(a cura di) Romolo Taddei,
Cammini di relazione, Percorsi di animazione per giovani coppie e gruppi famiglia,
ellenici, Torino 2006
Matrimonio:
una finestra aperta su Dio e sull’uomo
Battista Borsato
“In che senso il matrimonio è sacramento?”
“Di che cosa è segno?”
Cercando di rispondere a queste due domande proveremo ad agganciarci all’esistenza sia
sponsale, ecclesiale e sociale, lasciandoci accompagnare dalla densità riscoperta del vecchio
adagio: “i sacramenti sono per gli uomini, per la loro vita”.
Oggi è in atto un processo innovativo nei riguardi della ricomprensione dei sacramenti, scandito da
tre passaggi: dalla visione escatologica a quella antropologica, dalla visione ritualistica a quella
esistenziale, dalla visione privatistica a quella fortemente comunitaria.
1) Riguardo la privatizzazione del matrimonio….
Che centra la Chiesa con il mio amore? Che centrano il Comune, lo Stato con il mio matrimonio?
Sono interrogativi che denunciano una cultura privatizzata e privatizzante riguardo all’amore
sponsale. Si deve riconoscere che questa privatizzazione nasce da lontano. La cultura occidentale
ha privilegiato il valore dell’individuo, svuotandolo dalla sua dimensione sociale. Gli altri e la
società sono stati visti come pericoli per la libertà del singolo. E’ sorta così la paura dell’altro. E
questa carenza o assenza di socialità o di com’unitarietà è entrata anche nella teologia cattolica,
che ha progressivamente presentato i sacramenti come eventi salvifici per il singolo e non come
chiamate a costruire relazioni nuove, ed edificare il Regno, che è fondamentale “comunione” con
Dio e tra gli uomini.
Oggi, con la teologia del Vaticano II, si comincia a dire che il primo frutto del sacramento è la
Chiesa. L’ecclesialità è costitutiva della fede cristiana. Il “noi crediamo” è il grembo dell’ “io
credo”. Invece la Chiesa, in molti casi, è vista nell’opinione comune come il luogo dove esprimere
la “fede individuale”. L’ “io credo” avrebbe un primato sul “noi crediamo”.
Questo discorso è molto più accentuato nella teologia ortodossa.
“Nessun sacramento mira alla santificazione dell’uomo come individuo, ma nel suo inserimento
in quella comunione di persone che si chiama Chiesa”. Cristos Jannaras (1)
Per “deprivatizzare” il sacramento dell’amore occorrerà una nuova impostazione teologica e
sacramentale. Si dovrà scoprire che la verità fondamentale del Vangelo è che ciò che viene
prima non è l’io, il soggetto solitario, ma la comunione: noi umani insieme. Maurice Bellet (2)
2) Per cogliere il centro, l’essenza del sacramento, e del sacramento del matrimonio in particolare,
occorre superare la contrapposizione tra antropologia e teologia e pervenire al concetto di
antropologia teologica.
La Parola di Dio non si pone contro l’uomo o contro i valori umani, e neppure si aggiunge al loro
esterno ma, usando la triade dei verbi della Gaudium et spes, è per “purificare, consolidare,
elevare” l’amore. Non va cercato un altro amore ma, casomai un amare altrimenti. Questo
“altrimenti” è per approfondire e sviluppare la profondità dell’amore umano.
Qualche teologo, come ad esempio, Squeri, dice che il sacramento ha una duplice azione: quella
“attestativi”, nel senso che attesta e convalida l’esperienza amorosa, e quella “contestativa”:cioè
di contestare un modo possessivo e non rispettoso di vivere l’amore.
Il sacramento (“grazia”) è dentro l’amore umano, perché lo onora e lo valorizza, ma è anche fuori,
perché lo sollecita, lo interroga, lo contesta nelle sue possibili deviazioni. Questo può essere il
senso del verbo “purificare” o “sanare”. (3)
Anche Giorgio Campanili è di questo avviso e così si esprime:
“Il sacramento del matrimonio non è un’imposizione dall’esterno delle persone, ma piuttosto
una forte sollecitazione a riscoprire il senso profondo dell’amore. La fede non altera il senso
dell’amore, ma lo illumina e lo arricchisce, gli offre quella forza e quella capacità di guardare al
futuro che con le sole sue forze l’uomo non potrebbe mai esperimentare”.
Decifrare in profondità il senso del sacramento: Tre grandi orizzonti
1) Il nostro Dio è un Dio nascosto (absconditus)
Noi cristiani non abbiamo posto sufficiente attenzione al fatto che non si può vedere ne conoscere
Dio, perché abita una “luce inaccessibile”. Anche Mosè lo vede alle spalle, perché se lo guarda
direttamente muore. Non è una morte punitiva, ma esprime il limite dell’uomo che può
camminare alla ricerca del volto di Dio, senza però poterlo mai vedere direttamente.
Noi possiamo incontrare Dio solo nelle creature: persone, cose, azioni, eventi. Sono esse il
simbolo, il segno, il sacramento di Dio.
Se le creature non trasmettono Dio egli rimane assente. Anche la montagna, per esempio, può
essere sacramento di Dio. Essa parla di grandezza, maestà, imponenza, stabilità, eternità. Esterna
qualcosa di Dio: egli è maestà maestà, grandezza, stabilità.
Ma tra tutte le creature, la coppia umana è quella che rivela maggiormente Dio.
Afferma infatti la Bibbia: ”Dio ha creato l’uomo maschio e femmina, maschio e femmina li creò,
a sua immagine lo creò” (Gn 1,28)
Quindi la coppia ha una funzione sacramentale: quella di manifestare. Ha una “funzione
indicativa”, quella di far scorgere qualcosa della luce e dei pensieri di Dio. Soprattutto ha la
funzione di indicare quale sia l’uomo nella sua intima identità con Dio, di per sé invisibile,
ineffabile, diventa visibile e afferrabile attraverso la coppia, che diventa così il veicolo di Dio, il
sacramento di Dio.
2) Anche l’uomo è un essere “nascosto” da decifrare
Non soltanto possiamo conoscere Dio perché è nascosto, ma neppure siamo in grado di conoscere
in profondità l’uomo perché anch’egli è enigma, straniero a se stesso, nascosto. L’ “ascondità”
dell’uomo sembra più afferrabile, ma non è del tutto così, perché crediamo di conoscerlo e di
conoscerci, ma alla fine avvertiamo di possedere energie, tensioni, sogni che ci sfuggono e che
vanno decifrati.
Ogni epoca ha fatto risaltare un aspetto dell’uomo: l’uomo razionale, l’uomo sociale, l’uomo
affettivo, l’uomo costruttore. Oggi si parla di uomo tecnologico che sta perdendo l’affettività
(cultura anaffettiva).
Anche l’uomo è un viandante in cerca di sé. Qual è la strada più opportuna perché egli arrivi a
decifrare se stesso? La vita di coppia sembra essere l’indicatore di come essere uomini e donne.
Guardare la coppia è il modo per pensare come essere uomini e donne veri e per costruire
un’autentica umanità. La vita di coppia indica che è la relazione a far crescere l’uomo, segnala
quindi il valore dell’alterità.
La coppia è quindi sacramento di Dio e dell’uomo.
3) L’uomo è fatto per la felicità
Da sempre, ma particolarmente oggi l’uomo vuole essere felice. La felicità sembra essere
l’obiettivo delle varie discipline: dalla psicologia in primo luogo, ma anche della filosofia, della
scienza. La teologia stessa sta scoprendo che Dio ha creato l’uomo come essere di desiderio e di
gioia. Questa cultura della felicità è senza dubbio un segno dei tempi, pur con le sue inevitabili
ambiguità. L’uomo non è fatto per l’infelicità ma per la felicità, essa è una sua dimensione
esistenziale indispensabile.
Anche l’Antico e il Nuovo Testamento vengono oggi riletti sotto questa importante angolatura.
Nell’Antico Testamento il richiamo alla felicità è presente come benedizione di Dio estesa a tutti gli
ambiti, anche i più terreni: greggi numerose, sposa feconda, vigna abbondante di grappoli. E’ come
se ci fosse nella felicità qualcosa di inebriante, di fondamentale. La felicità sulla terra è primizia di
quella del cielo. Non c’è contrapposizione tra cielo e terra, quasi che si debba soffrire sulla terra
per godere in cielo. Il desiderio di felicità presente nell’uomo può e deve essere colmato anche in
terra e Gesù non vuole far altro che portarlo a compimento. Le guarigioni che opera sono il segno
dell’esplosione della vita e della felicità. Il peccato è visto fin dalle origini come “disordine” o come
un modo di “sbagliare bersaglio”: l’uomo cerca la felicità e sbaglia strada. Il male non è inseguire la
felicità, è non trovare la strada giusta per raggiungerla. La fede è invece il porsi in ascolto di Dio
perché ci indichi la via per conseguirla; non è rinuncia o mortificazione, è il percorso per arrivare
ad essere felici.
La morale cristiana non va intesa come “imbrigliamento” della libertà dell’uomo e della sua gioia,
ma come “sprigionamento” di essa. La pienezza dell’uomo e la sua felicità sono il senso e
l’obiettivo di ogni riflessione e azione morale. Parafrasando il Vangelo, possiamo dire che “la fedeè
per l’uomo e non l’uomo per la fede”. La Gaudium et spes definisce il peccato “diminuzione di
umanità”: una condizione che si realizza quando l’individuo si allontana da se stesso e anche di
conseguenza, dalla felicità.
S. Agostino descrive la felicità come “coincidenza di sè con sé: quando l’uomo raggiunge la propria
pienezza, consegue anche la felicità”. Ma forse è ancora S. Tommaso d’Aquino il più intuitivo e il
più espressivo anche su questo tema: il fine dell’uomo è la beatitudine, che comincia ad attuarsi
fin d’ora e deve essere l’obiettivo della persona già su questa terra. Il destino dell’uomo è essere
felice. La natura umana (piano metafisico) è orientata alla felicità. Il cristiano deve liberarsi dai
pregiudizi che lo vorrebbero mortificato, rinunciatario, ridotto, perché egli è fatto per la felicità,
per la vita, e non “per la morte” (cf Heideger).
Allora vivere il “sacramento” è la strada per essere autentici uomini e donne, e quindi felici.
Dio non ama il dolore.
Che cosa vuol dire affermare che il matrimonio è sacramento?
Cerchiamo di penetrare il nucleo centrale del sacramento del matrimonio partendo da questa
affermazione: “L’amore dell’uomo e della donna è il luogo in cui Dio si rivela e da cui gli uomini e
le donne possono partire per conoscere Dio o avvicinarsi alla conoscenza di Lui”.
Per esplicitare questa affermazione ci si può porre una domanda: quando uno è credente? Ad essa
si possono dare molte risposte, ma forse quella più comune e normale è: uno è credente quando
riconosce che Dio esiste. Certamente se Dio non esistesse o non ci fosse la consapevolezza che egli
esiste, non potrebbe esserci nessuna fede.
Sostiene però S. Giacomo nella sua lettera (Gc 2,19) che anche Satana sa che Dio esiste; non per
questo, però, ha fede in lui.
Passiamo, per chiarire meglio il pensiero, al campo affettivo: quando si può affermare che uno
sposo ama la sposa? Quando sa che ella esiste? Anche. Se non esistesse non spunterebbe alcuno
stimolo, ma questo non è ancora amore. Lo sposo ama la sposa quando cerca di conoscerne i
pensieri, le attese, e l’aiuta a potenziarle e a realizzarle. Questo è amore.
Ciò vale anche nell’ambito della fede. Quand’è che uno crede in Dio? Non solo quando ammette
che egli esiste, ma soprattutto quando cerca di scoprirne i pensieri, di discernere i progetti e
quando poi tenta di viverli e attuarli. In questo modo il credente vive la sua fede.
Ma come si fa a conoscere i pensieri di Dio, a decifrarne i disegni e le prospettive? Nell’amore
umano ci sono le espressioni corporee, quelle verbali che possono aiutare a capire l’altro, ma per
quanto riguarda Dio come si fa a penetrare la sua mentalità?
“Dio abita una luce inaccessibile”; “Nessuno può vedere Dio” (cf Gv 1,18; 6,46; Es 33,20). Sono
espressioni che incontriamo frequentemente nell’Antico e nel Nuovo testamento; indicano che
Dio è mistero, enigma. Nessuno può pretendere di valicare la distanza che intercorre tra lui e Dio.
Nessun uomo può arrivare a conoscere Dio se egli non si fa conoscere. Come? La prima strada,
anzi la strada principale, è quella dell’amore dell’uomo e della donna. Dio in particolare attraverso
i Profeti ma un po’ in tutta la Bibbia, dice: “Come l’uomo ama la donna, così io amo te, Israele,
popolo mio”. L’amore degli sposi diventa la parabola, il paradigma, il lieto annuncio dell’amore di
Dio per l’uomo. L’amore degli sposi manifesta, rivela, annuncia, rende presente l’amore di Dio per
l’umanità. Questo amore sponsale è “sacramento”, luogo in cui si rende presente l’amore di Dio.
Per gli uomini questo amore diventa il referente per incontrare Dio, per conoscere ciò che Egli
pensa, come Egli ama.
Quindi l’amore sponsale è importante, necessario per conoscere Dio. Se mancasse, mancherebbe
una via per conoscere Lui. Più due sposi si amano, più rivelano e rendono presente Dio; meno si
amano e più nascondono Dio. L’amore e, di conseguenza, il matrimonio, non sono fatti privati
perché hanno a che fare con Dio (lo manifestano) ed hanno a che fare con gli uomini (lo
conoscono).
L’alleanza di Dio con gli uomini è espressa mediante l’immagine densissima dell’amore coniugale.
Dio si serve, prende a prestito, questo amore per dichiarare la sua alleanza, l’amicizia con il suo
popolo: “Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo”. E’ la stessa espressione di comunione e di
reciproca appartenenza che veniva adoperata in Israele per il matrimonio dell’uomo e della donna.
Quattro caratteristiche
dell’amore sacramentale dell’uomo e della donna
1) LA SPONSALITA’
Nell’amore dell’uomo e della donna si riflette e traluce la relazione intratrinitaria di Dio. Dentro la
vita intima di Dio c’è la sponsalità, e allora la sponsalità è la categoria fondamentale dell’essere
Chiesa e dell’essere società civile. E per sponsalità s’intendono l’affettività, la parità, il rispetto
della diversità, il pensare insieme, il prendersi cura dell’altro. Oggi in campo teologico si riconosce
quale luogo sorgivo e fondante (istitutivo) del sacramento iniziale, l’ultima cena. In quella notte il
Cristo siede a mensa e si comporta con i suoi discepoli che egli stesso ha invitato quale “sua sposa”
alla festa nuziale, deciso a comunicarle la propria intimità e la propria vita. Gesù sposo della chiesa
sposa. Tra Dio e il popolo c’è un rapporto sponsale e tra i credenti ci devono essere rapporti
sponsali.
Luigi Accattoli, giornalista, così si esprime in un intervento ad un convegno sul tema: “Sposatevi,
ma restate fidanzati”: “In questa Chiesa più bella e più giovane nel travaglio del nostro momento
storico, gli sposi avranno un ruolo maggiore e significativo. Stiamo andando verso una Chiesa
meno istituzionale e più feriale, meno ecclesiastica e più laicale, meno ministeriale e più
sponsale”.
Quando si parla di pastorale matrimoniale e iniziale non s’intende solo una pastorale rivolta a
stimolare le coppie e le famiglie a vivere l’amore e la relazione in maniera sana, ma anche a
formare e costruire una Chiesa sponsale in cui le relazioni siano affettive e paritarie, la relazione
prevalga sulla funzione, si pensi e si scelga insieme, il rapporto con il mondo sia di simpatia e di
ascolto. La Chiesa dovrebbe avere, appunto, un rapporto sponsale con il mondo.
2) SE NELL’AMORE DELL’UOMO E DELLA DONNA SI RIFLETTE E SI RENDE PRESENTE L’AMORE DI
DIO,
ALLORA CHI VIVE QUESTO AMORE S’INCONTRA CON DIO, ANZI DIO SI FA INCONTRARE IN ESSO
“Vivere l’amore dell’uomo e della donna è già vivere la fede”.
Parlare di amore dell’uomo e della donna è toccare la struttura dell’essere umano come aperto
all’altro. L’amore è percepire che l’io non è tutto, non è sufficiente, non basta a se stesso e sente il
desiderio dell’altro. Nell’amore l’io perde la sua sovranità e onnipotenza, scopre il senso del limite,
e allora esce da sé in cerca di una pienezza che viene dal di fuori, dall’extra nos, dall’alterità. Ora è
evidente che quando l’io perde la sua sovranità e onnipotenza e non insegue fantasmi di
autosufficienza, si apre ad accogliere l’altro; e non solo l’altro con la “a” minuscola, ma l’Altro con
la “A” maiuscola.
Nell’amore uomo-donna si attua in maniera conscia o inconscia l’incontro con Dio.
Scrive il teologo Cantalamessa :”Personalmente più rifletto sul fenomeno dell’innamoramento
tra due persone più mi appare un atto di umiltà, forse il più radicale. E’ una resa senza
condizioni. E’ un ammettere che tutto l’essere, che l’uomo, non basta a se stesso, che habisogno
dell’altro: una porta dietro la quale se ne possono aprire tante altre, fino a quella che immette
all’Altro che è Dio”.
3) TERZA CARATTERISTICA: IL VALORE DELLA RELAZIONE
C’è un libretto da Qiqajon dal titolo: Mai senza l’altro, che affronta il tema dell’alterità.
La relazione con l’altro è fondamentale. L’io non si fa da solo, si fa con gli altri. E’l’altro che ti
risveglia, ti interroga, ti disubriaca. La relazione viene prima dell’individuo. La nostra cultura
occidentale, come si diceva ha privilegiato l’individuo e ha educato alla paura dell’altro, quasi che
l’altro possa soffocare e restringere la libertà invece che consentirla e allargarla. L’uomo invece
nasce dalla relazione e cresce con essa. Sideve passare dalla paura dell’altro alla ricerca del
confronto e dell’ascolto. L’altro è il maestro di cui ci si deve mettere in ascolto. Enzo Bianchi in un
commento alla lavanda dei piedi di gesù arriva a dire: “inginocchiarsi davanti all’altro”. Questo non
è il gesto della sottomissione, ma il gesto di chi riconosce il valore e la rilevanza dell’altro e si
mette in posizione di rispetto e di ascolto. Si impara con l’altro.
Il sacramento del matrimonio non solo sublima, ma contiene come sua identità il valore della
relazione, nella quale i due rimangono sempre discepoli che imparano l’uno dall’altro.
Il teologo francese Paul Valadier preside dell’Istituto di ricerche religiose di Parigi, sostiene che
anche la gerarchia deve riscoprire la mentalità discepolare, perché nella Chiesa tutti siamo
discendenti, in ascolto della Parola di Dio. Deve essere spezzata la rigida schematizzazione: chiesa
docente e chiesa discente. Essa è tutta e per sempre “discente”, principalmente discente, e, in
questo modo, essa è “sponsale”.
4) QUARTA CARATTERISTICA: IL VALORE DELLA DIVERSITA’
Spesso giustamente si afferma che “amare è partorire l’identità dell’altro”. Ogni persona è
chiamata a cercare la propria identità e a sviluppare il proprio progetto. Ciascuno deve diventare
se stesso. Amarsi è aiutarsi, stimolarsi a diventare se stessi e, quindi, diversi, perché ogni persona
è unica, originale, irripetibile.
Per questo si dice che la prima fecondità è partorirsi l’uno con l’altro. “Il vero amore è sentirsi uno
e rimanere due” (A. S. Swetchine). I due nella coppia non devono rinunciare alla propria identità e
diversità, ma aiutarsi a inseguirla e a viverla. L’essere coppia non è un appagamento affettivo e
tanto meno sessuale, ma un convivere per stimolarsi l’un l’altro. Certo l’intesa affettiva e quella
sessuale sono valori, ma aperti, perché spingono due persone a camminare alla ricerca di se
stesse.
Quando alcuni psicologi nordamericani hanno redatto un manifesto rivolto ai giovani: “Mai
sposarsi per amore”, intendevano sottolineare che il fine dello sposarsi non è tanto la
soddisfazione emotiva e sentimentale, ma l’aiutarsi reciprocamente ad inseguire i propri progetti
di cui l’amore e l’intesa affettiva sono la sorgente.
La coppia è il segno sacramentale delle diversità riconciliate, della convivialità delle diffrenze e
quindi di una Chiesa che dovrebbe rinunciare ad una mentalità monolitica, alla cultura del
pensiero unico, per dare spazio alla varietà e alla differenza dei carismi, delle coscienze, e
accogliere il pensiero plurale. Altrettanto dovrebbe avvenire in campo sociale, civile, politico.
Due conclusioni aperte
1) SENSO E VALORE DEL RITO
L’essenza del Sacramento del matrimonio sta nell’amore: esso è segno dell’alleanza di Dio con il
suo popolo, ma anche della Trinità. Questo sacramento cresce e si allarga nell’esistenza attraverso
il continuo ascire da sé per incontrarsi con l’altro (ekstasis), nell’incessante abbassamento e
deposizione di sé per far crescere l’altro (kenosis), nella sollecitudine e fervida “comunione nella
differenza” (syntesis).
Ma allora, ci si domanda, qual è il senso del Rito? Il rito liturgico è memoria di Cristo sposo della
Chiesa sposa, è memoria di questo amore, indica la scelta di vivere questo modo di amare,
afferma l’impegno di fecondare con questo amore l’umanità: è memoria, presenza, profezia.
L’evento liturgico è un evento iniziatici che introduce a vivere in un certo modo: è un evento
puntuale che, una volta celebrato, si chiude nella celebrazione stessa. E’ l’avvio di un processo che
avviene con la presenza dello Spirito, ma anche con la collaborazione responsabile delle persone.
L’evento esige continui atti progressivi. E’ un cammino che dura tutta la vita: E’ la vita il vero
sacramento di Dio risvegliato e acceso continuamente dai riti e dalle celebrazioni.
2) L’AMORE DELL?UOMO E DELLA DONNA DEVE SPINGERE A RISCOPRIRE IL SENSO EROTICO
DELL?AMORE DI DIO E DELL’AMORE DENTRO LA COMUNITA’ CRISTIANA
Leggendo alcuni solidi contributi riflessivi di alcuni teologi ortodossi, si riscontra il forte accento
che essi pongono sull’eros visto come incontro, come festa, come grazie. Parlano con libertà di
“amore erotico”, e non soltanto nei confronti dell’altra persona, ma anche di Dio; affermano che i
monaci devono “essere persone erotiche”, devono cioè essere abitati da quella passione per Dio e
per gli altri che coinvolge anche il corpo. Per esempio il teologo Jannaras osserva: “Il contenuto di
una vita di verginità non può essere un’opera né una missione, ma soltanto l’eros. Quell’eros che
ha per oggetto la bellezza del volto del Signore”. (5) Egli si pone in contrasto con la concezione
presente nel documento Sacra Virginitas di pio XII che vede le vergini e i celibi come “arruolati”
per servire i bisogni della Chiesa. Si è passati - dice – dalla relazione erotica all’impegno.
Invece la relazione erotica proprio del matrimonio deve manifestarsi anche nella vita monastica e
nelle relazioni ecclesiali. Ma le relazioni all’interno delle diocesi e delle parrocchie sono erotiche o
funzionali? Può nascre una Chiesa nuova, se si punta sulle funzioni? La Chiesa può essere “vera”,
se se non è sponsale? E’ il dramma di un cristianesimo senza eros. E’ il dramma di persone
mutilate che vivono la condanna ad un attivismo missionario senza eros, ristrette in una religiosità
intellettuale, in slogan di padronanza di sé e in esaltazioni sentimentali controllate dalla ragione. Si
realizza così il primato della ragione sull’eros, del logos sul pathos. (6)
Umberto Galimberti commentando il dramma di Novi Ligure ed altri, come l’uccisione della suora
Chiavenna, afferma che oggi manca la cultura dei sentimenti, viviamo in una cultura anafettiva. E
senza entimenti l’uomo perde la sua umanità, l’umanità perde i valori della solidarietà e della
condivisione.
La coppia e la famiglia sono i luoghi sacramentali dove possono fiorire i sentimenti e dove può
crescere un’umanità plurale e solidale.
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