L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 17– 1/15 ottobre 2008 1 « Chiù dugnu… chiù sugnu! » Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 17 - 1/15 ottobre 2008 Ed. Responsabile: Francesco Paolo Catania - Bvd. De Dixmude 40/bte 5 - (B) 1000 Bruxelles - Tel/Fax: 0032 2 2174831 - 0032 475810756 « Nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.» [George Orwell Orwell]] La Sicilia ed il federalismo fiscale: stupidaggine, autoinganno o malafede? Pagina 2 LO STATUTO TRADITO (9) Commento storico, giuridico ed economico allo Statuto Speciale letto come Costituzione e patto confederativo tra Sicilia e Italia e disamina della sua inapplicazione. Pagine 6, 7 & 8 15 Maggio 2009 63° Anniverqsario Statuto Siciliano Adesso abbiamo il delegato alle comunità siciliane nel mondo. Cambiera qualcosa? T alvolta sembra di lottare contro un muro di gomma, quello delle istituzioni siciliane, che sembrano talvolta ricordarsi dei milioni dei Siciliani della diaspora, ma che li ingannano in continuazione. Adesso sembra di nuovo che ci sia un po’ d'attenzione. Sarà una nuova occasione per viaggi di politici, portaborse, famiglie & co. a spese dei siciliani? Vi proponiamo un nostro editoriale dell'ormai lontano 1999, contenente le nostre proposte sull'associazionismo estero e sulla rappresentanza dei siciliani della diaspora. Sfidiamo chiunque a trovare cosa ci sia in esso di non attuale. Niente! Perché niente è stato fatto in questi nove anni. Ripartiamo da qui dunque. Noi siciliani espatriati non ci arrenderemo. Mai. “D a tempo i responsabili de "L'Altra Sicilia", facendosi latori delle esigenze dei Siciliani che vivono e lavorano all'estero e convinti della necessità di un riscatto civile e sociale dell'Isola per poter finalmente abbattere nefasti stereotipi (mafia, usura, corruzione, criminalità ecc.) portano avanti il discorso di un rinnovamento che deve passare innanzitutto dalla rifondazione morale della classe politica siciliana. Infatti, se oggi la nostra Sicilia si trova in condizioni disastrose lo si deve soprattutto a quella classe dirigente, passata e presente, che nulla ha fatto e nulla vuole continuare a fare per la Sicilia e per i Siciliani. Il Siciliano nell'Isola (e soprattutto quello all'estero) vuole riscattarsi da quel senso di colpa che da anni gli viene imposto, riscoprendo la fierezza di appartenere a un popolo di antichissime civiltà. Lettera aperta al Ministro - Presidente dello Stato Regionale di Sicilia Ormai è giunto il momento di mettere insieme tutte le migliori energie presenti in emigrazione, insieme ai responsabili regionali, scriviamo responsabili, al fine di preparare una normativa per l'emigrazione che sostituisca le due precedenti, affinché giustizia e rispetto siano resi alla nostra comunità all'estero e per dare all'emigrazione quel nuovo corso, da tempo atteso, facendolo uscire dalla sua forma attuale, mercantilista e partitocratica. On. Raffaele Lombardo I Siciliani non vogliono più che altri programmino e pensino al loro posto e perciò chiedono: Pagina 5 LA SICILIA e l'Unità Nazionale senza veli d'ipocrisia Soppressione della legge 4 giugno 1950 n° 55 e della legge 5 giugno 1984 n° 38 L a legge 4 giugno 1950 e la legge 5 giugno 1984 n° 38 che regolamentano l'emigrazione siciliana devono essere soppresse. Non hanno più senso di esistere, come, di conseguenza i patronati, che sono stati i più diretti beneficiari di queste leggi. Essi, confermandosi l'emanazione di una vecchia e tanto Pagine 10 ,11 & 12 (Segue a pagina 5) www.laltrasicilia.org 2 L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 17– 1/15 ottobre 2008 La Sicilia ed il federalismo fiscale: stupidaggine, autoinganno o malafede? C ome si sa il federalismo fiscale è il tema del momento. E' posto nell'agenda del Governo nazionale per essere approvato al più presto. Questo è almeno il desiderio della Lega che ha fretta di "regalare" al popolo p a d a n o l a gratificazione che il centralismo fiscale farà rotta verso la periferia per lasciare in loco quanta più ricchezza possibile. Il ministro leghista Calderoli, sicuro di non trovare problemi in casa (vedremo dopo), sta cercando consensi a vasto campo facendo un percorso a ritroso partendo addirittura dall'opposizione. Si direbbe troppa ansia di concludere tenuto conto della portata della riforma. Ma così è. Quello che sembra più opportuno chiedersi, guardando lo scenario con occhio siciliano, non è tanto quello di individuare quali sono le reali possibilità che ha il federalismo fiscale di raggiungere il suo obiettivo, cosa che tenteremo lo stesso di fare, quanto quello di capire, nel caso favorevole all'auspicio leghista, quali minacce od opportunità può rappresentare questo traguardo per la Sicilia. Partiamo dalle probabilità di riuscita dell'operazione leghista. Anche se può sembrare prematuro lanciarsi in previsioni, tuttavia, i primi contatti non appaiono del tutto positivi, a partire dal generico strumentale consenso di massima avuto dal Pd, dal cui ambito, però, è uscita la rivelatrice dichiarazione dell'on.le La Torre (Pd) il quale, con fine intelligenza, ha ricordato che federalismo non può che significare devolution e quindi Senato delle Regioni. Non può esistere una cosa senza l'altra. E qui già, per la Sicilia, ritorna l'antico spauracchio di tutte le Regioni presenti in Senato in condizioni omologhe. Avrebbe, infatti, poco senso il contrario. Poi, al ministro leghista sono arrivati gli avvertimenti della Casa della Libertà di evitare gite fuori porta se prima non si riesce a trovare l'accordo all'interno del Pdl. Prima ammonizione. Dopo il ministro leghista ha avuto l'onore di fare parte delle sue ferie assieme al "Governatore della Sicilia" per studiare meglio lo Statuto siciliano, per salvaguardarne la sua "sacralità". Quello che, tuttavia, sorprende e meraviglia di più è che la stessa famiglia leghista ha sconfessato il lavoro del ministro. Non si direbbe ma è proprio così. I sindaci del Veneto, infatti, non trovano producente l'impostazione data alla riforma dal ministro Calderoli e, tra una minaccia e l'altra, sono, tuttavia, ben 450 ("rete dei 450") che il primo di ottobre, con il treno delle 6.54 partenza da Mestre e destinazione Roma, chiederanno al Presidente Berlusconi di volere l'azzeramento di tutti i trasferimenti fiscali comunali, provinciali e regionali e mantenere solo sul territorio il 20 per cento dell'Irpef prodotta dai Comuni. La domanda è: il quadro si può considerare sgombro da nuvole minacciose? Non pare. Ed ora veniamo alla Sicilia. Qui iniziano i veri mal di pancia. I vecchi eroi dello Statuto siciliano, rivoltandosi nelle tombe, non potrebbero non dire: ma di quale federalismo avrebbe bisogno la Sicilia se già il nostro Statuto era il più federale che si può? Lo Statuto non è stato difeso, non è stata riattivata l'Alta Corte, non sono stati nominati i rappresentanti siciliani all'interno della stessa, cosa opportuna che avrebbe permesso di mettere in mora lo Stato nazionale per indurlo a nominare i suoi rappresentanti e siamo ancora qui a parlare di federalismo col grosso rischio di andare incontro alla concreta minaccia di rendere nel Senato Federale tutte le Regioni omologhe. Rischio che è già stato corso in occasione del referendum sulla Devolution. Dove è finita l'intelligenza, l'orgoglio, il coraggio del popolo siciliano? Si può vivere sempre di ascari? Dove sta il nostro sano egoismo? Proprio noi, individualisti incalliti, poveri non associazionisti, andiamo ramengo a portare la "sacralità" dello Statuto siciliano in mani altrui per essere difeso? Per favore. Proprio noi che avevamo l'occasione storica di determinare il risultato elettorale nazionale ci siamo lasciati abbindolare da promesse fiduciarie? La Catalogna, che non ha fatto intelligentemente altrettanto, ha tutto il diritto di esprimere doloroso rincrescimento. E noi per non difendere le nostre cose ci ritroviamo a perderci dietro le cose degli altri chiedendo tutela a destra ed a manca. Sembra lecito poter dire: è l'art 37 assieme a tanti altri articoli del nostro Statuto il nostro vero federalismo fiscale. Non svegliatevi vecchi eroi dello Statuto, non lo meriteremmo. Salvo Marino (29/8/2008) " Che follia fare un brindisi alla stampa indipendente. Ognuno, qui presente stasera, sa che la stampa indipendente non esiste, voi sapete meglio di me che la verità non sarà mai stampata. Sono pagato per tenere le mie vere opinioni fuori del giornale per il quale lavoro. Altri tra voi sono pagati la stessa somma per un lavoro simile. La funzione del giornalista è di distruggere la verità, di mentire radicalmente, di pervertire, d'avvilire (...) di vendere il suo paese e la sua razza per il suo pane quotidiano. Voi lo sapete ed io lo so. Che follia dunque di portare un brindisi alla stampa indipendente ! Noi siamo degli utensili e dei vassalli d'uomini ricchi che comandano dietro il sipario. Noi siamo le marionette: tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le nostre possibilità e le nostre vite sono la proprietà di questi uomini. Noi siamo delle prostitute intellettuali. " Dichiarazione di John Swinton, un ex redattore in capo del NewYork-Times", in risposta a un brindisi per la "stampa indipendente". www.laltrasicilia.org L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 17– 1/15 ottobre 2008 3 Il 12 ottobre 1878 nacque Maria De Felice La prima donna che tenne comizi Il Profeta, morto a Mascalucia nel 1963. Scrisse il romanzo Odia il prossimo tuo, e il saggio letterario Sicilia favola vera. 4 ottobre 1876 nasce ad Aci S. Antonio, il medico filantropo Antonio Musumeci, morto a Catania nel 1964. Nella casa di cura da lui fondata a Catania, accolse gratuitamente, per due anni, numerosi profughi veneti rifugiatisi a Catania durante la I Guerra Mondiale. La sua opera medica e filantropica è stata continuata dal figlio Salvatore Vittorio Musumeci (1919-1999). ⇒ Il 5 ottobre 1803 nasce a Bronte, l'economista Placido De Luca, morto a Parigi nel 1861. Insegnò nelle Università di Catania e di Napoli, fu deputato al Parlamento nazionale, e scrisse notevoli saggi di «Scienza delle Finanze». L'11 ottobre 1924 nasce a Giarre lo storico Rosario Romeo, morto a Roma nel 1987. Insegnò Storia moderna nelle Università di Messina e di Roma; scrisse notevoli opere quali Il Risorgimento in Sicilia e i tre volumi su Cavour; e fu anche eurodeputato per il Partito Repubblicano Italiano. ⇒ Il 12 ottobre 1878 nasce a Catania Maria De Felice, figlia dell'on. Giuseppe De Felice, morta a Roma nel 1943. Fu la prima donna catanese a tenere pubblici comizi, sostenendo le idee socialiste del padre. Sposò l'avv. Michelangelo Caruso, e suo figlio Antonio fu eletto senatore comunista nel 1958 e nel 1963. ⇒ Il 6 ottobre 1641 muore a Palermo il musicista Erasmo Marotta, nato a Randazzo nel 1576. Colto gesuita, si deve a lui la trasposizione musicale dei drammi pastorali, musicando anche l' Aminta di Torquato Tasso. Il 12 ottobre 1887 nasce a Caltagirone il marchese Giacomo Paulucci de' Càlboli, morto a Roma nel 1961. Fu capo di Gabinetto di Benito Mussolini; e ambasciatore d'Italia alla Società delle Nazioni, e poi a Bruxelles e a Madrid. ⇒ Il 7 ottobre 1682 muore a Pechino, dopo quarantacinque anni di missione in Cina, il gesuita Ludovico Buglio, nato a Mineo nel 1606. Tradusse in cinese le opere di San Tommaso, e riformò il calendario civile, per cui l'imperatore della Cina lo nominò «mandarino» (cioè, prefetto); e i suoi funerali furono fatti a spese dello Stato. Il 13 ottobre 1612 nasce ad Acireale, il pittore Giacinto Platania, ivi morto nel 1691. È suo il celebre affresco della Sagrestia della Cattedrale di Catania, che rappresenta l'eruzione etnea del 1669, che coperse buona parte di Catania. ⇒ Il 14 ottobre 1610 nasce a Paternò il geografo G.B. Nicolosi, morto a Roma nel 1670. Viaggiò a lungo in Europa; fu geografo vaticano, e nel 1654 eseguì la cartografia ufficiale del Regno di Napoli e dello Stato Pontificio. ⇒ Il 14 ottobre 1771 nasce a Caltagirone il barone Michele Giarandà di Friddani, morto a Parigi nel 1855. Avendo partecipato ai moti antiborbonici siciliani del 1820, fu condannato all'esilio. Si stabilì a Parigi, e nella sua dimora parigina ebbero asilo altri esuli siciliani, tra cui l'insigne storico Michele Amari. Santi Correnti ⇒ ⇒ ⇒ ⇒ ⇒ ⇒ – Il 5 ottobre 1988 muore a Roma il generale dei carabinieri Salvatore Pennisi, nato a Sant'Alfio nel 1913. Valoroso militare, preso prigioniero in Russia nel gennaio 1943, fu restituito all'Italia solo nel febbraio del 1954. Per il suo esemplare comportamento, fu decorato di Medaglia d'Oro al Valor Militare. Il 10 ottobre 1799 il re borbonico Ferdinando III di Sicilia dona all'ammiraglio inglese Orazio Nelson la ducea di Bronte, per ringraziarlo dell'aiuto datogli nella riconquista del regno di Napoli. Nelson però non vi venne mai, e la lasciò ai suoi eredi Bridport, che vi abitarono fino al 1981, quando la vendettero al Comune di Bronte. Il 10 ottobre 1890 nasce ad Aidone (Enna) lo scrittore Ottavio La Sicilia ha bisogno di uomini forti di quella sicilianità a tal punto da stravolgere le regole del gioco, a tal punto da essere disposti a rinunciare o rinnegare i vecchi legami politici ma soprattutto abbandonare quelle logiche del potere politico siciliano, ancora attuali, che certamente hanno contribuito e contribuiscono al mantenimento delle cose. La Sicilia ha bisogno di siciliani forti che siano in grado di andare contro la loro stessa natura di siciliani, affinché possiamo riscrivere la storia “Bisogna che tutto cambi perché tutto deve essere cambiato”, per il bene di tutti noi. Sostieni la nostra battaglia: invia il tuo contributo, anche minimo, a: L'ALTRA SICILIA, al servizio della Sicilia e dei Siciliani IBAN: IT08 M 01020 16406 000000103454 - BIC: BSICIT RRTPN www.laltrasicilia.org L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 17– 1/15 ottobre 2008 Lettera aperta al Ministro - Presidente dello Stato Regionale di Sicilia On. Raffaele Lombardo Egregio Presidente, Oggetto: 15 maggio 2009 - Festa dell’Autonomia Come Ella sa, il 15 maggio del 2009 ricorre il 63° anniversario della conquista dell’Autonomia speciale da parte del Popolo Siciliano, parte integrante, anche se ancora per la massima parte inattuata, della Costituzione della Repubblica Italiana, quale reale patto confederativo, e traguardo importantissimo, per il suo alto valore morale, nel secolare anelito del Popolo Siciliano al suo autogoverno. La nostra Associazione ha sempre operato per la valorizzazione di questa ricorrenza, un tempo solennità civile semifestiva ed oggi purtroppo assai spesso dimenticata o celebrata nel chiuso di teatri e quindi senza quella adeguata partecipazione popolare che essa merita. La stessa Associazione ha già dato vita a due “Feste dell’Autonomia”, rispettivamente nel 2005 a Mazara del Vallo e nel 2006 a Bruxelles tra la numerosa comunità di Siciliani ivi presente. Avendo quest’anno lanciato analoga iniziativa presso diversi comuni dell’Isola ed avendo raccolto già svariate disponibilità di massima, La informiamo intanto con la presente che la ricorrenza sarà onorata quest’anno da un rinnovato interesse nei confronti della Sicilia e delle sue istituzioni da parte di molte amministrazioni locali, le quali chiederanno certamente il patrocinio dell’ente che piú di tutti ha titolo ricordare quello storico evento, la Regione Siciliana appunto (rectius, a nostro avviso, “Stato Regionale di Sicilia”). Oltre all’alto valore civico che queste iniziative rappresenterebbero, esse potrebbero essere occasione per far conoscere ancora, in Sicilia, in Italia e all’estero quanto sia vitale l’attaccamento alla propria identità del Popolo Siciliano nonché il suo orgoglio e la sua ritrovata voglia di riscatto nei confronti di oppressioni antiche e nuove. Con la presente intendiamo acquisire una disponibilità di massima, e quindi non intanto vincolante per l’amministrazione, a patrocinare tali iniziative ed a farsi portatrice di altre analoghe, di concerto con i dicasteri regionali competenti in materia di enti locali, cultura ed emigrazione. L’idea di massima è sempre la medesima, e cioè quella di organizzare, in spazi adeguati, una “due giorni” in cui realizzare spazi espositivi su prodotti siciliani tipici, tavole rotonde, spettacoli e intrattenimenti, anche in lingua siciliana, e con la partecipazione di personaggi siciliani di rilevante notorietà. La diffusione dell’iniziativa farebbe fiorire in tutta la Sicilia una sorta di grande “festival”, occasione per attirare arrivi e attenzione, con possibili ritorni, d’immagine ed economici, degni della massima attenzione. Qualora il Governo regionale fosse interessato la nostra Associazione si impegna a sottoporre alla stessa un serie di progetti esecutivi dettagliati da sottoporre all’approvazione degli organi competenti. Nella redazione di questi progetti l’Associazione, se richiesto dall’amministrazione, potrà avvalersi di rappresentanti della stessa in un istituendo tavolo tecnico per l’organizzazione degli eventi. Si resta, in ogni caso, in attesa di cortese riscontro. Bruxelles, 7 settembre 2008 L’ALTRA SICILIA - al servizio della Sicilia e dei Siciliani (www.anniversariostatutosiciliano.org) ******* Sostieni la nostra iniziativa! Invia il tuo contributo, anche minimo, a: Ass. D.I. L'ALTRA SICILIA IBAN: IT08 M 01020 16406 000000 103454 - BIC: BSICIT RRTPN www.laltrasicilia.org 4 L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 17– 1/15 ottobre 2008 (Segue da pagina 1) 5 Adesso abbiamo il delegato alle comunità siciliane nel mondo. Cambiera qualcosa? nefasta partitocrazia, hanno dimostrato di non servire a nulla specialmente quando hanno amministrato denari pubblici senza alcun controllo. I risultati disastrosi sono sotto gli occhi di tutti! Presentino piuttosto progetti all'estero per servizi, sotto lo stretto controllo dei Com.it.es. ad esempio, e solo allora potranno richiedere i finanziamenti. Ai legislatori ricordiamo che il primo vero scandalo è stata, da sempre, la passività da essi dimostrata nei controlli e la poca volontà di esercitare tali controlli, pur avendo ricevuto dalcittadino il mandato di farlo. In tutti i paesi Europei e del mondo, dove l'emigrazione siciliana è molto importante, i patronati hanno dimostrato che non servono anulla: il loro fallimento è qundi totale. Quel lavoro di assistenza e consulenza, che deve essere fatto dai consolati, ai quali queste "piovre" si sono sovrapposte, dovrà ritornare ad essere competenza consolare, perchè ai nostri connazionali all'estero servono sportelli di consulenza, antenne delle camere di commercio, informazioni sui corsi universitari, potenziali agevolazioni agli investimenti,notizie sui concorsi pubblici, sul mercato privato, ecc, per potersi adeguare ai bisogni ed alle esigenze della società contemporanea. Aboliamo gli enti inutili, semplifichiamo le procedureburocratiche, evitando cosí quella commistione che, alla fine si crea tra politica e burocrazia e degenera in malcostume e prevaricazione. (vedi l'esempio dei numerosi funzionari inquisiti, che tuttavia, rimangono impuniti ed inamovibili proprio perchè vivono della complicità dei politici). Gli enti, soprattutto quelli che hanno sede in Sicilia, devono essere monitorati dalla stessa magistratura perché non ha senso destinare all'emigrazione centinaia di milioni che si sa non arriveranno mai e che, se anche arrivassero, servirebbero solo agli scopi turistici ed alle abbuffate all'estero dei politici di turno senza che la comunità emigrata ne riceva poi nulla, se non l'illusione di incontrare qualcuno che promette di occuparsi di loro (ma per fare che cosa ?). Secondo L'ALTRA SICILIA, all'estero ci vuole il sostegno diretto (sotto controllo Comites - almeno questi consigli degli italiani all'estero potranno servire finalmente a qualcosa) a tutte le iniziative utili portate avanti da associazioni, cooperative o aziende, ecc. che effettivamente esplicano un servizio reale ed aggregante per i nostri residenti all'estero; servizi rivolti allo sviluppo reale e non fittizio ed alla crescita della nostra laboriosa ed attiva comunità siciliana. La nostra posizione è chiara: nessun privilegio ai patronati esistenti, soprattutto se presenti in Sicilia - è questo l'aspetto più vergognoso e negativo. Un monopolio assolutamente ingiustificatoperché obbliga le associazioni a subire progetti e programmi falsi fatti in Sicilia da gente senza scrupoli che fin ora ha solo, nella migliore delle ipotesi, sprecato miliardi pubblici. B) Soppressione degli uffici provinciali che dovrebbero tutelare, studiare e coadiuvare l'emigrazione. O ggi a cosa servono? A nulla. Quale utilità ne trae poi il cittadino emigrato? Nessuna. L'unica loro finalità sembra essere lo scopo turistico. Abbiamo assistito, e continuiamo ad assistere, alla visita ufficiale di intere, numerose, delegazioni provinciali spesso in forma clandestina che, una volta all'estero, non avendo avvisato nessuno (e chi avrebbero dovuto informare se non sono in contatto con nessuno?) si sono trovate sole, e smarrite di fronte ad una realtà che non conoscono e si ostinano a disconoscere. Pensavano forse questi signori che solamente il fatto di arrivare loro avrebbe suscitato l'interesse dei concittadini emigrati? Ed anche se cosí fosse stato, dove sono le associazioni, i corrispondenti, i membri di tutti questi enti e associazioni che vengono finanziati senza controllo e a fondo perduto? I Siciliani all'estero non ignorano l'andirivieni dei "valletti" del potere che non conoscono le realtà siciliane nel mondo, che sperperano denari che altrimenti verrebbero destinati a scopi più seri di un viaggio gita-premio con famiglia e/o amica, in considerazione soprattutto della disoccupazione, della difficoltà di inserimento, dei problemi quotidiani che conosce la nostra gente emigrata. Pensavano che l'emigrato siciliano fosse rimasto chiuso nel suo guscio e non conoscesse le tematiche del mondo moderno? Gran parte degli italiani all'estero, e soprattutto i loro figli, ha studiato, conosce e parla diverse lingue, (a dispetto di quanto si è voluto dimostrare, ad esempio con l'elezione della miss Italia nel mondo, dove si è scelto di presentare - a bella posta - ragazze di IIIa generazione che con la lingua italiana non avevano alcuna dimestichezza) anche se si ostina in un dialetto che dovrebbe unire e che invece li isola, li fa sentire parte di un tutt'uno organico che voi, invece, vi affannate a separare. Non credono sia giunto il momento di mettere al bando gli sciacalli dell'emigrazione, gente che ha fatto la propria fortuna cavalcando e stravolgendo i temi di questa emigrazione? Non credono che se la Magistratura (o la Corte dei Conti) volesse finalmente curiosare in questo comparto, potrebbe trovare - a più di uno - una sistemazione immediata, e forse definitiva? Non ce la sentiamo più di sopportare, per colpa vostra, di venire continuamente additati come gente poco affidabile e pronta ad ogni compromesso e dover poi continuare a difendere anche i responsabilidi quegli enti che voi finanziate in maniera troppo superficiale. Ci chiediamo: è mai possibile che il legislatore non riesca a fare un bilancio del disastro compiuto da questi enti o da questi servizi provinciali di cui gli stessi emigrati disconoscono l'esistenza? C) Soppressione della consulta regionale per l'emigrazione e voto dei siciliani all'estero. N on ci sarebbe neanche bisogno di scriverlo perchè tutti sanno che la Consulta regionale si è dimostrata soltanto una farsa che è servita soltanto a responsabili & co. a scopo turisticogastonomico. La consulta regionale dell'emigrazione: una vera buffonata, che non necessita di alcun commento, anche se ci sembra importante affermare che è necessario, oggi più che mai, aggiungere al numero dei deputati dell'ARS, almeno altri 6 deputati eletti dalle circoscrizioni estere, dimostrando cosí di voler cogliere l'occasione di cambiare lo statuto dell'ARS, proprio mentre Camera dei deputati e Senato della Repubblica votano la legge costituzionale sul voto all'estero. Se poi i responsabili del governo regionale non arrivassero a questo grado di maturità, allora non avrebbero più alcun titolo per affermare di essere i maggiori responsabili di una Regione a Statuto Speciale, proprio perchè altre Regioni hanno dimostrato di aver saputo utilizzare al meglio il loro semplice statuto ordinario.” www.laltrasicilia.org (Segue a pagina 9) Francesco Paolo Catania L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 17– 1/15 ottobre 2008 6 LO STATUTO TRADITO Commento storico, giuridico ed economico allo Statuto Speciale letto come Costituzione e patto confederativo tra Sicilia e Italia e disamina della sua inapplicazione. S i dice che le “premesse” siano storicamente fatte per essere saltate. Lo spirito di fondo è: prima conosciamo e applichiamo, poi, se sarà il caso, Per evitare che anche questa faccia la stessa fine, essa sarà limitata emendiamo, ma sempre in senso evolutivo. all’essenziale, a quanto serve, cioè, per una migliore e completa Il quadro che ne risulta è quello di un’Autonomia eccezionale, riconosciuta, forse anche subíta, dallo Stato italiano, ma non mai da questo istituita; fruizione del testo. Il saggio nasce dall’insoddisfazione per una pubblicistica sullo Statuto un’Autonomia eccezionale frutto di una negoziazione bilaterale tra due siciliano troppo approssimativa, ora retorica, ora riduttiva, ora addirittura Popoli originariamente sovrani che istituiscono tra di loro un patto volgarmente denigratoria, mai pienamente consapevole dell’enorme portata confederale. Sul tema si tornerà appresso ma, se non si puntualizza questo sulla soglia, si rischia di fraintendere tutto ciò che di questo documento. segue. La Sicilia, questo è il senso profondo dello scritto, “La Sicilia, questo è il senso Il testo di legge è riportato in corsivo, mentre i se vuole, se nessuno glielo impedisce con la forza dall’esterno o dall’interno, ha in sé gli strumenti profondo dello scritto, se vuole, se nostri commenti inframmezzati allo stesso sono istituzionali per risolvere ogni proprio problema. nessuno glielo impedisce con la riportati in carattere normale. La lettura può essere ricorsiva: chi fosse interessato alla Certo le istituzioni sono soltanto una cornice; il forza dall’esterno o dall’interno, ha anche parte piú rivoluzionaria dello Statuto, quella dipinto poi può esservi tracciato all’interno secondo in sé gli strumenti istituzionali per relativa al “federalismo fiscale”, altrove evocato, le piú diverse ispirazioni. Il senso dello scritto non è quello della risolvere ogni proprio problema.“ qui già realtà, purtroppo non del tutto operante, ricostruzione storica degli eventi che portarono salti pure – ad esempio – agli artt. 36 et ss., all’elaborazione del testo attualmente vigente. Lo scritto non è quindi magari dando una scorsa preventiva all’art. 20. orientato al passato, alla mera conservazione, ma rilegge il passato in Se qualche errore, formale o sostanziale, fosse fatto, se ne chiede scusa un’ottica chiaramente programmatoria perciò orientata, al contrario, proprio preventivamente al lettore che speriamo benevolo nei nostri confronti, con al futuro, e con buona pace di chi – come il nostro grande Sciascia – l’auspicio che, in ogni caso, a fine lettura questi si senta civicamente e culturalmente un po’ piú ricco di prima. Se cosí sarà la fatica dell’autore vorrebbe assente questo tempo dal nostro orizzonte mentale. E tuttavia il commento non può che prendere le mosse dal testo storico del non sarà stata del tutto vana. 1946, perché piú organico, perché piú fedele allo spirito originario dello Massimo Costa Statuto, perché il suo impianto è ancora praticamente intatto nonostante alcuni piccoli emendamenti, non tutti e del tutto opportuni. Si renderà conto – in ogni caso – delle parti emendate e della differenza, formale e sostanziale, tra il testo originario e quello attualmente vigente. ART. 34 I beni immobili che si trovano nella Regione e che non sono in proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della Regione. « Quest'articolo è solo la chiusura dei precedenti, modificando a favore della Regione analoga previsione a favore dello Stato di cui all'art. 827 del c.c. E' ovvio che se la Regione è all'interno "sovrana" nel suo territorio, gli immobili vacanti debbano tornare alla sua disponibilità e non a quella italiana. Per inciso si nota come questa norma implichi una "sovranità originaria" e non "concessa" ma tutt'al più "riconosciuta" dallo Stato italiano. La Sicilia è siciliana perché lo è sempre stata. Gli immobili che non sono di proprietà di alcuno diventano di proprietà pubblica, dello stato, ma qui lo stato, la nostra "polis" non è la Repubblica Italiana, ma la Regione Siciliana. La Repubblica è quindi solo uno "stato confederante" che legifera su alcuni grandi temi, che su altri si limita a dettare principi, che riconosce cittadinanza ai Siciliani e libertà di ogni tipo di transazione tra isola e continente, che protegge e rappresenta la Sicilia nel mondo, ma che per il resto non entra nel "diritto interno" siciliano. Certo, non è la panacea questo modello. Una volta applicato è come se la Sicilia fosse un "protettorato italiano". E perché mai allora non lanciarsi ancor di più in mare aperto? Ma certo non è la "Regione a statuto speciale" che ci hanno insegnato!» ART. 35 Gli impegni già assunti dallo Stato verso gli enti regionali sono mantenuti con adeguamento al valore della moneta, all'epoca del pagamento. « Quest'articolo appare desueto. Quali impegni, già assunti nel 15 maggio 1946, saranno ancora da pagare nel 2007? L'unica portata implicita è che la norma voleva essere transitoria. Quindi gli enti regionali (cioè gli enti pubblici aventi sede in Sicilia, comprese Università, Porti, Camere di Commercio) non dovrebbero in futuro pretendere più nulla dallo Stato italiano, almeno per il loro funzionamento, essendo sempre possibili trasferimenti per politiche specifiche. Un bello schiaffo a quelli che dicono che la nostra autonomia è irresponsabile e "mangiona". Vogliamo dal continente ma non diamo! In verità, Statuto alla mano, NON VOGLIAMO QUASI PIU' NIENTE E NON DIAMO QUASI PIU' NIENTE. Il punto oggi è: ce la possiamo fare dopo questo sfascio sessantennale? Ma il punto è anche: a cosa ha portato la politica dei "trasferimenti" se non all'arresto di qualunque iniziativa propria? Se si gestisse una graduale transizione verso una finanza autonoma non ci sarebbe più da rimpiangere alcuna elemosina. Le elemosine creano i propri mendicanti!» www.laltrasicilia.org L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 17– 1/15 ottobre 2008 7 ART. 36 Al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione e a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima. Sono però riservate allo Stato le imposte di produzione e le entrate dei tabacchi e del lotto. « Questo articolo, senza enfasi, è il più importante dell'intero statuto, e infatti non funziona. Tutti i cittadini siciliani dovrebbero conoscerlo sin dalla scuola primaria. Cerchiamo di capirlo sino in fondo. Non c'è scritto che la Regione vive di trasferimenti dello Stato, né di entrate erariali disposte dallo Stato, né di tributi che lo Stato istituisce e poi le lascia manovrare "quasi" fossero tributi propri, come le addizionali. Nessuna entrata, tranne le poche di cui si dirà in articoli successivi, viene da Roma per effetto della Costituzione ma solo per effetto degli abusi costituzionali che si sono avuti nel tempo. Gridiamolo in faccia a quelli che dicono che l'Autonomia Siciliana è fatta di privilegi e di sprechi! Per quelli cercate in Trentino – Alto Adige o in Val d'Aosta... La Regione si alimenta innanzitutto di entrate patrimoniali. Cosa sono? Sono tutte le entrate extratributarie che derivano dalla gestione del patrimonio. Si è visto che in Sicilia praticamente tutto il patrimonio dello Stato, anche quello indisponibile, e persino il demanio che patrimonio non è, passa sotto il controllo della Regione. Ne consegue che tutti i benefici di natura patrimoniale, dalle royalties per l'estrazione di minerali e fonti d'energia, alle concessioni per l'utilizzo del suolo pubblico, ai fitti per immobili di proprietà pubblica e dati in locazione, ai dividendi per imprese a partecipazione regionale, costituiscono una prima voce d'entrata del bilancio regionale. Questa previsione, però, non era necessario avesse rango costituzionale, e ciò per due motivi. In primo luogo perché qualunque ente pubblico, anche minore, anche non territoriale, può avere entrate patrimoniali, cioè entrate assimilabili a quelle di un privato cittadino, senza che ciò necessiti di una tutela di rango costituzionale. In secondo luogo perché in uno stato moderno le entrate patrimoniali, o di diritto privato, rappresentano un canale di finanziamento affatto secondario rispetto a quelle tributarie, o di diritto pubblico, a meno di non trovarsi a vivere su rendite tanto elevate (tipo gli Emirati Arabi o il Brunei) da non avere più bisogno di alcuna pressione tributaria. La norma in parola, quindi, è inserita solo per "non escludere" le entrate patrimoniali in un articolo che, avendo natura sistematica, vuole prevedere TUTTI E SOLI i tipi di entrata della Regione, salvo norme speciali, quale quella del successivo art. 38, che dispongano altrimenti. Le entrate per trasferimento statale o per trasferimento del gettito di imposte e tasse erariali (cioè dello Stato) o per addizionali e imposte istituite dallo Stato, quindi, o non esistono o, visto che non sono né elencate né vietate dall'art. 36 che si premura di citare "persino" le entrate patrimoniali, devono essere del tutto marginali ed eccezionali. Perché si volle questo? Perché le tre forme di finanziamento che abbiamo sopra elencato (trasferimenti, imposte erariali, imposte "locali" disposte dal centro) creano dipendenza (economica, politica e psicologica) in chi le percepisce. Non solo: la logica che accomuna queste tre forme di finanziamento "incostituzionali" che di fatto hanno regolato e regolano la vita della Regione (e degli enti che da quella dipendono) trasformando la Regione in un mero "ente di erogazione" non hanno responsabilizzato la classe dirigente sulle politiche di sviluppo. In altre parole il "politico" non ha molto interesse ad ampliare la base produttiva o a razionalizzare la spesa, poiché non può manovrare l'entrata ma ha solo da ripartire una spesa: fatale che la utilizzi per spartirla in modo clientelare. Che è ciò che a Roma tutti vogliono perché, così facendo: - fallisce l'istituto autonomistico; - l'economia siciliana resta subalterna e dipendente da quella della Penisola; - la rappresentanza politica dell'isola resta "incatenata" agli ascari che erogano i finanziamenti suddetti senza reale possibilità di alternativa o di ricambio. Chi ha voluto NON APPLICARE l'Art. 36 sapeva benissimo ciò che stava facendo, perché dall'applicazione di questo articolo nasce quell'indipendenza economica che può far rimettere in discussione i rapporti strutturali di colonialismo che oggi incatenano la Sicilia. Ma veniamo alla seconda parte del primo comma, la più importante: " ...a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima". Che sono questi tributi? Semplicemente prelievi istituiti con legge regionale COME SE la Sicilia fosse un ente sovrano. In altre parole, in materia tributaria la Sicilia (diciamolo alla UE) E' UNO STATO SOVRANO, ha la soggettualità tributaria attiva, la potestà tributaria, non derivata o concessa dallo Stato, bensì originaria. Nel proprio territorio e sulla propria popolazione, al pari di qualunque stato sovrano, può decidere se e quali tributi istituire, come accertarli, etc. Certo, nell'istituirli non può disapplicare i principi costituzionali della Repubblica Italiana, né le Direttive e i Regolamenti Comunitari, ma questi obblighi, per l'ARS, sono cogenti né più né meno di quanto non lo siano per il Parlamento Italiano. Le politiche tributarie della Regione Siciliana, in quanto costituzionali e sovrane, non sono quindi "aiuti di stato", come vuole l'esecutivo fazioso di Bruxelles, spalleggiato silenziosamente ed ipocritamente dagli esecutivi di Roma, ma sono politiche tributarie di uno stato autonomo, né più né meno legittime di quelle dell'Irlanda o di Malta! Con i tributi propri la Regione deve alimentarsi, non con i tributi erariali riscossi in Sicilia! Questa differenza rispetto alla condizione odierna è abissale. La Regione deve programmare le proprie spese, i propri servizi ai cittadini, i propri organici, i propri programmi di sviluppo sulle "proprie risorse" e sul sacrificio che la società e l'economia siciliana sono disposte a sopportare. Solo così si potrà creare vero sviluppo e non assistenzialismo. A questo punto sorge un problema: ma i tributi erariali, visto che lo stato, nelle sue leggi, non dispone la "non applicazione" al territorio siciliano, si applicano o no? Il secondo comma dell'articolo in tal senso è chiaro: solo le entrate da giochi e scommesse (interpretazione analogica estensiva rispetto al solo "lotto" previsto), i tabacchi e le imposte di produzione, sono a beneficio dello Stato. Queste imposte sono il vero tributo, e l'unico tributo, che i Siciliani devono pagare per i servizi che lo Stato italiano le rende (e che servizi!): fuori dal territorio la rappresentanza diplomatica e consolare www.laltrasicilia.org L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 17– 1/15 ottobre 2008 e la difesa, dentro il territorio alcuni servizi, sebbene amministrativamente delegati alla Regione ma pur sempre di competenza statale, quali l'ordine pubblico e la giustizia, e poco altro. Fuori da queste entrate gli altri tributi erariali, e con essi il grosso dell'attuale finanza pubblica, sono completamente illegittimi e incostituzionali: l'Irpef, l'Ires, l'Iva, tanto per limitarci ai maggiori tributi, ma anche il Canone Rai, SONO FURTI ai danni dei Siciliani, in quanto non previsti dall'Art.36! Ma... ma la solita Corte costituzionale (che non ha competenze in Sicilia) dice che i tributi erariali si applicano dappertutto se così delibera il Parlamento nazionale. Alla faccia del nostro art. 36! E i "tributi propri"? Sì, è vero, potremmo istituirli, ma solo "aggiuntivi"...cioè economicamente non sopportabili, giuridicamente mostruosi in quanto configurerebbero una doppia imposizione e comunque invisi, tanto che ogni volta che la Sicilia ha ingenuamente provato a istituirli è stata bacchettata di brutto, a Roma e a Bruxelles, nell'ignoranza e nell'acquiescenza generale da parte del Popolo Siciliano. La Sicilia dovrebbe decidere che tipo di tributi istituire, da quelli importantissimi (sul reddito, sui patrimoni) fino alle più minute tasse e contributi (universitarie, concessioni governative, bollo) e non un centesimo di queste dovrebbe varcare lo stretto. Alcune imposte, come l'IVA, non sarebbero completamente libere nella legislazione perché dovremmo tenere conto della legislazione comunitaria, ma nessuno ci imporrebbe di tenere il vessatorio 20 %, istituito per il dissesto delle finanze italiane, mentre le transazioni tra Sicilia e resto d'Italia si assimilerebbero a quelle che oggi sono le compravendite "intracomunitarie" (cioè tra paesi appartenenti all'Unione, tassate unicamente nel paese di destinazione, dove si compie il consumo, e non in quello di partenza, come avviene oggi per le merci italiane, tantissime, "esportate" in Sicilia). C'è da dire, purtroppo, che la riserva allo Stato delle imposte di produzione non ci aiuterebbe con il costo sproporzionato delle accise 8 sugli idrocarburi. Statuto alla mano, le imposte sulla benzina resterebbero allo Stato. Dato, però, che i servizi statali residuali resi alla Sicilia costano molto, ma molto, di meno del "maltolto" sugli idrocarburi, un Governo regionale responsabile potrebbe negoziare con Roma non l'eliminazione di queste accise (l'Italia cadrebbe nel baratro e non ce lo concederebbero mai, tanto più che su queste non abbiamo neanche tutela statutaria) ma una loro sensibile riduzione e compartecipazione della Regione e degli enti locali interessati. Quali i benefici dell'applicazione dell'Art. 36? Incalcolabili! La fiscalità di vantaggio attirerebbe investimenti da ogni parte del mondo e farebbe ritornare i nostri emigrati. Le tassazioni di favore per redditi che in Sicilia ad oggi non esistono o quasi (come i redditi di capitale) attirerebbero capitali ed investimenti praticamente senza nessun costo per l'erario. La responsabilizzazione della classe politica sulle entrate si trasferirebbe prima o poi anche sulle spese che verrebbero razionalizzate. La sensibilizzazione dei cittadini nei confronti del nuovo soggetto impositore (regionale) creerebbero nuove aspettative nei confronti di un amministratore che oggi invece si "nasconde" dietro il paravento delle politiche finanziarie nazionali. L'unico problema potrebbe essere quello della "sostenibilità" di questa devoluzione nel breve periodo (nel medio e lungo non c'è dubbio che l'ampliamento della base produttiva risolverebbe alla radice ogni problema). Il punto è che le "spese" dell'ente pubblico in Sicilia oggi sono fuori controllo. Una razionalizzazione e dimagrimento degli organici, anche graduale, insostenibile in regime di finanza derivata, sarebbe soltanto salutare in regime di finanza autonoma, perché trasformerebbe la Sicilia da terra di pensionati e mantenuti a terra di lavoratori ed imprenditori. Ma c'è qualcuno a cui questo non piace. E poi, al di là delle spese, le entrate sono solo in parte di natura fiscale. Uno stato sovrano ha anche entrate dall'emissione di moneta e dall'indebitamento (ideale per gli sfasamenti temporanei tra flussi in entrata e in uscita). Ma a questi canali sono dedicati altri articoli del ART. 37 Per le imprese industriali e commerciali, che hanno la sede centrale fuori del territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, nell'accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi. L'imposta, relativa a detta quota, compete alla Regione ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima. « L'articolo in questione è il necessario complemento del precedente. La recente riforma del Titolo V ha introdotto, a nostro avviso impropriamente, il termine "tributi propri" con riferimento anche ad ogni altra regione, anzi addirittura potenzialmente ad ogni ente locale. Ma che sia un istituto completamente diverso da quello pensato per la Sicilia lo si capisce proprio da questo successivo articolo. Già al precedente i "tributi propri" non erano quelli concessi dalla legislazione dello stato bensì originari in quanto istituiti liberamente dalla Regione ("...deliberati dalla medesima") e quindi viene persino il dubbio che il termine usato "tributi propri" per indicare tributi che in realtà sono solo delegati dallo Stato alla legislazione regionale o alla deliberazione locale sia stato fatto, chissà, con un occhio appositamente al nostro Statuto per depotenziarne il significato. carico dei residenti, ovunque prodotti, e dei non residenti, per i redditi prodotti nel territorio. Per i redditi prodotti all'estero dai residenti, poi, la norma generale serve ad evitare gli occultamenti di redditi ma in realtà è temperata dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. In pratica, se lo stato estero non è un paradiso fiscale o uno "stato canaglia" con il quale non si hanno relazioni di alcun tipo, la tassazione all'estero esenta dalla tassazione nel territorio o consente (come per i dividendi percepiti e tassati all'estero) crediti d'imposta compensativi. Ma in realtà tra Sicilia e "resto d'Italia" lo Statuto delinea due veri e propri sistemi tributari quasi completamente indipendenti (tranne, cioè, le poche riserve e compensazioni previste espressamente dal diritto costituzionale)l'uno dall'altro. Ed è per questo motivo che l'art. 37 prevede che per i "rami aziendali" (all'antica definiti "stabilimenti e impianti") debbano calcolare la quota di reddito prodotta (come per gli analoghi rami di imprese che hanno la loro sede "fuori" dall'Italia) e la assoggettino del tutto alle norme del diritto tributario siciliano sovrano; sovrano, In ogni stato sovrano, infatti, i redditi sono imposti (come nell'Irpef) a Principio generale delle imposizioni sui redditi è, nella finanza contemporanea, che i redditi siano tassati nel territorio in cui sono prodotti e non in quello in cui risiede il soggetto passivo. Questo sempre che non ci siano compensazione, cioè che i due stati siano tributariamente indipendenti l'uno dall'altro. www.laltrasicilia.org L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 17– 1/15 ottobre 2008 perché il secondo comma lascia intendere che la Regione non solo determina liberamente sull'imposizione dei redditi, ma anche sugli accertamenti e le riscossioni, e la fa CON PROPRI ORGANI! Non, come oggi, convenzionandosi con l'agenzia delle entrate dello Stato. L'agenzia delle entrate in Sicilia dovrebbe essere tutta regionale, con delega di funzioni statali per i pochi tributi residuali dello Stato, altro che statale! E regionale dovrebbe essere la "cassa", non devoluta dall'erario alla Regione! Controllare direttamente i propri flussi tributari è la vera sovranità. Quella non concessa bensì originaria. L'articolo ha anche alcune norme implicite: - la più importante imposizione, quella dei redditi, è regionale ed è quindi illegittima ogni legislazione o prelievo da parte dello Stato sui redditi prodotti in Sicilia; - all'infuori delle imposte erariali il "sistema" è estensibile per analogia ad ogni altro tributo, perché il principio è "tassare dove si realizza il presupposto della tassazione e non dove risiede il contribuente"; - le imprese che si trovano in Sicilia, anche "rami" di quelle nazionali, devono tenere contabilità analitiche obbligatorie per separare le quote di reddito imputabili al "ramo" aziendale e distinguerle da quelle prodotte fuori dal territorio, magari secondo norme stabilite dal legislatore regionale o con rinvio agli organismi contabili professionali siciliani che avrebbero in materia un bel lavoro da fare; - le imprese che hanno sede in Sicilia ma rami fuori della Sicilia (nel territorio italiano) devono vedere tassato il reddito prodotto in "Italia" secondo il diritto italiano e affluire all'erario italiano (perché la tutela non si trasformi in assurdo privilegio per la Sicilia). La norma è quanto mai lungimirante perché si avvede dei pericoli, per la finanza regionale e locale, insita in politiche di ristrutturazione e concentrazione, pilotate da Roma, che spostino le sedi delle imprese dalla Sicilia e dal Continente. E, guardando ciò che in questi decenni è avvenuto in molti settori, dalle reti dei supermercati alle banche, diremmo che è stato un orientamento quasi profetico. Oltretutto la differenziazione tributaria e le agevolazioni per le imprese siciliane, oltre alle difficoltà insite nelle contabilità analitiche, avrebbero consigliato a molte imprese italiane di mantenere una controllata autonoma in Sicilia, come in un paese straniero, mantenendo nell'isola centri decisionali, anche di second'ordine, e redditi, laddove oggi tutto il management siciliano viene ogni giorno falcidiato dalle politiche centraliste italiane. Come applicare ad altre imposte il principio generale? Il problema non si pone sostanzialmente per le imposte e tasse minori, ma soprattutto per l'IVA. La soluzione più ragionevole è quella delle transazioni "intracomunitarie" tra Sicilia e Italia, che rispetterebbe lo spirito dello Statuto, non sarebbe di difficile applicazione e non violerebbe le norme del diritto comunitario. Quali i vantaggi di questo articolo? Che i Siciliani la finirebbero di foraggiare l'Italia affinché la sfrutti meglio, come è avvenuto sinora. Chi dice che la Sicilia vive di risorse prodotte altrove letteralmente non sa quel che dice. Attraverso la mancata applicazione dell'art. 37 la Sicilia da più di 60 anni, povera com'è, si svena letteralmente per alimentare l'Italia e i suoi sprechi. Se non è colonialismo questo... ACCATTA SICILIANU ! E la cosa grave è che per 58 anni l'articolo non ha avuto norme attuative e addirittura anche in parte la devoluzione di redditi totalmente prodotti in Sicilia con soggetti passivi era negata. E' solo degli anni '80 la devoluzione alla Regione dell'Irpef prodotta con gli stipendi dei dipendenti statali, fino ad allora girati all'erario anche se i contribuenti risiedevano in Sicilia. Per i tributi, crescenti, dovuti da imprese non siciliane per redditi prodotti in Sicilia (valga solo l'Enichem per valutare l'entità macroscopica del nostro credito) chissà quanto si dovrà ancora aspettare... Infatti da tre anni abbiamo le norme attuative dell'art. 37 ma lo Stato non le applica perché... "nun ci ha i sordi, aho..."; insomma continua a non darci il reddito che NOI PRODUCIAMO e questo per un semplice abuso avallato da tutta la classe politica siciliana che dovrebbe, solo per questo, portare in piazza ogni giorno i siciliani derubati da più di mezzo secolo di quanto loro dovuto.» ( 9 — Continua ) I precedenti commenti sono stati pubblicati su L’ISOLA n° 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15 & 16 www.laltrasicilia.org COMPRA SICILIANO ! 9 L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 17– 1/15 ottobre 2008 10 La Sicilia e l'Unità Nazionale senza veli d'ipocrisia da " REALTA' SICILIANA" di Giuseppe Garretto (ed. 1967) N on sappiamo se la stessa decorazione ebbe il tenente Dupuy, savoiardo, per una brillante ed eroica operazione eseguita nel territorio delle Petralie. « Questo ufficiale — dice ancora Colaianni —si presentò, di notte, con gli uomini della sua colonna, in una casina, i cui abitatori, temendo dei briganti, non vollero aprire. Allora il prode militare la circondò di fascine, vi appiccò fuoco e fece morire soffocati i disgraziati che legittimamente resistettero ai suoi ordini ». Il deputato D'Ondes Reggio, presentando la proposta di inchiesta parlamentare su quanto avveniva in Sicilia (respinta, del resto, dalla Camera) affermava che nell'Isola si faceva strazio dello Statuto, delle leggi, della libertà e della vita dei cittadini; che padri, fratelli, sorelle, madri con i lattanti venivano buttati in carcere e ivi, con colpi di scudiscio, flagellati perché i loro figli e fratelli erano renitenti di leva; che ad alcuni di questi infelici erano stretti i pollici con un nuovo strumento di tortura « tanto che sguizzasse il sangue e la carne, e giungesse fino alle ossa » ; che colonne mobili, in molte province, assediavano con violenza selvaggia paesi e città... Un episodio: il comandante di un battaglione di fanteria, il maggiore Frigerio, arriva a Licata, l'assedia e fa pubblicare per le strade della cittadina che « se i renitenti non si fossero costituiti alle ore 15 dell'indomani, avrebbe tolto l'acqua alla popolazione e ordinato che nessuno potesse uscire di casa sotto pena di fucilazione ». Soltanto l'intervento del viceconsole inglese e la dimostrazione della guardia nazionale ottennero che il maggiore desistesse dal togliere l'acqua al paese e dal fucilare i cittadini che fossero usciti di casa. Ed ecco una cronaca del tempo, pubblicata dal giornale « II Contemporaneo » di Firenze, e riferentesi a soli nove mesi: Morti fucilati istantaneamente 1.841; morti fucilati dopo poche ore 7.127; feriti 10.604; imprigionati 19.741; sacerdoti fucilati 22; case incendiate 918; paesi incendiati 5; famiglie perquisite 2.903; chiese saccheggiate 12; ragazzi uccisi 60; donne uccise 48. Non fa più meraviglia se a queste popolazioni, trattate con inaudita inumanità, il fìsco togliesse, poi, ogni possibilità di vita materiale. In pochi anni, infatti, in Sicilia, i fondi espropriati raggiunsero il numero di almeno venti mila. Si vide il fisco vendere case e terreni per 5 lire, spesso per meno di 5 lire! Quale paese coloniale ha pagine più dolorose? E allora si comprende che Massimo D'Azeglio, piemontese, ma coscienza equanime, esclamasse: « Nessuno vuole saperne di noi... Siamo venuti in odio a tutti e tutti sono divenuti nostri nemici ». E a Massimo D'Azeglio fanno eco: Garibaldi che scrive ad Adelaide Cairoli: « Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Ho la coscienza di non aver fatto del male, nonostante ciò. non rifarei oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio ». E Crispi: « La popolazione in massa detesta il governo di Italia, che, al paragone, trova più tristo del Borbone ». E il conte Alessandro Bianco di Saint-Jorioz, piemontese: « Nobili, plebei, ricchi, poveri, clericali, atei, tutti aspirano ad una prossima restaurazione dei Borboni ».E Settembrini ha queste tremende parole: « La colpa fu di Ferdinando II, il quale, se avesse fatto impiccare me ed i miei amici, avrebbe risparmiato all'intero Mezzogiorno tante incommensurabili sventure ». Questo, per la Sicilia, fu l'inizio dell'Unità. Il seguito è stato degno di tanto inizio. L'Isola nostra è stata sempre considerata e trattata come una colonia. Oppressione e sfruttamento. Negli anni successivi al 1867, osserva Enrico La Loggia, il continuo drenaggio di capitali siciliani, iniziatosi con la vendita dei beni ecclesiastici (che fruttò più di un miliardo di allora e che andò tutto al Nord), proseguito ed aggravato da oppressivi tributi, il pompaggio dei depositi delle casse postali utilizzati al Nord e il soffocamento delle industrie impoverirono L a rivista “Realtà Siciliana” fu fondata da Giuseppe Garretto nel 1958 e cessò le pubblicazioni nel 1960. Ciò di cui mi trovo in possesso è una raccolta di interventi selezionata dallo stesso autore e pubblicata nel 1967 sotto forma di libro recante lo stesso titolo della rivista. E’ vero: Garretto nell’articolo sembra quasi osannare Garibaldi e questo, per il fatto che il seguito del suo intervento sembra andare in tutt’altra direzione rispetto alla storiografia unitaria ufficiale , a noi sicilianisti del 2008 appare quanto meno strano. Credo, quindi, che si debbano prendere in considerazione due fatti importanti per spiegare la “contraddizione” del Garretto: primo, la sua spontanea ed immediata reazione al fascismo che se da un lato attestò il suo entusiasmo sincero per la libertà, dall’altro lo portò a militare inevitabilmente nelle file di quel movimento socialista che di Garibaldi aveva fatto una delle sue icone principali; secondo, la sua indole idealista e avventurosa che lo aiutò sicuramente a credere nel mito e nella totale buonafede di Garibaldi. Certo, egli non aveva a disposizione le immense possibilità di ricerca di cui disponiamo oggi, e questo pregiudicava in maniera determinante la sua ferma volontà di approfondire tutta la materia. Voglio, però, segnalare il singolare giudizio che di Garibaldi lascia sottintendere il Canepa, personalità con molti tratti comuni al Garretto, nel suo famoso libretto “La Sicilia ai Siciliani”: “…Quando la rivoluzione (del 1848) fu soffocata, allora i piemontesi cominciarono la loro propaganda in Sicilia a favore della monarchia dei Savoia. Ma questa propaganda ebbe scarso successo. Garibaldi, sbarcando in Sicilia nel 1860, credeva di trovare il paese in rivolta. Ma che! I siciliani non si erano mossi, e non si sarebbero mai mossi per una causa che non fosse quella della loro indipendenza. Gli intrighi di casa Savoia, contro la volontà dello stesso Garibaldi e dello stesso Crispi, portarono al plebiscito, falsificato come tutti i plebisciti…” m.s. sempre più l'Isola. Terra di conquista. Terra da sfruttare. Tutte le vessazioni e tutte le sottrazioni divennero ineluttabili. In Sicilia si producevano 1.300.000 chilogrammi di tabacco; dopo una legge iugulatrice, non se ne produssero che 400.000. Così per il cotone, così per qualsiasi altra espressione della nostra attività economica. Lo zolfo siciliano fu ostacolato in mille modi: per molto tempo costretto ad estrarsi entro certi limiti e a vendersi entro dati prezzi, mentre quello della Romagna era lasciato libero sia nei prezzi, sia nella quantità. E si potrebbe continuare per pagine e pagine. E sempre con fatti precisi. Con cifre. Fatti e cifre che ci tentano. Ecco: Maffeo Pantaleoni, nel 1891, provò che il Mezzogiorno contribuiva assai più del Settentrione alle entrate dello Stato, e precisamente avendo il 27% della ricchezza nazionale, pagava il 32% delle imposte. Il lombardo R. Benini calcolò che lo Stato in Sicilia su 100 di entrate tributarie ne spendeva appena 67, mentre in tutte le altre regioni ne spendeva 103. Il Bruccoleri dimostrò che per opere di bonifica fino al 1884, mentre in tutta l'Italia si spesero 40 milioni, in Sicilia si spesero... 27 mila lire; e che dal 1886 al 1910 si spese in Sicilia, decima parte del regno, il 2.5 per cento della somma spesa in tutta Italia. E potremmo parlare del grano duro (22 miliardi l'anno sottratti all'economia siciliana), e delle strade e delle ferrovie e delle tariffe ferroviarie e delle imposte sui terreni (con uguale produzione agricola vendibile, il Piemonte paga 5 miliardi, la Sicilia 11 miliardi), e del disboscamento e della www.laltrasicilia.org L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 17– 1/15 ottobre 2008 11 Sostieni la nostra battaglia: invia il tuo contributo, anche minimo, a: L'ALTRA SICILIA - al servizio della Sicilia e dei Siciliani IBAN: IT08 M 01020 16406 000000103454 - BIC: BSICIT RRTPN scomparsa della flotta mercantile e della scomparsa delle industrie (1860: in Sicilia addetti alla industria il 38% degli attivi, mentre in Piemonte e in Liguria erano appena il 17%; ora, invece, secondo l'ultimo censimento, nel solo Piemonte gli addetti all'industria sono saliti al 31 % mentre in Sicilia sono scesi al... 15%). E potremmo parlare anche della politica doganale, della politica dei lavori pubblici, della politica che determina la ripartizione territoriale delle pubbliche spese; potremmo parlare delle scuole, dei servizi sanitari. E ancora: della bilancia commerciale italiana e siciliana e a che cosa sono servite e servono le valute pregiate ottenute dalle nostre esportazioni (1957: saldo attivo della bilancia commerciale siciliana, 29 miliardi 78 milioni di lire), dai turisti stranieri venuti in Sicilia (1957: 10 miliardi di lire), dagli emigrati. Ed ancora. 1946: a) gli zolfi siciliani restano bloccati nell'Isola; b) divieto, per la Sicilia, di lavorazione dello zolfo. I produttori di zolfo del Nord, invece, hanno : a) come mercato tutta la penisola; b) la facoltà di molire lo zolfo. Nello stesso anno; i vetri della fabbrica Maiolino di Palermo non possono andare nel Continente, mentre i vetri delle fabbriche del Continente hanno diritto di libera entrata in Sicilia. E potremmo parlare anche della Cassa del Mezzogiorno che della dotazione di 1.280 miliardi, avuta nel 1952, avrebbe dovuto darne alla Sicilia il 42%, e invece ne ha dato appena il... 20,12%; delle autostrade; del casinò di Taormina («no >>• alla Sicilia, ma « sì » al Nord: Venezia, San Remo, Saint-Vincent); dello Statuto siciliano, che sta diventando un chiffon de papier... Per pagine e pagine, potremmo continuare con semplici elenchi: la lista è lunga, molto lunga. Cen to anni di soprusi, di angherie, di ingiustizie, di oppressione, di sfruttamento, che hanno dissanguato la Sicilia, che l'hanno resa spaventosamente depressa. Sfruttamento che continua. « Cari Siciliani — scriveva con profonda tristezza don Luigi Sturzo a proposito degli aiuti americani — è inutile che vi illudiate. Non avrete nulla. Tutto sarà inghiottito dal Nord, dalle industrie parassitarie del Nord. Non avrete nulla ». Nulla? No, qualcosa riceviamo: insulti. Ecco: appena noi chiediamo quello che per legge ci si deve, quello a cui abbiamo diritto, ci si risponde che noi facciamo dell'accattonaggio... Le mani di tutti quei generosi figli della Sicilia, nobili e popolani, che nelle lotte contro il Borbone sacrificarono la vita per l'Unità italiana sognando un avvenire di libertà, di fratellanza e di comprensione, debbono fremere di indignazione. Eppure, c'è qualcosa che supera tutte le ingiustizie, i soprusi, le vessazioni che in cent'anni han ridotto « depressa » la Sicilia, e che è stato un abominevole attentato alla coscienza siciliana. L'impegno, cioè, di strappare dall'animo popolare la coscienza delle sue nobili tradizioni, della sua storia meravigliosa. Quando si vuole opprimere e sfruttare compiutamente un popolo, il metodo più sicuro è appunto di cancellare dalla sua mente ogni ricordo di grandezza e di lotte sostenute per la libertà, segno inconfondibile di una civiltà superiore; e di far penetrare nel suo spirito la convinzione di essere sempre stato, nella storia, un miserabile, spregevole oggetto, e mai soggetto. Applicando questo metodo, si sono impegnati ad oscurare a poco a poco la coscienza siciliana, una volta così fiera e gelosa delle istituzioni, dei costumi, delle tradizioni, della secolare autonomia e delle franchigie costituzionali isolane. Oscurare la coscienza fino a farle dimenticare la sua storia, che è storia stupenda. Chi ricorda più che in Sicilia sorse il primo Stato della Cristianità e che «Palermo fu per molto tempo, come scrisse Renan, la capitale politica, economica, intellettuale dell'Europa? » Chi ricorda che « l'Università di Palermo, nei primi anni del 1800, poteva rivaleggiare con quelle delle prime città di Europa per rinomanza e celebrità di professori? Che Palermo possedeva un Gabinetto di Fisica, un Teatro Anatomico, un Laboratorio di Fisica, un Museo di Antichità, un Orto Botanico, una Specola, che erano divenuti celebri in Europa? » Chi ricorda più che Vittorio Amedeo partendo dall'Isola condusse con sé insigni Siciliani che aprirono al Piemonte, in ogni campo, quelle vie del progresso, che sempre gli erano state precluse. « La Sicilia — confessa Carlo Botta — mandava al Piemonte generosi spiriti per mondarlo dalle male erbe che in troppa gran copia vi erano cresciute ». Oscurare la coscienza fino a farci dimenticare la nostra storia, che è storia stupenda. E affinchè questo oscuramento fosse completo sì da diventare buio totale, si inventò la teoria della razza inferiore. Il Niceforo rivelò ai Siciliani che essi appartenevano ad una razza inferiore, mentre gli abitanti del Nord appartenevano alla razza superiore... L'oppressione e lo sfruttamento, quindi, dei primi, cioè dei Siciliani, diventava lo esercizio di un diritto naturale da parte di quelli della razza superiore! Se questa teoria fu confutata scientificamente, essa rimase norma politica. E si comprende, allora, l'abiezione della borghesia siciliana, che, perduta la vera fierezza e l'orgoglio della sua terra, e posseduta solamente da libidine di servilismo, è felice di genuflettersi davanti a quelli del Nord per averne attestati di... rispettabilità; è felice di strofinarsi agli affaristi del Nord, ai quali, con fare e intenti di mezzano influente, facilita, nella martoriata Sicilia, ogni impresa di rapina; è felice, per maggiormente distinguersi nella scala servile, di collaborare con quelli che opprimono il popolo. E come si comprende anche che i nostri fratelli siciliani che vanno al Nord in cerca di un tozzo di pane, in quel Nord che le loro sofferenze hanno arricchito (« si subordina la fame del Mezzogiorno alla sazietà del Settentrione », si legge nel Bollettino economico del Banco di Sicilia del 1947) tentano di nascondere come una vergogna la loro origine isolana. E forse non tutti i Siciliani che si son sentiti dire « lei non sembra siciliano », hanno avvertito il sanguinoso oltraggio che c'è nel... complimento. Noi, ne abbiamo sempre risentito dolore e umiliazione. « Lei non sembra siciliano... » Per codesti signori il Siciliano è un miserabile Negro (e chiediamo scusa ai nostri fratelli Negri) che per uno scherzo di natura è venuto al mondo con la pelle bianca. Ecco il calvario che la derelitta Sicilia è stata costretta a salire in cent'anni di Unità. — Ma, allora, — ci si dirà — voi non festeggerete il centenario? — No. Noi non festeggeremo questo centenario. Sarebbe l'estrema abiezione benedire ed esaltare la via che ci ha condotti alla più spaventosa depressione nel campo materiale e, ciò che più conta, nel campo morale. Solo da servi che hanno perso ogni residuo di dignità, si potrebbe esigere una cosa simile. — Allora, siete separatisti? — No. Non siamo separatisti, malgrado questa realtà unitaria italiana ci spinga con tanta violenza ad esserlo. Diremo meglio: appunto perché non separatisti, noi ci rifiutiamo di festeggiarlo. La Unità, infatti, — come ha scritto un grande Siciliano — non è stata che il trionfo del più bieco separatismo: un separatismo di ingorda speculazione, che ha diviso l'Italia in due zone, perfettamente distinte, con un'azione giammai interrotta in danno del Mezzogiorno e della Sicilia in modo particolare. Noi siamo unitari. Sinceramente unitari. In senso italiano ed europeo. Le (Segue a pagina 12) www.laltrasicilia.org 12 L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 17– 1/15 ottobre 2008 divisioni, oggi, non hanno senso. Sono deleterie. Ma « l'esistenza di una nazione, come scrisse Renan, è un plebiscito di ogni giorno, come l'esistenza di un individuo è l'affermazione quotidiana della sua vita ». E « il plebiscito di ogni giorno » ha esigenze che oggi non sono soddisfatte. E che noi intendiamo siano soddisfatte. Oggi esiste l'unità materiale. Ma l'unità morale, quella che più conta e che noi vogliamo innanzitutto, non esiste affatto. O. almeno, non c'è fra la Sicilia e l'Italia. Diciamolo sinceramente, c"è... Oh no! Non vogliamo dire le parole che non permettono più nessuna speranza. Diciamo semplicemente che non c'è amore. E allora, il 1960, che per noi non può essere data di lieti ricordi, noi dobbiamo trasformarlo in una data che segni una speranza. Meglio, un proposito: riprendere il cammino là dove Garibaldi lo interuppe. Meglio: là, dove Garibaldi e i Siciliani furono costretti ad interromperlo. La giovane Sicilia, che disperatamente lotta per conquistare condizioni di vita civile, vuole celebrare il centenario dell'Unità alla sua maniera. Alla sua maniera! Niente, quindi, disgustosi spettacoli di retoriche false e bugiarde, ma decisa volontà di percorrere in poco tempo il cammino che altri han percorso in cent'anni. E perciò, dando rigoroso bando alle chiacchiere e agli sperperi, tendere tutte le nostre energie per raggiungere rapidamente il meraviglioso fine di « cambiare » la Sicilia. E ciò sarà l'inizio della vera Unità. Il cammino sarà aspro, difficile. Le maggiori difficoltà saranno date non tanto dal secolo di ritardo, quanto da quel complesso coloniale che sono riusciti ad inoculare nel nostro sangue, complesso coloniale che svirilizza, che rende scettici, apatici, diffidenti, vili. E quindi, incapaci di credere in qualche cosa, che vada oltre il meschino « arrangiamento » di una grama esistenza; incapaci di una vita associata e di un lavoro modernamente organizzato e disciplinato; incapaci di ardite iniziative e di impostazioni autonome dei problemi siciliani; incapaci di osare... Osare?... incapaci del più leggero anticonformismo per timore d'un possibile rischio, ancorché minimo. Scrollarsi di dosso questo funesto mortale complesso coloniale è il primo nostro compito. E' la condizione necessaria e indispensabile per rinascere, più esattamente per nascere, alla vera vita unitaria, che esige rapporti di uguaglianza e non di sudditanza. Non ci stanchiamo di dirlo, di ripeterlo. Nella vita occorre credere in qualche cosa che comporta sacrificio, stabilire feconde correnti di fiducia reciproca, e sopratutto occorre, col conforto di una profonda solidarietà, osare ed essere tenaci. E noi ci rivolgiamo sopratutto ai giovani. Condannando questo secolo di servilismo, di passività, di rinunce, di conformismo, di viltà, essi debbono essere i primi ad acquistare questa nuova coscienza impegnandosi seriamente ad approfondirne i moti. (2 - fine) Giuseppe Garretto (settembre-ottobre 1959) L’ISOLA la voglia di scoprire Lo sapevate che... SULLA LINGUA SICILIANA L a Lingua Siciliana ha sempre avuto un rapporto controverso con la politica e con il potere; se ciò risulta pienamente comprensibile per quanto riguarda la storia passata dell’isola, dominata sempre da invasori, ovviamente alloglotti, risulta invece quanto meno strano oggi che la Sicilia è dotata di una propria autonomia. Infatti lo Statuto della Regione Siciliana, all’articolo 14, sancisce che l’Assemblea Regionale ha la legislazione esclusiva – tra l’altro – anche sull’istruzione elementare e, all’articolo 17, che “l’ Assemblea regionale può, al fine di soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri della Regione, emanare leggi” – tra l’altro – anche sull’istruzione media e universitaria. Nonostante i mezzi che la classe politica siciliana ha a disposizione dal 1946, al Siciliano non è stato ancora riconosciuto il diritto di entrare in tutte le scuole come materia di insegnamento. Parlando di diritti, in fin dei conti, colui che risulta penalizzato da questa situazione è lo stesso cittadino siciliano a cui è negato il diritto di istruzione sulla lingua della propria terra, che è stata lingua madre dei propri genitori e dei suoi antenati e che, in moltissimi casi, è anche la sua lingua madre; inoltre non gli viene riconosciuto il diritto di conoscere la storia della letteratura di tale lingua. E’ evidente che tale deficienza del sistema scolastico lo impoverisce culturalmente; e qualsiasi impoverimento culturale, ancor più se legato alla propria specifica identità, non può non avere riflessi sociali. Non è un caso che spesso quelle regioni e quei paesi in cui è più sviluppata la difesa della propria specifica identità culturale, anche e soprattutto attraverso la promozione della propria specifica lingua, siano regioni all’avanguardia – o comunque in forte crescita - dal punto di visto economico, culturale, sociale. L’orgoglio per la propria identità – senza, per forza, trasformarsi in nazionalismo o separatismo – è alla base dell’amor proprio di un popolo, amor proprio senza il quale non è possibile costruire sviluppo, a tutti i livelli e in tutti i campi. La questione della dignità da dare alla lingua siciliana abbraccia, pertanto, un ambito ben più vasto del solo aspetto linguistico; probabilmente il grado di dignità che diamo alla nostra lingua è lo stesso di quello che, forse pur inconsciamente, diamo a noi stessi, come popolo. Quindi non c’è da meravigliarsi se le enormi potenzialità della terra di Sicilia e delle sue genti rimangono attualmente inespresse. L’economia, la cultura, la politica e tutti gli altri aspetti della società siciliana non possono e non potranno vivere una fase di “rinascenza” se non passando attraverso la rinascita dell’orgoglio per la propria identità e, quindi, anche per la propria lingua. “ « L’Altra Sicilia » L’Altra Sicilia www.laltrasicilia.org