Learning Object &
Mobile Computing
Amedea Barani Marco Incerti Zambelli Enzo Zecchi Istituto Blaise Pascal, Reggio Emilia Abstract
Si valuta il possibile ’impatto dei Learning Object (LO) e del Mobile Computing in ambito educazionale. Si affronta il problema secondo due prospettive. La prima consiste nel considerare i LO come un prodotto la cui realizzazione è affidata ai ragazzi. Si entra così nel filone dell’apprendimento costruzionista e l’efficacia dell’integrazione delle tecnologie nella didattica è garantita dal loro utilizzo nell’ottica “not to learn from but to learn with”. Per concretizzare efficacemente questo approccio è necessario che i docenti imparino a gestire una nuova forma di didattica. Ed è questo il focus della prima parte del nostro lavoro. Nella seconda parte si analizza la prospettiva di utilizzare i LO come oggetti già costruiti e come risorse per favorire un apprendimento significativo. Per questo, analizzati alcuni dei criteri che i LO devono soddisfare per essere ritenuti tali, si descrivono i probabili LO del futuro secondo il punto di vista di Fletcher (2006) e cioè i LO implementati a forma di conversazione. Il sistema e l’alunno converseranno tramite il linguaggio naturale, sulla base di domande e risposte aperte, e il sistema sarà in grado di adattarsi alle richieste e di generarsi di conseguenza. Una conseguenza possibile sarà quella di una nuova forma di scuola dove non saranno previste le sequenze programmate, i test espliciti e forse anche le lezioni. Ed il ruolo del docente sarà quello fondamentale di risorsa e guida all’interno del rinnovato ambiente di apprendimento. Rapporto su buone prassi nello sviluppo di molecole formative per m‐learning. Guida per docenti e formatori. Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 Capofila: ITGS Pascal Reggio Emilia Italy 2 Amedea Barani, Marco Incerti Zambelli , Enzo Zecchi 1. Il problema dell'integrazione delle tecnologie nella didattica.
Sono trascorsi più o meno 5000 anni dall’introduzione delle prime forme di scrittura e circa 500 anni dalla scoperta della stampa. Da allora l’uomo, pur avendo fatto progressi enormi nell’inventare strumenti per estendere le proprie abilità fisiche, quasi prolungamenti dei propri arti, nulla o quasi ha fatto per potenziare le proprie abilità mentali. Il libro è rimasto l’unico vero prolungamento della mente e le biblioteche i luoghi che hanno permesso il tramandarsi della cultura. Finalmente, negli ultimi 50 anni, si è prodotta quella che crediamo si dimostrerà una rivoluzione epocale: l’introduzione e la successiva crescita esponenziale delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione. Queste sono destinate a segnare profondamente il campo degli strumenti per la mente. Il computer infatti permette l’esecuzione velocissima di calcoli anche complessi e la gestione di enormi quantità di informazioni, interagisce con l’uomo e, negli ultimi modelli, ha acquisito “doti multimediali” tali da renderlo “user friendly” Le reti annullano le distanze, e permettono di disporre di informazioni sempre ed ovunque. Il tutto pare avere le carte in regola per proporsi anche come strumento fondamentale per insegnare/apprendere. Ebbene, questo non è così scontato. Si pensi alla lunga teoria di insuccessi riguardante l’introduzione delle tecnologie nella didattica (Cuban, 1986). A partire da Edison che nel 1913 abbozza una sfortunata previsione che più o meno recita così: ”I libri diverranno presto obsoleti nelle scuole. Gli studenti apprenderanno tramite i film.” (Edison 1913) . Per finire con le grandi speranze prima e le delusioni poi per i sistemi autori Plato e Ticcit, che pareva dovessero rivoluzionare il modo di fare didattica e che invece si sono dimostrati meno efficaci di un insegnante tradizionale, nonostante gli enormi investimenti fatti. (Cognition and Technology Group at Vanderbilt, 1996). Potremmo procedere con altri esempi ma crediamo che questi siano sufficienti a significare un clima. Le tecnologie della comunicazione e dell’informazione sono avanzate parecchio dai tempi di Plato, tuttavia crediamo che l’idea di creare lezioni al computer che in qualche modo possano sostituire l’insegnante nell’opera di trasmissione della conoscenza sia un’idea perdente. L’insegnante ha a proprio favore la capacità/possibilità di interagire con la classe, di cogliere gli umori della scolaresca, di adattarsi alla situazione, di creare empatia, di vivere la comunità antropologica del gruppo classe e tutto questo lo pone in una posizione di grande vantaggio rispetto al computer. Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 Learning Object & Mobile Computing 3 Già ci abbiamo provato parecchie volte, e senza grandi risultati, ad inserire supporti multimediali in classe: quelli che fino a qualche anno fa si chiamavano audiovisivi. Vero è che i nuovi strumenti multimediali hanno caratteristiche molto più allettanti: una per tutte la possibilità di essere interattivi. Però in ultima analisi di sostituire il docente nei suoi gesti fondamentali si tratta, cioè nell’atto di insegnare, di spiegare, di interagire con l’alunno e nonostante gli enormi progressi fatti sul fronte tecnologico, la lotta appare ancora impari. Diverso è in tutte quelle situazioni in cui non possiamo disporre di docenti o comunque quando il costo di questi è troppo elevato: in questo caso le tecnologie diventano competitive. E’ emblematico il training aziendale. Anche in questo caso tuttavia, nonostante i progressi fatti rispetto ai supporti audiovisivi classici, la strada non è senza difficoltà. Un cammino in salita insomma. E per meglio comprendere questo passaggio uno sguardo ai gesti, ai riti che accompagnano la lezione tipo di un docente: quella lezione cui tutti abbiamo assistito e che fa parte del nostro DNA. Il docente entra in classe, compila un paio di registri, verifica lo svolgimento dei compiti, interroga, spiega ed dà la consegna per la prossima lezione. E così ancora con qualche variazione sul tema. Ma la liturgia è ben codificata. Codificata al punto che l’insegnante è sostenuto, protetto, facilitato da questo insieme di riti: una rete contro l’imprevisto. Anzi di imprevisto non c’è proprio nulla o quasi. E neppure il tempo, lo spazio e la necessità di inserire altro. Il tutto scandito, ritmato, programmato in sequenze di moduli, unità didattiche e lezioni. Al punto da rendere inopportuna qualsiasi ingerenza. Ed il computer, in questo quadro, appare un’inutile ed ingombrante sovrastruttura: entra in scuola ma non in classe. In scuola per l’organizzazione, per l’amministrazione, per i laboratori disciplinari; non per la didattica. Non la scarsa competenza del docente, dunque, causa della mancata integrazione delle tecnologie con la didattica ma la strategia impiegata. Il docente apprende una tecnologia se sa che gli può servire. E’ sempre così. Chi si mette a studiare un software se sa di non doverlo usare? Le tecnologie, poi, sono sempre più semplici da usare e le opportunità per apprenderle ormai si moltiplicano. Il punto vero è che anche un docente esperto le utilizza per scrivere, per tenere in ordine il proprio registro, per archiviare informazioni, per fare ricerche su internet, per comunicare …, ma non le utilizza per insegnare. E allora? Possiamo rinunciare alla speranza che le tecnologie possano entrare in classe come strumento per insegnare meglio, per rendere l’apprendimento più significativo, “meaningful”, che il computer possa estendere, potenziare le abilità intellettuali dell’uomo in quasi tutte le professioni Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 4 Amedea Barani, Marco Incerti Zambelli , Enzo Zecchi e nulla possa fare per quella che, delle professioni intellettuali, è la più emblematica: l’insegnamento? 1.1 La soluzione al problema è di natura pedagogica. Una soluzione al problema, al dilemma crediamo la si possa trovare capovolgendo i termini del contendere. Non come inserire le tecnologie nella didattica, non come migliorare le tecnologie, non come avere docenti più tecnologici. Non è questo il punto. Certo anche questo. Ma il problema vero da risolvere è quello di intervenire sulla didattica, sulle strategie pedagogiche. Cambiando il paradigma metodologico, l’ambiente di apprendimento nel suo complesso, allora le tecnologie possono diventare una necessità, una conditio sine qua non diventa impossibile esercitare correttamente il mestiere dell’insegnante. E questo lo si provoca quando alla prospettiva di una didattica trasmissiva si sostituisce quella di una didattica costruttivista in cui il computer non viene più visto come lo strumento da cui apprendere ma lo strumento con cui apprendere. E quando tutto questo lo si implementa tramite una didattica per problemi e progetti, quando l’obiettivo è quello di affrontare casi autentici, complessi, quando il lavoro è di gruppo, quando il linguaggio non è più solo quello scritto sequenziale, quando s’ha bisogno di accedere alle informazioni anche in modo random, quando la grammatica diventa quella degli ipermedia, quando gli schemi cognitivi che soggiacciono sono reticolari, allora il computer diventa una necessità, allora è il docente a richiederlo e il problema della formazione permane ma passa in secondo piano: in qualche modo si risolve. Non è più un problema integrare le tecnologie nella didattica e come integrarle. Si integrano perché non se ne può fare a meno. Il resto viene da solo. Molti invece sono i problemi da risolvere di natura pedagogica: per il docente diventano di natura quasi genetica, ed il sovvertimento dell’approccio porta con sé una miriade di conseguenze che si ergono a barriera. Il crollo di una liturgia ricca, consolidata e rigidamente deterministica, il passaggio al dominio del probabile in cui l’entropia la fa da padrona e in cui i riti, a moderare l’entropia, ancora sono carenti; tutto questo diventa sconvolgente. E in questo ambiente, auspicato ma temuto, il primo grande ostacolo: il contenuto, vero signore e padrone dell’impianto pedagogico cognitivista, deve lasciare il posto al metodo per la costruzione della conoscenza. E lui, il docente, deve abdicare al ruolo di dominus indiscusso del sapere e accettare quello di risorsa di un ambiente in cui il centro, il protagonista diventa lo studente. Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 Learning Object & Mobile Computing 5 1.2 Le tecnologie: cavallo di Troia verso la prevalenza del metodo. Ma se i contenuti devono abdicare ai metodi e se il cammino appare arduo e addirittura impossibile, un aiuto imprevisto ce lo forniscono le tecnologie. E il ragionamento più o meno è questo: a fronte del loro dilagare in quasi tutti i settori dell’agire umano, in nome di una sorta di globalizzazione delle attività, in un mondo dove i vasi diventano sempre più comunicanti, prima o poi le tecnologie entreranno a pieno titolo nell’education e questo processo, pieno di insuccessi ma inarrestabile, avverrà imponendo i change metodologici teoricamente auspicati ma praticamente inattuati. Insomma una sorta di cavallo di Troia verso la prevalenza del metodo. E, anche se in ultima analisi saranno soprattutto gli interessi economici a catalizzare il tutto, crediamo che le tecnologie abbiano in sé quelle potenzialità che favoriranno il loro progressivo inserimento in ambito formativo. L’interattività, la disponibilità sempre ed ovunque (anytime and anywhere) oltre a tutte le possibilità messe a disposizione dalla multimedialità, sono i principali punti di forza che le caratterizzano e che più le differenziano da qualunque altro strumento per la mente in nostro possesso. 2
Learning Object e Mobile Computing: tecnologie particolari
Fra le innovazioni tecnologiche che maggiormente andranno ad impattare con le strategie di apprendimento una particolare attenzione va attribuita ai Learning Object (LO) e al Mobile Computing. Il Mobile Computing, cioè la possibilità di poter disporre ovunque di un computer (o qualcosa di simile) e di poter essere sempre collegati agli altri tramite Internet (o qualcosa di simile), grazie all’incedere delle tecnologie wireless è un dato di fatto: le prossime azioni saranno di potenziamento e consolidamento. Più articolato il discorso va fatto in riferimento ai LO. Anche se molto è stato scritto e anche se molti sono i modi in cui possono essere descritti, che cosa siano effettivamente i LO è difficile dirlo: non esiste una definizione precisa ed univoca. Ci pare in proposito estremamente efficace quella di Fairweather (2006) quando afferma che quella dei LO è una tecnologia alla ricerca di fondamenti teorici. In questa definizione, complessivamente efficace, ci pare riduttivo il termine tecnologia. L’opinione che dei LO ci siamo fatti è senza dubbio di qualcosa culturalmente più ampio. Si pensi solo ai campi dello scibile umano che vengono toccati: l’intelligenza artificiale, l’instructional technology, lo studio delle interazioni uomo macchina, l’architettura dellʹinformazione, la Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 6 Amedea Barani, Marco Incerti Zambelli , Enzo Zecchi progettazione e l’organizzazione di database, i sistemi di tutoraggio intelligenti… per citarne alcuni. Crediamo che ci siano le condizioni per tentare di definire quello dei LO un grande capitolo della Scienza dell’ Instructional Design se non una Scienza in sé. E come tale diventa terreno per sperimentare nuove rappresentazioni della conoscenza, ontologie, logiche e strategie di descrizione, semantiche computazionali e molti altri aspetti dell’informazione. Continuando nell’analisi della definizione di Fairweather, indubbiamente, la caratteristica che più rende conto dello stato dell’arte della scienza dei LO è quella di essere alla ricerca di fondamenti teorici. Questo testimonia il tentativo di definire un oggetto, il LO appunto, che ancora non esiste ma che sta cercando di venire a galla, emergere, costruirsi, definirsi. E proprio perché ancora in embrione molte sono le sue possibilità di materializzarsi, consolidarsi. Un primo approccio, di immediato successo per favorire in modo significativo la costruzione della conoscenza, consiste nel considerare il LO non già come oggetto costruito, pronto da usare, per favorire lʹapprendimento di settori di contenuto, ma come oggetto da far costruire ai ragazzi. Ovviamente si tratterà di semplici Learning Object, forse anche non dotati dei requisiti minimi per essere considerati tali, probabilmente difficilmente spendibili nella formazione, comunque finalizzati a promuovere il processo di costruzione della conoscenza di quanti si cimentano nella loro realizzazione, implementazione. Tratteremo i LO secondo questa prospettiva nella prima parte di questo lavoro, mentre, nella seconda, analizzeremo i LO nell’ottica di oggetti già realizzati e pronti a favorire apprendimenti. In particolare ci riferiremo a quella che dei LO ci pare l’implementazione più futuribile ma più affascinante e cioè la loro ʺmaterializzazioneʺ sotto forma di conversazione. 3.
Costruire Learning Object per costruire la conoscenza.
La base del ragionamento è la seguente: gli studenti imparano molto di più quando progettano, costruiscono e valutano LO, o qualcosa di simile, rispetto a quando tentano di apprendere da LO già realizzati. Almeno allo stato attuale dell’arte. Insomma la costruzione di LO diventa un processo che stimola nei ragazzi la crescita profonda di abilità di problem solving e non solo. Ed il primo problema da risolvere è quello di modellizzare le informazioni che con i LO debbono rappresentare. Insomma quelle stesse informazioni che avrebbero dovuto imparare le debbono strutturare in modo tale da essere apprese Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 Learning Object & Mobile Computing 7 facilmente da altri. Ed è chiaro che per fare questo si sentono spronati a livelli di approfondimento inesplorati, sconosciuti, in una didattica trasmissiva. Detto altrimenti questo equivale ad aderire ad un pensiero di stampo costruttivista/costruzionista (Papert, 1980), ad attualizzarlo tramite una didattica per problemi e progetti e a realizzarlo concretamente trasformando lo spazio classe in un adeguato ambiente di apprendimento. E il modello di ambiente di apprendimento da noi adottato è quello a matrice costruttivista (Constructivistic Learning Environment, CLE) proposto da Jonassen (1999). Il focus del nostro approccio diventano dunque i problemi e i progetti, collocati in quello che Jonassen, nella sua rappresentazione originale di ambiente di apprendimento, chiama lo spazio problemi e progetti (Jonassen, Peck, Wilson, 1999). E sono loro a determinare le attività che gli studenti dovranno svolgere. Ma quali problemi e progetti, dunque? I progetti possono essere specifici di ogni ambito disciplinare. C’è però una categoria di problemi/progetti su cui vogliamo soffermarci, perché rappresentano uno snodo importante per una didattica per problemi/progetti. Mi riferisco ai progetti di e‐learning, cioè alla auspicata realizzazione di LO. Sono una nostra idea “fissa”, ma rappresentano la risposta alla domanda ricorrente …professore ha ragione, così come lei ce l’ha presentata la didattica per problemi progetti rappresenta indubbiamente un interessante e stimolante approccio pedagogico; ma io che insegno filosofia, oppure italiano, oppure storia etc. quali progetti posso proporre ai miei studenti? e la risposta …per ogni disciplina c’è sempre una categoria di progetti che può trasformarsi in un interessante momento di apprendimento autentico: i progetti di e‐learning. Si tratta sostanzialmente di chiedere ai ragazzi di realizzare dei prodotti multimediali con i quali insegnare ai loro coetanei gli stessi contenuti che loro debbono apprendere. Delle sorte di Learning Object, anche se di questi, così come intesi in letteratura, sono solo lontani parenti. E la cosa è fattibile oggi nelle scuole di ogni ordine e grado data la semplicità delle tecnologie necessarie allo scopo. Non c’è bisogno di insegnare ai ragazzi “Power Point”, basta farglielo usare. Ovviamente, i più esperti possono cimentarsi nella realizzazione di prodotti sofisticati con l’utilizzo di tecnologie di Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 8 Amedea Barani, Marco Incerti Zambelli , Enzo Zecchi punta: Dreamweaver, Flash, Authorware per limitarci alla suite dei prodotti di Macromedia. E ci si può spingere oltre. Ma il punto non è questo. Non è importante il prodotto che verrà creato. E’ importante il processo di creazione. Del resto, come già ci siamo espressi, è nostra opinione che anche i prodotti migliori di e‐learning difficilmente possono rivelarsi efficaci strumenti di formazione. Almeno allo stato attuale dell’arte. Chi veramente trae beneficio dalla loro realizzazione sono gli stessi autori. Innumerevoli i benefici: un approfondimento significativo di settori di contenuto, l’acquisizione della cultura del progetto, l’abitudine al lavoro cooperativo, l’apprendimento di nuovi tools cognitivi e collaborativi, la fluency con l’utilizzo di alcune tecnologie senza spingerci oltre a considerare i più sottili risvolti del favorire la costruzione di forme di pensiero reticolari e concorrenti (Spiro, 2006). I progetti di e‐learning sono abbastanza semplici da impostare e gestire anche per l’insegnante, il quale non dovrà sentirsi a disagio per la non conoscenza di tecnologie particolari. La cosa va dichiarata subito e vanno responsabilizzati i ragazzi che decidono di intraprendere percorsi che prevedono l’utilizzo di tali tecnologie: dovranno farsene carico in toto. Al più l’insegnante cercherà di metterli in contatto con qualche esperto o li stimolerà a cercare aiuti tramite forum o chat. Abbiamo verificato che questo funziona. Per il resto sarà cura del docente guidare i ragazzi ad affrontare lo sviluppo utilizzando strategie consolidate, e prevedere momenti di presentazione collettiva dei risultati raggiunti anche per condividere con l’intero gruppo classe le problematiche emergenti. Se si instaura il clima giusto, solitamente in classe si creano dei gruppi trasversali di specialisti di diverse problematiche che poi diventano punti di riferimento per l’intera classe. Grande attenzione va prestata nel momento della formazione dei gruppi di lavoro: è importante che in ogni gruppo sia presente almeno un elemento con predisposizione alle tecnologie ed agli aspetti applicativi ed uno con maggiore propensione agli aspetti progettuali e di approfondimento tematico. Un ruolo fondamentale, come vedremo meglio nel corso di questo lavoro, lo giocano corretti momenti di valutazione autentica. Questi infatti, tra l’altro, forniscono due contributi fondamentali: il primo, un adeguato feedback all’alunno e i dati al docente per valutare, l’altro è quello di dimostrarsi efficace strumento per il controllo della classe. Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 Learning Object & Mobile Computing 9 3.1
Il vero problema: educare i docenti ad un ambiente CLE.
La chiave di volta per il successo consiste nel dotare gli insegnanti degli strumenti opportuni per affrontare questo tipo di approccio. E questo lo si può ottenere solo facendoglieli costruire. Non si tratta quindi di formarli con un corso: sarebbe una contraddizione in termini. Formare ad un approccio costruttivista utilizzando metodi trasmissivi. Per questo vanno ipotizzati anche per gli insegnanti momenti in cui vivono la stessa realtà di ambiente di apprendimento a matrice costruttivista simile a quello in cui si vuole trasformare la classe. E se per gli allievi i problemi progetti auspicati sono quelli di costruire LO o simili, quali sono i problemi e progetti che debbono affrontare gli insegnanti? La nostra proposta è quella di metterli nelle condizioni di costruirsi gli strumenti, la cassetta degli attrezzi, per la gestione di una didattica costruttivista. In particolare mi riferisco principalmente agli strumenti per gestire progetti, a quelli per gestire gruppi di lavoro, per valutare i ragazzi mentre compiono prestazioni autentiche e finalmente metterli in condizione di utilizzare semplici tecnologie. Vediamoli in dettaglio. 3.1.1
Impostare e gestire progetti
Analisi e riflessioni. Gli insegnanti potranno applicare efficacemente una didattica per problemi e progetti, costruzione di LO o altro, solo quando saranno in possesso di un metodo adeguato. Ed è questo il primo problema da porsi. Sarebbe paradossale, in una didattica per problemi‐progetti, non farlo. Eppure, anche se può sembrare assurdo, è questo che accade. Ci siamo sempre chiesto il perché e non siamo mai riusciti a darci una risposta convincente. Eppure sono in molti che si preoccupano di gestire le dinamiche di gruppo, si badi bene abbiamo detto si preoccupano di gestire e non di provare delle tecniche collaudate, molti si preoccupano di documentare il processo che sottende lo svolgimento di un progetto, molti hanno la giusta angoscia per la valutazione ma nessuno, o pochi, se non opportunamente stimolati, sono a chiedersi un metodo per sviluppare i progetti. Anzi c’è chi, quando glielo proponiamo, si scandalizza quasi volessimo tarpare le ali della creatività, volessimo imbrigliare con metodi l’estro o la fantasia dei docenti e/o degli studenti. Per decenni si sono sentiti proporre e imporre una didattica per contenuti e nel momento in cui gli si propone un metodo, questo diventa uno strano modello vincolante. E’ come se qualcuno ti dicesse che siccome il Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 10 Amedea Barani, Marco Incerti Zambelli , Enzo Zecchi modeling proviene soprattutto dall’ambito scientifico, allora il ragionamento è solo scientifico e quindi da cassare in ambito psicopedagico. Vorremmo chiarire, intanto, che anche in ambito scientifico si sono avute le importanti e necessarie crisi. Il determinismo newtoniano è entrato in crisi quando si è andati a studiare i moti delle particelle a dimensione atomica. E da allora, su scala atomica, è il concetto di probabilità ad imperare. Con Heisemberg che ci ha dimostrato che è impossibile conoscere esattamente la posizione di una particella se non a scapito della conoscenza della sua velocità, infatti tanto più esattamente siamo in grado di determinare la posizione tanto più indeterminata sarà la misura della sua velocità e viceversa. E’ traumatico, eppure è così. E Einstein a non crederci, a cercare di dimostrare per tutta la vita che questa era una fandonia, eppure sembra proprio che Heinsemberg avesse ragione. Dunque un mondo in cui a prevalere è la probabililità e non la certezza, “the end of certainty” (Prigogine), eppure non abbiamo rinunciato a capirci qualcosa, a creare un modello che in qualche modo inquadrasse il fenomeno, lo potesse controllare, permettesse di fare previsioni e così Schroedeinger ha proposto la sua equazione che sostituisce quella di Newton nella scala atomica: e non ci dà mai certezze ma ci dà probabilità. E a noi questo piace. Ci convince. E ci piace pure che l’uomo abbia usato la sua intelligenza per inquadrare la natura a questi livelli e, dopo quasi un secolo, poter dire che c’è riuscito. Perché l’equazione di Schroedinger funziona come tutto l’impianto quantistico. E ci facciamo le risonanze magnetiche, le tomografie assiali computerizzate, studiamo il DNA, esploriamo lo spazio, facciamo fare a dei robot degli interventi chirurgici, dialoghiamo a migliaia di chilometri con oggetti piccoli, senza fili e tutto a basarsi su Schroedinger e comunque sui risultati della meccanica quantistica. Non abbiamo rifiutato la probabilità: abbiamo imparato ad accettarla come idea di base e su questo abbiamo impostato i nostri ragionamenti, le nostre visioni del mondo, le nostre prospettive. E dunque a non condannare questa maledetta voglia di capire il mondo, di inquadrarlo in modelli che permettono di andare oltre, di penetrare nel profondo, di sostenere e superare anche il proprio pensiero. E dunque ad auspicare, promuovere, stimolare un modello per gestire i progetti. Non a bandirlo, esorcizzarlo, scongiurarlo come vorrebbe certo pensiero povero in nome di una evanescente, improbabile ma incolpevole creatività. Piuttosto a ritenerlo proficuo, vantaggioso, paradossalmente imprescindibile. Il passaggio è generalmente sottostimato. Anche in quelle realtà scolastiche in cui si dà spazio all’area di progetto, lo si fa in modo empirico concentrandosi sul risultato finale, sul prodotto, Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 Learning Object & Mobile Computing 11 piuttosto che sul processo. Un approccio didattico troppo destrutturato e lontano dai riti della didattica tradizionale perchè gli insegnanti, soli, senza un metodo adeguato, senza una rete protettiva, riescano a gestire con successo la complessità d’aula emergente. Molti i contributi a questa sensazione di ingovernabilità. Uno per tutti l’aspetto forse più destrutturante da un punto di vista metodologico e al contempo più ricco da un punto di vista educazionale: introdurre nell’esperienza di classe la gestione di eventi vicini al reale quotidiano, non caratterizzati quindi dal rigido determinismo e dalla univocità della soluzione propri dei problemi scolastici e che equivale dunque a mettere a sistema quella componente di incertezza, di scelta a rischio, di valutazione in termini probabilistici che caratterizza ogni decisione quotidiana. A fronte di questi elementi antinomici, ricchezza educazionale e sconcerto metodologico, un percorso da scoprire, una proposta per comporre. E il percorso più scontato quello già esplorato. In pratica. La cosa per noi più naturale e saggia: partire dalla teoria del project management così com’è applicata con successo nel mondo dell’industria e della ricerca e vedere se e come, ossia con quali elaborazioni, questa possa essere trasferita in classe. Evitare dunque di affrontare, anche a scuola, un progetto con la logica del buon senso e/o del “fai da te” e appoggiarsi, con le opportune tarature e le necessarie integrazioni, al collaudato impianto del project management. Le indicazioni, il modello, che proponiamo sono il distillato di sperimentazioni condotte in più classi e per più anni a partire dal 1995: anno in 1
cui abbiamo presentato l’idea . Auspichiamo che i docenti si impegnino in un progetto che permetta loro di simulare quello che sarà il compito dei loro allievi in classe: diventeranno esperti in quello in cui si cimenteranno i loro allievi. In un’ottica di apprendimento costruttivista questo passaggio è fondamentale: è solo sviluppando integralmente un progetto che un insegnante potrà prendere coscienza delle difficoltà da superare, dei nodi da sciogliere, delle risorse necessarie, dei tempi, della flessibilità richiesta, della necessità di ricercare soluzioni per approssimazioni successive e non tramite approcci deterministici, dell’utilità di lavorare in gruppo e ancora dell’importanza di possedere un’attrezzatura cognitiva altra rispetto a quello richiesto in una didattica trasmissiva. 1 Coordinando il gruppo di lavoro “Per fare progetti: un’ipotesi”. Seminario “Autonomia di
Ricerca e Sviluppo: I modelli organizzativi”, Ministero della Pubblica Istruzione, Bellaria (1995).
Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 12 Amedea Barani, Marco Incerti Zambelli , Enzo Zecchi In un lavoro di prossima pubblicazione “Progettare a scuola: dalle parole ai fatti” (Zecchi) si declinano, fase per fase, le linee fondamentali della teoria del project management mettendo in luce, parallelamente, soprattutto gli adattamenti necessari al loro naturale trasferimento nel mondo della scuola. Nello svolgimento delle attività, proprie dei vari momenti del ciclo di vita di un progetto, si evidenzia chiaramente come non siano vincenti soltanto le formae mentis che tradizionalmente hanno successo in ambito scolastico e come ci sia ampio spazio anche per quei tipi di intelligenza che solitamente non vengono debitamente riconosciuti. Contributo, questo, importante anche come efficace strumento di orientamento. 3.1.2 Formare e gestire gruppi
Analisi e riflessioni. E’ ormai una moda parlare di apprendimento cooperativo e centinaia sono gli eventi formativi per i docenti a questo finalizzati. Lo stesso Fortic2 prevede al suo interno una parte importante di apprendimento cooperativo in rete ma non solo. E da molte parti provengono richieste di corsi sul tema. Eppure, se si esamina la realtà scuola, generalmente ad un tale fermento non corrisponde un adeguato transfer in classe. Il nostro pensiero è che sia sbagliato il punto di partenza. Vogliamo dire che stiamo confondendo il fine con il mezzo. L’apprendimento cooperativo in sé non rappresenta nulla se non lo si considera all’interno di una proposta didattica complessiva: per noi di tipo costruttivista. A chi mai può servire far lavorare i ragazzi in modo cooperativo se lo schema pedagogico è quello di una didattica di tipo trasmissivo? Non sta in piedi. Non c’è la necessità e lo spazio per farlo. I riti sono già codificati per un apprendimento individuale e il tentativo di sostituirlo con uno di gruppo è fallimentare in partenza se non si cambia l’approccio complessivo. Se la prospettiva è quella comportamentista o cognitivista di prima maniera, a che pro un apprendimento cooperativo? I docenti che vengono semplicemente formati alle tecniche del cooperative learning imparano degli interessanti strumenti psicopedagogici ma questi, se non sono situati all’interno di una realtà che di essi necessita, rimangono un interessante pezzo di cultura psicopedagogica. Si arriva all’assurdo, e a me è capitato di arrivarci, di assistere ad eventi formativi in cui in modo trasmissivo vengono fornite nozioni di didattica cooperativa. E questo naturalmente basandosi su un apprendimento individuale. Al più qualche docente zelante ti fa praticare degli interessanti 2
Fortic è un progetto di formazione del corpo docente sulle tecnologie del MPI.
Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 Learning Object & Mobile Computing 13 schemi di relazioni: interviste a due a due, simulazioni di ruoli ed altro ancora. E a queste tecniche riconosciamo senza dubbio un approccio di rottura rispetto agli schemi tradizionali; ma quando si torna in classe ci si chiede perché utilizzare tali metodiche e dopo alcuni primi timidi tentativi il tutto ritorna generalmente come prima e quello rimane solo un piacevole e strano ricordo. Il nostro punto di partenza dunque a tenere conto di questo. I docenti che andremo a formare probabilmente già hanno ricevuto, forse solo a livello teorico, e se a livello pratico quasi certamente in modo non contestualizzato, nozioni di cooperative learning. Il nostro approccio sarà quello di fornirgliele all’interno di un contesto in cui appariranno loro indispensabili. E infatti, già durante gli incontri formativi, i docenti si dovranno porre il problema di come suddividersi in gruppi. E questa problematica sarà la stessa che ogni insegnante, successivamente, dovrà affrontare in classe con i propri alunni. Ed è da qui che partiamo. Senza dubbio il primo problema da affrontare sarà quello della composizione dei gruppi e del numero di alunni per ogni gruppo. Si tratta di una tematica ampiamente trattata nell’ambito dei metodi di apprendimento collaborativo (Slavin, 1994). L’insegnante può decidere di formare gruppi a caso o cercando di mettere assieme gli alunni secondo le affinità o secondo le competenze. L’insegnante può anche lasciare che siano gli studenti stessi a scegliere come formare i gruppi. Il passaggio, in ogni caso, è delicato è va affrontato con rigore. Le ricerche sull’apprendimento collaborativo indicano che è possibile favorire la formazione di gruppi sia omogenei sia disomogenei per conoscenze/competenze disciplinari, ma sono soprattutto i raggruppamenti disomogenei che producono i maggiori benefici sul piano pedagogico (Johnson e Johnson, 1996). Interessanti anche le osservazioni di Hooper e Hannafin (1991) che sostengono che, in un ambiente disomogeneo, sono soprattutto gli alunni più deboli a trarre maggiore vantaggio. Per quanto riguarda il numero dei partecipanti sempre Johnson e Johnson suggeriscono di favorire i numeri bassi, addirittura arrivano a proporre gruppi di due persone (diadi) come ideali per molti progetti cooperativi, ipotizzando numeri maggiori al crescere della complessità dei progetti. Ci troviamo perfettamente d’accordo sul vantaggio di una composizione eterogenea (Kagan & Kagan, 1994), mentre ci pare meriti un’ulteriore riflessione il problema del numero ideale dei componenti un gruppo. Riteniamo, infatti, che la dimensione dei gruppi vada calibrata anche sulla base dell’esperienza degli elementi a lavorare in gruppo: il numero può aumentare col maturare della loro esperienza. In altre parole la capacità di lavorare in gruppo e il numero dei componenti sono grandezze direttamente proporzionali. Infatti, gli Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 14 Amedea Barani, Marco Incerti Zambelli , Enzo Zecchi alunni abituati a lavorare in gruppo mettono a punto delle tecniche che permettono loro di suddividere in modo razionale i compiti. L’interazione che, inizialmente, quando non è opportunamente controllata, rischia di essere un elemento di disturbo (interferenza), se sapientemente governata, si trasforma in un elemento fortemente sinergico (cooperazione). In alcuni casi, particolarmente significativi, sono gli stessi componenti che arrivano ad individuare, per ciascuno, un ruolo e addirittura si spingono a determinare chi deve ricoprire il ruolo del leader. Il tutto, vissuto come una, altrimenti improbabile, necessità d’ordine e non come una antipatica imposizione. In queste condizioni è chiaro come il numero sufficientemente elevato, attorno ai quattro ca., da elemento di probabile confusione possa trasformarsi in un elemento di ricchezza: maggiore scambio di opinioni, retroterra culturali più articolati, spettro attitudinale più ampio, ventaglio di competenze più consistente. Sono ancora Kagan & Kagan (1994, p.131) a confortarci in questa nostra visione. Sulla base di queste considerazioni, durante il primo periodo di sperimentazione, generalmente lasciamo che siano gli studenti stessi ad individuare la composizione e la dimensione dei gruppi. Quello che poi risulta sorprendente e gratificante è il fatto che sono gli studenti stessi a riorganizzarsi secondo le direttrici: disomogeneità di competenze/conoscenze e numero di partecipanti più elevato con attribuzione precisa dei ruoli. L’aspetto preoccupante, di cui comunque prendiamo atto e per cui ipotizziamo strategie risolutive, riguarda alcuni degli studenti meno motivati e/o con problemi di disagio per i quali queste semplici strategie non sono sufficienti e per i quali tuttavia abbiamo riscontrato improbabili miglioramenti nel momento in cui muta 3
il clima nel gruppo classe. Già in altra circostanza ( ), abbiamo trovato un felice connubio con gli psicologi dell’AUSL, sia in questi casi di disagio, sia nella gestione ordinaria dei lavori di gruppo. In pratica. Parafrasando Johnson & Johnson (1994), possiamo evidenziare almeno due ragioni fondamentali per cui un insegnante deve padroneggiare gli elementi essenziali del cooperative learning e sarà a partire da queste che potremo ipotizzare attività concrete di formazione. In primo luogo, gli insegnanti debbono adattare, contestualizzare, situare, le tecniche del cooperative learning alla loro specifica realtà, ai loro bisogni didattici, ai loro curricula, ai loro studenti. E questo lo potranno fare solo nella misura in cui ne avranno una padronanza significativa e 3
Sapienti e Contenti. Corso di formazione sulla didattica per problemi e progetti e sul
cooperative learning, diretto dalla Prof.ssa Stefania Mancin c/o ist. Pascal di Reggio Emilia, 2006,
con interventi del Dott. Ghiretti e del Prof.Enzo Zecchi.
Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 Learning Object & Mobile Computing 15 profonda; profonda al punto da poter interpretare il ruolo di ingegneri della formazione in grado di riprogettare le loro lezioni, i loro curricula, i loro percorsi, insomma, in termini di apprendimento cooperativo. E questo potrà avvenire solo se queste tecniche le avranno praticate in prima persona. In secondo luogo, gli insegnanti devono essere in grado di individuare le situazioni problematiche nei vari gruppi ed intervenire in modo efficace. 3.1.3
Per costruire un clima di comunità.
La connotazione antropologica del gruppo classe, così come ha da essere in un ambito di didattica trasmissiva, è rappresentata da un insieme di individui scollegati tra di loro, spesso in competizione non collaborativa, che hanno come riferimento unico il docente, vero dominus indiscusso della didattica. E altro non può essere, visto che la direzione dell’informazione è quella da uno a molti e visto che il feedback e la valutazione sono appannaggio unico del docente. L’introduzione di una forma di didattica altra non è però più compatibile con questa antropologia del gruppo classe, e perché la didattica per problemi e progetti possa funzionare davvero è fondamentale l’instaurarsi di un clima di comunità di apprendimento. Non c’è una tattica unica per favorire e controllare i lavori di gruppo, c’è però la necessità di passare dal clima classico in cui l’interazione prevalente è tra l’insegnante ed il gruppo classe ad un clima di comunità vero in cui l’interazione è, a diversi livelli, tra tutti i soggetti. E in questo clima di comunità, caratterizzato da momenti di condivisione e momenti di contesa, dalla presa di coscienza di molteplici punti di vista, la conoscenza diventa più vera, più significativa e cresce la propensione ad affrontare situazioni problematiche destrutturate. Da qui, il passo verso l’acquisizione di buone capacità di transfer: di trasferire cioè le conoscenze e le capacità di problem solving anche ad altri ambiti. In ultima analisi il fatto che all’interno dell’ambiente di apprendimento si sviluppi un forte feeling di comunità, diventa una condizione imprescindibile per un apprendimento più autentico. 3.1.4
Per costruire gli strumenti per la valutazione.
Analisi e riflessioni. Uno dei passaggi obbligati, sine qua non, per la riuscita della sperimentazione consiste nel tranquillizzare l’insegnante circa gli strumenti per la valutazione. Un docente avverte fin dalle prime battute il pericolo di imbarcarsi in una nuova avventura se non sa di avere sotto controllo il timone. Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 16 Amedea Barani, Marco Incerti Zambelli , Enzo Zecchi Ed il timone, piaccia o non piaccia, uno ha l’impressione di tenerlo saldamente impugnato se sa di poter valutare gli allievi in modo efficace e sufficientemente oggettivo. Una didattica in cui saltano gli schemi tradizionali, in cui il lavoro di gruppo prevale su quello individuale, in cui le prove classiche non hanno senso alcuno, necessita di utensili per la valutazione appropriati. In gergo si dice che in un ambiente di apprendimento autentico bisogna poter disporre di strumenti di valutazione autentica. Ed è da qui che bisogna partire. Bisogna mostrare al docente che esiste la possibilità di sostituire le metodiche tradizionali con altre che gli diano la possibilità di valutare l’allievo nell’atto di erogare prestazioni simili a quelle che probabilmente dovrà fornire nel mondo del lavoro o della ricerca. Bisogna altresì mostrare al docente come tali metodiche, se gestite opportunamente, possano arrivare ad un grado di oggettività elevato e comunque ampiamente sufficiente per controllare, guidare e soddisfare il gruppo classe. Risulta difficile a volte far decollare una buona attività di didattica per problemi e progetti, ma se questa decolla, se si crea il clima corretto, se gli alunni si lasciano coinvolgere, allora può nascere un’entropia da ansia di costruzione, inusuale per gli ambienti di apprendimento tradizionali: quelli per intenderci costruiti attorno ad una tipologia di didattica trasmissiva. In questi infatti la liturgia di riti consolidati serve come antidoto, generalmente efficace, all’insorgere di qualunque evento caotico. Ed è proprio questa probabile entropia a spaventare maggiormente l’insegnante, e di fronte ad essa, senza gli strumenti di valutazione opportuni, si sente generalmente indifeso. E questo è il contesto reale di cui dobbiamo prendere atto e l’inserimento di una didattica per problemi e progetti sarà efficace solo se i docenti saranno in grado di costruirsi un pacchetto di strumenti di valutazione autentica, solo se avranno anche questo strumento nella loro cassetta degli attrezzi. E averli realmente non significa aver sentito raccontare cosa sono, come si costruiscono e come si usano, ma significa averli costruiti ed utilizzati in situazioni reali. Nella nostra esperienza, più di un insegnante si è dimostrato convinto dell’efficacia di un approccio costruttivista, ma ai primi tentativi si è spaventato per la sensazione di ingovernabilità. Ovviamente a questo ha fatto eccezione l’insegnante carismatico, leader naturale, per il quale il problema non si è posto. Infatti, grazie alla propria personale capacità di controllo, la situazione non gli è sfuggita di mano e il dominio della classe ha continuato ad esercitarlo senza bisogno di metodi coercitivi. Se il problema dell’entropia in questo caso è stato superato, o meglio neppure si è presentato in tutta la sua interezza, è rimasto Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 Learning Object & Mobile Computing 17 tuttavia il problema della valutazione. Infatti, al termine dell’esperienza la valutazione, fatta con le metodiche tradizionali, è apparsa discrasica, un fatto arbitrario, del tutto soggettivo e poco o nulla ha convinto ragazzi e famiglie. Sia l’entropia, sia la inadeguatezza delle metodiche di valutazione tradizionali vengono superate quando il docente fa proprie le metodiche della valutazione autentica e le utilizza in classe. Ma come? In pratica. E per raggiungerlo la strada è chiara: nello spazio problemi‐progetti dell’ambiente di apprendimento dedicato ai docenti, uno dei progetti fondamentali da far sviluppare sarà quello della costruzione di un pacchetto completo di rubric, che sono lo strumento d’elezione per la valutazione autentica. E il pacchetto che andiamo a proporre di sviluppare è frutto di numerose sperimentazioni condotte e nelle quali lo abbiamo trovato efficace non solo nel moderare qualsiasi evento entropico ma soprattutto nel soddisfare le esigenze di valutazione complessive degli alunni impegnati nelle attività di progetto. Per una descrizione completa dello strumento rubric si veda Zecchi (2004). Ci limiteremo in questo saggio a descrivere le tre tipologie di rubric necessarie e sufficienti a formare il tool per la valutazione. Una prima tipologia di rubric serve per valutare gli alunni durante le presentazioni dei risultati raggiunti. Le presentazioni sono momenti in cui i vari gruppi relazionano al resto della classe lo stato dell’arte del loro progetto: il punto dove sono arrivati nella realizzazione del loro LO. Le presentazioni avvengono per gruppo ma ogni componente del gruppo è tenuto a presentare il proprio contributo. Ed a valutare i singoli alunni tramite la compilazione di una rubric specifica saranno sia il docente sia i compagni di classe. Tale rubric sarà composta di due parti: una finalizzata a valutare gli aspetti del lavoro di gruppo nel loro complesso ed una finalizzata a valutare il contributo dei singoli. Se ad esempio abbiamo un gruppo classe di 24 allievi, suddiviso in ca 6 sottogruppi di progetto, la cosa più o meno funzionerà così. Quando un gruppo relaziona, ogni altro gruppo, assieme al docente, valuta compilando una rubric. In questo modo al termine della presentazione di un gruppo saranno disponibili le 5 rubric compilate dai gruppi e quella compilata dal docente che permetteranno una valutazione sia del lavoro di gruppo sia del contributo dei singoli allievi. Il limite di questa valutazione, ed in parte anche uno dei suoi grandi punti di forza, è che tende a mettere in evidenza le capacità di comunicazione dei singoli ragazzi, mentre non sempre evidenzia a dovere il contributo di quegli studenti piuttosto timidi e schivi che esprimono il meglio di sé nelle attività di laboratorio e comunque nel lavoro metodico e sistematico ma che poi non sempre riescono ad Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 18 Amedea Barani, Marco Incerti Zambelli , Enzo Zecchi esprimerlo in una presentazione. Più volte questo problema ci è stato segnalato e finalmente ci pare di aver trovato una soluzione accettabile tramite la costruzione di una rubric mirata a valutare l’apporto dei singoli durante le attività di laboratorio: rubric che viene compilata dall’insegnante per i singoli allievi. Questa attività di compilazione richiede un’attenta osservazione e non sempre è possibile quando l’insegnante è solo e non è aiutato da un assistente o da facilitatori. A completare il pacchetto di rubriche: quella finalizzata alla valutazione del prodotto finale a prescindere dai singoli. Si valuta il prodotto finale così com’è, come si valuterebbe qualunque prodotto multimediale. A compilare la rubrica saranno a turno tutti i gruppi ed il risultato finale sarà un’indicazione indiretta per la valutazione dei singoli che potrà essere utilizzata dal docente nel modo da lui ritenuto più opportuno. Disponiamo ovviamente di un pacchetto completo di rubriche pronto e sperimentato. Tuttavia il progetto che i docenti coinvolti nell’ambiente di apprendimento dovranno sviluppare consiste proprio nella costruzione delle “loro” rubriche. Sarà un buon esercizio finale il confronto con il pacchetto di rubriche già consolidato, anche per un suo eventuale miglioramento. 4.
Usare
conoscenza.
Learning
Objects
per
favorire
la
crescita
della
E’ la visione “altra” di come i LO andranno ad impattare con il mondo della formazione. Non più artefatti da costruire, veri catalizzatori di processi di apprendimento significativo ed efficace, ma potenziali risorse da utilizzare per apprendere. Già ci siamo lungamente espressi sugli insuccessi, e dunque sulle nostre perplessità, circa l’utilizzo delle tecnologie secondo questa prospettiva. Prese tutte le precauzioni del caso, chiarito che il problema è soprattutto di natura pedagogica, crediamo che i LO abbiano in se tutte le potenzialità per integrarsi efficacemente nei processi di apprendimento anche come risorsa per veicolare contenuti e paradossalmente per permettere il recupero di metodi. I paradossi: un aiuto imprevisto. Viviamo un tempo di paradossi. E sono anche loro a sostenerci in questo improbabile angolo cognitivo, di tendenza e proiettato nel futuro, fatto di Learning Object e Tecnologie Mobili. E, dopo essere stati travolti e disorientati dalle lucide analisi sociologiche di Bauman, sono anche loro, i paradossi, a farci Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 Learning Object & Mobile Computing 19 sperare in percorsi di vita un po’ meno labili, un po’ meno liquidi: quasi plastici, come a noi piace definirli. Come quel felice paradosso che ci ha spinto a dare credito alla rubric, strumento d’eccellenza della valutazione autentica, all’apparenza poco più di una scheda “usata”. Eppure, a bene considerarne l’architettura, questo strumento di valutazione, segnatamente costruttivista, ha senso e forza perché in fondo si avvale del contributo comportamentista: esprimere i livelli di prestazione attesi in termini comportamentali, non concetti generici, ma comportamenti osservabili, quasi misurabili. Ed è a partire da qui che la rubric si fa mezzo di valutazione vera, autentica. (Zecchi, 2004) E paradossale è anche e soprattutto il recupero che le tecnologie ci spingono a fare in ambito metodologico. Ed è proprio questo il paradossale recupero metodologico che i LO ci permettono: riconsiderare il concetto quasi dimenticato che l’apprendimento vero nasce da conversazioni. Che per migliorare qualità ed efficacia del nostro impianto educazionale è da lì che dobbiamo partire. E’ un nostro grande sogno quello di poter avere qualcuno cui rivolgerci nel momento del bisogno. E che lui riesca ad adattarsi al nostro livello di conoscenza e che da lì parta, che risponda ai nostri dubbi, che ci dia in un determinato momento proprio quello di cui in quel momento sentiamo il bisogno. Come quando non sappiamo fare una cosa, quando abbiamo un problema da risolvere, anche non complesso ma articolato, spesso di natura banalmente procedurale. Come quando dobbiamo imparare ad usare qualche nuova funzionalità di uno strumento: come programmare l’accensione e lo spegnimento di un forno, come inserire la funzione percussione in un trapano, come utilizzare i modelli in word, come inserirci in una nuova rete wireless etc. Ebbene la prima tentazione che ci viene è quella di consultare qualcuno che lo sappia già fare. Questo ci evita la lettura di lunghe descrizioni procedurali che spesso non si sintonizzano con il nostro know‐how: o troppo noiose e dettagliate o troppo sintetiche e che danno per scontato passaggi non conosciuti. E le tecnologie ancora una volta ad aiutarci. Fino a poco tempo fa, nel momento del bisogno, il libretto di istruzioni non lo si trovava mai, ora con Internet è generalmente possibile scaricarlo dalla rete. Ma se questo vale per conversazioni finalizzate a soluzioni procedurali, a maggior ragione quando abbiamo bisogno di individuare problemi all’interno di situazioni problematiche, quando l’indeterminazione prevale, quando la soluzione non è certa ma probabile allora poter conversare, chiedere, dialogare diventa determinante. Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 20 Amedea Barani, Marco Incerti Zambelli , Enzo Zecchi Già Socrate e Platone ci proponevano il dialogo come forma di eccellenza dell’educazione. Sono loro ora, i Learning Object, che ci permettono di ripescare la strategia didattica della conversazione proprio perché loro, i futuri oggetti per lʹapprendimento, saranno probabilmente progettati a forma di conversazione, di dialogo (J.D.Fletcher, 2006, Istitute for Defense Analyses, USA). Saranno in grado di adeguersi al contesto, agli interessi dello studente, al suo livello di conoscenze pregresse e ai suoi stili cognitivi. Saranno insomma adattivi e saranno specifici per i bisogni e le necessità dell’allievo in quel particolare momento. Si situeranno insomma nella sua zona di sviluppo prossimale. Ma ancora di più: faranno uso di tutte le potenzialità della multimedialità e individueranno le strategie di apprendimento più appropriate al livello dello studente e non si limiteranno a favorire apprendimenti specifici ma si spingeranno fino a sostenere momenti di problem solving e di project management. Ed è proprio l’idea di tecnologie disponibili sempre ed ovunque e capaci di interagire conversando in linguaggio naturale che rende possibile il recupero della conversazione, come strategia di apprendimento/formazione. Non è certo pensabile la realizzazione di conversazioni con classi di trenta alunni. E certamente, per farlo con i LO, le tecnologie necessarie sono a portata di mano. Laddove siamo più carenti sono le strategie didattiche, le capacità di problem solving, e per svilupparle pienamente, sempre secondo le previsioni di Fletcher, ci vorranno almeno altri vent’anni. Ed è Fletcher stesso a mettere in conto l’effetto Cristoforo Colombo: credeva di arrivare alle Indie ed ha scoperto l’America. Quello dei LO come conversazione non dunque come certezza ma come probabile realizzazione ed in ogni caso come significativa tendenza. Tecnologie adattive La capacità del computer di essere adattivo è stato il cavallo di battaglia del CAI (Computer Assisted Instruction) a partire dagli anno ‘60, ossia l’idea di riuscire a implementare concretamente, tramite computer, l’individualizzazione dell’intervento formativo. Sono gli anni dei software drill and practice, degli albori del courseware, dei primi sistemi autore implementati anche con linguaggi di alto livello, tipo PILOT e SuperPILOT. Sono gli anni in cui molti docenti, entusiasti delle possibilità offerte dal computer, si scoprono sviluppatori di software didattico. Ma veloci arrivano anche gli anni in cui i docenti si accorgono delle enormi quantità di tempo richieste per produrre risultati mediocri. E la figura del docente sviluppatore presto va in soffitta, ma non l’idea del computer come macchina che si può adattare allo studente, che può creare percorsi su misura: Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 Learning Object & Mobile Computing 21 questa percezione rimane. Del resto qualche buon esempio di courseware utilizzato soprattutto per momenti di recupero o per dare fluency alla risoluzione di certi esercizi lo si era ottenuto. Troppo importante la potenzialità propria del computer di essere interattivo, e quindi adattivo, e troppo forte la richiesta di individualizzazione dal mondo dell’education . Già Carroll (1970), in un interessante e citato studio, affermava che in una classe K‐8, l’equivalente di una nostra terza media, molti erano gli studenti in grado di apprendere in un giorno quello che ad altri ne occorrevano cinque. Ed in classe quello che spesso accade è che il docente riesce a seguire un certo gruppo di ragazzi e deve trascurarne altri: mentre un gruppo si sente seguito l’altro si annoia e perde tempo. Sono stati realizzati molti studi, soprattutto in ambienti militari, per quantificare questo tempo perso e quanto quindi si potrebbe risparmiare in termini di costi con l’introduzione del computer adattivo (Orlansky & String, 1977; Fletcher, 1977; Kulik, 1994). E in modo molto approssimativo le stime arrivano ad indicare un 30% di risparmio. E Fletcher (2006) si spinge oltre fornendo le cifre assolute riferite ad un numero limitato di corsi residenziali del DoD (Department of Defense) e i risparmi ipotizzati sono dell’ordine di diversi miliardi di dollari. Non siamo certo galvanizzati da queste cifre: certo ci spingono a ritenere che la partita non sia accantonata e che gli studi in merito non rallenteranno facilmente. A tutto questo va aggiunto che, con il crescere delle potenzialità delle tecnologie, cresce anche la probabilità che queste vengano efficacemente utilizzate nell’Education. I passaggi dalla Computer‐Based Instruction, alla Computer‐Based Instruction con la Multimedialità fino ai ITS (Intelligent Tutoring Systems) vanno senza dubbio in questa direzione ma molto ancora rimane da fare. Ed è la strada verso un’adattività di nuova generazione che si sta cercando di raggiungere con i LO. Siamo dunque di fronte ad una rivoluzione? Parafrasando Fletcher (2006), la vera grande rivoluzione che la tecnologia sarà in grado di produrre, oltre al fatto di metterci a disposizione sempre ed ovunque le informazioni, cosa che in qualche modo già i libri ci permettono, saranno le interazioni tutoriali in linguaggio naturale: insomma un ritorno alle
conversazioni socratiche da cui siamo partiti. E come sarà possibile implementarle concretamente? Crediamo che, finalmente, si presenteranno sotto forma di qualcosa in grado di generarsi in tempo reale e su richiesta. Ma è chiaro che perché questo possa avvenire, al di Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 22 Amedea Barani, Marco Incerti Zambelli , Enzo Zecchi sotto dovrà esserci una base da cui partire, delle fondamenta su cui poggiare e costruirsi. Che cosa, insomma, permetterà l’attualizzazione di questa potenzialità adattiva e generativa. Le informazioni di partenza, molto presumibilmente, si troveranno in Internet o in qualcosa di analogo; ma come saranno strutturate, organizzate? E sempre, seguendo la visione di Fletcher, crediamo che queste conversazioni, in grado di generarsi just in time e on demand, avranno come punto di partenza qualche oggetto di un certo tipo ed archiviato in un certo luogo. Saranno insomma object oriented. Le informazioni di partenza saranno insomma organizzate sotto forma di oggetti intendendo per oggetto qualcosa che ha una certa collocazione spaziale ben definita, e quindi è reperibile, ed inoltre ha la importante caratteristica di essere riusabile. Vedremo meglio questo concetto in seguito. Per ora ci accontentiamo insomma di sapere che queste conversazioni “molto speciali” sono capaci di generarsi, hanno una base di partenza e che questa base di partenza è un oggetto riusabile. Gli Oggetti per Insegnare ed Apprendere. Questa idea dell’apprendimento che si basa su oggetti è stata descritta, in modo molto efficace, come “educational object economy” da Spohrer, Summer e Shum (1998). E quello che più ci avvince in questa “educational object economy” è il focus: insomma il vero problema non è tanto quello di creare degli oggetti che in qualche modo siano il corrispondente di materiali didattici o comunque di materiali che possono essere utilizzati a supporto di performance, quanto quello di prendere oggetti già esistenti ed inserirli all’interno di interazioni “significative, importanti ed efficaci”. Rifacendosi allo studio di Gibbons, Nelson e Richards (2000) possiamo capire ancora meglio il perché di questa scelta (gli oggetti) . Essi affermano che gli instructional objects, così come loro li chiamano, saranno molto probabilmente la tecnologia vincente in quel lungo e sofferto processo di integrazione della tecnologia nella didattica e lo saranno soprattutto per le loro caratteristiche di riusabilità, adattabilità e scalabilità. Ma queste caratteristiche diventano anche condizioni necessarie e sufficienti per poter essere il punto di partenza, le fondamenta, delle auspicate interazioni. Detto in termini più tecnici, questi instructional objects “forniranno le primitive” per la creazione in tempo reale e on demand delle auspicate interazioni. E anche se molte potranno essere le forme, i media, con cui questi oggetti si potranno “materializzare”, sempre rifacendoci a Gibbons et al., tutti dovranno avere come denominatore comune quello di rispondere ai seguenti criteri: Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 Learning Object & Mobile Computing 23 accessibilità, portabilità, durata e riusabilità. Saranno accessibili nella misura in cui sarà facile trovarli. E qui il grande problema, ma direi ben affrontato e in parte risolto, di attribuire ad ogni oggetto degli opportuni metadati: essere ben etichettati per essere facilmente individuati. Devono essere portabili. E questa è una caratteristica molto importante, che conoscono bene gli informatici. E’ importante che ogni programma, ogni oggetto, possa vivere in diversi ambienti, su diverse piattaforme, con diversi Sistemi Operativi. E’ una caratteristica fondamentale per poter essere diffusi e quindi in un certo senso essere globali. Quella della durata è una garanzia altrettanto importante e che va un po’ nella stessa direzione. Vogliamo dire che al mutare delle piattaforme, dei Sistemi operativi, degli ambienti insomma, loro dovranno continuare a funzionare, altrimenti saranno condannati ad un’obsolescenza precoce a prescindere dal loro valore e spessore didattico. E finalmente la riusabilità. Siamo di fronte ad un concetto ancora molto caro agli sviluppatori di software: creare qualcosa che possa essere facilmente riutilizzato in contesti diversi senza dover intervenire con adattamenti più o meno onerosi. Insomma una volta che abbiamo costruito un oggetto che assolve un certo compito o che risolve un certo problema, ebbene tutte le volte che ci troveremo di fronte a quel compito o a quel problema basterà riusare quell’oggetto. Ed è da questi oggetti, così caratterizzati, che si potrà partire per arrivare alle “conversazioni per apprendere” ipotizzate ed auspicate. E perché tutto questo possa accadere? E a rendere possibile questo scenario, fatto di learning objects e mobile computing, saranno soprattutto i progressi lungo quattro grandi direttrici: i futuri sviluppi nel campo nell’elettronica, l’aumento delle possibilità di accesso al WWW, una migliore definizione delle condizioni per la ricusabilità e lo sviluppo di Intelligent Tutoring Systems. E se per le prime tre non ci sono dubbi, la quarta è più delicata e merita ulteriori approfondimenti. E per prima cosa, per poter fare un confronto significativo, elenchiamo i grandi obiettivi che la Computer Assisted Instruction si era prefissata di raggiungere già a partire dagli anni ’60 e vediamo come questi, anche se particolarmente significativi, nulla abbiamo a spartire con gli obiettivi che ci proponiamo di raggiungere con gli Intelligent Tutoring Systems. In particolare il courseware CAI avrebbe dovuto essere in grado di: • adeguarsi al ritmo di ogni studente per permettergi di raggiungere gli obiettivi prefissati; Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 24 Amedea Barani, Marco Incerti Zambelli , Enzo Zecchi •
adattare sia i contenuti sia le sequenze di apprendimento ai bisogni del singolo studente; • adeguare i livelli di difficoltà e di astrazione degli interventi; • adattarsi agli stili di apprendimento dei singoli studenti (eventi più o meno collaborativi, più testuali o visuali etc.). E’ chiaro che solo alcuni software particolarmente sofisticati sono riusciti nel loro intento di raggiungere questi obiettivi, mentre la maggior parte del courseware prodotto era di basso livello. Tuttavia, anche se pochi, i successi hanno dimostrato che col computer qualcosa di nuovo, soprattutto nell’ottica dell’individualizzazione dell’intervento formativo, poteva essere fatto. Vediamo ora come le sfide, che possiamo affrontare oggi, prevedendo all’interno del courseware ITS un uso massiccio delle tecniche di Intelligenza Artificiale, siano molto più ambiziose e vadano nell’ottica di rendere il computer, o chi per esso, molto più vicino al nostro modo di ragionare: potremo insomma instaurare una sorta di dialogo con gli Intelliget Tutoring Systems. Sarà questo il banco di prova su cui si potranno sperimentare i courseware candidati ad entrare pesantemente ed efficacemente nell’education e su cui si potrà verificare se veramente, con la loro introduzione, ci troviamo di fronte ad un cambio di paradigma della stessa portata di quello che è seguito all’introduzione del libro. E questo divario tra le attese CAI e quelle ITS, visto a posteriori, sarebbe stato anche logico aspettarselo. Troppo lontana dal procedurale, dal computazionale e dalla capacità di memorizzare la professione del docente. Certo anche queste caratteristiche sono importanti, ma in questo ambito professionale sono poca cosa. L’interazione non è con oggetti meccanici o altro, non è con persone e basata solo su protocolli: è con studenti nella loro completezza di persone ed è su questo tipo di interazione che si gioca la potenzialità di qualsiasi risorsa ad entrare a pieno titolo nell’agone formativo. Ed è su questo che si scommetterà l’efficacia dei prossimi sistemi ed è a partire da qui che questi sistemi probabilmente riusciranno ad integrarsi efficacemente con la didattica. Fra le varie potenzialità che l’intelligenza artificiale ci può offrire, ce ne sono tre che crediamo andranno a caratterizzare pesantemente i futuri LO e permetteranno la loro implementazione sotto forma di conversazione. In particolare questi sistemi: • Permetteranno allo studente di formulare domande e/o risposte aperte e favoriranno lo svilupparsi di un dialogo tra lo studente ed i sistemi stessi. Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 Learning Object & Mobile Computing 25 •
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Consentiranno la generazione automatica di materiali e interazioni su richiesta. Non sarà quindi più necessario preparare e memorizzare anticipatamente tutti i materiali e tutte le interazioni di cui, eventualmente, ci potrà essere bisogno in seguito. Renderanno possibile l’utilizzo del linguaggio naturale come linguaggio d’interazione. Ed in questa difficile direzione molti sono gli sforzi ed i progressi fatti e che si continuano a fare (Graesser, Gernsbacher, & Goldman, 2003) Osserviamo finalmente come la caratteristica, propria di questi sistemi, di essere generativi implichi il saper mettere in piedi, su richiesta, interazioni con gli studenti, ma non solo. Infatti non basta saper generare problemi adatti ai bisogni degli studenti ma bisogna essere in grado di assisterli, sostenerli e guidarli nel processo di generare soluzioni, di mettere in piedi adeguate ed efficaci strategie didattiche e soprattutto di fornire quel tipo di interazioni indispensabili per la creazione di un approccio “tutoriale” uno a uno. Obiettivi ambiziosi o utopie? Una visione quasi fantastica della Scuola del futuro. Concludiamo con Fletcher chiedendoci dove sarà possibile arrivare con queste possibilità fantastiche. In qualche modo possiamo prevedere che la didattica del futuro subirà cambiamenti drammatici e, tra quelli previsti, maggiormente ci lasciano sbigottiti quelli che andranno ad intaccare le fondamenta della didattica così come noi la conosciamo. Tre in particolare, secondo Fletcher, saranno i grandi change che verranno provocati. In primo luogo assisteremo alla scomparsa quasi totale della programmazione di sequenze predefinite. In secondo luogo assisteremo al calo dell’utilizzo di tecniche e forme di valutazione esplicite, soprattutto dei test. E da ultimo, anche quei momenti didattici che fanno parte del nostro DNA e che quotidianamente ci accompagnano, le lezioni, subiranno un ridimensionamento notevole. No sequenze predefinite. Queste conversazioni non avranno percorsi predefiniti ma si dirigeranno sulla base delle esigenze emergenti. L’idea dell’Instructional Design come processo con cui specificare anticipatamente sequenze didattiche sotto forma di lezioni, unità didattiche e moduli tenderà all’obsolescenza. No test. Molto interessante anche questo punto di vista secondo il quale in futuro, per determinare il raggiungimento di obiettivi di apprendimento e di capacità di problem solving, ci si affiderà molto meno all’utilizzo di test espliciti. Questi verranno rimpiazzati da valutazioni continue, discrete e riservate, mirate Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 26 Amedea Barani, Marco Incerti Zambelli , Enzo Zecchi a sviluppare un modello dello studente a partire dalle sue interazioni con il sistema. E queste forme di valutazione saranno a partire dal vocabolario utilizzato dal discente, dal suo uso di informazioni tecniche, dalla sua capacità di astrarre e di correlare/raggruppare concetti, dalla sua capacità di inferire ipotesi e così via. Può darsi che ancora si useranno test espliciti per particolari momenti di valutazione, ma non siamo assolutamente in grado di predire quali. No lezioni. La visione cognitivista di uno scibile diviso in discipline, a loro volta divise in moduli e unità didattiche…, unitamente alla visione dei docenti padroni assoluti di questo scibile che ex cattedra lo trasmettono, tramite dotti monologhi, agli studenti soggetti solo ricettivi, ebbene questa visione, che ha regnato incontrastata per decenni ed ancora stenta a cedere il passo, tenderà a scomparire. Se è corretta la previsione del recupero di momenti conversazionali, è chiaro che le lezioni, intese come blocchi monolitici in cui vengono presentati/esposti concetti e idee per il raggiungimento di obiettivi prefissati, tenderanno a cessare di esistere. Rimarranno certamente gli obiettivi come pure la necessità di tenere traccia del percorso verso il loro conseguimento, ma certamente le modalità varieranno continuamente, proprio come gli obiettivi stessi che subiranno dinamicamente aggiustamenti e tarature continue. E qui il ruolo del docente sarà determinante. Da protagonista del processo educativo passerà a quello di risorsa del rinnovato ambiente di apprendimento e giocherà il ruolo fondamentale di guida nel percorso di apprendimento dell’alunno che altrimenti, anche se efficace nei passi intermedi, rischierebbe di non essere necessariamente e adeguatamente finalizzato al raggiungimento degli obiettivi stabiliti. CONCLUSIONI Abbiamo presentato, fra le prospettive future dell’utilizzo dei Learning Object, quella che più ci avvince e più ci fa credere che così impostati i LO difficilmente si riveleranno un ennesimo fallimento al pari dei molteplici pregressi tentativi di introduzione delle tecnologie nella didattica. Tuttavia, nonostante gli enormi progressi compiuti, siamo nel regno del futuribile e nell’immediato futuro difficilmente ci confronteremo con LO fatti a forma di conversazione. Incontreremo invece molti LO fatti di contenuti e poco altro, con efficaci sistemi di archiviazione e di reperimento. Non ci siamo però addentrati in questa prospettiva perché la crediamo sufficientemente documentata e soprattutto perché crediamo che nell’immediato futuro avrà un modesto impatto educazionale. Così concepita stenterà ad entrare nel quotidiano della didattica, Progetto Leonardo da Vinci ʺMolecoleʺ n. I/05/B/F/PP‐154063 Learning Object & Mobile Computing 27 anche se talora potrà rivelarsi efficace strumento, al pari del libro, laddove non potrà essere disponibile un docente. Per il presente e per l’immediato futuro abbiamo presentato, nella prima parte di questo lavoro, un possibile ruolo dei LO come strumenti fondamentali per la costruzione della conoscenza. Sono stati cioè prospettati i LO come possibili prodotti finali di un percorso di costruzione che vede gli alunni impegnati come protagonisti attivi: una sorta di efficace implementazione di didattica per problemi e progetti in cui i LO rappresentano i prodotti da costruire. E per rendere operativo ed efficace questo approccio abbiamo individuato, nella preparazione degli insegnanti, il maggior problema da risolvere. Abbiamo quindi analizzato e proposto una serie di interventi finalizzati a dotare gli insegnanti di quegli “attrezzi” di cui sono totalmente sprovvisti e dai quali non si può assolutamente prescindere per la progettazione, implementazione e conduzione di questo approccio metodologico.. BIBLIOGRAFIA
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