SALVATORE GAROFALO OLGA GUGELMO Figlia della Chiesa Salvatore Garofalo Profilo biografico di OLGA GUGELMO della Madre di Dio Figlia della Chiesa «I tuoi figli come germogli d’olivo intorno alla tua mensa» Ia edizione,Vicenza 1963 Titolo originale: Come germoglio d’olivo... Profilo biografico di O L G A della Madre di Dio Figlia della Chiesa Suor Olga Gugelmo della Madre di Dio Dipinto di Antonietta Barbiero ef, Olio su tela 1945 IIa edizione Editrice Istituto Suore Figlie della Chiesa Viale Vaticano, 62 Roma - 2004 PRESENTAZIONE È bello riavvicinarci alla figura di Olga Gugelmo della Madre di Dio, Figlia della Chiesa, presentata con tanta efficacia dall’illustre biblista Salvatore Garofalo, anch’egli tornato a Dio. Olga ci viene presentata nei brevi anni del suo cammino; la sua vicenda è seguita nella semplice quotidianità, terreno privilegiato in cui ciascuno di noi deve percorrere il suo itinerario di ritorno al Padre. Il suo impegno di donna cristiana anzitutto, di insegnante, di apostola impegnata nell’azione cattolica, si esprime negli ultimi cinque anni di vita in un percorso inedito, all’interno del nascente Istituto delle Figlie della Chiesa. Lo slancio e il fervore ecclesiale che hanno caratterizzato ogni tappa della sua crescita umana e cristiana si espandono verso orizzonti sempre più ampi e la portano a maturare in pienezza i doni di natura e di grazia che il Signore le ha elargito. Docile allo Spirito, Olga ha incarnato con gioia l’ideale di essere Figlia della Chiesa per il Battesimo, ed anche per una specifica consacrazione religiosa che l’ha sollecitata ad approfondire e vivere in modo sempre più consapevole il dono ricevuto. 5 Intraprendere con lei il “viaggio” delle origini diventa una sfida ad accogliere con la sua disponibilità e dedizione i percorsi ecclesiali che oggi ci vengono indicati. Accade sempre così quando ci incontriamo con persone che hanno voluto seguire sul serio il Signore; il loro esempio ci trascina, ci affascina, ci spinge a scoprire il “segreto” che le ha portate alla pienezza dell’amore; ci sollecita a tentare almeno di assumerne i criteri per ripercorrere insieme la via che porta alla vera felicità. Perché di questo si tratta: la vita cristiana, come Olga e moltissimi altri Testimoni l’hanno vissuta, è quel compimento umano che fa comprendere ogni tappa come un momento di costruzione del progetto di Dio; una trasfigurazione della piccola creatura umana nella felice compiutezza del modello divino. Maria Teresa Sotgiu Roma, Sancta Maria 11 aprile 2004 Pasqua di Risurrezione 6 PREFAZIONE dell’Autore L’esplorazione di un’anima è un'entusiasman te avventura spirituale, ma comporta il rischio di affacciarsi su un abisso di cui si scorgono appena i contorni. La storia di un'anima, infatti, è il segreto di Dio. Quando poi si tratta di una vita brevissima, senza avvenimenti clamorosi, trascor sa in un piccolo mondo regolato in modo che ogni giorno sia esteriormente uguale all’altro e tutta via ogni giorno è nuovo per la vita che si svolge di dentro, il racconto diventa difficile. Ma è necessario che si parli di anime, affinché anche i più distratti tra noi si rendano conto quali siano le radici della vita e come incomba nel mondo la presenza e l'azione di Dio. Qualcuno potrebbe pensare che, trattandosi di una piccola suora poco più che trentenne, il suo esempio sia limitato alla cerchia di chi ha scelto il suo stesso ideale, ma è un errore. Ogni vita con sumata nel severo e struggente lavorio della gra zia è uno specchio per tutti, percbé tutti dobbiamo vivere di Dio. Se le virtù di Olga siano state eroi che e degne di essere solennemente proposte alla 7 imitazione di tutti, lo dirà a suo tempo la Chiesa, ma fin d’ora è certo che la sua piccola storia fa bene all’anima. Una parola sul titolo di questo libretto: «Come germoglio d’olivo». Si tratta di un bellissimo testo poetico della Bibbia, tolto dal Salmo 128, il quale, descrivendo una famiglia ideale contemplata nella luce e nel calore della fede, dice dell’uomo «benedetto» che cammina nelle vie di Dio: «I tuoi figli come germogli d’olivo intorno alla tua mensa». L’olivo è l’albero mediterraneo per eccellen za; coltivato fin da tempi antichissimi nella Terra Santa, è simbolo di prosperità e di benedizione, di pacifica vita. A partire dalla « fronda novella d’o livo » che la colomba portò a Noè per significare la fine del diluvio (Genesi 8, 11), fino ai «due olivi» che nell’Apocalisse (11, 4) rappresentano i due testimoni di Dio incaricati di «profetare» per tutto il tempo della persecuzione contro la Chiesa, la Bibbia ricorda spesso l’albero dal tronco e dai rami tormentati, che di tutte le pian te poteva essere il re (Giudici 9, 8). Per indicare i suoi frutti di grazia e di gloria, la Sapienza di Dio si paragona a un bellissimo olivo che verdeggia nella pianura (Ecclesiastico 24, 14) e il testo è applicato nella liturgia alla Madre di Gesù. E non possiamo fare a meno di ricordare con profonda emozione i rami d’olivo agitati dalla folla di Gerusalemme per accogliere Gesù Re paciflco e gli olivi testimoni delle sue preghiere e della sua straziante agonia. Nella officiatura della festa del Corpus Domini, la quarta antifona dei Vespri riproduce il versetto del Salmo 128 con una bellissima aggiunta: «I figli della Chiesa siano come germo gli d’olivo intorno alla mensa del Signore». I lettori si renderanno conto che il titolo del libretto, più che scelto, era imposto all’autore. S. G. Roma 1963, 20° anniversario della morte di Olga, 25° della fondazione delle Figlie della Chiesa. 9 8 I PRIM ANNI Nei momenti più solenni e più colmi di tenerezza della sua vita terrena, durante l’ultima Cena, Gesù, parlando agli Apostoli, ricordò la misteriosa ambascia e la ineffabile gioia della madre che dà alla luce una creatura (Giovanni 16, 21-22). La prima maternità della mamma di Olga, la signora Candida Gugelmo, rischiò di darle soltanto tristezza: la bambina nata nella prima ora del 10 maggio 1910 dovette essere battezzata d’urgenza per timore che non potesse sopravvivere. Alla piccola furono imposti i nomi di Olga, Maria, Fortunata. Lo zio materno sacerdote si accontentò di supplire le cerimonie solenni del sacramento nove giorni dopo, nella chiesa parrocchiale di S. Maria in Poiana Maggiore, la tranquilla e operosa borgata a 36 chilometri a sud di Vicenza, dove Olga era nata. La mamma era insegnante elementare a Poiana e il papà un brav’uomo all’antica, vigoroso di carattere e di fede. La naturale e necessaria gioia dei primissimi 10 11 anni di vita non durò molto per la piccola Olga: la prima guerra mondiale le rapì nel 1916 il babbo, colpito da una granata sul fronte di Gorizia. N e l l a casa devastata dalla morte rimasero la mamma e quattro bambini, dei quali Olga era la maggiore. Soltanto lei poteva essere di qualche aiuto e lo fu, con la inesperienza della sua età, ma con precoce serietà: doveva anche lei sfaccendare nella casa e badare ai due fratellini e alla sorellina più piccola. La Provvidenza la vegliava fin dall'alba della vita per educarla a dimenticarsi di sé ed essere per gli altri. I buoni principi del vivere cristiano e della pietà le furono instillati insieme con la necessaria laboriosità. Non erano, quelli, tempi in cui i genitori viziavano i figli, attenti a soddisfarne tutti i capricci. L’11 aprile 1918 - esattamente venticinque anni prima della sua terribile e dolcissima morte Olga fu ammessa alla prima Comunione. Due anni dopo, l’8 novembre 1920, le fu amministrata la Cresima, il sacramento dei cristiani perfetti. Di solito, questi avvenimenti e queste date si perdono ben presto dalla memoria; all'occorrenza, devono essere ricercate nelle carte ingiallite dei registri, eppure, per i «nati da Dio» (Giovanni 1, 13), sono quelle le date che hanno una reale importanza e un significato profondo nella storia della più vera vita. Per trentatre anni Olga si abbevererà a quattro 12 fontane della grazia: il Battesimo, la Cresima, la Penitenza e la Eucaristia, che, secondo la promessa di Gesù, le toglieranno ogni sete: «Chi beve l'acqua che io gli darò non avrà sete in eterno; l’acqua che io gli darò diverrà in lui fonte d'acqua zampillante per la vita eterna» (Giovanni 4, 10. 14). Fonte e fiumi di acqua viva e di vita: «Se qualcuno ha sete venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura: Fiumi d’acqua viva scorreranno dal suo seno» (Giovanni 7, 37. 38). La storia interiore di Olga è legata a quegli incontri con Dio Santificatore, col Dio che, dopo aver fatto nascere di nuovo alla sua luce i già nati alla luce del mondo e dopo averli rinvigoriti col dono dello Spirito Santo, li guarisce incessantemente da ogni infermità dell’anima e incessantemente li nutre col Pane disceso dal cielo, che è la carne del suo stesso Figlio. Più tardi, Olga si renderà conto così bene di tutto ciò che vorrà festeggiare con lieta gratitudine l’anniversario del suo battesimo: «Che gioia essere figli di Dio!». L’educazione scolastica durante le cinque classi elementari fu facilitata ad Olga dal fatto che la mamma era maestra, ma di suo aveva una notevole inclinazione e applicazione allo studio, la facilità di memoria e il trasporto per le materie letterarie. Per la matematica fu, come tanti di noi, piuttosto inceppata, ma come tanti di noi non era riottosa e 13 superava le difficoltà con un impegno maggiore. Il prematuro lutto, col vuoto creato nella casa, non le fece perdere la freschezza della sua età e la effusione del cuore, la voglia di giocare e di primeggiare nei giochi, il godimento di quelle piccole cose che fanno la felicità dei bambini. Il catechismo parrocchiale la educava alla scuola delle cose celesti e la introduceva nel mondo di Dio. Alla S. Messa assisteva dal suo in ginocchiatoio, intenta a leggere un libriccino bianco. Di questo periodo, la signora Gugelmo scriveva: «Più che figlia, era la mia compagna. lo mi facevo piccola e il tempo più bello lo passavo ragionando con lei. Eravamo sempre unite, di giorno, di notte, senza stancarci, senza desiderare altra compagnia». Dagli undici ai diciotto anni, Olga dovette lasciare la casa per frequentare le scuole complementari e magistrali a Montagnana, in provincia di Padova, la città chiusa nella stupenda chiostra delle mura medievali. Durante i giorni di scuola fu ospite di varie famiglie, ma per le feste e le vacanze inforcavala sua bicicletta e percorreva sette-otto chilometri di strada per ritrovare il calore della sua casa e raccontare alla mamma le sue prime, ingenue avventure. Cominciava anche a sognare sui romanzetti 14 che leggeva col permesso della mamma; cominciava ad allargare il suo orizzonte spirituale nelle file dell’Azione Cattolica; cominciava a stringere le prime amicizie e a fare le prime trepide confidenze. «Beata te - disse una volta a una sua coetanea di Poiana che festeggiava il suo compleanno beata te, che hai un onomastico! Io non l’ho... ma potrei aprire la strada e poi le altre avrebbero il loro onomastico».1 Forse Olga disse questo per celia, come ognuno di noi può lasciarsi sfuggire, quasi senza avvertirla, una battuta del genere, ma Dio può in ogni momento prenderci in parola. Nel 1928, Olga, dopo aver vinto ogni anno del corso di studi il primo premio in condotta e in profitto, superò gli esami di Stato a Venezia e conseguì il diploma di abilitazione all’insegnamento elementare. Ormai era maestra, come la mamma. Olga non lo sapeva, ma aveva già varcato la metà del cammino della sua vita. Fin dal primo anno di Montagnana erano cominciati i fortissimi dolori di testa di una otite cronica. Il Signore tesseva l’ordito della vita di una ragazza in apparenza uguale a tante altre sue compagne che trascor1 Olga è al femminile del nome slavo Oleg, che probabilmente significa «santo». La Chiesa russa venera Olga, vissuta nel sec. IX-X, che fu moglie del principe russo Igor I di Kiev e alla morte di lui ne resse il principato. Il suo culto non fu approvato dalla Chiesa latina. 15 revano i giorni in casa, a scuola, nel circolo cattolico, in svaghi senza pretese, senza pericolosi grilli per la testa, in attesa di costruirsi una vita tranquilla e sicura. Ma c’è forse qualcosa di più straordinario delle ordinarie vie di Dio? Nessuno, diceva S. Agostino, riesce a meravigliarsi del miracolo del grano che cresce. Già Olga era sulla via della difficilissima semplicità del cuore, in possesso delle piccole gioie che sono la Gioia; già gustava il sapore amaro e dolcissimo della sofferenza; già avvertiva i primi, indistinti slanci dell’anima. Il germoglio d’olivo cominciava a rompere la scorza del ramo. 16 LA MAESTRINA Subito dopo aver conseguito il diploma magistrale, nell’anno scolastico 1928-1929, Olga fu chiamata per varie supplenze che la iniziarono all’arte delle arti: l’educazione dei piccoli. Nell’agosto del 1929 sostenne a Venezia gli esami di concorso per entrare ufficialmente nella carriera dell’insegnamento. Provò allora uno dei suoi rari terrori, che non dimenticò mai. Stanchissima per la fatica della preparazione, oppressa dai dolori di testa, in preda al panico per la difficile prova che avrebbe dovuto subire, la mattina degli esami ebbe un attimo di totale smarrimento. La mamma l’aveva lasciata sola nella stanza della pensione dove alloggiavano; Olga, spinta da un impulso improvviso e irragionevole, ebbe l’idea di gettarsi dalla finestra, ma seppe reagire in un attimo. Uscendo dall’aula degli esami, nel pomeriggio, disse: «Oh! mamma, quanto volentieri andrei a fare l’esame un’altra volta per qualche compagna che ha paura». Dopo aver avvertito tutto il drammatico peso di sé pensava subito al peso degli altri. La maestrina giovanissima ebbe il suo primo 17 posto per l’anno scolastico 1929-1930 nella borgata dei Fornasini di Valvasone, in provincia di Udine. Al mattino, insegnava ai bambini della seconda e terza classe elementare e nel pomeriggio ai minuscoli alunni della prima, croce e delizia di tutte le insegnanti. Quell’anno, come tutti quelli della sua breve vita, fu pieno di occupazioni. Ben presto portò da casa la fida bicicletta per recarsi di buon mattino alla più vicina chiesa per il quotidiano incontro con Gesù. Ogni domenica insegnava il catechismo ai piccoli, con particolare attenzione e tenerezza per i bambini più poveri e per quelli che intendevano incamminarsi sulla via del Santuario. Per risparmiare ai fanciulli della prima Comunione i quattro chilometri di cammino che li separavano dalla parrocchia, curò lei stessa la loro preparazione. Il buon seme, nella buona terra, non può tardare a fiorire. Nell’aprile-maggio del 1929, mentre suppliva per un mese nell’Asilo di Cinto Euganeo la Suora incaricata della prima elementare, fu ospite delle Religiose e fece vita comune con esse. Aveva scritto alla mamma di trovarsi assai bene tra le Suore e la signora Gugelmo le aveva risposto che ne era contenta, purché a sua figlia non venisse l’idea di farsi Suora. La mamma così scrisse dopo: «Quando nacque 18 la sua vocazione? Io non lo so, perché questo era il suo segreto! Capiva che ero gelosa di lei, che la mia aspirazione e quasi il compenso della mia vita era lei, e per non turbarmi non osava palesarsi e custodiva il suo segreto. Da parte mia non lo indagavo per vari motivi: ero convinta che batteva la buona strada; ero orgogliosa di vederla così diversa dalle altre e non volevo rompere il mio incanto con la previsione di qualche svolta definitiva». Olga, infatti, aveva confidato alla Superiora dell’Asilo il suo desiderio di consacrarsi a Dio e la sua difficoltà di ottenere il consenso della mamma, attaccatissima a lei. Nel frattempo, si sfogava industriandosi in varie iniziative di carità e di bene. Con l’anno scolastico 1930-1931 passò ad insegnare a S. Luca di Crosara in provincia di Vicenza, dove rimase circa tre anni. La grazia continuava a scavare nell’anima della maestrina e l’attrazione di Dio si faceva più imperiosa e struggente, ma la freccia scoccata dall’arco teso non aveva ancora un preciso bersaglio. Olga pensò di abbandonare il mondo nella maniera più definitiva rinchiudendosi in un Carmelo dove poter vivere in tutte le ore di Dio; pensò di consacrarsi al Signore restando nel mondo. Che cosa non pensa un’anima che è preda di Dio? Ma anche le buone fantasie possono rubare il tempo alla grazia e intorpidire l’anima che crede 19 vita il sogno. Olga invece continuava a lavorare per il Signore, lasciando a lui la scelta dei tempi e dei momenti. Era l’anima del locale Circolo femminile di Azione Cattolica e toccò a lei, il 30 maggio 1931, consegnare alle autorità politiche i registri dell’Associazione, in esecuzione del decreto di scioglimento dei Circoli cattolici incautamente pubblicato dal governo fascista. Olga si sentì minacciare di trasferimento per punizione, si vide sorvegliata come un pubblico nemico, ma ci voleva ben altro per impaurirla. La violenza non è forza, come la bontà non è debolezza. Alla mamma scrisse, in quei giorni, di non temere nulla e nessuno, nemmeno la morte, e fu felice quando l’incresciosa vicenda fu conclusa. L’Azione Cattolica non esauriva tutta l’attività di Olga: i poveri, i vecchi, gli invalidi, i suoi alunni infermi specialmente, erano da lei gioiosamente assistiti con la medicina della carità, generosa fino alle più umili cure. La via dei poveri e dei sofferenti porta dritto al cuore dell’Evangelo. I dolori degli altri impedivano ad Olga di dar troppo peso ai suoi assidui dolori di testa. Per l’anno scolastico 1933-1934 fu destinata a Cagnano, frazione di Poiana, e l’anno seguente a Poiana stessa, dove rimase fino al suo definitivo distacco dalla scuola, avvenuto nel 1940. Il sogno della mamma si avverava: avere la figlia sempre 20 accanto a sé, sua collega! Fierezza e tenerezza di madre, che avrebbero potuto, però, irretire la figlia. Il ritorno a casa facilitò ad Olga gli impegni di vita spirituale: la S. Messa e la Comunione quotidiana, la meditazione, la visita al SS. Sacramento, le ore di adorazione diurne e notturne, le particolari devozioni alla Madre di Gesù, di cui, nel 1928, si era dichiarata «schiava» secondo lo spirito di S. Luigi M. Grignion di Montfort, il quale concepiva la vita spirituale come la consacrazione totale a Gesù per le mani di Maria e la completa dipendenza dalla Madre celeste, in modo che l’anima, mossa da Maria e vivendo in Lei, con Lei e per Lei, viva più perfettamente con Gesù, in Lui e per Lui. La pietà scavava così radici sempre più profonde e alimentava il lungo, irrefrenabile desiderio di consacrazione. L’apostolato dell’Azione Cattolica impegnava Olga in mille faccende e iniziative: le adunanze, le gare di cultura, i corsi, gli esercizi spirituali, i ritiri ecc. Fu vice Delegata e poi Delegata Vicariale del Vicariato di Noventa. Il numero delle socie della Associazione S. Giovanna d’Arco della sua Parrocchia, nel triennio 19341937 salì da 149 a 230. L’assistenza ai malati, lontani talvolta decine di chilometri, era sempre tra le occupazioni preferite di Olga, che accompagnò i suoi infermi anche nei 21 pellegrinaggi ai Santuari mariani di Monte Berico, Loreto e Lourdes, dove le sue emozioni spirituali infittivano e i suoi propositi si rinsaldavano. Olga poteva ampiamente disporre del suo stipendio e se ne serviva per soccorrere i poveri e gli ammalati, provando le purissime gioie di ciò che, come diceva Gesù, è più perfetto: dare. «Non è tanto gioioso il prendere quanto il dare» (Atti degli Apostoli, 20, 35). La vita interiore non la rendeva né estranea né ostile ad occupazioni in apparenza distanti dai suoi più profondi interessi: lo sport, le gite, le vacanze a Recoaro, a Cortina d’Ampezzo, a Jesolo, con le socie dell’Azione Cattolica. «Dio fa cooperare tutto al bene di coloro che lo amano, di coloro che sono stati eletti secondo il suo eterno disegno» (S. Paolo, ai Romani 8, 28). «A Jesolo - scrive la mamma - nella colonia “Carmen Frova”, riunì le signorine villeggianti della intera spiaggia per tre giornate di preghiera, scrivendo gli avvisi sulla sabbia bagnata». Fu perfino fiduciaria delle organizzazioni fasciste. Tutto faceva con gran cuore, con l’anima aperta, con il costante pensiero degli altri, divorata da desideri indecifrabili per chi non ha fame di Dio. Si potrebbe pensare che questa intensa, quasi tumultuosa attività, fosse a discapito dei suoi doveri di insegnante, e che Olga si servisse piuttosto della sua professione per aver modo, con la 22 tranquillità economica, di darsi tutta a ciò che più aveva a cuore. Ma una volta che una dirigente di Azione Cattolica andò da lei durante le ore di scuola, fu invitata a non distrarla dal dovere. In un quaderno del 1936-1937, nel quale preparava il materiale d’insegnamento, Olga trascrisse questo pensiero: «Il proprio dovere individuale stia così vivamente al sommo di ogni nostra cura, da renderci acuti a ritrovare in ogni evento della vita il lato che al nostro dovere stesso si riconnetta». I dieci anni circa trascorsi da Olga nell’insegnamento lasciarono nell’anima degli alunni e delle alunne e, non meno, in quella dei loro genitori una traccia profonda. I piccoli le si affezionavano subito come a una mamma, perché come una mamma Olga li amava, li incoraggiava, li aiutava, li seguiva anche fuori dell’orario di scuola. Le alunne le si stringevano attorno anche in chiesa, e, al momento delle iscrizioni alla scuola, tutte le mamme avrebbero voluto che i loro figlioli fossero affidati alla «maestra buona». La sua capacità e il suo fascino di perfetta educatrice sono ancora vivi nella memoria e nella vita dei suoi alunni, tra cui qualcuno è ora Sacerdote o Religioso. Olga attuò in anticipo il programma che il S. Padre Giovanni XXIII ha tracciato ai maestri cattolici: «La figura del maestro, quella che tutti 23 chiudiamo in cuore come uno dei ricordi più cari della fanciullezza, è tutta in quella altissima funzione, che lo fa educatore di anime, con la parola, con gli esempi, con l’opera paziente svolta attraverso tante difficoltà e rinunce. Con quali profonde parole, S. Giovanni Crisostomo tratteggia tale incomparabile missione: «Che cosa c’è di più grande che governare le anime, e plasmare i costumi degli adolescenti? Io giudico senza dubbio più eccellente di tutti i pittori, di tutti gli scultori ed artisti colui che ben conosce l’arte di modellare l’animo dei giovani». Quest’arte non si impara sui libri, non si acquista con la pratica, ma si ottiene dalla grazia di Dio, dalla preghiera e da un lungo tirocinio di profonda vita cristiana, fin dagli anni fecondi dello studio e della scuola».1 Il segreto di Olga era di essere sempre presente al suo dovere, a tutto il suo dovere, tutti i giorni, servendosi di quello strano orologio dei buoni che, invece di bruciare le ore del giorno, sembra fermarle. Del resto, soltanto chi non fa nulla non sa che cosa fare. «Non perdeva tempo - scrive di Olga sua madre-; voleva far presto: senza soste, senza pause». S. Ambrogio, parlando della Madonna che, per obbedire al discreto invito dell’Angelo, si era recata «con premura» (Luca 1, 24) a far visita alla sua parente Elisabetta, scrive: «La grazia dello Spirito Santo non conosce indugi». 1 Il 28 ottobre 1961, veniva inaugurato a Poiana Maggiore un modernissimo edificio scolastico che il Comune volle intitolare al nome di «Suor Olga Gugelmo». Il Sindaco, in quella occasione, ebbe a dire: «Noi ricordiamo questa maestra elementare, nata e cresciuta qui, nel nostro centro, quando velocemente, in bicicletta... percorreva le nostre vie, per correre da casa alla scuola, alla chiesa, a tante altre attività... Perciò nella scuola, come tempio, ella trova il suo posto più degno». 24 25 FINALMENTE LA VIA «Dal 1935 ho conosciuto un’opera, che doveva sorgere e ne ho seguito tutte le traversie, benché Treviso fosse lontano. L’ispiratrice era una professoressa Canossiana, [Maria Oliva Bonaldo] dalle sue superiore sottoposta all’esame di Vescovi, Gesuiti, personalità insigni e da ultimo del Patriarca di Venezia [il Card. Adeodato Piazza], che ne è tutt’ora il Direttore Spirituale. Nel giugno 1938, per la festa del S. Cuore, la Madre venne chiamata a Roma dalla sua Madre Generale per l’inizio dell’Opera. In luglio raggiunsi anch’io le prime quattro sorelle e più tardi se ne aggiunsero altre tre. Ci fermammo in Casa Generalizia [delle Madri Canossiane] per un anno circa, mentre la nostra impareggiabile Madre attendeva alla nostra formazione spirituale e cattolica nel centro della Chiesa. Raccontarle tutto mi è impossibile. La Madonna pensò a tutto, anche nei miei riguardi: mi diede la salute, concesse la rassegnazione a mamma e sorella e largheggiò di grazie visibili nella mia famiglia». Così Olga stessa racconta la svolta decisiva 26 della sua vita, l’inizio degli ultimi cinque anni della sua corsa terrena.1 La voce di Dio diventa chiara ed indica all’anima prescelta la «via stretta» che conduce alla mèta prefissa: un sentiero dove gli ostacoli non mancano, ma sul quale si cammina «incalzàti dall’amore» (S. Paolo, II ai Corinzi 5, 14) e sorretti dalla grazia che tutto può e fa diventare ogni debolezza una invincibile forza: «Di tutto sono capace per l’aiuto di Colui che mi rende forte» (S. Paolo, ai Filippesi 4, 13). Da venti anni la «Professoressa Canossiana» di cui parla Olga, pensava alla devastazione compiuta nel nostro mondo da dottrine sociali senza verità e senz’anima, che ingannano le masse popolari con il miraggio di un illusorio progresso e, ammalata di tubercolosi e senza libertà di azione, chiedeva al Signore anime che si unissero insieme per fare argine alla rovina: chiedeva figlie dell’anima, «Figlie della Chiesa», che è Sposa senza ruga e senza macchia di Gesù Salvatore (S. Paolo, agli Efesini 5,27). 1 Per questo periodo nulla può sostituirsi al racconto delizioso della Fondatrice Maria Oliva Bonaldo: E. F., Serva di Dio Olga della Madre di Dio Figlia della Chiesa, ed. Figlie della Chiesa, Viale Vaticano, 62, Roma, pp. 160. Il libretto fu scritto a edíficazione delle consorelle, per obbedienza all’Em.mo Card. A. G. Piazza, allora Patriarca di Venezia, e, per desiderio del compianto Mons. E. De Laurentis Vescovo di Ischia, diffuso in pubblico. D’ora in poi i brani inclusi tra virgolette senz’altra indicazione si intendono citati da questo libro. 27 Della Madre, Olga aveva sentito parlare da una sua collega maestra e poi da una carissima amica, Maria Zolin, che doveva essere tra le prime Figlie della Chiesa col nome di Maria di Gesù Crocifisso. Olga conobbe Maria nell’estate del 1935 a Tonezza, nella «Casa Alpina S. Cuore» dell’Azione Cattolica, dove Maria era stata inviata per curarsi, dopo aver lasciato una filanda di Vicenza per inabilità al lavoro. Maria, che «conversava con Gesù e la Madonna come in famiglia»2 ritenne di vedere in Olga una giovane che Gesù e Maria le avrebbero indicata come colei che doveva prendere in mano un’opera nella quale Maria stessa sarebbe entrata. Quando la malata, orfana e sola, si trasferì nella sua casetta di Monticello, Olga divenne la sua amica più assidua e si entusiasmava ai discorsi spirituali e «profetici» di Maria. «Faceva l’ora notturna di adorazione - scrive la signora Gugelmo - meditava a lungo, si coricava sempre tardi, sebbene soffrisse dolori fortissimi al capo». In seguito, Olga entrerà nella via regia di Dio, abbandonando i sentieri contorti e rischiosi delle presunte visioni, dei sogni che traggono in errore, come dice la Bibbia: «I sogni hanno sviato molti e 2 rimase defraudato chi aveva posto fiducia in essi» (Ecclesiastico 34, 7). Più che camminare sulle nuvole, le anime di Dio percorrono un sentiero di spine. Di spine, infatti, è la corona del Crocifisso. Il direttore spirituale delle due intime amiche, il Sac. Luigi Moresco, frenò i loro entusiasmi fino al 1938. Nel 1937, Olga si era incontrata con la Madre Canossiana nella «Casa Charitas» di Schio ed aveva avuto con lei un colloquio che l’aveva entusiasmata e decisa ad entrare nella nuovissima opera, scegliendo anche il nome: Olga della Madre di Dio. Il suo itinerario di offerta era ormai segnato. «La piccola opera nascitura già ferveva intorno a lei. Ne aveva parlato a due compagne ed era in relazione col gruppetto di figliole che due eletti Sacerdoti, don Pietro Bergamo e don Gioacchino Scattolon, andavano preparando a Treviso e a Crocetta del Montello. Tutte erano fervide come gemme a primavera». Nella Settimana Santa, a Venezia, Olga fece tre giorni di ritiro con la Madre e le prime figliole, che si riunivano nella cella della Beata Maddalena di Canossa. Cominciavano a formarsi allo spirito della nuova fondazione: «Per creare le anime basta l’Amore, per salvarle ci vuole anche il dolore. Noi per esse “compiremo nella nostra carne ciò che manca alla Passione di Gesù”.3 V. l’opuscoletto di E. F., Olga della Madre di Dio, Roma, 1953. 28 29 Prolungheremo, per amore, il suo dolore. L’essenza della nostra opera è questa. Il resto sarà accidentale, o illusorio». Finalmente Don Luigi Moresco, tre giorni dopo che il Consiglio dell’Istituto Canossiano aveva, alla fine di maggio, acconsentito a un esperimento della nuova fondazione nella Casa Generalizia di Roma, presentò personalmente alla Madre, Olga con altre due compagne: due Marie, una delle quali era la filandaia malata. Il 5 giugno, a Pentecoste, a pochi giorni dalla partenza della Madre per Roma dove doveva dare inizio alla sua opera con le prime quattro figlie, Olga, Odilla e Maria si recarono a Venezia per prendere accordi. La Madre si intrattenne con Olga, alla quale avrebbe voluto affidare la sua opera dopo l’anno di esperimento: «Era tutta espressione e vita; espansione e riserbo. Rapida nei movimenti e facile al raccoglimento; pronta a soprannaturalizzare i più piccoli atti, e attenta a non trascurarne alcuno; idealista all’estremo e pratica di tutto: di affari, di cucina, di bucato. Pareva fatta per la direzione, per il governo». Era suonata l’ora di Dio e l’ora dei supremi distac- 3 S. PAOLO, ai Colossesi 1, 24: «Mi rallegro nelle soffercnze che sostengo per voi e supplisco, nella mia carne, a ciò che manca delle tribolazioni del Cristo, a vantaggio del corpo di lui, che è la Chiesa». 30 chi. La chiamata del Signore era ormai sicura e si faceva urgente la necessaria risposta. Olga tremò: «La mamma! Ci vorrà un miracolo, perché non muoia!». Dopo uno dei suoi soliti giri di apostolato in bicicletta, con un lampo di malizia negli occhi, Olga disse all’improvviso alla mamma: «Mamma, sai che il farmacista mi vorrebbe?». La buona signora ebbe un tuffo al cuore: una sua segreta speranza stava per diventare realtà; e provò lo smarrimento di gioia che provano tutte le madri in queste circostanze. Ma Olga la disilluse subito: « Oh, mamma! Al farmacista sì, mi daresti, al Signore no!». L’alternativa, per una donna di fede come la signora Gugelmo, aveva una sola ovvia soluzione, ma la risposta fu per il momento un chiuso dolore. Il dramma durò quasi due mesi. Al termine dell’anno scolastico, il 18 luglio 1938, Olga abbandonò col cuore stretto la sua casa, la mamma, la carissima sorella Antonietta, e corse a Roma. Le Figlie della Chiesa erano già nate nella Città cuore della Chiesa il 24 giugno, festa del S. Cuore. Durante il viaggio Olga pianse a lungo, ma giunse a Roma felice. A chi le domandava come avesse potuto lasciare la mamma, che era tutto per lei, Olga rispondeva: «Solo per il Signore si possono fare certi sacrifici». E soltanto per il Signore vale la pena di farli. 31 I PRIMI PASSI NELLA GIOIA Il 15 agosto, Olga della Madre di Dio ricevette l’abito bianco delle Postulanti e l’abitino del Carmelo nel parlatorio della Casa Generalizia dei Carmelitani Scalzi, dalle mani del Superiore Generale. Le Figlie della Chiesa nacquero per aggiungere una nuova, viva testimonianza dell’amore della Chiesa per il suo Sposo divino; testimonianza nuova e varia, secondo le inesauribili risorse dell’amore. Gesù Crocifisso è la potenza di Dio per la universale salvezza (cfr. S. Paolo, ai Romani 1, 16), è la testimonianza manifesta e inconfutabile dell’amore del Padre Celeste, del suo Unico Figlio e dello Spirito Santo, per il mondo che ha bisogno di essere riacquistato al cielo. E ai piedi del Crocifisso è la Madre di Gesù e nostra che ama, soffre e si immola col Figlio. Prolungare nel tempo e per amore il dolore di Gesù Crocifisso -dal cui Cuore squarciato è nata la Chiesa- prendere parte alla sua opera di salvezza del mondo presente affinché si compia il mistero nascosto dai secoli in Dio - il mistero della 32 necessaria unità di tutti i creati e di tutti i redenti nella compagine del Corpo Mistico di Cristo (cfr. S. Paolo, agli Elesini 1, 3-14) - è lo scopo delle Figlie della Chiesa. Conoscere e far conoscere la Chiesa, amarla e farla amare, mentre una propaganda di veleno allontana da essa le anime e le masse; lavorare e soffrire per il trionfo della Chiesa, fino al sacrificio della salute e della vita, se è richiesto da Dio, a imitazione di Gesù, che «amò la Chiesa e per essa sacrificò se stesso» (S. Paolo, agli Efesini, 5, 25). Realizzare questo fine senza misurare l’offerta di sé, ispirandosi alla dottrina dell’amore totale di S. Giovanni della Croce e sforzandosi di diventare una «piccola Teresa nella sofferenza dell’apostolato» è l’impegno che ogni Sorella si assume dinnanzi a Dio e alla Chiesa. In un quartierino di via Appia Nuova, O]ga beveva le istruzioni spirituali della Madre. «Tutte abbiamo baciato da bambine, tra le braccia delle nostre mamme, la “Mamma bella“, f i g l i u ole. Al Catechismo, nella scuola, in chiesa, tutte abbiamo imparato a conoscerla ed amarla. Ma solo lo Spirito Santo può farcela conoscere e amare come Mamma: Vita, Dolcezza, Speranza nostra. Così è, figliuole, di un’altra Madre: la Chiesa. Tutte siamo rinate da lei, nel Battesimo. Tutte abbiamo imparato dalla Dottrina Cattolica che ci è Madre. Ma solo lo Spirito Santo può farci esclamare 33 col fuoco di Santa Teresa: “Io sono una figlia della Chiesa“ o con la tenerezza della piccola Teresa: "Io sono una piccola figlia della Chiesa... Amo la Chiesa mia Madre”. Dolcissimo Spirito, rivelaci col tuo dono di Pietà questa tenera Madre, in cui Gesù ci ama e vuole essere teneramente amato. Appassionaci per le sue fibre inferme e morte; per quelle che sono solo ansie dell’Anima sua. Fa’ che siano sanate, vivificate, inserite anch’esse nel suo Corpo, affinché in breve si faccia un solo Corpo Mistico con un solo Cuore in cui noi, come la Piccola Teresa, vogliamo essere l’amore». Roma faceva impazzire di gioia le piccole Figlie della Chiesa. Strette in breve spazio - un nido poverissime fino a possedere meno di niente, la Capitale della Chiesa offriva loro le più sfolgoranti ricchezze dello spirito: le Catacombe, le Basiliche, i solenni riti della chiesa di Occidente e di Oriente, i sepolcri e le memorie dei Martiri e dei Santi, il Pastore di tutte le anime e la sua casa, dove «il piccolo gregge» si muoveva come in casa propria. Olga era la prima a sfaccendare, a organizzare trattenimenti spirituali, senza pesare su nessuna, portando nel cuore e sulle braccia il peso delle dolci sorelle. A vederle, si capiva subito che erano davvero e profondamente sorelle, «in esultanza e semplicità di cuore... un cuore solo e un’anima sola » come i fedeli della primavera della Chiesa 34 (Atti degli Apostoli 2, 46; 4, 32), esse che erano la primavera di una nuova fioritura di anime nella Chiesa di Dio sempre viva e sempre in fiore. Olga assimilava avidamente lo spirito di gioia e di fuoco della sua vocazione, che doveva avvincerla al Cristo. Gli inizi della Congregazione erano, come tutti gli inizi, pieni di entusiasmo e di difficoltà. In un periodo di assenza della Madre, la Superiora Generale delle Canossiane, preoccupata e perplessa, disse un giorno al gruppetto: «La vostra opera non va, figliole. È un punto interrogativo. Se volete essere Canossiane, vi accetto tutte». Olga rispose a nome delle sorelle: «È proprio adesso che va, Madre. Le prove sono il sigillo della Madonna». E, per tutte, rifiutò la generosa offerta. Le difficoltà esterne - erano senza mezzi e senza appoggi - affinavano lo spirito: la preghiera continua e intensa soffiava nel fuoco dell’amore. L’amore che, al cospetto di Dio, vale più d’ogni altra cosa che in qualunque modo possa essere giudicata più utile e preziosa. Perché l’amore è lo spiegamento di tutte le risorse della creatura umana e, con la grazia, è la forza che muove il mondo: l’amore che si nutre di contemplazione e di silenzio, prima di abbandonarsi con sicurezza all’azione. Attivissima, Olga era anche intentissima al silenzio: «Ne percepì fin da principio l’importanza non solo come mortificazione, moderazione ed elevazio35 ne dell’istinto sociale, ma come risposta all’esigenza dell’Amore che per accendere il cuore della sua creatura, lo vuol trovare solo e occupato solo di Lui. Su questo punto, la virtuosa figliola era rigida con sé, con le sorelle, con tutti. Nei tempi e nei luoghi di silenzio, una piccola croce del pollice sulle labbra e il lampeggiar di un sorriso, era la risposta a chi, per inavvertenza, le rivolgeva la parola, o, se le sfuggiva una sillaba, con lo slancio della persona, simile a un colpo d’ala, richiamava anche le altre al dovere dell’osservanza e faceva pensare al cielo. Una sera la sorpresi in ginocchio, in un profluvio di lagrime, presso il suo letto. Maria dell’Immacolata, venuta da poco ad ingrossare la famigliola, le aveva portato il profumo inconfondibile della terra vicentina e l’eco dolcissima della cara voce materna. Al mio apparire sorrise di vergogna e mi mostrò la corona del Rosario, per assicurarmi che avrebbe vinto». Le scarse, quasi ridicole riserve finanziarie del «piccolo gregge», andavano frattanto esaurendosi e l’inevitabile peso della materia sullo spirito minacciava di disperdere le Figlie della Chiesa. Dovettero pensare a guadagnarsi da vivere. Chi voleva andare a servizio, chi a questuare, chi si offriva di... morire di fame! Si ripiegò su un rimedio meno eroico: vendere carta da lettere con l’immagine della Madonna del Grappa. Fu Olga che 36 riuscì a trovare una tipografia disposta a stampare a credito. Le sorelle partivano a coppie la mattina, dopo due ore di preghiera, e tornavano a mezzodì dopo mezz’ora di adorazione in una Basilica. Si rivolgevano con la tenera aggressività dei figli di Dio a tutti: impiegati dei ministeri, militari, agenti di polizia e monsignori. Non tutti disarmavano, c’erano gli indifferenti e gli sgarbati, ma molti acquistavano la carta, aiutavano le sorelle a venderla, s’interessavano di cose spirituali. Una volta un agente di polizia in borghese accompagnò minaccioso Olga e la sua compagna al tram affinché riprendessero la via di casa: il bello era che Olga non aveva raggranellato nemmeno i soldi del biglietto. Ma chi poteva insidiare la pace e la gioia del cuore? Chi poteva spegnere l’entusiasmo? Soltanto quando si è privi di tutto si ha la sensazione di essere padroni del mondo. 37 L’OFFERTA DI SÉ A un certo momento, la Madre dovette ritornare nel Veneto con le sue figlie, per ritentare l’esperimento che non si voleva far continuare a Roma. A Roma rimasero soltanto Olga e un’altra sorella per mantenere la posizione, difese dall’amore e dalla povertà. Le otto prime Figlie della Chiesa erano disperse: tre senza famiglia e senza lavoro, ospiti delle altre; una prestava servizio dove capitava, per avere un letto la sera. Il 28 febbraio, Olga scriveva da Roma: «Ci sono tante necessità per la vita ed ancor più per un’Opera nascente e bisogna lavorare: il tempo è prezioso e la nostra cara Madre ci insegna a sfruttarlo. Del resto le Figlie della Chiesa devono essere sempre in moto, spiritualmente, quali goccioline di sangue che dal cuore (il Papa) corrono per le arterie (i sacerdoti) fino alle più piccole membra, fisicamente, perché devono guadagnarsi il pane col lavoro. Contemplative nello spirito e attivissime nelle occupazioni. Uno dei segreti che facilita questi scopi è il silenzio e tutte vediamo quanto sia efficace, quantunque non siamo in questo perfette. Immagino anche tutto il suo dolore per il grande lutto della Chiesa:1 è stata veramente una grande perdita che noi abbiamo sentita vivamente seguendo col cuore questi momenti romani. Da domani comincerà la trepida attesa del nuovo Cristo in terra... il Signore esaudisca le preghiere di tutto il mondo e ci dia il Pontefice secondo il suo cuore!2 Noi confidiamo in attesa della sua volontà che segnerà anche per la nostra opera una svolta decisiva, quantunque ora non ci occorre nulla per il momento poiché il Signore ci ha favorito anche troppo». La domenica degli Olivi del 1939, dopo una iniziale resistenza, il Vescovo di Treviso si decise ad accogliere lo sparuto gruppo delle emigranti del Signore e consegnò alla Madre le chiavi di una squallida casetta attigua alla chiesa di S. Stefano. Il sabato santo fu così iniziata a Treviso la prima fondazione. Olga, che nel marzo aveva seguito temporaneamente la Madre, così ne parla: «Ci trovammo riunite nel pomeriggio nella casa ancora non rigovernata del tutto, con quattro letti (eravamo in nove), una tavola e una sedia. Nonostante la povertà, la gioia non mancava, ma la Provvidenza 1 2 38 Il 10 febbraio 1939 era morto Pio XI. Pio XII fu eletto il 2 marzo. 39 non volle lasciarcela gustare del tutto e prima di sera arrivò un camion-rimorchio con tutta la mobilia di una casa signorile, che una generosa Professoressa ci regalava. Il Signore la ricompensò dandole la vocazione e facendola entrare per la festa di Cristo Re tra le Figlie della Chiesa». La gente le conosceva come le Suorine sempre sorridenti, sempre in preghiera e sempre povere. Inattesi e imprevedibili doni che giungevano sempre al momento giusto, nella qualità e quantità necessaria, turavano le falle di una economia inesistente. Gesù non ci ha forse sfidati ad aver fede nella Provvidenza del Padre celeste? «Ecco perchè vi dico: non vi affannate per la vostra vita, di quel che mangerete e di quel che berrete, né per il vostro corpo, di che vi vestirete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano né mietono né raccolgono in granai, eppure il Padre vostro celeste li nutre! Non valete, voi, più di essi?... E per il vestito, di che vi affannate? Osservate i gigli del campo, come crescono: non lavorano né filano, ma vi dico che neppure Salomone, in tutta la sua gloria, fu mai vestito come uno di essi. Se, dunque, Dio veste così l’erba del campo, che oggi è e domani si butta al forno, quanto di più farà per voi, gente di poca fede? Non v’affannate, dunque, e non dite: “Che cosa mangeremo?” o “Che cosa berremo?” 40 o “Di che ci vestiremo?”. Di tutto questo si preoccupano i pagani, ma il vostro Padre celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saran date in più» (Matteo 6, 25-33). Come una buona sorella maggiore Olga si dava da fare in ogni cosa e in ogni momento. L’ora più attesa era il mezzogiorno, quando alla porta della poverissima casa bussavano i poveri: «i Gesù», dicevano le Suorine, perché Gesù ha detto: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; sono stato forestiero e mi avete accolto; nudo e mi avete ricoperto; ...ogni volta che avete fatto questo al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me» (Matteo 25, 35-40). La Madre racconta: «Olga scendeva di volo con le scodelle fumanti, recitava l’Angelus sotto il bassorilievo dell’ingresso e distribuiva minestre e sorrisi. Poi spiegava un po’ di catechismo ai bambini; parlava del Paradiso ai vecchi; esortava tutti a confidare nella Madonna e li accomiatava a uno a uno, con un “arrivederci cari; la Madonna vi benedica” che dava anche ai più scontrosi l’impressione di avere una famiglia. Come risaliva felice se, per accontentare qualche ritardatario, era riuscita a svuotare la sua scodella, e a riempirla d’acqua al secchiaio!». 41 Il 25 aprile Olga tornò a Roma per continuare il corso di infermiera, che aveva iniziato presso la scuola del Sovrano Ordine di Malta. In viaggio, ebbe una piccola avventura, che superò con ingenua buona fede: sul treno per Roma, «a metà strada tra Bologna e Firenze si presentano un capo e un milite ferroviario: consegnamo i biglietti, li guardano e domandano le richieste; avviene quello che si temeva. Il biglietto con la riduzione del 70 per cento non permetteva di viaggiare in direttissimo. L’interessata era invitata a scendere a Firenze per ripartire alle 7 ed arrivare a mezzanotte, mentre l’altra, fortunata, poteva proseguire. Si pensava già al contrattempo della fermata fiorentina, all’aumento della stanchezza, al riposo diminuito sul letto che ci attendeva, quando, la vista del milite, che ripassava lungo il corridoio, ha suscitato una ispirazione. Sono andata da lui per pregarlo di fare un’eccezione; ho detto che a Roma all’Ufficio Informazioni mi avevano permesso di viaggiare in diretto, che a Padova ero salita sul diretto e che io non sapevo che a Bologna diventasse direttissimo, che al mattino dovevo andare presso il “Sovrano Ordine di Malta” e che ciò non sarebbe stato possibile se arrivavo stanca a mezzanotte. Il milite mi guardava un po’ impietosito e poi mi ha risposto che lui non poteva concedermelo, che a Firenze sarebbe sceso con il capo controllore e che se io volevo 42 tentare col rischio di dover pagare la differenza, lo facessi. Ero mezza convinta e, ritornata nello scompartimento abbiamo discussa la questione e perfino levato i biglietti col sì e no. Tutto era per la discesa. A Prato abbiamo preparato la valigia, ma la Madonna è tornata in aiuto. Il milite ripassando e vedendoci disposte a scendere ha detto: - Non tentate di proseguire? Va bene che ci sono ancora 316 km., ma insomma!... Allora abbiamo presa la risoluzione di confidare nel S. Cuore e nella Vergine. Ci siamo proposte di restare in perfetto silenzio fino a Roma, di pregare e studiare. E per questo ci siamo fermate nello scompartimento vicino all’uscita, senza più ritornare con le buone signore di prima. Eravamo disposte e a qualsiasi eventuale discesa, serene e tranquille. Verso le 6 vado a lavarmi ed a pettinarmi adagio adagio sperando che intanto passasse il controllore e Maria mostrasse soltanto il suo biglietto. Quando ritorno vedo due capotreno fermi davanti al nostro scompartimento che sembrano attendermi. Fra me penso: ci siamo. Vado al posto, prendo con flemma la borsetta, mostro il biglietto e loro non lo guardano e vanno via. Respiro un’altra volta e Maria mi informa poi che erano passati e ripassati guardando dentro, ma senza chieder nulla. Alle 6 si presenta davvero il controllore: consegno il biglietto della Maria con 43 la relativa richiesta e tutto va bene; il mio lo unisco non alla richiesta traditrice, ma alla tessera Famiglie Caduti: lui guarda, la gira e rigira, poi mi consegna tutto senza parlare. Il S. Cuore e la Madonna avevano vinto! Prima di scendere ci siamo recate a salutare le signore, sorprese di non averci visto prima e felici con noi della buona riuscita». Dal 1° al 27 maggio Olga dovette essere ricoverata nell’ospedale di S. Giovanni in Laterano, in una sala comune, per un ascesso. Subì l’operazione senza anestesia; le raschiature e le medicazioni dolorosissime non le strappavano un lamento, perché soffrire era la vocazione di una Figlia della Chiesa. Di questi dolori ebbe a scrivere a un’amica maestra come di grazie e di gioie particolari, in modo che la collega non immaginò minimamente che si trattasse, invece, di acute sofferenze. Nell’ospedale fu seminatrice di serenità. Parlava a tutti della Madre, delle Sorelle, della visibile protezione della Madonna per il «piccolo gregge»; travolse nel suo entusiasmo e avvolse nella sua pace le malate, le infermiere, i medici, le Suore e il cappellano dell’ospedale. Da S. Stefano di Treviso, Olga con semplicità e audacia esemplarmente filiali scriveva al Papa a nome delle Sorelle: 44 Festa dell’Assunta 1939 Beatissimo Padre! Nella luce radiosa dell’Immacolata Assunta, di cui la Chiesa oggi canta il trionfo, sentiamo il desiderio di umiliarci al Padre comune con filiale confidenza. Siamo un piccolo gruppo di otto sorelle che ci prepariamo a compiere la volontà di Dio con la guida illuminata di una Madre buona. «Figlie della Chiesa» è il nome della nostra Associazione che si propone di amare più intensamente la Chiesa vivendo e facendo vivere il mistero della nostra incorporazione a Cristo. Il S. Cuore ha disposto che l’Opera sorgesse a Roma proprio nella Sua festa, il 24 giugno 1938, e che le prime Figlie della Chiesa vivessero con la Chiesa, loro Madre, gli straordinari avvenimenti di quest’anno. In Pasqua fu aperto il noviziato nella Parrocchia di S. Nicolò a Treviso, ove le Figlie della Chiesa svolgono la loro attività, come sbocco della vita contemplativa ch’esse conducono, aiutando i Sacerdoti nella formazione delle apostole laiche, secondo le direttive della Chiesa. Ma la nostra Rev.da Madre sospira sempre Roma: noi lo scorgiamo anche attraverso la sua abituale serenità. 45 E, pare impossibile, solo a Roma la sua salute gracilissima rifiorisce. Non è questo un segno che il Signore ci vuole ancora nel cuore della Chiesa? S. Em. Rev.ma il Vostro Cardinal Vicario ci aveva già offerto, per mezzo del Suo Visitatore Apostolico, Padre Lazzaro D’Arbonne, una possibilità di sistemazione iniziale presso il Santuario della Madonna del Divino Amore. Ma la nostra indegnità ha mandato a vuoto il progetto. Ciò non ci scoraggia; perché proprio «delle cose ignobili e di quelle che non sono»3 Gesù si serve per la Sua gloria. E Vostra Santità non è forse il dolce Gesù in terra? A Voi Santo Padre nulla è impossibile. Sulla tomba di Pio X noi spingiamo i nostri desideri fino all’estremo e affidiamo tutte le nostre speranze alla Sua prediletta Madonna. E stringendoci insieme ai Vostri S.S. Piedi imploriamo l’apostolica benedizione. In Sanguine Agni umil.me e dev.me «Figlie della Chiesa» 3 «Ciò che è stolto per il mondo, Iddio lo scelse per confondere i sapienti; e ciò che per il mondo è debole, Iddio lo scelse per confondere quello che è forte; scelse ciò che per il mondo non ha nobiltà e valore, ciò che non esiste, per ridurre al nulla ciò che esiste, affinché nessuna creatura possa vantarsi dinanzi a Dio » (S. Paolo, I ai Corinzi 1, 27-29). 46 Durante l’anno scolastico 1939-1940, dopo un anno di aspettativa, Olga riprese l’insegnamento nel suo paese natio per procurare un aiuto finanziario alle Sorelle. Dalla casetta di Treviso scappava in fretta il lunedì per recarsi a Poiana e smetteva la veste e il velo bianco per indossare un vestito laico fuori uso: da «mezzo-signorina», diceva. Portava con sé due valigione vuote, che al suo ritorno, dopo quindici giorni, riportava alle Sorelle piene di ogni ben di Dio. A Poiana, la comparsa di Olga suscitò meraviglia e commenti. Che cosa stava succedendo? Aveva lasciato il convento? Era suora o signorina? «Sono come le rane - rispondeva Olga con un sorriso - ora dentro ora fuori dell’acqua». Si rideva di lei. I colleghi non la vedevano di buon occhio: perché toglieva il pane a chi doveva mantenere una famiglia? Non sapevano che anche Olga aveva una famiglia da mantenere per la sua parte. La lontananza delle Sorelle le pesava fino allo spasimo. Non resistendo più a queste pene se ne era sfogata con un sacerdote, ma stracciò la lettera. «Confidò più tardi a una sorella, poco risoluta nei distacchi del cuore, le sue battaglie. Sì, aveva ingoiato molte lagrime a ogni separazione da noi; ne aveva compresse molte sotto violenti sorrisi, per nascondere il suo dolore alla mamma; si era sentita gelare e amareggiare da 47 quegli interrogativi che avevano gettato il ridicolo sulla sua persona e il discredito sull’opera, cuore del suo cuore; ma poi aveva respirato come in alta montagna. Oh, che respiro pieno, largo, benedetto! E si era trovata “col mondo sotto i piedi”, come Santa Teresa. Che senso di sollievo, di liberazione!». Nonostante tutto, Olga proseguiva nel suo cammino stretta alla Croce, fra le braccia della Madre gaudiosa e dolorosa di Gesù. Il 20 gennaio 1940, si ebbe bisogno di un permesso per ottenere che la Madre, sempre Canossiana, potesse ancora restare alla direzione delle Figlie della Chiesa. Toccò ad Olga esprimere al Vescovo di Treviso l’ansia delle sorelle e chiedere al Presule una raccomandazione: «Il pensiero che, senza questo permesso, la nostra Madre potrebbe esserci tolta ci getta nella più dolorosa costernazione. Entrando nell’Opera avevamo la certezza ch’ella sarebbe rimasta sempre con noi. Avvalorava questa persuasione il fatto che altri istituti avevano dato qualche loro elemento per la formazione e la direzione di opere nuove, e questo non per un breve, ma per un lunghissimo periodo di tempo. Il Visitatore Apostolico stesso in più occasioni ripetè la frase: “Per l’Opera non due anni sarebbero bastati, ma quaranta, anzi tutta la vita della Suora sarebbe 48 stata necessaria”. E infatti anche noi abbiamo la più ferma convinzione che la presenza della Madre sia indispensabile per la nostra formazione spirituale e religiosa, convinzione sempre più accresciuta dall’esperienza quotidiana e dalle stesse condizioni fisiche della Madre, la quale, sempre un po’ sofferente, è per noi scuola altissima di perfezione nel dolore... Infine la sua direzione è insostituibile anche nei riguardi delle attività esterne che necessariamente nell’Opera nuova vanno prendendo stabile fisonomia un po’ alla volta e per questo non si richiede meno delle doti d’intelletto e di organizzazione di cui la Madre è stata largamente fornita. Per tutti questi motivi invocano da Vostra Eccellenza la raccomandazione di cui sopra, le figliole straziate al solo dubbio di perdere la loro amatissima Mamma e che confidano nella paterna bontà dell’Eccellenza Vostra per un valido aiuto; non sarebbe davvero inumano che la Mamma fosse strappata alle figlie lasciandole orfane prima ancora che siano giunte alla vita?». Dopo un corso di esercizi spirituali a Santo Stefano di Treviso predicato dall’Arciprete di Poiana, il 4 agosto 1940 Olga pronunziò i suoi voti con altre otto sorelle che da un anno circa convivevano in letizia e povertà come Figlie della Chiesa. Si trattò allora, e per Olga fino alla fine, di voti 49 privati, perché la Congregazione delle Figlie della Chiesa fu canonicamente eretta soltanto il 21 aprile 1946. Sul letto di morte Olga sospirerà: «Ah, io muoio e dopo verrà l’approvazione». Il corso di esercizi ebbe come argomento un tema fondamentale nella spiritualità delle Figlie della Chiesa: la nostra incorporazione a Cristo. Tra gli appunti spirituali di Olga si trovano le seguenti osservazioni sui voti, ispirate alle istruzioni della Madre e scritte nel 1941: «Voto di obbedienza - Le Figlie della Chiesa obbediranno come Gesù fino alla morte, senza ragionanenti, senza repliche, generosamente, cattolicamente. - Abbandoneranno la cura del proprio corpo alla Madre come bambine, disinteressandosi di medici, di medicine, delle loro stesse malattie con un rigoroso silenzio. - Abbandoneranno la cura del proprio spirito al confessore per le cose di coscienza e alla Madre per la regolare osservanza sapendo far senza del loro aiuto quando il Signore lo volesse, e lietamente. Voto di povertà - Non potranno possedere nulla, né usare della minima cosa senza permesso. - Dovranno fare vita comune per il cibo, il riposo, il vestito, e metteranno tutto in comune. Voto di castità 50 - Non si permetteranno assolutamente amicizie particolari, dimostrazioni particolari di affetto, simpatie per una casa piuttosto che per un’altra. —Non faranno neppure il bene senza permesso perché solo chi obbedisce opera con purezza e ha Dio con sé. Voto di carità - Si ameranno soprannaturalmente e non si accuseranno mai reciprocamente». «Mi manca il tempo, -scriveva Olga a un’amica il 15 agosto- per descriverti le delicatezze squisite che in quel giorno - il giorno dei voti - ebbe per noi lo Sposo divino. Ora siamo inchiodate sulla croce e bisogna filar dritto». L’emozione profonda e la gioia inenarrabile del momento in cui un’anima, sulle ali della grazia, formula la decisa e precisa volontà di consacrarsi totalmente a Dio rinunziando a tutto per guadagnare soltanto Lui, sfuggono alla umana misura e sfidano ogni capacità di descrizione. È il momento in cui muoiono le parole, e lo Spirito Santo «intercede per noi con gemiti inesprimibili, e colui che scruta i cuori sa qual è il desiderio dello Spirito» (S. Paolo ai Romani 8, 26-27). È il momento in cui Dio manda «lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, il quale grida: Abba, Padre» (S. Paolo, ai Galati 4, 6). 51 LA CASETTA FRA LE ROSE La vigilia dell’Assunta del 1940, ai primi Vespri, le Figlie della Chiesa avevano aperto a Bavaria del Montello la seconda casa fuori di Roma, col titolo «Sancta Virgo Virginum». Si incominciò, infatti, a dare ad ogni casa un titolo delle Litanie Lauretane, come a enumerare i doni preziosi della Madre di Gesù. «Sancta Maria» era la casa di Roma, «Sancta Dei genitrix» era quella di S. Stefano a Treviso. Il I° novembre fu la volta di una quarta casa, «Mater Christi», a Carpenedo di Mestre, trasferita il 21 successivo a Mestre. Il 2 novembre Olga, alla quale la Madre affidava la guida delle Sorelle di Mater Christi, faceva la cronaca della inaugurazione. Dopo aver ricevuto a Venezia la benedizione del Patriarca e il dono di una sua fotografia accanto alla statua di S. Teresa del Bambino Gesù nel Carmelo di Lisieux, scattata dalla sorella di S. Teresa, Celina, la Madre e le figlie si recano al loro «Piccolo Carmelo»: «Siamo in un ambiente signorile anche troppo: quindi bisogna saper conciliare l’ambiente con la santa povertà». 52 La fondazione era destinata ad accogliere studenti e ad essere casa di ritiro: «Il bello sta nell’attirare le studenti - dice Olga - e intanto noi dobbiamo studiare tutti i mezzi per guadagnarci il Panem quotidianum». Il Piccolo Carmelo era anche definito: «l’università al verde». Olga dovette fare la cuoca senza focolare e la dispensiera senza stoviglie. La guerra imperversava: «Preghiamo sempre per la pace unite al S. Padre così profondamente afflitto nella sua infinita carità. Dimenticarci, pregare e immolarci, ecco la nostra vita». Sulla casa vegliava la Madonna del Sorriso, per consolare Olga della freddezza che la circondava. Racconta la Madre: «A Mestre nessuno ci aveva chiamate e nessuno aveva bisogno di noi. Mater Christi nata fra le rose, col paterno incoraggiamento di Sua Eminenza il Cardinale Patriarca, era troppo fuori mano, e solo i poveri e i piccoli sfrattati vi accorrevano fedeli sul mezzodì, per riscaldarsi lo stomaco. L’apostolato catechistico attecchiva a stento. Negli spiazzi erbosi fra le nuove case operaie agglomerate verso il Porto di Marghera, i ragazzi schiamazzavano abbandonati. Olga se ne trascinava sempre dietro una frotta e dopo una preghiera alla Madonna del Sorriso e una esortazione a fuggire il peccato, li lasciava andare con una immagine, una medaglia, 53 un ardente invito al Catechismo domenicale in Parrocchia in cui il suo zelo trovava, almeno settimanalmente, sfogo e compenso. Anche l’apostolato liturgico aveva poca presa nelle volubili studenti attratte dall’ambientino distinto, dalla suora candida e gaudiosa che accorreva al cancello ad accoglierle. Tra una folata di chiasso e l’altra, Olga riusciva a trattenerle col Messale, il Mariale, l’Ufficio Divino, la Pastorale dell’Eminentissimo Patriarca, l’Enciclica del dolce Gesù in terra, o col Canto gregoriano della Sorella. Ma il gruppo disorganizzato si disperdeva nelle vacanze. Di collaborazione all’Azione Cattolica non aveva potuto nemmeno far cenno, perché timori e preconcetti sbarravano il passo. Rimanevano gli afflitti da consolare, e i morti da vegliare. Parve meno contrastata quest’ultima opera di misericordia spirituale, e Mater Christi vicina alla cella mortuaria dell’ospedale, si distinse... per l’apostolato dei morti! Le astratte sorelle, occupate solo di studio, si accorsero una sera che la sua faccia era livida livida. Mi aveva strappato il permesso di fare da sola il bucato, ed era stata china sulla vasca da bagno dal mattino fino a quell’ora, in una stanza umida e gelida a tramontana. Si affievolivano i tocchi della solita funzione serale. La generosa figliola indossò la sopravveste, si velò, uscì respingendo una Sorella 54 che voleva sostituirla e scomparve fra la nebbia. Parlando in seguito delle grazie di cui tratta S. Giovanni della Croce nel “Cantico spirituale” per animare una Sorella al sacrificio, le confidò che Gesù, quella sera, le aveva toccato il cuore col fuoco e che ne era rimasta inebriata per otto giorni. Le Sorelle spettatrici di queste accensioni la soprannominarono burlescamente Santa Caterina da Mestre, ma chissà quante piccole e grandi virtù nascose, con lo splendore del suo volto illuminato dall’interno! Chissà quanto lottò con la sua sensibilità in quel primo anno di fondazione che, per gli insuccessi nell’apostolato, le fece perdere, apparentemente, il primo posto nel mio cuore. Tutte unanimi infatti, nel designare le mie tre predilette, ravvisarono San Giovanni in Maria del Divino Amore, San Pietro in Gina di Santa Teresa del Bambino Gesù e San Giacomo in lei: il meno amante, il meno zelante dei tre. Non più il primato di amore, dunque! Né più il primato di zelo! Chi pensava allora che San Giacomo ebbe il primato del martirio?». Il 4 febbraio 1941 Olga scriveva una stupenda lettera alla Madre, indice della sua alta temperatura spirituale: «Con Lei devo sfogare la piena del mio cuore che arde dell’Amore di Gesù: sento che devo tutto ciò alla Mamma Immacolata e a Lei, Mamma mia nel Signore, che l’ha sospirato ed invocato per me. Saprò dirle tutto quello che ho 55 dentro? Non so: mi provo e Lei con l’intuizione delle mamme indovinerà il resto. Non sono più i “tocchi” deliziosi, ma misurati... è una fiamma più intima, più profonda, più larga che dilata il cuore e l’anima, sciogliendoli e trasfondendo una nuova vita non solo interiore, ma anche fisica. Fantasie? Non credo, perché succedono quasi sempre a sofferenze fisiche o morali. O benedetta Ottava per l’Unità 1941! È passata con l’influenza e le lotte interiori, ma chi può misurare il bene immenso che ora godo? Domenica Gesù si è sollevato dal fondo dell’anima mia, ha calmato i venti e la tempesta, proprio nella festa della Mamma comune. Da allora non sono più io, ma è Lui che vive in me.1 Questo fuoco mi ha risvegliato più volte anche questa notte e mi cantava nell’anima qualcosa di Paradiso. Ho capito l’anelito di S. Teresina: “morir d’amore”: mi dà questo permesso o Mamma dolcissima? Gesù vuole però un’altra cosa: che io giunga ad amare e a desiderare il disprezzo. Ne sono tanto lontana, Lei lo sa bene, ma l’Amore, la Madonna e lei, Mamma mia, ci penseranno. Non è vero? La prego di tener segreta questa mia con le Sorelle perché certe cose a Mamma sola è dato il conoscerle... Chiudo con le parole del Salmo che questa mattina ha illuminato l’anima mia di nuova luce: “Cantate Domino canticum novum; cantate Domino omnis terra”,2 e avanti fino all’invito cattolico. che tutti i fratelli del mondo conoscano l’Amore e da Lui si lascino reggere. Che cosa è il mio debole anelito vicino al suo, Mamma carissima? Ebbene permetta che io preghi col suo cuore e Lei ringrazi e magnifichi per me, miserabile ma felice, il Signore e la Vergine Immacolata. Nella Carità infinita, sua aff.ma Olga d.M d.D.» 1 2 S.Paolo, ai Galati 2,20: «Sono crocifisso con Cristo; e non più io vivo, ma Cristo vive in me». 56 Non mancavano, in quei giorni, le apprensioni per la guerra che aveva raggiunto anche la famiglia di Olga, la quale aveva già subito le tristissime conseguenze della prima guerra mondiale con la perdita del papà. Il 18 febbraio 1941 scriveva: «Giovedì p. v. ci saranno a Lonigo le nozze di mio fratello che porterà la sposa a Taranto in mezzo al pericolo. Mamma tentò di arrestare per il momento il matrimonio, ma invano: l’amore acceca. Raccomando «Cantate al Signore un canto nuovo, canti al Signore tutta la terra». 57 a te e Mamma tua la zia e gli sposi perché abbiano a fondare una famiglia cristiana. L’altro mio fratello richiamato è a Lussimpiccolo in un’isola dell’Adriatico e in questi giorni tornerà in licenza. Mamma dev’essere disfatta da tanti pensieri; mi scrive: voi siete sole a godere la pace in tanta tempesta, come l’Arca di Noè nel diluvio. Mia sorella ci invidia e non vede l’ora di venire a trovarci al Carmelo». La consacrazione al Signore non inaridisce i naturali e legittimi affetti, anzi, purificandoli, li approfondisce e li fa più autentici e vivi. Del marzo successivo sono questi pensieri: «Vogliamo trovare l’Amore di Gesù, lasciarci possedere, trasformare, diventare sue piccole vittime. E per questo dobbiamo abbracciare la Croce, stenderci su di essa, “compiere ciò che manca alla Passione di Cristo” desiderando che Egli soffra in noi. Abbiamo capito che le parole sono belle, ma che non accontentano lo Sposo Divino: ci vogliono le opere in pratica, occorre morire ogni giorno alla nostra volontà, ai nostri attacchi, alle nostre idee. C’è bisogno di vittime non a parole, ma che agiscono; occorre il nostro sangue, quello del cuore e siamo generose. Bisogna morire per dar frutto, ebbene lasciamo morire la natura che desidera la salute, i comodi, le consolazioni. L’Amore si conquista attraverso la Croce ed è un dono ine58 stimabile: amar Dio vuol dire abbandonarsi tutte a Lui, non volere più nulla. Egli ricambierà con le sue dolcezze ineffabili che sono sulla terra un’anticipazione del Paradiso». Alla zia, che aveva subito una grave e dolorosissima operazione chirurgica, raccomandava: «Abbandoniamoci al Signore che conosce il fine di ogni cosa; intanto ti fa una grazia grande: ti domanda a prestito la tua guancia per continuare a soffrire e salvare anime. Guarda che è proprio così e devi andare superba di tanto onore... Approfitta il più possibile dei dolori presenti che il Signore tramuterà in gemme preziose per la tua corona immortale. Siamo al mondo per conoscere il buon Dio e per amarlo. Nella sofferenza l’amore si purifica e si raffina. Disse il Signore a quella santa Suora spagnola: “Vivi con me come Io vivo con te. Nasconditi in me come Io mi nascondo in te. Tutti e due noi ci consoleremo a vicenda, perché la tua sofferenza sarà la mia e la mia sofferenza sarà la tua”. “L’anima che ama desidera soffrire; la sofferenza aumenta l’amore”. “L’amore e la sofferenza uniscono strettamente l’anima al suo Dio e la rendono una stessa cosa con Lui”. Gioisci dunque di essere stesa sulla Croce con Gesù e vedrai che più l’amerai più facile troverai ogni cosa». Mancavano allora esattamente due anni alla manifestazione della croce di Olga, che la grazia faceva progredire con dolcissima violenza. 59 UN ANNO DI FUOCO Dopo aver trascorso a Roma il mese di giugno del 1941, Olga si preparava a un anno memorabile della sua vita. Nel giorno della festa del Cuore Purissimo di Maria, partì con la Madre e un’altra sorella per un viaggio allora, in tempo di guerra, avventuroso. Doveva raggiungere Ischia per una nuova fondazione: un’altra esperienza che avrebbe dovuto sempre meglio prepararla ad assumere un giorno la direzione di tutte le Figlie della Chiesa. Erano aspettate dal piissimo Vescovo Mons. De Laurentis e da Mons. Ciro Scotti, Vicario generale, poi morto in concetto di santità, che la Madre aveva conosciuto durante l’apostolato tra i soldati delle retrovie venete durante la guerra del 1916-1918. Olga così descrisse le impressioni «liriche comiche - tragiche - mistiche - stupefacenti» del viaggio: «Fino a Napoli abbastanza bene, nonostante l’ora calda. Abbiamo ceduto anche il posto a due poveri soldati che dormivano in piedi... A Napoli siamo scese in una magnifica stazione e abbiamo 60 preso un cestino (all’albergo - L. 14) e ivi consumato placidamente. Causa il razionamento non c’era la pasta asciutta, ma pollo arrosto eccellente... Poi nella stazione sotterranea abbiamo atteso il treno per Montesanto (L. 0.50), ma non vi dico la sorpresa. Alla seconda fermata si doveva scendere e si correva sempre all’oscuro nel sotterraneo. Il treno si ferma; inconvulsate scendiamo e una debole lampada illumina una scala; ci mettiamo a salire e finita quella ecco un’altra, ma un po’ strana: è la scala mobile. Un signore ci invita a mettere i piedi sul primo gradino ed ecco che si sale, si sale lungo il pendio inclinato fino a raggiungere un pianerottolo. Ora, basta fare un passo e trovarsi sul solido: Mamma spicca invece un salto grazioso e poi, ridi a più non posso. Il signore che ci seguiva si divertiva anche lui e attendeva la sorpresa dello svolto: un’altra scala mobile più lunga ci sta davanti e bisogna salire. Poi si passa alla stazione Cumana, ma non vi dico la sporcizia e la fatica di Ercole per avere il biglietto che ci è costato un’ora di attesa e da parte mia una stretta furibonda del corpo mistico napoletano. Se sentiste il gergo! non si capisce una parola... Poi alle 3.30 il treno sotterraneo a tratti, che porta a Baia lungo il mare, un mare azzurro incantevole che unisce alla Madonna, al Cielo. A Baia si approda sul vaporetto e alle 5 si parte. Un’ora e mezzo di traversata meravigliosa: il mare incre61 spato, di un azzurro sempre più cupo, ristora, delizia, eleva; si profila Procida stupenda e poi Ischia incantevole. Al Porto dell’Isola si scende davanti ad una Chiesa bianca, la prima che troviamo aperta. Felicita Scotti ci accoglie allo sbarco; è riservata, ma molto caruccia e ci porta in Chiesa, forse la più bella dell’Isola. La pala dell’Altare Maggiore ha l’Assunta con le braccia aperte e abbiamo l’impressione che ci dica: “Venite, venite!”. L’invito lusinghiero ci seduce e ci infonde la speranza della “fundatio”. Con Felicita c’incamminiamo da Porto (una Parrocchia) per Ischia centro; attraversiamo una pineta stupenda; l’aria è leggera, pura e Mamma si ristora. Incontriamo la Presidente Diocesana (Felicita è la vice) avvertita pure da Mr. Scotti e sentiamo tutta l’ammirazione per lui e per il santo Vescovo. Arriviamo in un altro centro e ci fanno vedere la casa che propongono alle Figlie della Chiesa: due stanze larghe, in vista del mare... Intanto dalla finestra chiamano: “Cocchiere!” e una carrozzella si arresta alla porta. È il mezzo di trasporto dell’Isola, come di Napoli, tutta caratteristica. Si sale tutte e quattro e sussultando si arriva ad Ischia centro, alla casa che ci ospita e che è la continuazione del Vescovado e del Seminario in vista della Cattedrale. A voce le impressioni della Casa ospitale, umoristiche più che no. C’è la Cappella e questo ci basta. Le due Dirigenti c’invitano ad 62 andare dal Vescovo dopo cena. Noi, strabiliate, ceniamo e verso le 9 ritornano a prenderci e a dirci che il Vescovo ci aspetta. Ah, che impressione soave! È S. Alfonso Maria de’ Liguori che ci sta davanti tutto umile, ossequiente. Ci accoglie col benvenuto come se l’affare fosse compiuto e poi si mette a parlare di Gesù, dell’amor di Dio e continua, continua per mezz’ora una conferenza spirituale e ci fa anche servire il vermouth. Siamo stupite e commosse e mormoriamo: “È il Vescovo dell’Opera”... Ci benedice lungamente come un santo e sulle 10 rincasiamo e ci addormentiamo fra i commenti più entusiastici». Le lettere di Olga in questo periodo traboccano di entusiasmo e di felicità. Il primo adattamento all’ambiente fu difficile e tale restò abbastanza a lungo: diverso dialetto, costumi diversi, mentalità diversa, bisogni - si era in guerra-moltissimi. La lotta con bestiole che non erano precisamente il diavolo e che infestavano le camerette dove erano alloggiate le sorelle acquistò il sapore d’una avventura eroicomica. Gli isolani, con l’entusiasmo un po’ aggressivo dei meridionali, assediarono presto la casetta delle bianche, linde, sorridenti Sorelle, nelle cui mani fu convogliato quasi tutto l’apostolato delle organizzazioni cattoliche: l’insegnamento del catechismo in parrocchia, le giovani e le studenti di Azione Cattolica, la associazione insegnanti, le 63 signore, le Dame e le Damine della Carità -cioè le Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli- le visite agli ammalati e ai poveri, la scuola di taglio e cucito, la buona stampa e perfino le ripetizioni di latino, di francese, di matematica, che Olga doveva preparare faticosamente. E bisognava salvare le due ore di meditazione e le otto ore di sonno. Olga si buttava letteralmente allo sbaraglio e non si riesce davvero a capire come potesse arrivare a tutto. Tanto più che i suoi dolori di testa diventavano sempre più insistenti: «La mia testa è così esaurita che si ribella a qualsiasi occupazione». Quest’attività frenetica non le impediva di tenere i contatti non soltanto con la Madre, ma con le Sorelle delle altre case, coi parenti, con le amiche: a tutti descriveva le cose meravigliose che accadevano nella meravigliosa isola perduta nel mare e nel sole, che essa chiamava Terra Promessa. L’anima della piccola casa era il vulcanico Mons. Scotti, che Olga chiamava Monsignor Fuoco o Monsignor Ignis. A contatto di quest’anima grande, instancabile nel dirigere paternamente le Figlie della Chiesa a lui carissime, Olga correva nelle vie dell’Amore. Mons. Scotti amava chiamarle le Sorelle «Beselelite», da Beseleel, l’artista che Dio scelse al tempo di Mosè per la costruzione del Tabernacolo e delle sacre suppellettili: «L’ho riempito dello Spirito di Dio che gli 64 ha impartito saggezza, abilità e perizia per ogni genere di lavoro». «Non è stupendo?» -diceva Olga- «troppo onore, ma l’Amore farà Lui con noi straccio». Che gioia preparare la casetta per accogliere l’altare e il Tabernacolo -centro necessario di una vita votata a Dio e al prossimo- con mille industrie, con cura gelosa. Le ristrettezze della guerra erano alleviate dalla generosità degli isolani, che provvedevano le Suore di tutto. «Abbiamo anche troppo» diceva Olga. Dall’isola, risparmiata dai bombardamenti, si udiva il fragore delle bombe che cadevano a Napoli e si vedevano i bagliori degli incendi, e le Sorelle pregavano per tutte le sofferenze seminate dalla guerra, in unione col Papa, che scongiurava il mondo perché ritornasse alla pace. I prediletti di Olga erano sempre i poveri: Michele, il piccolo facchino del porto, Luigi, il mozzo di mare, Pasquarella che andava a liberarsi ogni giorno dei suoi parassiti tra le braccia delle Sorelle e diceva: «Se qui si sta così bene, che cosa sarà in Paradiso?». «Olga -racconta la Madre- una sera fu chiamata d’urgenza dal Parroco per preparare la misera vecchietta a morire. Mi trovavo lì, e corremmo insieme con tovaglia, candele, fiori. Pasquarella rantolava, ma i suoi occhi quasi spenti riconobbero l’angelo bianco che battendo a 65 cento porte le aveva provvisto il materasso pulito, e ora sostituiva un guanciale al troncone di sedia su cui l’avevano appoggiata per farla respirare. Pasquarella, viene Gesù; viene a portarvi in Paradiso! In quel momento comparve il Sacerdote con l’Ostia Santa. Ancora uno sguardo cosciente a Lui, a noi; poi, con Gesù nel cuore, entrò in agonia». Sono di questo tempo alcune rapide annotazioni spirituali, che Olga doveva segnare per farsi tener d’occhio dalla Madre e sradicare dal cuore ogni tendenza o difetto che anche minimamente contrariasse l’Amore: Dicembre 1941. 16. Troppo dura anche con la Sig.na. Parlato in dialetto. 17. Poco raccolta. 18. Poco mortificata nel soffrire un po’ di sete. 20. Distratta: rotto il piattino del sapone e la presa della lampada. Parlato troppo. 22. Poco perfetta nelle piccole cose. 27. Parlato in dialetto. 29. Troppo dura con le Sorelle e la Sig.na. 30. Non esatta nella sveglia al mattino per pigrizia. Dimenticato un segno di croce. Ho fatto capire che il maiale mi era stato pesante. 66 Gennaio 1942. 1. Testarda nel mio parere. Parlato in dialetto. Andata a Messa col velo più disordinato. 3. Segno di croce tralasciato. Dura nel correggere le Sorelle. 5. Poco sorridente. Superba nel sottolineare le piccole mancanze degli altri. 7. Parlato del passato dell’Opera, ma c’entrava il mio io. 8. Perduto tempo con le studenti. Non aiutato nel secchiaio. 9. Ho tralasciato un atto di carità. 10. Parlato in dialetto. 12. Esigente con le Sorelle. 13. Osservazioni secche specie in cucina. 14. Scatto nervoso. Screpolato l’ampollina dell’acqua. 15. Non pronta ad obbedire Mons. e S. E. il Vescovo. Seccata quando M. ha spostato la sedia che io avevo messo vicina all’harmo nium. Metà quaresima. 13. Chiacchierona. Intollerante con la Sig.na M. «Sono innamorata dell’isola del fuoco» scriveva alla mamma per la Pasqua del 1942. Nella stessa data, raccontava al Cardinal Piazza, Patriarca di Venezia e grande protettore delle Figlie della Chiesa, le sue esperienze: «Nell’isola del fuoco, che è vera- 67 mente terra di missione, continuiamo a svolgere il nostro apostolato di penetrazione nelle anime. C’è tanto fuoco sì, ma pure tanta deficienza di formazione e noi dovremmo essere realmente calici traboccanti, perfettamente identificate col Cristo, per lasciarLo trasparire, per darLo alle anime. Fortunatamente Gesù Eucaristia è il centro della nostra piccola casa e Lui attira le anime, sia alla scuola di lavoro, al corso di taglio, al doposcuola, sia al ricreatorio, e le illumina con la sua luce e le riscalda col suo calore. Un’altra grazia è l’avere un santo Direttore nella persona di Mr. Vicario. Essendo Egli pure Assistente Ecclesiastico dell’Azione Cattolica tiene le adunanze di Consiglio Diocesano a Mater Divinae Gratiae e nei mesi scorsi iniziò la Sezione Insegnanti e il Gruppo Maria Cristina di Savoia per le Signore, con relative profonde conferenze mensili. In ogni I° Venerdì abbiamo il nostro ritiro con Gesù sempre esposto e con la partecipazione di un bel gruppo di giovani dell’Azione Cattolica e di alcune vocazioni che la Madonna sta preparando. Lavoriamo poi in Parrocchia insegnando il catechismo, assistendo alle adunanze di Azione Cattolica, alla Messa del fanciullo, visitando gli ammalati poveri, felici di collaborare con le «Figlie della Carità» per l’organizzazione delle Conferenze Femminili di S. Vincenzo. 68 V. E. ci benedica, in carità, e ci impetri amore per il Crocifisso nostro Gesù e ardore di apostolato per la salvezza delle anime in cui Egli continua a soffrire». Una lettera alla Madre nel 1° Venerdì di luglio del 1942 ci permette di sorprendere Olga nel suo ardore e nella sua dedizione: «La pensiamo dappertutto e nel Sangue dell’Agnello svenato la sentiamo strettamente a noi unita. Ieri pure nella nostra festa di Mater Divinae Gratiae abbiamo con Lei cantato: Fu il verginale Sangue del tuo cuore che ci donò Gesù, l’ostia d’amore. Foedus in Sanguine, continuò questa mattina Mr. S. [Mons. Scotti] in una insuperabile meditazione sulla devozione del mese e delle Figlie della Chiesa (le goccioline, come le battezzò Mamma) in particolare. Avremmo voluto che Lei e tutte le Sorelline fossero presenti perché tracciò mirabilmente la storia del Sangue ab eterno dimostrando che la devozione al Prezioso Sangue è l’essenza della devozione al Cuor di Gesù... Ci esortò ad essere le vigili riparatrici, pronte a cogliere le gocce di Sangue calpestato e ad offrirle incessantemente al Padre. Saremmo allora le goccioline irrequiete, cariche di detriti, che il tocco del Sangue divino purifica e ricolora. Che bellezze ineffabili! Preghi, Mamma... perché come dice lo Spirito Santo: Ad sacram men 69 sam admissi hausimus aquas in gaudio de fonti bus Salvatoris: Sanguis eius fiat nobis fons aquae in vitam aeternam salientis.1 Questo chiedemmo anche a Sua Eccellenza (ma in italiano però). Dopo l’Esposizione ardevamo dal desiderio di immergerci nella... meditazione del soggetto caro a Gesù, quando Egli volle un’altra contemplazione. Il Cappellano, d’urgenza, ci aveva mandato soprabito e calzoni da aggiustare e rimandare con la veste che già tenevamo in casa. L’attendente (fedele esecutore) ci voleva sull’istante e la Signorina tribolò a convincerlo che non si poteva perché le Suore stavano alla predica di Mons. Vicario. Pensi che intanto il Cappellano aspettava in camera perché l’unica veste era da noi. Così in fretta e in furia, senza pensare a colazione e a pranzo, davanti al nostro Gesù lavorammo e per la mezza tutto era pronto». Per la festa dell’Assunta Olga tornò a Roma per gli esercizi spirituali. Ecco alcuni propositi scritti da Lei: «Desiderare di essere dinenticata da tutti. Non giudicare gli altri dal mio punto di vista. Compatire pensando, anzi essendo convinta di sbagliare. Sforzarmi di essere indifferente al cibo, 1 «Ammessi alla sacra mensa, abbiamo attinto le acque alle fonti del Salvatore: il suo Sangue diventi per noi sorgente di acqua viva che zampilla fino alla vita eterna». Preghiera dopo la Comunione, dalla Messa della festa del Prezioso Sangue. 70 al vestito, alla casa, a qualsiasi obbedienza perché momento per momento devo vedere la volontà di Dio in tutte le cose. Sacrificare il mio gusto personale sempre e in tutto. Non dire mai no alle Sorelle che chiedono un favore. Sorridere sempre a tutte. Sorriso di regola, specie nel patire, nelle prove, nelle contrarietà». La Madre dovette subire una operazione chirurgica che minacciava di essere mortale e voleva prepararsi al distacco dalle sue figliole, tranquillissima per l’opera ancora agli inizi, perché Olga l’avrebbe sostituita. Volle provvedere a lasciare alla sua figlia prediletta una regola, che fu stesa con l’aiuto del compianto P. Gabriele di S. Maria Maddalena, Carmelitano Scalzo, famoso esperto di Teologia Spirituale e mistica, al quale confidò il suo ideale. «Il Padre capì, e sulla traccia dello spogliamento totale richiesto da San Giovanni della Croce e reso accessibile ai piccoli dalla Piccola Santa (S. Teresa del B. G.), ridusse le Figlie della Chiesa alla semplicità della “bambina di Gesù”. La relazione di figlia, di sorella, di sposa, può esprimere maggiore dipendenza, confidenza, intimità; il titolo di “bambina” fa pensare all’abbandono sicuro dei piccoli fra le braccia della 71 mamma e pare debba commuovere di più le viscere di Dio». Olga invocò con tutta l’anima la guarigione della Madre: «So chi morirà prima», disse a una sorella. La convalescenza della Madre doveva prolungarsi per un anno e le figliole la pregarono di prendersi Olga come segretaria. La sua missione ad Ischia sembrò concludersi con un fallimento; per la stagione balneare Olga aveva eseguito alla lettera l’ordine di non accettare nella casa le signorine in costume semibalneare. I bambini del catechismo si erano dispersi sulle spiagge. I poveri erano assistiti dalle signore e signorine della Conferenza di S. Vincenzo. La Madre temeva soprattutto che l’abbondanza delle consolazioni paterne di Mons. Scotti nella direzione spirituale ritardasse, alla sua figliola, la sopraeminente ricchezza delle consolazioni divine, che Dio di solito concede a chi rinuncia per amor suo a tutte le consolazioni. 72 A GRANDI PASSI NELLA VIA Olga trascorse l’ultimo anno della sua vita accanto alla Madre: il diploma di infermiera conseguito presso il Sovrano Ordine di Malta nel 1939 la rendeva particolarmente adatta ad assisterla durante la lunga convalescenza; la sua straordinaria capacità di lavoro la metteva in grado di badare a tutto e a tutte: «Io sono stata eletta infermiera e segretaria della Madre - scriveva il 16 settembre - e così ho l’onore e la grazia di starle vicina. Il Signore mi accontenta: prega perché ne sappia trarre profitto soprannaturale». Fu lei a introdurre nella Congregazione l’uso di chiamare «Mamma» la Superiora Generale. «Vedeva nella Madre -attesta una Sorella- la Mamma del Cielo, e voleva che avessimo anche noi lo stesso concetto. Era un piacere passare le ricreazioni insieme. Aveva sempre la Madre in bocca; ci parlava dei suoi incontri; ci accresceva il desiderio di viverle vicino per imparare ad amare di più la Madonna, Gesù, la Chiesa. Era un amore tutto soprannaturale il suo e tutto disinteressato. Leggeva le sue sospiratissime lettere dopo 73 averle lasciate per ore sopra l’altare. Quando la Madre arrivava, lasciava alle sorelle la gioia di accerchiarla per prime, di parlarle, di sfogarsi. Si schermiva con evidente dispiacere quando le dimostravo la mia riconoscenza per il bene che mi aveva fatto: “Se ti ho fatto del bene, mi diceva, te l’ho fatto col permesso di Mamma; a lei, non a me devi essere grata”. Era affettuosissima come la piccola Teresa, ma mortificava tanto la sensibilità del suo cuore che spesso per dominarla e nasconderla alla Madre stessa, impallidiva visibilmente...». Dalla corrispondenza dell’ultimo anno traspare in tutti i modi la devozione tenerissima e le mille premure d’ogni genere per la «Mamma», che dovette spesso raggelare gli entusiasmi filiali di Olga, per educarla alla rinunzia degli affetti anche più soprannaturali e raggiungere quel totale spogliamento di sé che è il clima necessario del puro amore, dell’«amore primo e profondo» che Olga augurava alle altre nelle lettere. Nell’udienza particolare concessa da Pio XII il 27 agosto del 1942 -fu l’ultima volta che Olga vide il Papa per il quale avrebbe senza esitazione data la vita- aveva avuto l’ardire di sussurrargli: «Santo Padre, nel Vostro cuore che è il cuore della Chiesa, io voglio essere l’amore». Il 1° novembre si faceva audace a chiedere al Papa «un Ostensorio modestissimo, che ci obblighi a pensare a Voi guardando Gesù». 74 Ai primi di marzo del ‘43 mise a rumore un cinema di Mestre dove si proiettava il film Pastor Angelicus, gridando al primo apparire del Papa: «È Lui, Madre! Che gioia, Madre!». Il suo ufficio di segretaria la obbligava a scrivere immancabilmente due volte la settimana a tutte le casette vicine e lontane. Avrebbe voluto scrivere più spesso e a lungo, e se ne scusava: «Avrei materiale per una cronaca stupenda, ma sono infermiera e tutto quel che volete, fuorché segretaria. Così vuole Lui e io sono felice. «Dovunque andrò con Te, mio Dio, ivi le cose andranno come voglio io per Te» ha letto ieri Mamma su S. Giovanni (della Croce). Sbrigava la corrispondenza su una cassetta perché le Figlie della Chiesa sono negate ai comodi: «Il lavoro in questi giorni è stato intenso anche perché mentre la regola dell’ordine è “un posto per ogni cosa, ogni cosa al suo posto” nella nostra casetta generalizia “un posto è per cinque cose! e c’è da perdere la testa a tenere tutto a posto. Nella camera della Madre c’è Sacrestia, archivio, guardaroba, sala del... capitolo e a sera in una branda da ufficiali ci dormo anch’io. Straricche di povertà non abbiamo paura nemmeno delle bombe». La ricchezza della povertà aveva manifestazioni mirabili. Per la festa dell’ Immacolata, nella piccola casa di Mestre dove c’era posto e si poteva provvedere soltanto per cinque persone, Olga organizzò 75 un pranzetto che, tra sorelle e bambini sfrattati, raccoglieva trentacinque commensali. Alla vigilia, tutte le provviste si limitavano a mezza zucca, ma il giorno dopo la Provvidenza si incaricò di allietare tutti. Olga trafficava con le cinque stoviglie tra la tavola, la pentola e l’acquaio ed era felíce con i poveri perché povera come loro. In ogni lettera riferiva tutto di tutte, comunicava disposizioni, dava consigli, si interessava delle più piccole cose, si preoccupava delle più umili necessità, che lo stato di guerra rendeva a volte drammatiche. Placava le ansie di tutte, si manteneva in contatto con i suoi e dava ammonimenti e consigli per risolvere problemi d’ogni genere con spirito cristiano; seguiva le amiche; reggeva le fila delle attività delle Sorelle, dalla vendita di libri e opuscoli per diffondere la verità e la bontà e per procurare il necessario alla Congregazione, alla preparazione delle «calze» per la Befana. Inseguiva con tenacia e trepidazione le tracce di una vocazione, esultava per il formarsi, intorno alle Figlie della Chiesa, di gruppi affiliati di «Sorelle» e «Figli della Chiesa». Suggeriva il modo come comportarsi con Cardinali, Vescovi e Superiori religiosi e con i familiari delle Sorelle. Trattava l’apertura di nuove case e l’acquisto della grezza stoffa per gli abiti. «La gaia cronista registrava avvenimenti 76 importanti e trascurabili, palesi e segreti. Tutte dovevano saper tutto; partecipare alla vita della comunità come figlie di famiglia; contribuire di cuore alla espansione della “chiesuola” e un istinto superiore che le veniva dal Dono del Consiglio correggeva le apparenti imprudenze, elevava le vicende piccole e grandi allo stesso piano soprannaturale della volontà di Dio, coloriva tutto di semplicità». Chi voleva rintracciarla doveva trovarla in Cappella, ai piedi di Gesù, che alimentava i suoi entusiasmi. Gli esercizi spirituali predicati dal P. Gabriele le davano ali all’anima. «La sua pietà eucaristica, come il suo apostolato, erano soffusi dei gaudi, dei dolori e delle glorie della sua dolce Mamma: li riviveva nell’orazione, li faceva rivivere con rappresentazioni sacre nelle feste dell’anno liturgico, nei due cicli annuali del Rosario e nei due mesi più strettamente di Maria. Sempre, quando si trattava della Madonna, ma in particolare in questi tempi e in questi giorni, nessuno poteva trattenere il “gas di Olga” come si diceva in comunità». Il notissimo scrittore cattolico Igino Giordani scrisse nel 1946 un articolo sulle Figlie della Chiesa alle quali era spiritualmente unito fin dagli inizi della Congregazione. Olga stessa riconosce in una lettera, che Giordani aveva perfettamente 77 capito gli ideali della Congregazione. «... Dà un senso di conforto, -scriveva Giordani- come per l’immissione di una brezza mattinale, l’incontrare, in mezzo al popolo, tra le altre creature votatesi a servizio di esso, le Figlie della Chiesa. Il nome le definisce. Sono giovani donne che, in silenzio, nell’ombra si son messe a dare un contributo per riportare Cristo tra gli umili. La loro giovane istituzione, che il forte Patriarca di Venezia anima e protegge, fiorisce all’ombra del campanile, per aiutare, in tutti i sensi, l’azione parrocchiale. Nata com’è, spontaneamente, da un grande amore della Chiesa, viene ad assolvere una funzione, urgente e vitale, assunta da analoghe istituzioni in Belgio e in Francia e altrove, le quali da sole basterebbero a testimoniare l’inesauribile ricchezza dell’apostolato cristiano. Si tratta infatti d’una milizia agile e disciplinata, atta ad aiutare l’opera del clero, specie nello sforzo di educare il popolo a comporsi in Chiesa, a diventare corpo mistico, e a comportarsi nella vita come membra del Cristo totale. Queste Figlie della Chiesa educano le anime a sentire con la Chiesa, a vivere nella Chiesa e ad agire nel mondo come Chiesa. Mansione importantissima in un’epoca storica, in cui vitalissima s’è fatta la coscienza sociale, e della socialità ecclesiastica son divenuti assertori persino numerosi spiriti del protestantesimo, stanchi di individualismo. 78 Le Figlie della Chiesa insegnano il catechismo, diffondono per le case la parola del Papa e dei Vescovi, spandono in mille modi la nozione della fede, la cui perdita provoca lo smarrimento di larghi strati sociali. Promovendo l’azione della Chiesa, che è un’azione educativa, assistenziale e sacramentale, concorrono a favorire quelle condizioni individuali e familiari che permettono un più libero afflusso della grazia di Dio nelle anime e negli istituti, nel cuore dei figli e nel grembo delle famiglie. Rappresentano bene la Chiesa che circola: in tram, in bicicletta, in treno, in barca, cercando i figli degli uomini per ricondurli alla conoscenza del Figlio di Dio; per rifarne figli della Chiesa e rimetterli quindi a vivere nella carità e nella solidarietà, riaprendo i valichi all’amore, al perdono e alla giustizia. ...Il loro posto è tra l’altare di Dio e le case degli uomini: attingono e portano qui. Sono formate per questo sulle dottrine di San Tommaso d’Aquino e di San Giovanni della Croce; e paiono copie di Teresa di Gesù messe a operare nel mondo. Loro nutrimento è l’Eucarestia; loro godimento la liturgia; loro fondamento la meditazione. Fanno ciò di cui più s’ha bisogno: tradurre la mistica in sociologia. ...Se le volontà concorrono, il fermento di bene portato da queste vergini della Chiesa di Cristo si 79 diffonderà nelle case come fermento di rinascita, d’epurazione e di bellezza spirituale, aiutando a rifar di tutti, grandi e piccini, altrettanti figli della Chiesa rimessi, con piena consapevolezza, a vivere la convivenza solidale del Corpo mistico, dove le deficienze di ciascuno sono compensate dalle preghiere e dalle benemerenze di tutti i fratelli, e dalla comunione dei santi è promossa una ragionevole, evangelica comunione dei beni, distribuendosi per le membra dell’unico organismo l’unico sangue del Redentore. Buon per noi, insomma, che in mezzo alla nostra rissa circolano anche queste -come le hanno chiamate- “carmelitane in bicicletta”, staffette della santità della Chiesa militante». Il 17 gennaio 1942 Olga partecipò, con il brio che animava le sue «cronache», la lieta notizia della stesura delle Costituzioni delle Figlie della Chiesa: «Contatti con Sua Eminenza il Patriarca1 per le Costituzioni. Il 2 dicembre con S. Bibiana è arrivato a Mater Christi2 accompagnato da Padre Giulio e Mons. Manzoni in gala. In salottino si fermarono con lui la Ven.ma Madre, il Rev.do Padre Nutrizio e, a faccia a faccia con S. 1 2 Card. Piazza, Patriarca di Venezia. La casa di Mestre 90 Eminenza, anche la segretaria silenziosa. La casa era in ordine perfetto e pronto era il rinfresco sui fiocchi: pasticcini da Brindisi, budino, biscotti, liquori, ecc. Fu gustato solo il moka perché dopo un’ora e mezzo circa S. Eminenza partiva in fretta e pensate che appena la quarta parte era stata riveduta. Conclusione: si doveva tornare noi in Patriarcato verso la metà del mese. In un pomeriggio piovoso arrivo a Venezia e acquisto di un bel mazzo di rose offerto a S. Eminenza che mi indicò di posarle su una poltrona. La Madre era sulle spine pensando che le 35 lire andavano sciupate; comprese il Patriarca... fece una smorfia, prese il mazzo e, sventolandolo in basso come una scopa, lo portò nella Cappellina. Durante la lettura il Padre Nutrizio con una certa importanza stava in piedi vicino al Cardinale e voltava le pagine; la Madre beatamente osservava sorridendo, contenta di ciò che la Chiesa faceva, pronta a cedere, ma con l’occhio supplice nei punti delicati, come il restar povere dando tutto al Papa o ai Vescovi... Dopo 3 ore di lavoro intenso, allietate da un moka patriarcale, si decide di finire il giorno dopo. E così avvenne». Il fervore dei pensieri e delle opere di Olga, l’ardore della sua anima erano a volte appannati da misteriosi patimenti di spirito, che superava con sensibile fatica e con illimitato abbandono alla grazia. 91 In quest’ultimo scorcio della sua vita Olga, vicinissima alla Madre, ebbe modo di esercitarsi tenacemente nella virtù dell’obbedienza, il cardine della vita spirituale di una religiosa e la sua virtù morale più eccelsa. Il peccato entrò la prima volta nel mondo nella scia della disobbedienza di Adamo al comando di Dio: da allora, l’obbedienza è la più rigorosa misura della fede e dell’amore. S. Paolo sintetizza tutta l’opera della salvezza compiuta dal Figlio di Dio fatto uomo in un’opera di obbedienza: «Come per la colpa di uno solo ricadde su tutti gli uomini una condanna, così per l’opera di giustizia di uno solo perviene a tutti gli uomini la giustificazione che dà la vita. per la disobbedienza di un solo uomo gli altri furono costituiti peccatori, per l’obbedienza di uno solo gli altri sono costituiti giusti» (Ai Romani 5,18-19). Gesù fu l’Obbediente: «Entrando nel mondo, egli dice... Ecco che io vengo per fare, o Dio, la tua volontà» (S. Paolo, agli Ebrei 10, 5-7). La volontà del Padre fu il suo nutrimento: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e portare a compimento la sua opera» (Giovanni 4, 34). All’alba dell’Evangelo, il primo esempio di virtù fu quello della Vergine Madre del Figlio di Dio, che rispose all’Angelo dell’annunzio «Ecco l’ancella del Signore, mi accada secondo la tua parola» (Luca 1, 38): la sua obbedienza guarì, 92 «richiuse ed unse» dice Dante3, la piaga aperta della disobbedienza di Eva. L’obbedienza macera lo spirito della creatura umana e, lungi dall’essere una costrizione subìta o una sottomissione passiva, è un atto di stupenda libertà, perché è spontanea offerta. È macerazione perché è abdicazione alla propria volontà che, ferita dalla prima colpa, insorge senza stancarsi. La virtù dell’obbedienza, infatti, è conquista di ogni giorno, di ogni istante, perché in ogni nostro pensiero, parola e gesto, c’è un primo moto di autonomia e di ribellione. Olga aveva identificato lucidamente la parte più debole di sé: «Pregate perché io diventi più obbediente, perché non conosco i limiti giusti. Sapete che è il mio debole». «Pregate perché mi converta e abbia più luce sull’obbedienza». «Nell’ultimo anno -scrive la Madre- apparvero a vista di tutte gli aspetti angolosi del suo carattere, specialmente la sua marcata tendenza all’ insubordinazione. Anche prima, quando un ordine non coincideva coi suoi punti di vista o, per le mie amnesie, contraddiceva a un ordine precedente, impallidiva, e qualche volta si lasciava sfuggire 3 Paradiso XXXII, 4-6 93 una reticenza, ma il moto primo involontario veniva subito annientato da un’obbedíenza perfetta e castigato da un’umiltà che commoveva». L’unica lettera della Madre da lei conservata diceva: «Rinnovati interiormente in un’obbedienza più generosa, o, meglio, più costante. La tua generosità ha dei momenti di sosta interiori. Continui a obbedire all’esterno, ma nell’intimo pullulano motivi e ragioni che poi affiorano in reticenze rivelatrici e penose per la tua povera mamma costretta a comandare in vista dell’opera. La Madonna renda possibile, con la grazia del suo Gesù, ciò che sembra impossibile alla povera natura. Nel suo dolce amore». La perfezione non nasce con noi e la santità è la storia dell’incessante lavorio della grazia in un’anima che ogni giorno ha il coraggio di ricominciare da capo a vigilarsi e a vincersi. In molte occasioni Olga aveva dato saggio di generosa obbedienza, come quando a Mestre, nel 1941, durante un bombardamento, era stata per due ore tremante, ma immobile al posto fissato nel rifugio dalla Madre e che, a suo giudizio, non era il più sicuro. Recatasi una volta a Napoli da Ischia, affrontò un bombardamento sul piroscafo per non trattenersi in città oltre il tempo che le era stato concesso. Tornata nella sua amata isola del fuoco per una breve visita sulla fine di settembre, nel 1942, pur 94 desiderando ardentemente di incontrare Mons. Scotti, non lo cercò perché la Madre le aveva permesso di parlargli soltanto nel caso in cui Monsignore fosse venuto in casa per la comunità. Negli esercizi spirituali del 1942 e nei ritiri del 1943 martellò il chiodo dell’obbedienza: «Curare la sensibilità dell’obbedienza. Obbedienza cieca. Non suggerire mai nulla di nuovo. 1° Venerdì, novembre 1942: Obbedirò cieca mente, prontamente, fortemente, senza dire il mio parere. Mi noterò tutte le piccole obbedienze.4 1° Venerdì, gennaio 1943. Confidenza e obbe dienza, cioè amore verso Dio e verso il prossimo. 1° Venerdì, febbraio 1943. Obbedienza confi dente e generosa. 1° Venerdì, marzo 1943. Obbedienza pronta, com pleta, ilare. Ricevere le obbedienze in ginocchio. Marzo. Non aggiungere il mio parere. Non desiderare nulla: né case, né Sorelle, né Superiore.5 Olga diffondeva fra le Sorelle questo breve canone dell’obbedienza: «Le Figlie della Chiesa non 4 5 Cioè le minime cose che doveva fare per ordine della Superiora.4 Cioè accettare qualsiasi destinazione, in qualsiasi compagnia. 95 fanno neppure il bene senza permesso, perché solo chi obbedisce opera con purezza per la Chiesa». Il programma essenziale era: «Orario, ordine, obbedienza». E diceva: «Vedrete che l’obbedienza è gioia». La grazia l’aveva ormai maturata e Olga, nei disegni di Dio, era pronta per l’ultima vittoria sull’ultimo nemico. LA COLOMBA IN CROCE Il Figlio di Dio «svuotò se stesso prendendo forma di servo, diventando simile agli uomini. E apparso in aspetto di uomo, si umiliò ancor più facendosi obbediente fino alla morte, alla morte in croce». (S. Paolo ai Filippesi 2,7-8) «Lui, nei giorni della sua vita mortale avendo innalzato preghiere e suppliche con forte gemito e lacrime a Colui che poteva liberarlo da morte, ed essendo stato esaudito per la sua pietà,1 imparò, quantunque Figlio, per i patimenti sofferti l’obbedienza, e, reso perfetto, divenne per tutti coloro che l’obbediscono causa di salvezza eterna» (S. Paolo, agli Ebrei 5, 7-9). La morte infatti entrò nel mondo con il peccato, come il peccato era entrato con la rivolta dell’uomo. 1 96 Gesù, infatti, trionfò sulla morte. 97 Fin dai primi anni, Olga aveva sofferto in modo particolare per insistenti e acuti dolori di testa. Verso la fine di marzo del 1943 apparve alla Madre e alle Sorelle stranamente affaticata, insolitamente lenta e rigida nei movimenti. Una quindicina di giorni prima che si manifestasse in tutta la sua «virulenza il male terribile che doveva vincerla, parlando con una consorella della virtù di alcune loro compagne, lamentò la sua pochezza: È proprio una vergogna, specialmente per me che vivo così vicina alla Madre. Chissà come la faccio soffrire! A volte pensandoci provo una pena acutissima. Sento bisogno di essere umiliata, pestata. Ci vorrebbe una mano di ferro che scuotesse questa mia natura tremenda e mi riducesse a essere più generosa. Però, continuò rasserenata e quasi illuminandosi, ho trovato un bel punto nel Battisti.2 Leggilo anche tu quando tornerai a Mater Purissima .3 È il commento al terzo Notturno della seconda domenica di Quaresima e tratta della lotta di Giacobbe con l’Angelo. La conclusione, soggiunse con ardore e sicurezza, vedrai che è per me. E la ripetè alla lettera: «Quando Dio non può vincere la sua creatu- 2 3 Autore di un Breviario tradotto per i fedeli. La casa-asilo di Trivignano di Zelarino (Venezia). 98 ra nella volontà che Egli rispetta sempre, l’assale nel corpo, come l’Angelo toccò il nervo di Giacobbe. Le malattie, le croci, le pene, sono i tocchi di Dio che vuol vincere per amore. Sì, riprese, il Signore con me farà così. Visto che non so domarmi, mi domerà Lui e mi prenderà da questa parte». Il 25 marzo respirò come ossigeno le parole della Madre: «Figliole, la nostra santità, la nostra missione sulla terra sta tutta dentro a un piccolo sì: il sì della mente che onora il Padre, il sì delle labbra che onora il Verbo, il sì del cuore che onora lo Spirito Santo. Il sì di Maria ha glorificato la Trinità e ha salvato il mondo». Il 28 marzo, terza domenica di Quaresima, Olga si accasciò a lato della Madre durante la Messa parrocchiale. Era disfatta, madida di sudore e con gli occhi striati di sangue. Il male fu diagnosticato con esattezza soltanto dopo una terza visita medica: meningite, una delle malattie più spaventose, che distrugge nel corpo e nella mente. Era la sera del 2 aprile 1943, primo venerdì del mese. Fu necessario ricoverarla in ospedale, ma Olga, per amore all’obbedienza e alla povertà, non accettò se non dopo l’esplicito permesso della Madre. Prima di essere trasportata con l’auto-ambulanza volle che le si lavassero i piedi per l’Estrema Unzione. Fu accolta nel reparto «isolamento», destinazione che per un ammalato è già un incubo 99 terrificante. Durante la prima notte non fece che dire s ì, un sì con tutta se stessa, di tutta se stessa. Per sette giorni restò ricoverata e, mentre il corso della malattia la travolgeva di ora in ora, di ora in ora Olga bruciava le tappe della sua ascesa. La seconda notte affidò il suo testamento spirituale alle Sorelle: «obbedienza senza codette» cioè senza discussioni o attenuazioni: «l’obbedienza della mente che onora il Padre, l’obbedienza delle labbra e delle opere che onora il Verbo, l’obbedienza del cuore che onora lo Spirito Santo», disse segnando con la croce tre volte una sorella, ripetendo l’ultima lezione della Madre: «Obbedire, morire, obbedire». L’anima «domata» dalla malattia, ma libera in Dio, si librava nell’ultimo volo. La meningite l’aggrediva nei nervi, nel collo diventato rigido, al torace. «Mi pare che la testa si spacchi e sto pensando ai poveri soldati feriti al cervello. Poveretti! Offro per loro il mio patire». Quando, dopo un consulto, si seppe che non era possibile neppure la più audace speranza di guarigione perché si trattava di meningite tubercolare, Olga fu nella perfetta gioia: «Sono contenta, Madre! Preghi solo che Gesù mi dia forza». La malattia implacabile non le dava un istante di tregua e quando ricevette la visita della mamma, con la sorella e il fratello, pregò per avere pochi momenti di riposo per non impressio100 narli e addolorarli, poi ricadde negli spasimi. «Olga, sforzati di socchiudere un po’ le palpebre, prova a quietarti un po’» le diceva la Madre quasi supplicando e Olga accettava la esortazione come precetto d’obbedienza: faceva sforzi disperati per chiudere gli occhi, tanto che la Madre dovette ordinarle di lamentarsi senza ritegno. Non era ansiosa neppure di conforti spirituali da parte di un sacerdote che la conosceva da anni: «A me basta il Cappellano dell’ospedale». La preghiera le fioriva sulle labbra con frasi mozze, completate in fondo all’anima, dove lo Spirito Santo pregava e gemeva per lei. Rinnovò i voti religiosi e completò la sua offerta, presentando al Signore il suo calice amaro per il Papa, per il Cardinale protettore, per i Vescovi, per la santità dei sacerdoti, per l’unione dei separati e degli uniti, per i soldati, per le mamme, per i peccatori, per i comunisti. Il respiro della sua anima di Figlia della Chiesa era il respiro stesso della Sposa di Cristo: il suo cuore si allargava secondo le dimensioni dell’Amore, che è senza misura. Si offriva con Gesù sulla croce, con la Madre di Gesù ai piedi della croce, perché la croce è l’ultima sapienza dell’Amore. Confessò di essersi offerta ad Ischia per la Madre e per la sua opera e chiese perdono di averlo fatto senza permesso. 101 Per esplorare ancor meglio la malattia furono necessarie tre dolorosissime punture lombari. Alla prima, era rimasta immobile, con gran meraviglia del medico; alla seconda, si era inconsciamente e spaventosamente contorta; alla terza svenne. «Mamma di Gesù Amore donami il suo dolore» aveva imparato a dire: e questa volta il dono le era stato concesso. Le grazie di Dio sono comprese e apprezzate soltanto dalle anime che si sono abbandonate a tutti i misteri della grazia. «Obbedienza, obbedienza, obbedienza» fu ancora il suo testamento, e alla Madre: «Amore». Dopo un assalto violentissimo del male, aveva supplicato: «Madre, mi permetta di morire!» e ne ebbe in risposta il permesso di patire per la Chiesa e per il mondo. Nei tre interminabili giorni di delirio la sua anima era tutta negli occhi pieni di sangue, ed ebbe un volontario sussulto soltanto per proteggere la sua delicatissima purezza, quando l’infermiera, credendo che ciò fosse lecito per un corpo ormai inerte e distrutto, la trattava con una certa libertà. Alla sua mente devastata affioravano gli assilli dell’obbedienza e dell’amore: «Pronte, siete qui tutte: la campanella è suonata... Fate ordine, venite, è la festa della Madre... Presto: due dolci per 102 ciascuna e un po' di tutto per ogni sorellina...». Il trapasso fu senza scosse: l'abbraccio crudele del dolore si era dissolto nell'abbraccío di dolcezza della Mamma del Cielo: «Avvertimmo qualche cosa di celeste nei due crepuscoli della sua intelligenza e della sua vita che ci strinsero tutte attorno al suo letto col Sacerdote. Dopo il primo non udiva quasi più: rispondeva a monosillabi, saltuariamente alle Litanie dei Santi; le ultime preghiere della “Raccomandazione dell’anima” erano finite; la tenue fiammella pareva li li per spegnersi. «Manca una cosa» sussurrò a palpebre chiuse, impercettibilmente. Noi ci eravamo sempre intese per comunicazione spirituale più che per simpatia sensibile e io intonai col pianto in gola la Salve Regina. Il volto della delirante teso nello sforzo dell'estremo desiderio si spianò, le labbra seguirono visibilmente la cadenza gregoriana, che si diffuse in quel luogo di dolore come un'onda di consolazione e si spense con le invocazioni finali, estre mi sospiri dell'esule figlia verso la Madre di Dio intravvista nella Patria... Poi non si ravvivarono più». La Madre volle che la sua figliola tornasse nella nuova casa di Mater Cbristi in via Carducci 103 a Mestre. Era il sabato 10 aprile, festa della Beata Maddalena di Canossa. Olga tornava nella casetta dei suoi voti religiosi per entrare definitivamente nella sua casa del Cielo. Colmata dalla Chiesa di tutti i suoi doni di grazia, fino al sacramento dell’Olio santo che, «corrobora il tempio di Dio» che è il nostro corpo, diventata «immagine dei dolori di Gesù» come aveva scritto nel suo libretto di note spirituali, stringendo al cuore una statuetta della Vergine benedetta ripetutamente dal Papa, mentre il Sacerdote, la Madre, le Sorelle, invocavano tutti i santi del Paradiso e supplicavano con i titoli più gloriosi e teneri la Mamma del cielo, dagli occhi di Olga caddero due lacrime: le prime di tutto il suo patire, le ultime di tutta la sua vita. Poi, l’estremo anelito. Erano le 23,35 della domenica di Passione. Aveva trentatrè anni circa: «A me piacerebbe morire all'età di Gesù» aveva confidato dieci anni prima a un'amica. La salma fu composta nella semplicità e nello splendore della veste religiosa bianca, dinanzi al Santissimo Sacramento, dove era sempre stato il posto di Olga. Si accorreva a vederla trasfigurata nella pace di Dio. Il martedi di Passione fu chiusa in una povera cassa di abete. Il funerale fu povero, ma al segui104 to c’era la ricchezza di Dio: i sacerdoti, le religiose, i bambini, i poveri e gli sfrattati. Prima di essere affidata alla terra si dovette aspettare il tempo di un Rosario, concluso, durante l'inumazione, dai canti della gioia di Maria e della Chiesa: «Magnificat anima mea Dominum... Laudate pueri Dominum». Non era giusto piangere dove era sbocciata per sempre la gioia. 105 EPILOGO Le creature di elezione, anche quando sono rapite presto alla vita terrena, hanno un misterioso potere di attrazione e, all’apparenza sterili, restano in realtà soprannaturalmente feconde. Quando Olga morì, l’Opera alla quale aveva dedicato meno di cinque anni della sua vita era ancora agli inizi; il contributo dato da lei viva sembrò molto scarso e, a giudicare superficialmente, si poteva dire che tutte le opere da lei iniziate si disperdessero, senza concludere nulla. Fra le ultime notizie da lei date alle Sorelle c'era questa: «Forse avremo una succursale a Mestre: Mater Admirabilis ». Nei primi giorni della malattia la Madre le disse: «Olga, se la Madonna fa il miracolo, sarai la superiora di Mater Admirabilis. Se invece andrai in Paradiso, fonderai Mater Admirabilis lassù e nessuna casetta sulla terra avrà questo nome». E Olga ripeteva spesso, felice: «Vado a MaterAdmirabilis, a Mater Admirabilis!». Nessuna casa delle Figlie della Chiesa ha infatti avuto mai più questo nome. 106 «Mater Admirabilis» Immagine venerata dalla Fondatrice e da Suor Olga Affresco nel Convento delle Suore del S. Cuore a Trinità dei Monti, Roma Viva il buon Dio, che Aquila Divina, è piombato sulla piccola Figlia della Chiesa, l’ha ghermita e portata lassù dove ella potrà guardare la Mamma lasciata sulla terra e le sorelline che tanto amava, seguirle di momento in momento, strappando a Gesù grazia e aiuti che le conducano per la via loro tracciata e vi camminino con passi di gigante in attesa di volare dietro l’Aquila divina» (Mons. Scotti, alla Fondatrice in morte di Olga). La Congregazione delle Figlie della Chiesa è oggi presente a Roma e in varie Diocesi d’Italia, a Lourdes, a Madrid e a Fatima; in America Latina (Bolivia, Colombia, Brasile, Ecuador), in India. «Io sono come olivo frondoso nella casa di Dio»1. Grazie, Signore, di questa nostra Sorella, perché oggi ricorda a tutti noi che la nostra vita aspira ad andare oltre se stessa verso il misterioso richiamo del tuo amore. Ciò che conta veramente non è il possesso, il dominio sugli altri, ma l’obbedienza al tuo disegno, la gratitudine per i tuoi doni, la generosa sopportazione del dolore, la vicinanza gratuita a ogni fratello, la speranza nella vita che Tu ci doni oltre la morte. 1 Salmo 32,10. 108 PREGHIERA per la beatificazione della Serva di Dio OLGA DELLA MADRE DI DIO O Signore, che ti compiaci di glorificare gli umili, concedi tale favore alla tua Serva fedele, accordandoci la grazia che ti domandiamo. Amen L’inchiesta sulle virtù e fama di santità di suor Olga - avviata a Venezia dal beato Giovanni XXIII, allora Patriarca (1956) - prosegue a Roma presso la Congregazione dei Santi; si attende ora il Decreto pontificio sull’eroicità delle virtù. Alla Postulazione pervengono numerose segnalazioni di grazie e favori attribuiti all’intercessione di suor Olga Gugelmo. Chi per intercessione della serva di Dio ricevesse qualche grazia è vivamente pregato di darne relazione alla Postulazione della Causa, Viale Vaticano, 62 00165 Roma 109 INDICE P resentazione 5 Prefazione 7 I primi anni 11 La maestrina 17 Finalmente la via 26 I primi passi nella gioia 32 L’offerta di sé 38 La casetta fra le rose 52 Un anno di fuoco 60 A grandi passi nella via 73 La colomba in croce 97 Epilogo 110 106 111 Finito di stampare 15 aprile 2004 Giovedì in albis Stampa: Group River Press - Roma 112