DEL POPOLO
il pentagramma
De spettegolorum
musicandi
di Patrizia Venucci Merdžo
Cari lettori,
balli in maschera di qua, “fritolade de là”, coriandoli, botti, lazzi, cortei carnascialeschi che come serpentoni
coloratissimi strisciano e avvinghiano le vie cittadine, gli
immancabili e assordanti scampanatori ... ed eccoti il Carnevale!
A pensarci bene,”carnevalate a parte”, l’abbandono all’ebbrezza del Carnevale, di questi tempi è, non solo
esuberanza vitalistica dei bontemponi, valvola di sfogo dei
repressi, espressione del nostro (o nostri) alter ego gelosamente nascosti che improvvisamente salta fuori, satira
politica e sociale guardata con divertita indulgenza persino dalle autorità, ma diventa addirittura una forma di
saggezza. Buttare alle ortiche tutto quanto, almeno per
lo spazio di qualche ora, è un relativizzare ed esorcizzare
– anche se in maniera fracassona - il grigiore del quotidiano tran tran, ammettendo e affermando che la vitalità e
la gioia di vivere, e quel filo di sana follia che albergano in
ognuno di noi sono valori non prescindibili e “superiori”
rispetto al male del vivere quotidiano. Però, (ahi, ahi, ahi!)
mi assale un dubbio. La grande sfilata cittadina a Fiume
trascorrerà anche quest’anno...senza musica? Cioè, a parte lo strombettio delle bande di Tersatto e di Spinčići, dello
stamburare (da CD ovviamente) di qualche carro allegorico e raro gruppo mascherato, gli altri sfileranno, come
negli anni precedenti, in silenzio? Le maschere del corteo – spesso neanche tanto allegre - che tentano qualche
accenno di saluto, qualche passettino di qua e di là in un
silenzio “di tomba” fanno lo strano effetto di personaggi
da cinema muto, che si dimenano nel “vacuum”. Sarà un
corteo carnascialesco o la sfilata de “Il funerale del Carnevale”?, si chiederebbe Giovanni de Zaytz. Eh! già signore e signori, perché il nostro bravo Giovanni, ai tempi
in cui faceva il factotum musicale di Fiume – per quattro
soldi ovviamente - compose per le feste e le cavalchine del
Carnevale non solo la “Polca Arlecchino”, ma anche il
vaudeville “Il funerale del carnevale”. Avremo mai l’onore di sentirle queste musichette caserecce?
Ma erano altri tempi. Nei quali “il fai da te” era l’unico modo per “suonarsele” e star allegri. Si scrivevano la
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musica, a propria misura e gusto, se l’imparavano
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e se la eseguivano. Chi fa da sè fa per tre!
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Certo è, che in tempi relativamente non preistorici,
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Mercoledì, 22 febb
la pratica musicale “attiva”, era diffusa nel quotidiano in
maniera capillare, presso tutti gli strati sociali, con una
conseguente gran varietà di generi musicali, gusti, caratteri. Dalla musica leggera a quella da ballo, da intrattenimento, popolare, lirica, sacra, operettistica, sinfonica,
da camera ecc. Credo non ci sia fiumano che non abbia avuto uno zio-nonno-cugino-amico-parente che non
smandolinasse, soffiasse dentro un clarinetto, sviolinasse
o cantasse presso qualche complesso corale o strumentale di un Dopolavoro o dai Salesiani, in questa o quella orchestrina (ogni caffè elegante si fregiava di propri valenti
musici) o orchestra seria, in un qualche coro parrocchiale
ecc. Mi sovvengono ancora certi racconti fiumani, un po’
da Amarcord. “Me ricordo che una note, sul Molo Longo
cantavo a pieni polmoni ‘L’aurora di bianco vestita’...”
oppure:”... quante serenade che go fato in Rujevica a una Entrando, ti scappa “le mie condoglianze”. Con camerieri
putela. Mi col clarineto, i altri con chitare e mandolini”. E patibolari in nero, con i fianchi cinti da un lenzuolo. Stile
ancora: ”L’orchestra della Società Filarmonico Dramma- becchino, o patologo ottocentesco all’opera. (Con qualtica la era proprio in gamba tanto che la gaveva acompache schizzo di marmellata vermiglia, magari). Ma perché
gnado anche concertisti famosi, per conto dela Società dei non l’hanno lasciato in rosso? Prima di tutto faceva molto
Concerti”. E le brave popolane “de Citavecia che tra una
“Vienna Belle époque”; e poi perché in fondo il vecchio
barufa e l’altra” cantavano a squarciagola, mentre faceErnst un po’ “rosso” doveva esserlo. Mica per niente è
vano i mestieri o sciorinavano il bucato nelle umide ed
corso in Spagna a “suonargliele” ai “neri”. E qui gli deecheggianti calli?!
dicano dei “caffé neri”! È il colmo! Ah, il vecchio Erny
Puah, che ingenuotti! Noi invece, oggi, siamo intelliquesta non l’avrebbe davvero digerita, o meglio “tracangenti. E attivamente partecipi. È sufficiente il tocco della
nata”. Avrebbe spaccato tutto. Compreso il lampadario di
punta dell’ultima falange del dito mignolo (anche se di
cristallo. E poi, dovrebbero suonare la “Marsigliese” o, alsolito si tratta dell’indice) ed ecco che ti scateno il finimeno l’”Internazionale”. Mica la Seve nazionale! Ma che
mondo! Wow! Siamo proprio...”forti”. E i “kafići”!? Che
mancanza di tatto!
spasso! Si tratti dell’ultimo cafich-bettola o del caffè più
C’è chi vorrebbe un po’ di piano-bar. Ma pensa un
”esclusivo” e storico di Abbazia il repertorio è davvero inpo’! Talaltri si accontenterebbero anche di un’anchegfinito e “raffiné”: dalla persecuzione onnirimbecillente del giante e matura “pevalka” con i suoi balcanici e gutturali
“dumdum” rockettaro (tre battute x cinquanta), alle nemelismi , in qualche “čevapdžinica di periferia”. Macché!
nie di Seve. Ma non tutto è perduto! Qualcosa dell’anima
Anche questa gioia...”sospetta”, ci è stata negata.
mitteluropea fiumana – sempre in tema di caffè – s’è salBasta. Me ne vado nel Tibet a meditare. O forse sul
vato! Il lampadario di cristallo del caffè della FilodramMonte Sinai, alla recherche delle Tavole della Legge permatica (!), intestato (come altri due a Fiume) al grande
duta. Magari, qualche volta, la sera, contemplando il trascrittore ungaro-boemo Hemingway. (Si vede che Fiume
monto intonerò, cetra alla mano, un salmo di re Davide!
ha avuto un ruolo fondamentale nella vita di Ernest, e
E tanti saluti a tutti.
viceversa).Tutto in nero. Come una cappella mortuaria.
Contemplativamente Vostra
2 musica
Mercoledì, 22 febbraio 2006
GLOBALIZZAZIONE - Lettera aperta al Presidente Carlo Azeglio Ciampi
Salviamo con la Musica
la lingua italiana
I
llustre e caro Presidente degli italiani,
in tutto il Suo valoroso mandato, che
la maggioranza degli italiani auspica
si prolunghi di un altro settennato, Lei si è
segnalato nell’inedito impegno volto al recupero dell’orgoglio dell’identità nazionale
degli italiani. Ciò pur rifuggendo da ogni
albagìa “nazionalistica”, ma nel contesto
del pieno rispetto di tutte le altre identità
nazionali d’Europa e del mondo.
Come simbolo della nostra identità ha
additato il Tricolore bianco rosso verde,
in uno con l’Inno di Mameli che è riuscito a far imparare e cantare a tutti, sportivi
e squadre di calcio compresi. Un Inno che
consta di musica e parole nel nostro idioma. Un idioma portatore di uno dei più
grandi patrimoni d’Arte, Cultura, Scienza
e Diritto dell’Umanità. Valori compendiati in una sola parola, sacra per ogni popolo: Patria.
Ove è la lingua, ivi è la Patria”, ammoniva il Sommo Poeta. Ma quanti, oggi, parlano e imparano questa nostra lingua?
Certamente i milioni di italiani residenti in Patria e all’estero. Chi più e chi meno
bene. Ma, purtroppo, la lingua materna viene usata soprattutto nelle relazioni quotidiane, familiari, spicciole.
Nel campo delle pubblicazioni letterarie, artistiche e scientifiche, l’italiano rappresenta meno dell’1 per cento dei titoli
editati in Europa. Su piano mondiale, si
tratta di granelli di polvere.
Nell’attuale “villaggio globale” il linguaggio dominante incontrastatamente è
quello anglofono. Soprattutto la gioventù
e quanti sono ancora in età “produttiva”
ormai hanno adottato la lingua inglese (o
il gergale “americano”) per lo studio, la
ricerca, il lavoro, le canzoni, i balli, il turismo, i giochi elettronici.
In più, anche sullo stesso territorio nazionale, la nostra lingua è inquinata da
estemporanee espressioni gergali regionali e neologismi mutuati da “adattamenti” di
vocali o frasi idiomatiche stranieri.
Le emittenti radiotelevisive italiane, sia
pubbliche che private, amplificano a dismisura il messaggio anglofono, anche nelle
martellante pubblicità, per non parlare dei
generi musicali nei quali sono sempre più
striminziti gli spazi destinati alla Musica ed
agli interpreti italiani (canzoni, operistica,
sinfonica classica e contemporanea, etnica,
tradizionale).
Così non c’è adolescente con pruriti
canterini o danzerecci che non scimmiotti
i “divi” d’oltreoceano o d’oltre Atlantico,
il più delle volte senza conoscere il significato delle parole che cerca di pappagallare.
Al computer, poi, se non si mastica un po’
d’inglese, non si riesce a premere un tasto.
Ignoro se in Italia esistano statistiche e
studi aggiornati sullo stato della conoscenza e dell’uso della nostra lingua nel mondo.
Se ne sono preoccupati però i tedeschi
per la loro lingua. E si sono accorti che il
tedesco, nonostante nella Comunità Europea la Germania rappresenti il popolo più
numeroso, non è, di fatto, tra le lingue ufficiali della Comunità. La lingua tedesca non
è più, come un tempo, fra quelle dominanti
e perciò stesso “appetibili” e diffuse. Neanche a livello di seconda o terza lingua.
A livello mondiale, le lingue più parlate
sono il cinese, l’inglese, lo spagnolo, il russo, il francese e l’indi. Circa le altre, si prevede che, nel corso del prossimo secolo, ne
spariranno ben tremila fra quelle oggi parlate. Poi toccherà anche a quella italiana, se
non si correrà urgentemente ai ripari.
Gli studiosi tedeschi, per la loro lingua, stanno studiando un’adeguata terapia.
Constatato che non è sufficiente stipendiare Istituti Tedeschi in ben 95 Paesi stranieri, si sono prefissi una meta: accreditare il
tedesco come la più importante lingua europea per la conoscenza storica e culturale
della Mitteleuropa. Quindi Storia e Cultura
quale veicoli per sopravvivere, almeno nelle categorie internazionali più acculturate,
come seconda, terza o quarta lingua. Impegno senz’altro realistico ed intelligente,
anche se non certo di massa, ma almeno
di “nicchia”.
E per la lingua italiana, a quale Santo votarsi? Guardiamo alla Storia, sempre
“magistra vitae”. E la storia ci insegnerà.
Secoli prima che uno Stato sovrano italiano indipendente si realizzasse, l’italiano
era la “lingua franca internazionale” della
Musica. Il toscano Lulli era il “musico del
Re Sole”. Mozart venne a studiare in Italia, parlava con proprietà l’italiano e scris-
se meravigliose opere su libretto italiano.
Solo per fare due eminenti esempi. L’italiano era la lingua del canto, della musica,
del ballo anche dell’architettura delle scenografie teatrali. In italiano, in tutto il mondo civile, si sono scritte (e ancora scrivono)
le terminologìe musicali (sonata, sinfonia,
opera, allegro, mosso, presto, con sentimento, ecc. ecc.) solo marginalmente eluse
col sorgere delle “scuole nazionali” con finalità, allora, dimostrative della riscoperta
identità nazionale in sboccio in altri popoli. Ma ciò non fece “testo” stabilmente, in
quanto circoscritto ad un preciso momento
storico.
I principali veicoli della lingua italiana
su piano internazionale furono quelli dell’Opera Lirica e della Canzone. Va rimarcata l’ineludibile importanza della lingua
italiana e della sua corretta “dizione” nel
canto vocale che favorisce e substrata l’impostazione della voce in modo corretto ed
espressivo, tanto che la scuola di lingua è
tutt’uno con la scuola di canto. Altrimenti
si rischia di debordare nell’urlo disarticolato ed inespressivo. Come succede sempre
di più ai nostri giorni, anche con la complicità delle esasperate amplificazioni elettroniche.
Purtroppo oggi (e non solo da oggi),
anche nel Paese della Musica, si fa strame
della musica e degli artisti italiani, surrogati sempre più massicciamente ed indiscriminatamente da “prodotti d’importazione” (anche per il repertorio storico
tradizionale italiano) cui il nostro idioma
serve solo da pretesto per incomprensibili
muggiti, tanto da suggerire a molti teatri
nazionali l’uso di proiettare “soprattitoli”
anche per le Opere in italiano, onde consentire al pubblico (italiano) di raccapezzarsi su quanto in scena si vanno dicendo. Allora a che serve imparare l‘italiano?
E’ praticamente uno sforzo inutile. Anche
fra i direttori chiamati sul podio, ben pochi masticano un minimo d’italiano, non
certo sufficiente a “correggere” chi bercia parole incomprensibili né tantomeno
a suggerire quelle sfumature, anche onomatopeiche, con le quali i nostri compositori hanno sposato la parola alla musica.
Gli effetti di ciò sono devastanti al punto
da far trascurare, anche agli interpreti di
madrelingua italiana, l’impegno di esprimersi correttamente.
La regìa di tutto ciò è in mano alle multinazionali della musica “spazzatura usa e
getta, che ne ricavano proventi miliardari
(in Euro) con esposizioni di costo millesimali.
Puntare alla “nicchia” musicale, per salvare la vita alla lingua italiana, sarebbe un
primo importante passo anche per il ricupero
della “dignità” della nostra lingua. E potrebbe funzionare. Ma ci vorrebbe studiare una
speciale tutela per il “made in Italy” musicale
che impedisse almeno a faccendieri ignoranti
e privi di scrupoli di essere a capo delle più
importanti Istituzioni nazionali di produzione e diffusione musicale, pretendendo, per
quelle posizioni accanto ad un’indiscutibile
specifica professionalità musicale, anche un
filiale amore per la nostra lingua.
Questi pensieri Le giungono, Signor
Presidente, da un ambito geopolitico dove,
per le tragedie storiche a Lei ben note, gli
italiani e la nostra lingua si trovano in ristrettissima proporzione minoritaria. Qui
sarebbe ancora più triste se un giorno si
dovesse sentire, al posto del solenne “Sì”
che chiude l’Inno di Mameli, un globalizzato “Yes”.
In chiusa un grande “grazie!”, nella fiducia della Sua comprensione.
Fabio Vidali
MOZARTANDO - Anno di Mozart. Festeggiamenti ed eventi a Praga
Amadé: «La mia orchestra è a Praga»
PRAGA - Fonte d’ispirazione e tappa
fondamentale della carriera di Wolfgang
Amadeus Mozart, Praga partecipa all’anno
mozartiano 2006, in occasione del 250esimo anniversario della nascita del compositore austriaco, con un ricco calendario di
eventi intitolato Mozart Prague 2006 che
vede coinvolti 16 istituzioni culturali, con
oltre 150 concerti, manifestazioni, proiezioni e appuntamenti musicali, in collaborazione con la Città di Praga, il supporto
del Ministero della Cultura della Repubblica Ceca e il patrocinio del Presidente della
Repubblica, Václav Klaus, e del primo cittadino di Praga, Pavel Bém.
Oltre a Salisburgo e Vienna, rispettivamente la città natale e quella di adozione,
anche la capitale boema è strettamente legata a Mozart, autore di innumerevoli opere, sinfonie, messe tra le più celebri della
storia. Il Genio della musica amava Praga
e ne era ricambiato. Non è un caso che la
prima del Don Giovanni e della Clemenza di Tito si svolsero al Teatro degli Stati
generali di Praga per volontà esplicita dell’autore.
L’importanza di Praga nella vita dell’artista è provata oltre che dalla sua afferma-
zione: “la mia orchestra è a Praga” anche
da numerose altre testimonianze tra cui la
Sinfonia no 38 “Praga” KV 504 del 1786,
e luoghi quali il Monastero di Strahov che
ancora oggi conserva l’organo barocco suonato durante la sua visita nel 1787, il complesso Clementinum sede della Biblioteca
Nazionale, e i Palazzi Thun, Clam-Gallas,
Pachta, che era solito frequentare, oggi rispettivamente sede del Parlamento, Archivio di Stato ed esclusivo hotel-residenza.
Veduta di Praga ai tempi di Mozart
Tre viaggi hanno portato Mozart a
Praga. Durante il primo soggiorno, il 17
gennaio 1787, Mozart dirige personalmente la sua opera Le Nozze di Figaro,
la quale era già stata rappresentata con
successo nel dicembre del 1786 dall’impresario Pasquale Bondini. Durante il secondo soggiorno, nell’autunno del 1787,
il musicista è ospite assieme alla moglie
Costanza presso villa Bertramka, residenza del compositore Dušek, oggi museo mozartiano.
Proprio nel giardino della villa compone l’ouverture del Don Giovanni, soltanto
qualche ora prima della première diretta
personalmente dal maestro il 29 ottobre
1787 al Teatro degli Stati generali. Nel terzo viaggio, sempre a Villa Bertramka, Mozart termina La Clemenza di Tito e la esegue per la prima volta il 6 settembre 1791
in occasione della cerimonia dell’incoronazione di Leopoldo II re di Boemia nel
duomo di San Vito.
La tradizione musicale sulle tracce
di Mozart continua con il progetto Prague 2006 che a partire dal 12 gennaio vedrà coinvolti per un anno i principali luoghi della musica in città tra cui il Rudol-
Il clavicembalo usato da Mozart a Villa Bertramka, oggi sede del Museo
Mozartiano di Praga
finum, sede dell’Orchestra Filarmonica
Ceca, la Sala Smetana della Casa municipale, l’Opera di Stato, villa Bertramka,
il Teatro degli Stati generali, e il Palazzo
Liechtenstein. Le celebrazioni raggiungeranno il culmine con il Festival musicale
di Primavera di Praga, dal 13 maggio al 2
giugno, fino al concerto di gala di chiusura del 14 dicembre alla Smetana. L’allestimento e la realizzazione del progetto è a
cura di Jiøí Hubaè, a capo del gruppo BVA International s.r.o., già curatore
del “Tributo ad Antonín Dvoøák”,
recentemente insignito dal magazine di
musica Harmony del titolo di “Evento musicale 2004”.
musica 3
Mercoledì, 22 febbraio 2006
A LA RECHERCHE DE LA MEMOIRE PERDUE - Horowitz...Toscanini...Cortot...Kubelik
Cent’anni fa la Società di Concerti
una strabiliante stagione musicale
di Patrizia Venucci Merdžo
«A
ldo Ferraresi, negli anni Venti,
al suo concerto in teatro, (nota
bene che lo sostenne da solo
da cima a fondo) piantato a gambe divaricate, si scodellò come un demonio, uno
dopo l’altro tutti i ventiquattro Capricci di
Paganini. Faceva faville!”. “La Conchita
Riverira, era meravigliosa. Questa esimia
cantante da concerto fiumana, una delle
migliori nell’Europa Centrale ed Italia,
si presentò al Teatro Verdi (accompagnata al pianoforte) indossando un favoloso
abito di broccato verde smeraldo con tanto di strascico, che metteva in risalto la
sua carnagione creola ed i denti bianchissimi. Aveva un’arte della recitazione, del
muoversi, del “posare”, dell’interpretare assolutamente affascinante e rara…”.
Quando Segovia tenne concerto al Verdi
il teatro era per metà vuoto, perché al-
Vladimir Horowitz suonò a Fiume negli
anni Trenta
l’epoca la chitarra non era uno strumento
da concerto molto popolare; ma ebbe un
successo tale da dover ripetere il concerto
il giorno dopo”” “Oltre a sonar benissimo, Arturo Benedetti Michelangeli el era
anche un gran bel mulo. Ma ricordo che
dopo el concerto noi mule come mate, facevimo la fila per farse dar el autografo”.
“Noi ragazzi della Scuola di Musica stavamo in galleria. Ricordo il concerto tenuto dalla Filarmonica di Filadelfia negli
anni Quaranta… eravamo tutt’orecchi.
Qualcosa di indimenticabile”. “I concerti da camera si usavano tenere nella Sala
delle feste a Palazzo Modello. Al centro
della sala c’era il pianoforte e tutt’interno
ilpubblico, in modo da creare un’atmosfgera di grande intimità, da “salotto” musicale ottocentesco”. “Hubermann suonò
diverse volte a Fiume; l’ultimo suo concerto risale agli anni Quaranta e si tenne nella sala dell’odierno cinema Jadran.
Aveva uno stile abbastanza affettato, tuttavia era un maestro”.
Sono queste alcune delle testimonianze, purtroppo rare, degli ormai pochi e anziani testimoni di una stagione concertistica eccezionale il cui ricordo rappresenta uno sprone a rinnovare una tradizione
concertistica di alto livello che a Fiume
rappresentava la regola, e non l’eccezione. Se poi anche il centesimo anniversario
1906-2006 della Società di Concerti dovesse passare sotto silenzio, allora sarebbe proprio segno inequivocabile di incoscienza – da parte degli operatori culturali
– di un passato musicale straordinario e di
abulia cronica in merito a qualsiasi azione
di scavo scientifico e valorizzazione della città di Fiume in un contesto nazionale e internazionale. Ma non vogliamo fare
l’uccello del malaugurio pregiudicando il
futuro; preferiamo invece porre le nostre
speranze e fiducia in chi di dovere.
Quanti sanno che a Fiume si esibì Franz
Liszt (alla Scuola di Musica ci hanno insegnato che il virtuoso magiaro “suonò a Zagabria” e nemmeno menzionato il suo soggiorno fiumano!), il grande Ferruccio Busoni, Moritz Rosenthal (grande interprete
chopiniano e romantico, allievo pure di
Liszt), il pianista di corte Emil von Sauer
(allievo di Nikola Rubinstein e Liszt),
Leopold Godowsky (dalla strabiliante tecnica e dal gusto personalissimo), Alfred
Cortot (considerato per molto tempo il
maggior interprete vivente di Chopin), Arthur Rubinstein (11 ottobre 1927), Claudio Arrau, Walter Giesekind, lo smagliante Jose Iturbi (i…. poi da Hollywood),
Carlo Zecchi, Aleksandar Borovskij, Rudolf Serkin, Ernö von Dohnany, il celebre
Wilhelm Backhaus (il cui stile meticoloso
e intellettuale fece di lui il primo esponente della nuova generazione che si staccava
dal pianismo romantico di N. Rubinstein e
Liszt), e più tardi Horowitz, Michelangeli, ecc., tnto per limitarci all’Olimpo del
pianismo? Pochi anni fa Benedetti Michelangeli ebbe a dire che ”suonare a Fiume
negli anni Trenta significava qualcosa”.
A cominciare dai grandi violinisti boemi,
dall’”augusto” Jan Kubelik (aveva dimora
ad Abbazia all’odierno Casinò Rosalia “e
non el portava neanche el baston da pasegio, per non afaticarse le man” ricordano
i vecchi), Vasa Prihoda, Jaroslav Kocjan;
ai superbi virtuosi magiari quali Ferenc
von Vecsey, Josef Szigeti, Tibor Varga, a
Jascha Heifetz(!), Jacques Thibaud, Stefi
Geyer, Karl Flesch (il cui metodo didattico delle scale è il padrenostro dei violinisti), Adolf Busch, Bronislav Hubermann,
Nagthan Milstein… i violoncellisti Pablo
Casals, Gaspar Cassado, Gregor Piatagorsky, Antonio Janigro, Enrico Mainardi…
molti tra i quartetti più famosi d’Europa,
orchestre (Filarmonica di Berlino, la Filarmonica di Filadelfia…) cantanti (Gina Cigna, Mafalda Favero…) e chi più ne ha più
ne metta! Insomma la Storia del concertismo mondiale è passata – non una volta e
non a caso – anche per Fiume. Ci sarebbe
da scoppiare d’orgoglio eppure… ce ne infischiamo altamente! O meglio, buio assoluto. Di chi è la colpa? Di quanti dovrebbero indagare scientificamente – i musicologi, e ne abbiamo un esercito – un passato
musicale ricchissimo ed evoluto e non lo
fanno, o meglio, si soffermano su aspetti
più o meno marginali tralasciando invece
le colonne portanti della vita musicale fiumana di una volta.
Dopo questa impressionante carrellata
di nomi veniamo ai coltissimi e lungimiranti fondatori della Società di Concerti.
La detta società fu fondata da Fiume - ”su
iniziativa di una cerchia di illustri e benemeriti cittadini amanti della musica di
quali intendevano promuovere l’arte musicale e a coltivarne la cultura organizzando
c oncerti, produzioni musicali, conferenze
ed altre simili manifestazioni sempre inerente all’arte dei suoni” - già al congresso costitutivo del 3 dicembre 1905, su basi
salde e sicure, con un ingente numero di
soci con assicurata la cooperazione di eminenti e ragguardevoli persone; dopo uno
scrupoloso iter burocratico tra il sostituto
governatore di Fiume, il magnifico podestà “Vossignoria Francesco dott. Vio” ecc.,
il 3 maggio 1906 il sostituto governatore
rendeva noto al Magnifico Podestà che il
regio ungarico ministro degli interni aveva
approvato il 25 aprile 1906 gli Statuti della Società di Concerti. Il battesimo del fuoco della detta istituzione ebbe comunque
luogo già il 14 dicembre 1905 nientemeno
che con il concerto del “Quartetto di Praga”. Il presidente della società era Arturo
Steinacker, il vicepresidente il cav. Milan
de Gorup, il segretario era l’ing. Giusep-
I fondatori della Società di Concerti nel 1910: (in piedi) Riccardo Eggenhofner, ing.
Conighi, Enrico Simonich, avv. Rudan, Enrico Blitz. Seduti: maestri Battaglia e Albertoni, comm. Steinecker (presidente), maestro Cimadori, ...(?)
Gina Cigna si esibì in concerto
pe Janosits, il cassiere Enrico Blau mentre
direttori artistici erano i maestri Roberto
Cimadori, Francesco Battaglia, Emilio Gibara, l’architetto Paolo Grassi, Enrico Simonich, Bertoldo Kaufmann e Carlo Ozioni. Il sigillo della Società di Concerti era
rappresentata da un’arpa stretta ai lati da
una S e una C contornata dal nome della Società. I mezzi della Società erano: i
contributi dei membri, introiti straordinari,
donazioni a favore della Società e le tasse di buona entrata dei membri. Chi desiderava far parte della Società presentava
domanda scritta alla direzione che poteva essere approvata o respinta (“l’accesso a tutti i concerti organizzati è riservato esclusivamente ai membri della società
stessa”, alle prove generali però potevano accedere gli studenti della Scuola di
Musica). ”Ogni anno si organizzano non
meno di sei concerti con l’intervento di
artisti di fama riconosciuta”, leggi artisti di fama europea o mondiale. Gli altri
concerti e riunioni musicali erano sostenute dai membri stessi della Società! Non
solo facoltosi e influenti erano i nostri predecessori, ma pure colti musicisti tanto da
“suonarsele” tra di loro. E così scopriamo
che (ed è una delle tante riunioni musicali)
nella Serata Musicale di venerdì 26 ottobre
1906 (i concerti si tenevano nei primi anni
nella sala del Hotel Deak, ossia l’odierna
Casa dei sindacati Franjo Belulović) l’ingegner Janosits e l’industriale e noto virtuoso del violino Enrico Simonich, esegivano la Sonata per piano e violino in do
min. di Grieg, che la “Signorina Baronessa
Alma Lettis” cantava antiche arie italiane
e francesi mentre invece in altre produzioni si erano esibiti, come provetti violinisti, il dott. Francesco Brelich, il dott. Leo
Meer, Silvio de Hebert, l’ing. Luigi Morini; l’ing. Damianovich era un violoncellista di tutto rispetto mentre Maria Meynier
e l’ing Janosits erano eccellenti pianisti.
Per non parlare dei soci, musicisti di professione quali i pianisti Nina Boccolini,
Roberto Cimadori, Emilio Gibara, Francesco Battaglia, Bruno Budan, Giuseppina ed Enrico Scaramelli… per un totale
di 57 (!!) soci concertisti. Assolutamente
straordinario, specie se messo in relazione
al livello musicale della popolazione intellettuale (e non solo) fiumana di oggi. Tra
l’altro la neonata ambiziosa Società aspirava alla costruzione di una propria sala
da concerto “corrispondente alle esigenze
moderne”. Se non pensavano alla grande
e da europei i nostri vecchi cent’anni fa!
E meno male che Fiume era provinciale e
culturalmente povera (come solitamente ci
informano)! Se Dio vuole, la sospirata sala
da concerto, un bel dì la vedremo sul Delta
(almeno secondo la bozza del nuovo piano
urbanistico).
Membri della Società di Concerti erano
il fior fiore della borghesia e anche della
nobiltà fiumana come pure gli intellettuali
(o persone di provata affidabilità); parliamo delle dinastie” degli Ossoinack (Irene
era cantante e Wally pianista), dei Gorup,
l’armatore Ugo Minach, l’ing. Luigi Luppis, i Rudan, Ilario Ploech, l’ing. Ivon
Clerc, il dott. Alessio Luttenberger, Vittorina de Adamich, i vari comm. avv. ing.
Baccich, gli architetti Bruno Angheben e
cav. Carlo Conighi, i cav. Roberto Deseppi e Arturo Chiopris, i Ružička… una sfilza di commercianti ecc. ecc.
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musica
Mercoledì, 22 febbraio 2006
Mercoledì, 22 febbraio 2006
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LA MAGIA DEL BAROCCO - Dalle danze popolari ai colori del mare, al gracchiare delle cornacchie... all’ ironica «Arlequinade»
Georg Philipp Telemann, un vulcano tutto da riscoprire e valorizzare
di Giuseppe Nalin
S
timato e riconosciuto nella
sua epoca come il più importante compositore tedesco per
la diffusione e la profusione delle
sue opere e per l’indipendenza del
suo spirito, Telemann era conosciuto al pari di J. S. Bach.
Nato a Magdeburgo il 14 marzo
del 1681, si dimostrò fin dalla sua
più giovane età eccezionalmente
dotato per la musica; a partire dall’età di dieci anni, studiò il violino,
il flauto dolce e il cembalo ed arrivò
a comporre la sua prima opera Sigismondo, solo due anni più tardi.
In una delle sue tre biografie,
egli ci descrive un quadro ampiamente esaustivo di come dovette vincere le resistenze da parte di
molti: “I nemici della musica verranno in massa a vedere mia madre
e gli spiegheranno che io diventerò un ciarlatano, un danzato re di
corte, un giocatore, un incantatore
di marmotte se la musica non mi
verrà tolta. Presto detto, presto fatto: io mi sono preso le mie note, i
miei strumenti e con essi metà della mia vita.”
Studiando Diritto a Lipsia nel
1701 sotto le insistenze di sua madre, approfittò di questo allontanamento per moltiplicare i contatti con la musica e i musicisti, tra
i quali ci fu anche il più giovane
Handel ad Halle.
Componendo salmi e cantate
con una facilità sconcertante, si attirò la gelosia del Kantor della Tho-
maskirche Johann Kuhnau, ma ricevette sempre più consensi e commissioni, tanto che divenne direttore musicale dell’Opera e poco dopo
organista della Neukirche.
Nel 1705 lasciò Lipsia per la
corte del conte Erdmann II di Promnitz a Sorau; fu qui che la sua verve
musicale prese un nuovo slancio e
sebbene si trattasse di un corto soggiorno, esso divenne uno dei più intensi poiché si dedicò animosamente allo studio della musica francese; musica che da allora marcò profondamente tutta la sua opera: “lo
mi applicai pressoché interamente
a questo stile, si che in due anni,
composi fino a duecento suites.”
Divenuto Konzertmeister (ossia primo violino e direttore d’orchestra) nel 1709 presso la corte
di Eisenach, Telemann si legò con
una forte amicizia al violinista Pantaleon Hebenstreit (inventore dello
strumento chiamato con il suo stesso nome: Pantaleon), ma soprattutto con Bach che lo volle come padrino di suo figlio Carl Philipp nel
1714. Proprio in questa epoca data
il suo primo matrimonio ma anche
la prima grande prostrazione della sua vita, poiché la moglie morì
nel 1711.
La fulgida carriera
di un Grande
Per dimenticare la sua angoscia, partì per Francoforte sul Meno
dove divenne Kappelmeister della Barfüssekirche (la Chiesa degli
Scalzi) e direttore di un Collegium
Musicum per conto del quale organizzava pubblici concerti settimanali. E proprio in questo contesto
Telemann si trasformò, sfornando
decine di musiche di circostanza,
cicli interi di cantate, oratori, brani
orchestrali e una quantità immensa
di opere da camera e opere per il
teatro; molte di queste musiche finirono anche a Lipsia, città con la
quale era ancora in forte relazione.
Un nuovo matrimonio, la paternità e la cittadinanza di Francoforte,
coronarono le sue speranze. Da allora, i suoi viaggi furono frequenti
e ricchi di nuovi titoli onorifici: Eisenach 1716, Gotha 1717, Dresda
1719. Gli incarichi divennero sempre più numerosi e lo condussero ad
acquisire il posto molto ambito di
Kantor del Johanneum di Amburgo
che ottenne nel 1721.
Non soddisfatto di essersi accaparrato tutti i migliori posti, moltiplicò i suoi impegni nel seno della
medesima città: corsi, lezioni, direzione di cantate domenicali, composizioni più svariate, posti di organista, direttore dell’Opera dal
1722 al 1738, direttore dei concerti
pomeridiani e per finire anche direttore della gazzetta della critica
musicale diretta da Mattheson nel
1728.
Ricordiamo che nel 1722 Telemann rifiutò il posto di Kantor a S.
Tommaso di Lipsia, che in seguito fu dato a Bach. A questo proposito, il commento del concistoro
della chiesa fu il seguente: “Poiché non possiamo ottenere il mi-
gliore, dovremo accontentarci di
uno mediocre!”
Telemann morì ad Amburgo il
25 giugno del 1767, sazio di giorni
e acclamato dall’umanità intera.
Musiche
strepitosamente belle
Nell’ascoltare oggi la sua musica, chi potrebbe dire il contrario? Non c’è un brano che si possa
definire mediocre o brutto: tutta la
produzione musicale di Telemann è
strepitosamente bella, coinvolgente e lampantemente geniale, così
come lo è tutta quella di Bach. Ma
è pure interessante e strano notare
come finora la figura del compositore magdeburghese sia stata poco
scandagliata almeno dal lato biografico, nonostante egli ci abbia lasciato ben tre biografie.
Di esse non mi risulta esistano
traduzioni complete in lingue diverse dal tedesco, ma non credo ci siano nemmeno delle moderne biografie in inglese, francese o spagnolo,
per non parlare dell’italiano!
E sempre per restare in Italia,
notiamo che latitano fortemente i
convegni e gli studi musicologici
su Telemann a tutti i livelli, con ciò
relegando questa immensa figura in
un limbo dal quale speriamo venga
presto riscattata.
D’altro canto, tutti gli artisti che
si interessano alla sua musica e accortamente decidono di inciderla,
hanno il vantaggio di godere di vette inaudite che soddisfano primie-
ramente gli esecutori stessi e successivamente il pubblico che resta
molto spesso affascinato dalle abbacinanti melodie cantabili dei concerti o dalle vivacissime danze incastonate nelle centinaia di ouvertures da lui scritte. Nell’epoca barocca un certo grado di eclettismo
era un ingrediente essenziale nella
musica strumentale dei compositori tedeschi; ma mentre nelle loro
suites dominava lo stile francese,
era naturalmente quello italiano ad
influenzare la loro produzione concertistica.
L’influenza
della musica italiana
Nei suoi appunti autobiografici, Telemann ricorda come Corel-
li gli avesse offerto utili modelli di
scrittura strumentale; tuttavia il cosidetto stile veneziano del concerto
solistico, più moderno, di cui sono
esempi i lavori di Vivaldi e Albinoni e molti altri, non mancò di ispirarlo altrettanto fortemente.
Per forza di cose, quando ci si
addentra nella sterminata produzione telemanniana, (pare abbia scritto più lui che Bach e Handel messi
assieme), bisogna limitarsi a seguire un filone preciso ed è ciò che faremo in questa breve esposizione
parlando delle suites per orchestra.
Le centodiciassette
suite per orchestra!
Il favore conosciuto in Germania dalla suite e dalla ouverturesuite (una denominazione appropriata laddove il primo movimento
sia costituito da una ouverture alla
francese di derivazione teatrale e
maggioritaria, dove risulti la presenza di nuove danze), trova puntuale riscontro nella produzione di
Telemann del quale oggi sono note
sei suites per orchestra manoscritte
e 111 partiture complete ricopiate all’epoca. La stima del numero
d’opere di questa natura che Telemann compose in totale pare oscilli
comunque attorno al migliaio!
Johann Adolph Scheibe caratterizza in questi termini, i meriti di
Telemann a proposito dell’abbondante produzione di suites, e più
particolarmente di quelle di origine
francese: “Telemann e Fasch sono,
tra tutti i tedeschi, quelli che si sono
più distinti in questo genere di Ouvertures. Il primo, in particolare,
ha veramente fatto conoscere questi brani in Germania. Egli si è così
ben distinto che si può dire a giusto
titolo e rendersi colpevoli di adulazione, che lo stile imitatore dei francesi, è in fin dei conti sorpassato nel
loro proprio dominio.”
L’ouverture tipica alla francese -con una parte lenta e maestosa,
con ritmi puntati una seconda parte
rapida, sovente fugata che poi ritorna alla prima parte con qualche variante segue dei movimenti di danze stilizzate di fogge diverse e pressoché sempre nella medesima tonalità: tutto ciò segnala una influenza
francese preponderante.
Per Telemann, ne l’ordine delle
danze, nel loro numero sono retti
da una norma. Egli infatti compose tanto delle danze di corte, quanto
delle danze popolari, privilengiando fondamentalmente il concetto
del contrasto nella loro successione. Ma nel medesimo tempo, applicò il principio del concerto in quasi
tutte le sue suites.
All’uso delle suites francesi
d’opera o di balletto, certi movimenti di danza comportano dei titoli a programma e sono sviluppati dal musicista madgeburghese in
brani di carattere laddove la forma
e l’ affetto sono entrambi grande
importanza.
La sua ispirazione creatrice si
nutre di temi e di personaggi della
letteratura e della mitologia antica,
dei canti degli uccelli e delle grida
di animali (vedi l’ Alster Ouverture)
, del mare, scene campestri e delle
città e - ultimo ma non meno importante - dei fatti della società a lui
contemporanea.
Telemann è in questo un artista
borghese convinto ed accorda dunque un posto importante alle danze
popolari.
“Sono portato a credere -scrive nel 1740 -che certi menestrelli
o certi zampognari possano ave-
re delle invenzioni meravigliose
quando improvvisano ogni volta
che i danzatori si riposano. Ascoltandoli attentamente, ho potuto fare
in otto giorni provvigione di idee
per una intera vita.”
rozza postale e con una danza,
l’”Hypocondrie” con un atto di
eroico stoicismo e ‘Le petit-maitre’
con la visita ad un bordello. Una
suites che sconsiglio di ascoltare a
tutti medici ortodossi!
Le suite di caccia
per il langravio
Luigi VIII
Le incisioni
della Akademie
für Alte Musik
La maggior parte delle suites di
Telemann, composte per l’illustre
Hofkapelle di Darmstadt, sono dedicate al langravio Luigi VIII, appassionato cacciatore ed è per questo che delle arie di caccia si trovano spesso tra queste, come nel caso
della suite La Chasse che ha un organico abbastanza inusitato: due
oboi, due corni e un fagotto. Tutta
questa suite è consacrata ad un quadro venatorio; la sua gaiezza culmina nella conclusione, nella quale
il “Piacere”, restituisce l’ambiente
della caccia primordiale.
Si può ascoltare questa suite in
un bel CD della H armonia Mundi
(H M 901654) nel quale sono racchiusi altri tre lavori di questo genere quali La Musette, l’ouverture
Tragicomique e la più conosciuta e
già citata Alster.
Sebbene il titolo di Musette richiami alla mente la cornamusa,
Telemann ne fa singolarmente una
composizione per soli archi imitanti il bordone grave dello strumento
pastorale. Fedele alle sue concezioni internazionali, Telemann associa
a questa danza popolare francese,
una “Polonaise” saltellante, le tinte sobrie di un “Mourky” tedesco e
due capricciosi ambasciatori italiani sotto le specie di un “Napolitaine” e di un “Arlequinade”.
Il messaggio dell’ Ouverture
jointe d’une suite tragi-comique
nella quale i movimenti portano
dei titoli stranieri, è assai misterioso. Una introduzione familiare è seguita da tre paia di pezzi nei quali i
mali e i fantasmi degli uomini sono
trattati dalla musicoterapia sotto
forma di rimedi ante-litteram.
È qui che la Podagre è reputata guaribile con un viaggio in car-
Il CD è ottimamente interpretato su strumenti antichi dalla tedesca Akademie für Alte Musik Berlin, una compagine che trova delle
sonorità particolarmente sprizzanti e dei ritmi serrati che inducono
senz’altro al movimento.
Per ciò che riguarda l’ Alster
ouverture, (che nel suddetto CD si
differenzia in alcuni movimenti da
altre due versioni a cui accenneremo), essa si distingue per una paletta quasi illimitata di raffinatezze
strumentali e per una grande diversità di pezzi descrittivi, ora velati
di mitologia, ora improntati al naturalismo gagliardo che tradiscono
senz’ altro le loro radici coreografiche.
Il gracidio delle rane
e le cannonate
All’ epoca, quasi nessun compositore aveva fatto intendere il gracidio delle rane e il gracchiare dei
corvi con tanto realismo come nel
Concerto delle rane e dei corvi reso
con sapiente acume comico da Telemann.
E se la versione della Harmonia
Mundi è interessante, quella prodotta da Philip Pickett per la Decca (Decca 455621-2) è veramente
strepitosa per l’esagerazione delle
dissonanze insite nel brano.
Ma pure sfavillante risulta essere il brano Die canonierende Pallas
(Le cannonate di Pallade), nel quale
Pickett e il suo New London Consort sfracellano gli archetti dei celli e del contrabbasso dalla parte del
legno, direttamente sulle corde, in
modo da far risaltare il tutto come
delle vere e proprie cannonate. Chi
vuole divertirsi, non ha che da ac-
quistare questo CD che contiene tra
l’altro l’altrettanto famosa suite in
do maggiore Wassermusick, incisa
anche da Robert King per Hyperion (CDA66967) e da Goebel per
Archiv (Archiv 413788-2) in una
vecchia incisione del 1984 che allora fece scuola.
Sempre Reinhard Göebel e la
sua Musica Antiqua Köln ci propongono in un ulteriore disco Archiv (Archiv 429774-2 , fuori catalogo), una splendida registrazione dell’Ouverture in re maggiore in
sette movimenti, dedicata al già citato landgravio Ludvig VIII di Hessen-Darmstadt.
Questa tra l’altro, rimane la sua
ultima opera strumentale conservata. In essa, (ricordiamo che qui Telemann aveva superato gli ottanta
anni) troviamo il fascino e lo straordinario spirito di un documento
che doveva durare nel tempo, particolarmente seducente nella trasformazione delle forme barocche,
compiuta attraverso lo stile rococò
e sentimentale. L’ouverture non ha
più la rigidezza formale dello stile
francese; la sezione veloce-fugato
ha la grazia e il buon umore di una
gavotta. La Plainte è un canto serenamente classico, è la Rejouissance ricorda glorie antiche. Il Carillon
allude forse al glockenspiel olandese trovato nel palazzo del langravio;
il Tintamare (letteralmente i colori
del mare) è un brano baluginante di
genere, mentre la Loure conserva
la grazia di una forma arcaica e la
coppia di Minuetti conclusiva unisce l’eleganza e la grandezza della
nuova epoca. Ricordo che nel CD
è contenuta pure la cantata Ino per
soprano e orchestra interpretata da
Barbara Schlick. La registrazione è
del 1989.
Sempre per la casa discografica tedesca, troviamo due CD registrati da Trevor Pinnock rispettivamente nel 1993 e nel ‘94. Si tratta
di cinque ouverture delle quali riportiamo le sigle di catalogazione:
TWV (Telemann Werke Wernisch)
55: C6, 55: DI9, 55: BIO (Archiv
437558-2) della durata di 77 minuti
e 1WV 55: G4, 55: DI (Archiv 439
893-2, fuori catalogo), della durata
di 59 minuti.
Sono tutti lavori di grande respiro nei quali Telemann propende
spesso verso schemi dialogici con
un procedimento concertante in cui
si evincono complicati passaggi di
elaborata scrittura solistica, caratterizzata soprattutto dagli strumenti melodici, esemplificati in queste
cinque suite dagli oboi (a volte anche tre), accompagnati al basso dal
fagotto, dalla tromba, come nella
suites in re maggiore TWV 55: DI,
detta anche Tafelmusick, produzione II, o dal violino solista.
Telemann melodista
e «pittore»
Ognuna di queste suites, attesta
nel modo più persuasivo l’abilità
del compositore come melodista e
la sua raffinata maestria nel trattamento di variegati coloriti orchestrali. L’esecuzione di The English
Concert sotto la guida di Pinnock, è
tra le migliori e senz’ altro più riuscite per la vivacità dei ritmi, per la
bravura dei solisti (Paul Goodwin
e Mark Bennet in testa) e la passionalità solare che sprizza da tutti i pori.
Robert King, altro direttore inglese, si cimenta alla guida del suo
The King’s Consort, nella stessa
suite per tromba TWV 55: DI, nella
quale ritroviamo nuovamente Paul
Goodwin quale solista di oboe,
mentre Crispian Steele Perkins è
stavolta il virtuoso (ma di bravura
inferiore a Bennett) di tromba barocca.
Nella seconda parte del CD abbiamo invece la suite in Si bemolle
maggiore in otto degli oboi in eco
agli archi, una sinuosa «Flaterie»
ed un furioso finale. Il disco è un
Hyperion CDA66278, registrato
ne11987. Restando in ambito tedesco troviamo un doppio cofanetto
della Teldec (4509-93772- 2) contenente sei ouvertures (TWV 55:
g4, C6, d3, D15, Al, Fl) incise dall’immancabile Nikolaus Harnon-
nella quale due movimenti, obbediscono ad un programma: “Les Plaisir”, una rapida e gaia danza con
ritmo alla breve che segue l’ouverture di gusto Francese e una “Air à
l’ltalien”, uno struggente movimento melodico.
La versione italiana vede l’impiego di strumenti moderni ed una
presa sonora che falsa molto le dinamiche per via di un alone un
poco troppo esagerato, certamente
aggiunto dai tecnici della casa discografica genovese.
Peccato, perché l’esecuzione di
Bagliano non ha nulla da invidiare
a quella di Brüggen, anzi per certi
dell’ Alster forse meno onomatopeica della versione di Pickett ma
sostanzialmente molto musicale e
di sicuro effetto, così come nella
Bouffonne si possono ammirare i
due Rigaudon finali ben diretti da
uno smagliante Standage.
Sempre con la direzione di
Standage, c’è u altro CD Chandos
(CHAN 0519 VoI. I) contenente la
Changeante; di questa esecuzione
non posso dire nulla perché non
l’ho mai ascoltata e manca nella
mia discoteca, dunque la riporto
solamente.
Per concludere segnalo la bellissima incisione fatta dall’oboista e
court con il Concentus Musicus. Le
due registrazioni risalgono al 1966
e al 1978.
versi è ‘modernamente più attendibile.
Tornando in area germanica, troviamo altre due incisioni; la prima è
opera del lodevole ma un poco freddino complesso tedesco La Stravaganza che nel 1990 ha registrato per
la giapponese Denon (CO-77398),
la Volker- Ouverture, l’ Ouverture
in re minore TWV 55: fl, e l’OuvertureTWV 55: gl.
La seconda incisione contiene
tre ouvertures: TWV 55: B10 (incisa anche da Pinnock),
l’ Ouverture in fa minore per due
flauti dolci e la Burlesque de Don
Quichotte, tutto ad opera degli strepitosi Freiburger Barockorchester
diretti da Gottfried von der Goltz
per la DHM (05472773212).
Resta ancora qualcosa da dire
intorno al disco della casa francese Accord (206212), nel quale troviamo la Suite per flauto dolce concertante, oboe, archi e continuo e
la Suite in sol minore La Bizarre
per 2 oboi e archi. Questo CD, interpretato dal flautista e direttore
francese Christian Mendoze, fa il
paio con un altro edito da un’altra
casa discografica francese, la Pierre Verany (PV796022, fuori catalogo), nel quale lo stesso Mendoze a capo del medesimo ensemble
Musica Antiqua presenta altre due
ouverture: la già incisa Wassermusick ed una straordinaria Ouverture
in re maggiore per viola da gamba,
2 oboi e archi, nella quale il solista
Philippe Foulon sciorina una arcata
ariosa e morbidissima.
La Bouffonne, la Grillen-Symphonie e l’ Alster- Ouverture si possono trovare su un dischetto della
Chandos con il Collegium Musicum 90 (CHAN 0547) diretto da
Simon Standage. Anche in questo
caso abbiamo una bella edizione
direttore belga Paul Dombrecth per
la casa olandese Vanguard, Classics (serie Passacaille Collection) di
altre suites: La TWV 55: B II detta La Bourse, quella in sol minore
g3 e la suite in do maggiore C4.
In special modo quest’ultima, presenta nel terzo moviment0 Les etudiants gaillards e nel penultimo Canaries, una combinazione di colori
ed una invenzione ritmica di grandissima immaginazione, che Dombrecth mette ancor più in evidenza,
aggiungendo al trio dei due oboi e
fagotto un tamburo a scandire un
ritmo già per se stesso coinvolgente
e di sicuro effetto.
Sottolineiamo che tutte le versioni discografiche presentate, sono
eseguite con strumenti d’epoca
(tranne quella di Bagliano che comunque adotta una corretta prassi
esecutiva), e dunque il numero delle incisioni per ora si limita a poco
meno di una trentina di lavori sugli
oltre cento pervenutici.
A questo proposito cercherò di
rendere un servizio ai lettori riportando la totalità delle suites disponibili sia a stampa sia manoscritte,
elencandone il numero nelle varie
tonalità: 11 in do maggiore, 26 in
re maggiore, 3 in re minore, 5 in mi
bemolle maggiore, 4 in mi maggiore, 10 in mi minore, 18 in fa maggiore, I in fa minore, I in fa diesis
minore, 14 in sol maggiore, 9 in sol
minore, 9 in la maggiore, 7 in la minore, 14 in si bemolle maggiore, 4
in si minore, per un totale di 136
suites-ouvertures! Per tutti coloro invece che volessero conoscere
bene la produzione sterminata del
catalogo di Telemann, fornisco un
indirizzo internet sul quale potranno navigare comodamente: http:
//infopuq. uquebec. ca/uss 1010/
catal/telemann/telgppub.htm
L’interpretazione
di Harnoncourt
I 12 anni di distanza si percepiscono nell’ evoluzione esecutiva del Concentus, sebbene le idee
di Harnoncourt rimangano sempre
avvinghiate ad esecuzioni fatte di
scatti improvvisi, dinamiche a gradoni ed una cantabilità abbastanza
legnosa.
Va detto che in queste, come
in altre registrazioni del primo periodo harnoncurtiano, il diapason
è abbastanza alto, circa a 420 Htz.
Questo influisce non poco sul colore degli strumenti che negli archi si
rivela secco e vetroso, mentre negli
oboi (unici fiati presenti in queste
ouverture assieme al fagotto) assume un timbro leggermente sguaiato
e a paperetta.
Trattandosi però di un cofanetto contenente delle suites fino ad
ora mai più riproposte, ne consigliamo l’acquisto, dato il prezzo
appetibile.
La suite in la minore TWV 55:
a2, è ascoltabile in due versioni incise ad oltre trent’anni di distanza:
1966- 1999 dal caposcuola e grandissimo virtuoso di flauto dolce
Franz Briiggen e dall’italiano, non
meno virtuoso Stefano Bagliano.
Il primo è un C D Teldec (450997422-2, fuori catalogo), contenente anche un Concerto in do maggiore e un Concerto a 6 in fa maggiore
con flauto dolce, mentre il secondo
è un C D Dynamic che prevede anche un concerto per flauto e fagotto
ed uno per flauto e viola da gamba.
L’ouverture TWV 55: a2 è una
delle differenti suites per orchestra
6 musica
Mercoledì, 22 febbraio 2006
MUSICA E COSTUME - Ah! La Belle époque!...ah! Il Caffè Chantant! ...Quando la Bella
Dalle follie della patetica Belle
a cura di Patrizia Venucci Merdžo
L
a follia della Belle époque, la febbre di divertimento vissuta giorno per
giorno come se fosse l’ultimo in uno scenario di transizione ed
insicurezza sociale ed economica
- nacque nella gaudente e disperata Parigi di metà Ottocento, e dalla capitale d’Europa, l’epidemia
di questa voglia festaiola dilagò a
macchia d’olio ed in maniera pandemica nel Vecchio Continente,
conivolgendo ed accomunando, in
una certa qual maniera, tutti i ceti
sociali. I poveracci in cerca di fortuna come le teste coronate in cerca di distrazioni proibite e la buona borghesia.
In queste righe cercheremo di
capire il perchè, il come, il chi, le
implicazioni culturali e di costume che in primo luogo, il fenomeno del Caffè Concerto e del Caffè
Chantant, si trascinarono dietro,
come un lungo, lussureggiante e
frivolo strascico di un’ammaliante
Chanteuse parigina (o viennese) di
fine de siécle.
Origine
del Caffè Concerto
Nel 1729, a Parigi nacque la
prima Società Letteraria, con la
finalità di sviluppare la canzone
come espressione culturale e il destino volle che la sede scelta fosse
un Caffè, il “Caveau”, situato vicino a Palazzo reale.
Nel 1806 il nome venne modificato in “Le Caveau Moderne”,
ed il locale fu ampliato per poter
così ospitare un maggior numero
di spettacoli e attrazioni, sempre
accompagnati dalla degustazione dell’ottima bevanda. Ed ecco
che, in uno stesso luogo, veniva-
no riuniti militari, impiegati, nobili, banchieri, ecc, tutti convenuti
allo scopo di distrarsi e di ascoltare, ma soprattutto di vedere, la
“sciantosa”, sempre disponibile
al sorriso ed alla strizzatina d’occhio.
Così, Parigi diventò il centro
europeo della “belle-époque”, ma
i locali adibiti a Caffè-Concerto
diventarono numerosissimi anche in altre nazioni come Austria,
Germania, Inghilterra, Spagna e
Russia. In realtà i gestori dei Caffè usavano le attrazioni musicali
solo come “specchietto per le allodole”, cioè per gli avventori, che
gustavano bevande e gustosi cibi
speciali in grande quantità.
Infatti, la poca attenzione per
la scenografia era evidente: l’attrezzatura si limitava ad una
semplice pedana su cui suonava
un’orchestrina (Caffè Concerto)
o accompagnata da una cantante
(Caffè Chantant).
Visto il successo ottenuto e
la concorrenza che si facevano i
proprietari, ciascuno decise di arricchire lo spettacolo, offrendo al
pubblico anche numeri con giocolieri, illusionisti e comici.
Questa mutazione del Caffè da
“bar” a luogo di spettacolo avvenne nella seconda metà del XIX secolo, in tutta Europa e principalmente a Parigi, dove il Café Chantant raggiunse il suo massimo
splendore in locali quali il mitico
“Moulin Rouge”, “Le Chat Noire”, “Les Folies Bergère”.
Il Caffè Concerto
in Italia
Neppure nel Belpaese non
mancavano di certo dei Caffè
Moulin Rouge di Degas
Concerto che nulla avevano da invidiare a quelli parigini.
Possiamo
ricordare
il
Caffè”Florio” a Torino, il “Greco” e l’Olimpya” a Roma, il
“Caffè della Scienza” a Bologna.
Napoli poi aveva il primato: il
“Flora”, il “Diodato”, il “Veneziano, l’”Eden”, l’Eldorado”, “I
Cavalieri”,sono soltanto alcuni
tra i caffè più frequentati da artisti,
letterati e ricchi borghesi.
La frizzante Mitteleuropa
La Belle époque con la sua
euforia e forme di spettacolo
non mancò di contaminare l’Europa Centrale- sebbene in maniera più raffinata ed elegante dove si espresse sotto forma di
operetta viennese, di romanze e
canzoncine allegre ma d’autore,
o di una miriade di brani scoppiettanti per violino poggianti
sui ritmi e le melodie accattivanti del foclore magiaro.
Infatti non c’era caffè di un
certo livello che non fosse allietato da complessi strumentali e
da stelline che interpetassero le
arie d’operetta più in voga; o in
Ungheria le celeberrime compagini tzigane con tanto di ammalianti e frizzanti zingarelle pronte alla danza come al canto.
I nostri vecchi ricordano che
a Fiume ai tempi dell’Ungheria, sita nella casa della Torre
dell’orologio di Sušak c’era un
locale, una specie di “Moulen
Rouge” casereccio, con tanto di
Caffè Concerto, Caffè Chantant
e ballerine allegre quanto ...”disponobili”. Per cui i signori fiumani “per bene” amavano andare a peccare oltre il “ponte”.
lnoltre un locale frequentato da
soldati austroungarici, allietato
dalle note del Caffè Chantant, si
trovava a Fiume negli ambienti
dell’ex ristorante “Tre Palme”.
Ma quali furono le principali attrazioni del caffè? E in quale modo hanno potuto monopolizzare l’attenzione di persone
appartenenti ai più vari ceti sociali?
A quest’ultima domanda si potrebbe rispondere affermando che,
come sempre succede nella storia
socio-economica di qualsiasi paese, ad un periodo di grande depressione finanziaria e quindi politica, corrisponde paradossalmente
un altrettanto grande desiderio, da
parte della popolazione, di divertimento, quasi a voler dimenticare i
problemi quotidiani, nell’incertezza del domani.
A questo il Caffè corrispondeva perfettamente, soprattutto
quando, col passare del tempo,
questa forma di spettacolo si raffinava e migliorava di qualità.
Il leggendario
Salone Margherita
Manifesto d’epoca de “La vedova allegra”
Punto d’incontro della buona società di Napoli era il Salone Margherita dove era di prammatica parlare il francese. Non
solo gli spettatori lo dovevano
parlare ma anche le maschere e
i camerieri.Destinata a concerti e conferenze, un anno dopo
l’inaugurazione, la sala, grazie
ai radicali cambiamenti restauri del Cav.Giuseppe Marino, divenne uno splendido Caffè Concerto dove le glorie del varietè
avrebbero brillato più fulgide.
Rivestito da un’architettura lussuosissima, in fondo vi era il
piccolo palcoscenico a forma di
conchiglia che ospitò i più grandi macchiettisti, vedettes internazionali e sciantose quali: Bernardo Cantalamessa, Maldacea
e Fregoli, da Emilia Persico ed
Ersilia Sambieri a La Bella Otero e Cleo De Merode; e ancora
Armand ‘ Ary, Amelia Faraone,
Emilia Donnarumma etc.etc. A
Napoli il Cafè Chantant fu la
culla della “canzone napoletana” diventata poi famosa in tutto il mondo.
A Napoli...
lo spogliarello
Napoli città del peccato! Sodoma e Gomorra d’Italia! Napoli
vanta una sua autonoma invenzione del Caffè Concerto e di un numero che darà a sua volta origine
ad un particolare genere di spettacolo: lo spogliarello. Fu così che
nel 1875 Luigi Stellato in collaborazione col musicista Francesco
Melber, nella rielaborazione di un
motivo popolare creò ‘ A cammesella, divertente duetto tra sposini,
con il marito che tende a eliminare a uno a uno i numerosi schermi
dietro i quali la moda del tempo
nascondeva le grazie della sposa,
e quest’ultima che, di volta in volta, si schermisce e cede .
A Rrrroma...
”a mossa”!
Si deve a Ninì Tirabusciò, ed
alla sciantosa Maria Campi l’invenzione della famosa “mossa”
che fu lanciata alla sala Umberto
di Roma dalla citata soubrette che
per distinguersi dall’agguerrita
concorrenza straniera inventò appunto, la “mossa”, cioè lo scrollare dei seni a tempo di casse e piatti
per poi finire con il famoso colpo
d’anca. Un mezzuccio per attirare
ancora il sempre più sparuto pubblico e che fu segno della parabola
discendente del Caffè-Concerto
Le sciantose
Comunque, le figure tipiche
rimasero le “sciantose” e i “macchiettisti”.
Quello della vita della sciantosa è un quadro tutto ombre e luci:
ӏ una creatura giunta dai bassifondi, decisa a crearsi un proprio
spazio nel mondo, attraverso lo
spettacolo, gettandosi alle spalle
tradizioni, luoghi comuni e tabù”.
Salvatore Di Giacomo mette a
fuoco una domanda sulle sciantose, che viene spontanea a tutti:”Ma
che cosa dunque sospinge sulle libere scene del Café Chantant queste sciagurate di cui la numerosa
musica 7
Mercoledì, 22 febbraio 2006
Otero faceva impazzire le teste coronate d’Europa
époque all’avanspettacolo
e recentissima schiera è addirittura
una germinazione di plebe?”
Probabilmente, uno dei fattori
più importanti che spingevano le
ragazze del popolo a questa scelta piena di pericoli e delusioni, era
la necessità di sopravvivere a qualunque costo, in un mondo dove la
miseria e la disoccupazione erano
una piaga inguaribile, specie per
le donne.
Ma proprio queste donne avevano dentro di loro anche quell’istinto teatrale che le ha rese
protagoniste della storia del Café
Chantant.
I nomi dei personaggi femminili sono numerosissimi, anche se
la maggior parte poi spariva nel
nulla.
‘centro’, barcollando sui tacchi
di un paio di scarpette di raso lilla. Tutto un patrimonio di gioielli
sfolgorava sulla sua epidermide
liliacea e nel serto di foglie vizze figurato dai suoi capelli era
goffa, squisita, fragile, bizzarra
e pietosa.
Il suo nome Nelly Floupette, eccentrica”. Per citare solo alcuni personaggi possiamo ricordare Amalia
Faraone, Olimpia Davigny, Rosa de
Saxe, Ersilia Sampieri, Joly Fleur,
Leda del Cigno, Lucy Charmante,
anticipatrici del divismo cinematografico primo Novecento e delle celeberrime prime donne, quali:
Anna Fougez, Lina Cavalieri, Elvira Donnaruma, Carolina Otero (la
bella Otero), Cleo de Merode.
Cristallizzò l’epoca umbertina e la prima guerra mondiale,
ed anche il linguaggio adottato
fu una chiara dimostrazione del
pensiero culturale, che si divideva in due diverse interpretazioni: il dialogo intessuto di ironia e doppi sensi che camuffava
una sottile verità e il linguaggio
poetico che affascinava nobili e
banchieri.
Di conseguenza, sarebbe superfluo sottolineare l’importanza dell’analisi di questa forma di
spettacolo, per la quale è giunto il
momento della rivalutazione culturale.
Importanza
culturale del Caffè
Chantant
In un ambiente popolare che
manteneva ed esaltava la prevalenza del dialetto, la canzone di Caffè
Chantant era di volta in volta vicina all’operetta, alla canzone popolare, alla romanza da camera, al
“contrasto” comico, alla “chanson
a diction” o da cabaret, alla celebre “macchietta” con accompagnamento musicale.
Attraverso la contaminazione
con generi diversi il Cafè Chantant
contribuì in maniera decisiva alla
nascita della cosiddetta canzone
melodica “all’italiana”, creando le
condizioni per farla uscire dai salotti e dai teatri lirici, alleggerendola del suo passato melodrammatico. Lo spettacolo di teatro musicale “leggero” in Italia nasce con il
Cafè Chantant e prenderà successivamente il nome di spettacolo di
Varietà.
Nel Nord da Trieste a Torino e
soprattutto a Milano, grazie anche
alla sperimentazione futurista, il
Cafè Chantant evolverà in Teatro
di Varietà, in Teatro della Sorpresa,
in Music Hall, in Avanspettacolo
Carolina Rodriguez, nota come la Bella Otero nacque nel 1868 in
Spagna da famiglia di mendicanti. Cantante e danzatrice leggendaria della Belle époque fu adorata da principi e re. Accumulò
enormi ricchezze che poi dilapidò al tavolo verde. Morì in miseria
nel 1966 all’età di 97 anni.
Jane Avril stella del “Moulin rouge”, in un manifesto di Toulouse
Lautrec
Quasi tutte le sciantose italiane usavano nomi francesi allo scopo di nobilitarsi, e imbottiture nei
punti giusti per accontentare gli
sguardi indiscreti del pubblico.
Con il passar del tempo il loro
ruolo divenne più prestigioso e
professionale, tanto da attrarre uomini di cultura e di spettacolo.
Questa trasformazione di ruolo si avvertì anche nel vestire e nel
comportamento. Così le signore,
divenute anch’esse frequentatrici dei Caffè, imitavano i gesti e
l’abbigliamento di quelle donne
che facevano impazzire qualsiasi uomo.
Ecco trasformarsi perciò un
elemento di spettacolo in un fatto
di costume, inserendosi così nella
storia della fine dell’Ottocento.
Ecco il ritratto della sciantosa Nelly Floupette che Ugo Ricci traccia in una sua novella: “...
una bella inebriante ragazza dai
capelli rossi, piuttosto truccata e
vestita con l’audace ed artificiale
semplicità che era di moda a quel
tempo. Essa a Torino, al Caffè
Romano, faceva il ‘numero’ del
I macchiettisti
Dopo il lungo elenco femminile, ricco di immagini tristi, patetiche, ma anche romantiche e intense, possiamo parlare dei personaggi maschili, che tanta parte hanno
vuto nello sviluppo di questa forma di spettacolo. Vista al maschile,
la vita del “macchiettista” assomiglia a quella della chanteuse; stessi
desideri, sacrifici e lotte.
Furono molto amati dal pubblico perchè mettevano in scena
le abitudini e i difetti di ognuno,
con quell’autoironia e parodia
che trascinavano l’uomo a ridere di sè.
Nomi quali Petrolini, Fregoli,
Viviani sono rimasti nella storia
dello spettacolo. l Caffè Chantant,
per molto tempo disprezzato, in
realtà è stata importante testimonianza dell’epoca: “Attraverso la
letteratura del Caffè Chantant, si
ha la possibilità di ripercorrere le
tappe essenziali di una società che
si stava avviando verso un profondo rinnovamento dei costumi e del
pensiero”
Caffè chantant parigino
o Rivista, mentre nella tradizione
Centro-meridionale resterà sostanzialmente legato al teatro comico
in dialetto.
Il Caffè Concerto, che all’estero era nato all’insegna dell’intrattenimento ma anche dell’intelligenza e dell’eleganza, da
noi fu confezionato quasi unicamente su un’immagine peccaminosa della bellezza femminile e
mai si liberò dal sospetto di mezzaneria.
Esso fu soprattutto il trampolino di lancio delle sciantose,
taglieggiate dagli agenti teatrali, che oltre alla percentuale sui
contratti esigevano quote per il
sostentamento dei propri giornaletti pubblicitari, le iscrizioni alle
proprie scuole di canto e dizione,
fino al pagamento degli omaggi
floreali ed all’obbligo di dormire
in pensioni “convenzionate” con
incontri galanti obbligatori.
Dal 1917 la decadenza del
Caffè Concerto divenne rapida e
continua. Tutte le artiste che non
erano riuscite a mettere da parte
denaro o gioielli, o ad accasarsi,
continuarono ad esibirsi sempre
più in preda ai lazzi del pubblico, come la stessa Campi, che
ancora giovane si sentiva gridare dalla platea; “Campi, campi
ancora?”.
La prima guerra mondiale,
con il declino di un’intera epoca, segnò quello del Caffè Concerto e dell’epoca che lo aveva
espresso. In seguito, attraverso
successive trasformazioni, sarebbe approdato al teatro di varietà, all’avanspettacolo, alla rivista, fino all’odierno cabaret. I
testi degli spettacoli erano ispirati a macchiette scritte da Trilussa,
Ferdinando Russo ed altri poeti
dalla vena satirica dell’inizio Novecento .
8 musica
Mercoledì, 22 febbraio 2006
I NOSTRI LETTORI CI SCRIVONO
La testimonianza di un attivista
della Banda di Ottoni di Rovigno
Cara Voce,
in riferimento all’articolo
“Storia della Banda d’ottoni di
Rovigno: passione, talento, tradizione e modernità”, pubblicato
sul quotidiano LA VOCE DEL
POPOLO, del 25 gennaio 2006,
a pagina 4 – 5 dell’ inserto “IN
PIÙ – MUSICA”, di Anna Malusà, ritengo opportuno segnalare
quanto segue.
Si dovrebbe scrivere la completa “Storia delle bande d’ottoni di Rovigno” attraverso i suoi
160 e più anni di esistenza durante i quali numerosi sono stati
i successi, ma anche non poche
le ricadute. I successi sono stati
sempre dovuti a fattori positivi
legati all’entusiasmo, al volontarismo, al sacrificio, all’impegno
di singoli appassionati, nonché
agli aiuti e all’abnegazione prestati dalle autorità. Gli insuccessi invece vanno ascritti ai difficili problemi finanziari, organizzativi o di carattere sociopolitico.
Nulla di strano in quanto sono
queste problematiche di ieri e
di oggi, più o meno conosciute
e presenti in molte associazioni
del genere.
Sono del parere però che nelle lodevoli ricerche fatte dall’autrice in merito si sia dimenticata
di chiedere informazioni anche ai
protagonisti di 60 anni fa, allievi
del maestro Perini, ancora vivi e
vegeti, tra i quali figuro anch’io,
attivo nel complesso bandistico
rovignese dal 1947 al 1962.
In merito ritengo doveroso
informare i lettori su alcuni avvenimenti storici e precisamente quanto è stato riferito nel capoverso nono dell’articolo che
recita: “… Dopo la fine della II
guerra mondiale (1945) la banda partecipò attivamente a manifestazioni commemorative per
i caduti partigiani, esumazione
di salme di combattenti, nonché,
nelle ricorrenze del 25 maggio,
celebrazione del compleanno del
Maresciallo Tito. Tradizione risalente a questo periodo è il corteo per le vie della città con bandiere. Il 29 Novembre del (1946)
la banda scese in piazza in onore della festa della Repubblica di
Jugoslavia. .. “, fine del citato.
Devo precisare che la prima
uscita della Banda d’ottoni nel
periodo post bellico ebbe luogo
per le festività del 30 aprile fine
della II guerra mondiale e del
Primo Maggio (1945), a dirigerla era sempre il maestro Umberto
Perini. Il Primo Maggio è sempre stato la giornata più importante di tutte le festività dell’ex
regime jugoslavo. Per le festività
del Primo Maggio (1946) e negli
anni a seguire la Banda ha partecipato alle sfilate tradizionali
lungo le vie della città di Rovigno, poi nelle ore successive si
andava suonare nei centri urbani
di Villa di Rovigno, Valle e Canfanaro. Di seconda importanza
erano le festività del 25 Maggio
e del 29 Novembre. Non ha mai
partecipato a “esumazione di salme di combattenti”. La Banda ha
partecipato pure al grande raduno dell’ Unione degli Italiani
dell’Istria e di Fiume organizzato nel 1946 all’Isola di Brioni.
Al maestro Perini e al suo fratello Giovanni va pure il merito
di aver organizzato, già nel mese
di novembre 1945, la scuola di
musica per le nuove leve della
Banda cittadina. Il primo gruppo di 7 giovani allievi entrò a
far parte della Banda il Primo
Maggio 1946, mentre il secondo gruppo di 9 allievi si inserì il
Primo Maggio 1947, partecipando alla grande sfilata di carri allegorici e alla tradizionale festa
campestre di Punta Corrente. Il
maestro Perini in quel periodo
dirigeva pure il coro della “Marco Garbin”.
In riferimento al capitolo
“Con l’esodo il declino”, ritengo che non sia stato soltanto
l’esodo a determinare il declino
della Banda musicale, ma anche
gli altri fattori sopra elencati. Riguardo i successivi maestri della Banda, che l’autrice della ricerca storica rileva di non avere notizie “certe”, rendo noto
i loro nomi: prof. Poli (non ricordo il nome), Barzovski Nevenko, prof. Gržinić Jerko, prof.
Umberto Urbani e il capitano in
pensione Hlušička Jeroslav, lunghi anni maestro della Banda militare della Marina di Pola.
Non va dimenticato poi il nostro concittadino Antonio Bosazzi pure lui allievo del maestro Perini, attivista della Banda
dal (1947 al 1982), il quale dal
1980 – 1983 ha insegnato musica e diretto la banda dei giovani
della Scuola elementare italia-
na “Matteo Benussi”. I strumenti
musicali erano stati messi a disposizione dagli enti culturali Unione
Italiana di Fiume e Università popolare di Trieste. Molti di questi
giovani musicisti come cresceva
la loro abilità e preparazione musicale venivano inseriti nella Banda cittadina tra questi ricordo: Dapiran Antonella, Marich Samanta,
Malusà Mirella le sorelle Russi
e altri. Pur troppo, a causa delle
motivazioni già elencate, anche
questa giovane Banda oggi non
esiste più.
In riferimento del “primo incontro delle bande dell’Istria organizzato nel 1976”, devo precisare che la Banda cittadina di
Rovigno partecipò prima di allora al raduno delle bande dell’Istria
svoltosi a Pola nel 1957 e Parenzo
nel 1959, quando in determinati periodi esistevano questi raduni. In relazione “alla rifondazione
della Banda d’ottoni avvenuta nel
1996”, posso confermare che il
merito è dovuto in primo luogo al
notevole impegno profuso dall’allora sindaco e dalla Giunta comunale della Città di Rovigno, i quali
per promuovere degnamente l’at-
notevole contributo all’arte musicale nella città di Rovigno.
Virgilio Giuricin
Rovigno, 5 febbraio 2006
Spett. signor Giuricin,
pubblico con vivo piacere la
sua lettera inerente alla storia
della Banda di Ottoni di Rovigno,
ricca di note informative che contribuiscono a focalizzare, completare e dare nuove dimensioni
all’argomento in questione.
Lo scopo del nostro supplemento è di attirare l’attenzione,
di puntare i nostri modesti riflettori sulle nostre (tante) piccole,
e meno piccole, realtà musicali; non certo quello di rivelare la
“verità assoluta”. E inoltre, fine
che ci sta molto a cuore, cercare
di instaurare un dialogo con i nostri lettori. Per cui, a quanti ci seguono, rinnovo l’invito di segnalarci personaggi, inviarci foto o
informazioni su musici e fatti del
nostro piccolo e magico cosmo
musicale.
Cordialmente
Patrizia Venucci Merdžo
QUIZ - Chissà chi lo sa?
1. Come si chiamano il principe e la principessa protagonisti
del singspiel “ Il Flauto magico”
di W.A.Mozart?
a) Sarastro e Pamina
b) Papagena e Tamino
c) Tamino e Pamina
2. Il “Kolo sinfonico”, uno
dei più popolari brani sinfonici
della musica lirica croata, è stato
composto da Jakov Gotovac per
l’opera...
a) Ero s onoga svijeta
b) Ban Leget
c) Porin
4. Il rinomato regista americano Woody Allen, autore di
numerosi classici del cinema, tra
cui “Annie Hall” e “Celebrity”,
nutre un particolare amore per la
musica jazz, che lo porta spesso
a esibirsi in brevi tournée con la
propria band suonando il:
a) sassofono
b) pianoforte
c) clarinetto
3. Sono uno dei più popolari gruppi pop femminili in Gran
Bretagna, il cui hit attuale s’intitola “Push the button”, e si chiamano…
a) Sugarcandy
b) Sugababes
c) Sweetcheeks
b) Tosca
c) Madame Butterfly
7. Quale delle seguenti cantanti ha partecipato al reality
show “Music farm”?
a) Giorgia
b) Dolcenera
c) Laura Pausini
8. Una delle più belle sinfonie mai scritte, composta da
Franz Schubert, porta il nome…
a) La sinfonia incompiuta
b) La sinfonia fantastica
c) La sinfonia “Jupiter”
5. Il cantautore Neno Belan
non è stato mai leader di quale
dei seguenti complessi?
a) Đavoli
b) Crveni koralji
c) Fiumens
6. Alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Torino, il
rinomato tenore italiano Luciano Pavarotti ha interpretato la
famosissima aria “Nessun dorma”, tratta dall’opera di Giacomo Puccini…
a) Turandot
OLIMPIADI DI TORINO
Jasna Merlak sul podio
9. Una delle più note composizioni scritte da Astor Piazzolla,
il famoso musicista e compositore argentino, s’intitola…
a) Tanguedia
b) Libertango
c) Tango Ballet
10. Il Concerto in mi minore op. 64 per violino e orchestra,
uno dei più bei brani musicali
mai scritti per questo strumento,
fu composto da:
a) Franz Liszt
b) Franz Schubert
c) Felix Mendelssohn Bartholdy
Soluzioni: 1. c), 2. a), 3. b), 4. c), 5. b), 6. a), 7. b), 8. a), 9. b), 10. c).
Anche la Trieste musicale è stata rappresentata a Torino, nelle cerimonie indette per i ventesimi Giochi Olimpici Invernali.
Nel quadro del megaconcerto inaugurale tenutosi a Piazza Castello, per l’occasione ribattezzata “Medals Plaza”, quale “prima
arpa solista” dell’Orchestra sinfonica della RAI di Torino diretta dal
maestro Enrico Dovico, è stata chiamata la concertista triestina Jasna Merlak.
La serata vedeva come protagonisti il tenore Andrea Bocelli,
il soprano udinese Annamaria Dell’Oste ed il baritono Ildebrando
D’Arcangelo.
Il programma comprendeva brani sinfonici ed operistici di Bizet,
Verdi, Puccini, operettistici di Lehar ed una carrellata delle più belle canzoni italiane.
L’evento è stato trasmesso in tutto il mondo dalla RAI 1 Satellitare. Dopo l’intervento d’apertura del Sindaco di Torino Sergio
Chiamparino e l’alocuzione dell’Assessore ai Giochi Elda Tessore
instancabile regista dell’operazione “Medals Plaza”, premiazioni e
fuochi d’artificio sullo sfondo di Palazzo Reale. Il concerto, definito
“Trionfo di medaglie e romanze”, è stato brillantemente presentato
da Simona Ventura. Pubblico straripante ed osannante.
tività della Banda hanno assicurato e garantito dal bilancio comunale importanti mezzi finanziari,
come segue:
§ Acquisto per tutta la Banda
di nuovi strumenti musicali.
§ Acquisto di uniformi (invernali – estive).
§ Rapporto di lavoro per il
maestro della banda, (prima volta
nella storia).
§ Garantito ai musicisti un gettone per le prove musicali.
§ Apertura della nuova scuola
di musica per l’istruzione di giovani leve.
Alla fine ritengo che questa ricerca storica sulla Banda d’ottoni
di Rovigno vada salutata ed elogiata con merito. L’opera è stata
premiata al XXXVII Concorso
d’Arte e di Cultura “Istria Nobilissima” e pubblicata nell’ Antologia
delle opere premiate, pagina 185
– 199, edizione 2004. Con questa
mia colgo l’occasione di invitare l’autrice di completare quanto
prima la sua ricerca con queste ed
altre precisazioni, nell’interesse
della storia e del rispetto di quelle
numerose persone che hanno operato con tanto sacrificio dando un
Anno II / n. 2 22 febbraio 2006
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: MUSICA
Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Annamaria Picco
Collaboratori: Helena Labus, Giuseppe Nalin e Fabio Vidali
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22. 2.2006 - EDIT Edizioni italiane