Il corpo nella poesia del
secondo ‘900
Il secolo XX comincia col mettere in crisi il
concetto dell’Assoluto e sceglie il Relativo. In
questo secolo si passa dalla percezione
platonica del corpo a quella fenomenologica.
Roberto Herlitzka legge ‘La Pioggia Nel Pineto’
(1902) dall’ Alcyone
Gabriele D’Annunzio, La Pioggia Nel Pineto
• Nel poeta abruzzese i corpi sono immersi nel MITO,
in un eterno presente da cui non potranno mai uscire.
• Così facendo, l’immagine veicolata è quella di una
eterna giovinezza intangibile.
• D’Annunzio è tuttavia consapevole che accanto al mito
esiste la negazione di esso, il disfacimento del corporeo,
la natura arida.
• Dalla visione esaltante del panismo parte il ‘900, per
confrontarsi con la diversità.
Pier Paolo Pasolini, Una disperata vitalità,
da Poesia in forma di rosa (1964)
Come in un film di Godard: solo/ in una macchina che corre per le
autostrade/del Neo-capitalismo latino- di ritorno dall’aeroporto-/ [là è
rimasto Moravia, puro tra le sue valige]/ solo, “pilotando la sua Alfa Romeo”/
in un sole irriferibile in rime/ non elegiache, perché celestiale/ -il più bel sole
dell’anno-/ come in un film di Godard:/ sotto quel sole che si svenava
immobile/ unico,/ il canale del porto di Fiumicino/ -una barca a motore che
rientrava inosservata/ i marinai napoletani coperti di cenci di lana/ un
incidente stradale, con poca folla intorno…
-sono come un gatto bruciato vivo,/ pestato dal copertone di un autotreno,/
impiccato da ragazzi ad un fico,/ ma ancora almeno con sei/ delle sue sette
vite,/ come un serpente ridotto a poltiglia di sangue/ un’anguilla mezza
mangiata/-le guance cave sotto gli occhi abbattuti,/ i capelli orrendamente
diradati sul cranio/ le braccia dimagrite come quelle di un bambino/- un gatto
che non crepa, Belmondo /che al “volante della sua Alfa Romeo” / nella
logica del montaggio narcisistico/ si stacca dal tempo, e v’inserisce/ Se stesso:
(...)
Pasolini e Zanzotto
• Attenzione per il cinema e
ricerca in esso di un
linguaggio alternativo.
• Pochissime citazioni
esplicite del corpo (capelli,
occhi, vestiti).
• Qui il corpo è decomposto
ed indica l’autodistruzione
cui lo scrittore tende.
• Corpo-psiche e parolafisicità.
• Vicino all’Ermetismo per
la ricerca di assoluto ma
no di sonorità e
raffinatezza.
• IO soggetto diventa
spesso il pronome TU cui
si sta scrivendo.
• Il linguaggio non è più
transitivo rispetto
all’oggetto che
rappresenta (“bava di
vicende”).
Andrea Zanzotto, Esistere
psichicamente, 1956
• Da questa artificiosa terra-carne/
esili acuminati sensi/ e sussulti e
silenzi,/ da questa bava di vicende/
-soli che urtarono fili di ciglia/
ariste appena sfrangiate pei colli-/
da questo lungo attimo/ inghiottito
da nervi, inghiottito dal vento,/ da
tutto questo che non è nulla/ ed è
tutto ciò ch’io sono:/ tale la verità
geme a se stessa,/ si vuole pomo
che gonfia ed infradicia./ Chiarore
acido che tessi/ i bruciori d’inferno/
degli atomi e il conato/ torbido
d’alghe e vermi,/ chiarore-uovo/
che nel morente muco fai parole/ e
amori.
Edoardo Sanguineti, Testo 45
(settembre 1971) in Reisebilder.
il corpo morto, di un viola così cattivo,
che io mi porto dietro con tanto
sforzo,dentro un tappezzato corridoio
cieco: (dentro la lunga casa di corso
Matteotti,/ ma pare, ancora): /fasciato
con stracci e con asciugamani bagnati/
(complici, in qualche modo, i miei
cognati, per questa deposizione assai
apocrifa,/ che interessa vasche di rame
e di stagno): (e interessa agenti
segreti,/ magari, e simile marmaglia
che mi sorveglia):/ (e si è staccato/ un
mezzo piede, per terra, impacchettato
e putrefatto, strada facendo,/ in sogno:
che è un grosso pezzo di grasso sapone
grezzo,poi): (e non so più/ dove
nasconderlo, e come, se non mi aiuti
anche tu): io te lo racconto adesso/ che
l’ho capito, appena, subito: (e puoi
capirmi): questo è il mio corpo:
Edoardo Sanguineti, Testo 12
(dicembre 1981) da Segnalibro.
a domanda rispondo:/ lo ammetto, ho messo in carte, da qualche parte, con arte,
questa mia/ storia così: faccio il pagliaccio in piazza, sopra un palco: (io sono/ il
cavadenti, il mangia- e sputafuoco, l’equilibrista contorsionista, il domatore di tigri e
pulci,/(..)mi infilo in bocca una mia mano/ scendo nella mia gola più profonda, con il
mio braccio, e avanti, e sotto, sempre più/ dentro, giù, passe-passe di passe-partout,
finchè mi afferro infine,lì in fondo fino/ al fondo, con il mio dito, l’anello del mio
elastico sfintere:/ e tiro forte, è fatta: mi rovescio le viscere, e mi sembra la scuoiatura
del coniglio;/ forse:/ e grido, su dall’ano, ma piano:/ venite qui, e vedete: è questo
l’uomo nudo,/ il vivo e il vero, se lo prendi nell’intimo dell’imo (servito al naturale):
Antonio Porta, La palpebra
rovesciata, da I rapporti (1958-’64)
Il naso sfalda per divenire
saliva il labbro/ alzandosi
sopra i denti liquefa la curva
masticata/ con le radici
spugnose sulla guancia
mordono/ la ragnatela venosa,
nel tendersi incrina la
mascella,/ lo zigomo s’impunta
e preme nella tensione
dell’occhio/ contratto nell’orbita
dal nervo fino alla gola/
percorsa nel groviglio delle
voci dal battito incessante
Luciano Berio (1923-2003)
Antonio Porta
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Io non esiste più, c’è racconto di
metamorfosi del viso paragonabile alla
destrutturazione dei quadri di Bacon
Sguardo si fa esterno e si pone di
taglio sugli oggetti.
La fisicità è ormai passata alla parola,
è come se a raccontare fosse la
materia stessa.
Poesia è fatta di fotogrammi in cui la
punteggiatura funge da ostacolo fisico.
Il titolo della raccolta, I Rapporti, è da
considerarsi antifrastico.
La poesia mette in scena la
lacerazione.
Aprire.
Dietro la porta nulla, dietro la tenda/
l’impronta impressa sulla parete,
sotto,/ l’auto, la finestra, si ferma,
dietro la tenda,/ un vento che la
scuota,/ sul soffitto nero/ una macchia
più oscura, impronta della mano/
alzandosi si è appoggiato, nulla,
premendo,/ un fazzoletto di seta, il
lampadario oscilla,/ un nodo, al luce,
macchia d’inchiostro/ sul pavimento,
sopra la tenda, la paglietta che
raschia/ sul pavimento gocce di
sudore, alzandosi/ la macchia non
scompare, dietro al tenda,/ la seta
nera del fazzoletto, luccica sul soffitto/
la mano si appoggia, il fuoco nella
mano/ sulla poltrona un nodo di seta,
luccica,/ ferita, ora il sangue sulla
parete,/ la seta del fazzoletto agita una
mano.
Valerio Magrelli, “Sto rifacendo la punta al
mio pensiero”, da Rima palpebralis (’80-’92)
Sto rifacendo la punta al mio pensiero,/ come se il filo
fosse logoro/ e il segno divenuto opaco./
Gli occhi si consumano come matite/ e la sera
disegnano sul cervello / figure appena sgrossate e
confuse./ Le immagini oscillano e il tratto si fa incerto/ gli
oggetti si nascondono:/ è come se parlassero per
enigmi continui/ ed ogni sguardo obbligasse/ la mente a
tradurre./ La miopia si fa quindi poesia,/ dovendosi
avvicinare al mondo/ per separarlo dalla luce./ Anche il
tempo subisce questo rallentamento:/ i gesti si perdono, i
saluti non vengono colti./ L’unica cosa che si profila
nitida/ è la prodigiosa difficoltà della visione.
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