Passaggi di tempo Notizie dall'Istituto Comprensivo Statale Fabrizio De Andrè - n. 7 - Marzo 2008 - Speciale “La vita fragile” Il calendario dei “diritti fragili” Esperienza - A noi bambini delle classi terze A-B-C è piaciuta molto l’idea di realizzare un calendario; inoltre lavorando in gruppi formati da bambini delle tre classi ci siamo conosciuti meglio e abbiamo anche imparato che i bambini hanno dei diritti. Prima di tutto siamo andati nella sala delle riunioni e abbiamo letto alcuni articoli della Convenzione O.N.U. sui diritti dei bambini. Ognuno ha poi raccontato agli altri le proprie opinioni e insieme abbiamo deciso quali attività realizzare per partecipare a un concorso, rivolto anche a noi bambini della scuola primaria, intitolato “La vita fragile”. Ci siamo divisi in cinque gruppi, ogni gruppo aveva un compito diverso: un gruppo si occupava dei disegni; un altro di costruire l’albero “dei diritti” con la carta pesta; un altro di inventare le frasi da scrivere sul calendario; un altro ancora di scegliere i disegni; e l’ultimo gruppo si è occupato di realizzare il calendario al computer scegliendo e mettendo insieme il materiale proveniente dagli altri gruppi. A tutti noi è piaciuto lavorare al computer per colorare, scrivere i giorni e i mesi nelle caselle di testo; scegliere insieme i caratteri, i colori e gli sfondi per rendere più bello il nostro calendario. Le fasi del lavoro - Con Word abbiamo scritto nelle caselle di testo i giorni dei mesi dell’anno; i nomi dei mesi ci siamo divertiti a farli con WordArt. Abbiamo evidenziato l’ultimo giorno di scuola (6 giugno) con tanti colori. Abbiamo abbellito ogni pagina con disegni creati da tutti noi, fotografie che ci ricordano le nostre esperienze didattiche, sfondi colorati per le caselle di testo, forme e ClipArt. segue a pagina 2 La “Vita fragile” a tempo di musica Programma dello Spettacolo al Teatro De Sica Quest’anno la nostra Scuola partecipa al concorso “La Vita Fragile”, organizzato dall’Azienda di Servizi alla Persona Martinitt, Stelline e Pio Albergo Trivulzio. La partecipazione avviene con un’edizione speciale del giornale scolastico, proprio questo numero, interamente dedicato al tema della “Vita Fragile”, col calendario e con uno spettacolo, nel quale in questo articolo si anticipa e documenta lo svolgimento. Tutti gli alunni, gli Insegnanti e il Preside stesso si sono molto impegnati per la riuscita della manifestazione, nella quale sono coinvolti in primo luogo gli alunni del laboratorio musicale dei Professori Lucia Olivieri e Gianpaolo Adami; anche altri laboratori danno però il loro prezioso contributo, come quello del Prof. Sergio Leondi, responsabile del giornale e del Laboratorio di Giornalismo, e le Professoresse Calò e Ducco, con i ragazzi del Laboratorio di Arte. Allo spettacolo del 14 Marzo al Teatro De Sica prendono parte tutti gli alunni del De Andrè, dai bambini della Scuola Materna ai Ragazzi delle Elementari e Medie. Il tema “La Vita Fragile” sarà illustrato in tanti suoi significati attraverso la musica, che è un linguaggio universale. L’esibizione sarà aperta da una canzone registrata, a cui ne seguiranno altre otto, di cui sei cantate dagli alunni delle medie, una da insegnanti e alunni, una dai soli insegnanti, una registrata e ballata dai ragazzi, e una interpretata solo dai bambini delle elementari. segue a pagina 2 EDITORIALE La forza della fragilità PRELUDIO. Una limpida giornata della scorsa primavera. I raggi del sole tagliavano quasi a metà Corso Magenta. La facciata del Palazzo delle Stelline era in ombra. Non così il complesso di Santa Maria delle Grazie: maestoso, luminoso, fieramente solitario. Aspettai un po’ prima di varcare la linea verso l’ombra e mi sorpresi a pensare che la straordinaria forza di Leonardo e di Bramante si stava di fatto proponendo come involontario preludio alla conferenza di presentazione del Progetto “La vita fragile”, ideato da chi ora gestisce le tre Istituzioni milanesi che da secoli si confrontano concretamente con la fragilità dell’umano vivere: il Pio Albergo Trivulzio, i Martinitt e le Stelline. FRAGILE. In ogni lingua ci sono parole che più di altre addensano significati. Se, però, il sostantivo ‘vita’ ha un potere rappresentativo e significante estesissimo, l’aggettivo ‘fragile’ ha uno spessore evocativo profondissimo che non si limita a meglio precisare il significato del sostantivo a cui si accompagna, ma lo illumina in modo diverso, ne svela i lati nascosti: lo denuda. “La vita fragile” è un sintagma particolare: è l’aggettivo che cattura l’attenzione del parlante; è sulla forza simbolica dell’aggettivo che cade l’accento semantico. Non è per nulla paradossale affermare che ‘fragile’ è una parola fortemente comunicativa perché si apre ad innumerevoli possibilità interpretative ed ha persino un suono onomatopeico tanto che spesso ci accade di pronunciarla accompagnandola con il gesto del pollice che delicatamente scorre tra l’indice e il medio della mano socchiusa, quasi per riprodurne ingenuamente il suono. Nasce da considerazioni come questa l’idea di partecipare al Concorso “La vita fragile” anche con uno spettacolo teatrale intitolato “La forza della fragilità”. Uno spettacolo che coinvolge donne ed uomini (a partire da chi scrive) che quotidianamente devono fare appello a tutte le loro forze per lanciare una sfida educativa alla propria ed alla altrui fragilità. Uno spettacolo costruito con e per bambini e bambine, ragazze e ragazzi la cui forza vitale dipende e dipenderà molto dal modo in cui saranno guidati attraverso le proprie e le altrui fragilità. CARTA. La vita fragile può essere solo raccontata. I nostri racconti, le nostre interpretazioni le abbiamo singolarmente affidate al più fragile dei supporti: la carta. Sono i fogli di carta colorata su cui si dipana il “Calendario dei diritti fragili”, sono le pagine di carta assai poco pregiata del giornale che in questo momento state leggendo. Vi starete chiedendo perché sottolineo un fatto così ovvio. Forse perché sono intimamente certo che il calendario e il giornale abbiano la stessa forza dell’«uccellino di carta» cantato da Garcia Lorca, «aquila dei bambini, con le piume di carta scritta». È uno strano uccellino che vive poco ( «nasci per vivere qualche minuto/ sul fragile castello/ di carta che cresce tremolante/ come stelo di giglio» ), quanto basta però per prendersi gioco del destino e gridare che «Blanca Flor non muore mai, né muore Luisito»¹: sono eterni come il mattino, come la sorgente della rugiada («la mañana es eterna, es eterna/ la fuente del rocío» ). Come un illusionista, l’uccellino di carta fa teneramente sparire la morte nell’eternità per far sì che «i bambini non s’accorgano/ che si protende ombra dietro gli astri». Quando intuisce che il suo fragile castello sta per crollare, la «pajarita de papel» ha già incrociato l’avido sguardo dello sparviero e vola «verso le sue labbra luminose/ mentre i bambini ridono,/ e i padri tacciono affinché non si ridestino/ presenti dolori». ¹ Mi piace pensare che Blanca Flor e Luisito siano il nome metaforico di tutte le bambine e di tutti i bambini, di tutte le mamme e di tutti i papà. IL DIRIGENTE SCOLASTICO - Prof. Giuseppe Facciorusso Passaggi di tempo Marzo 2008 2 La Mostra al Palazzo delle ex Stelline di Milano La guida che ci accompagnava ci ha inoltre parlato delle Stelline, che erano le orfanelle accolte nel Palazzo di corso Magenta (la loro istituzione si deve a San Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano). Mi hanno incuriosito le “materie” che le ragazze svolgevano durante il giorno, poiché erano differenti dalle nostre: cucina, taglio e cucito, ricamo, pulizia degli ambienti generali… insomma tutti i lavori domestici, perché si voleva insegnar loro a diventare buone mogli e madri; solo alcune tra le più meritevoli avevano il privilegio di studiare francese, storia…; le lezioni prevedevano inoltre lo studio della lingua italiana. Per le Stelline non c’erano momenti di svago, per uscire; potevano lasciare l’istituto soltanto durante i funerali, portando una fiaccola in mano. I Martinitt invece erano i giovani orfani di sesso maschile della città di Milano; l’istituto è stato fondato da San Gerolamo Emiliani. I I primi giorni di ottobre 2007 varie classi dell’Istituto De Andrè si sono recate a visitare la mostra “La vita fragile”, allestita presso l’ex Palazzo delle Stelline in Corso Magenta a Milano. Ci sono andata anch’io con la mia classe. Appena arrivati, la guida ci ha accolto in un locale dove abbiamo esaminato una videocassetta, che introduceva un po’ ciò che avremmo visto nella mostra vera e propria. Abbiamo così scoperto chi erano le Stelline, i Martinitt, e cos’era il Pio Albergo Trivulzio. Subito dopo ci siamo recati in una sala segue dalla prima pagina Le canzoni interpretate o ballate da noi alunni delle Medie “Virgilio” sono naturalmente in maggior parte scritte da Fabrizio De Andrè, a cui il nostro Istituto è intitolato: le elenchiamo tutte, perché ognuna di esse parla di un aspetto della VITA FRAGILE. Apre lo spettacolo “Khorakhané”; il testo racconta della vita di un gruppo di Rom, delle loro difficoltà e del loro essere “diversi”. De Andre’, nei suoi testi, ha spesso citato gli “ultimi”, cioè le persone più povere o emarginate, come appunto i Rom. Il brano è registrato e sarà ballato da ragazzi con costumi tipici Rom. “Fiume Sand Creek” è un testo completamente diverso che parla della guerra, in particolare di una sanguinosa battaglia tra una Tribù di Indiani d’America contro l’Esercito comandato dal Generale Custer, battaglia nel corso della quale gli Indiani furono annientati; come supporto di immagini, questa canzone si avvale di una serie di disegni realizzati dagli alunni del laboratorio di Arte della scuola media. “Amico Fragile” è la terza canzone in programma, una canzone “di punta”, nel contesto dello spettacolo; ha un testo molto poetico, ricco di significati, e si riferisce alla fragilità dell’uomo adulto, alle sue debolezze e insicurezze. Alcuni versi di questa canzone sono interpretati dagli alunni delle medie con la tecnica teatrale del mimo. Nello spettacolo verranno presentate anche le canzoni “Gesù Bambino” di Francesco De Gregori e “Non insegnate ai bambini” di Giorgio Gaber. Il primo è un testo in cui l’autore, come fosse un bambino, prega Gesù di far cessare la guerra con i suoi orrori; il supporto video della canzone è stato realizzato mostrando le terribili immagini della tristemente nota scuola di Beslan dove, nell’agosto 2005, in quello che doveva essere un sereno giorno di inizio delle lezioni, un gruppo di terroristi prese in ostaggio alunni ed insegnanti; alcuni di questi furono barbaramente uccisi. A queste immagini si alternano, in Sotto: la locandina della mostra ricca di bellissimi quadri. Il primo che abbiamo ammirato raffigurava il principe Antonio Tolomeo Trivulzio, fondatore nella seconda metà del Settecento del Luogo Pio omonimo, il Pio Albergo Trivulzio. Il principe, prima di morire, con un atto testamentario destinò tutte le sue immense ricchezze per la creazione di un ospizio per poveri, anziani, mendicanti, senza tetto… Ciò mi ha colpita molto, perché è raro trovare una persona così generosa e attenta ai bisogni degli altri, soprattutto dei più deboli, e penso che fosse ancora più raro in quell’epoca. CONCERTO segno di speranza, quelle del nostro primo giorno di scuola e quelle del ritorno a scuola dei bambini di Beslan, in quello che dopo molto tempo è stato il “secondo primo giorno di scuola”, come lo ha chiamato il nostro Preside. La canzone sarà interpretata dai ragazzi delle Medie. “Non insegnate ai bambini” di Giorgio Gaber verrà invece cantata da un gruppo di nostri insegnanti. Ciò è molto significativo poiché il testo richiama i professori (ma anche gli adulti in generale) che hanno una grande responsabilità: quella di insegnare ai ragazzi. A volte quindi si corre il rischio di trasmettere messaggi sbagliati o comunque di influenzare gli alunni con le proprie idee. Oltre a queste verranno proposte anche “Che fantastica storia è la vita” di Antonello Venditti, “Ave Maria no morro”, una canzone brasiliana, ovviamente eseguita in portoghese, incentrata sulla povertà delle “favelas”, sulla povertà dei bambini e degli adolescenti che vi vivono, dei quali la nostra scuola si è occupata sostenendo il Progetto Axé; la canzone parla di tante persone che credono che la fragilità possa diventare anche un elemento di forza. Chiuderà la serata “Tammuriata Nera”, una canzone della tradizione dialettale napoletana, che in modo ironico parla della guerra, del dopoguerra, della diversità razziale; in particolare racconta dei militari americani arrivati nel Napoletano durante la seconda guerra mondiale; fra questi c’è un soldato di colore che si lega con una donna del posto, poi la abbandona per tornare in America; la donna è rimasta incinta, nove mesi dopo si trova a crescere un bambino dalla pelle molto scura… Molto interessante sarà la rielaborazione della canzone di Venditti, in cui la prima strofa sarà arrangiata in chiave “rap” e interpretata da Michael Murgolo della 2B “Virgilio”. Francesco Basti - Federico Fiamberti 2C “Virgilio” ragazzi venivano ospitati fino al compimento dei diciotto anni. Durante le lezioni potevano apprendere un mestiere che, terminata la scuola, praticavano in bottega; al momento di andarsene venivano consegnati loro i guadagni accumulati e un cambio di vestiti. In alcune sale della mostra abbiamo visto stupendi ritratti, foto, documenti, oggetti che appartenevano ai Martinitt, tra cui un letto e un lunghissimo tavolo del refettorio. In un ambiente erano esposti alle pareti molti documenti, che trattavano della vita dei Martinitt, delle Stelline, e dei “Vecchioni”: grazie a queste testimonianze abbiamo approfondito l’argomento e ci siamo resi conto del “gran cuore” della città di Milano verso chi soffriva e soffre, di chi, non per colpe sue, vive una “vita fragile”, e che, grazie anche a questi istituti, può guardare al futuro in maniera positiva. Erica Salsi, 3C “Virgilio” segue dalla prima pagina CALENDARIO Nella prima pagina abbiamo pensato di inserire il ‘puzzle’ con tutte le attività che facciamo a scuola, che è diventato il simbolo del nostro Istituto, e che ogni mattina ci accoglie e ascolta i nostri passi e il nostro allegro vociare. Questa esperienza l’abbiamo vissuta anche grazie alle nostre maestre Tina, Barbara, Susanna, Marta, Graziana, Milena e Veruska. Stefania, Mattia, Christian, Martina R., Alessandro R., Elementari di Bettola del calendario. A noi il lunedì piace per questo: facciamo i gruppi e impariamo molte cose divertendoci. (Sara, Martina R.) A noi è piaciuto moltissimo fare il calendario sui diritti dei bambini, soprattutto perché si lavora insieme passando il tempo in modo divertente. Noi ci divertiamo ‘un sacco’ abbinando i colori alle caselle di testo. È stato bellissimo, quando lo rifacciamo? (Sofia, Emanuele G., Mattia) A noi sinceramente l’esperienza è piaciuta soprattutto quando eravamo nella sala delle riunioni a discutere tutti insieme. Dopo aver letto gli Cosa ne pensiamo noi… articoli della Convenzione O.N.U. abbiamo parlato dell’argomento e deciso i gruppi per le attività da svolgere. Abbiamo anche capito che la vita dei bambini è fragile perché non in tutti i paesi del mondo vengono rispettati i loro diritti. Parlando di questo argomento ci siamo comunque anche divertiti. (Beatrice, Giacomo B., Stefano G.) Quando siamo saliti in aula di informatica ci sembrava dovessimo fare un lavoro noioso, ma poi ci siamo divertiti. Abbiamo scoperto cose nuove e ci è piaciuto lavorare in coppia con i bambini delle altre terze. Ci è piaciuto molto anche dire le nostre opinioni per la realizzazione Marzo 2008 Passaggi di tempo 3 Panna e pan de mej Storia e attualità della presenza di Martinitt, Stelline e Pio Albergo Trivulzio a Peschiera Borromeo dell’Ordine degli Umiliati, poi dei benedettini cistercensi. Da quella tale data è la dimora più accogliente di Linate, quella che cura con calore e specifica professionalità bambini e ragazzi che meritano tutto il bene e il rispetto del mondo; è la casa “più aperta” di Linate, dove il visitatore che entra esce “pago” d’amore, votato a buoni sentimenti e comportamenti. Quella che vive lì, che all’ora giusta siede ... E poi Mirka a San Giorgio di maggio tra le fiamme dei fiori a ridere a bere e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi e dagli occhi cadere ... È una delle strofe più “energetiche” e liberatorie di Khorakhané, la poesia-canzone composta nel 1996 da Fabrizio De André in collaborazione con Ivano Fossati. È dedicata ai “figli del vento”, i Rom, reietti della storia, e viene ripresa nel corso dello spettacolo al Teatro De Sica incentrato sui vari “volti” della Vita fragile. Specialmente presso le tribù Rom di origine serbo-montenegrina, San Giorgio è il santo più venerato; in particolare nel Sud della Francia lo festeggiano il 6 maggio, con musiche e danze accompagnate da abbondanti libagioni, in un tripudio di fiori dai colori sgargianti, dai profumi intensi: quelli offerti dalla matura ridente primavera. Eppoi alla fine si piange, ma di gioia, appunto come una liberazione dopo la sofferenza e la prigionia… Case del Pio Albergo Trivulzio a Linate I Martinitt alla Cascina Grande di Linate mangiano panna e pane di miglio (1920 circa) attorno a un’ampia bellissima tavola imbandita, è una magnifica famiglia “allargata”: la generosità e la solidarietà si trasformano in quotidiani gesti d’amore e di fratellanza. Su questa stessa pagina del giornale una chiarissima collega, riferendosi al lavoro svolto per la Vita fragile, ricorda che anche gli insegnanti hanno un’anima e un cuore pulsante, che questa “è una scuola che ama” e sostiene La Cascina Boscana lungo la via Milano Perchè il cavaliere San Giorgio che trafigge il drago malefico simboleggia la sconfitta delle tenebre invernali, il ritorno delle belle stagioni, la vittoria e la rinascita della natura, delle piante, la fecondità degli armenti. Egli è tra l’altro il “protettore principe” dell’agricoltura; l’etimologia stessa del nome, dal greco Gheorghios che significa “agricoltore”, ci rammenta la sua importanza per la gente dei campi. Ecco dunque che per una strana curiosa coincidenza, a rendere un annuale gioioso omaggio al Santo c’erano, tanto tempo fa, sulle nostre terre, anche i “nostri” Martinitt, altri figli di un Dio - in apparenza - un po’ minore, che tuttavia dalla sfortuna primitiva riuscivano - come tuttora riescono - a trarre elementi vitali per superare le difficoltà e farsi strada nel mondo: è la “forza della fragilità”, come recita l’imminente rappresentazione al De Sica. Si racconta infatti che il 23 aprile (ricorrenza del Santo, qui da noi) a torme venivano in gita a Linate di Peschiera Borromeo, accolti a braccia aperte dai fittabili e dai contadini della Cascina Grande (allora situata in fondo a via Alfieri), di proprietà del Pio Albergo Trivulzio, la “casa madre” di Martinitt, Stelline e Veggion, per stare in allegria, cantare e giocare sull’aia, e infine degustare a sazietà panna e pan de mej (panna e pane di miglio): una vera prelibatezza, per l’epoca e non solo. Prof. Sergio Leondi Responsabile di “Passaggi di Tempo” Istituto De André: una Scuola… che ama Pure questo episodio è una testimonianza significativa del duraturo legame che unisce la grande istituzione dei Martinitt, le loro “sorelle” e i “nonni” della Baggina alla cittadinanza di Peschiera Borromeo: ancor oggi la benemerita Azienda di Servizi alla Persona che a loro si intitola, è la maggior proprietaria a Linate Danze tzigane: le alunne della scuola ballano sulle note di Khorakhané tutti quanti noi più coesi e generosi, dagli alunni ai docenti, ha fatto crescere dentro di noi l’attenzione verso il prossimo, la disponibilità a metterci in discussione. Come suggerisce sempre in Khorakhané l’aedo nostro Fabrizio, “per un guado una terra una nuvola un canto/ un diamante nascosto nel pane”: el pan de mej… quanto a beni immobili, frutto dello spirito di carità dispiegato dai milanesi della metropoli e dell’hinterland in molti secoli di storia esemplare; patrimonio amministrato con sagacia e capacità imprenditoriale, così da trarre linfa preziosa, da impiegare in opere sacrosante. Tutta la Linate moderna è sorta su terreni del Pio Alberto Trivulzio, in parte ereditati dai Barnabiti, in parte dal Monastero milanese di San Pietro in Gessate (antistante l’odierno Palazzo di Giustizia), edificio nel quale a fine Settecento si insediò l’Orfanotrofio omonimo, con la totalità dei Martinitt. A Linate lungo la via Pascoli l’Ente morale possiede e dà in affitto decine e decine di appartamenti, esercizi commerciali; a sud del paese, in via Milano si estende la nuova Cascina Grande (da non confondere con quella originaria, abbattuta nel 1959 per far posto alla pista dell’aeroporto Forlanini), conosciuta dalla maggioranza delle persone come Cascina Topicco, dove si allevano centinaia di capi di bovini da latte; più a meridione ancora vediamo la Cascina Boscana di remote ascendenze, parzialmente abitata e utilizzata, la quale nella denominazione richiama le fitte boscaglie costiere del vicino fiume Lambro. Ma in primo luogo, prima di ogni altra cosa, al centro della Circoscrizione, in via Rimembranze incontriamo la Comunità-alloggio dei Martinitt e delle Stelline, nostro fiore all’occhiello, educativa presenza di cui andare orgogliosi: è lì dal 1979, ospitata in una linda villetta amèna; anticamente era una “succursale” della Cortazza, ex Convento di religiosi con particolare riguardo, anno dopo anno, l’UNICEF e i ragazzi di Isiolo in Kenia, quelli di Progetto Axé nel Brasile e tanti altri ancora, in generale chi più ha bisogno di affetto e aiuto. Il “viaggio” o percorso educativo e didattico compiuto in occasione del TemaConcorso sulla Vita Fragile promosso dall’Azienda di cui sopra, l’aver preso coscienza come Istituto De André delle diverse fragilità che ci circondano e ci animano - e delle molteplici forze che ne scaturiscono -, ha reso Sotto: la Comunità alloggio di Martinitt e Stelline a Linate E’ un po’ come quando ci si innamora. Fino ad un momento prima, è tutto come sempre: un po’ piatto, normale, e così rassicurante. Poi, un gesto inaspettato, una parola sconosciuta, un pensiero che non avevamo mai fatto, ci mostra un mondo nuovo: il mondo di chi non ha una vita banale, normale e tanto meno rassicurante. Un mondo di vite fragili. Ma come ho fatto a non vederlo prima? In realtà, l’avevo visto, ma non avevo guardato. Ed è come quando ci si innamora. Quel mondo ci cattura e ci lega a sé. Nasce una passione che ha bisogno di tradursi in gesti concreti che coinvolgano quelli che ci stanno intorno: perché l’amore è così, più ne parli agli altri, più diventa tuo. E allora, i bambini delle scuole elementari imparano a confezionare le “pigotte” e con il ricavato della vendita si contribuisce a sostenere la campagna UNICEF per vaccinare i bambini africani; si coinvolgono i ragazzi delle medie per raccogliere fondi a favore delle adozioni a distanza, per permettere ad altri ragazzi della stessa età di poter studiare e sognare un futuro; si lavora tutti insieme per un anno intero e si organizza un grande spettacolo per dare una mano al Projeto Axè che si occupa dei ragazzi di strada del Brasile; si organizza un concerto di primavera con musicisti professionisti e professori… poco musicisti, in favore delle adozioni internazionali. E’ un po’ come quando ci si innamora: e questa è una scuola che ama. Prof. Marina Passerini Passaggi di tempo Marzo 2008 4 “Fragili” ma belli Siamo stati al Pio Albergo Intervista agli operatori sociali e alle “nonnine” Passato e presente del Pio Albergo Trivulzio La società negli ultimi due secoli si è trasformata profondamente; anche la povertà e l’emarginazione sono più “nascoste” rispetto al passato: la vecchiaia e la malattia sembrano essere diventate qualcosa di innaturale, anche perché, rispetto a ciò che avveniva nei secoli trascorsi, le famiglie sono costituite da pochi elementi giovani o “giovanili”. Tuttavia l’essere vecchi e bisognosi di cure esiste, eccome! Prima di spiegare l’esperienza dei nostri bambini di quarta, dotati sì di nonni, ma ancora “in forma”, diamo qualche informazione sul Il Principe Trivulzio, fondatore dell’omonimo Luogo Pio Anche oggi gli anziani sognano cure e calore. Noi bambini delle classi quarte di San Bovio siamo andati al Pio Albergo Trivulzio per intervistare gli operatori sociali che prestano opera agli anziani ricoverati. Ora guarderemo i nostri anziani in modo diverso, forse; magari ci sembrerà più naturale aiutare a portare un sacchetto pesante. Avevamo molte domande, ecco le belle risposte. Le signore sono lì, disposte a semicerchio, sembra di vedere il Consiglio di Kandrakar, luogo di saggia armonia. Le nostre vecchie fate sorridono e applaudono, contente per il nostro interesse. Avevamo preparato tante domande, che pensavamo di poter rivolgere solo all’operatrice. La presenza degli anziani è davvero una bella sorpresa, anche per le maestre. La nostra guida, nonna ma giovane e molto attiva, ci spiega che, nonostante l’età notevole, le presenti signore hanno voluto riceverci. Ci mettiamo d’impegno per starcene un po’ calmi: non vogliamo stancarle! La nostra compagna Francesca viene presa in braccio da una delle anziane ospiti. La guida ci dà alcune informazioni generali sull’Istituto, il numero degli operatori e malati, le attività proposte. Notizie importanti, certo, ma a noi, qui, interessa soprattutto spiegare ciò che provano, sentono e ricordano persone così cariche di anni e di esperienza. Per avere un’idea di quanto sia grande questa struttura (antica, vista dall’esterno; dentro modernissima) diciamo che ci lavorano centinaia di medici, infermieri, tecnici. Poi ci sono gruppi di volontari, tra cui la nonna del nostro compagno Andrea Napoli. I malati, divisi in diversi padiglioni, sono più di mille. Alcuni sono ricoverati cronicamente, altri solo per periodi di riabilitazione. Certi sono così gravi che desiderano solo pace e cure mediche. Per ora non siamo in grado di accogliere la loro sofferenza. Per le attività che vanno dalla tombola ai giochi di memoria e di linguaggio, dal canto al teatro, ci sono sale comuni e l’auditorium. Noi ci troviamo in una sala “comune”, allegra e spaziosa, affollata di “nonnine”, alle quali abbiamo posto diverse domande. Queste sono le risposte che ci hanno colpito maggiormente. Ricevete le visite di familiari e amici? Sì, ma non quanto vorremmo. Domani viene mia figlia e non vedo l’ora di abbracciarla Altre dicono che vorrebbero vedere di più i nipotini, ma abitano lontano. Diverse signore sono vedove da tempo e hanno “perso” gli amici durante la loro lunga vita. Ricevete posta? Alcuni sì, altri mai. Promettiamo, allora, di mandare, oltre a una copia del giornalino della scuola, anche cartoline e lavori svolti durante l’anno. Una signora, scrittrice, ci invierà delle riflessioni sulla nostra visita. Avete ancora voglia di farvi belle? E’ un sì generale! L’operatrice spiega che deve comprare i cosmetici per le anziane amiche. Le loro voci scoppiettano allegre, come fiammelle in un camino. Si sovrappongono le informazioni: chi vuole creme, chi profumo, chi smalto! Potete portare delle cose da casa vostra? Mobili no, non c’è spazio, ma foto di tutti i tipi, sì. Sorrisi incorniciati dei nostri cari, vivi e defunti, accompagnano il nostro riposo serale. fondatore del Pio Albergo Trivulzio. IL FONDATORE - Il principe Antonio Tolomeo Trivulzio nasce in una antica e illustre famiglia milanese. E’ colto e istruito, appassionato di letteratura e scienze; ricopre incarichi militari e non trascura la politica, ma ama rifugiarsi nella biblioteca della sua casa per scrivere. Un’idea accompagna le sue lunghe giornate: vuole dare vita a un Luogo Pio per accogliere e ospitare i più bisognosi. Per questo chiede aiuto all’Imperatrice Maria Teresa d’Austria nel 1757. Nel 1766 ottiene l’autorizzazione a disporre dei propri possedimenti per la costruzione dell’Istituto. Nel suo testamento scrive che nell’Albergo Trivulzio non possono essere ammessi i poveri validi e robusti, ma solo quelli più bisognosi. Tra il vociare allegro dei garzoni e l’andirivieni indaffarato di camerieri e sartine, passeggiano eleganti signori. Ma, là... vedi quel vecchio? Un tempo, operoso e forte, badava alla sua famiglia; ora, con artritica lentezza, impaglia sedie, ma a malapena si conquista un poco di cibo. Anche quella vecchina, scossa dalla tosse, vende erbaggi stentati come lei, e intanto sogna... Tutti e due i vecchi sognano zuppe calde, vesti pulite, letti e non pagliericci, cure per i dolori delle ossa nodose. Un posto al ricovero, per loro, è un sogno di pace... A cura delle classi Quarte A e B di San Bovio A questo punto diverse signore spiegano ai bambini che ricordare può dare malinconia, ma è qualcosa di irrinunciabile; cosa difficile da capire per chi ha così poco “passato” come i bambini. Potete ricevere visite di religiosi? Sì, a seconda della fede professata. Le ricoverate vedono una suora, se lo desiderano, per pregare. Poi c’è la Messa, a cui diverse signore si recano spesso. Per chi non si muove ma vuole assistere alla funzione, c’è un canale interno della TV, con la telecamera nella Cappella dell’ospedale. Cosa ricordate della vita precedente? La guida spiega che le persone di questa età hanno memoria delle cose più lontane, meno di quelle vicino. E’ tutto un fiorire di immagini; sembra di vederne una, scarmigliata e col fiatone, mentre cerca di colmare la fame della guerra, prendendo frutta negli orti. Un’altra, bambina con le trecce, un micino o un coniglietto, in una fattoria. Un’altra ancora bella e innamorata, a braccetto col marito, cammina lungo i viali del Parco Valentino. Le descrizioni sono precise, gli occhi inumiditi. Viene ripresa l’idea già detta: ricordare è importantissimo, tiene compagnia nelle notti insonni. Una delle signore più in “forma” ci indica una macchina per cucire; era sua, un ricordo di una vita passata a creare bellissimi abiti come quelli che ci fanno sognare, in vetrina. Ora crea ancora, ma senza frutto, qui all’Istituto. Adesso quei ricordi sono un po’ nostri; vogliamo far parte anche noi dei loro. Quando abbiamo finito l’intervista, era quasi il momento del pranzo, e le nostre nuove amiche erano decisamente contente di andare a tavola! Prima che partissimo, ci hanno regalato un altro pezzetto dei loro ricordi, una canzone milanese cantata in coro. Le antiche voci ci hanno accompagnato al nostro vivere vivace e curioso. Abbiamo promesso notizie.... e manterremo volentieri! Scuola Elementare San Bovio Marzo 2008 Passaggi di tempo 5 Riflessioni dei bambini dopo l’incontro con le anziane ospiti del Trivulzio Mentre facevamo le domande, a molti di noi è venuto un pensiero: le signore vorrebbero tornare giovani, ma la vecchiaia è una cosa importante; anche se può non sembrare il “massimo”, ti dà un’aria da saggio. E’ bello spiegare le cose ai più giovani, come Albus Silente! Quando uno pensa a una gita, in genere non gli viene in mente di andare all’ospedale; ma, e sono tutti d’accordo, questa è stata un’esperienza fantastica. Scuola Elementare San Bovio Ieri è stata una giornata molto simpatica perché siamo andati a visitare gli anziani ricoverati al Pio Albergo Trivulzio. Facevano tenerezza perché erano tutti lì ad aspettarci; ci hanno fatto sentire importanti! Una signora ha detto una frase carinissima: “Chi non ha la nonna, sappia che posso essere io la sua! Le altre signore hanno confermato e applaudito. Molte erano su sedie a rotelle, ma con le menti ancora attive, piene di desideri e ricordi. Ci hanno parlato della loro vita, così lunga e difficile rispetto alla nostra, eppure non ci hanno spaventato. Anzi è bello pensare che anche noi, da vecchi, vorremmo ricevere affetto e giocare. Ogni giorno i ricoverati hanno qualche attività per tenere sveglio il cervello e ci riescono bene, a quanto pare. Dalle nostre ricerche sappiamo che anche un tempo gli anziani qui svolgevano delle attività per sentirsi ancora utili e svegli; le persone che hanno fondato e sostenuto il Pio Albergo Trivulzio sono state molto generose e intelligenti a usare i loro soldi così. Prima o poi diventeremo tutti vecchi ed è bello sapere che ci sono Istituti per venire curati bene. Rap dei nonni Dedicato ai nostri nuovi amici Ritornello: Un poco fragili con i capelli bianchi eppur mi sembrate così pimpanti! Mazurke e polke non conosciamo perciò questo rap vi dedichiamo. E’ il modo di questa generazione per comunicare ogni emozione. Ritornello I vostri ricordi sono strani e belli, volano nell’aria come splendidi uccelli. La vostra voce, diventata più bassa, non ha però bisogno della grancassa. Ritornello Avete visto, non ci siamo mossi, eppure eravamo emozionati e scossi! Per noi bambini è difficile pensare un futuro lontano, che non riusciamo a sognare. Ritornello Ma ci avete dato una bella lezione con i vostri guai, non smettete mai di pensare alla vita com’è bella assai! Dei nostri vecchi avremo più cura per render la vita un po’ meno dura. La nostra visita alla mostra sulla “Vita fragile” soldi per trovare un alloggio e una preparazione per lavorare. In realtà le ragazze, se erano molto brave, potevano diventate maestre; alcune diventavano balie e governanti nelle case della borghesia benestante. Molte di loro però si sposavano e facevano solo le casalinghe, come usava a quei tempi. I ragazzi invece andavano a lavorare nelle prime fabbriche. Ma dopo un po’ di tempo anche le ragazze hanno iniziato a lavorare fuori, ad esempio nelle fabbriche della seta. I Martinitt e le Stelline avevano due vestiti: uno per Noi alunni delle classi quarte siamo andati a Milano a visitare il Palazzo delle Stelline, che un tempo ospitava un orfanotrofio femminile molto conosciuto in città. Appena entrati ci hanno fatto vedere un video sulla storia dei Martinitt, delle Stelline e del Pio Albergo Trivulzio. Abbiamo visitato poi una sala dove c’erano tutti i ritratti dei benefattori, cioè delle persone ricche che avevano lasciato un’eredità agli orfanotrofi. Nell’orfanotrofio dei Martinitt e in quello delle Stelline si poteva entrare a sette anni e si usciva a diciotto, con dei stare dentro l’orfanotrofio, e un altro più bello per le passeggiate. La disciplina all’interno degli istituti era rigida, ma i ragazzi che potevano entrare, erano considerati molto fortunati perché venivano accuditi e soprattutto ricevevano un’istruzione per poi cavarsela nella vita. Questa visita è stata interessante perché abbiamo scoperto tante cose sulla vita dei bambini nel passato. Classe 4D -Elementare di Bettola Passaggi di tempo Migranti di ieri e di oggi 1949: un giovane migrante racconta Nonno Andrea ci ha spiegato che il primo dopoguerra in Italia non fu un periodo facile, per questo molte famiglie emigrarono verso il Sud America, l’Australia, il Canada e altri paesi ancora. La voglia di scappare, di trovare una vita migliore era tanta. Per questo lui si imbarcò a 25 anni, su una nave spagnola piuttosto malmessa, partì da Genova e raggiunse Buenos Aires in Argentina, in ben 23 giorni. Giunto a destinazione trovò alcuni parenti, tra cui uno zio il quale, avendo una grande Marzo 2008 6 nostalgia per l’Italia, invitava in quella terra così lontana e diversa i propri familiari. Nonno Adriano venne accolto benissimo e questo gli permise di ambientarsi con più facilità e di vivere significative esperienze. Dopo tre anni però decise, visto i modesti guadagni, di tornare in patria. Ancora oggi ricorda perfettamente i giorni trascorsi in mare, la nostalgia della sua terra, la paura di quando le onde diventavano talmente alte da sovrastare la nave, del colore dell’acqua che da azzurra diventava di un blu sempre più scuro fino ad essere nera come la pece, i visi impietriti dal terrore dei passeggeri, nel sentirsi alla mercé delle forze della natura. Classe 4A - Elementare di Bettola 1997: la piccola Ginevra naviga verso la speranza Ginevra ci ha raccontato del suo viaggio nella stiva di una nave, dall’Albania alla “terra dei desideri”, così definisce l’Italia. Molte persone, durante la traversata, hanno vissuto momenti di esasperazione e di angoscia, lei ha provato tanta paura soprattutto quando ha visto scaraventare in mare le loro povere cose per far spazio ad altri disperati. Dopo ventiquattro ore di navigazione in quel buio profondo, sente forte la nostalgia per la sua terra e per gli affetti lasciati. Ginevra percepisce che tutte le persone che le stanno intorno sono accomunate da un unico sentimento, la speranza di trovare una vita migliore. Classe 4A – Elementare di Bettola Quanto è difficile crescere Noi oggi non viviamo la realtà raccontata dai nostri nonni e, tanto meno, quella dei Martinitt e delle Stelline. Però basta guardarci intorno per accorgerci che esistono famiglie e bambini della nostra età che si trovano in condizioni di difficoltà e di grande disagio. Spesso li incontriamo nelle metropolitane, per le vie, agli incroci stradali, all’uscita dei centri commerciali, nei ristoranti che chiedono l’elemosina. Abbiamo rappresentato e narrato questi episodi con disegni e parole mettendo in luce le emozioni e i sentimenti che queste immagini di vita quotidiana suscitano in noi. Classi 4 B e 4 C - Elementare di Bettola Arcobaleno delle emozioni fragili Quante emozioni! Il libro “Arcobaleno delle emozioni fragili” è una raccolta di pensieri e riflessioni sulle difficoltà di vivere di alcuni bambini espressi in prosa e scrittura creativa. Che gioia Aiutare un Mendicante Offrendogli dei Regali con Entusiasmo Le nostre considerazioni Il racconto di Ginevra è stato tratto dal libro “Sconfiniamoci”, scritto da ragazzi immigrati in Italia provenienti da diversi paesi. Le storie di Ginevra ed altri ancora ci hanno particolarmente coinvolto e fatto riflettere. Una cosa soprattutto emerge dai loro testi, non vogliono essere considerati come ospiti impreparati, estranei, perdenti, ma semplicemente desiderano essere nostri amici. Facendo poi il confronto tra il viaggio di nonno Andrea e quello di Ginevra, abbiamo capito come siano stati entrambi difficili, sofferti, spinti dalla medesima necessità di un futuro migliore in una nuova terra. Classe 4A - Elementare di Bettola Bambini di ieri e di oggi Come abbiamo partecipato al Concorso Abbiamo aderito al bando di concorso “La vita fragile: antiche e nuove povertà nella Milano di ieri e di oggi” in quanto abbiamo ritenuto che la tematica proposta dal concorso era avvincente e questa esperienza avrebbe sicuramente arricchito il percorso formativo dei nostri alunni. Non volevamo perdere l’opportunità di farli riflettere e di far prendere loro coscienza delle differenze sociali ed economiche presenti nella realtà di ogni periodo storico. Il lavoro è stato impegnativo, coinvolgente e ha visto partecipi non solo insegnanti e alunni, ma anche genitori e nonni. Il percorso ha preso il via con la visita alla mostra presso l’ex Istituto Le Stelline di corso Magenta e lì, attraverso la vita quotidiana di Martinitt e Stelline, gli alunni hanno preso visione di un’infanzia a loro sconosciuta. Una volta in classe sono stati impegnati a leggere alcune fotografie d’epoca di persone, abitazioni, mestieri riferite alla vita milanese dell’Ottocento al fine di cogliere le differenze sociali del periodo. Per avvicinare e aiutare i nostri alunni a comprendere meglio i vissuti di povertà e di disagio di questo tempo remoto, abbiamo intervistato alcuni nonni. I racconti e le testimonianze della vita quotidiana riferite alla loro infanzia hanno messo in evidenza quanto è stato difficile anche per loro crescere. Il confronto con il presente ha evidenziato i disagi, gli stenti che hanno passato (il dopoguerra, l’emigrazione verso l’America). Disagi e difficoltà che anche oggi l’infanzia incontra nelle nostre città e nei nostri quartieri. Per mezzo di conversazioni, narrazioni di esperienze personali, di racconti per l’infanzia e di articoli di giornale, abbiamo individuato alcune odierne e nuove fragilità: extracomunitari, immigranti, senzatetto che per motivi diversi lasciano il loro paese alla ricerca di una vita più dignitosa. Le immagini della loro quotidianità hanno suscitato in noi riflessioni, emozioni, sentimenti che abbiamo raccolto ed espresso in semplici testi narrativi e poetici. Le Classi Quarte - Elementari di Bettola A Milano ci sono molti poveri e hanno costruito una casa proprio per accoglierli. Io so di una povera bambina che vive lì, non l’ho mai vista, però papà a volte ne parla perché l’aiuta. Più o meno avrà la mia età. Papà mi racconta che ora è al caldo perché indossa i vestiti invernali che le abbiamo regalato e gioca con i balocchi ricevuti. Di carnagione è un po’ più scura di noi, i capelli e gli occhi sono marroni. Di solito si veste con una maglia a maniche lunghe, una gonna e delle scarpe comode. Io provo molta felicità per questa bambina perché la stiamo aiutando e mi piacerebbe incontrarla. Le dono sempre volentieri tutte le mie cose. Secondo me i bambini poveri vanno aiutati tantissimo, forse anche più di noi. Festa grande E Luminosa sorpresa quando si è Invitati e… Confortati da Innumerevoli angeli ad una Tavolata per dimenticare l’Àgro sapore della povertà ———————————————- Illusione Negata Da Indifferenti, attratti da Futili Fragili Effimere Ricchezze E sentirsi esclusi Non amati come Zattere Abbandonate alle onde dell’oceano ———————————————Giocando Insieme Offriamo gli uni agli altri Ilarità e ci Arricchiamo con l’amicizia ———————————————Accogliere bambini soli Riscaldandoli con l’affetto Manifestato da persone Oneste Nel cuore con Innocente Amore All’improvviso soli Al telegiornale ho visto che in paesi lontani, a causa di venti forti e di mareggiate, tante famiglie sono rimaste senza una casa. Molte persone hanno perso la vita e perciò anche tanti bambini sono rimasti orfani di uno o di tutti e due i genitori. Alcuni di essi sono stati salvati dai soccorsi che li hanno portati in case-famiglia dove venivano accolti e curati dai volontari. Arrivavano lì con abiti consumati e sporchi, ma i volontari davano loro vestiti nuovi e conforto. Erano tristi per l’accaduto ma non erano più soli e potevano di nuovo giocare nei prati con altri bambini, andare a scuola e quindi avere un’istruzione e un’educazione. Gli operatori chiedevano aiuto da parte di tutti. Sentendo queste parole mi sono commossa ed ho cercato subito di soccorrerli donando quello che potevo. Spero che ciò li abbia aiutati ad essere di nuovo felici. Tendere la mano e sentirsi Respinto, Indesiderato, chiedere un Sorriso Timidamente ed essere Emarginato, come una Zanzara fastidiosa Zittita ed Abbattuta continua alla pagina seguente Marzo 2008 Costretti a lavorare Un giorno in un documentario ho visto un bambino povero che aveva circa 11 anni ed era costretto a lavorare. Faceva un lavoro strano: doveva bucare un foglio di metallo con una macchina. Era vestito con stracci e raccontava con tranquillità la sua storia, ma i suoi occhi erano così malinconici! Ha detto che il suo lavoro era rischioso, infatti si era schiacciato un dito. Non andava a scuola, l’unico suo divertimento era incontrarsi di sera con altri ragazzi come lui in un centro di accoglienza per cantare. Mi sono sentito molto triste e in colpa perché io giocavo mentre lui doveva lavorare. Stupore è: Offrire Regali inaspettati Portati da Ragazzi generosi con Euforia per Sbalordire e Aiutare persone bisognose! ———————————————Piccole indifese creature Alla mercé di Uomini crudeli, Rabbiosi e Avidi Classe 4 C - Elementare di Bettola Povertà lontane In Africa, dove ho vissuto per alcuni anni, c’era un orfanotrofio. C’erano tanti bambini accuditi dalle suore. Erano vestiti male, però erano tutti molto allegri e avevano anche degli animali. Ogni sabato andavo lì e portavo loro cibo, vestiti e anche qualche gioco. I miei genitori parlavano con le suore, invece io e mia sorella giocavamo con questi bambini. Alla fine dell’anno venivano nella nostra scuola e facevano una recita. Dopo lo spettacolino noi davamo loro una busta con dentro dei soldi e poi festeggiavamo mangiando pizzette e giocando tutti insieme. Ho provato molta felicità sapendoli curati e non abbandonati per strada. In televisione ho visto tanti bambini del sud del mondo che non avevano soldi a sufficienza per comprare cibo, acqua, vestiti. Andavano nei cestini a cercare cibo e chiedevano soldi attraverso annunci alla TV o alla radio. Erano vestiti con pantaloncini consumati. Il loro volto esprimeva tristezza ed è ciò che ho provato nel vederli obbligati a lavorare invece di andare a scuola. Per mangiare dovevano cercare nei cestini o addirittura rubare. Meno male che ci sono Passaggi di tempo 7 associazioni che li aiutano. Allora ho deciso di fare dei sacrifici come non comprare giochi che mi piacciono e quei soldi mandarli in Africa per i poveri. L’ho già fatto quando ero piccolo, andavo dalla zia e davo le mie monete a una suora sua amica che li portava ai bimbi bisognosi. È bene ogni tanto fare dei sacrifici per aiutare gli altri! Classe 4 C - Elementare di Bettola Povertà di casa nostra Un giorno, mentre camminavo con i miei genitori, in un prato vicino a una roulotte, ho incontrato un bambino. Era malvestito e solo. Seduto su una panchina, con la mano tesa, chiedeva qualche soldino. Aveva uno sguardo triste. Ho avuto paura, non mi sono avvicinato. Era la prima volta che mi trovavo di fronte a un bambino come me in questa situazione. Matteo, 4 B Elementare di Bettola L’estate scorsa, una sera, sono andata con i miei genitori in un ristorantino vicino a una pista di pattinaggio. Mentre cenavamo è entrato un bambino straniero di cinque o sei anni che suonava la fisarmonica e chiedeva l’elemosina. Aveva i vestiti consumati ed era sporco. Ho provato tanta tristezza. Volevo dargli qualcosa; ero indecisa: non mi fidavo. Ma poi ho chiesto ai miei genitori se potevo avere un soldino. Dopo un po’ di insistenza, la mamma mi ha messo tra le mani un euro che ho fatto cadere nel suo piattino. Il bambino mi ha sorriso e se ne è andato via. Adele, 4 B - Elementare di Bettola Quando vado in metropolitana mi capita spesso di veder persone povere. Una volta ho incontrato una famiglia extracomunitaria: il papà, la mamma e due figli. Il papà e i bambini suonavano la fisarmonica, la mamma con un bicchierino raccoglieva le monetine. Ho provato tanta pena e tristezza. Manuel, 4 B - Elementare di Bettola Una volta, nel parco giochi, ho visto un signore seduto su una panchina che chiedeva l’elemosina. Davanti a sé aveva un cartello dove diceva di avere due bambini piccoli e una moglie malata. Mi sono fermata un attimo a pensare. Le persone in difficoltà mi fanno soffrire, perché le vedo infelici. Vorrei aiutarle ma non so come. Valentina 4, B - Elementare di Bettola Ricordo di un amico Avevamo iniziato da alcuni mesi la prima classe, quando le nostre maestre ci dissero che sarebbe arrivato un nuovo compagno: un bambino straniero. Per noi era una novità e per questo aspettavamo il momento con ansia e curiosità. Dopo pochi giorni, accompagnato dal direttore, ecco arrivare Sergio, un bambino bulgaro. Piccolo, minuto, di carnagione scura, totalmente spaesato perché non conosceva la nostra lingua, cercava con i suoi occhi vispi di capire ciò che gli stava succedendo intorno. All’inizio è stato difficile sia per lui sia per noi conoscerci e accettarci, ma poi, a poco a poco abbiamo fatto amicizia. Quante partite a biliardino e come era bravo! Al mattino arrivava a scuola con la sua bicicletta che lasciava nel cortile e alla quale teneva tanto. Alcune volte si intristiva perché pensava ai suoi amici che aveva lasciato al paese e allora diceva che non voleva più stare con noi. Veniva alle nostre feste di compleanno dove si divertiva come un matto. Un giorno la sua mamma ci disse che si sarebbero trasferiti in un’altra cittadina e così Sergio, a malincuore, ci ha dovuto lasciare. Ma non ci siamo persi di vista, perché ogni anno, alla festa di un nostro amico, troviamo anche Sergio che ora è cresciuto come noi. Classe 4 B - Elementare di Bettola Un tuffo nel passato L’infanzia raccontata da nonno Bruno Era il 1947, il periodo del dopoguerra e avevo nove anni. Abitavo nel Lodigiano in una cascina agricola: non avevamo niente, eravamo poveri. I miei genitori lavoravano i campi per il proprietario della cascina in cui abitavamo. La mia famiglia era numerosa, composta da sette persone: cinque fratelli più i miei genitori. In quel tempo tutte le famiglie avevano tanti figli; ogni anno nascevano molti bambini che però morivano per le malattie perché c’erano pochissime medicine. La mia casa aveva due locali, uno al piano terra, che ospitava la cucina con il camino per cucinare e riscaldarci, l’altro al piano di sopra dove c’era una camera da letto con un letto per tutti i fratelli. Non avevamo comodità. Ci si lavava con l’acqua fredda, poco sapone e si faceva il bagno in un mastello. Il cibo era scarso; mangiavo quello che produceva la terra e che avevamo in cascina: mele, latte, polenta, qualche volta pane e lardo, dato che allevavamo un maiale e i suoi prodotti dovevano bastarci per tutto l’anno. Gli elettrodomestici non esistevano; si faceva tutto a mano. Avevo molti meno abiti dei bambini d’oggi. I miei vestiti erano pochi ed erano quelli che mi passavano i miei fratelli. Ho frequentato la scuola elementare fino alla quarta, poi la mia mamma è morta e ho dovuto lasciarla perché dovevo badare alla casa, fare le faccende domestiche, curare le galline. Nella scuola c’erano cinque classi e le aule erano grandi. C’era tanto freddo anche se avevamo la stufa. Ognuno di noi, a turno, doveva mettere un legno. In quarta elementare eravamo 25 alunni, di cui metà ripetenti. La maestra era brava, ma severa: per chi si comportava male arrivavano punizioni molto rigide. Avevo la cartella di cartone e solo due quaderni. I libri ci venivano dati dalla maestra e a fine anno scolastico dovevamo restituirli. Le materie di studio erano: italiano, storia, geografia e religione. Al mattino entravo a scuola alle otto e trenta, e prima di iniziare la lezione facevamo il segno della croce. Il giovedì si rimaneva a casa. Di tempo libero non ce n’era, andavo a scuola e poi aiutavo in cascina. Quando potevo giocavo con i miei fratelli con la palla di stoffa, un cavallino di legno e con il gioco più diffuso: la lippa. In quel tempo il mezzo di trasporto più utilizzato era la bicicletta. Il padrone aveva il calessino che usava la domenica per andare in chiesa con la sua famiglia. Le comunicazioni erano lente perché affidate alle lettere. Le vacanze non esistevano. Il mare l’ho visto per la prima volta a 18 anni, quando sono andato in gita a Santa Margherita Ligure. Trascrizione a cura della Classe 4 B Elementare di Bettola Una giornata speciale: intervista a nonno Giorgio Venerdì 30 novembre è stata una giornata davvero speciale perché abbiamo incontrato nonno Giorgio, che ci ha raccontato come è stata difficile la sua vita quando aveva la nostra età. Per un giorno siamo diventati giornalisti: in mano una scheda di domande significative da porre, carta e penna per registrare le risposte e cartellino identificativo sulla maglietta. Nonno Giorgio è nato nel 1935 ed ora ha 72 anni; quando era piccolo viveva a Milano in Corso Lodi, che a quel tempo era la periferia della città. Suo padre era autista, la mamma era operaia in una fabbrica di cavi elettrici e aveva una sorella. Abitavano in una casa di ringhiera costituita da un’unica stanza, il bagno era fuori, mentre l’acqua bisognava prenderla in cortile. La cucina era il caminetto alimentato a legna, che si comprava dallo “sciustrè”. I loro elettrodomestici erano scopa e spazzolone, non avevano il frigorifero ma la ghiacciaia. Ha iniziato la scuola a sei anni ed ha frequentato le prime due classi elementari. A causa della guerra la scuola è stata chiusa per due anni, perciò nonno Giorgio è ritornato a scuola a dieci anni per riprendere la terza ed ha terminato gli studi in quinta elementare. La sua aula era una grande stanza con tre file di banchi in legno. Ogni banco era per due bambini ed erano molto scomodi perché le panche erano fisse e bisognava. stare seduti per tutto il tempo. La sua classe era formata da più di trentacinque bambini. In prima e in seconda insegnava la maestra, mentre dalla terza alla quinta il maestro. Le materie di studio erano italiano, aritmetica, storia, geografia, religione e ginnastica. A scuola s’indossava il grembiule nero con il colletto bianco. Ai maestri ci si rivolgeva con il lei o con il voi, mai con il tu. Gli insegnanti a quel tempo erano molto severi e assegnavano tanti compiti! Le classi non erano miste, ma solo maschili o solo femminili. Per scrivere si usava il pennino che si intingeva nel calamaio. Mentre nonno Giorgio andava ancora a scuola, ha iniziato a lavorare come aiuto ferramenta: in famiglia avevano bisogno anche del suo contributo per tirare avanti. Era un periodo veramente difficile, a causa della guerra non si trovava neanche il pane bianco, c’era solo quello nero, che era molto duro. Soltanto la domenica si mangiavano le prelibatezze: zampe e testa della gallina, gli scarti degli animali. A quel tempo i bambini giocavano per strada alla “lippa” e al “giro d’Italia”. Come mezzo di trasporto si usava soprattutto la bicicletta, qualche volta nonno Giorgio viaggiava attaccato alla “pertegheta” del tram, non aveva mica i soldi per il biglietto! È stato molto interessante scoprire com’era diversa e dura la vita tanto tempo fa. Classe 4 C - Elementare di Bettola Passaggi di tempo Marzo 2008 8 Dal menalatt al prestinee : i lavori nella Milano dell’800 Dall'adesione al progetto "La vita fragile" è scaturita un'esperienza ricca e gratificante che ci ha fatto conoscere gli aspetti sociali e popolari della Milano a metà '800. Le immagini e le ambientazioni che testimoniano e illustrano i luoghi dell'accoglienza e della cura, i momenti dell'educazione e dell'istruzione all'interno degli orfanotrofi dei Martinitt e delle Stelline, ci hanno infatti permesso di calarci nella quotidianità della Milano del secondo Ottocento (Classi Quinte A e B, Scuola Elementare di San Bovio). Prima del lavoro, però, occorre sistemare lo stomaco. All'angolo tra piazza Santo Stefano e via Laghetto c'è il "polentatt", col suo calderone attaccato al trespolo e, sotto, il fornello acceso. E' un vecchio, avvolto in una palandrana, che mescola, con un lungo bastone, un giallo impasto fumante. Vende porzioni di polenta calda per pochi centesimi e questa è un'abbondante prima colazione per chi deve recarsi al lavoro. Qualcuno ne compera tre o quattro fette e se le ficca in tasca per avere un po' caldo e avere da mangiare per mezzogiorno. I monelli sono i primi a presentarsi dal "polentatt" e lo guardano affascinati. Più avanti incontriamo un altro personaggio tipico: il "menalatt"; egli giunge a Milano dalla "Bassa" seguendo il corso del Naviglio, con il suo carretto traballante. Arriva in città dal lodigiano e dalle campagne di Abbiategrasso. Tel chì "el menalatt" È uno dei gridi più mattutini che si oda per le vie della città: se tra la veglia e il sonno credi sentir mugghiar la vacca, e non mi fa meraviglia sì bene la imita con quel suo: " Oh il latte!" Quel del cafè del genoeucc Quand che la giornada la va in morìa E l'è sarada su anca l'osteria, per scaldass e tegnì avert ij oeucc gh'è 'l carrettin del café del genoeucc! Ciamà de genoeucc perché per rugall se sta su on pè sol 'me su on pedestall! I brumista ne hin assidov client anca se come café 'l var propi nient! cont on rebattin, 'na gotta de stagn mì ve giusti tuttcoss o donn! Magnan…" In un altro angolo, accovacciato a sgranare pannocchie per vender poi i chicchi ai passanti e le foglie alle massaie, che con esse rigonfiavano i materassi, c'è "el vendidor de foeuij de formenton": El girava per Milan cont on gerlon el vendidor de foeuij de formenton, rotolaa e ben ligaa 'me pigotton. Ghe ne vendeva a quej che per l'occasion N'aveven besogn per fass on bel paijon. On mestèe che a cunt de l'evoluzion (sia ben ciar, con tutta soddisfazion), s'è perdùu nel temp e l'è pù tradizion. El strascee Quella de valzà la vos l'è soa consuetudin e ormai la gent gh'ha fada l'abitudin, tant vera che quand vun valza tropp la vos ghe disen : " Te parèt on strascèe rabbios!" Temp indrèe toeu e vend el rottam e ij strasc, cartascia o fiasch voeuj a l'era on mesterasc. Siamo in Galleria Vittorio Emanuele II, il salotto buono della città… Persone passeggiano elegantemente vestite: le donne con abiti lunghi, gli uomini con giacca e cravatta. In un palazzo vicino è in corso un ricevimento e per l'occasione una signora indossa un cappello a larghe falde con piume, gli uomini accanto a lei portano abiti dal taglio impeccabile, candide camicie e fazzoletto al taschino. L'impressione è che in quest'epoca si viva bene e soprattutto in grande agiatezza. Il giorno successivo, però, in una mattina fredda e umida, con un tram tirato da cavalli ci trasferiamo in un altro quartiere: il Verziere. Ci guardiamo in giro e vediamo personaggi più umili. Un uomo accanto a noi non porta né il cappello né la camicia, indossa una giacca vecchia e sgualcita e scarpe consumate. Qualcuno più avanti sta facendo un trasloco. Le poche cose della famiglia sono state caricate su un carretto, che viene tirato a mano. Dietro il carretto un bambino a piedi scalzi aiuta a spingere. Stanno facendo San Martino, come si diceva a Milano, perché l'11 novembre scadono i contratti di affitto e per quella data alcune famiglie ricevono lo sfratto. Il tram sosta davanti a una casa di ringhiera. Entriamo e notiamo che le finestre e le porte si affacciano tutte su corridoi, che danno verso un cortile centrale, dal quale proviene un vocio di bambini: sono i figli degli operai e della gente più povera. E' proprio qui che scopriamo un mondo più ricco di umanità e di "calore". Un gruppo di monelli, infagottati in grosse sciarpe di lana e in cappottini rattoppati, s'avvia cantando verso gli "opifici" dove i ragazzi trovano lavoro come apprendisti. El lustrascarp El client l'è lì sul tron par setta, el lustrascarp piegà in dùu su on sgabellin toeu via la polver, de lustre on cicinin e poeu ghe dà de gombet a spazzetà. Cont on pann ghe dà l'ultima passada, el massaggia j tomer per on quaj moment e scarp o polacch adess hin sbarlusent. El lustrascarp… el gh'ha bottega in strada! Più in là lungo il naviglio ci sono le lavandaie, che inginocchiate lavorano con l'asse di legno e il grosso pezzo di sapone grezzo. Poi a sera rifanno il giro delle case con le ceste colme di biancheria candida posate in bilico sulla testa o appoggiate all'anca per restituire i panni profumati. La lavandera non si presenta più sull'uscio di casa al grido di: - Tabell de la lavanderaaa !... Gh'è chi la lavandera !... Sciura, ghin chi i voster pagn lavà, stirà, profumà. Seguendo il corso del Naviglio torniamo in piazza Duomo… C'è un capannello di gente che si affolla attorno a un "bar molto strano". È il "café del genoeucc". Qui c'è modo di gustare una tazzina di caffè senza alcuna pretesa, su due piedi, a cielo aperto, appoggiando appunto la tazza sul ginocchio sollevato a mo' di tavolino. Dopo il venditore di pannocchie, nel nostro giro, incontriamo anche i Martinitt che s' impegnano a lavorare. I più giovani tra i Martinitt aiutavano il magnan, lo strascèe o lo spazzacamino, imparando anche il grido tipico di ciascuno di questi personaggi. El garzon del prestinee Con sora j spall la gerla o la cavagna col pan anmò cald, quand l'è l'orari, el tèl ceràa quand pioeuv, che se bagna no', tucc i dì 'l fa l'istess itinerari. Dal prestin a ona posta, a l'osteria, svojand gerla o cavagn man man per via. L'ha imprendùu ben anca lù, pover badan… che chi volta el cùu a Milan le volta al pan! El magnan "Pignatt, cazzùu, cazzaroeul e scaldin; per taccà on manegh o stoppà on busin portej a bass o donn, l'è el magnan ch'el rangia j pignatt de tutta Milan. Magnan… magnano! Calderett, ramin, padej, coverc, pedrioeu, palett, colin, Marzo 2008 Passaggi di tempo 9 Solidarietà, assistenza, integrazione sociale Piccoli “storici in erba” scoprono il passato fragile Intervento di un genitore sul lavoro svolto dagli alunni di San Bovio Dall’invito a visitare l’archivio del Trivulzio alla realizzazione di un’esperienza molto valida… Hanno imparato a cantare vecchie e famose canzoni dialettali e cercato di immaginare come fosse la vita a Milano alla fine dell’800… Gli alunni delle classi quinte della Scuola di San Bovio hanno studiato usi, costumi e linguaggio di una realtà che sem- Nel mese di Ottobre agli alunni delle classi quinte di San Bovio, in visita alla mostra “La vita fragile”, era stato rivolto l’invito a recarsi, in piccoli gruppi, presso l’archivio del Pio Albergo Trivulzio per prendere visione dei documenti riguardanti i Martinitt che, nel corso degli anni, erano stati ospiti dell’omonimo orfanotrofio milanese. Tale proposta, avanzata dagli insegnanti ai genitori degli alunni in sede di Assemblee di classe, durante la presentazione del progetto “La vita fragile”, era stata accolta da alcuni dei presenti, fortemente interessati. Questi genitori provvedevano poi, con iniziativa del tutto personale, a contattare la dottoressa Cristina Cenedella, direttrice dell’Archivio del Pio Albergo Trivulzio, per organizzare una serie di incontri con gli “storici in erba” della scuola di San Bovio. Ed è così che, dalla grande competenza e disponibilità della dottoressa Cenedella e l’interesse profuso dai nostri alunni, è nata una esperienza molto valida che ha segnato in maniera incisiva la crescita dei bambini e che essi ricorderanno a lungo con piacere. I documenti presi in visione presso l’archivio, mirabilmente mediati nel linguaggio e nel contenuto dalla Direttrice per renderli adeguati alle capacità comprensive dei giovanissimi utenti, sono stati fotocopiati e, portati in classe, sono divenuti “fonte storica” a cui attingere per stilare la sto- bra lontana anni luce dalla loro vita quotidiana, anche se è passato solo poco più di un secolo. Questa interessante ricerca è stata compiuta per partecipare al concorso, aperto a scuole elementari, medie e superiori, intitolato: “La vita fragile: antiche e nuove povertà nella Milano di ieri e di oggi” e promosso dall’Azienda di Servizi alla Persona Istituti Milanesi Martinitt, Stelline e Pio Albergo Trivulzio di Milano. Scopo del concorso è quello di sensibilizzare i giovani a riflettere sui valori della solidarietà, dell’assistenza e dell’integrazione alla vita sociale. Per gli alunni di quinta l’avventura è iniziata con la visita lo scorso ottobre nel Palazzo delle Stelline a Milano, alla mostra chiamata appunto “La vita Fragile”. I nostri bambini sono stati colpiti dalle immagini degli orfanelli che erano ospitati nell’Istituto dei Martinitt e delle Stelline e hanno deciso che il loro lavoro da portare al concorso avrebbe riguardato proprio questi loro sfortunati coetanei vissuti tanto tempo fa. Per saperne di più era necessario recarsi all’Archivio dell’Istituto che si trova oggi nella sede del Pio Albergo Trivulzio a Milano. Prezioso è stato l’aiuto e il supporto della Dottoressa Cristina Cenedella, direttrice dell’Archivio, che ha mostrato agli alunni le pagelle e i documenti di alcuni ragazzi che erano stati ospiti dell’orfanotrofio, guidandoli nell’analisi, nella comparazione e spronandoli a formulare ipotesi relative al contesto sociale del periodo esaminato. Da queste visite i nostri scolari hanno tratto ispirazione per trasformarsi in scrittori e inventare, in classe, una storia romanzata sulla vita di un Martinin. La vicenda narrata è triste ma a lieto fine, e rispecchia, in larga parte, la vita reale di questi ragazzi. Non bisogna infatti dimenticare che dall’Istituto dei piccoli orfani milanesi sono usciti uomini importanti e capaci come Angelo Rizzoli, fondatore dell’omonima casa editrice; Emilio Bianchi, che dal nulla ha fondato la storica azienda delle biciclette Bianchi. E ancora più recentemente Leonardo Del Vecchio, patron dell’importante gruppo Luxottica. Di famose Stelline, così erano chiamate le orfanelle, purtroppo non ne è rimasta alcuna traccia. Le “quote rose” sono un problema oggi e cent’anni fa le donne non erano certo considerate molto... Oltre al racconto, gli alunni di quinta hanno approfondito il loro studio, creando un quaderno speciale in cui hanno fatto una vera e propria ricerca sulla vita e le tradizioni della vecchia Milano. E anche questo quaderno, assieme alla storia romanzata, farà parte del lavoro da presentare alla giuria del concorso. Tanto è stato appassionante questo viaggio a ritroso nel tempo, che le insegnanti hanno deciso di creare uno spettacolo sullo stesso tema, coinvolgendo anche alcuni volenterosi genitori. Si esibiranno al Teatro De Sica di Peschiera Borromeo il 14 marzo, portando in scena una piccola “anteprima”, e in aprile replicheranno, presentando l’intero spettacolo, nell’auditorium della Scuola di San Bovio. Patrizia Violi - Mamma di Anita, Classe Quinta A - Elementare San Bovio ria di un ipotetico Martinin “Edoardo”. Tutti gli alunni delle classi quinte, supportati dai bambini che hanno vissuto concretamente l’esperienza presso l’archivio del Pio Albergo Trivulzio e che non hanno “lesinato” nel condividere le loro nuove conoscenze con i compagni, hanno preparato il “canovaccio” da sviluppare in un racconto attingendo largamente ai documenti storici e arricchendo la trama con una buona “dose” di immaginazione e fantasia tipiche dei bambini della loro età. Ed è con grande orgoglio e riconoscenza che i bambini delle classi quinte di San Bovio hanno presentato poi il loro elaborato alla dottoressa Cenedella, ringraziandola in tal modo per la grande professionalità con cui li ha seguiti. Scuola Elementare di San Bovio Scuola di equitazione per ragazzi e adulti Centro Ippico Il Quadrifoglio 20068 Peschiera Borromeo - (Mi) Via F. Sforza, 9 Tel. 02/5470133 - 338/9307880 Passaggi di tempo Un mondo perduto, un mondo ritrovato Fatiche e gioie nei bambini di ieri e di oggi Lavori umili e pesanti per guadagnare pochi soldi che spesso non bastano nemmeno a sostenere la famiglia… La vita è proprio difficile da condurre ed è anche per questo che, proprio in questo periodo, nascono le prime leghe operaie per tutelare i diritti dei lavoratori. Da questa lotta dei "forti" sembrano, però, emarginati i ceti più deboli: i bambini, i giovani, gli orfani, i vecchi, i malati. Ed è proprio per tutelare queste fasce di popolazione che Milano si distingue "per occupare uno dei primi posti nella storia della carità". Alla fine dell'Ottocento a Milano si contano moltissime opere pie e tra le più importanti l'orfanotrofio maschile dei "Martinitt", quello femminile delle "Stelline" e il ricovero per gli anziani Pio Albergo Trivulzio. Il Progetto "LA VITA FRAGILE" ci ha permesso di conoscere un mondo perduto, quello dei nostri nonni e bisnonni. Particolare interesse hanno suscitato in noi i documenti e, in particolare, le foto che abbiamo avuto la fortuna di consultare. Le fotografie, soprattutto, ci hanno fatto comprendere che i giovani, quando si trovano insieme, hanno gli stessi impulsi, la stessa allegria, sia che si rechino a scuola sia al lavatoio pubblico. Osservando queste foto sembra di sentirne i gridi festosi: queste immagini hanno la freschezza del documento. Da esse appaiono i semplici fatti e sentimenti della società di fine Ottocento: i bimbi si assiepano intorno a un venditore di caramelle, premio e gioia dell'infanzia, eppure le caramelle non erano decantate dalle televisioni. Quanto sia cambiato il mondo, ce ne accorgiamo guardando le foto di bambini nei loro giochi, al parco, per la strada! Spettacolo impensabile oggi nelle strade di Milano intasate dal traffico, pericolose anche per gli adulti. Le giostre, fantasia sonora, erano in tutti gli angoli. Questa nostra Milano, come ha sostituito queste gioie, queste tenerezze segrete? Nell'epoca degli elettrodomestici è difficile immaginare che fatica costasse lavare i panni al lavatoio pubblico o nei navigli. Le più "fortunate", tra le bambine, lavoravano come sartine nei laboratori artigianali. Portavano degli scatoloni più grossi di loro, per andare a consegnare gli abiti alle clienti. I ragazzi cominciavano la vita di lavoro come garzoni di prestinai, di magnani, di spazzacamini. Dalle immagini che abbiamo osservato si coglie tuttavia, nonostante la fatica del lavoro, che i ragazzi erano felici e giocondi e, addirittura, i Martinitt e le Stelline godevano di una situazione relativamente più felice, perché facevano le loro gite, mangiavano all'aperto, avevano le loro feste… Quella dei Martinitt è una storia antica che da quasi cinquecento anni procede di pari passo con quella della città che li ospita: Milano. Una città e un' istituzione che, insieme, hanno affrontato avversità, guerre, epidemie ma, soprattutto, sono state e sono unite dallo stesso spirito di SOLIDARIETA', dalla FIDUCIA nel domani, dalla DISPONIBILITA' DEI CITTADINI. Questi personaggi che fino a poco tempo fa non sapevamo neanche che esistessero, si sono presentati a noi in tutta la loro animata quotidianità. Attraverso le loro vite ci siamo "calati" nella storia della Milano dell'Ottocento. Abbiamo scoperto una realtà inimmaginabile, la loro esistenza era "fragile" per le condizioni sociali precarie, per la povertà diffusa, per la mancanza di ogni bene materiale, ma era salda perché tutti cercavano di darsi una mano. Oggi forse la nuova povertà è quella dei SENTIMENTI… Quasi avessimo paura di essere buoni, comprensivi, di togliere la corazza che ci fa sentire forti. E' da qui che vorremmo partire… Noi così fortunati nell'avere ogni tipo di beni materiali, vorremo superare la fragilità dei sentimenti ed essere come i bambini di allora, "uniti ed entusiasti" della vita. Classi 5A e B, Elementare San Bovio Marzo 2008 10 Il racconto Edoardo: una storia esemplare Edoardo è un bambino sano, di corporatura robusta, alto. Ha un viso radioso, lo sguardo gioioso e spensierato. La sua famiglia, di condizioni umili, gli dà affetto, amore, considerazione, fiducia, e lui vive sereno condividendo con gli amici vari momenti della giornata. Abita in una vecchia casa di ringhiera, affacciata sul Naviglio, dove ogni giorno può osservare il lavoro delle lavandaie e sentirle cantare per superare la durezza della loro fatica. Edoardo all'alba è svegliato dal grido del "menalatt" che col suo carro trasporta il latte appena munto, proveniente dalla "bassa". Il giorno più bello dell'anno, per lui, è quello di Sant'Ambrogio, perché si reca alla fiera degli "O bei o bei" a comperare "a cinq ghei tri spagnulet e sùcher filà". Ogni giorno Edoardo si incontra con il suo amico Ettore ed insieme corrono al Verziere, vicino a piazza Santo Stefano, dove i loro genitori lavorano. L'uno aiuta il padre nel lavoro di ortolano, mentre l'altro fa col genitore il mestiere del "pulentat". Le loro fette di polenta sono calde, invitanti, energetiche: un motivo in più per alzarsi presto la mattina. Nella piazza i due bambini incontrano spesso dei monelli con i quali giocano a "Ce l'hai" o a mosca cieca e scherzano canzonandosi l'un l'altro. Si divertono anche ad imitare le voci dei venditori ambulanti. Ettore grida: "Ch'el rangia i pignatt de tutta Milan. Magnan, magnanooo. Pignat cazzùu, cazzaroeul, l'è chì el magnan". Edoardo, sentendolo urlare, gli dice sovente: "Vusa no! Te paret un strascèe rabios…". Il loro è un gioco di voci che si alternano e si sovrappongono. Il loro dialetto milanese è colorito e rispecchia la Milano dell'Ottocento. Un giorno questa vita povera, ma serena e spensierata, all'improvviso cessa… Il padre di Edoardo, Luigi, è colpito da una febbre altissima che non gli permette più di lavorare. Il problema erano i polmoni e i medici gli vietano di essere all'aria aperta anche se il suo lavoro lo obbliga a stare all'aperto perché la frutta la vende in una bancarella. Da quel giorno, in casa, i soldi sono sempre meno e la famiglia è costretta ad accettare l'ospitalità della chiesa. Poi le cose precipitano… Edoardo ha otto anni quando perde in soli cinque mesi sia la mamma che il papà. Lui e le sue cinque sorelle rimangono da soli e vengono affidati alla parrocchia. I ragazzi hanno i nonni, ma sono purtroppo vecchi e poveri e non possono provvedere ai nipoti. Edoardo e le sue sorelle hanno però uno zio, Felice (fratello di Luigi), che, pur essendo ricco, non vuole accogliere neanche un nipote in casa sua. Felice era stato sin da piccolo un tipo intraprendente: era riuscito a studiare e aveva conosciuto, e poi sposato, la figlia di un imprenditore che aveva fondato la fabbrica del lucido Brill. Si era sempre vergognato di quel fratello ignorante che vendeva la frutta per la strada e non voleva avere a che fare con i suoi figli. Tanto più sua moglie, che odiava i bambini; soprattutto quelli poveri. Fu così che quando Edoardo compì nove anni, zio Felice presentò la domanda all'Orfanotrofio Maschile dei Martinitt di S. Pietro in Gessate. Edoardo per fortuna viene accettato in quanto è perfettamente sano e ben conformato, quindi supera facilmente la visita medica chirurgica. A questo punto, sottoposto unicamente alla vaccinazione antivaiolo, viene inserito nella seconda sezione. Frequenterà la quarta elementare e verrà applicato ad un mestiere; siccome è dotato di capacità artistiche, è ammesso alla scuola di disegno. Così comincia un nuovo percorso di vita per Edoardo. Finalmente ha di nuovo un tetto, un piatto caldo, un posto per dormire, una divisa e un corredo di biancheria ed accessori. Giorno dopo giorno il ragazzo si rende conto che quella è una grande famiglia. Comincia ad ambientarsi e ad avere qualche amico con cui condividere gioie e dolori. Con gli altri Martinitt Edoardo impara un mestiere, quello del sarto, e contemporaneamente va a scuola. Ovviamente la vita in orfanotrofio non è facile. Esistono delle regole ferree che si devono rispettare. Il capitolo IV del regolamento di Istituto prevedeva esplicitamente premi e castighi per i giovani Martinitt. I superiori sono irremovibili di fronte a una trasgressione. Un giorno, per esempio, Edoardo era inciampato in un cancelletto, mentre giocava, e si era ferito alla testa. Nonostante fosse dolorante, era stato punito duramente dal rettore che lo aveva rinchiuso per giorni privandolo della pietanza, del pane a colazione e ovviamente del vino che si dava nei giorni festivi. Passa il tempo, ormai Edoardo ha 13 anni, il suo rapporto con il gruppo dei compagni è buono. Insieme crescono, superano le difficoltà, studiano, giocano, si confidano. In particolare il ragazzo si lega ad Ettore, un Martinitt più grande di lui, un po' spavaldo ed a volte sbruffone, che proprio per questo affascina l'amico più giovane. Molto spesso Edoardo, imitando Ettore, è coinvolto in atti di indisciplina, ma a differenza del suo compagno riesce a modificare in fretta il suo comportamento evitando punizioni divenute troppo frequenti per l'amico. Ettore, un giorno, approfittando di uno sciopero organizzato dalle leghe operaie per la tutela dei diritti dei lavoratori, si lasciò andare ad atti di teppismo e per questa grave colpa fu espulso. Quello fu un giorno molto triste per Edoardo, che si sentì molto solo. Il 6 luglio 1863, all'età di 18 anni, Edoardo lascia l'orfanotrofio e i suoi amici più cari per diventare sarto, il lavoro imparato in nove anni fuori casa. Il giovane ha molto talento e trova subito lavoro in una sartoria dove acquisisce delle conoscenze sui nuovi tessuti di seta, lana e sulla moda dell'epoca. Lavorando duramente, in pochi anni si guadagna la stima del suo capo. Mentre era ancora all'Orfanotrofio, Edoardo aveva accumulato quote di guadagni provenienti dal lavoro presso il laboratorio sartoriale dove aveva imparato il mestiere. Infatti, all'interno dell'istituto, il denaro che i Martinitt guadagnavano veniva trattenuto per tre quarti dal Pio Luogo e un quarto spettava agli orfani. Le quote di guadagno di Edoardo erano state investite in un libretto della cassa di Risparmio ed erano state maggiorate di un decimo del totale per premiare la singolare e straordinaria applicazione al lavoro del ragazzo. Inoltre, siccome si era distinto nella scuola di disegno, i suoi risparmi erano stati maggiorati grazie al lascito di un benefattore. Per questi fondi, al termine della sua esperienza in collegio, aveva già una discreta posizione economica. Nel frattempo i suoi zii muoiono in circostanze non chiare mentre percorrono in carrozza una via del centro. Si racconta che il cavallo, spaventato da un rumore violento, s'imbizzarrì e la carrozza si ribaltò. Trasportati all'ospedale in condizioni gravissime, gli zii morirono due giorni dopo. Edoardo, nonostante il cattivo rapporto con i suoi congiunti, fece in tempo ad andare a trovarli. Lo zio ne fu lieto e, pentitosi di come si era comportato con i suoi nipoti, decise di lasciare a lui e alle sue sorelle, ospitate presso l'Orfanotrofio Femminile Stelline, tutta l'eredità. I ragazzi tornarono così a vivere tutti insieme nella casa degli zii, un palazzo lussuoso, internamente affrescato. Con una parte dell'eredità, Edoardo aprì una sartoria nel centro di Milano. Le sorelle, alle Stelline, avevano fatto le "Piccinine", avevano imparato anche loro a cucire. Così, entusiaste, andarono a lavorare con Edoardo. In breve tempo la Sartoria Sirtori divenne la più importante in Italia e i ricchi provenienti da tutta Europa venivano a farsi fare i vestiti su misura da questi genii della sartoria. Ritornarono così ad essere una grande famiglia felice come quando c'erano ancora i loro genitori. Nei giorni di festa, tutti insieme si recavano in piazza del Duomo per bere un caldo "cafè del genoeucc" e ricordare quando, durante la loro infanzia, lo sorseggiavano con papà e mamma per "scaldas e tegnì avert ìj oeucc", anche se ora potrebbero permettersi una fumante cioccolata al rinomato "Cafè Sant'Ambroeus"… Scuola Elementare di San Bovio Classi 5A e 5B Marzo 2008 11 Storia di un Martinin a cura del Laboratorio di Arte e Immagine della “Virgilio”. Proff. Katia Calò e Marzia Ducco FONDO’ LA... Passaggi di tempo Passaggi di tempo San Carlo Borromeo e le Stelline Un santo vicino ai bisognosi e ai sofferenti Carlo Borromeo nacque ad Arona (Novara) nel 1538 da una nobile e ricca famiglia. Si laureò in legge e, poco dopo, suo zio papa Pio IV lo elesse cardinale e poi vescovo di Milano. Nei diciannove anni del suo episcopato egli dedicò alla sua gente tutto il suo tempo e le sue energie. Nell’anno di grande carestia (1569) più di tremila persone al giorno venivano nutrite dall’arcivescovo. Negli anni della peste (1576-1577) che provocò in città 6000 morti, Carlo Borromeo, mentre molti altri potenti di Milano scapparono altrove, non si preoccupò del contagio. Usciva ogni giorno a visitare i malati, usò le tappezzerie della sua casa per provvedere ai vestiti di migliaia di malati. Fece costruire duecento capanne al di fuori di ciascuna porta della città per ospitare gli appestati. Marzo 2008 12 Dopo la peste, essendo aumentato il numero di emarginati e derelitti, Carlo fece costruire l’Ospedale dei Poveri Mendicanti e Vergognosi della Stella, utilizzando il vecchio Monastero delle Benedettine di Santa Maria della Stella, situato nell’attuale corso Magenta. L’ospedale curava i poveri di entrambi i sessi. A partire dalla seconda metà del Seicento la Stella rafforza sempre di più un’accoglienza rivolta all’infanzia bisognosa. La sua trasformazione definitiva in Orfanotrofio delle Stelline avvenne nel XVIII secolo. Le Stelline ricevevano ricovero, assistenza e istruzione. Inizialmente e fino a metà dell’800 alle ragazze venivano insegnati i lavori femminili: taglio, cucito e maglia. Con il trasformarsi della società agli inizi del ’900 le Stelline cominciarono a seguire anche corsi di specializzazione nel ramo commerciale e industriale per avviarsi a diventare operaie, segretarie, commesse. S. Carlo Borromeo, che aveva dato vita a questa istituzione destinata a continuare nei secoli successivi, il 3 novembre del 1584 crollò sotto il peso della sua insostenibile fatica. Aveva soltanto 46 anni, e lasciava ai milanesi il ricordo di una santità seconda soltanto a quella di un altro grande Vescovo milanese, S. Ambrogio. Classi 4A e 4B – Elementare di Bettola San Girolamo Emiliani e i Martinitt Il Patrono degli orfani e dei giovani San Girolamo Emiliani nacque a Venezia nel 1486 da una famiglia nobile. Intraprese la vita militare molto presto e divenne castellano di Castelnovo di Quero con i fratelli. Nel 1511, in seguito ad un assalto, Girolamo venne fatto prigioniero e rinchiuso nei sotterranei del castello. Nei giorni passati nella solitudine si avvicinò alla preghiera trovandosi, secondo la leggenda, improvvisamente libero: Girolamo attribuì sempre la sua liberazione all’intervento speciale della Madonna. Nel 1531 abbandonò la vita militare, lasciò definitivamente la casa paterna, vendette i propri averi e li distribuì ai poveri. Si dedicò a tempo pieno alle opere in favore degli orfani, dei fanciulli abbandonati e dei malati istruendoli e dando loro una formazione cristiana. Molte persone lo sostennero e collaborarono nei suoi centri di accoglienza che diventarono sempre più organizzati fino ad essere riconosciuti come un ordine religioso con il nome di Padri Somaschi. Nel 1533 Girolamo attraversò l’Adda diretto a Milano dove infuriava un’epidemia di peste, chiamato dal duca Francesco Sforza che gli offrì la possibilità di radunare gli orfa- ni milanesi presso la chiesa di San Martino. Questa vicinanza suggerì al popolo di chiamare la chiesa San Martino degli Orfani e, per le stesse ragioni, di chiamare gli orfani Martinitt (al singolare: Martinin). Tuttora i milanesi chiamano così questi ragazzi. San Girolamo morì l’8 febbraio del 1537 mentre assisteva i malati di peste, colpito lui stesso da questa terribile malattia. Nel 1747 è stato santificato e nel 1928 venne proclamato “Patrono universale degli orfani e della gioventù”. Classe 4C - Elementare di Bettola Marzo 2008 Passaggi di tempo 13 Molto più di un lavoro Intervista a due ex-educatori della comunitàalloggio di Linate. I signori Turrini raccontano la loro esperienza trentennale a favore di chi vive una “vita fragile” Lunedì 10 Dicembre 2007 noi alunni della 3C della Scuola Secondaria di Primo Grado “Virgilio”, insieme al nostro Dirigente Scolastico professor Facciorusso, alla Vicaria prof. Nunziata e ai professori Leondi e Leopardi, abbiamo incontrato Mariangela e Ilario Turrini, che fino all’anno scorso hanno lavorato come educatori per i Martinitt a Peschiera Borromeo. La comunità-alloggio dei Martinitt a Linate è stata fondata nel ’79 con lo scopo di ospitare ragazzi o bambini, dai tre ai ventuno anni, rimasti orfani dei genitori o con gravi problemi familiari (ad esempio: un genitore che ha problemi con la legge, o con l’alcool, le droghe, ecc.). segue dalla prima elementare, aiutandola a svolgere i compiti. Ilario e Mariangela si ricordano di tutti i ragazzi di cui si sono presi cura, e questo dimostra l’impegno e l’affetto che dedicavano al proprio lavoro. Le loro figlie sono orgogliose dei loro genitori e hanno instaurato con i ragazzi cresciuti insieme a loro nella casa-famiglia di Linate un bel rapporto, tanto che ancora oggi si frequentano. I Turrini ci sono sembrati molto soddisfatti di avere dedicato la loro vita a questo “lavoro”; in realtà, per loro non si è trattato solo di un lavoro qualunque, ma di molto di più, quasi una “missione” nella quale si sono impegnati Mariangela e Ilario Turrini con la prof. Raffaella Leopardi Per prima cosa abbiamo posto a Ilario e Mariangela molte domande sulla loro vita passata al servizio dei Martinitt: ci ha molto stupiti sapere che si sono conosciuti proprio grazie alla loro collaborazione con questa Istituzione, all’epoca in cui avevano vent’anni ed erano studenti universitari. Dopo avere lavorato come volontari per un breve periodo, hanno deciso di diventare educatori di mestiere. In seguito si sono sposati, hanno avuto due figlie; l’Amministrazione del Pio Albergo Trivulzio ha loro affidato dei bambini; insieme a loro, si sono stabiliti a Linate, in via Rimembranze, in una villetta di proprietà dell’Ente, tuttora esistente e funzionante. Questa era un’esperienza nuova, allora; prima, infatti, i Martinitt vivevano in “collegio”, con orari e regole molto rigide, divisi in “squadre” di trenta, con un educatore. Oggi, per fortuna, si sono diffuse comunità come quella di Linate, in cui i ragazzini ospitati sono pochi di numero e possono sperimentare un modello di vita simile a quello familiare. I signori Turrini ci hanno spiegato la differenza tra affido e adozione. L’affido è un provvedimento temporaneo, adottato dal tribunale dei minorenni, mediante il quale un ragazzo viene accolto presso una famiglia, una comunità o una singola persona, nel caso in cui la famiglia d’origine sia in una fase di difficoltà. Il legame con i genitori non viene modificato. Con l’adozione, invece, il bambino diventa figlio a tutti gli effetti; gli aspiranti genitori devono essere uniti in matrimonio da almeno tre anni e devono essere adeguati ad educare, istruire ed in grado di mantenere chi intendono adottare. Di recente i coniugi Turrini sono andati in pensione, ma Mariangela continua comunque a occuparsi di una bambina che totalmente, a beneficio di tantissimi ragazzi in difficoltà, dalla vita allora fragile. Per la nostra classe è stato un vero piacere intervistare Mariangela e Ilario; questa è stata un’esperienza molto istruttiva e interessante, di cui ci ricorderemo sempre. Associazione “Peschiera Sotto le Stelle” c/o La Galleria, via Dante, 2 - Peschiera Borromeo tel. 02.55.300.716 Vita fragile: due parole, un grande significato La vita fragile è una vita piena di incertezze, senza punti di riferimento, dove fin dalla nascita ti ritrovi a dover lottare sopportando esperienze difficili, inimmaginabili. Un esempio è l’argomento trattato in classe riguardante i Martinitt e le Stelline: bambini che trascorrono l’infanzia e l’adolescenza in istituti, perché non possono essere educati dalle rispettive famiglie. Crescono in cerca dei loro genitori, della verità; sognano, una volta diventati adulti, di poter trovare lavoro, per costruirsi quella famiglia che non hanno mai avuto. Un altro argomento a tema, che abbiamo affrontato, è quello relativo al “Progetto Axè”. Quest’ultimo è un centro educativo che opera in Brasile, dove accoglie alcuni dei tantissimi ragazzi senza futuro, senza famiglia, senza qualcuno che voglia loro bene; ragazzi che vivono per le strade, nelle “favelas” o baracco- Intervista a cura della Classe 3C “Virgilio” Stesura del testo: Gabriele Di Maggio Erika Salsi, Marta Stellacci, Samuel Toscani Sotto: Mariangela e Ilario Turrini con alcuni ospiti della Comunità Alloggio di Linate (dal libro di E. Catania, “I Martinitt” edito dal Pio Albergo Trivulzio) poli di San Salvador de Bahia. Le persone che lavorano a “Progetto Axè” cercano di aiutare i bambini senza speranze attraverso dei corsi, condotti da insegnanti specializzati; si cerca di dare un futuro ai ragazzi, facendo loro apprendere regole importanti per il lavoro e gli studi; ma soprattutto si cerca di fare in modo che essi rispettino sé stessi, rafforzandone l’autostima. In classe abbiamo letto vari testi su questo argomento; personalmente ho imparato che di bambini sfortunati ce ne sono veramente molti, e che bisogna aiutarli per farli diventare degli adulti sicuri, preparati, che siano in grado di aiutare il prossimo, di vivere una vita nella quale possano inseguire dei sogni, per riuscire un giorno a realizzarli. Guglielmo Oselladore, 2C “Virgilio” a r e tt e l La C’è posta per noi! Torino, 18 gennaio 2008 Gentilissimi Professori e alunni tutti della scuola Media “Virgilio” e dell’Istituto Comprensivo Statale “Fabrizio De Andrè” di Peschiera Borromeo. Ancora una volta siete riusciti a compiere il miracolo della Carità. Grazie, grazie, grazie infinite! Noi siamo ogni giorno più stupite del vostro impegno unito all’entusiasmo con il quale riuscite a contagiare tutte le persone che incontrate, inoltre siamo commosse per la grandezza del vostro amore. Tutti i nostri bambini riconoscenti sognano un nuovo pozzo che soddisferà presto la loro sete e quella delle loro famiglie. E’ veramente grande la Provvidenza del Signore! Quando la missione avanza nuove esigenze e noi temiamo di non farcela a soddisfarle, subito ci date una prova concreta che non siamo soli… e la speranza si rinnova. Nella preghiera lasciamo che il Signore accompagni con la sua forza e il suoi amore i vostri impegni. Rinnoviamo ancora il nostro grazie sincero. Suor Maria e Suor Laura, Suore di Santa Maria di Loreto, Vercelli Un caro saluto anche dalle Sorelle Missionarie di Isiolo, Kenya L’Istituto De Andrè ha “adottato a distanza” i bambini di Isiolo, raccoglie fondi per costruire una scuola che si sta sempre più ampliando e tutto ciò che a loro serve per una vita migliore. Passaggi di tempo Marzo 2008 14 Abiti, case, mestieri: antiche e nuove fragilità Il principe felice e l’uomo fragile di oggi La 2F della “Virgilio” a confronto col passato L’esperienza del laboratorio teatrale alle Medie Durante lo scorso mese di ottobre abbiamo effettuato un’uscita didattica per visitare una mostra che illustrava la vita di orfani e anziani nel passato. Siamo perciò andati all’ex Palazzo delle Stelline in Corso Magenta a Milano, per renderci conto di persona di come vivevano Martinitt, Stelline e “Vecchioni”. I primi erano ragazzi e ragazze rimasti orfani, ospitati e assistiti sino alla maggiore età da apposite strutture assistenziali milanesi, risalenti al XVI secolo. I cosiddetti “Vecchioni” invece erano gli anziani ricoverati presso il Pio Albergo Trivulzio, dove potevano usufruire di pasti caldi e di un letto dove dormire. Gli organizzatori di tale mostra, che ci ha consentito di conoscere le diversità di vita tra ieri e oggi, ci hanno anche suggerito di partecipare ad un concorso che avrebbe premiato il lavoro migliore riguardo antiche e nuove fragilità sociali. La nostra classe ha deciso di aderire a tale iniziativa. Noi alunni della 2F ci siamo divisi in 5 gruppi, formati da 4-5 alunni ciascuno; ogni gruppo ha scelto un tema ben preciso da sviluppare. Gli argomenti su cui lavorare riguardavano: l’abbigliamento come elemento di distinzione sociale; i mestieri di ieri che non ci sono più e quelli che si sono evoluti; i diversi modi di abitare, simbolo della povertà di ieri e della solitudine di oggi. L’attività si è svolta con l’indispensabile ed utile aiuto dei professori di alcune materie, che ci hanno dato una mano per quanto riguarda l’uso del computer, oppure ci hanno procurato informazioni preziose circa il tema del nostro lavoro. Io ho scelto di partecipare al gruppo che tratta l’argomento dei mestieri scomparsi, insieme ad altri miei compagni. Il nostro compito consiste nel creare una presentazione, con un programma per il computer (power point) in cui mostriamo i lavori caduti in disuso ed esaminiamo le loro caratteristiche. Alcuni di questi lavori sono: la lavandaia, l’arrotino, la filatrice, la sguattera, il corriere. C’era chi lavorava per i ricchi, procurandosi appena il necessario per sopravvivere, chi si impegnava nello svolgere qualche semplice compito, e chi metteva a repentaglio la propria salute assumendosi incarichi pesanti per l’età o la condizione. Ho notato come i poveri fossero fantasiosi nell’inventarsi attività utili che permettessero loro di portare a casa qualcosa da mettere sotto i denti per sé e la famiglia. Non ci sono solo i mestieri scomparsi. Molti di essi esistono ancora, ma sono così mutati da non sembrare più quelli di prima: è quello che ha scoperto il gruppo che si è voluto occupare della storia dei vigili del fuoco, incuriosito da un’antica foto dei pompieri di una volta, sul carretto tirato dai cavalli, con vecchie pompe ad acqua che oggi fanno sorridere… La società di oggi, sempre più sviluppata dal punto di vista tecnologico, mette a nudo, in modo spesso impressionante, vecchie e nuove fragilità dell’uomo. Ed ecco che i nuovi vigili del fuoco non si limitano solo a spegnere le fiamme, come già facevano ai tempi dell’antica Roma, ma sono pronti ad intervenire in ogni specie di calamità: oltre a domare incendi, soccorrono persone, recuperano animali, intervengono negli incidenti stradali o negli allagamenti e inondazioni. Sono soprattutto al servizio di chi è più fragile e più facilmente in pericolo: disabili, anziani, bambini, uomini che lavorano in condizioni poco sicure… Uno dei due gruppi che avevano come argomento la moda nel tempo, ha deciso di realizzare un video, nel quale mostrerà antichi modelli Anche quest’anno i ragazzi della scuola media dell’Istituto Comprensivo Statale Fabrizio De André sono impegnati nei laboratori pomeridiani, che permettono sia di recuperare o approfondire discipline scolastiche, che di svolgere attività del tutto nuove. Tra tanti tipi di laboratori proposti, ne troviamo uno che si occupa di rappre- spiegandone le funzioni. In passato l’abbigliamento è stato un forte elemento di distinzione sociale: gli abiti eleganti e preziosamente intessuti delle persone ricche, decisamente scomodi, facevano da contrasto all’abbigliamento semplice e un po’ rozzo dei poveri, più pratico e adatto alle diverse mansioni lavorative. Adesso, dopo la rivoluzione del “pret à porter”, anche il modo di vestire è diventato più “democratico”, ma è così vero? Il non vestire “griffato” non diventa forse pretesto per venire emarginato dal gruppo dei propri coetanei? La moda di oggi non evidenzia, forse più di ieri, la fragilità della nostra insicurezza di adolescenti? Da questo punto di vista abbiamo riflettuto sul significato delle divise di Martinitt e Stelline. L’essere vestiti in modo analogo evitava qualsiasi forma di distinzione sociale ed era segno evidente dell’appartenenza a una comunità educativa, che svolgeva un’importante funzione di riscatto e di reinserimento in quella società che li aveva estromessi. Degrado e lusso, povertà e ricchezza, sono visibili non solo nel modo di vestire, ma anche nel modo d’abitare, come ha potuto rilevare l’ultimo gruppo, occupandosi di come è cambiata la casa negli ultimi due secoli. Le palazzine di una volta, visibili ancora nel nostro territorio, sono espressione di un’idea raffinata di bellezza; gli spazi ampi, raccolti attorno al cortile interno e chiusi allo sguardo indiscreto dei passanti, testimoniano come, intorno alle famiglie ricche, gravitasse un gran numero di servi e di come ci fosse tempo per il relax e il divertimento. L’appartamento moderno, al contrario, nello spazio limitato dei suoi scarsi metri quadrati, offre un esempio della funzionalità dell’architettura moderna: tutto deve essere utile, deve aiutare nello svolgimento dei lavori domestici nel minor tempo possibile. Infatti la donna lavora e spesso si deve occupare anche della casa, quindi preferisce fare a meno di qualche metro in più, che poi dovrebbe organizzare… e poi i terreni edificabili sono sempre meno e la richiesta di nuove abitazioni sempre più alta! Anche oggi ci sono case più ricche e case più povere, ma c’è parsa più umana la vecchia casa di ringhiera, che aveva il bagno fuori, piuttosto che i palazzoni popolari di periferie spesso degradate. Le prime infatti testimoniano una vita di comunità, ricca di attenzione solidale, dove tutti sapevano tutto degli altri e ciascuno si impegnava a sostenere la fragilità dell’amico. Oggi purtroppo un diffuso benessere o la ricerca di facili oggetti di consumo rendono le persone più sole ed infelici, perché spesso la povertà peggiore non è quella materiale… Questi in sintesi i risultati più significativi della riflessione che la nostra classe ha condotto grazie al concorso promosso dagli organizzatori della mostra “La vita fragile”. Proprio su questo aggettivo ci siamo soffermati, notandone tutti i molteplici significati e cercando di coglierlo in tutti i suoi aspetti, nel passato e nel presente, come ho cercato di mettere in luce sopra. Sono sempre favorevole alle uscite didattiche, perché mi consentono di evadere dalla quotidiana routine scolastica, tuttavia questa volta la visita della mostra e l’impegno che ne è derivato con la partecipazione al concorso, indipendentemente dall’esito finale, mi hanno dato un’enorme soddisfazione, consentendomi di conoscere e approfondire aspetti caratteristici del passato di Milano e della mia città che mi erano totalmente sconosciuti. Matteo Marziali, 2F “Virgilio” studente che bigia) o lo utilizza solo per sé ( la signora che fa shopping). Anche nel nostro testo il principe soccorre chi è povero, ma abbiamo sostituito i poveri di allora, descritti da Wilde, con i poveri di oggi: un mendicante, un orfano e un immigrato. Se al primo può bastare (ma è davvero così?) un aiuto prove dello spettacolo sentare attraverso il teatro la “fragilità umana”. I ragazzi di questo laboratorio stanno compiendo un percorso espressivo che si propone l’analisi di un racconto scritto da Oscar Wilde dal titolo “Il principe felice”; cercano di riadattare i personaggi e le situazioni narrati nella storia, alle problematiche sociali ed economiche dei nostri giorni. economico, agli altri due personaggi occorre molto di più. L’orfano è in realtà un bambino ricco che vede i genitori solo in fotografia, perché troppo occupati nell’accumulare guadagni per garantirgli una vita di agio. L’immigrato appare chiuso nella solitudine e nella nostalgia di ciò che ha lasciato, soffocato com’è dal grigiore della vita Nel testo di Wilde, liberamente adattato teatralmente, la statua di un principe si commuove alla vista dei mali presenti in una città, dove tutti paiono unicamente presi dai loro interessi economici o politici. Egli si spoglierà progressivamente di tutte le gemme che lo adornano e, con l’aiuto di una rondine, cambierà la sorte dei poveri che implorano aiuto. La città dell’autore inglese è diventata la nostra città. Abbiamo creato dei nuovi personaggi che mettessero in evidenza le contraddizioni di oggi e perciò nella folla abbiamo dato un volto a chi corre frenetico e non ha tempo per gli altri (l’uomo d’affari, la segretaria), a chi è arrabbiato perché i suoi diritti non vengono rispettati (l’operaio alla manifestazione), a chi, pur avendo tempo, non ne capisce il senso (lo cittadina. Il finale dello spettacolo sarà perciò problematico e, se vorrà suggerire una risposta (nel ballo finale in cui tutti sono coinvolti, lasciando un attimo in sospeso le proprie occupazioni), in realtà porrà una domanda a ciascun spettatore. Rielaborare il testo di Wilde e cercare di rappresentarlo attraverso il teatro è piuttosto difficoltoso, ma porta a momenti di riflessione e anche di gioco tra ragazzi . Gli studenti stanno mettendo in scena questo lavoro, nella speranza di far comprendere come la drammatizzazione sia anche un modo per far riflettere, attraverso un momento giocoso, sulle nuove fragilità del nostro tempo. Sara Magnani, Cristina Gurgone , 2F “Virgilio” Marzo 2008 La Cooperativa “il Carro” Il 5 febbraio gli alunni della classe 2B hanno fatto visita alla Cooperativa Sociale “Il Carro”. Appena entrati sono stati accolti dal presidente di questa Cooperativa e da una educatrice, che, dopo averci fatto prendere posto attorno ad un tavolo, si sono preparati a rispondere alle nostre domande. Prima di tutto abbiamo chiesto come è nata questa Cooperativa; ci ha risposto il presidente, dicendoci che circa 35 anni fa dei ragazzi di sedici anni sono stati chiamati dal Parroco di Paullo, che ha chiesto loro se potevano fare compagnia ad alcuni ragazzi disabili ogni 15 giorni. Essi accettarono, ma inaspettatamente ciò che era nato da un invito del sacerdote, si è trasformato in un’amicizia forte e duratura. Dopo circa 15 anni è proprio dalla necessità di quegli ormai adulti di trovare un lavoro, che nasce l’idea della Cooperativa Sociale, al cui interno il 60% del personale è disabile; attualmente la Cooperativa ha diciotto lavoratori, più alcuni volontari. La giornata si svolge così: il lavoro inizia alle ore 8.30 e finisce alle 17, ma ci sono due pause, una alle 10,30 ed una alle 12 per il pranzo. Passaggi di tempo 15 Abbiamo chiesto all’educatrice che lavori svolgessero i lavoratori; ci ha risposto dicendo che si occupano di trasporti, pulizie per i Comuni, della cura dei giardini, ma svolgono anche lavori manuali, confezionando oggetti vari, bomboniere e particolari riproduzioni di quadri famosi, secondo la tecnica degli “strappi”; tuttavia l’educatrice ha sottolineato che questa cooperativa non è una scuola, anche se alcune persone hanno imparato un lavoro. Abbiamo chiesto al presidente se era fiero del risultato dei lavoratori; ci ha risposto dicendo che oltre ad esserne fiero, è anche contentissimo del prodotto finale, e di aver dato un lavoro a persone che in quanto tali hanno bisogno di lavorare. Infine abbiamo chiesto perché questa cooperativa si chiama “Il Carro” e a chi è dedicata; ci è stato risposto che il nome è riconducibile al mezzo, una volta di uso comune, utilizzato nei lavori soprattutto agricoli; quindi una cooperativa dove si lavora, non può chiamarsi in altro modo. La Cooperativa è dedicata alla Madonna del Rosario; infatti fuori dall’edificio abbiamo trovato un piccolo monumento che la raffigura. Dopo l’intervista, l’educatrice e il presidente ci hanno accompagnato a vedere e conoscere i lavoratori, che svolgono lavori semplici ma essenziali. Infine abbiamo potuto osservare in cosa consiste la tecnica degli “strappi”, per la quale occorre prendere un foglio di compensato e intonacarlo; su di esso, quando è asciutto, si applica una stampa e si ricopre con una sostanza patinata per rendere uniforme il prodotto finale. Gianluca Gazzaniga - 2B “Virgilio” Le mie riflessioni Ci sono momenti in cui un uomo, per qualche motivo, cade in depressione, pensa che non valga più la pena di vivere. In quei momenti servono persone che ti tendano una mano e ti offrano il loro aiuto per tornare alla serenità quotidiana. E questo è quello che è successo e succede a chi siamo andati a trovare martedì 5 febbraio a Paullo, presso la cooperativa sociale “Il Carro”. Dopo questa uscita ho riflettuto molto sullo stato d’animo di queste persone, e penso che la cooperativa abbia cambiato loro la vita, perché ora non si sentono più inutili, anzi, sono felici di aver qualcosa da svolgere, come tutte le altre persone della terra. Ho provato a mettermi nei loro panni; certo, hanno avuto degli ostacoli da superare (chi non ne ha!); ma io non credo che la loro possa essere definita una “vita fragile”. Per me la “vita fragile” è una vita maltrattata, indifesa e non apprezzata per quello che è. La vita fragile è una vita buia, che non trova una via d’uscita; però mi sembra che questi ragazzi l’abbiano già trovata, una ragione di vivere. All’interno della cooperativa una ragazza ha detto di sentirsi felice, perché la mattina va a lavorare; è perché vuole sentirsi una persona qualunque, e sa di poter essere tale. Questa uscita mi ha insegnato che la felicità si può trovare stando con persone che non guardano le tue caratteristiche fisiche, ma dritto al cuore. Un proverbio dice “ non è forte chi non cade, è forte chi, cadendo, ha il coraggio di rialzarsi”. Credo che dopo essere sprofondati nella depressione, sia difficile riaffiorare in superficie, e che ci voglia tanta forza. Secondo me tutta questa forza e tutto questo coraggio vengono ricompensati dalla felicità che viene trovata e che traspare dai visi sorridenti di queste persone. Valentina Gallipoli - 2B “Virgilio” La Galleria non è solo MODA, è anche un centro d'aggregazione. Un laboratorio di idee, di promozione culturale e di iniziative a scopo benefico sul nostro territorio. Sono orgogliosa di sostenere La Galleria - via Dante, 2 Peschiera Borromeo - Mi tel. 02.55.300.716 le attività promosse dall'Istituto Comprensivo De Andrè! Carla Bruschi Passaggi di tempo Marzo 2008 16 Un ex Martinin nella nostra scuola Un grande e doppio gesto d’amore Intervista a Roberto Zanetti, cittadino di Peschiera, già ospite dei Martinitt Intervista ai coniugi Lucia e Andrea Villa, che hanno in affido due ragazzi Roberto Zanetti é un uomo dall’aspetto solido, ma quando entra nella nostra aula, pronto a rispolverare i ricordi della sua infanzia da “Martinin”, il suo volto tradisce l’emozione. Oggi ha 54 anni, é sposato, ha due figlie e un lavoro in banca: una vita normale. La sua infanzia però, paragonata alla nostra, é stata tutt’altro che normale: orfano dei genitori, all’età di 10 anni é entrato nel collegio dei Martinitt di Milano, dove è rimasto per sette anni. Gli chiediamo di raccontarci della sua esperienza in Istituto: “Eravamo circa 500, la vita per certi versi era dura, c’era una forte disciplina. Spesso dipendeva dagli educatori: alcuni erano molto rigidi e severi, altri più affabili e benevoli. La giornata era scandita dagli orari: sveglia alle 7 (dormivamo in camerate di 20-30 ragazzi), ciascuno rifaceva il letto e riordinava le proprie cose, poi tutti in fila nei Di solito i ragazzi orfani, o figli di famiglie poco agiate o in difficoltà, vengono ospitati negli Orfanotrofi. Fortunatamente ci sono persone che si prendono cura di questi ragazzi e ottengono di poterli inserire nelle proprie famiglie, dove la vita e il “clima” sono sicuramente migliori. E’ il caso di Lucia e Andrea Villa, due coniugi di Peschiera Borromeo; noi abbia- Roberto Zanetti con la Redazione bagni, colazione al refettorio, poi si andava nelle aule a studiare. Dopo il pranzo avevamo due ore di ricreazione, durante le quali giocavamo a calcio, a pallacanestro e così via, quindi tutti di nuovo a studiare. La TV si guardava solo qualche volta dopo cena: di solito si giocava con le biglie e con le figurine. Alle 21 si andava a dormire, si spegnevano le luci”. A questo punto gli chiediamo di parlarci dei suoi ricordi: “Tra i ricordi più belli ci sono gli amici, il periodo nella cosiddetta Nazionale di calcio dei Martinitt, o anche nella Banda musicale dei Martinitt, dove suonavo la cornetta. Ricordo con piacere anche i momenti nella Casa-vacanze di Piano Rancio (sopra Erba), un posto bello con grandi spazi verdi in cui si organizzavano cacce al tesoro e altri giochi. Poi c’era il Natale, con la festa nel grande salone e l’apertura dei regali offerti dai vari benefattori”. Un altro ricordo è legato alle uniformi: “Ne avevamo ben quattro, per le diverse occasioni, le ho ancora perfettamente in mente, come lo stemma cucito sulla divisa più bella: Rondine e Calibro”. Dei ricordi tristi Roberto però non parla; ci confida che perfino le sue figlie, per rispetto e discrezione, non sono mai volute entrare nei dettagli della sua storia. Io volevo tanto domandargli dei suoi momenti più malinconici, ma ho notato che aveva un certo pudore a parlarne, e così mi sono sentito di rispettare la sua riservatezza. Oggi Roberto Zanetti parla positivamente della sua esperienza di ex Martinin: l’abitudine alla disciplina lo ha reso quello che è oggi, gli è stata data l’opportunità di farsi degli amici, di studiare, di integrarsi e di trovare un lavoro. Un’altra considerazione che egli fa, riguarda i benefattori che, con generosità, finanziavano il Collegio dei Martinitt: questi filantropi, oltre a fornire aiuti al Collegio, offrivano lavoro ai Martinitt nelle loro fabbriche, botteghe o uffici (Roberto dice: “Ci sentivamo fortunati...”). Si trattava delle famiglie più importanti di Milano; essi infatti erano industriali, imprenditori e nobili che sentivano molto il valore dell’assistenza e della solidarietà. Erano espressione di una città come Milano che credeva ancora che a tutti andasse offerta una opportunità per integrarsi nella società. Francesco Basti, 2C “Virgilio” Redazione: Daniela Falcone, Stefania Giambelli, Tina La Rossa, Sergio Leondi, Silvia Maggi, Ortensia Passalacqua, Giuseppina Torsello Impaginazione: Alessandro Robecchi Quindicinale “7 giorni”, Sergio Leondi Tipografia: Stem Editoriale S.p.A. Via Brescia, 22 - 20063 Cernusco S/N Milano Tel. 0292104710 Tiratura: 5000 copie Responsabile del Giornale Prof. Sergio Leondi Fotografie: Flavio Giacomessi Segreteria di redazione: Michela Cioli, Alice Labbozzetta, 2D “Virgilio” Istituto Comprensivo Statale “Fabrizio De André” Via Carlo Goldoni 1, Peschiera Borromeo (Milano) e-mail: [email protected] Fax: 0251650184 Passaggi di tempo Laboratorio di Giornalismo Titolare: Prof. Sergio Leondi Classi Seconde e Terze, Scuola Media “Virgilio”: Francesco Basti, Federica Bettini, Michela Cioli, Giorgio Dell’Orto, Federico Fiamberti, Gianluca Gazzaniga, Alice Labbozzetta, Valentina Ontani, Guglielmo Oselladore, Mattia Sala, Rebecca Trevisani. ti e adottati; questa associazione metteva a disposizione psicologi e legali per le varie pratiche burocratiche. Un giorno questa associazione chiamò i Villa per chiedere loro se potevano prendere in affido Meron, un ragazzo eritreo arrivato in Italia con il padre, il quale lo aveva lasciato in un Istituto a causa di problemi economici. La famiglia Villa mo avuto il piacere di intervistarli l’11 dicembre 2007. Essi ci hanno raccontato la loro storia: tutto ebbe inizio sei anni fa, quando conobbero una coppia di sposi che aveva preso in affido tre ragazzi; essi raccontarono ai coniugi Villa tutte le pratiche che avevano dovuto sbrigare; tuttavia i signori Villa, allora, erano sicuri che non avrebbero mai adottato o chiesto in affido un ragazzo. E invece… L’anno dopo successe una disgrazia qui a Peschiera Borromeo: morì l’unico genitore rimasto ad un ragazzo, Alessandro; disperato, egli cercava una famiglia nel nostro Comune, perché non voleva staccarsi dalle sue origini; inoltre qui c’erano i suoi amici, l’unica cosa che lo confortava. Ai signori Villa tornò in mente la famiglia che aveva adottato tre ragazzi: dopo averne discusso con i propri due figli naturali Daniele e Sara, decisero di prendere in affido Alessandro. Hanno perciò dato la loro disponibilità al Comune il quale, avendoli ritenuti idonei, affidò loro ufficialmente Alessandro; questi accettò la soluzione con gioia. Dopo tre anni che Alessandro viveva con loro, i Villa si iscrissero a una Società di Crema che trattava di ragazzi e ragazze affida- Così i coniugi Villa si sono recati presso questo Ente per conoscere meglio Meron: appena lo hanno visto hanno provato sofferenza per le sue condizioni psico-fisiche, e quindi hanno deciso di prendere anche lui in affido, per dargli affetto e sostegno; ne parlarono alla propria famiglia: i loro figli furono subito convinti. Alessandro all’inizio era un po’ geloso, ma alla fine anche lui si convinse, quando sentì questa frase detta da Lucia e Andrea: “Dopo che arriva un fratello, l’amore dei genitori non viene diviso per due, ma raddoppia”. Quando Meron arrivò, aveva undici anni: ancora oggi è con loro. Al compimento dei 18 anni sia Meron che Alessandro dovranno decidere se continuare a rimanere in famiglia con i Villa, oppure no: sia Andrea che Lucia hanno detto ai due ragazzi che quella in cui essi vivono è la loro casa, pertanto possono restare tutto il tempo che desiderano. Questo grande e doppio atto d’amore ha reso e rende felici Lucia e Andrea, come i loro due figli naturali. Alessandro e Meron, grazie a loro, possono ricevere ancora l’amore ed il calore di una famiglia. Gianluca Gazzaniga, 2B “Virgilio” Dirigente Scolastico Prof. Giuseppe Facciorusso Tel. Tel. Tel. Tel. Tel. Tel. Tel. Direzione: 025470172-025470527 Scuola Media “Virgilio”: 025470797 Scuola Media di San Bovio: 027532831 Primarie Bettola: 025470402 Primarie San Bovio: 027531431 Materne Bettola: 025471076 Materne San Bovio: 027532829 SOCIETA' COOPERATIVA A.R.L. FONDATA NEL 1952 Via Due Giugno, 2-4 - 20068 - Peschiera Borromeo (Mi) Tel. 02.51.65.03.67 - 02.55.30.15.11 - 02.55.30.34.92 fax 02.55.30.15.29 - [email protected] - www.coopcel.com