DEL POPOLO il pentagramma De spettegolorum musicandi di Patrizia Venucci Merdžo Cari lettori, balli in maschera di qua, “fritolade de là”, coriandoli, botti, lazzi, cortei carnascialeschi che come serpentoni coloratissimi strisciano e avvinghiano le vie cittadine, gli immancabili e assordanti scampanatori ... ed eccoti il Carnevale! A pensarci bene,”carnevalate a parte”, l’abbandono all’ebbrezza del Carnevale, di questi tempi è, non solo esuberanza vitalistica dei bontemponi, valvola di sfogo dei repressi, espressione del nostro (o nostri) alter ego gelosamente nascosti che improvvisamente salta fuori, satira politica e sociale guardata con divertita indulgenza persino dalle autorità, ma diventa addirittura una forma di saggezza. Buttare alle ortiche tutto quanto, almeno per lo spazio di qualche ora, è un relativizzare ed esorcizzare – anche se in maniera fracassona - il grigiore del quotidiano tran tran, ammettendo e affermando che la vitalità e la gioia di vivere, e quel filo di sana follia che albergano in ognuno di noi sono valori non prescindibili e “superiori” rispetto al male del vivere quotidiano. Però, (ahi, ahi, ahi!) mi assale un dubbio. La grande sfilata cittadina a Fiume trascorrerà anche quest’anno...senza musica? Cioè, a parte lo strombettio delle bande di Tersatto e di Spinčići, dello stamburare (da CD ovviamente) di qualche carro allegorico e raro gruppo mascherato, gli altri sfileranno, come negli anni precedenti, in silenzio? Le maschere del corteo – spesso neanche tanto allegre - che tentano qualche accenno di saluto, qualche passettino di qua e di là in un silenzio “di tomba” fanno lo strano effetto di personaggi da cinema muto, che si dimenano nel “vacuum”. Sarà un corteo carnascialesco o la sfilata de “Il funerale del Carnevale”?, si chiederebbe Giovanni de Zaytz. Eh! già signore e signori, perché il nostro bravo Giovanni, ai tempi in cui faceva il factotum musicale di Fiume – per quattro soldi ovviamente - compose per le feste e le cavalchine del Carnevale non solo la “Polca Arlecchino”, ma anche il vaudeville “Il funerale del carnevale”. Avremo mai l’onore di sentirle queste musichette caserecce? Ma erano altri tempi. Nei quali “il fai da te” era l’unico modo per “suonarsele” e star allegri. Si scrivevano la ce vo /la .hr dit w.e ww & musica musica, a propria misura e gusto, se l’imparavano An e se la eseguivano. Chi fa da sè fa per tre! no 6 II • 200 Certo è, che in tempi relativamente non preistorici, o i n. 2 • a r Mercoledì, 22 febb la pratica musicale “attiva”, era diffusa nel quotidiano in maniera capillare, presso tutti gli strati sociali, con una conseguente gran varietà di generi musicali, gusti, caratteri. Dalla musica leggera a quella da ballo, da intrattenimento, popolare, lirica, sacra, operettistica, sinfonica, da camera ecc. Credo non ci sia fiumano che non abbia avuto uno zio-nonno-cugino-amico-parente che non smandolinasse, soffiasse dentro un clarinetto, sviolinasse o cantasse presso qualche complesso corale o strumentale di un Dopolavoro o dai Salesiani, in questa o quella orchestrina (ogni caffè elegante si fregiava di propri valenti musici) o orchestra seria, in un qualche coro parrocchiale ecc. Mi sovvengono ancora certi racconti fiumani, un po’ da Amarcord. “Me ricordo che una note, sul Molo Longo cantavo a pieni polmoni ‘L’aurora di bianco vestita’...” oppure:”... quante serenade che go fato in Rujevica a una Entrando, ti scappa “le mie condoglianze”. Con camerieri putela. Mi col clarineto, i altri con chitare e mandolini”. E patibolari in nero, con i fianchi cinti da un lenzuolo. Stile ancora: ”L’orchestra della Società Filarmonico Dramma- becchino, o patologo ottocentesco all’opera. (Con qualtica la era proprio in gamba tanto che la gaveva acompache schizzo di marmellata vermiglia, magari). Ma perché gnado anche concertisti famosi, per conto dela Società dei non l’hanno lasciato in rosso? Prima di tutto faceva molto Concerti”. E le brave popolane “de Citavecia che tra una “Vienna Belle époque”; e poi perché in fondo il vecchio barufa e l’altra” cantavano a squarciagola, mentre faceErnst un po’ “rosso” doveva esserlo. Mica per niente è vano i mestieri o sciorinavano il bucato nelle umide ed corso in Spagna a “suonargliele” ai “neri”. E qui gli deecheggianti calli?! dicano dei “caffé neri”! È il colmo! Ah, il vecchio Erny Puah, che ingenuotti! Noi invece, oggi, siamo intelliquesta non l’avrebbe davvero digerita, o meglio “tracangenti. E attivamente partecipi. È sufficiente il tocco della nata”. Avrebbe spaccato tutto. Compreso il lampadario di punta dell’ultima falange del dito mignolo (anche se di cristallo. E poi, dovrebbero suonare la “Marsigliese” o, alsolito si tratta dell’indice) ed ecco che ti scateno il finimeno l’”Internazionale”. Mica la Seve nazionale! Ma che mondo! Wow! Siamo proprio...”forti”. E i “kafići”!? Che mancanza di tatto! spasso! Si tratti dell’ultimo cafich-bettola o del caffè più C’è chi vorrebbe un po’ di piano-bar. Ma pensa un ”esclusivo” e storico di Abbazia il repertorio è davvero inpo’! Talaltri si accontenterebbero anche di un’anchegfinito e “raffiné”: dalla persecuzione onnirimbecillente del giante e matura “pevalka” con i suoi balcanici e gutturali “dumdum” rockettaro (tre battute x cinquanta), alle nemelismi , in qualche “čevapdžinica di periferia”. Macché! nie di Seve. Ma non tutto è perduto! Qualcosa dell’anima Anche questa gioia...”sospetta”, ci è stata negata. mitteluropea fiumana – sempre in tema di caffè – s’è salBasta. Me ne vado nel Tibet a meditare. O forse sul vato! Il lampadario di cristallo del caffè della FilodramMonte Sinai, alla recherche delle Tavole della Legge permatica (!), intestato (come altri due a Fiume) al grande duta. Magari, qualche volta, la sera, contemplando il trascrittore ungaro-boemo Hemingway. (Si vede che Fiume monto intonerò, cetra alla mano, un salmo di re Davide! ha avuto un ruolo fondamentale nella vita di Ernest, e E tanti saluti a tutti. viceversa).Tutto in nero. Come una cappella mortuaria. Contemplativamente Vostra 2 musica Mercoledì, 22 febbraio 2006 GLOBALIZZAZIONE - Lettera aperta al Presidente Carlo Azeglio Ciampi Salviamo con la Musica la lingua italiana I llustre e caro Presidente degli italiani, in tutto il Suo valoroso mandato, che la maggioranza degli italiani auspica si prolunghi di un altro settennato, Lei si è segnalato nell’inedito impegno volto al recupero dell’orgoglio dell’identità nazionale degli italiani. Ciò pur rifuggendo da ogni albagìa “nazionalistica”, ma nel contesto del pieno rispetto di tutte le altre identità nazionali d’Europa e del mondo. Come simbolo della nostra identità ha additato il Tricolore bianco rosso verde, in uno con l’Inno di Mameli che è riuscito a far imparare e cantare a tutti, sportivi e squadre di calcio compresi. Un Inno che consta di musica e parole nel nostro idioma. Un idioma portatore di uno dei più grandi patrimoni d’Arte, Cultura, Scienza e Diritto dell’Umanità. Valori compendiati in una sola parola, sacra per ogni popolo: Patria. Ove è la lingua, ivi è la Patria”, ammoniva il Sommo Poeta. Ma quanti, oggi, parlano e imparano questa nostra lingua? Certamente i milioni di italiani residenti in Patria e all’estero. Chi più e chi meno bene. Ma, purtroppo, la lingua materna viene usata soprattutto nelle relazioni quotidiane, familiari, spicciole. Nel campo delle pubblicazioni letterarie, artistiche e scientifiche, l’italiano rappresenta meno dell’1 per cento dei titoli editati in Europa. Su piano mondiale, si tratta di granelli di polvere. Nell’attuale “villaggio globale” il linguaggio dominante incontrastatamente è quello anglofono. Soprattutto la gioventù e quanti sono ancora in età “produttiva” ormai hanno adottato la lingua inglese (o il gergale “americano”) per lo studio, la ricerca, il lavoro, le canzoni, i balli, il turismo, i giochi elettronici. In più, anche sullo stesso territorio nazionale, la nostra lingua è inquinata da estemporanee espressioni gergali regionali e neologismi mutuati da “adattamenti” di vocali o frasi idiomatiche stranieri. Le emittenti radiotelevisive italiane, sia pubbliche che private, amplificano a dismisura il messaggio anglofono, anche nelle martellante pubblicità, per non parlare dei generi musicali nei quali sono sempre più striminziti gli spazi destinati alla Musica ed agli interpreti italiani (canzoni, operistica, sinfonica classica e contemporanea, etnica, tradizionale). Così non c’è adolescente con pruriti canterini o danzerecci che non scimmiotti i “divi” d’oltreoceano o d’oltre Atlantico, il più delle volte senza conoscere il significato delle parole che cerca di pappagallare. Al computer, poi, se non si mastica un po’ d’inglese, non si riesce a premere un tasto. Ignoro se in Italia esistano statistiche e studi aggiornati sullo stato della conoscenza e dell’uso della nostra lingua nel mondo. Se ne sono preoccupati però i tedeschi per la loro lingua. E si sono accorti che il tedesco, nonostante nella Comunità Europea la Germania rappresenti il popolo più numeroso, non è, di fatto, tra le lingue ufficiali della Comunità. La lingua tedesca non è più, come un tempo, fra quelle dominanti e perciò stesso “appetibili” e diffuse. Neanche a livello di seconda o terza lingua. A livello mondiale, le lingue più parlate sono il cinese, l’inglese, lo spagnolo, il russo, il francese e l’indi. Circa le altre, si prevede che, nel corso del prossimo secolo, ne spariranno ben tremila fra quelle oggi parlate. Poi toccherà anche a quella italiana, se non si correrà urgentemente ai ripari. Gli studiosi tedeschi, per la loro lingua, stanno studiando un’adeguata terapia. Constatato che non è sufficiente stipendiare Istituti Tedeschi in ben 95 Paesi stranieri, si sono prefissi una meta: accreditare il tedesco come la più importante lingua europea per la conoscenza storica e culturale della Mitteleuropa. Quindi Storia e Cultura quale veicoli per sopravvivere, almeno nelle categorie internazionali più acculturate, come seconda, terza o quarta lingua. Impegno senz’altro realistico ed intelligente, anche se non certo di massa, ma almeno di “nicchia”. E per la lingua italiana, a quale Santo votarsi? Guardiamo alla Storia, sempre “magistra vitae”. E la storia ci insegnerà. Secoli prima che uno Stato sovrano italiano indipendente si realizzasse, l’italiano era la “lingua franca internazionale” della Musica. Il toscano Lulli era il “musico del Re Sole”. Mozart venne a studiare in Italia, parlava con proprietà l’italiano e scris- se meravigliose opere su libretto italiano. Solo per fare due eminenti esempi. L’italiano era la lingua del canto, della musica, del ballo anche dell’architettura delle scenografie teatrali. In italiano, in tutto il mondo civile, si sono scritte (e ancora scrivono) le terminologìe musicali (sonata, sinfonia, opera, allegro, mosso, presto, con sentimento, ecc. ecc.) solo marginalmente eluse col sorgere delle “scuole nazionali” con finalità, allora, dimostrative della riscoperta identità nazionale in sboccio in altri popoli. Ma ciò non fece “testo” stabilmente, in quanto circoscritto ad un preciso momento storico. I principali veicoli della lingua italiana su piano internazionale furono quelli dell’Opera Lirica e della Canzone. Va rimarcata l’ineludibile importanza della lingua italiana e della sua corretta “dizione” nel canto vocale che favorisce e substrata l’impostazione della voce in modo corretto ed espressivo, tanto che la scuola di lingua è tutt’uno con la scuola di canto. Altrimenti si rischia di debordare nell’urlo disarticolato ed inespressivo. Come succede sempre di più ai nostri giorni, anche con la complicità delle esasperate amplificazioni elettroniche. Purtroppo oggi (e non solo da oggi), anche nel Paese della Musica, si fa strame della musica e degli artisti italiani, surrogati sempre più massicciamente ed indiscriminatamente da “prodotti d’importazione” (anche per il repertorio storico tradizionale italiano) cui il nostro idioma serve solo da pretesto per incomprensibili muggiti, tanto da suggerire a molti teatri nazionali l’uso di proiettare “soprattitoli” anche per le Opere in italiano, onde consentire al pubblico (italiano) di raccapezzarsi su quanto in scena si vanno dicendo. Allora a che serve imparare l‘italiano? E’ praticamente uno sforzo inutile. Anche fra i direttori chiamati sul podio, ben pochi masticano un minimo d’italiano, non certo sufficiente a “correggere” chi bercia parole incomprensibili né tantomeno a suggerire quelle sfumature, anche onomatopeiche, con le quali i nostri compositori hanno sposato la parola alla musica. Gli effetti di ciò sono devastanti al punto da far trascurare, anche agli interpreti di madrelingua italiana, l’impegno di esprimersi correttamente. La regìa di tutto ciò è in mano alle multinazionali della musica “spazzatura usa e getta, che ne ricavano proventi miliardari (in Euro) con esposizioni di costo millesimali. Puntare alla “nicchia” musicale, per salvare la vita alla lingua italiana, sarebbe un primo importante passo anche per il ricupero della “dignità” della nostra lingua. E potrebbe funzionare. Ma ci vorrebbe studiare una speciale tutela per il “made in Italy” musicale che impedisse almeno a faccendieri ignoranti e privi di scrupoli di essere a capo delle più importanti Istituzioni nazionali di produzione e diffusione musicale, pretendendo, per quelle posizioni accanto ad un’indiscutibile specifica professionalità musicale, anche un filiale amore per la nostra lingua. Questi pensieri Le giungono, Signor Presidente, da un ambito geopolitico dove, per le tragedie storiche a Lei ben note, gli italiani e la nostra lingua si trovano in ristrettissima proporzione minoritaria. Qui sarebbe ancora più triste se un giorno si dovesse sentire, al posto del solenne “Sì” che chiude l’Inno di Mameli, un globalizzato “Yes”. In chiusa un grande “grazie!”, nella fiducia della Sua comprensione. Fabio Vidali MOZARTANDO - Anno di Mozart. Festeggiamenti ed eventi a Praga Amadé: «La mia orchestra è a Praga» PRAGA - Fonte d’ispirazione e tappa fondamentale della carriera di Wolfgang Amadeus Mozart, Praga partecipa all’anno mozartiano 2006, in occasione del 250esimo anniversario della nascita del compositore austriaco, con un ricco calendario di eventi intitolato Mozart Prague 2006 che vede coinvolti 16 istituzioni culturali, con oltre 150 concerti, manifestazioni, proiezioni e appuntamenti musicali, in collaborazione con la Città di Praga, il supporto del Ministero della Cultura della Repubblica Ceca e il patrocinio del Presidente della Repubblica, Václav Klaus, e del primo cittadino di Praga, Pavel Bém. Oltre a Salisburgo e Vienna, rispettivamente la città natale e quella di adozione, anche la capitale boema è strettamente legata a Mozart, autore di innumerevoli opere, sinfonie, messe tra le più celebri della storia. Il Genio della musica amava Praga e ne era ricambiato. Non è un caso che la prima del Don Giovanni e della Clemenza di Tito si svolsero al Teatro degli Stati generali di Praga per volontà esplicita dell’autore. L’importanza di Praga nella vita dell’artista è provata oltre che dalla sua afferma- zione: “la mia orchestra è a Praga” anche da numerose altre testimonianze tra cui la Sinfonia no 38 “Praga” KV 504 del 1786, e luoghi quali il Monastero di Strahov che ancora oggi conserva l’organo barocco suonato durante la sua visita nel 1787, il complesso Clementinum sede della Biblioteca Nazionale, e i Palazzi Thun, Clam-Gallas, Pachta, che era solito frequentare, oggi rispettivamente sede del Parlamento, Archivio di Stato ed esclusivo hotel-residenza. Veduta di Praga ai tempi di Mozart Tre viaggi hanno portato Mozart a Praga. Durante il primo soggiorno, il 17 gennaio 1787, Mozart dirige personalmente la sua opera Le Nozze di Figaro, la quale era già stata rappresentata con successo nel dicembre del 1786 dall’impresario Pasquale Bondini. Durante il secondo soggiorno, nell’autunno del 1787, il musicista è ospite assieme alla moglie Costanza presso villa Bertramka, residenza del compositore Dušek, oggi museo mozartiano. Proprio nel giardino della villa compone l’ouverture del Don Giovanni, soltanto qualche ora prima della première diretta personalmente dal maestro il 29 ottobre 1787 al Teatro degli Stati generali. Nel terzo viaggio, sempre a Villa Bertramka, Mozart termina La Clemenza di Tito e la esegue per la prima volta il 6 settembre 1791 in occasione della cerimonia dell’incoronazione di Leopoldo II re di Boemia nel duomo di San Vito. La tradizione musicale sulle tracce di Mozart continua con il progetto Prague 2006 che a partire dal 12 gennaio vedrà coinvolti per un anno i principali luoghi della musica in città tra cui il Rudol- Il clavicembalo usato da Mozart a Villa Bertramka, oggi sede del Museo Mozartiano di Praga finum, sede dell’Orchestra Filarmonica Ceca, la Sala Smetana della Casa municipale, l’Opera di Stato, villa Bertramka, il Teatro degli Stati generali, e il Palazzo Liechtenstein. Le celebrazioni raggiungeranno il culmine con il Festival musicale di Primavera di Praga, dal 13 maggio al 2 giugno, fino al concerto di gala di chiusura del 14 dicembre alla Smetana. L’allestimento e la realizzazione del progetto è a cura di Jiøí Hubaè, a capo del gruppo BVA International s.r.o., già curatore del “Tributo ad Antonín Dvoøák”, recentemente insignito dal magazine di musica Harmony del titolo di “Evento musicale 2004”. musica 3 Mercoledì, 22 febbraio 2006 A LA RECHERCHE DE LA MEMOIRE PERDUE - Horowitz...Toscanini...Cortot...Kubelik Cent’anni fa la Società di Concerti una strabiliante stagione musicale di Patrizia Venucci Merdžo «A ldo Ferraresi, negli anni Venti, al suo concerto in teatro, (nota bene che lo sostenne da solo da cima a fondo) piantato a gambe divaricate, si scodellò come un demonio, uno dopo l’altro tutti i ventiquattro Capricci di Paganini. Faceva faville!”. “La Conchita Riverira, era meravigliosa. Questa esimia cantante da concerto fiumana, una delle migliori nell’Europa Centrale ed Italia, si presentò al Teatro Verdi (accompagnata al pianoforte) indossando un favoloso abito di broccato verde smeraldo con tanto di strascico, che metteva in risalto la sua carnagione creola ed i denti bianchissimi. Aveva un’arte della recitazione, del muoversi, del “posare”, dell’interpretare assolutamente affascinante e rara…”. Quando Segovia tenne concerto al Verdi il teatro era per metà vuoto, perché al- Vladimir Horowitz suonò a Fiume negli anni Trenta l’epoca la chitarra non era uno strumento da concerto molto popolare; ma ebbe un successo tale da dover ripetere il concerto il giorno dopo”” “Oltre a sonar benissimo, Arturo Benedetti Michelangeli el era anche un gran bel mulo. Ma ricordo che dopo el concerto noi mule come mate, facevimo la fila per farse dar el autografo”. “Noi ragazzi della Scuola di Musica stavamo in galleria. Ricordo il concerto tenuto dalla Filarmonica di Filadelfia negli anni Quaranta… eravamo tutt’orecchi. Qualcosa di indimenticabile”. “I concerti da camera si usavano tenere nella Sala delle feste a Palazzo Modello. Al centro della sala c’era il pianoforte e tutt’interno ilpubblico, in modo da creare un’atmosfgera di grande intimità, da “salotto” musicale ottocentesco”. “Hubermann suonò diverse volte a Fiume; l’ultimo suo concerto risale agli anni Quaranta e si tenne nella sala dell’odierno cinema Jadran. Aveva uno stile abbastanza affettato, tuttavia era un maestro”. Sono queste alcune delle testimonianze, purtroppo rare, degli ormai pochi e anziani testimoni di una stagione concertistica eccezionale il cui ricordo rappresenta uno sprone a rinnovare una tradizione concertistica di alto livello che a Fiume rappresentava la regola, e non l’eccezione. Se poi anche il centesimo anniversario 1906-2006 della Società di Concerti dovesse passare sotto silenzio, allora sarebbe proprio segno inequivocabile di incoscienza – da parte degli operatori culturali – di un passato musicale straordinario e di abulia cronica in merito a qualsiasi azione di scavo scientifico e valorizzazione della città di Fiume in un contesto nazionale e internazionale. Ma non vogliamo fare l’uccello del malaugurio pregiudicando il futuro; preferiamo invece porre le nostre speranze e fiducia in chi di dovere. Quanti sanno che a Fiume si esibì Franz Liszt (alla Scuola di Musica ci hanno insegnato che il virtuoso magiaro “suonò a Zagabria” e nemmeno menzionato il suo soggiorno fiumano!), il grande Ferruccio Busoni, Moritz Rosenthal (grande interprete chopiniano e romantico, allievo pure di Liszt), il pianista di corte Emil von Sauer (allievo di Nikola Rubinstein e Liszt), Leopold Godowsky (dalla strabiliante tecnica e dal gusto personalissimo), Alfred Cortot (considerato per molto tempo il maggior interprete vivente di Chopin), Arthur Rubinstein (11 ottobre 1927), Claudio Arrau, Walter Giesekind, lo smagliante Jose Iturbi (i…. poi da Hollywood), Carlo Zecchi, Aleksandar Borovskij, Rudolf Serkin, Ernö von Dohnany, il celebre Wilhelm Backhaus (il cui stile meticoloso e intellettuale fece di lui il primo esponente della nuova generazione che si staccava dal pianismo romantico di N. Rubinstein e Liszt), e più tardi Horowitz, Michelangeli, ecc., tnto per limitarci all’Olimpo del pianismo? Pochi anni fa Benedetti Michelangeli ebbe a dire che ”suonare a Fiume negli anni Trenta significava qualcosa”. A cominciare dai grandi violinisti boemi, dall’”augusto” Jan Kubelik (aveva dimora ad Abbazia all’odierno Casinò Rosalia “e non el portava neanche el baston da pasegio, per non afaticarse le man” ricordano i vecchi), Vasa Prihoda, Jaroslav Kocjan; ai superbi virtuosi magiari quali Ferenc von Vecsey, Josef Szigeti, Tibor Varga, a Jascha Heifetz(!), Jacques Thibaud, Stefi Geyer, Karl Flesch (il cui metodo didattico delle scale è il padrenostro dei violinisti), Adolf Busch, Bronislav Hubermann, Nagthan Milstein… i violoncellisti Pablo Casals, Gaspar Cassado, Gregor Piatagorsky, Antonio Janigro, Enrico Mainardi… molti tra i quartetti più famosi d’Europa, orchestre (Filarmonica di Berlino, la Filarmonica di Filadelfia…) cantanti (Gina Cigna, Mafalda Favero…) e chi più ne ha più ne metta! Insomma la Storia del concertismo mondiale è passata – non una volta e non a caso – anche per Fiume. Ci sarebbe da scoppiare d’orgoglio eppure… ce ne infischiamo altamente! O meglio, buio assoluto. Di chi è la colpa? Di quanti dovrebbero indagare scientificamente – i musicologi, e ne abbiamo un esercito – un passato musicale ricchissimo ed evoluto e non lo fanno, o meglio, si soffermano su aspetti più o meno marginali tralasciando invece le colonne portanti della vita musicale fiumana di una volta. Dopo questa impressionante carrellata di nomi veniamo ai coltissimi e lungimiranti fondatori della Società di Concerti. La detta società fu fondata da Fiume - ”su iniziativa di una cerchia di illustri e benemeriti cittadini amanti della musica di quali intendevano promuovere l’arte musicale e a coltivarne la cultura organizzando c oncerti, produzioni musicali, conferenze ed altre simili manifestazioni sempre inerente all’arte dei suoni” - già al congresso costitutivo del 3 dicembre 1905, su basi salde e sicure, con un ingente numero di soci con assicurata la cooperazione di eminenti e ragguardevoli persone; dopo uno scrupoloso iter burocratico tra il sostituto governatore di Fiume, il magnifico podestà “Vossignoria Francesco dott. Vio” ecc., il 3 maggio 1906 il sostituto governatore rendeva noto al Magnifico Podestà che il regio ungarico ministro degli interni aveva approvato il 25 aprile 1906 gli Statuti della Società di Concerti. Il battesimo del fuoco della detta istituzione ebbe comunque luogo già il 14 dicembre 1905 nientemeno che con il concerto del “Quartetto di Praga”. Il presidente della società era Arturo Steinacker, il vicepresidente il cav. Milan de Gorup, il segretario era l’ing. Giusep- I fondatori della Società di Concerti nel 1910: (in piedi) Riccardo Eggenhofner, ing. Conighi, Enrico Simonich, avv. Rudan, Enrico Blitz. Seduti: maestri Battaglia e Albertoni, comm. Steinecker (presidente), maestro Cimadori, ...(?) Gina Cigna si esibì in concerto pe Janosits, il cassiere Enrico Blau mentre direttori artistici erano i maestri Roberto Cimadori, Francesco Battaglia, Emilio Gibara, l’architetto Paolo Grassi, Enrico Simonich, Bertoldo Kaufmann e Carlo Ozioni. Il sigillo della Società di Concerti era rappresentata da un’arpa stretta ai lati da una S e una C contornata dal nome della Società. I mezzi della Società erano: i contributi dei membri, introiti straordinari, donazioni a favore della Società e le tasse di buona entrata dei membri. Chi desiderava far parte della Società presentava domanda scritta alla direzione che poteva essere approvata o respinta (“l’accesso a tutti i concerti organizzati è riservato esclusivamente ai membri della società stessa”, alle prove generali però potevano accedere gli studenti della Scuola di Musica). ”Ogni anno si organizzano non meno di sei concerti con l’intervento di artisti di fama riconosciuta”, leggi artisti di fama europea o mondiale. Gli altri concerti e riunioni musicali erano sostenute dai membri stessi della Società! Non solo facoltosi e influenti erano i nostri predecessori, ma pure colti musicisti tanto da “suonarsele” tra di loro. E così scopriamo che (ed è una delle tante riunioni musicali) nella Serata Musicale di venerdì 26 ottobre 1906 (i concerti si tenevano nei primi anni nella sala del Hotel Deak, ossia l’odierna Casa dei sindacati Franjo Belulović) l’ingegner Janosits e l’industriale e noto virtuoso del violino Enrico Simonich, esegivano la Sonata per piano e violino in do min. di Grieg, che la “Signorina Baronessa Alma Lettis” cantava antiche arie italiane e francesi mentre invece in altre produzioni si erano esibiti, come provetti violinisti, il dott. Francesco Brelich, il dott. Leo Meer, Silvio de Hebert, l’ing. Luigi Morini; l’ing. Damianovich era un violoncellista di tutto rispetto mentre Maria Meynier e l’ing Janosits erano eccellenti pianisti. Per non parlare dei soci, musicisti di professione quali i pianisti Nina Boccolini, Roberto Cimadori, Emilio Gibara, Francesco Battaglia, Bruno Budan, Giuseppina ed Enrico Scaramelli… per un totale di 57 (!!) soci concertisti. Assolutamente straordinario, specie se messo in relazione al livello musicale della popolazione intellettuale (e non solo) fiumana di oggi. Tra l’altro la neonata ambiziosa Società aspirava alla costruzione di una propria sala da concerto “corrispondente alle esigenze moderne”. Se non pensavano alla grande e da europei i nostri vecchi cent’anni fa! E meno male che Fiume era provinciale e culturalmente povera (come solitamente ci informano)! Se Dio vuole, la sospirata sala da concerto, un bel dì la vedremo sul Delta (almeno secondo la bozza del nuovo piano urbanistico). Membri della Società di Concerti erano il fior fiore della borghesia e anche della nobiltà fiumana come pure gli intellettuali (o persone di provata affidabilità); parliamo delle dinastie” degli Ossoinack (Irene era cantante e Wally pianista), dei Gorup, l’armatore Ugo Minach, l’ing. Luigi Luppis, i Rudan, Ilario Ploech, l’ing. Ivon Clerc, il dott. Alessio Luttenberger, Vittorina de Adamich, i vari comm. avv. ing. Baccich, gli architetti Bruno Angheben e cav. Carlo Conighi, i cav. Roberto Deseppi e Arturo Chiopris, i Ružička… una sfilza di commercianti ecc. ecc. 4 musica Mercoledì, 22 febbraio 2006 Mercoledì, 22 febbraio 2006 5 LA MAGIA DEL BAROCCO - Dalle danze popolari ai colori del mare, al gracchiare delle cornacchie... all’ ironica «Arlequinade» Georg Philipp Telemann, un vulcano tutto da riscoprire e valorizzare di Giuseppe Nalin S timato e riconosciuto nella sua epoca come il più importante compositore tedesco per la diffusione e la profusione delle sue opere e per l’indipendenza del suo spirito, Telemann era conosciuto al pari di J. S. Bach. Nato a Magdeburgo il 14 marzo del 1681, si dimostrò fin dalla sua più giovane età eccezionalmente dotato per la musica; a partire dall’età di dieci anni, studiò il violino, il flauto dolce e il cembalo ed arrivò a comporre la sua prima opera Sigismondo, solo due anni più tardi. In una delle sue tre biografie, egli ci descrive un quadro ampiamente esaustivo di come dovette vincere le resistenze da parte di molti: “I nemici della musica verranno in massa a vedere mia madre e gli spiegheranno che io diventerò un ciarlatano, un danzato re di corte, un giocatore, un incantatore di marmotte se la musica non mi verrà tolta. Presto detto, presto fatto: io mi sono preso le mie note, i miei strumenti e con essi metà della mia vita.” Studiando Diritto a Lipsia nel 1701 sotto le insistenze di sua madre, approfittò di questo allontanamento per moltiplicare i contatti con la musica e i musicisti, tra i quali ci fu anche il più giovane Handel ad Halle. Componendo salmi e cantate con una facilità sconcertante, si attirò la gelosia del Kantor della Tho- maskirche Johann Kuhnau, ma ricevette sempre più consensi e commissioni, tanto che divenne direttore musicale dell’Opera e poco dopo organista della Neukirche. Nel 1705 lasciò Lipsia per la corte del conte Erdmann II di Promnitz a Sorau; fu qui che la sua verve musicale prese un nuovo slancio e sebbene si trattasse di un corto soggiorno, esso divenne uno dei più intensi poiché si dedicò animosamente allo studio della musica francese; musica che da allora marcò profondamente tutta la sua opera: “lo mi applicai pressoché interamente a questo stile, si che in due anni, composi fino a duecento suites.” Divenuto Konzertmeister (ossia primo violino e direttore d’orchestra) nel 1709 presso la corte di Eisenach, Telemann si legò con una forte amicizia al violinista Pantaleon Hebenstreit (inventore dello strumento chiamato con il suo stesso nome: Pantaleon), ma soprattutto con Bach che lo volle come padrino di suo figlio Carl Philipp nel 1714. Proprio in questa epoca data il suo primo matrimonio ma anche la prima grande prostrazione della sua vita, poiché la moglie morì nel 1711. La fulgida carriera di un Grande Per dimenticare la sua angoscia, partì per Francoforte sul Meno dove divenne Kappelmeister della Barfüssekirche (la Chiesa degli Scalzi) e direttore di un Collegium Musicum per conto del quale organizzava pubblici concerti settimanali. E proprio in questo contesto Telemann si trasformò, sfornando decine di musiche di circostanza, cicli interi di cantate, oratori, brani orchestrali e una quantità immensa di opere da camera e opere per il teatro; molte di queste musiche finirono anche a Lipsia, città con la quale era ancora in forte relazione. Un nuovo matrimonio, la paternità e la cittadinanza di Francoforte, coronarono le sue speranze. Da allora, i suoi viaggi furono frequenti e ricchi di nuovi titoli onorifici: Eisenach 1716, Gotha 1717, Dresda 1719. Gli incarichi divennero sempre più numerosi e lo condussero ad acquisire il posto molto ambito di Kantor del Johanneum di Amburgo che ottenne nel 1721. Non soddisfatto di essersi accaparrato tutti i migliori posti, moltiplicò i suoi impegni nel seno della medesima città: corsi, lezioni, direzione di cantate domenicali, composizioni più svariate, posti di organista, direttore dell’Opera dal 1722 al 1738, direttore dei concerti pomeridiani e per finire anche direttore della gazzetta della critica musicale diretta da Mattheson nel 1728. Ricordiamo che nel 1722 Telemann rifiutò il posto di Kantor a S. Tommaso di Lipsia, che in seguito fu dato a Bach. A questo proposito, il commento del concistoro della chiesa fu il seguente: “Poiché non possiamo ottenere il mi- gliore, dovremo accontentarci di uno mediocre!” Telemann morì ad Amburgo il 25 giugno del 1767, sazio di giorni e acclamato dall’umanità intera. Musiche strepitosamente belle Nell’ascoltare oggi la sua musica, chi potrebbe dire il contrario? Non c’è un brano che si possa definire mediocre o brutto: tutta la produzione musicale di Telemann è strepitosamente bella, coinvolgente e lampantemente geniale, così come lo è tutta quella di Bach. Ma è pure interessante e strano notare come finora la figura del compositore magdeburghese sia stata poco scandagliata almeno dal lato biografico, nonostante egli ci abbia lasciato ben tre biografie. Di esse non mi risulta esistano traduzioni complete in lingue diverse dal tedesco, ma non credo ci siano nemmeno delle moderne biografie in inglese, francese o spagnolo, per non parlare dell’italiano! E sempre per restare in Italia, notiamo che latitano fortemente i convegni e gli studi musicologici su Telemann a tutti i livelli, con ciò relegando questa immensa figura in un limbo dal quale speriamo venga presto riscattata. D’altro canto, tutti gli artisti che si interessano alla sua musica e accortamente decidono di inciderla, hanno il vantaggio di godere di vette inaudite che soddisfano primie- ramente gli esecutori stessi e successivamente il pubblico che resta molto spesso affascinato dalle abbacinanti melodie cantabili dei concerti o dalle vivacissime danze incastonate nelle centinaia di ouvertures da lui scritte. Nell’epoca barocca un certo grado di eclettismo era un ingrediente essenziale nella musica strumentale dei compositori tedeschi; ma mentre nelle loro suites dominava lo stile francese, era naturalmente quello italiano ad influenzare la loro produzione concertistica. L’influenza della musica italiana Nei suoi appunti autobiografici, Telemann ricorda come Corel- li gli avesse offerto utili modelli di scrittura strumentale; tuttavia il cosidetto stile veneziano del concerto solistico, più moderno, di cui sono esempi i lavori di Vivaldi e Albinoni e molti altri, non mancò di ispirarlo altrettanto fortemente. Per forza di cose, quando ci si addentra nella sterminata produzione telemanniana, (pare abbia scritto più lui che Bach e Handel messi assieme), bisogna limitarsi a seguire un filone preciso ed è ciò che faremo in questa breve esposizione parlando delle suites per orchestra. Le centodiciassette suite per orchestra! Il favore conosciuto in Germania dalla suite e dalla ouverturesuite (una denominazione appropriata laddove il primo movimento sia costituito da una ouverture alla francese di derivazione teatrale e maggioritaria, dove risulti la presenza di nuove danze), trova puntuale riscontro nella produzione di Telemann del quale oggi sono note sei suites per orchestra manoscritte e 111 partiture complete ricopiate all’epoca. La stima del numero d’opere di questa natura che Telemann compose in totale pare oscilli comunque attorno al migliaio! Johann Adolph Scheibe caratterizza in questi termini, i meriti di Telemann a proposito dell’abbondante produzione di suites, e più particolarmente di quelle di origine francese: “Telemann e Fasch sono, tra tutti i tedeschi, quelli che si sono più distinti in questo genere di Ouvertures. Il primo, in particolare, ha veramente fatto conoscere questi brani in Germania. Egli si è così ben distinto che si può dire a giusto titolo e rendersi colpevoli di adulazione, che lo stile imitatore dei francesi, è in fin dei conti sorpassato nel loro proprio dominio.” L’ouverture tipica alla francese -con una parte lenta e maestosa, con ritmi puntati una seconda parte rapida, sovente fugata che poi ritorna alla prima parte con qualche variante segue dei movimenti di danze stilizzate di fogge diverse e pressoché sempre nella medesima tonalità: tutto ciò segnala una influenza francese preponderante. Per Telemann, ne l’ordine delle danze, nel loro numero sono retti da una norma. Egli infatti compose tanto delle danze di corte, quanto delle danze popolari, privilengiando fondamentalmente il concetto del contrasto nella loro successione. Ma nel medesimo tempo, applicò il principio del concerto in quasi tutte le sue suites. All’uso delle suites francesi d’opera o di balletto, certi movimenti di danza comportano dei titoli a programma e sono sviluppati dal musicista madgeburghese in brani di carattere laddove la forma e l’ affetto sono entrambi grande importanza. La sua ispirazione creatrice si nutre di temi e di personaggi della letteratura e della mitologia antica, dei canti degli uccelli e delle grida di animali (vedi l’ Alster Ouverture) , del mare, scene campestri e delle città e - ultimo ma non meno importante - dei fatti della società a lui contemporanea. Telemann è in questo un artista borghese convinto ed accorda dunque un posto importante alle danze popolari. “Sono portato a credere -scrive nel 1740 -che certi menestrelli o certi zampognari possano ave- re delle invenzioni meravigliose quando improvvisano ogni volta che i danzatori si riposano. Ascoltandoli attentamente, ho potuto fare in otto giorni provvigione di idee per una intera vita.” rozza postale e con una danza, l’”Hypocondrie” con un atto di eroico stoicismo e ‘Le petit-maitre’ con la visita ad un bordello. Una suites che sconsiglio di ascoltare a tutti medici ortodossi! Le suite di caccia per il langravio Luigi VIII Le incisioni della Akademie für Alte Musik La maggior parte delle suites di Telemann, composte per l’illustre Hofkapelle di Darmstadt, sono dedicate al langravio Luigi VIII, appassionato cacciatore ed è per questo che delle arie di caccia si trovano spesso tra queste, come nel caso della suite La Chasse che ha un organico abbastanza inusitato: due oboi, due corni e un fagotto. Tutta questa suite è consacrata ad un quadro venatorio; la sua gaiezza culmina nella conclusione, nella quale il “Piacere”, restituisce l’ambiente della caccia primordiale. Si può ascoltare questa suite in un bel CD della H armonia Mundi (H M 901654) nel quale sono racchiusi altri tre lavori di questo genere quali La Musette, l’ouverture Tragicomique e la più conosciuta e già citata Alster. Sebbene il titolo di Musette richiami alla mente la cornamusa, Telemann ne fa singolarmente una composizione per soli archi imitanti il bordone grave dello strumento pastorale. Fedele alle sue concezioni internazionali, Telemann associa a questa danza popolare francese, una “Polonaise” saltellante, le tinte sobrie di un “Mourky” tedesco e due capricciosi ambasciatori italiani sotto le specie di un “Napolitaine” e di un “Arlequinade”. Il messaggio dell’ Ouverture jointe d’une suite tragi-comique nella quale i movimenti portano dei titoli stranieri, è assai misterioso. Una introduzione familiare è seguita da tre paia di pezzi nei quali i mali e i fantasmi degli uomini sono trattati dalla musicoterapia sotto forma di rimedi ante-litteram. È qui che la Podagre è reputata guaribile con un viaggio in car- Il CD è ottimamente interpretato su strumenti antichi dalla tedesca Akademie für Alte Musik Berlin, una compagine che trova delle sonorità particolarmente sprizzanti e dei ritmi serrati che inducono senz’altro al movimento. Per ciò che riguarda l’ Alster ouverture, (che nel suddetto CD si differenzia in alcuni movimenti da altre due versioni a cui accenneremo), essa si distingue per una paletta quasi illimitata di raffinatezze strumentali e per una grande diversità di pezzi descrittivi, ora velati di mitologia, ora improntati al naturalismo gagliardo che tradiscono senz’ altro le loro radici coreografiche. Il gracidio delle rane e le cannonate All’ epoca, quasi nessun compositore aveva fatto intendere il gracidio delle rane e il gracchiare dei corvi con tanto realismo come nel Concerto delle rane e dei corvi reso con sapiente acume comico da Telemann. E se la versione della Harmonia Mundi è interessante, quella prodotta da Philip Pickett per la Decca (Decca 455621-2) è veramente strepitosa per l’esagerazione delle dissonanze insite nel brano. Ma pure sfavillante risulta essere il brano Die canonierende Pallas (Le cannonate di Pallade), nel quale Pickett e il suo New London Consort sfracellano gli archetti dei celli e del contrabbasso dalla parte del legno, direttamente sulle corde, in modo da far risaltare il tutto come delle vere e proprie cannonate. Chi vuole divertirsi, non ha che da ac- quistare questo CD che contiene tra l’altro l’altrettanto famosa suite in do maggiore Wassermusick, incisa anche da Robert King per Hyperion (CDA66967) e da Goebel per Archiv (Archiv 413788-2) in una vecchia incisione del 1984 che allora fece scuola. Sempre Reinhard Göebel e la sua Musica Antiqua Köln ci propongono in un ulteriore disco Archiv (Archiv 429774-2 , fuori catalogo), una splendida registrazione dell’Ouverture in re maggiore in sette movimenti, dedicata al già citato landgravio Ludvig VIII di Hessen-Darmstadt. Questa tra l’altro, rimane la sua ultima opera strumentale conservata. In essa, (ricordiamo che qui Telemann aveva superato gli ottanta anni) troviamo il fascino e lo straordinario spirito di un documento che doveva durare nel tempo, particolarmente seducente nella trasformazione delle forme barocche, compiuta attraverso lo stile rococò e sentimentale. L’ouverture non ha più la rigidezza formale dello stile francese; la sezione veloce-fugato ha la grazia e il buon umore di una gavotta. La Plainte è un canto serenamente classico, è la Rejouissance ricorda glorie antiche. Il Carillon allude forse al glockenspiel olandese trovato nel palazzo del langravio; il Tintamare (letteralmente i colori del mare) è un brano baluginante di genere, mentre la Loure conserva la grazia di una forma arcaica e la coppia di Minuetti conclusiva unisce l’eleganza e la grandezza della nuova epoca. Ricordo che nel CD è contenuta pure la cantata Ino per soprano e orchestra interpretata da Barbara Schlick. La registrazione è del 1989. Sempre per la casa discografica tedesca, troviamo due CD registrati da Trevor Pinnock rispettivamente nel 1993 e nel ‘94. Si tratta di cinque ouverture delle quali riportiamo le sigle di catalogazione: TWV (Telemann Werke Wernisch) 55: C6, 55: DI9, 55: BIO (Archiv 437558-2) della durata di 77 minuti e 1WV 55: G4, 55: DI (Archiv 439 893-2, fuori catalogo), della durata di 59 minuti. Sono tutti lavori di grande respiro nei quali Telemann propende spesso verso schemi dialogici con un procedimento concertante in cui si evincono complicati passaggi di elaborata scrittura solistica, caratterizzata soprattutto dagli strumenti melodici, esemplificati in queste cinque suite dagli oboi (a volte anche tre), accompagnati al basso dal fagotto, dalla tromba, come nella suites in re maggiore TWV 55: DI, detta anche Tafelmusick, produzione II, o dal violino solista. Telemann melodista e «pittore» Ognuna di queste suites, attesta nel modo più persuasivo l’abilità del compositore come melodista e la sua raffinata maestria nel trattamento di variegati coloriti orchestrali. L’esecuzione di The English Concert sotto la guida di Pinnock, è tra le migliori e senz’ altro più riuscite per la vivacità dei ritmi, per la bravura dei solisti (Paul Goodwin e Mark Bennet in testa) e la passionalità solare che sprizza da tutti i pori. Robert King, altro direttore inglese, si cimenta alla guida del suo The King’s Consort, nella stessa suite per tromba TWV 55: DI, nella quale ritroviamo nuovamente Paul Goodwin quale solista di oboe, mentre Crispian Steele Perkins è stavolta il virtuoso (ma di bravura inferiore a Bennett) di tromba barocca. Nella seconda parte del CD abbiamo invece la suite in Si bemolle maggiore in otto degli oboi in eco agli archi, una sinuosa «Flaterie» ed un furioso finale. Il disco è un Hyperion CDA66278, registrato ne11987. Restando in ambito tedesco troviamo un doppio cofanetto della Teldec (4509-93772- 2) contenente sei ouvertures (TWV 55: g4, C6, d3, D15, Al, Fl) incise dall’immancabile Nikolaus Harnon- nella quale due movimenti, obbediscono ad un programma: “Les Plaisir”, una rapida e gaia danza con ritmo alla breve che segue l’ouverture di gusto Francese e una “Air à l’ltalien”, uno struggente movimento melodico. La versione italiana vede l’impiego di strumenti moderni ed una presa sonora che falsa molto le dinamiche per via di un alone un poco troppo esagerato, certamente aggiunto dai tecnici della casa discografica genovese. Peccato, perché l’esecuzione di Bagliano non ha nulla da invidiare a quella di Brüggen, anzi per certi dell’ Alster forse meno onomatopeica della versione di Pickett ma sostanzialmente molto musicale e di sicuro effetto, così come nella Bouffonne si possono ammirare i due Rigaudon finali ben diretti da uno smagliante Standage. Sempre con la direzione di Standage, c’è u altro CD Chandos (CHAN 0519 VoI. I) contenente la Changeante; di questa esecuzione non posso dire nulla perché non l’ho mai ascoltata e manca nella mia discoteca, dunque la riporto solamente. Per concludere segnalo la bellissima incisione fatta dall’oboista e court con il Concentus Musicus. Le due registrazioni risalgono al 1966 e al 1978. versi è ‘modernamente più attendibile. Tornando in area germanica, troviamo altre due incisioni; la prima è opera del lodevole ma un poco freddino complesso tedesco La Stravaganza che nel 1990 ha registrato per la giapponese Denon (CO-77398), la Volker- Ouverture, l’ Ouverture in re minore TWV 55: fl, e l’OuvertureTWV 55: gl. La seconda incisione contiene tre ouvertures: TWV 55: B10 (incisa anche da Pinnock), l’ Ouverture in fa minore per due flauti dolci e la Burlesque de Don Quichotte, tutto ad opera degli strepitosi Freiburger Barockorchester diretti da Gottfried von der Goltz per la DHM (05472773212). Resta ancora qualcosa da dire intorno al disco della casa francese Accord (206212), nel quale troviamo la Suite per flauto dolce concertante, oboe, archi e continuo e la Suite in sol minore La Bizarre per 2 oboi e archi. Questo CD, interpretato dal flautista e direttore francese Christian Mendoze, fa il paio con un altro edito da un’altra casa discografica francese, la Pierre Verany (PV796022, fuori catalogo), nel quale lo stesso Mendoze a capo del medesimo ensemble Musica Antiqua presenta altre due ouverture: la già incisa Wassermusick ed una straordinaria Ouverture in re maggiore per viola da gamba, 2 oboi e archi, nella quale il solista Philippe Foulon sciorina una arcata ariosa e morbidissima. La Bouffonne, la Grillen-Symphonie e l’ Alster- Ouverture si possono trovare su un dischetto della Chandos con il Collegium Musicum 90 (CHAN 0547) diretto da Simon Standage. Anche in questo caso abbiamo una bella edizione direttore belga Paul Dombrecth per la casa olandese Vanguard, Classics (serie Passacaille Collection) di altre suites: La TWV 55: B II detta La Bourse, quella in sol minore g3 e la suite in do maggiore C4. In special modo quest’ultima, presenta nel terzo moviment0 Les etudiants gaillards e nel penultimo Canaries, una combinazione di colori ed una invenzione ritmica di grandissima immaginazione, che Dombrecth mette ancor più in evidenza, aggiungendo al trio dei due oboi e fagotto un tamburo a scandire un ritmo già per se stesso coinvolgente e di sicuro effetto. Sottolineiamo che tutte le versioni discografiche presentate, sono eseguite con strumenti d’epoca (tranne quella di Bagliano che comunque adotta una corretta prassi esecutiva), e dunque il numero delle incisioni per ora si limita a poco meno di una trentina di lavori sugli oltre cento pervenutici. A questo proposito cercherò di rendere un servizio ai lettori riportando la totalità delle suites disponibili sia a stampa sia manoscritte, elencandone il numero nelle varie tonalità: 11 in do maggiore, 26 in re maggiore, 3 in re minore, 5 in mi bemolle maggiore, 4 in mi maggiore, 10 in mi minore, 18 in fa maggiore, I in fa minore, I in fa diesis minore, 14 in sol maggiore, 9 in sol minore, 9 in la maggiore, 7 in la minore, 14 in si bemolle maggiore, 4 in si minore, per un totale di 136 suites-ouvertures! Per tutti coloro invece che volessero conoscere bene la produzione sterminata del catalogo di Telemann, fornisco un indirizzo internet sul quale potranno navigare comodamente: http: //infopuq. uquebec. ca/uss 1010/ catal/telemann/telgppub.htm L’interpretazione di Harnoncourt I 12 anni di distanza si percepiscono nell’ evoluzione esecutiva del Concentus, sebbene le idee di Harnoncourt rimangano sempre avvinghiate ad esecuzioni fatte di scatti improvvisi, dinamiche a gradoni ed una cantabilità abbastanza legnosa. Va detto che in queste, come in altre registrazioni del primo periodo harnoncurtiano, il diapason è abbastanza alto, circa a 420 Htz. Questo influisce non poco sul colore degli strumenti che negli archi si rivela secco e vetroso, mentre negli oboi (unici fiati presenti in queste ouverture assieme al fagotto) assume un timbro leggermente sguaiato e a paperetta. Trattandosi però di un cofanetto contenente delle suites fino ad ora mai più riproposte, ne consigliamo l’acquisto, dato il prezzo appetibile. La suite in la minore TWV 55: a2, è ascoltabile in due versioni incise ad oltre trent’anni di distanza: 1966- 1999 dal caposcuola e grandissimo virtuoso di flauto dolce Franz Briiggen e dall’italiano, non meno virtuoso Stefano Bagliano. Il primo è un C D Teldec (450997422-2, fuori catalogo), contenente anche un Concerto in do maggiore e un Concerto a 6 in fa maggiore con flauto dolce, mentre il secondo è un C D Dynamic che prevede anche un concerto per flauto e fagotto ed uno per flauto e viola da gamba. L’ouverture TWV 55: a2 è una delle differenti suites per orchestra 6 musica Mercoledì, 22 febbraio 2006 MUSICA E COSTUME - Ah! La Belle époque!...ah! Il Caffè Chantant! ...Quando la Bella Dalle follie della patetica Belle a cura di Patrizia Venucci Merdžo L a follia della Belle époque, la febbre di divertimento vissuta giorno per giorno come se fosse l’ultimo in uno scenario di transizione ed insicurezza sociale ed economica - nacque nella gaudente e disperata Parigi di metà Ottocento, e dalla capitale d’Europa, l’epidemia di questa voglia festaiola dilagò a macchia d’olio ed in maniera pandemica nel Vecchio Continente, conivolgendo ed accomunando, in una certa qual maniera, tutti i ceti sociali. I poveracci in cerca di fortuna come le teste coronate in cerca di distrazioni proibite e la buona borghesia. In queste righe cercheremo di capire il perchè, il come, il chi, le implicazioni culturali e di costume che in primo luogo, il fenomeno del Caffè Concerto e del Caffè Chantant, si trascinarono dietro, come un lungo, lussureggiante e frivolo strascico di un’ammaliante Chanteuse parigina (o viennese) di fine de siécle. Origine del Caffè Concerto Nel 1729, a Parigi nacque la prima Società Letteraria, con la finalità di sviluppare la canzone come espressione culturale e il destino volle che la sede scelta fosse un Caffè, il “Caveau”, situato vicino a Palazzo reale. Nel 1806 il nome venne modificato in “Le Caveau Moderne”, ed il locale fu ampliato per poter così ospitare un maggior numero di spettacoli e attrazioni, sempre accompagnati dalla degustazione dell’ottima bevanda. Ed ecco che, in uno stesso luogo, veniva- no riuniti militari, impiegati, nobili, banchieri, ecc, tutti convenuti allo scopo di distrarsi e di ascoltare, ma soprattutto di vedere, la “sciantosa”, sempre disponibile al sorriso ed alla strizzatina d’occhio. Così, Parigi diventò il centro europeo della “belle-époque”, ma i locali adibiti a Caffè-Concerto diventarono numerosissimi anche in altre nazioni come Austria, Germania, Inghilterra, Spagna e Russia. In realtà i gestori dei Caffè usavano le attrazioni musicali solo come “specchietto per le allodole”, cioè per gli avventori, che gustavano bevande e gustosi cibi speciali in grande quantità. Infatti, la poca attenzione per la scenografia era evidente: l’attrezzatura si limitava ad una semplice pedana su cui suonava un’orchestrina (Caffè Concerto) o accompagnata da una cantante (Caffè Chantant). Visto il successo ottenuto e la concorrenza che si facevano i proprietari, ciascuno decise di arricchire lo spettacolo, offrendo al pubblico anche numeri con giocolieri, illusionisti e comici. Questa mutazione del Caffè da “bar” a luogo di spettacolo avvenne nella seconda metà del XIX secolo, in tutta Europa e principalmente a Parigi, dove il Café Chantant raggiunse il suo massimo splendore in locali quali il mitico “Moulin Rouge”, “Le Chat Noire”, “Les Folies Bergère”. Il Caffè Concerto in Italia Neppure nel Belpaese non mancavano di certo dei Caffè Moulin Rouge di Degas Concerto che nulla avevano da invidiare a quelli parigini. Possiamo ricordare il Caffè”Florio” a Torino, il “Greco” e l’Olimpya” a Roma, il “Caffè della Scienza” a Bologna. Napoli poi aveva il primato: il “Flora”, il “Diodato”, il “Veneziano, l’”Eden”, l’Eldorado”, “I Cavalieri”,sono soltanto alcuni tra i caffè più frequentati da artisti, letterati e ricchi borghesi. La frizzante Mitteleuropa La Belle époque con la sua euforia e forme di spettacolo non mancò di contaminare l’Europa Centrale- sebbene in maniera più raffinata ed elegante dove si espresse sotto forma di operetta viennese, di romanze e canzoncine allegre ma d’autore, o di una miriade di brani scoppiettanti per violino poggianti sui ritmi e le melodie accattivanti del foclore magiaro. Infatti non c’era caffè di un certo livello che non fosse allietato da complessi strumentali e da stelline che interpetassero le arie d’operetta più in voga; o in Ungheria le celeberrime compagini tzigane con tanto di ammalianti e frizzanti zingarelle pronte alla danza come al canto. I nostri vecchi ricordano che a Fiume ai tempi dell’Ungheria, sita nella casa della Torre dell’orologio di Sušak c’era un locale, una specie di “Moulen Rouge” casereccio, con tanto di Caffè Concerto, Caffè Chantant e ballerine allegre quanto ...”disponobili”. Per cui i signori fiumani “per bene” amavano andare a peccare oltre il “ponte”. lnoltre un locale frequentato da soldati austroungarici, allietato dalle note del Caffè Chantant, si trovava a Fiume negli ambienti dell’ex ristorante “Tre Palme”. Ma quali furono le principali attrazioni del caffè? E in quale modo hanno potuto monopolizzare l’attenzione di persone appartenenti ai più vari ceti sociali? A quest’ultima domanda si potrebbe rispondere affermando che, come sempre succede nella storia socio-economica di qualsiasi paese, ad un periodo di grande depressione finanziaria e quindi politica, corrisponde paradossalmente un altrettanto grande desiderio, da parte della popolazione, di divertimento, quasi a voler dimenticare i problemi quotidiani, nell’incertezza del domani. A questo il Caffè corrispondeva perfettamente, soprattutto quando, col passare del tempo, questa forma di spettacolo si raffinava e migliorava di qualità. Il leggendario Salone Margherita Manifesto d’epoca de “La vedova allegra” Punto d’incontro della buona società di Napoli era il Salone Margherita dove era di prammatica parlare il francese. Non solo gli spettatori lo dovevano parlare ma anche le maschere e i camerieri.Destinata a concerti e conferenze, un anno dopo l’inaugurazione, la sala, grazie ai radicali cambiamenti restauri del Cav.Giuseppe Marino, divenne uno splendido Caffè Concerto dove le glorie del varietè avrebbero brillato più fulgide. Rivestito da un’architettura lussuosissima, in fondo vi era il piccolo palcoscenico a forma di conchiglia che ospitò i più grandi macchiettisti, vedettes internazionali e sciantose quali: Bernardo Cantalamessa, Maldacea e Fregoli, da Emilia Persico ed Ersilia Sambieri a La Bella Otero e Cleo De Merode; e ancora Armand ‘ Ary, Amelia Faraone, Emilia Donnarumma etc.etc. A Napoli il Cafè Chantant fu la culla della “canzone napoletana” diventata poi famosa in tutto il mondo. A Napoli... lo spogliarello Napoli città del peccato! Sodoma e Gomorra d’Italia! Napoli vanta una sua autonoma invenzione del Caffè Concerto e di un numero che darà a sua volta origine ad un particolare genere di spettacolo: lo spogliarello. Fu così che nel 1875 Luigi Stellato in collaborazione col musicista Francesco Melber, nella rielaborazione di un motivo popolare creò ‘ A cammesella, divertente duetto tra sposini, con il marito che tende a eliminare a uno a uno i numerosi schermi dietro i quali la moda del tempo nascondeva le grazie della sposa, e quest’ultima che, di volta in volta, si schermisce e cede . A Rrrroma... ”a mossa”! Si deve a Ninì Tirabusciò, ed alla sciantosa Maria Campi l’invenzione della famosa “mossa” che fu lanciata alla sala Umberto di Roma dalla citata soubrette che per distinguersi dall’agguerrita concorrenza straniera inventò appunto, la “mossa”, cioè lo scrollare dei seni a tempo di casse e piatti per poi finire con il famoso colpo d’anca. Un mezzuccio per attirare ancora il sempre più sparuto pubblico e che fu segno della parabola discendente del Caffè-Concerto Le sciantose Comunque, le figure tipiche rimasero le “sciantose” e i “macchiettisti”. Quello della vita della sciantosa è un quadro tutto ombre e luci: ”è una creatura giunta dai bassifondi, decisa a crearsi un proprio spazio nel mondo, attraverso lo spettacolo, gettandosi alle spalle tradizioni, luoghi comuni e tabù”. Salvatore Di Giacomo mette a fuoco una domanda sulle sciantose, che viene spontanea a tutti:”Ma che cosa dunque sospinge sulle libere scene del Café Chantant queste sciagurate di cui la numerosa musica 7 Mercoledì, 22 febbraio 2006 Otero faceva impazzire le teste coronate d’Europa époque all’avanspettacolo e recentissima schiera è addirittura una germinazione di plebe?” Probabilmente, uno dei fattori più importanti che spingevano le ragazze del popolo a questa scelta piena di pericoli e delusioni, era la necessità di sopravvivere a qualunque costo, in un mondo dove la miseria e la disoccupazione erano una piaga inguaribile, specie per le donne. Ma proprio queste donne avevano dentro di loro anche quell’istinto teatrale che le ha rese protagoniste della storia del Café Chantant. I nomi dei personaggi femminili sono numerosissimi, anche se la maggior parte poi spariva nel nulla. ‘centro’, barcollando sui tacchi di un paio di scarpette di raso lilla. Tutto un patrimonio di gioielli sfolgorava sulla sua epidermide liliacea e nel serto di foglie vizze figurato dai suoi capelli era goffa, squisita, fragile, bizzarra e pietosa. Il suo nome Nelly Floupette, eccentrica”. Per citare solo alcuni personaggi possiamo ricordare Amalia Faraone, Olimpia Davigny, Rosa de Saxe, Ersilia Sampieri, Joly Fleur, Leda del Cigno, Lucy Charmante, anticipatrici del divismo cinematografico primo Novecento e delle celeberrime prime donne, quali: Anna Fougez, Lina Cavalieri, Elvira Donnaruma, Carolina Otero (la bella Otero), Cleo de Merode. Cristallizzò l’epoca umbertina e la prima guerra mondiale, ed anche il linguaggio adottato fu una chiara dimostrazione del pensiero culturale, che si divideva in due diverse interpretazioni: il dialogo intessuto di ironia e doppi sensi che camuffava una sottile verità e il linguaggio poetico che affascinava nobili e banchieri. Di conseguenza, sarebbe superfluo sottolineare l’importanza dell’analisi di questa forma di spettacolo, per la quale è giunto il momento della rivalutazione culturale. Importanza culturale del Caffè Chantant In un ambiente popolare che manteneva ed esaltava la prevalenza del dialetto, la canzone di Caffè Chantant era di volta in volta vicina all’operetta, alla canzone popolare, alla romanza da camera, al “contrasto” comico, alla “chanson a diction” o da cabaret, alla celebre “macchietta” con accompagnamento musicale. Attraverso la contaminazione con generi diversi il Cafè Chantant contribuì in maniera decisiva alla nascita della cosiddetta canzone melodica “all’italiana”, creando le condizioni per farla uscire dai salotti e dai teatri lirici, alleggerendola del suo passato melodrammatico. Lo spettacolo di teatro musicale “leggero” in Italia nasce con il Cafè Chantant e prenderà successivamente il nome di spettacolo di Varietà. Nel Nord da Trieste a Torino e soprattutto a Milano, grazie anche alla sperimentazione futurista, il Cafè Chantant evolverà in Teatro di Varietà, in Teatro della Sorpresa, in Music Hall, in Avanspettacolo Carolina Rodriguez, nota come la Bella Otero nacque nel 1868 in Spagna da famiglia di mendicanti. Cantante e danzatrice leggendaria della Belle époque fu adorata da principi e re. Accumulò enormi ricchezze che poi dilapidò al tavolo verde. Morì in miseria nel 1966 all’età di 97 anni. Jane Avril stella del “Moulin rouge”, in un manifesto di Toulouse Lautrec Quasi tutte le sciantose italiane usavano nomi francesi allo scopo di nobilitarsi, e imbottiture nei punti giusti per accontentare gli sguardi indiscreti del pubblico. Con il passar del tempo il loro ruolo divenne più prestigioso e professionale, tanto da attrarre uomini di cultura e di spettacolo. Questa trasformazione di ruolo si avvertì anche nel vestire e nel comportamento. Così le signore, divenute anch’esse frequentatrici dei Caffè, imitavano i gesti e l’abbigliamento di quelle donne che facevano impazzire qualsiasi uomo. Ecco trasformarsi perciò un elemento di spettacolo in un fatto di costume, inserendosi così nella storia della fine dell’Ottocento. Ecco il ritratto della sciantosa Nelly Floupette che Ugo Ricci traccia in una sua novella: “... una bella inebriante ragazza dai capelli rossi, piuttosto truccata e vestita con l’audace ed artificiale semplicità che era di moda a quel tempo. Essa a Torino, al Caffè Romano, faceva il ‘numero’ del I macchiettisti Dopo il lungo elenco femminile, ricco di immagini tristi, patetiche, ma anche romantiche e intense, possiamo parlare dei personaggi maschili, che tanta parte hanno vuto nello sviluppo di questa forma di spettacolo. Vista al maschile, la vita del “macchiettista” assomiglia a quella della chanteuse; stessi desideri, sacrifici e lotte. Furono molto amati dal pubblico perchè mettevano in scena le abitudini e i difetti di ognuno, con quell’autoironia e parodia che trascinavano l’uomo a ridere di sè. Nomi quali Petrolini, Fregoli, Viviani sono rimasti nella storia dello spettacolo. l Caffè Chantant, per molto tempo disprezzato, in realtà è stata importante testimonianza dell’epoca: “Attraverso la letteratura del Caffè Chantant, si ha la possibilità di ripercorrere le tappe essenziali di una società che si stava avviando verso un profondo rinnovamento dei costumi e del pensiero” Caffè chantant parigino o Rivista, mentre nella tradizione Centro-meridionale resterà sostanzialmente legato al teatro comico in dialetto. Il Caffè Concerto, che all’estero era nato all’insegna dell’intrattenimento ma anche dell’intelligenza e dell’eleganza, da noi fu confezionato quasi unicamente su un’immagine peccaminosa della bellezza femminile e mai si liberò dal sospetto di mezzaneria. Esso fu soprattutto il trampolino di lancio delle sciantose, taglieggiate dagli agenti teatrali, che oltre alla percentuale sui contratti esigevano quote per il sostentamento dei propri giornaletti pubblicitari, le iscrizioni alle proprie scuole di canto e dizione, fino al pagamento degli omaggi floreali ed all’obbligo di dormire in pensioni “convenzionate” con incontri galanti obbligatori. Dal 1917 la decadenza del Caffè Concerto divenne rapida e continua. Tutte le artiste che non erano riuscite a mettere da parte denaro o gioielli, o ad accasarsi, continuarono ad esibirsi sempre più in preda ai lazzi del pubblico, come la stessa Campi, che ancora giovane si sentiva gridare dalla platea; “Campi, campi ancora?”. La prima guerra mondiale, con il declino di un’intera epoca, segnò quello del Caffè Concerto e dell’epoca che lo aveva espresso. In seguito, attraverso successive trasformazioni, sarebbe approdato al teatro di varietà, all’avanspettacolo, alla rivista, fino all’odierno cabaret. I testi degli spettacoli erano ispirati a macchiette scritte da Trilussa, Ferdinando Russo ed altri poeti dalla vena satirica dell’inizio Novecento . 8 musica Mercoledì, 22 febbraio 2006 I NOSTRI LETTORI CI SCRIVONO La testimonianza di un attivista della Banda di Ottoni di Rovigno Cara Voce, in riferimento all’articolo “Storia della Banda d’ottoni di Rovigno: passione, talento, tradizione e modernità”, pubblicato sul quotidiano LA VOCE DEL POPOLO, del 25 gennaio 2006, a pagina 4 – 5 dell’ inserto “IN PIÙ – MUSICA”, di Anna Malusà, ritengo opportuno segnalare quanto segue. Si dovrebbe scrivere la completa “Storia delle bande d’ottoni di Rovigno” attraverso i suoi 160 e più anni di esistenza durante i quali numerosi sono stati i successi, ma anche non poche le ricadute. I successi sono stati sempre dovuti a fattori positivi legati all’entusiasmo, al volontarismo, al sacrificio, all’impegno di singoli appassionati, nonché agli aiuti e all’abnegazione prestati dalle autorità. Gli insuccessi invece vanno ascritti ai difficili problemi finanziari, organizzativi o di carattere sociopolitico. Nulla di strano in quanto sono queste problematiche di ieri e di oggi, più o meno conosciute e presenti in molte associazioni del genere. Sono del parere però che nelle lodevoli ricerche fatte dall’autrice in merito si sia dimenticata di chiedere informazioni anche ai protagonisti di 60 anni fa, allievi del maestro Perini, ancora vivi e vegeti, tra i quali figuro anch’io, attivo nel complesso bandistico rovignese dal 1947 al 1962. In merito ritengo doveroso informare i lettori su alcuni avvenimenti storici e precisamente quanto è stato riferito nel capoverso nono dell’articolo che recita: “… Dopo la fine della II guerra mondiale (1945) la banda partecipò attivamente a manifestazioni commemorative per i caduti partigiani, esumazione di salme di combattenti, nonché, nelle ricorrenze del 25 maggio, celebrazione del compleanno del Maresciallo Tito. Tradizione risalente a questo periodo è il corteo per le vie della città con bandiere. Il 29 Novembre del (1946) la banda scese in piazza in onore della festa della Repubblica di Jugoslavia. .. “, fine del citato. Devo precisare che la prima uscita della Banda d’ottoni nel periodo post bellico ebbe luogo per le festività del 30 aprile fine della II guerra mondiale e del Primo Maggio (1945), a dirigerla era sempre il maestro Umberto Perini. Il Primo Maggio è sempre stato la giornata più importante di tutte le festività dell’ex regime jugoslavo. Per le festività del Primo Maggio (1946) e negli anni a seguire la Banda ha partecipato alle sfilate tradizionali lungo le vie della città di Rovigno, poi nelle ore successive si andava suonare nei centri urbani di Villa di Rovigno, Valle e Canfanaro. Di seconda importanza erano le festività del 25 Maggio e del 29 Novembre. Non ha mai partecipato a “esumazione di salme di combattenti”. La Banda ha partecipato pure al grande raduno dell’ Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume organizzato nel 1946 all’Isola di Brioni. Al maestro Perini e al suo fratello Giovanni va pure il merito di aver organizzato, già nel mese di novembre 1945, la scuola di musica per le nuove leve della Banda cittadina. Il primo gruppo di 7 giovani allievi entrò a far parte della Banda il Primo Maggio 1946, mentre il secondo gruppo di 9 allievi si inserì il Primo Maggio 1947, partecipando alla grande sfilata di carri allegorici e alla tradizionale festa campestre di Punta Corrente. Il maestro Perini in quel periodo dirigeva pure il coro della “Marco Garbin”. In riferimento al capitolo “Con l’esodo il declino”, ritengo che non sia stato soltanto l’esodo a determinare il declino della Banda musicale, ma anche gli altri fattori sopra elencati. Riguardo i successivi maestri della Banda, che l’autrice della ricerca storica rileva di non avere notizie “certe”, rendo noto i loro nomi: prof. Poli (non ricordo il nome), Barzovski Nevenko, prof. Gržinić Jerko, prof. Umberto Urbani e il capitano in pensione Hlušička Jeroslav, lunghi anni maestro della Banda militare della Marina di Pola. Non va dimenticato poi il nostro concittadino Antonio Bosazzi pure lui allievo del maestro Perini, attivista della Banda dal (1947 al 1982), il quale dal 1980 – 1983 ha insegnato musica e diretto la banda dei giovani della Scuola elementare italia- na “Matteo Benussi”. I strumenti musicali erano stati messi a disposizione dagli enti culturali Unione Italiana di Fiume e Università popolare di Trieste. Molti di questi giovani musicisti come cresceva la loro abilità e preparazione musicale venivano inseriti nella Banda cittadina tra questi ricordo: Dapiran Antonella, Marich Samanta, Malusà Mirella le sorelle Russi e altri. Pur troppo, a causa delle motivazioni già elencate, anche questa giovane Banda oggi non esiste più. In riferimento del “primo incontro delle bande dell’Istria organizzato nel 1976”, devo precisare che la Banda cittadina di Rovigno partecipò prima di allora al raduno delle bande dell’Istria svoltosi a Pola nel 1957 e Parenzo nel 1959, quando in determinati periodi esistevano questi raduni. In relazione “alla rifondazione della Banda d’ottoni avvenuta nel 1996”, posso confermare che il merito è dovuto in primo luogo al notevole impegno profuso dall’allora sindaco e dalla Giunta comunale della Città di Rovigno, i quali per promuovere degnamente l’at- notevole contributo all’arte musicale nella città di Rovigno. Virgilio Giuricin Rovigno, 5 febbraio 2006 Spett. signor Giuricin, pubblico con vivo piacere la sua lettera inerente alla storia della Banda di Ottoni di Rovigno, ricca di note informative che contribuiscono a focalizzare, completare e dare nuove dimensioni all’argomento in questione. Lo scopo del nostro supplemento è di attirare l’attenzione, di puntare i nostri modesti riflettori sulle nostre (tante) piccole, e meno piccole, realtà musicali; non certo quello di rivelare la “verità assoluta”. E inoltre, fine che ci sta molto a cuore, cercare di instaurare un dialogo con i nostri lettori. Per cui, a quanti ci seguono, rinnovo l’invito di segnalarci personaggi, inviarci foto o informazioni su musici e fatti del nostro piccolo e magico cosmo musicale. Cordialmente Patrizia Venucci Merdžo QUIZ - Chissà chi lo sa? 1. Come si chiamano il principe e la principessa protagonisti del singspiel “ Il Flauto magico” di W.A.Mozart? a) Sarastro e Pamina b) Papagena e Tamino c) Tamino e Pamina 2. Il “Kolo sinfonico”, uno dei più popolari brani sinfonici della musica lirica croata, è stato composto da Jakov Gotovac per l’opera... a) Ero s onoga svijeta b) Ban Leget c) Porin 4. Il rinomato regista americano Woody Allen, autore di numerosi classici del cinema, tra cui “Annie Hall” e “Celebrity”, nutre un particolare amore per la musica jazz, che lo porta spesso a esibirsi in brevi tournée con la propria band suonando il: a) sassofono b) pianoforte c) clarinetto 3. Sono uno dei più popolari gruppi pop femminili in Gran Bretagna, il cui hit attuale s’intitola “Push the button”, e si chiamano… a) Sugarcandy b) Sugababes c) Sweetcheeks b) Tosca c) Madame Butterfly 7. Quale delle seguenti cantanti ha partecipato al reality show “Music farm”? a) Giorgia b) Dolcenera c) Laura Pausini 8. Una delle più belle sinfonie mai scritte, composta da Franz Schubert, porta il nome… a) La sinfonia incompiuta b) La sinfonia fantastica c) La sinfonia “Jupiter” 5. Il cantautore Neno Belan non è stato mai leader di quale dei seguenti complessi? a) Đavoli b) Crveni koralji c) Fiumens 6. Alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Torino, il rinomato tenore italiano Luciano Pavarotti ha interpretato la famosissima aria “Nessun dorma”, tratta dall’opera di Giacomo Puccini… a) Turandot OLIMPIADI DI TORINO Jasna Merlak sul podio 9. Una delle più note composizioni scritte da Astor Piazzolla, il famoso musicista e compositore argentino, s’intitola… a) Tanguedia b) Libertango c) Tango Ballet 10. Il Concerto in mi minore op. 64 per violino e orchestra, uno dei più bei brani musicali mai scritti per questo strumento, fu composto da: a) Franz Liszt b) Franz Schubert c) Felix Mendelssohn Bartholdy Soluzioni: 1. c), 2. a), 3. b), 4. c), 5. b), 6. a), 7. b), 8. a), 9. b), 10. c). Anche la Trieste musicale è stata rappresentata a Torino, nelle cerimonie indette per i ventesimi Giochi Olimpici Invernali. Nel quadro del megaconcerto inaugurale tenutosi a Piazza Castello, per l’occasione ribattezzata “Medals Plaza”, quale “prima arpa solista” dell’Orchestra sinfonica della RAI di Torino diretta dal maestro Enrico Dovico, è stata chiamata la concertista triestina Jasna Merlak. La serata vedeva come protagonisti il tenore Andrea Bocelli, il soprano udinese Annamaria Dell’Oste ed il baritono Ildebrando D’Arcangelo. Il programma comprendeva brani sinfonici ed operistici di Bizet, Verdi, Puccini, operettistici di Lehar ed una carrellata delle più belle canzoni italiane. L’evento è stato trasmesso in tutto il mondo dalla RAI 1 Satellitare. Dopo l’intervento d’apertura del Sindaco di Torino Sergio Chiamparino e l’alocuzione dell’Assessore ai Giochi Elda Tessore instancabile regista dell’operazione “Medals Plaza”, premiazioni e fuochi d’artificio sullo sfondo di Palazzo Reale. Il concerto, definito “Trionfo di medaglie e romanze”, è stato brillantemente presentato da Simona Ventura. Pubblico straripante ed osannante. tività della Banda hanno assicurato e garantito dal bilancio comunale importanti mezzi finanziari, come segue: § Acquisto per tutta la Banda di nuovi strumenti musicali. § Acquisto di uniformi (invernali – estive). § Rapporto di lavoro per il maestro della banda, (prima volta nella storia). § Garantito ai musicisti un gettone per le prove musicali. § Apertura della nuova scuola di musica per l’istruzione di giovani leve. Alla fine ritengo che questa ricerca storica sulla Banda d’ottoni di Rovigno vada salutata ed elogiata con merito. L’opera è stata premiata al XXXVII Concorso d’Arte e di Cultura “Istria Nobilissima” e pubblicata nell’ Antologia delle opere premiate, pagina 185 – 199, edizione 2004. Con questa mia colgo l’occasione di invitare l’autrice di completare quanto prima la sua ricerca con queste ed altre precisazioni, nell’interesse della storia e del rispetto di quelle numerose persone che hanno operato con tanto sacrificio dando un Anno II / n. 2 22 febbraio 2006 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MUSICA Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Annamaria Picco Collaboratori: Helena Labus, Giuseppe Nalin e Fabio Vidali