente che passa a mo’ di comari pettegole, poi Cavazza propone un puttan tour, che io non posso certo disdegnare. In realtà il giro che mi fa fare è solo vagamente puttanesco, e questo mi fa ricordare il sospetto iniziale che il suo risveglio mi aveva provocato. Vedo la macchina seguire un’inesorabile corrente di deriva verso casa di Giulio (di cui Cavazza ha preso in affitto la mansarda), nella quale entriamo fumando una paglia in due perché siamo belli e nati per partenogenesi gemellare dal naso di un pagliaccio. Il mio condivisore di fumo saluta Donatella, la madre di Giulio, e io lo seguo a ruota. Lei ci risponde dalla cucina, allegra. Mi porta su da lui. Qualcosa non mi quadra. O forse va bene che non mi quadri. Solo che non mi voglia uccidere… Succede tutto più o meno in fretta, tipo Jack-in-the-box. Nessun colpo di pistola, nessun coltello insanguinato, niente fumogeni. Solo gente che urla “BUON COMPLEANNO!”. Giulio è in pole position e, non appena mi vede sorridere, corre ad abbracciarmi. -Grazie, coniglietto bello.- gli dico con reale riconoscenza. -Figurati.- mi risponde, con gli occhi illuminati. Cavazza ha già abbandonato la sua pelle da amico in privato, ha acchiappato una birra, si è tenuto la nostra sigaretta ed è strisciato via, nascondendosi tra la folla. Giulio si allontana da me per seguirlo e lasciare spazio agli auguri degli altri. Subito dietro di lui stava la Fre, che sembrava più degli altri non aspettare altro che il mio arrivo. Mi bacia sulle labbra, io la saluto con un –Buonasera, splendore.- che so che le piace, infatti brilla tutta di felicità, le appoggio un braccio su un fianco e mi guardo attorno. Con lei sottobraccio faccio la parte della star e vado a prendermi gli auguri dai ragazzi di Informatica e Chimica (quelli del laser game, insomma), nonché regali a profusione. Cavazza me li ha regalati al cioccolato, ‘sta volta, i preservativi. Da quando ha deciso che per ogni festività me ne avrebbe regalata una scatola diversa è passato qualche anno, e ora non sa più cosa inventarsi. Gli altri mi hanno rifatto il guardaroba e fornito giochi per l’estate. Mi ritrovo a controllare l’etichetta delle magliette, sperando che non siano di poliestere, mentre la Fre mi assale e mi tasta i fianchi. Il collegamento, poi, è scontato. -Ferma, ferma, ferma. Qua manca qualcosa.- dico, e cerco Giulio tra la folla. Lei non mi lascia. –Ballerina!- lo chiamo –Non hai invitato Love!Giulio si gira interdetto verso di me. -Ah!- La sua espressione si deforma in tristezza cubista. –Oddio, non c’ho pensato, e non avrei saputo come fare… ci tenevi?-Eh… vabbè, fa lo stesso.- cerco di minimizzare, dopotutto gliene ho parlato solo poche volte e davvero sarebbe stato un mostro dello stalking se fosse riuscito a contattarlo senza farmelo sapere. Me ne vado, voltando le spalle a Giulio e al problema che sono sicuro di avergli creato. Prendo fuori il cellulare, apro una finestra e mi ci appoggio, il freddo non è neanche così pungente, cerco nelle ultime chiamate e premo il tasto verde. -Pronto!-Amore!-Ciao Sacchi! Ma dove sei? C’è un casino immane!-Sono alla festa a sorpresa del mio compleanno a cui quel cane di Giulio non ti ha invitato!Sono un po’ brillo. Avrei potuto tenerla più per le lunghe. -Oh. Auguri!- Leggo nel suo tono un’iniziale delusione, ma ci faccio poco caso. -Grazie! Io vorrei un sacco che ci fossi anche tu, ma i miei amici fanno pena.- piagnucolo, il mio tono di voce pesta i piedi. Una Fre torna all’attacco, e prende a baciarmi dolcemente il collo. -Non sapevano come fare, dai, non mi conoscono nemmeno.- Si sente dalla voce che sta sorridendo, e non posso che farlo anch’io. –La mia coinquilina rompe le palle e ti saluta.-Ciao stella!-Sì, ciao stella.- dice, rivolto a lei, poi torna a me. –Ti stai divertendo?-Abbastanza, sì.- Lancio un’occhiata alla Fre, che non sembra avere intenzione di smettere di tediarmi, e anzi, mi chiama ad alta voce, tanto che Love la sente e mi intima di continuare con la festa, rassicurandomi che ci saremo visti in università. Ci salutiamo con qualche battuta e una promessa da parte sua di farmi assaggiare i fagioli freddi che sta mangiando (al solo pensiero mi sale lo sbocco), e la chiamata finisce. Non faccio in tempo a infilarmi il cellulare in tasca che la Fre, cogliendomi di sorpresa, mi gira e mi bacia, con tanto di lingua e gamba tra le mie. -Ma tu che hai, stasera?- le chiedo, dosando bene malizia e serietà. -Tanta voglia di te.- mi risponde. Non è mai stata una brava ragazza. -Niente di nuovo, insomma.-Forse sì… ti devo dare il mio regalo.- sussurra, e mi trascina in bagno, dove già so cosa succederà. E infatti chiude la porta, mi appoggia ad una parete e si china su di me, mi slaccia i jeans e, devo ammetterlo, in modo molto sensuale si abbassa e lo prende in bocca, esattamente quello che mi aspettavo. Comunque la sensazione delle labbra sulla pelle è sempre un piacere unico, le vengo in bocca e lei, non ho ancora capito che ci sia di tanto bello, ingoia. Si pulisce con il pollice, e mentre risale tira fuori qualcosa dalla tasca posteriore dei pantaloni, che mi sventola davanti. –La prossima volta che scopiamo usiamo queste!Sono manette ricoperte di soffice pelliccia rosa. Le prendo con una mano mentre con l’altra mi riallaccio i pantaloni, e non riesco a trattenere un sorriso mentre la guardo. Mi sta chiedendo con tutto il corpo, tranne che con la voce, di essere scopata, lì e subito. Ma ho una festa, ora, magari tra un po’. Le prendo il mento tra le dita e le bacio le labbra. Non sembra soddisfatta. Cerca di infilare la lingua, io non le do troppa corda e la allontano tra le sue proteste mugolate. Si gira e fa per andarsene, offesa, io le prendo un polso e la riporto da me. –Dai, non fare la donna e fammi felice, che è il mio compleanno!Lei sorride, sembra essersi convinta. Usciamo insieme, Cavazza è fuori che bestemmia contro di noi perché aveva da pisciare. Io me la rido sotto i baffi. La festa va via liscia. Capitano un milione e mezzo di cose che mi fanno pensare a Love e a come mi sarebbe piaciuto averlo lì e presentargli la parte della mia vita che ancora non conosce, ma l’alcol annega queste delusioni in maniera divina, e anche la patata non è certo da sottovalutare a questo proposito. Non abbiamo usato le manette, perché in bagno non avrei saputo dove attaccarle, ma abbiamo inaugurato i preservativi al cioccolato. Abbiamo riso come coglioni perché più che cioccolato sembrava segatura (chissà perché) e tra una battuta e l’altra è stata una scopata più che soddisfacente. È ora di andare a casa. Sono già andati via tutti, ho aiutato a riordinare la mansarda che era in condizioni pietose, sono le due passate e faccio fatica a reggermi in piedi per via dell’alcol e della sveglia militare che Cavazza mi ha propinato stamattina. Per fortuna abito vicino. -Dove pensi di andare, tu?- mi chiede Giulio quando faccio per raccattare la mia roba e andarmene. -A casa?- A questo punto niente è scontato. E infatti spunta Cavazza armeggiando con una borsa che riconosco essere la mia borsa di calcio. –Sfigato, tu dormi qua.Sorridono entrambi, sapevo che la parte bella della festa doveva ancora arrivare. Mi limito ad abbassare lo sguardo e a sorridere di rimando, perché di più non me la sento di fare. –Vecchi, siete perfetti. Non è che posso anche farmi una doccia?-Nel mio bagno, su.- dice Cavazza, indicando il piano di sopra e lanciandomi la borsa. Per grazia divina, riesco a prenderla senza cadere, facendo un giro su me stesso per il contraccolpo. Apro la borsa e amo mia madre, perché oltre ad un cambio completo, il mio beauty e un asciugamano, c’ha messo anche i preservativi. Avendo usato quelli al cioccolato non mi sono serviti, ma la mamma che fa una cosa del genere è indiscutibilmente Dio. Mi faccio una breve ma rilassante doccia calda, per lavarmi via le tre S che hanno reso la giornata indimenticabile, sabbia sudore e sesso. Mi asciugo bene, metto tutto a caso nella borsa, mi infilo i boxer e vado in camera di Giulio. I due piccioncini sono già sul letto, abbracciati, hanno appena finito di limonare. Proprio perché sono loro, non riesco a trattenere un “oh” di disgusto, perché la mia mente già li vede scopare e la scena non mi piace. Cavazza mi tira un cuscino e si separa da Giulio, facendomi spazio in mezzo a loro. La checca protesta, io mi butto a bomba e lo faccio protestare più forte. -Profumi!- mi dice Cavazza annusandomi il collo. -Del tuo bagnoschiuma!- rispondo, reggendo il suo tono da brillo deficiente. -Al cocco, me l’ha regalato l’offeso sull’altra sponda.Bisogna capire che queste battute tra noi sono consuete, se non d’obbligo. Ma il tono di Cavazza e la faccia da quadro novecentesco di Giulio mi fanno piegare in due dal ridere in ogni caso. -Allora, piaciuta la festa?- mi chiede Cava. -Sì…- rispondo laconico, poi aggiungo –Ma mancava Love!- giusto per far piangere la Ballerina. -Ma chi è ‘sto frocio?- attacca subito Cavazza, senza reale volontà d’offesa né di predizione; questo mi fa ridere ancora di più. Glielo spiego, e concordiamo che non era possibile contattarlo senza farmelo sapere, e allora addio festa a sorpresa. Riusciamo anche a consolare Giulio e a convincerlo che non era colpa sua. Poi Cavazza propone un Soffitto. Soffitto è il nostro gioco. Ci si sdraia guardando in alto, e a turno ci si fanno delle domande. Senza guardarsi negli occhi i freni inibitori sono più deboli, e le risate molto più forti. A volte si parla anche di cose serie. -Chi si vuole inculare Jaco in questa stanza?- comincia Cavazza, alzando la mano. Tanto per non farmi mancare niente, la alzo pure io. Giulio tentenna. -Inculare?- chiede, confuso. -Pensavo che avessi un'idea chiara di cosa volesse dire, dopo l'altra sera.- ribatte Cava, secco. Sto per ribaltarmi dal ridere, ma cerco di contenermi per la sanità mentale di Giulio. -Ma vale anche farsi inculare?- m’informo. -Nel tuo caso sì, insomma, se ti vuoi inculare ti inculi da solo... ma nel caso di Giulio deve fare l'attivo e incularti!-Allora non lo so!- sbotta Giulio. -Ballerina, queste cose da gay!-Oh, insomma! Incularti non lo so, magari sì ma ci dovrei pensare… Andiamo avanti?Giulio, Giulio. La tenerezza che non mi fa il tuo musetto imbarazzato. Tocca a me. –Se sei felice e tu lo sai batti le mani!- Batto le mani. Anche Giulio le batte. Vittorio le batte due volte. -Sono molto felice.- spiega. A Giulio. –Ehm… ti è mancato molto Love?-MA CHI LO CONOSCE ‘STO SFIGATOOOOOO!- si lamenta Cavazza. -Ma taci, deficiente!-Che cazzo, è tutta sera che mi rompe con ‘sto Love!-Cazzo ti devo dire, spera che non lo veda che poi s’incotta e ti lascia!-È figo?-A basta.Sì, è figo. Molto. Col suo modo di fare, e tutti quegli anelli che ha nelle dita, mi chiedo come… Sacchi, sei etero e ti sei appena scopato la Fre. Ti trovi? Che cazzo pensi? -Jaco, a te!-Ah, sì. Boh, cazzo ne so… ingoiate?Sacchi, sei etero e ti sei appena scopato la Fre. Perché non la pianti di farti domande porno gay? Non sei neanche sicuro di voler sapere la risposta, su. -Io no. Lui sì, a volte.- dice Cavazza. Giulio avvampa e si mette a sbraitare. -Ma perché rispondi per me!-Perché cazzo, ingoi il mio sperma! Mi sembra più che legittimo.-CAVAZZA CHE SCHIFO!- urlo, perché di colpo la scena è di nuovo orrida. -Sì, infatti!- mi sostiene Giulio. Lo guardo storto e non ha un cazzo di senso quello che ha appena detto -MA TU COSA TI SCANDALIZZI!-BE’ INSOMMAAAAAA!- e si gira dall’altra parte. -Basta vecchi, io dormo che sono spossato e voi mi fate schifo.- dico, per nulla convinto perché non è vero che mi fanno schifo. -Vedi a scoparti la Fre nel mio bagno? Spero almeno che abbiate pulito bene!-Non sono mica un’idropompa, cazzo.- ribatto, girandomi sul fianco verso di lui. -Ecco. Notte vez, notte Etto.- che è il nome con cui Cava chiama Giulio. -Notte vecchi.- dico io. -Notte.- dice solo Giulio, che è offeso come non mai, ma poi gli passa. Io mi attacco a Cavazza e appoggio una mano su una qualche parte del corpo di Giulio che non vedo, ma di sicuro non gli dà fastidio perché si avvicina ancora di più a me e mi appoggia una mano sulla pancia. Siamo incastrati come solo tre ubriachi possono essere, senza vergogna. Non è vero che mi fanno schifo, e mi viene anche da sorridere, finché la mia mente non rievoca la serata, e il bocchino della Fre in bagno, ma non è lei la persona che mi slaccia i pantaloni e si china. Sacchi, ti sei appena scopato la Fre, ma sei sicuro di essere etero? Serro gli occhi e cerco di farmela passare, sennò Cavazza se ne accorge. -Dormita a tre.- dice Cavazza –Ancora più goduriosa che una scopata a tre.-L’hai detto.- rispondo, e sono sincero. È stata una giornata bellissima, stupenda, tutto quasi perfetto. Quasi. Meglio se dormo. Sacchi, sei veramente sicuro di non volerla sapere, la risposta? Sei sicuro, Sacchi? -Love, se il risultato dell’esame fosse in codice binario, tu saresti uno zero.-Nel senso che non passerei?-Già.-Immagino che tu saresti uno splendido uno.-Esattamente. Dai, facciamo una pausa.Sacchi si è nuovamente fermato a casa mia nel tentativo disperato di darmi una mano con le basi inesistenti che ho di matematica. Analisi per me è il solito mistero, una piramide da non esplorare perché protetta da una maledizione. -Sì, ma ti avverto che non c’è nulla da mangiare in casa, Claudia torna stasera con la spesa.Forse la mia punizione per non voler scoprire la piramide di analisi e analizzarne i geroglifici è il culo di Jaco che, chinato a novanta, sonda il mio frigo alla ricerca di qualcosa di commestibile. -Oddio, ma questo frigo è un deserto.-Te l’ho detto.Chiude lo sportello con una culata a comincia a lavarsi tre carote. Merenda con le carote? Torna a sedersi di fronte a me, sgocciolando sul tavolo. -Beppe compie gli anni domenica prossima e dà una festa a casa sua… più gente c’è meglio è, vuoi venire anche tu?Nell’esatto momento in cui Jacopo addenta la prima carota scopro che queste hanno una certa affinità sessuale con le sue labbra. Non che mi dispiaccia, solo che rende i nostri rapporti un attimino più difficili. E il cavallo dei miei pantaloni decisamente più teso. -Di domenica?- chiede con la bocca piena. -Sì perché è superstizioso e festeggiare prima porta male, ma dopo non può perché ci sarebbero i suoi in casa e non sarebbero felici del casino che ha intenzione di fare.Addenta nuovamente la carota, e io faccio l’immane sforzo di spostare il mio sguardo da un’altra parte. -Puoi dormire qui, se ti va, così lunedì andiamo direttamente a lezione insieme. Valerio passa a prendere me e Claudia, del posto in macchina c’è…-Ci sta, contatemi.Quando Claudia torna con la spesa non accoglie esattamente con entusiasmo il mio invito a Jacopo. -Cla, ma che cazzo c’hai? Un giorno sei tutta contenta perché ti ha consolato e quello dopo sei una vipera! Cos’è, cominci a fare la donna, adesso?-Non faccio la donna, sto tentando di farti capire che dovresti smetterla di frequentarlo più del necessario!-Ma che cazzo vuol dire…- sbatto il tofu nel frigo e la marmellata nello sportello. -Leo, a te quel ragazzo piace. Troppo. Chiaro?-Stai blaterando.-No, sei tu che non ragioni. Lui è una puttanella, lui non la smetterà di farti credere che le cose tra voi potranno cambiare, ma sia io che te sappiamo ovviamente che le cose non cambieranno. Mai. È un attoruncolo che si prende gioco dei tuoi sentimenti, magari senza volontà di ferirti, ma lo sta facendo.Claudia condisce il suo discorso agitandomi un pacco di riso integrale davanti alla faccia, e io interrompo la discussione mettendolo al suo posto. È domenica sera, Sacchi ciondola in casa mia già da un po’ e Claudia è la donna più felice del mondo quando suonano il campanello e può dire: -Scendiamo che sono arrivati.Quando arriviamo alla festa, Beppe ci accoglie già ubriaco, ed è cominciato tutto da meno di un’ora. -AUGURIIIIIIIIIIIIIIII!!!- ci urla stringendo me, Sacchi, Claudia, Vale e Max in un abbraccio. Claudia tende le labbra in un sorriso irritato e dice: -Beppe, è il tuo compleanno, non il nostro.-Allora…- Beppe pondera una risposta e poi se ne esce con un -GRAZIEEEEEEE!-PREGOOOO!- gli urla Sacchi, in risposta, facendo ridere tutti. Beppe comincia a blaterare un discorso assolutamente incoerente e frammentario dal quale si evince che: 1. ha coltivato un po’ di marijuana di nascosto dai suoi che gira per la festa (una mezza dozzina di canne e siamo in più di trenta, sai che roba); 2. i suoi nonni, agricoltori campani, gli hanno spedito vino in quantità industriali per festeggiare la sua nascita; 3. non ricorda se c’è del cibo o no, ma a lui non importa; 4. AUEEEEEEE’! che è tipo l’unica cosa che ripete con una certa regolarità e che è comprensibile (anche se senza senso). Jacopo ride per metà del tempo, mentre Claudia, al contrario, si infastidisce. A lei gli ubriachi stanno sul cazzo, ma sparisce lo stesso a cercare del vino di casa Esposito; Valerio si dà alla caccia di Chiara, sua ultima fiamma. Io mi accascio senza ritegno su un divano che è stato spostato contro al muro per fare più spazio al centro del salotto, aspettando che Claudia ritorni con qualcosa da bere. Non ho idea di dove sia finito Sacchi nel lasso di tempo dall’ingresso al divano, ma sono sicuro che se la caverà egregiamente anche da solo. Tutte le donne che mi ha presentato Beppe dall’alba della nostra amicizia ad oggi sono presenti, sane e single, pronte a farsi abbordare dal miglior offerente, e Sacchi è sempre stato un gran affarista, da quel che so. -Tieni.- Claudia torna e mi allunga un bicchiere di plastica con dentro del vino rosso frizzante che sembra lambrusco pieno di pezzi di frutta galleggiante. -Che schifo è?-L’unica cosa che ci sia da bere. Ho trovato la cucina, ma era intasata di gente che limonava.-Bello.- commento, assaggiando la strana bevanda che, a discapito delle apparenze, non è così male come credevo. All’improvviso parte della musica, assurdamente alta e stranamente varia: Ska-P, Nirvana, Beatles, roba metal, altra roba di cui non riconosco nemmeno il genere, Gigi d’Alessio che Beppe canta con un certo trasporto, canzoni lente da ballo del mattone. Gli amplificatori sono esattamente accanto a me e Cla, quindi decidiamo di spostarci dalla parte opposta. Non sono bravo a socializzare, quindi me ne sto per i fatti miei. Non è un problema, non mi sento solo, ma Claudia sente comunque il dovere di starmi vicino, per cui ci troviamo isolati stile coppietta. Mi domando ancora dove sia Sacchi, più per sport che per altro; quando sarà ora di tornare a casa mi preoccuperò di cercarlo. -Che hai?-Nulla, pensavo.-A cosa?-A quanto Beppe sia schifosamente… non lo so, hai visto quanto gente c’è? Non si respira.-E qual è il problema?-Io nemmeno volendo potrei invitare tanta gente. Non ne conosco.-A casa tua però ci sta, e più comoda.- è il laconico commento di Claudia. Dopo qualche minuto di silenzio arriva Max che ci lascia una canna, stile Babbo Natale. Lo conosco molto poco, ma abbiamo un’affinità elettiva fatta di silenzi: lui non parla ed io non parlo, quando apriamo bocca ci scambiamo informazioni puntuali e precise, nel minor numero di parole possibili. Ci siamo trovati, insomma. -Tieni.- mi dice, porgendomi la canna lunga nemmeno 3 centimetri. Ci guardiamo, in un attimo di indecisione. Con lo sguardo chiedo perché, lui alza le spalle. Forse è solo un gesto di gentilezza. Io soppeso i pro e i contro di fumare della maria stasera, ma poi l’accetto, nella speranza di rilassarmi un po’. -Grazie.Max alza una mano in segno di saluto, stile indiano, e se ne va. -Telegrafico.- Claudia mi prende la canna dalle mani e fa un tiro, poi me la porge nuovamente. -Normale.- dico, tornando nei recessi del mio Io. Stasera sono così, e mi domando perché ho deciso di venire qui. -Leo, tu che sei già stato qui, mi dici dov’è il bagno?-Allora… Dovrebbe essere la prima porta a destra alla fine delle sc…Vengo interrotto dalla comparsa di Sacchi, tipo visione, dalla folla di gente che balla guancia a guancia. -Balliamo anche noi?Ha il sorriso ebete di chi ha bevuto un po’ troppo, lo sguardo assente di chi ha fumato, una macchia di vino sulla maglia e il ciuffo di capelli tutto arruffato. Con la coda dell’occhio guardo Claudia che, con un sopracciglio alzato e le labbra imbronciate, sta pensando “quest’uomo non si trova” e io non posso che darle ragione. Jacopo ha ancora la mano protesa verso di me, in un gesto quasi galante (peccato, Sacchi, che io non sia una delicata fanciulla da romanzo della Austen), nell’altra mano stringe una bottiglia di vino. -Sacchi, forse è il caso che tu smetta di bere.- Soffio fuori il fumo sfilandogli la bottiglia dalla mano. -Ma è buono, cazzo.- protesta lui con tono infantile. Non trattengo un sorriso che Claudia e la coscienza ammazzano quasi immediatamente. Questo non si fa, dicono entrambi. -Allora, balliamo?La mano tesa verso di me mi afferra per il colletto della maglia, trascinandomi in mezzo al salotto-pista da ballo. Sono nell’imbarazzo più totale, ho il mozzicone di una canna in una mano, una bottiglia di vino nell’altra e Sacchi tipo ventosa che mi tira verso di sé con le mani sulla mia schiena. Sono rigido come un ghiacciolo: la cannabis non sta funzionando. La cannabis deve funzionare! Non voglio sembrare il solito rigidone, un palo, il più bigotto dei froci di Bologna, insomma, basta! Non posso fare sempre la brava persona, eccheccazzo. Mi metto la canna tra le labbra e appoggio la mano finalmente libera sul suo fianco, molto più in basso di quanto avrei mai fatto. Forse la cannabis funziona. Eureka! -Questa cosa è un po’ gay.- commento, laconico. Jacopo mi avvolge il collo con le braccia per mantenere meglio l’equilibrio, ma nel farlo si struscia contro di me come un gatto. -Tu non lo sei?-Io sì, molto.- combatto la forza di gravità che fa scivolare la mia mano ancora più in basso e la tiro su, su una spalla, terreno franco dell’amicizia tra uomini. –Sei tu che non lo sei, quindi questa cosa gay è poco gay perché tu abbassi la media gay dei partecipanti alla cosa…-Boh, non lo so…Sacchi si struscia. Lo sento, inevitabilmente, e non è un movimento involontario per ritrovare l’equilibrio o per tenere il ritmo della musica. Sacchi si sta strusciando, bacino contro bacino, mentre avvicina la sua bocca da film porno al mio orecchio già in fiamme e dice: -Sono un po’… confuso, in questo periodo. Poi il vino non fa bene, eh?No, il vino non fa bene. Allontano il mio bacino, il mio corpo, da quello di Sacchi, mi allontano perché nessuno se ne accorga, perché non dovrebbe succedere, perché non si fa. Perché è una bugia, ci scommetto le palle. -Amoreeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!- è il lungo grido emesso da Beppe prima di rubarmi la bottiglia. Biascica anche qualcosa di incomprensibile, poi se ne va, così com’era venuto, a caso. Jacopo appoggia la testa alla mia spalla e posso solo immaginare la sua espressione divertita. Sono quasi certo che mi stia prendendo per il culo. -Confuso, su cosa?Quasi certo. Anche se ho paura di sapere cosa sta per succedere, ho paura… -Se mi piace solo la patata o no. Dici che è troppo tardi per farsi dei dubbi?Sacchi, in questa sua domanda, è serio. Serio nella sua ubriachezza e nella sua molestia, perché torna a riappiccicarsi e io, con la mia faccia da gufo rosso, a scollarmi. Sacchi. Gay. I filmini porno che lo vedono protagonista lampeggiano nella mia testa, trailer di orge gay e di… no. Ferma tutto, taglia! Lui non è gay, non è nemmeno lontanamente bisessuale. Jacopo è il mio amico etero figo che vorrei fosse gay ma non lo è. Lui non lo è. Lo sappiamo tutti: i muri, i lampioni, l’asfalto delle strade, i sedili delle macchine dove ha scopato, le lenzuola dove ha consumato amori effimeri, io, Claudia, Beppe, Valerio, tutti e tutte le cose sanno che non è gay. Io mi sono rassegnato, il mondo gay si è rassegnato, tutti quelli che l’abbiano incrociato e voluto ma non avuto se ne sono fatti (all’incirca) una ragione e sono andati avanti, tra un sospiro e il rimpianto di non aver avuto di più. Quindi se mi sta chiedendo questa cosa con la sua faccia tosta e il musino da ubriaco, o mi sta prendendo per il culo o ha seriamente bevuto troppo. In ogni caso, comunque sia, tuttavia, nonostante ciò, lui non è gay. -Dico solo che ti stai facendo dei viaggioni solo perché frequenti troppi gay.-Ma solo tu mi fai uno strano effetto…Alza la testa e mi fissa. E tutte le mie certezze crollano sotto quello sguardo. Non ho parole. Non ho neanche quelle per dire su cosa non le ho. Non so cosa fare. Non ho idea di cosa dovrei fare, cosa vorrei fare, e tutto questo non porta ad un risultato perché le due cose sono agli antipodi. Sono il capoluogo dell’incoerenza. Mi aggrappo a Sacchi, e finisco per abbracciarlo più forte di quanto dovrei, meno di quanto vorrei. Mi concedo l’azzardo di un bacio, dato che la sua fronte è a pochi millimetri dalla mia bocca. Lo bacio in mezzo agli occhi, dove le sopracciglia di molti si uniscono (ma le sue no perché ci tiene dietro, il fighetto). Meno di quanto vorrei, più di quanto dovrei. -Ma Jacopino, sei etero…-Ma magari no.Eh? -Ma sì che lo sei.-Prova a baciarmi.Sacchi si struscia violentemente, ma io sono troppo allibito per fare altro che dire: -È un’idea stupida.Guardo fisso davanti a me, cercando di isolare il mio corpo e le sue sensazioni dalla mia parte razionale. È una cosa stupida, inutile, potrebbe rovinare tutto. Non la farò. Vero? Le mani di Jacopo scendono dalle mie spalle e si fermano sul mio petto. -È un’idea stupida.- ripeto. Si allunga verso di me e con la punta della lingua disegna l’arco del mio labbro superiore. Indietreggio. –Jaco, no.Mi afferra per la maglia, tirando di nuovo il colletto, si riappiccica stile figurina e mi mette una mano dietro la nuca, tirandomi ancora di più verso di lui. -Lo vuoi anche tu.- dice, e mentre parla sento le sue labbra muoversi sulle mie. -Non con te bevuto.Avrei dovuto negare, non ammettere la mia debolezza per lui, me ne sarei dovuto andare da tutt’altra parte, ma rimango, scostandomi appena. Sacchi si passa la lingua sulle labbra, ricordandomi cose che non posso volere e avere. -È il mio inconscio che parla.-No, è il vino.-L’altra notte ti ho sognato.- Jacopo supera di nuovo la distanza che io ho accuratamente messo tra di noi e mi fa da seconda pelle. -Ma cosa vuol dire…- Sto combattendo battaglie su più fronti: me che vuole Sacchi combatte contro me che sa che Sacchi non ci starà; Sacchi che ci prova contro me che non vuole che questo accada e cambi le cose; me contro me, io contro io, perché mi ostino? -Vuol dire.- sentenzia lui, tornando a prendermi per il colletto con una mano, mentre l’altra afferra il cavallo dei miei pantaloni. Trattengo un urlo e la voglia di saltargli addosso. Lo guardo con l’unica espressione che riesco a fare e che può essere semplicemente descritta come la faccia di uno con la mandibola a terra e le palpebre dietro gli occhi. Non esattamente un bello spettacolo. Finalmente trovo la forza di schiodarmi da questa situazione delirante. Cerco Claudia, come un marinaio cerca il porto di casa. -Stai bene?Non rispondo, e in cambio della canna ormai finita le rubo il bicchiere e finisco quello schifo di succo di frutta alcolico pseudo sangria che sta bevendo. -No. No, per niente. Ma adesso passa.Ho voglia di gettarmi da un ponte piuttosto che pensare. Voglio rimanere solo. Solo tutta la vita. Ecco perché non lo dicevo a nessuno, ecco perché non avevo amici: se sei da solo queste cose non succedono. Se sei da solo non puoi rischiare di perdere degli amici facendo la cosa sbagliata. Se sei da solo. -Ma che è successo?-Niente, Claudia, niente.Mi domando come non abbia fatto a vederci, ma mi rincuora sapere che non lo scoprirà mai. E forse, se non l’ha visto lei, non ci hanno notato in molti. Penso di aver rovinato il mio funambolico rapporto con Jacopo Sacchi per sempre. Penso che tornerò a stare da solo per un po’, nascondendomi anche da te, Pimpa. Ma Jacopo arriva, riposizionando a pochi centimetri dalla mia faccia il suo bel musino. Claudia scatta in mia difesa, stile cane da guardia. –Cosa sta succedendo?-Niente.- sposto Jacopo afferrandolo per la casta spalla. -Mi caccia!- protesta lui, come un bambino di cinque anni. -Jaco, se ti stacchi da Leo te la do.-Se me l’avessi detto in un altro momento forse ti avrei detto anche di sì, ma adesso proprio no.Adesso? Cosa significa adesso? Ora, proprio ora, solo ora? No perché sono ubriaco? O perché ho la maglia sporca? Ma poi cosa c’entra la maglia che per fare sesso uno se la leva… questo cosa c’entra con il fatto che la sua mano sembra calamitata dal cavallo dei miei jeans? Adesso no, domani sì? Dopo, forse? -Ti stacco le palle se fai casini, lascialo!- Claudia ringhia contro Sacchi, e per evitare una crisi internazionale devo intervenire, ma non ho parole sensate che mi escano alla bocca tra le mille domande che mi affollano la testa. -Ma che cazzo vuoi? Se non mi vuole me lo dirà ben lui! Non mi vuoi?- Sacchi fa una perfetta imitazione dello sguardo tremulo e patetico di Bambi e io mi sento male perché ho l’istinto di baciarlo, cosa che sto accuratamente evitando di fare da mesi e continuo a fare tutt’ora, anche con lui che mi si sta proponendo in tutte le salse a causa dell’alcol. Alla fine opto per un: -Andiamo a fare due passi in giardino, ti va?Gli sistemo il ciuffo, riportandolo nel suo verso canonico. Spero che questo faccia rinsavire anche Sacchi, come se dietro ai capelli ci fosse una leva nascosta che lo riporti alla normale condizione di uomo etero tutto d’un pezzo, ma da come chiude gli occhi e schiude le labbra direi che le cose sono tutto fuorché migliorate. -Come vuoi.Mentre lo spingo per le spalle getto un’occhiata a Claudia e tento di rassicurarla. -Leo, sei grande e vaccinato ma ho paura che tu stia correndo ai 100 km all’ora verso un muro.-Tranquilla.- le sorrido, ben consapevole che ha più che ragione. So che non ha ragione in assoluto, ma io la penso come lei, quindi questa cosa va fermata e va fermata subito. Mentre usciamo incontriamo un gruppetto di ragazzi, e io elemosino da uno di loro una sigaretta. Ne ho fottutamente bisogno per tenere mani e bocca occupate. Solo quando sono fuori e sento l’aria fredda sulla pelle mi ricordo che è appena iniziato marzo e che fa un freddo porco. Jacopo ha una strana andatura storta e saltella come Heidi che porta in giro un cestino carico di fiori, incurante dello strapiombo pieno di rocce appuntite che le si apre affianco. -Ti reggi?- chiedo prima di fare un tiro. -Certo che mi reggo!Fa una mezza piroetta ma inciampa e mi vola addosso. Gli metto un braccio intorno alla vita, tenendolo su. -Vedo, ti reggi benissimo. Proprio una ballerina di danza classica.- faccio un altro tiro e volto la testa per non soffiargli il fumo in faccia, ma appena mi giro me lo ritrovo a millimetri infinitesimali dalla bocca, quindi rinculo. -Jaco, smettila.Lui continua ad indugiare in questa posa da Venere e Adone di Canova. -Perché?- chiede. -Perché domani te ne pentiresti.-Domani è domani, che ne sai tu? Senza contare che è passata la mezzanotte, domani è oggi.Ma non era bevuto? Queste sottigliezze filosofiche da dove escono? -Be’, allora più tardi. E poi non uscivi con Lucia?-Ma a te cosa te ne frega? E poi Lucia non mi piace, come tutte.-Ma sei tu che vuoi baciare me! Non mi importerebbe una sega di con chi esci, finché tu non…- Me lo stringo contro, preso da un brivido di freddo. –Dio, com’è difficile esserti amico ed essere coerente!-Tu non mi vorresti baciare?-Sei bevuto, non sai cosa stai dicendo.-Rispondimi!Lo fisso, in silenzio. Mi slego i capelli, tentando di combattere il freddo e, lo ammetto, per temporeggiare. -Che io lo voglia fare o meno questo non cambia minimamente le cose.-E allora baciami e basta.Continuo a fissarlo, senza sapere cosa fare. Lo guardo alla ricerca di un indizio sul pessimo scherzo che mi sta facendo, per indagare i suoi veri sentimenti, per cercare di fargli capire che per me questo è troppo. Lo fisso, e aspetto che il momento passi perché preferisco rinunciare a questa opportunità per continuare a vederlo, piuttosto che cogliere l’occasione e doverlo dimenticare. Jacopo si protende, di nuovo. Io rinculo, di nuovo. -Io non ho capito a che gioco stai giocando, Sacchi.-Al gioco di me che vuole baciare te.Io cedo, di nuovo. Lo bacio. Ma mi fermo solo alla fronte, perché non voglio rovinare la nostra amicizia. Non voglio fare qualcosa che la metta in pericolo. Amo passare il mio tempo con lui, mi diverto, mi accontento. L’ipotesi di averlo era come l’ipotesi di possedere la luna: qualcosa di bello e su cui fantasticare, ma impossibile. -Perché mi piaci tanto…- mormora contro il mio petto. -Io sono un ottimo amico.- spero che la mia affermazione metta fine ai giochi. Lo dico a lui e lo ripeto a me stesso, mantenendo la promessa di fare la cosa giusta. La cosa giusta è essere un buon amico. Un buon amico non bacia gli amici a caso, perché questo potrebbe comportare qualche disagio in un futuro prossimo. Io sono un buon amico, io sono un ottimo amico, ripetere fino all’esaurimento e al completo convincimento. Io. Sono. Un. Ottimo. Amico. Jacopo mi sfugge dalle braccia ed è talmente incazzato che lo si nota da come cammina, anche se lo sta facendo all’indietro. -Cazzo, se proprio non vuoi basta che lo dici!Non voglio? Non voglio? No, il cazzo. Non hai proprio capito un cazzo, Sacchi. Ora girano i coglioni anche a me. Butto la sigaretta ancora a metà a terra e la schiaccio con violenza, come vorrei fare con la testolina di cazzo di Jacopo Sacchi che, ubriaco, cerca di farmi cadere in tentazione delle sue labbra da pompinaro. -Tu, tu non hai neanche la minima idea di quanto lo vorrei e da quanto tempo lo voglio fare, ma non posso. Non posso perché tu sei così, perché sei eterosessuale e perché io sono troppo fottutamente me per fare qualcosa di cui poi ti pentiresti.- Torno a riabbracciarlo, perché ho freddo, perché ho paura che crolli a terra, perché mi piace, perché mi sento in colpa. Perché mi pento di quello che ho detto e rimpiango ciò che non ho il coraggio di fare. Perché tento di essere felice di quello che ho e di non fargli del male. Jacopo rimane immobile, tanto a lungo che mi fa pensare che sia morto congelato. Poi mi prende delicatamente il volto con una mano, stringendomelo appena e facendomi sembrare un pesce, e torna a guardarmi, serio, a lungo, profondo. In silenzio. Lo osservo. Vorrei disegnarlo. Gli faccio una foto mentale e mi ripropongo, appena troverò il tempo, di mettere su carta questo momento. -Sei bellissimo...- mi sfugge perché sono debole, perché ho fumato, perché sto perdendo la battaglia. Perché mentre mi fissa lo vedo triste, e se gli concedo questo maledetto bacio forse lui tornerà a sorridere. -Anche tu.- si sporge, di nuovo. Io rimango, insolitamente, fermo. Una sua mano sulla schiena mi invita a chinarmi, e lo faccio. -Però non scappare dopo... anche se poi te ne penti dimmi solo che è stato un errore e ce ne dimenticheremo entrambi, va bene...?Mentre parlo le mie labbra sfiorano le sue, e sento nuovamente quella fitta di piacere colpevole che provo quando faccio qualcosa che ritengo sbagliata ma che mi fa sentire felice. Sacchi annuisce debolmente, e mentre io premo le mie labbra sulle sue lui non perde tempo e mi bacia. Poi lo stritolo, perché ho freddo e temo che se ne vada, anche se ha promesso il contrario. Penso già a domani, quando questa cosa sarà svanita e lui sarà sempre più freddo nei miei confronti, ma cerco di godere del momento. Anche perché mi sta accarezzando la schiena. -Dovremmo tornare dentro, fa un freddo boia.-Sarà l’alcool, sarà Amore, ma io ho caldo.Non resisto, cedo ai miei biechi impulsi e lo bacio ancora. Di certo lui non si fa negare, tuttavia mi assalgono gli scrupoli e gli domando se stia bene. -Mai stato meglio.-Parlavo anche dell’alcool.-Sì, non male. Tanto mica guido!-Vero. Dovremmo anche tornare a casa, prima o poi…-Quando vuoi.-Ma nemmeno io guido…-Ma chi ci porta a casa? E io come sono arrivato qua?Delira. Decido di prenderla come viene: trattiamolo da ubriaco qual è. -Sacchi, tra la patata e la banana cosa scegli?-Ma boh, la banana devo ancora assaggiarla.-Ok, sei ancora tu.- scoppio a ridere, abbracciandolo un po’ più forte. -Siamo venuti con Valerio, che non so dove sia finito…-Vale è di sopra a farsi non mi ricordo chi.- Claudia è arrivata, imbacuccata nella giacca di uno sconosciuto. –Non tornavate e sono venuta a cercarvi.-Forse si sta facendo Chiara, magari ci è riuscito…-Boh, lo spero per lui. Voi tutto bene?Ha uno sguardo decisamente alterato, basta la curva delle sue sopracciglia a farmi sapere che mi sta rimproverando. -Tutto benissimo!- Sacchi fa il suo miglior sorriso da faccia di merda e io non posso far a meno di sorridere come un cretino. Claudia sospira, fulminandolo con un rapido gesto di ciglia. –Vado a cercare Beppe a vedere se recupera Valerio.-Ok, veniamo dentro con te.Io e Jacopo seguiamo Claudia e non appena lei è sparita, Sacchi si guarda attorno per poi posare il suo sguardo su di me per l’ennesima volta. -Ciao meraviglia!- dico, con tono da super coglione, ma quando sono felice blatero e non riesco a contenere i pensieri. Sto bene! Jacopo mi salta addosso, letteralmente, e rischia di farci cadere, ma reggo il colpo. Mi bacia, ancora, e non mi faccio pregare, anche se sono lento a ricambiare. Tanto domani si sarà scordato tutto. Mi infila una mano sotto la maglia e a malincuore devo smettere di baciarlo per fermarlo. -Ehi, ehi, ehi. Sacchi, piano.- nonostante l’ordine di fermarsi non smette, e mi trovo costretto ad afferrargli entrambi i polsi con le mani per impedirgli di spogliarmi. -Ma mi piaceva la tua pelle!Apro la bocca per dire qualcosa, ma reprimo il pensiero agitando la testa. –Ne riparliamo quando sarai sobrio, va bene?Non appena gli lascio le mani libere riprende a tastarmi da sopra la maglia: -Mi piace la tua pancia!-Ma se non c’è!-Se mi chino per baciartela poi si pensa male, vero?-Decisamente.Mi trasformo in Love camaleonte rosso rubino ultra sorridente, e mi nascondo inutilmente dietro una mano. -Leo?Beppe sembra meno ubriaco di prima, probabilmente ha vomitato. Lo vedo sorridere soddisfatto e sornione. Io mi allontano un po’ da Jaco, tornando ad una posizione da amico che sorregge l’ubriaco. -Ciao Beppe! Buon compleanno!Beppe guarda me, guarda Jaco, guarda di nuovo me e ammicca. Dietro di lui scende anche Valerio con la faccia seccata di chi è stato interrotto mentre scopava. -Andiamo a casa?Sacchi non si è mosso di una virgola, con una mano sul mio stomaco, la testa appoggiata alla mia spalla e un’espressione di beata innocenza di appagamento dei sensi. Valerio ci squadra, insospettito dall’insolito quadretto. Poi opta per un menefreghismo generale, fa spallucce e ci dice di prepararci. Claudia recupera le nostre giacche, ma Jaco si rifiuta di metterla. Però si mette la sciarpa. -Gran bella festa Beppe, davvero gran bella festa.-Sono contento che ti sia piaciuta!- mi ammicca in risposta, ma non credo che abbia davvero capito il perché. Meglio così. Claudia insiste che Jacopo viaggi davanti, e non ha molto senso. Dice che è perché ha paura che le vomiti addosso, ma io credo che sia perché vuole cercare di capire cosa sia successo esattamente prima di ritrovarsi in casa da sola con me e lui. Sacchi sale davanti senza problemi, e si mette a cantare cose a caso. È anche intonato, ma le parole non hanno un senso e sembrano provenire da canzoni diverse. Valerio che se lo trova di fianco gli sbraita contro, intimandogli di smettere. Ovviamente non funziona. -C’è un pulsante per spegnerlo?- chiede, esasperato. -TACI TU CHE SEI BRUTTO!- Jaco si volta verso Vale, caccia quest’urlo da guerriero unno e si rimette a guardare la strada cantando. -Non credo.- ribatte Claudia. Lo capisco da com’è seduta che ce l’ha con me. O meglio, che è preoccupata per me: è messa di sbieco sul sedile, braccia e gambe incrociate, sembra che mi stia dando la schiena ma si volta insistente a guardarmi, scrutandomi alla ricerca di un segno di qualche malattia mentale che finora le era sfuggito. Nonostante tutto io rido appoggiandomi contro lo schienale del sedile di Sacchi. Credo che questo sia uno dei momenti più belli della mia vita. -Prova a chiederglielo tu, Leo.Obbedisco a Cla, solo per vederla un po’ meno seccata, ma Jacopo mi ignora e canta ancora più forte. E io rido di più. -Non funziona.E Claudia si incazza ancora di più. Alla fine Jaco smette a cinque minuti da casa, giusto il tempo che Claudia reprima gli istinti omicidi e Valerio lo grazi da fargli prendere in pieno un palo. Sospetto che la sua magnanimità sia dovuta al fatto che avrebbe danneggiato anche l’auto, pur ammettendo che Sacchi sa essere veramente molesto. Saliamo in casa e mentre apro il portone Claudia mi si avvicina e mi dice: -Non sono sicura di voler stare qui.-E perché?Apro il portone, Jaco si infila tra me e lei e sparisce in camera. Sento un tonfo, e spero che non sia morto. Non ho la forza di portare fuori un cadavere, adesso. -Tu e lui.- si sfila la giacca e l’appende accanto alla mia. -Tranquilla, Pimpa, va tutto bene.Dio, di questo non ne sono così sicuro. Ho la sensazione di vivere in una bella bolla di sapone che scoppierà domani mattina. Anche se domani è già oggi, ho una notte per far finta che questo duri più di una dormita. Al nostro risveglio sarà tutto finito e dimenticato, perché ce ne stiamo preoccupando ora? Claudia sospira un –Spero che tu abbia ragione.- e si avvia in camera. -Jaco, ti sei preparato per dormire?- mi affaccio nella stanza e vedo che si sta rotolando sulle mie lenzuola. Rido. –Ovviamente no.- commento, rivolto al nulla. È ancora com’era vestito in macchina, maglietta e sciarpa e pantaloni sotto al culo. Da come si dimena sul materasso urlando –Lo fai tuuuu?- sembra un cane pulcioso in crisi psicotica. Mi interrompo mentre mi sto sfilando la felpa; la riabbasso e scambio un’occhiata complice con Claudia. -Mi stai chiedendo di spogliarti?Claudia gira gli occhi al soffitto e sbuffa, decidendo di rintanarsi in un angolo della camera per cambiarsi. -Sìììììììììììì!- lui risponde con eccessivo entusiasmo che non riesco a prendere sul serio. Sorrido. -Non credo sia una buona idea. Dai, alzati.-Ma perché noooo. Io sto bene qua e tu non vedi l’ora di togliermi i vestitiiiiii.Sembra più ubriaco adesso di com’era alla festa. Trascina le vocali e cantilena, dicendo cose che non hanno molto senso. Ma in vino veritas, no? Claudia spunta dietro uno scaffale e sulla sua faccia aleggia un grosso punto di domanda. Le mimo un “tranquilla” con le labbra; lei, in tutta risposta, alza il dito medio e mi lancia il reggiseno. Allungo una mano per aiutare Sacchi ad alzarsi. Lui si rassegna, sbuffa anche più del dovuto e mi crolla addosso. Penso lo faccia apposta e che ci stia prendendo gusto, ma tanto è solo una notte, una notte soltanto. Lo trascino fino al bagno, anche se sbuffa, borbotta e protesta. Mentre afferro la sciarpa che gli sta cadendo, segue con strana intensità ogni mio singolo movimento. -Io sono ubriaco, non posso togliermi i vestiti perché non sarei abbastanza sexy!Lo fulmino e mi stupisco che non diventi cenere. -Io mi lavo i denti.- borbotto, prendendo lo spazzolino. Mentre mi lavo i denti lo vedo riflesso nello specchio: si appoggia alla parete, lamentandosi delle piastrelle fredde, e comincia a svestirsi goffamente; ad ogni indumento che si toglie rallento i miei movimenti, concentrandomi troppo su di lui, e finisco per avere lo spazzolino in bocca appeso ad un labbro, stile sigaretta. Ricordo Roma, e rammento perché si va in bagno uno alla volta. Sacchi, in mutande, nel mio bagno, chiuso da solo nel cesso con me. E ci siamo baciati meno di mezz’ora fa. Sputo: -E lo spazzolino, Sacchi?Riflette; lo vedo concentrarsi e tracciare una mappa mentale della borsa, sento i neuroni muoversi e fare sinapsi, vedo la lampadina accendersi e ricevo una risposta: -Ce l’ho nella tasca interna!Mi sciacquo la bocca: -E vallo a prendere no?-Che palle che seiiiiiiiiiiii!-Ma cosa, te lo devo prendere io?Esco tentando di ignorarlo. Claudia è in pigiama seduta sul suo letto e sta sfogliando una rivista. -Impazzirò.- le dico, cercando supporto. Lei fa spallucce prima di alzare lo sguardo, giusto in tempo per vedere Jacopo alle mie spalle uscire dal bagno e finire in cucina a cercare lo spazzolino nella borsa, trovarlo, agitarlo come se fosse uno spray antizanzare, e tornare in bagno barcollante. -Io andrei a controllare. Occhio che zacca.Mi cambio in fretta nel mio noioso e comodo pigiama e raggiungo l’ubriaco al cesso. Mi ritrovo accolto dalla versione rivista e aggiornata di Sacchi in mutande di microfibra chinato a novanta gradi che, con un gomito appoggiato al lavandino per non cadere, si sta lavando i denti. -Mi faranno santo…- borbotto. -Guarda, faccio la schiuma con il dentifricio!E giusto per dare un tono di serietà all’affermazione, si mette a sculettare. Mi passo una mano tra i capelli. San Leo ride. -Eh, bravo!Jaco mi sorride con la schiuma che gli cade dal mento, si lava la faccia come un cane in una fontana d’estate e se l’asciuga molto sommariamente. -Fatto?Mi ignora e fa per uscire dal bagno. -E la pipì?-Fatta prima.-Bravo.Niente letto bagnato stanotte, per fortuna. Lo faccio uscire e espleto i miei bisogni: anche i santi hanno vesciche da svuotare. -E la pipì?- Jaco mi fa il verso appena mi vede uscire dal bagno. -Fatta dentro.-Bravo.Entriamo in camera, lasciando il bagno a Claudia che è ancora scazzata e non accenna a farsela passare. Mi appoggio sul letto, stanco come una balena dopo una migrazione. Jaco mi si getta accanto, attaccando una ciocca dei miei capelli e cominciando a rigirarsela tra le dita. -Ehm… Tu dovresti dormire sul letto di Claudia. Avevamo pensato di fare così.Per evitare imbarazzi tra noi due, a dire il vero. Per evitare imbarazzi a me, a dirla tutta. -Cambio di programma. Sta arrivando la sbornia triste e io ti voglio come a Roma.Mi abbraccia, e il deja vù si fa più nitido. -La stronza?- dopo aver rapidamente vagliato le motivazioni che possono renderlo triste, questa è l'unica che mi è venuta in mente. -Non ci stavo neanche pensando.- sembra sorpreso, non ho idea da cosa. –Tu però fallo.dice, come se fosse una risposta valida alle domande esistenziali. Claudia torna e si arresta stupita sulla soglia. –Oh, siamo così per la notte?-Sì perché io voglio Love.Alzo le mani in segno di resa, non è colpa mia, fa tutto lui. -Trattenetevi.- ciabatta fino al suo letto e si infila sotto le coperte, girandosi di schiena ed ignorandoci. Jacopo prende il suggerimento come un’istigazione e si sagoma ancora di più. -La sbronza triste non lo so perché, ma ho paura di svegliarmi e non trovare nessuno.-Come mai ti svegli durante la notte?- prendo le coperte e le tiro sopra di noi. -Per l’ospedale…Ospedale? –Cosa c’entra l’ospedale adesso?-Per i reni, sono stato in ospedale…Vorrei chiedergli di più ma ha la voce impastata di sonno e alcol, non penso che mi darebbe una spiegazione coerente e intellegibile, così lo stringo un po’ più forte, e per una volta lo faccio per lui e non per me. -Io ci sono.-Grazie.- allunga le labbra e mi dà un bacino sotto al mento. -Sempre, anche se non dormiamo assieme... tu chiama e io ci sono, per te, ok?- sussurro le mie debolezze ad un suo orecchio, manifesto il mio essere zerbino nascondendomi sotto mentite spoglie di brava persona disponibile, ma sono solo un parassita, un voyeur, un autolesionista. Jacopo si arrampica un po’ più su e mi stringe un po’ più forte. La notte è già finita e io non ho saputo farci niente, penso, triste. -Notte vecchio.- volto leggermente la testa per un casto bacio della buonanotte, finendo per trovarmi a salutare una tempia calda e sudata. È solo una notte ed è già finita. Chiudo gli occhi, stanco, ma Jaco approfitta di me e mi bacia. È solo una notte e forse deve ancora cominciare. Aiuto Jacopo ad arrampicarsi addosso a me, è tanto caldo che sembra si sia preso la febbre, ma continuo a baciarlo. Non riesco a preoccuparmi di altro che non sia la sua bocca a contatto con la mia, ora. -Non prendi freddo a dormire solo così?-Ci sono le lenzuola e ci sei tu. E io ho caldo, di notte.-Ok.Jacopo si accovaccia e s’incastra, facendo di me la sua cuccia. -Notte, Sacchi.-Notte, Amore.È solo una notte, ed è abbastanza.