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di tempo
Notizie dall'Istituto Comprensivo Statale Fabrizio De Andrè - n. 7 - Marzo 2008 - Speciale “La vita fragile”
Il calendario dei “diritti fragili”
Esperienza - A noi bambini delle classi terze A-B-C è
piaciuta molto l’idea di realizzare un calendario; inoltre lavorando in gruppi formati da bambini delle tre
classi ci siamo conosciuti meglio e abbiamo anche
imparato che i bambini hanno dei diritti. Prima di
tutto siamo andati nella sala delle riunioni e abbiamo
letto alcuni articoli della Convenzione O.N.U. sui diritti dei bambini.
Ognuno ha poi raccontato agli altri le proprie opinioni e insieme abbiamo deciso quali attività realizzare per partecipare a un concorso, rivolto anche a noi
bambini della scuola primaria, intitolato “La vita fragile”. Ci siamo divisi in cinque gruppi, ogni gruppo
aveva un compito diverso: un gruppo si occupava dei
disegni; un altro di costruire l’albero “dei diritti” con la
carta pesta; un altro di inventare le frasi da scrivere sul
calendario; un altro ancora di scegliere i disegni; e
l’ultimo gruppo si è occupato di realizzare il calendario al computer scegliendo e mettendo insieme il
materiale proveniente dagli altri gruppi.
A tutti noi è piaciuto lavorare al computer per
colorare, scrivere i giorni e i mesi nelle caselle di testo;
scegliere insieme i caratteri, i colori e gli sfondi per
rendere più bello il nostro calendario.
Le fasi del lavoro - Con Word abbiamo scritto nelle
caselle di testo i giorni dei mesi dell’anno; i nomi dei
mesi ci siamo divertiti a farli con WordArt. Abbiamo
evidenziato l’ultimo giorno di scuola (6 giugno) con
tanti colori.
Abbiamo abbellito ogni pagina con disegni creati
da tutti noi, fotografie che ci ricordano le nostre
esperienze didattiche, sfondi colorati per le caselle
di testo, forme e ClipArt.
segue a pagina 2
La “Vita fragile” a tempo di musica
Programma dello Spettacolo al Teatro De Sica
Quest’anno la nostra Scuola
partecipa al concorso “La Vita
Fragile”, organizzato dall’Azienda di
Servizi alla Persona Martinitt,
Stelline e Pio Albergo Trivulzio. La
partecipazione avviene con un’edizione speciale del giornale scolastico,
proprio questo numero, interamente
dedicato al tema della “Vita Fragile”,
col calendario e con uno spettacolo,
nel quale in questo articolo si anticipa e documenta lo svolgimento.
Tutti gli alunni, gli Insegnanti e il
Preside stesso si sono molto impegnati per la riuscita della manifestazione, nella quale sono coinvolti in
primo luogo gli alunni del laboratorio musicale dei Professori Lucia
Olivieri e Gianpaolo Adami; anche
altri laboratori danno però il loro
prezioso contributo, come quello del
Prof. Sergio Leondi, responsabile
del giornale e del Laboratorio di
Giornalismo, e le Professoresse Calò
e Ducco, con i ragazzi del
Laboratorio di Arte. Allo spettacolo
del 14 Marzo al Teatro De Sica prendono parte tutti gli alunni del De
Andrè, dai bambini della Scuola
Materna ai Ragazzi delle Elementari
e Medie. Il tema “La Vita Fragile”
sarà illustrato in tanti suoi significati
attraverso la musica, che è un linguaggio universale. L’esibizione sarà
aperta da una canzone registrata, a
cui ne seguiranno altre otto, di cui sei
cantate dagli alunni delle medie, una
da insegnanti e alunni, una dai soli
insegnanti, una registrata e ballata
dai ragazzi, e una interpretata solo
dai bambini delle elementari.
segue a pagina 2
EDITORIALE
La forza della fragilità
PRELUDIO. Una limpida giornata della scorsa primavera. I raggi del sole
tagliavano quasi a metà Corso Magenta. La facciata del Palazzo delle
Stelline era in ombra. Non così il complesso di Santa Maria delle Grazie:
maestoso, luminoso, fieramente solitario.
Aspettai un po’ prima di varcare la linea verso l’ombra e mi sorpresi a pensare che la straordinaria forza di Leonardo e di Bramante si stava di fatto
proponendo come involontario preludio alla conferenza di presentazione
del Progetto “La vita fragile”, ideato da chi ora gestisce le tre Istituzioni
milanesi che da secoli si confrontano concretamente con la fragilità dell’umano vivere: il Pio Albergo Trivulzio, i Martinitt e le Stelline.
FRAGILE. In ogni lingua ci sono parole che più di altre addensano significati. Se, però, il sostantivo ‘vita’ ha un potere rappresentativo e significante estesissimo, l’aggettivo ‘fragile’ ha uno spessore evocativo profondissimo che non si limita a meglio precisare il significato del sostantivo a cui si
accompagna, ma lo illumina in modo diverso, ne svela i lati nascosti: lo
denuda.
“La vita fragile” è un sintagma particolare: è l’aggettivo che cattura l’attenzione del parlante; è sulla forza simbolica dell’aggettivo che cade l’accento semantico. Non è per nulla paradossale affermare che ‘fragile’ è una
parola fortemente comunicativa perché si apre ad innumerevoli possibilità interpretative ed ha persino un suono onomatopeico tanto che
spesso ci accade di pronunciarla accompagnandola con il gesto del pollice che delicatamente scorre tra l’indice e il medio della mano socchiusa,
quasi per riprodurne ingenuamente il suono.
Nasce da considerazioni come questa l’idea di partecipare al Concorso
“La vita fragile” anche con uno spettacolo teatrale intitolato “La forza
della fragilità”. Uno spettacolo che coinvolge donne ed uomini (a partire da chi scrive) che quotidianamente devono fare appello a tutte le loro
forze per lanciare una sfida educativa alla propria ed alla altrui fragilità.
Uno spettacolo costruito con e per bambini e bambine, ragazze e ragazzi
la cui forza vitale dipende e dipenderà molto dal modo in cui saranno guidati attraverso le proprie e le altrui fragilità.
CARTA. La vita fragile può essere solo raccontata. I nostri racconti, le
nostre interpretazioni le abbiamo singolarmente affidate al più fragile dei
supporti: la carta. Sono i fogli di carta colorata su cui si dipana il
“Calendario dei diritti fragili”, sono le pagine di carta assai poco pregiata
del giornale che in questo momento state leggendo.
Vi starete chiedendo perché sottolineo un fatto così ovvio. Forse perché
sono intimamente certo che il calendario e il giornale abbiano la stessa
forza dell’«uccellino di carta» cantato da Garcia Lorca, «aquila dei bambini, con le piume di carta scritta».
È uno strano uccellino che vive poco ( «nasci per vivere qualche minuto/
sul fragile castello/ di carta che cresce tremolante/ come stelo di giglio» ),
quanto basta però per prendersi gioco del destino e gridare che «Blanca
Flor non muore mai, né muore Luisito»¹: sono eterni come il mattino,
come la sorgente della rugiada («la mañana es eterna, es eterna/ la fuente
del rocío» ).
Come un illusionista, l’uccellino di carta fa teneramente sparire la morte
nell’eternità per far sì che «i bambini non s’accorgano/ che si protende
ombra dietro gli astri». Quando intuisce che il suo fragile castello sta per
crollare, la «pajarita de papel» ha già incrociato l’avido sguardo dello sparviero e vola «verso le sue labbra luminose/ mentre i bambini ridono,/ e i
padri tacciono affinché non si ridestino/ presenti dolori».
¹ Mi piace pensare che Blanca Flor e Luisito siano il nome metaforico di
tutte le bambine e di tutti i bambini, di tutte le mamme e di tutti i papà.
IL DIRIGENTE SCOLASTICO - Prof. Giuseppe Facciorusso
Passaggi di tempo
Marzo 2008
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La Mostra al Palazzo delle ex Stelline di Milano
La guida che ci accompagnava ci ha inoltre parlato delle Stelline, che erano le orfanelle accolte nel Palazzo di corso Magenta (la loro
istituzione si deve a San Carlo Borromeo,
Arcivescovo di Milano). Mi hanno incuriosito
le “materie” che le ragazze svolgevano durante il giorno, poiché erano differenti dalle
nostre: cucina, taglio e cucito, ricamo, pulizia
degli ambienti generali… insomma tutti i lavori domestici, perché si voleva insegnar loro a
diventare buone mogli e madri; solo alcune tra
le più meritevoli avevano il privilegio di studiare francese, storia…; le lezioni prevedevano inoltre lo studio della lingua italiana. Per le
Stelline non c’erano momenti di svago, per
uscire; potevano lasciare l’istituto soltanto
durante i funerali, portando una fiaccola in
mano.
I Martinitt invece erano i giovani orfani di
sesso maschile della città di Milano; l’istituto è
stato fondato da San Gerolamo Emiliani. I
I primi giorni di ottobre 2007 varie classi
dell’Istituto De Andrè si sono recate a visitare
la mostra “La vita fragile”, allestita presso l’ex
Palazzo delle Stelline in Corso Magenta a
Milano. Ci sono andata anch’io con la mia
classe.
Appena arrivati, la guida ci ha accolto in
un locale dove abbiamo esaminato una videocassetta, che introduceva un po’ ciò che
avremmo visto nella mostra vera e propria.
Abbiamo così scoperto chi erano le Stelline, i
Martinitt, e cos’era il Pio Albergo Trivulzio.
Subito dopo ci siamo recati in una sala
segue dalla prima pagina
Le canzoni interpretate o ballate da noi
alunni delle Medie “Virgilio” sono naturalmente
in maggior parte scritte da Fabrizio De Andrè, a
cui il nostro Istituto è intitolato: le elenchiamo
tutte, perché ognuna di esse parla di un aspetto
della VITA FRAGILE.
Apre lo spettacolo “Khorakhané”; il testo
racconta della vita di un gruppo di Rom, delle
loro difficoltà e del loro essere “diversi”. De
Andre’, nei suoi testi, ha spesso citato gli “ultimi”, cioè le persone più povere o emarginate,
come appunto i Rom. Il brano è registrato e sarà
ballato da ragazzi con costumi tipici Rom.
“Fiume Sand Creek” è un testo completamente diverso che parla della guerra, in particolare di una sanguinosa battaglia tra una Tribù di
Indiani d’America contro l’Esercito comandato
dal Generale Custer, battaglia nel corso della
quale gli Indiani furono annientati; come supporto di immagini, questa canzone si avvale di
una serie di disegni realizzati dagli alunni del
laboratorio di Arte della scuola media. “Amico
Fragile” è la terza canzone in programma, una
canzone “di punta”, nel contesto dello spettacolo; ha un testo molto poetico, ricco di significati,
e si riferisce alla fragilità dell’uomo adulto, alle
sue debolezze e insicurezze. Alcuni versi di questa canzone sono interpretati dagli alunni delle
medie con la tecnica teatrale del mimo. Nello
spettacolo verranno presentate anche le canzoni “Gesù Bambino” di Francesco De Gregori e
“Non insegnate ai bambini” di Giorgio Gaber. Il
primo è un testo in cui l’autore, come fosse un
bambino, prega Gesù di far cessare la guerra
con i suoi orrori; il supporto video della canzone è stato realizzato mostrando le terribili immagini della tristemente nota scuola di Beslan
dove, nell’agosto 2005, in quello che doveva
essere un sereno giorno di inizio delle lezioni, un
gruppo di terroristi prese in ostaggio alunni ed
insegnanti; alcuni di questi furono barbaramente uccisi. A queste immagini si alternano, in
Sotto: la locandina della mostra
ricca di bellissimi quadri. Il primo che abbiamo ammirato raffigurava il principe Antonio
Tolomeo Trivulzio, fondatore nella seconda
metà del Settecento del Luogo Pio omonimo,
il Pio Albergo Trivulzio. Il principe, prima di
morire, con un atto testamentario destinò tutte
le sue immense ricchezze per la creazione di
un ospizio per poveri, anziani, mendicanti,
senza tetto… Ciò mi ha colpita molto, perché
è raro trovare una persona così generosa e
attenta ai bisogni degli altri, soprattutto dei più
deboli, e penso che fosse ancora più raro in
quell’epoca.
CONCERTO
segno di speranza, quelle del nostro primo giorno di scuola e quelle del ritorno a scuola dei
bambini di Beslan, in quello che dopo molto
tempo è stato il “secondo primo giorno di scuola”, come lo ha chiamato il nostro Preside. La
canzone sarà interpretata dai ragazzi delle
Medie. “Non insegnate ai bambini” di Giorgio
Gaber verrà invece cantata da un gruppo di
nostri insegnanti. Ciò è molto significativo poiché il testo richiama i professori (ma anche gli
adulti in generale) che hanno una grande
responsabilità: quella di insegnare ai ragazzi. A
volte quindi si corre il rischio di trasmettere messaggi sbagliati o comunque di influenzare gli
alunni con le proprie idee. Oltre a queste verranno proposte anche “Che fantastica storia è la
vita” di Antonello Venditti, “Ave Maria no
morro”, una canzone brasiliana, ovviamente
eseguita in portoghese, incentrata sulla povertà
delle “favelas”, sulla povertà dei bambini e degli
adolescenti che vi vivono, dei quali la nostra
scuola si è occupata sostenendo il Progetto Axé;
la canzone parla di tante persone che credono
che la fragilità possa diventare anche un elemento di forza. Chiuderà la serata “Tammuriata
Nera”, una canzone della tradizione dialettale
napoletana, che in modo ironico parla della
guerra, del dopoguerra, della diversità razziale;
in particolare racconta dei militari americani
arrivati nel Napoletano durante la seconda
guerra mondiale; fra questi c’è un soldato di
colore che si lega con una donna del posto, poi
la abbandona per tornare in America; la donna
è rimasta incinta, nove mesi dopo si trova a crescere un bambino dalla pelle molto scura…
Molto interessante sarà la rielaborazione
della canzone di Venditti, in cui la prima strofa
sarà arrangiata in chiave “rap” e interpretata
da Michael Murgolo della 2B “Virgilio”.
Francesco Basti - Federico Fiamberti
2C “Virgilio”
ragazzi venivano ospitati fino al compimento
dei diciotto anni. Durante le lezioni potevano
apprendere un mestiere che, terminata la
scuola, praticavano in bottega; al momento di
andarsene venivano consegnati loro i guadagni accumulati e un cambio di vestiti.
In alcune sale della mostra abbiamo visto
stupendi ritratti, foto, documenti, oggetti che
appartenevano ai Martinitt, tra cui un letto e
un lunghissimo tavolo del refettorio. In un
ambiente erano esposti alle pareti molti documenti, che trattavano della vita dei Martinitt,
delle Stelline, e dei “Vecchioni”: grazie a queste testimonianze abbiamo approfondito l’argomento e ci siamo resi conto del “gran
cuore” della città di Milano verso chi soffriva e
soffre, di chi, non per colpe sue, vive una “vita
fragile”, e che, grazie anche a questi istituti,
può guardare al futuro in maniera positiva.
Erica Salsi, 3C “Virgilio”
segue dalla prima pagina
CALENDARIO
Nella prima pagina abbiamo pensato di inserire il ‘puzzle’ con tutte le attività che facciamo a scuola, che è diventato il simbolo del
nostro Istituto, e che ogni mattina ci accoglie
e ascolta i nostri passi e il nostro allegro
vociare. Questa esperienza l’abbiamo vissuta
anche grazie alle nostre maestre Tina,
Barbara, Susanna, Marta, Graziana, Milena e
Veruska.
Stefania, Mattia, Christian, Martina R.,
Alessandro R., Elementari di Bettola
del calendario. A noi il lunedì piace per questo:
facciamo i gruppi e impariamo molte cose divertendoci. (Sara, Martina R.)
A noi è piaciuto moltissimo fare il calendario sui
diritti dei bambini, soprattutto perché si lavora
insieme passando il tempo in modo divertente.
Noi ci divertiamo ‘un sacco’ abbinando i colori
alle caselle di testo. È stato bellissimo, quando lo
rifacciamo? (Sofia, Emanuele G., Mattia)
A noi sinceramente l’esperienza è piaciuta
soprattutto quando eravamo nella sala delle riunioni a discutere tutti insieme. Dopo aver letto gli
Cosa ne pensiamo noi…
articoli della Convenzione O.N.U. abbiamo parlato dell’argomento e deciso i gruppi per le attività da svolgere. Abbiamo anche capito che la
vita dei bambini è fragile perché non in tutti i
paesi del mondo vengono rispettati i loro diritti.
Parlando di questo argomento ci siamo comunque anche divertiti.
(Beatrice, Giacomo B., Stefano G.)
Quando siamo saliti in aula di informatica ci
sembrava dovessimo fare un lavoro noioso, ma
poi ci siamo divertiti. Abbiamo scoperto cose
nuove e ci è piaciuto lavorare in coppia con i
bambini delle altre terze. Ci è piaciuto molto
anche dire le nostre opinioni per la realizzazione
Marzo 2008
Passaggi di tempo
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Panna e pan de mej
Storia e attualità della presenza di Martinitt, Stelline e Pio Albergo Trivulzio a Peschiera Borromeo
dell’Ordine degli Umiliati, poi dei benedettini
cistercensi. Da quella tale data è la dimora più
accogliente di Linate, quella che cura con
calore e specifica professionalità bambini e
ragazzi che meritano tutto il bene e il rispetto
del mondo; è la casa “più aperta” di Linate,
dove il visitatore che entra esce “pago” d’amore, votato a buoni sentimenti e comportamenti. Quella che vive lì, che all’ora giusta siede
... E poi Mirka a San Giorgio di maggio
tra le fiamme dei fiori a ridere a bere
e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi
e dagli occhi cadere ...
È una delle strofe più “energetiche” e liberatorie di Khorakhané, la poesia-canzone
composta nel 1996 da Fabrizio De André in
collaborazione con Ivano Fossati. È dedicata
ai “figli del vento”, i Rom, reietti della storia, e
viene ripresa nel corso dello spettacolo al
Teatro De Sica incentrato sui vari “volti” della
Vita fragile.
Specialmente presso le tribù Rom di origine serbo-montenegrina, San Giorgio è il santo
più venerato; in particolare nel Sud della
Francia lo festeggiano il 6 maggio, con musiche e danze accompagnate da abbondanti
libagioni, in un tripudio di fiori dai colori sgargianti, dai profumi intensi: quelli offerti dalla
matura ridente primavera. Eppoi alla fine si
piange, ma di gioia, appunto come una liberazione dopo la sofferenza e la prigionia…
Case del Pio Albergo
Trivulzio a Linate
I Martinitt alla Cascina Grande di Linate
mangiano panna e pane di miglio (1920 circa)
attorno a un’ampia bellissima tavola imbandita, è una magnifica famiglia “allargata”: la
generosità e la solidarietà si trasformano in
quotidiani gesti d’amore e di fratellanza.
Su questa stessa pagina del giornale una
chiarissima collega, riferendosi al lavoro svolto per la Vita fragile, ricorda che anche gli insegnanti hanno un’anima e un cuore pulsante,
che questa “è una scuola che ama” e sostiene
La Cascina Boscana lungo la via Milano
Perchè il cavaliere San Giorgio che trafigge il drago malefico simboleggia la sconfitta
delle tenebre invernali, il ritorno delle belle
stagioni, la vittoria e la rinascita della natura,
delle piante, la fecondità degli armenti. Egli è
tra l’altro il “protettore principe” dell’agricoltura; l’etimologia stessa del nome, dal greco
Gheorghios che significa “agricoltore”, ci rammenta la sua importanza per la gente dei
campi.
Ecco dunque che per una strana curiosa
coincidenza, a rendere un annuale gioioso
omaggio al Santo c’erano, tanto tempo fa,
sulle nostre terre, anche i “nostri” Martinitt,
altri figli di un Dio - in apparenza - un po’
minore, che tuttavia dalla sfortuna primitiva
riuscivano - come tuttora riescono - a trarre
elementi vitali per superare le difficoltà e farsi
strada nel mondo: è la “forza della fragilità”,
come recita l’imminente rappresentazione al
De Sica.
Si racconta infatti che il 23 aprile (ricorrenza del Santo, qui da noi) a torme venivano in
gita a Linate di Peschiera Borromeo, accolti a
braccia aperte dai fittabili e dai contadini della
Cascina Grande (allora situata in fondo a via
Alfieri), di proprietà del Pio Albergo Trivulzio,
la “casa madre” di Martinitt, Stelline e
Veggion, per stare in allegria, cantare e giocare sull’aia, e infine degustare a sazietà panna e
pan de mej (panna e pane di miglio): una vera
prelibatezza, per l’epoca e non solo.
Prof. Sergio Leondi
Responsabile di “Passaggi di Tempo”
Istituto De André:
una Scuola… che ama
Pure questo episodio è una testimonianza
significativa del duraturo legame che unisce la
grande istituzione dei Martinitt, le loro “sorelle” e i “nonni” della Baggina alla cittadinanza
di Peschiera Borromeo: ancor oggi la benemerita Azienda di Servizi alla Persona che a loro
si intitola, è la maggior proprietaria a Linate
Danze tzigane: le alunne della scuola
ballano sulle note di Khorakhané
tutti quanti noi più coesi e generosi, dagli
alunni ai docenti, ha fatto crescere dentro di
noi l’attenzione verso il prossimo, la disponibilità a metterci in discussione. Come suggerisce
sempre in Khorakhané l’aedo nostro Fabrizio,
“per un guado una terra una nuvola un canto/
un diamante nascosto nel pane”: el pan de
mej…
quanto a beni immobili, frutto dello spirito di
carità dispiegato dai milanesi della metropoli e
dell’hinterland in molti secoli di storia esemplare; patrimonio amministrato con sagacia e
capacità imprenditoriale, così da trarre linfa
preziosa, da impiegare in opere sacrosante.
Tutta la Linate moderna è sorta su terreni
del Pio Alberto Trivulzio, in parte ereditati dai
Barnabiti, in parte dal Monastero milanese di
San Pietro in Gessate (antistante l’odierno
Palazzo di Giustizia), edificio nel quale a fine
Settecento si insediò l’Orfanotrofio omonimo,
con la totalità dei Martinitt. A Linate lungo la
via Pascoli l’Ente morale possiede e dà in affitto decine e decine di appartamenti, esercizi
commerciali; a sud del paese, in via Milano si
estende la nuova Cascina Grande (da non
confondere con quella originaria, abbattuta
nel 1959 per far posto alla pista dell’aeroporto Forlanini), conosciuta dalla maggioranza
delle persone come Cascina Topicco, dove si
allevano centinaia di capi di bovini da latte;
più a meridione ancora vediamo la Cascina
Boscana di remote ascendenze, parzialmente
abitata e utilizzata, la quale nella denominazione richiama le fitte boscaglie costiere del
vicino fiume Lambro.
Ma in primo luogo, prima di ogni altra
cosa, al centro della Circoscrizione, in via
Rimembranze incontriamo la Comunità-alloggio dei Martinitt e delle Stelline, nostro fiore
all’occhiello, educativa presenza di cui andare
orgogliosi: è lì dal 1979, ospitata in una linda
villetta amèna; anticamente era una “succursale” della Cortazza, ex Convento di religiosi
con particolare riguardo, anno dopo anno,
l’UNICEF e i ragazzi di Isiolo in Kenia, quelli di
Progetto Axé nel Brasile e tanti altri ancora, in
generale chi più ha bisogno di affetto e aiuto.
Il “viaggio” o percorso educativo e didattico compiuto in occasione del TemaConcorso sulla Vita Fragile promosso
dall’Azienda di cui sopra, l’aver preso coscienza come Istituto De André delle diverse fragilità che ci circondano e ci animano - e delle
molteplici forze che ne scaturiscono -, ha reso
Sotto: la Comunità alloggio
di Martinitt e Stelline a Linate
E’ un po’ come quando ci si innamora.
Fino ad un momento prima, è tutto come
sempre: un po’ piatto, normale, e così rassicurante. Poi, un gesto inaspettato, una parola sconosciuta, un pensiero che non avevamo mai fatto, ci mostra un mondo nuovo: il
mondo di chi non ha una vita banale, normale e tanto meno rassicurante. Un mondo
di vite fragili.
Ma come ho fatto a non vederlo prima?
In realtà, l’avevo visto, ma non avevo guardato. Ed è come quando ci si innamora.
Quel mondo ci cattura e ci lega a sé. Nasce
una passione che ha bisogno di tradursi in
gesti concreti che coinvolgano quelli che ci
stanno intorno: perché l’amore è così, più ne
parli agli altri, più diventa tuo.
E allora, i bambini delle scuole elementari imparano a confezionare le “pigotte” e con
il ricavato della vendita si contribuisce a
sostenere la campagna UNICEF per vaccinare i bambini africani; si coinvolgono i ragazzi
delle medie per raccogliere fondi a favore
delle adozioni a distanza, per permettere ad
altri ragazzi della stessa età di poter studiare
e sognare un futuro; si lavora tutti insieme
per un anno intero e si organizza un grande
spettacolo per dare una mano al Projeto Axè
che si occupa dei ragazzi di strada del
Brasile; si organizza un concerto di primavera con musicisti professionisti e professori…
poco musicisti, in favore delle adozioni internazionali.
E’ un po’ come quando ci si innamora: e
questa è una scuola che ama.
Prof. Marina Passerini
Passaggi di tempo
Marzo 2008
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“Fragili” ma belli
Siamo stati al Pio Albergo
Intervista agli operatori sociali e alle “nonnine” Passato e presente del Pio Albergo Trivulzio
La società negli ultimi due secoli si è trasformata profondamente; anche la povertà e
l’emarginazione sono più “nascoste” rispetto
al passato: la vecchiaia e la malattia sembrano
essere diventate qualcosa di innaturale, anche
perché, rispetto a ciò che avveniva nei secoli
trascorsi, le famiglie sono costituite da pochi
elementi giovani o “giovanili”. Tuttavia l’essere vecchi e bisognosi di cure esiste, eccome!
Prima di spiegare l’esperienza dei nostri bambini di quarta, dotati sì di nonni, ma ancora
“in forma”, diamo qualche informazione sul
Il Principe
Trivulzio,
fondatore
dell’omonimo
Luogo Pio
Anche oggi gli anziani sognano cure e
calore. Noi bambini delle classi quarte di San
Bovio siamo andati al Pio Albergo Trivulzio
per intervistare gli operatori sociali che prestano opera agli anziani ricoverati. Ora guarderemo i nostri anziani in modo diverso, forse;
magari ci sembrerà più naturale aiutare a portare un sacchetto pesante. Avevamo molte
domande, ecco le belle risposte.
Le signore sono lì, disposte a semicerchio,
sembra di vedere il Consiglio di Kandrakar,
luogo di saggia armonia. Le nostre vecchie
fate sorridono e applaudono, contente per il
nostro interesse. Avevamo preparato tante
domande, che pensavamo di poter rivolgere
solo all’operatrice. La presenza degli anziani è
davvero una bella sorpresa, anche per le maestre. La nostra guida, nonna ma giovane e
molto attiva, ci spiega che, nonostante l’età
notevole, le presenti signore hanno voluto
riceverci. Ci mettiamo d’impegno per starcene
un po’ calmi: non vogliamo stancarle! La
nostra compagna Francesca viene presa in
braccio da una delle anziane ospiti.
La guida ci dà alcune informazioni generali sull’Istituto, il numero degli operatori e
malati, le attività proposte. Notizie importanti,
certo, ma a noi, qui, interessa soprattutto spiegare ciò che provano, sentono e ricordano
persone così cariche di anni e di esperienza.
Per avere un’idea di quanto sia grande questa
struttura (antica, vista dall’esterno; dentro
modernissima) diciamo che ci lavorano centinaia di medici, infermieri, tecnici. Poi ci sono
gruppi di volontari, tra cui la nonna del nostro
compagno Andrea Napoli. I malati, divisi in
diversi padiglioni, sono più di mille. Alcuni
sono ricoverati cronicamente, altri solo per
periodi di riabilitazione. Certi sono così gravi
che desiderano solo pace e cure mediche. Per
ora non siamo in grado di accogliere la loro
sofferenza. Per le attività che vanno dalla tombola ai giochi di memoria e di linguaggio, dal
canto al teatro, ci sono sale comuni e l’auditorium. Noi ci troviamo in una sala “comune”,
allegra e spaziosa, affollata di “nonnine”, alle
quali abbiamo posto diverse domande.
Queste sono le risposte che ci hanno colpito
maggiormente.
Ricevete le visite di familiari e
amici? Sì, ma non quanto vorremmo.
Domani viene mia figlia e non vedo l’ora di
abbracciarla Altre dicono che vorrebbero
vedere di più i nipotini, ma abitano lontano.
Diverse signore sono vedove da tempo e
hanno “perso” gli amici durante la loro lunga
vita.
Ricevete posta? Alcuni sì, altri mai.
Promettiamo, allora, di mandare, oltre a una
copia del giornalino della scuola, anche cartoline e lavori svolti durante l’anno. Una signora,
scrittrice, ci invierà delle riflessioni sulla nostra
visita.
Avete ancora voglia di farvi belle? E’ un
sì generale! L’operatrice spiega che deve comprare i cosmetici per le anziane amiche. Le loro
voci scoppiettano allegre, come fiammelle in un
camino. Si sovrappongono le informazioni: chi
vuole creme, chi profumo, chi smalto!
Potete portare delle cose da casa
vostra? Mobili no, non c’è spazio, ma foto di
tutti i tipi, sì. Sorrisi incorniciati dei nostri cari,
vivi e defunti, accompagnano il nostro riposo
serale.
fondatore del Pio Albergo Trivulzio.
IL FONDATORE - Il principe Antonio
Tolomeo Trivulzio nasce in una antica e illustre
famiglia milanese.
E’ colto e istruito, appassionato di letteratura e scienze; ricopre incarichi militari e non
trascura la politica, ma ama rifugiarsi nella
biblioteca della sua casa per scrivere. Un’idea
accompagna le sue lunghe giornate: vuole
dare vita a un Luogo Pio per accogliere e ospitare i più bisognosi.
Per questo chiede aiuto all’Imperatrice
Maria Teresa d’Austria nel 1757. Nel 1766
ottiene l’autorizzazione a disporre dei propri
possedimenti per la costruzione dell’Istituto.
Nel suo testamento scrive che nell’Albergo
Trivulzio non possono essere ammessi i poveri validi e robusti, ma solo quelli più bisognosi.
Tra il vociare allegro dei garzoni e l’andirivieni indaffarato di camerieri e sartine, passeggiano eleganti signori. Ma, là... vedi quel vecchio? Un tempo, operoso e forte, badava alla
sua famiglia; ora, con artritica lentezza, impaglia sedie, ma a malapena si conquista un
poco di cibo. Anche quella vecchina, scossa
dalla tosse, vende erbaggi stentati come lei, e
intanto sogna... Tutti e due i vecchi sognano
zuppe calde, vesti pulite, letti e non pagliericci, cure per i dolori delle ossa nodose. Un
posto al ricovero, per loro, è un sogno di
pace...
A cura delle classi Quarte A e B di San Bovio
A questo punto diverse signore spiegano ai
bambini che ricordare può dare malinconia, ma
è qualcosa di irrinunciabile; cosa difficile da
capire per chi ha così poco “passato” come i
bambini.
Potete ricevere visite di religiosi? Sì, a
seconda della fede professata. Le ricoverate
vedono una suora, se lo desiderano, per pregare. Poi c’è la Messa, a cui diverse signore si recano spesso. Per chi non si muove ma vuole assistere alla funzione, c’è un canale interno della
TV, con la telecamera nella Cappella dell’ospedale.
Cosa ricordate della vita precedente?
La guida spiega che le persone di questa età
hanno memoria delle cose più lontane, meno di
quelle vicino. E’ tutto un fiorire di immagini;
sembra di vederne una, scarmigliata e col fiatone, mentre cerca di colmare la fame della guerra, prendendo frutta negli orti. Un’altra, bambina con le trecce, un micino o un coniglietto, in
una fattoria. Un’altra ancora bella e innamorata,
a braccetto col marito, cammina lungo i viali del
Parco Valentino. Le descrizioni sono precise, gli
occhi inumiditi. Viene ripresa l’idea già detta:
ricordare è importantissimo, tiene compagnia
nelle notti insonni. Una delle signore più in
“forma” ci indica una macchina per cucire; era
sua, un ricordo di una vita passata a creare bellissimi abiti come quelli che ci fanno sognare, in
vetrina. Ora crea ancora, ma senza frutto, qui
all’Istituto.
Adesso quei ricordi sono un po’ nostri;
vogliamo far parte anche noi dei loro.
Quando abbiamo finito l’intervista, era
quasi il momento del pranzo, e le nostre nuove
amiche erano decisamente contente di andare a
tavola! Prima che partissimo, ci hanno regalato
un altro pezzetto dei loro ricordi, una canzone
milanese cantata in coro. Le antiche voci ci
hanno accompagnato al nostro vivere vivace e
curioso. Abbiamo promesso notizie.... e manterremo volentieri!
Scuola Elementare San Bovio
Marzo 2008
Passaggi di tempo
5
Riflessioni dei bambini dopo l’incontro
con le anziane ospiti del Trivulzio
Mentre facevamo le domande, a molti di
noi è venuto un pensiero: le signore vorrebbero tornare giovani, ma la vecchiaia è una
cosa importante; anche se può non sembrare il “massimo”, ti dà un’aria da saggio. E’
bello spiegare le cose ai più giovani, come
Albus Silente!
Quando uno pensa a una gita, in genere
non gli viene in mente di andare all’ospedale; ma, e sono tutti d’accordo, questa è stata
un’esperienza fantastica.
Scuola Elementare San Bovio
Ieri è stata una giornata molto simpatica
perché siamo andati a visitare gli anziani
ricoverati al Pio Albergo Trivulzio. Facevano
tenerezza perché erano tutti lì ad aspettarci;
ci hanno fatto sentire importanti! Una signora ha detto una frase carinissima: “Chi non
ha la nonna, sappia che posso essere io la
sua! Le altre signore hanno confermato e
applaudito. Molte erano su sedie a rotelle,
ma con le menti ancora attive, piene di desideri e ricordi. Ci hanno parlato della loro
vita, così lunga e difficile rispetto alla nostra,
eppure non ci hanno spaventato. Anzi è
bello pensare che anche noi, da vecchi, vorremmo ricevere affetto e giocare.
Ogni giorno i ricoverati hanno qualche
attività per tenere sveglio il cervello e ci riescono bene, a quanto pare. Dalle nostre
ricerche sappiamo che anche un tempo gli
anziani qui svolgevano delle attività per sentirsi ancora utili e svegli; le persone che
hanno fondato e sostenuto il Pio Albergo
Trivulzio sono state molto generose e intelligenti a usare i loro soldi così. Prima o poi
diventeremo tutti vecchi ed è bello sapere
che ci sono Istituti per venire curati bene.
Rap dei nonni
Dedicato ai nostri nuovi amici
Ritornello:
Un poco fragili
con i capelli bianchi
eppur mi sembrate
così pimpanti!
Mazurke e polke
non conosciamo
perciò questo rap
vi dedichiamo.
E’ il modo
di questa generazione
per comunicare
ogni emozione.
Ritornello
I vostri ricordi
sono strani e belli,
volano nell’aria
come splendidi uccelli.
La vostra voce,
diventata più bassa,
non ha però bisogno
della grancassa.
Ritornello
Avete visto,
non ci siamo mossi,
eppure eravamo
emozionati e scossi!
Per noi bambini
è difficile pensare
un futuro lontano,
che non riusciamo a sognare.
Ritornello
Ma ci avete dato
una bella lezione
con i vostri guai,
non smettete mai
di pensare alla vita
com’è bella assai!
Dei nostri vecchi
avremo più cura
per render la vita
un po’ meno dura.
La nostra visita alla mostra sulla “Vita fragile”
soldi per trovare un alloggio e una preparazione per lavorare. In realtà le ragazze, se erano molto brave, potevano
diventate maestre; alcune diventavano balie e governanti
nelle case della borghesia benestante. Molte di loro però si
sposavano e facevano solo le casalinghe, come usava a
quei tempi. I ragazzi invece andavano a lavorare nelle
prime fabbriche. Ma dopo un po’ di tempo anche le ragazze hanno iniziato a lavorare fuori, ad esempio nelle fabbriche della seta.
I Martinitt e le Stelline avevano due vestiti: uno per
Noi alunni delle classi quarte siamo andati a Milano a
visitare il Palazzo delle Stelline, che un tempo ospitava un
orfanotrofio femminile molto conosciuto in città. Appena
entrati ci hanno fatto vedere un video sulla storia dei
Martinitt, delle Stelline e del Pio Albergo Trivulzio.
Abbiamo visitato poi una sala dove c’erano tutti i ritratti dei
benefattori, cioè delle persone ricche che avevano lasciato
un’eredità agli orfanotrofi.
Nell’orfanotrofio dei Martinitt e in quello delle Stelline
si poteva entrare a sette anni e si usciva a diciotto, con dei
stare dentro l’orfanotrofio, e un altro più bello per le passeggiate.
La disciplina all’interno degli istituti era rigida, ma i
ragazzi che potevano entrare, erano considerati molto fortunati perché venivano accuditi e soprattutto ricevevano
un’istruzione per poi cavarsela nella vita.
Questa visita è stata interessante perché abbiamo scoperto tante cose sulla vita dei bambini nel passato.
Classe 4D -Elementare di Bettola
Passaggi di tempo
Migranti di ieri e di oggi
1949: un giovane migrante racconta
Nonno Andrea ci ha spiegato che il primo
dopoguerra in Italia non fu un periodo facile,
per questo molte famiglie emigrarono verso il
Sud America, l’Australia, il Canada e altri
paesi ancora. La voglia di scappare, di trovare una vita migliore era tanta. Per questo lui si
imbarcò a 25 anni, su una nave spagnola piuttosto malmessa, partì da Genova e raggiunse
Buenos Aires in Argentina, in ben 23 giorni.
Giunto a destinazione trovò alcuni parenti, tra
cui uno zio il quale, avendo una grande
Marzo 2008
6
nostalgia per l’Italia, invitava in quella terra
così lontana e diversa i propri familiari. Nonno
Adriano venne accolto benissimo e questo gli
permise di ambientarsi con più facilità e di
vivere significative esperienze. Dopo tre anni
però decise, visto i modesti guadagni, di tornare in patria. Ancora oggi ricorda perfettamente i giorni trascorsi in mare, la nostalgia
della sua terra, la paura di quando le onde
diventavano talmente alte da sovrastare la
nave, del colore dell’acqua che da azzurra
diventava di un blu sempre più scuro fino ad
essere nera come la pece, i visi impietriti dal
terrore dei passeggeri, nel sentirsi alla mercé
delle forze della natura.
Classe 4A - Elementare di Bettola
1997: la piccola Ginevra naviga verso la
speranza
Ginevra ci ha raccontato del suo viaggio
nella stiva di una nave, dall’Albania alla “terra
dei desideri”, così definisce l’Italia. Molte persone, durante la traversata, hanno vissuto
momenti di esasperazione e di angoscia, lei ha
provato tanta paura soprattutto quando ha
visto scaraventare in mare le loro povere cose
per far spazio ad altri disperati. Dopo ventiquattro ore di navigazione in quel buio profondo, sente forte la nostalgia per la sua terra
e per gli affetti lasciati. Ginevra percepisce che
tutte le persone che le stanno intorno sono
accomunate da un unico sentimento, la speranza di trovare una vita migliore.
Classe 4A – Elementare di Bettola
Quanto è difficile crescere
Noi oggi non viviamo la realtà raccontata
dai nostri nonni e, tanto meno, quella dei
Martinitt e delle Stelline. Però basta guardarci
intorno per accorgerci che esistono famiglie e
bambini della nostra età che si trovano in
condizioni di difficoltà e di grande disagio.
Spesso li incontriamo nelle metropolitane, per
le vie, agli incroci stradali, all’uscita dei centri
commerciali, nei ristoranti che chiedono l’elemosina. Abbiamo rappresentato e narrato
questi episodi con disegni e parole mettendo
in luce le emozioni e i sentimenti che queste
immagini di vita quotidiana suscitano in noi.
Classi 4 B e 4 C - Elementare di Bettola
Arcobaleno delle emozioni fragili
Quante emozioni! Il libro “Arcobaleno delle
emozioni fragili” è una raccolta di pensieri e
riflessioni sulle difficoltà di vivere di alcuni bambini espressi in prosa e scrittura creativa.
Che gioia
Aiutare un
Mendicante
Offrendogli dei
Regali con
Entusiasmo
Le nostre considerazioni
Il racconto di Ginevra è stato tratto dal
libro “Sconfiniamoci”, scritto da ragazzi immigrati in Italia provenienti da diversi paesi. Le
storie di Ginevra ed altri ancora ci hanno particolarmente coinvolto e fatto riflettere. Una
cosa soprattutto emerge dai loro testi, non
vogliono essere considerati come ospiti impreparati, estranei, perdenti, ma semplicemente
desiderano essere nostri amici. Facendo poi il
confronto tra il viaggio di nonno Andrea e
quello di Ginevra, abbiamo capito come siano
stati entrambi difficili, sofferti, spinti dalla
medesima necessità di un futuro migliore in
una nuova terra.
Classe 4A - Elementare di Bettola
Bambini di ieri e di oggi
Come abbiamo partecipato al Concorso
Abbiamo aderito al bando di concorso
“La vita fragile: antiche e nuove povertà nella
Milano di ieri e di oggi” in quanto abbiamo
ritenuto che la tematica proposta dal concorso
era avvincente e questa esperienza avrebbe
sicuramente arricchito il percorso formativo
dei nostri alunni. Non volevamo perdere l’opportunità di farli riflettere e di far prendere loro
coscienza delle differenze sociali ed economiche presenti nella realtà di ogni periodo storico. Il lavoro è stato impegnativo, coinvolgente
e ha visto partecipi non solo insegnanti e alunni, ma anche genitori e nonni.
Il percorso ha preso il via con la visita alla
mostra presso l’ex Istituto Le Stelline di corso
Magenta e lì, attraverso la vita quotidiana di
Martinitt e Stelline, gli alunni hanno preso
visione di un’infanzia a loro sconosciuta. Una
volta in classe sono stati impegnati a leggere
alcune fotografie d’epoca di persone, abitazioni, mestieri
riferite alla vita milanese
dell’Ottocento al fine di cogliere le differenze
sociali del periodo.
Per avvicinare e aiutare i nostri alunni a
comprendere meglio i vissuti di povertà e di
disagio di questo tempo remoto, abbiamo
intervistato alcuni nonni. I racconti e le testimonianze della vita quotidiana riferite alla loro
infanzia hanno messo in evidenza quanto è
stato difficile anche per loro crescere. Il confronto con il presente ha evidenziato i disagi,
gli stenti che hanno passato (il dopoguerra,
l’emigrazione verso l’America).
Disagi e difficoltà che anche oggi l’infanzia
incontra nelle nostre città e nei nostri quartieri. Per mezzo di conversazioni, narrazioni di
esperienze personali, di racconti per l’infanzia
e di articoli di giornale, abbiamo individuato
alcune odierne e nuove fragilità: extracomunitari, immigranti, senzatetto che per motivi
diversi lasciano il loro paese alla ricerca di una
vita più dignitosa. Le immagini della loro quotidianità hanno suscitato in noi riflessioni,
emozioni, sentimenti che abbiamo raccolto
ed espresso in semplici testi narrativi e poetici.
Le Classi Quarte - Elementari di Bettola
A Milano ci sono molti poveri e hanno
costruito una casa proprio per accoglierli. Io so
di una povera bambina che vive lì, non l’ho
mai vista, però papà a volte ne parla perché
l’aiuta. Più o meno avrà la mia età. Papà mi
racconta che ora è al caldo perché indossa i
vestiti invernali che le abbiamo regalato e
gioca con i balocchi ricevuti.
Di carnagione è un po’ più scura di noi, i
capelli e gli occhi sono marroni. Di solito si
veste con una maglia a maniche lunghe, una
gonna e delle scarpe comode. Io provo molta
felicità per questa bambina perché la stiamo
aiutando e mi piacerebbe incontrarla. Le dono
sempre volentieri tutte le mie cose. Secondo
me i bambini poveri vanno aiutati tantissimo,
forse anche più di noi.
Festa grande
E
Luminosa sorpresa quando si è
Invitati e…
Confortati da
Innumerevoli angeli ad una
Tavolata per dimenticare
l’Àgro sapore della povertà
———————————————-
Illusione
Negata
Da
Indifferenti, attratti da
Futili
Fragili
Effimere
Ricchezze
E sentirsi esclusi
Non amati come
Zattere
Abbandonate alle onde dell’oceano
———————————————Giocando
Insieme
Offriamo gli uni agli altri
Ilarità e ci
Arricchiamo con l’amicizia
———————————————Accogliere bambini soli
Riscaldandoli con l’affetto
Manifestato da persone
Oneste
Nel cuore con
Innocente
Amore
All’improvviso soli
Al telegiornale ho visto che in paesi lontani, a causa di venti forti e di mareggiate, tante
famiglie sono rimaste senza una casa. Molte
persone hanno perso la vita e perciò anche
tanti bambini sono rimasti orfani di uno o di
tutti e due i genitori. Alcuni di essi sono stati
salvati dai soccorsi che li hanno portati in
case-famiglia dove venivano accolti e curati
dai volontari. Arrivavano lì con abiti consumati e sporchi, ma i volontari davano loro vestiti
nuovi e conforto. Erano tristi per l’accaduto
ma non erano più soli e potevano di nuovo
giocare nei prati con altri bambini, andare a
scuola e quindi avere un’istruzione e un’educazione. Gli operatori chiedevano aiuto da
parte di tutti. Sentendo queste parole mi sono
commossa ed ho cercato subito di soccorrerli
donando quello che potevo. Spero che ciò li
abbia aiutati ad essere di nuovo felici.
Tendere la mano e sentirsi
Respinto,
Indesiderato, chiedere un
Sorriso
Timidamente ed essere
Emarginato, come una
Zanzara fastidiosa
Zittita ed
Abbattuta
continua alla pagina seguente
Marzo 2008
Costretti a lavorare
Un giorno in un documentario ho visto un
bambino povero che aveva circa 11 anni ed
era costretto a lavorare. Faceva un lavoro strano: doveva bucare un foglio di metallo con
una macchina. Era vestito con stracci e raccontava con tranquillità la sua storia, ma i suoi
occhi erano così malinconici! Ha detto che il
suo lavoro era rischioso, infatti si era schiacciato un dito. Non andava a scuola, l’unico
suo divertimento era incontrarsi di sera con
altri ragazzi come lui in un centro di accoglienza per cantare. Mi sono sentito molto triste e in
colpa perché io giocavo mentre lui doveva
lavorare.
Stupore è:
Offrire
Regali inaspettati
Portati da
Ragazzi generosi con
Euforia per
Sbalordire e
Aiutare persone bisognose!
———————————————Piccole indifese creature
Alla mercé di
Uomini crudeli,
Rabbiosi e
Avidi
Classe 4 C - Elementare di Bettola
Povertà lontane
In Africa, dove ho vissuto per alcuni anni,
c’era un orfanotrofio. C’erano tanti bambini
accuditi dalle suore. Erano vestiti male, però
erano tutti molto allegri e avevano anche degli
animali. Ogni sabato andavo lì e portavo loro
cibo, vestiti e anche qualche gioco. I miei genitori parlavano con le suore, invece io e mia
sorella giocavamo con questi bambini. Alla
fine dell’anno venivano nella nostra scuola e
facevano una recita.
Dopo lo spettacolino noi davamo loro una
busta con dentro dei soldi e poi festeggiavamo
mangiando pizzette e giocando tutti insieme.
Ho provato molta felicità sapendoli curati e
non abbandonati per strada.
In televisione ho visto tanti bambini del
sud del mondo che non avevano soldi a sufficienza per comprare cibo, acqua, vestiti.
Andavano nei cestini a cercare cibo e chiedevano soldi attraverso annunci alla TV o
alla radio. Erano vestiti con pantaloncini
consumati. Il loro volto esprimeva tristezza
ed è ciò che ho provato nel vederli obbligati
a lavorare invece di andare a scuola. Per
mangiare dovevano cercare nei cestini o
addirittura rubare. Meno male che ci sono
Passaggi di tempo
7
associazioni che li aiutano. Allora ho deciso
di fare dei sacrifici come non comprare giochi che mi piacciono e quei soldi mandarli in
Africa per i poveri.
L’ho già fatto quando ero piccolo, andavo dalla zia e davo le mie monete a una
suora sua amica che li portava ai bimbi bisognosi. È bene ogni tanto fare dei sacrifici per
aiutare gli altri!
Classe 4 C - Elementare di Bettola
Povertà di casa nostra
Un giorno, mentre camminavo con i miei
genitori, in un prato vicino a una roulotte,
ho incontrato un bambino. Era malvestito e
solo. Seduto su una panchina, con la mano
tesa, chiedeva qualche soldino. Aveva uno
sguardo triste. Ho avuto paura, non mi sono
avvicinato. Era la prima volta che mi trovavo di fronte a un bambino come me in questa situazione.
Matteo, 4 B Elementare di Bettola
L’estate scorsa, una sera, sono andata
con i miei genitori in un ristorantino vicino a
una pista di pattinaggio. Mentre cenavamo è
entrato un bambino straniero di cinque o sei
anni che suonava la fisarmonica e chiedeva
l’elemosina. Aveva i vestiti consumati ed era
sporco. Ho provato tanta tristezza.
Volevo dargli qualcosa; ero indecisa: non
mi fidavo. Ma poi ho chiesto ai miei genitori
se potevo avere un soldino. Dopo un po’ di
insistenza, la mamma mi ha messo tra le
mani un euro che ho fatto cadere nel suo
piattino. Il bambino mi ha sorriso e se ne è
andato via.
Adele, 4 B - Elementare di Bettola
Quando vado in metropolitana mi capita
spesso di veder persone povere. Una volta
ho incontrato una famiglia extracomunitaria:
il papà, la mamma e due figli. Il papà e i
bambini suonavano la fisarmonica, la
mamma con un bicchierino raccoglieva le
monetine. Ho provato tanta pena e tristezza.
Manuel, 4 B - Elementare di Bettola
Una volta, nel parco giochi, ho visto un
signore seduto su una panchina che chiedeva l’elemosina. Davanti a sé aveva un cartello dove diceva di avere due bambini piccoli
e una moglie malata. Mi sono fermata un
attimo a pensare. Le persone in difficoltà mi
fanno soffrire, perché le vedo infelici. Vorrei
aiutarle ma non so come.
Valentina 4, B - Elementare di Bettola
Ricordo di un amico
Avevamo iniziato da alcuni mesi la prima
classe, quando le nostre maestre ci dissero
che sarebbe arrivato un nuovo compagno:
un bambino straniero. Per noi era una novità e per questo aspettavamo il momento con
ansia e curiosità. Dopo pochi giorni, accompagnato dal direttore, ecco arrivare Sergio,
un bambino bulgaro. Piccolo, minuto, di carnagione scura, totalmente spaesato perché
non conosceva la nostra lingua, cercava con
i suoi occhi vispi di capire ciò che gli stava
succedendo intorno.
All’inizio è stato difficile sia per lui sia per
noi conoscerci e accettarci, ma poi, a poco a
poco abbiamo fatto amicizia. Quante partite
a biliardino e come era bravo! Al mattino
arrivava a scuola con la sua bicicletta che
lasciava nel cortile e alla quale teneva tanto.
Alcune volte si intristiva perché pensava ai
suoi amici che aveva lasciato al paese e allora diceva che non voleva più stare con noi.
Veniva alle nostre feste di compleanno dove
si divertiva come un matto.
Un giorno la sua mamma ci disse che si
sarebbero trasferiti in un’altra cittadina e così
Sergio, a malincuore, ci ha dovuto lasciare.
Ma non ci siamo persi di vista, perché ogni
anno, alla festa di un nostro amico, troviamo
anche Sergio che ora è cresciuto come noi.
Classe 4 B - Elementare di Bettola
Un tuffo nel passato
L’infanzia raccontata da nonno Bruno
Era il 1947, il periodo del dopoguerra e
avevo nove anni. Abitavo nel Lodigiano in una
cascina agricola: non avevamo niente, eravamo
poveri. I miei genitori lavoravano i campi per il
proprietario della cascina in cui abitavamo. La
mia famiglia era numerosa, composta da sette
persone: cinque fratelli più i miei genitori. In quel
tempo tutte le famiglie avevano tanti figli; ogni
anno nascevano molti bambini che però morivano per le malattie perché c’erano pochissime
medicine. La mia casa aveva due locali, uno al
piano terra, che ospitava la cucina con il camino
per cucinare e riscaldarci, l’altro al piano di sopra
dove c’era una camera da letto con un letto per
tutti i fratelli. Non avevamo comodità. Ci si lavava con l’acqua fredda, poco sapone e si faceva
il bagno in un mastello. Il cibo era scarso; mangiavo quello che produceva la terra e che avevamo in cascina: mele, latte, polenta, qualche volta
pane e lardo, dato che allevavamo un maiale e i
suoi prodotti dovevano bastarci per tutto l’anno.
Gli elettrodomestici non esistevano; si faceva
tutto a mano. Avevo molti meno abiti dei bambini d’oggi. I miei vestiti erano pochi ed erano
quelli che mi passavano i miei fratelli. Ho frequentato la scuola elementare fino alla quarta,
poi la mia mamma è morta e ho dovuto lasciarla perché dovevo badare alla casa, fare le faccende domestiche, curare le galline.
Nella scuola c’erano cinque classi e le aule
erano grandi. C’era tanto freddo anche se avevamo la stufa. Ognuno di noi, a turno, doveva
mettere un legno. In quarta elementare eravamo
25 alunni, di cui metà ripetenti. La maestra era
brava, ma severa: per chi si comportava male
arrivavano punizioni molto rigide. Avevo la cartella di cartone e solo due quaderni. I libri ci venivano dati dalla maestra e a fine anno scolastico
dovevamo restituirli. Le materie di studio erano:
italiano, storia, geografia e religione. Al mattino
entravo a scuola alle otto e trenta, e prima di iniziare la lezione facevamo il segno della croce. Il
giovedì si rimaneva a casa.
Di tempo libero non ce n’era, andavo a scuola e poi aiutavo in cascina. Quando potevo giocavo con i miei fratelli con la palla di stoffa, un
cavallino di legno e con il gioco più diffuso: la
lippa. In quel tempo il mezzo di trasporto più utilizzato era la bicicletta. Il padrone aveva il calessino che usava la domenica per andare in chiesa
con la sua famiglia. Le comunicazioni erano
lente perché affidate alle lettere. Le vacanze non
esistevano. Il mare l’ho visto per la prima volta a
18 anni, quando sono andato in gita a Santa
Margherita Ligure.
Trascrizione a cura della Classe 4 B
Elementare di Bettola
Una giornata speciale: intervista a nonno Giorgio
Venerdì 30 novembre è stata una giornata
davvero speciale perché abbiamo incontrato
nonno Giorgio, che ci ha raccontato come è
stata difficile la sua vita quando aveva la nostra
età. Per un giorno siamo diventati giornalisti: in
mano una scheda di domande significative da
porre, carta e penna per registrare le risposte e
cartellino identificativo sulla maglietta.
Nonno Giorgio è nato nel 1935 ed ora ha 72
anni; quando era piccolo viveva a Milano in
Corso Lodi, che a quel tempo era la periferia
della città. Suo padre era autista, la mamma era
operaia in una fabbrica di cavi elettrici e aveva
una sorella. Abitavano in una casa di ringhiera
costituita da un’unica stanza, il bagno era fuori,
mentre l’acqua bisognava prenderla in cortile. La
cucina era il caminetto alimentato a legna, che si
comprava dallo “sciustrè”. I loro elettrodomestici
erano scopa e spazzolone, non avevano il frigorifero ma la ghiacciaia.
Ha iniziato la scuola a sei anni ed ha frequentato le prime due classi elementari. A causa
della guerra la scuola è stata chiusa per due anni,
perciò nonno Giorgio è ritornato a scuola a dieci
anni per riprendere la terza ed ha terminato gli
studi in quinta elementare. La sua aula era una
grande stanza con tre file di banchi in legno. Ogni
banco era per due bambini ed erano molto scomodi perché le panche erano fisse e bisognava.
stare seduti per tutto il tempo. La sua classe era
formata da più di trentacinque bambini. In prima
e in seconda insegnava la maestra, mentre dalla
terza alla quinta il maestro. Le materie di studio
erano italiano, aritmetica, storia, geografia, religione e ginnastica. A scuola s’indossava il grembiule nero con il colletto bianco. Ai maestri ci si
rivolgeva con il lei o con il voi, mai con il tu. Gli
insegnanti a quel tempo erano molto severi e
assegnavano tanti compiti! Le classi non erano
miste, ma solo maschili o solo femminili. Per scrivere si usava il pennino che si intingeva nel calamaio. Mentre nonno Giorgio andava ancora a
scuola, ha iniziato a lavorare come aiuto ferramenta: in famiglia avevano bisogno anche del
suo contributo per tirare avanti. Era un periodo
veramente difficile, a causa della guerra non si
trovava neanche il pane bianco, c’era solo quello nero, che era molto duro. Soltanto la domenica si mangiavano le prelibatezze: zampe e testa
della gallina, gli scarti degli animali.
A quel tempo i bambini giocavano per strada alla “lippa” e al “giro d’Italia”. Come mezzo
di trasporto si usava soprattutto la bicicletta,
qualche volta nonno Giorgio viaggiava attaccato
alla “pertegheta” del tram, non aveva mica i
soldi per il biglietto! È stato molto interessante
scoprire com’era diversa e dura la vita tanto
tempo fa.
Classe 4 C - Elementare di Bettola
Passaggi di tempo
Marzo 2008
8
Dal menalatt al prestinee : i lavori nella Milano dell’800
Dall'adesione al progetto "La vita fragile" è scaturita un'esperienza ricca e
gratificante che ci ha fatto conoscere gli
aspetti sociali e popolari della Milano a
metà '800. Le immagini e le ambientazioni che testimoniano e illustrano i luoghi dell'accoglienza e della cura, i
momenti dell'educazione e dell'istruzione all'interno degli orfanotrofi dei
Martinitt e delle Stelline, ci hanno infatti permesso di calarci nella quotidianità
della Milano del secondo Ottocento
(Classi Quinte A e B, Scuola Elementare
di San Bovio).
Prima del lavoro, però, occorre sistemare lo
stomaco.
All'angolo tra piazza Santo Stefano e via
Laghetto c'è il "polentatt", col suo calderone
attaccato al trespolo e, sotto, il fornello acceso.
E' un vecchio, avvolto in una palandrana, che
mescola, con un lungo bastone, un giallo
impasto fumante. Vende porzioni di polenta
calda per pochi centesimi e questa è un'abbondante prima colazione per chi deve recarsi al lavoro. Qualcuno ne compera tre o quattro fette e se le ficca in tasca per avere un po'
caldo e avere da mangiare per mezzogiorno. I
monelli sono i primi a presentarsi dal "polentatt" e lo guardano affascinati.
Più avanti incontriamo un altro personaggio tipico: il "menalatt"; egli giunge a Milano
dalla "Bassa" seguendo il corso del Naviglio,
con il suo carretto traballante. Arriva in città
dal lodigiano e dalle campagne di Abbiategrasso.
Tel chì "el menalatt"
È uno dei gridi più mattutini
che si oda per le vie della città:
se tra la veglia e il sonno
credi sentir mugghiar
la vacca, e non mi fa meraviglia
sì bene la imita con quel suo:
" Oh il latte!"
Quel del cafè del genoeucc
Quand che la giornada la va in morìa
E l'è sarada su anca l'osteria,
per scaldass e tegnì avert ij oeucc
gh'è 'l carrettin del café del genoeucc!
Ciamà de genoeucc perché per rugall
se sta su on pè sol 'me su on pedestall!
I brumista ne hin assidov client
anca se come café 'l var propi nient!
cont on rebattin, 'na gotta de stagn
mì ve giusti tuttcoss o donn! Magnan…"
In un altro angolo, accovacciato a sgranare pannocchie per vender poi i chicchi ai passanti e le foglie alle massaie, che con esse
rigonfiavano i materassi, c'è "el vendidor de
foeuij de formenton":
El girava per Milan cont on gerlon
el vendidor de foeuij de formenton,
rotolaa e ben ligaa 'me pigotton.
Ghe ne vendeva a quej che per l'occasion
N'aveven besogn per fass on bel paijon.
On mestèe che a cunt de l'evoluzion
(sia ben ciar, con tutta soddisfazion),
s'è perdùu nel temp e l'è pù tradizion.
El strascee
Quella de valzà la vos l'è soa consuetudin
e ormai la gent gh'ha fada l'abitudin,
tant vera che quand vun valza tropp la vos
ghe disen : " Te parèt on strascèe rabbios!"
Temp indrèe toeu e vend el rottam e ij
strasc,
cartascia o fiasch voeuj a l'era
on mesterasc.
Siamo in Galleria Vittorio Emanuele II, il
salotto buono della città… Persone passeggiano elegantemente vestite: le donne con abiti
lunghi, gli uomini con giacca e cravatta. In un
palazzo vicino è in corso un ricevimento e per
l'occasione una signora indossa un cappello a
larghe falde con piume, gli uomini accanto a
lei portano abiti dal taglio impeccabile, candide camicie e fazzoletto al taschino.
L'impressione è che in quest'epoca si viva
bene e soprattutto in grande agiatezza.
Il giorno successivo, però, in una mattina
fredda e umida, con un tram tirato da cavalli
ci trasferiamo in un altro quartiere: il Verziere.
Ci guardiamo in giro e vediamo personaggi
più umili. Un uomo accanto a noi non porta
né il cappello né la camicia, indossa una giacca vecchia e sgualcita e scarpe consumate.
Qualcuno più avanti sta facendo un trasloco. Le poche cose della famiglia sono state
caricate su un carretto, che viene tirato a
mano. Dietro il carretto un bambino a piedi
scalzi aiuta a spingere. Stanno facendo San
Martino, come si diceva a Milano, perché l'11
novembre scadono i contratti di affitto e per
quella data alcune famiglie ricevono lo sfratto.
Il tram sosta davanti a una casa di ringhiera. Entriamo e notiamo che le finestre e le
porte si affacciano tutte su corridoi, che danno
verso un cortile centrale, dal quale proviene
un vocio di bambini: sono i figli degli operai e
della gente più povera. E' proprio qui che scopriamo un mondo più ricco di umanità e di
"calore". Un gruppo di monelli, infagottati in
grosse sciarpe di lana e in cappottini rattoppati, s'avvia cantando verso gli "opifici" dove i
ragazzi trovano lavoro come apprendisti.
El lustrascarp
El client l'è lì sul tron par setta,
el lustrascarp piegà in dùu su on sgabellin
toeu via la polver, de lustre on cicinin
e poeu ghe dà de gombet a spazzetà.
Cont on pann ghe dà l'ultima passada,
el massaggia j tomer per on quaj moment
e scarp o polacch adess hin sbarlusent.
El lustrascarp… el gh'ha bottega in strada!
Più in là lungo il naviglio ci sono le lavandaie, che inginocchiate lavorano con l'asse di
legno e il grosso pezzo di sapone grezzo. Poi a
sera rifanno il giro delle case con le ceste
colme di biancheria candida posate in bilico
sulla testa o appoggiate all'anca per restituire i
panni profumati. La lavandera non si presenta più sull'uscio di casa al grido di:
- Tabell de la lavanderaaa !...
Gh'è chi la lavandera !...
Sciura, ghin chi i voster pagn
lavà, stirà, profumà.
Seguendo il corso del Naviglio torniamo in
piazza Duomo… C'è un capannello di gente
che si affolla attorno a un "bar molto strano".
È il "café del genoeucc". Qui c'è modo di
gustare una tazzina di caffè senza alcuna pretesa, su due piedi, a cielo aperto, appoggiando appunto la tazza sul ginocchio sollevato a
mo' di tavolino.
Dopo il venditore di pannocchie, nel
nostro giro, incontriamo anche i Martinitt che
s' impegnano a lavorare. I più giovani tra i
Martinitt aiutavano il magnan, lo strascèe o lo
spazzacamino, imparando anche il grido tipico di ciascuno di questi personaggi.
El garzon del prestinee
Con sora j spall la gerla o la cavagna
col pan anmò cald, quand l'è l'orari,
el tèl ceràa quand pioeuv, che se bagna no',
tucc i dì 'l fa l'istess itinerari.
Dal prestin a ona posta, a l'osteria,
svojand gerla o cavagn man man per via.
L'ha imprendùu ben anca lù,
pover badan…
che chi volta el cùu a Milan le volta al pan!
El magnan
"Pignatt, cazzùu, cazzaroeul e scaldin;
per taccà on manegh o stoppà on busin
portej a bass o donn, l'è el magnan
ch'el rangia j pignatt de tutta Milan.
Magnan… magnano! Calderett, ramin,
padej, coverc, pedrioeu, palett, colin,
Marzo 2008
Passaggi di tempo
9
Solidarietà, assistenza,
integrazione sociale
Piccoli “storici in erba”
scoprono il passato fragile
Intervento di un genitore sul lavoro svolto
dagli alunni di San Bovio
Dall’invito a visitare l’archivio del Trivulzio
alla realizzazione di un’esperienza molto valida…
Hanno imparato a cantare vecchie e
famose canzoni dialettali e cercato di immaginare come fosse la vita a Milano alla fine
dell’800… Gli alunni delle classi quinte della
Scuola di San Bovio hanno studiato usi,
costumi e linguaggio di una realtà che sem-
Nel mese di Ottobre agli alunni delle classi quinte di San Bovio, in visita alla mostra “La
vita fragile”, era stato rivolto l’invito a recarsi,
in piccoli gruppi, presso l’archivio del Pio
Albergo Trivulzio per prendere visione dei
documenti riguardanti i Martinitt che, nel
corso degli anni, erano stati ospiti dell’omonimo orfanotrofio milanese.
Tale proposta, avanzata dagli insegnanti ai
genitori degli alunni in sede di Assemblee di
classe, durante la presentazione del progetto
“La vita fragile”, era stata accolta da alcuni dei
presenti, fortemente interessati. Questi genitori provvedevano poi,
con iniziativa del tutto
personale, a contattare
la dottoressa Cristina
Cenedella,
direttrice
dell’Archivio del Pio
Albergo Trivulzio, per
organizzare una serie di
incontri con gli “storici
in erba” della scuola di
San Bovio.
Ed è così che, dalla
grande competenza e
disponibilità della dottoressa Cenedella e l’interesse profuso dai nostri
alunni, è nata una esperienza molto valida che
ha segnato in maniera
incisiva la crescita dei
bambini e che essi ricorderanno a lungo con piacere. I documenti
presi in visione presso l’archivio, mirabilmente
mediati nel linguaggio e nel contenuto dalla
Direttrice per renderli adeguati alle capacità
comprensive dei giovanissimi utenti, sono stati
fotocopiati e, portati in classe, sono divenuti
“fonte storica” a cui attingere per stilare la sto-
bra lontana anni luce dalla loro vita quotidiana, anche se è passato solo poco più di un
secolo. Questa interessante ricerca è stata
compiuta per partecipare al concorso, aperto
a scuole elementari, medie e superiori, intitolato: “La vita fragile: antiche e nuove povertà nella Milano di ieri e di oggi” e promosso
dall’Azienda di Servizi alla Persona Istituti
Milanesi Martinitt, Stelline e Pio Albergo
Trivulzio di Milano. Scopo del concorso è
quello di sensibilizzare i giovani a riflettere sui
valori della solidarietà, dell’assistenza e dell’integrazione alla vita sociale.
Per gli alunni di quinta l’avventura è iniziata con la visita lo scorso ottobre nel
Palazzo delle Stelline a Milano, alla mostra
chiamata appunto “La vita Fragile”. I nostri
bambini sono stati colpiti dalle immagini
degli orfanelli che erano ospitati nell’Istituto
dei Martinitt e delle Stelline e
hanno deciso che il loro lavoro
da portare al concorso avrebbe riguardato proprio questi
loro sfortunati coetanei vissuti
tanto tempo fa. Per saperne di
più era necessario recarsi
all’Archivio dell’Istituto che si
trova oggi nella sede del Pio
Albergo Trivulzio a Milano.
Prezioso è stato l’aiuto e il supporto della Dottoressa Cristina
Cenedella,
direttrice
dell’Archivio, che ha mostrato
agli alunni le pagelle e i documenti di alcuni ragazzi che
erano stati ospiti dell’orfanotrofio, guidandoli nell’analisi,
nella comparazione e spronandoli a formulare ipotesi relative al contesto sociale del
periodo esaminato.
Da queste visite i nostri
scolari hanno tratto ispirazione
per trasformarsi in scrittori e inventare, in
classe, una storia romanzata sulla vita di un
Martinin. La vicenda narrata è triste ma a
lieto fine, e rispecchia, in larga parte, la vita
reale di questi ragazzi. Non bisogna infatti
dimenticare che dall’Istituto dei piccoli orfani
milanesi sono usciti
uomini importanti e
capaci come Angelo
Rizzoli,
fondatore
dell’omonima casa
editrice;
Emilio
Bianchi, che dal
nulla ha fondato la
storica azienda delle
biciclette Bianchi. E
ancora più recentemente Leonardo Del
Vecchio, patron dell’importante gruppo
Luxottica. Di famose
Stelline, così erano
chiamate le orfanelle,
purtroppo non ne è
rimasta alcuna traccia. Le “quote rose”
sono un problema
oggi e cent’anni fa le
donne non erano
certo
considerate
molto...
Oltre al racconto, gli alunni di quinta
hanno approfondito il loro studio, creando
un quaderno speciale in cui hanno fatto una
vera e propria ricerca sulla vita e le tradizioni
della vecchia Milano. E anche questo quaderno, assieme alla storia romanzata, farà
parte del lavoro da presentare alla giuria del
concorso. Tanto è stato appassionante questo
viaggio a ritroso nel tempo, che le insegnanti
hanno deciso di creare uno spettacolo sullo
stesso tema, coinvolgendo anche alcuni
volenterosi genitori. Si esibiranno al Teatro
De Sica di Peschiera Borromeo il 14 marzo,
portando in scena una piccola “anteprima”,
e in aprile replicheranno, presentando l’intero spettacolo, nell’auditorium della Scuola di
San Bovio.
Patrizia Violi - Mamma di Anita,
Classe Quinta A - Elementare San Bovio
ria di un ipotetico Martinin “Edoardo”.
Tutti gli alunni delle classi quinte, supportati dai bambini che hanno vissuto concretamente l’esperienza presso l’archivio del Pio
Albergo Trivulzio e che non hanno “lesinato”
nel condividere le loro nuove conoscenze con
i compagni, hanno preparato il “canovaccio”
da sviluppare in un racconto attingendo largamente ai documenti storici e arricchendo la
trama con una buona “dose” di immaginazione e fantasia tipiche dei bambini della loro età.
Ed è con grande orgoglio e riconoscenza
che i bambini delle classi quinte di San Bovio
hanno presentato poi il loro elaborato alla dottoressa Cenedella, ringraziandola in tal modo
per la grande professionalità con cui li ha
seguiti.
Scuola Elementare di San Bovio
Scuola di equitazione
per ragazzi e adulti
Centro Ippico
Il Quadrifoglio
20068 Peschiera Borromeo - (Mi)
Via F. Sforza, 9
Tel. 02/5470133 - 338/9307880
Passaggi di tempo
Un mondo perduto,
un mondo ritrovato
Fatiche e gioie nei bambini
di ieri e di oggi
Lavori umili e pesanti per guadagnare pochi soldi che spesso non
bastano nemmeno a sostenere la famiglia… La vita è proprio difficile da
condurre ed è anche per questo che, proprio in questo periodo, nascono le prime leghe operaie per tutelare i diritti dei lavoratori. Da questa
lotta dei "forti" sembrano, però, emarginati i ceti più deboli: i bambini, i
giovani, gli orfani, i vecchi, i malati. Ed è proprio per tutelare queste
fasce di popolazione che Milano si distingue "per occupare uno dei primi
posti nella storia della carità". Alla fine dell'Ottocento a Milano si contano moltissime opere pie e tra le più importanti l'orfanotrofio maschile dei
"Martinitt", quello femminile delle "Stelline" e il ricovero per gli anziani
Pio Albergo Trivulzio.
Il Progetto "LA VITA FRAGILE" ci ha permesso di conoscere un
mondo perduto, quello dei nostri nonni e bisnonni. Particolare interesse
hanno suscitato in noi i documenti e, in particolare, le foto che abbiamo
avuto la fortuna di consultare. Le fotografie, soprattutto, ci hanno fatto
comprendere che i giovani, quando si trovano insieme, hanno gli stessi
impulsi, la stessa allegria, sia che si rechino a scuola sia al lavatoio pubblico. Osservando queste foto sembra di sentirne i gridi festosi: queste
immagini hanno la freschezza del documento. Da esse appaiono i semplici fatti e sentimenti della società di fine Ottocento: i bimbi si assiepano intorno a un venditore di caramelle, premio e gioia dell'infanzia,
eppure le caramelle non erano decantate dalle televisioni.
Quanto sia cambiato il mondo, ce ne accorgiamo guardando le foto
di bambini nei loro giochi, al parco, per la strada! Spettacolo impensabile oggi nelle strade di Milano intasate dal traffico, pericolose anche per
gli adulti. Le giostre, fantasia sonora, erano in tutti gli angoli. Questa
nostra Milano, come ha sostituito queste gioie, queste tenerezze segrete?
Nell'epoca degli elettrodomestici è difficile immaginare che fatica costasse lavare i panni al lavatoio pubblico o nei navigli.
Le più "fortunate", tra le bambine, lavoravano come sartine nei laboratori artigianali. Portavano degli scatoloni più grossi di loro, per andare
a consegnare gli abiti alle clienti. I ragazzi cominciavano la vita di lavoro come garzoni di prestinai, di magnani, di spazzacamini. Dalle immagini che abbiamo osservato si coglie tuttavia, nonostante la fatica del
lavoro, che i ragazzi erano felici e giocondi e, addirittura, i Martinitt e le
Stelline godevano di una situazione relativamente più felice, perché
facevano le loro gite, mangiavano all'aperto, avevano le loro feste…
Quella dei Martinitt è una storia antica che da quasi cinquecento
anni procede di pari passo con quella della città che li ospita: Milano.
Una città e un' istituzione che, insieme, hanno affrontato avversità, guerre, epidemie ma, soprattutto, sono state e sono unite dallo stesso spirito
di SOLIDARIETA', dalla FIDUCIA nel domani, dalla DISPONIBILITA'
DEI CITTADINI. Questi personaggi che fino a poco tempo fa non sapevamo neanche che esistessero, si sono presentati a noi in tutta la loro
animata quotidianità. Attraverso le loro vite ci siamo "calati" nella storia
della Milano dell'Ottocento. Abbiamo scoperto una realtà inimmaginabile, la loro esistenza era "fragile" per le condizioni sociali precarie, per la
povertà diffusa, per la mancanza di ogni bene materiale, ma era salda
perché tutti cercavano di darsi una mano. Oggi forse la nuova povertà è
quella dei SENTIMENTI… Quasi avessimo paura di essere buoni, comprensivi, di togliere la corazza che ci fa sentire forti. E' da qui che vorremmo partire… Noi così fortunati nell'avere ogni tipo di beni materiali,
vorremo superare la fragilità dei sentimenti ed essere come i bambini di
allora, "uniti ed entusiasti" della vita.
Classi 5A e B, Elementare San Bovio
Marzo 2008
10
Il racconto
Edoardo: una storia esemplare
Edoardo è un bambino sano, di
corporatura robusta, alto. Ha un
viso radioso, lo sguardo gioioso e
spensierato. La sua famiglia, di condizioni umili, gli dà affetto, amore,
considerazione, fiducia, e lui vive
sereno condividendo con gli amici
vari momenti della giornata. Abita
in una vecchia casa di ringhiera,
affacciata sul Naviglio, dove ogni
giorno può osservare il lavoro delle
lavandaie e sentirle cantare per
superare la durezza della loro fatica.
Edoardo all'alba è svegliato dal
grido del "menalatt" che col suo
carro trasporta il latte appena
munto, proveniente dalla "bassa". Il
giorno più bello dell'anno, per lui, è
quello di Sant'Ambrogio, perché si
reca alla fiera degli "O bei o bei" a
comperare "a cinq ghei tri spagnulet
e sùcher filà". Ogni giorno Edoardo
si incontra con il suo amico Ettore
ed insieme corrono al Verziere, vicino a piazza Santo Stefano, dove i
loro genitori lavorano. L'uno aiuta il
padre nel lavoro di ortolano, mentre
l'altro fa col genitore il mestiere del
"pulentat". Le loro fette di polenta
sono calde, invitanti, energetiche:
un motivo in più per alzarsi presto la
mattina. Nella piazza i due bambini
incontrano spesso dei monelli con i
quali giocano a "Ce l'hai" o a mosca
cieca e scherzano canzonandosi l'un
l'altro.
Si divertono anche ad imitare le
voci dei venditori ambulanti. Ettore
grida: "Ch'el rangia i pignatt de tutta
Milan. Magnan, magnanooo. Pignat
cazzùu, cazzaroeul, l'è chì el
magnan". Edoardo, sentendolo urlare, gli dice sovente: "Vusa no! Te
paret un strascèe rabios…". Il loro è
un gioco di voci che si alternano e si
sovrappongono. Il loro dialetto milanese è colorito e rispecchia la
Milano dell'Ottocento.
Un giorno questa vita povera,
ma serena e spensierata, all'improvviso cessa… Il padre di Edoardo,
Luigi, è colpito da una febbre altissima che non gli permette più di lavorare. Il problema erano i polmoni e i
medici gli vietano di essere all'aria
aperta anche se il suo lavoro lo
obbliga a stare all'aperto perché la
frutta la vende in una bancarella. Da
quel giorno, in casa, i soldi sono
sempre meno e la famiglia è costretta ad accettare l'ospitalità della chiesa. Poi le cose precipitano…
Edoardo ha otto anni quando
perde in soli cinque mesi sia la
mamma che il papà. Lui e le sue cinque sorelle rimangono da soli e vengono affidati alla parrocchia. I ragazzi hanno i nonni, ma sono purtroppo vecchi e poveri e non possono
provvedere ai nipoti.
Edoardo e le sue sorelle hanno
però uno zio, Felice (fratello di
Luigi), che, pur essendo ricco, non
vuole accogliere neanche un nipote
in casa sua. Felice era stato sin da
piccolo un tipo intraprendente: era
riuscito a studiare e aveva conosciuto, e poi sposato, la figlia di un
imprenditore che aveva fondato la
fabbrica del lucido Brill. Si era sempre vergognato di quel fratello ignorante che vendeva la frutta per la
strada e non voleva avere a che fare
con i suoi figli. Tanto più sua moglie,
che odiava i bambini; soprattutto
quelli poveri.
Fu così che quando Edoardo
compì nove anni, zio Felice presentò
la
domanda
all'Orfanotrofio
Maschile dei Martinitt di S. Pietro in
Gessate. Edoardo per fortuna viene
accettato in quanto è perfettamente
sano e ben conformato, quindi
supera facilmente la visita medica
chirurgica. A questo punto, sottoposto unicamente alla vaccinazione
antivaiolo, viene inserito nella
seconda sezione. Frequenterà la
quarta elementare e verrà applicato
ad un mestiere; siccome è dotato di
capacità artistiche, è ammesso alla
scuola di disegno. Così comincia un
nuovo percorso di vita per Edoardo.
Finalmente ha di nuovo un tetto, un
piatto caldo, un posto per dormire,
una divisa e un corredo di biancheria ed accessori.
Giorno dopo giorno il ragazzo si
rende conto che quella è una grande famiglia. Comincia ad ambientarsi e ad avere qualche amico con
cui condividere gioie e dolori. Con
gli altri Martinitt Edoardo impara un
mestiere, quello del sarto, e contemporaneamente va a scuola.
Ovviamente la vita in orfanotrofio
non è facile. Esistono delle regole
ferree che si devono rispettare.
Il capitolo IV del regolamento di
Istituto prevedeva esplicitamente
premi e castighi per i giovani
Martinitt. I superiori sono irremovibili di fronte a una trasgressione. Un
giorno, per esempio, Edoardo era
inciampato in un cancelletto, mentre
giocava, e si era ferito alla testa.
Nonostante fosse dolorante, era
stato punito duramente dal rettore
che lo aveva rinchiuso per giorni privandolo della pietanza, del pane a
colazione e ovviamente del vino che
si dava nei giorni festivi.
Passa il tempo, ormai Edoardo
ha 13 anni, il suo rapporto con il
gruppo dei compagni è buono.
Insieme crescono, superano le difficoltà, studiano, giocano, si confidano. In particolare il ragazzo si lega
ad Ettore, un Martinitt più grande di
lui, un po' spavaldo ed a volte sbruffone, che proprio per questo affascina l'amico più giovane. Molto spesso Edoardo, imitando Ettore, è coinvolto in atti di indisciplina, ma a differenza del suo compagno riesce a
modificare in fretta il suo comportamento evitando punizioni divenute
troppo frequenti per l'amico. Ettore,
un giorno, approfittando di uno
sciopero organizzato dalle leghe
operaie per la tutela dei diritti dei
lavoratori, si lasciò andare ad atti di
teppismo e per questa grave colpa
fu espulso. Quello fu un giorno
molto triste per Edoardo, che si sentì
molto solo.
Il 6 luglio 1863, all'età di 18
anni, Edoardo lascia l'orfanotrofio e
i suoi amici più cari per diventare
sarto, il lavoro imparato in nove
anni fuori casa. Il giovane ha molto
talento e trova subito lavoro in una
sartoria dove acquisisce delle conoscenze sui nuovi tessuti di seta, lana
e sulla moda dell'epoca. Lavorando
duramente, in pochi anni si guadagna la stima del suo capo.
Mentre era ancora all'Orfanotrofio, Edoardo aveva accumulato
quote di guadagni provenienti dal
lavoro presso il laboratorio sartoriale dove aveva imparato il mestiere.
Infatti, all'interno dell'istituto, il
denaro che i Martinitt guadagnavano veniva trattenuto per tre quarti
dal Pio Luogo e un quarto spettava
agli orfani.
Le quote di guadagno di
Edoardo erano state investite in un
libretto della cassa di Risparmio ed
erano state maggiorate di un decimo
del totale per premiare la singolare e
straordinaria applicazione al lavoro
del ragazzo. Inoltre, siccome si era
distinto nella scuola di disegno, i
suoi risparmi erano stati maggiorati
grazie al lascito di un benefattore.
Per questi fondi, al termine della sua
esperienza in collegio, aveva già una
discreta posizione economica.
Nel frattempo i suoi zii muoiono
in circostanze non chiare mentre
percorrono in carrozza una via del
centro. Si racconta che il cavallo,
spaventato da un rumore violento,
s'imbizzarrì e la carrozza si ribaltò.
Trasportati all'ospedale in condizioni
gravissime, gli zii morirono due giorni dopo. Edoardo, nonostante il cattivo rapporto con i suoi congiunti,
fece in tempo ad andare a trovarli.
Lo zio ne fu lieto e, pentitosi di come
si era comportato con i suoi nipoti,
decise di lasciare a lui e alle sue
sorelle, ospitate presso l'Orfanotrofio
Femminile Stelline, tutta l'eredità. I
ragazzi tornarono così a vivere tutti
insieme nella casa degli zii, un palazzo lussuoso, internamente affrescato.
Con una parte dell'eredità,
Edoardo aprì una sartoria nel centro
di Milano. Le sorelle, alle Stelline,
avevano fatto le "Piccinine", avevano imparato anche loro a cucire.
Così, entusiaste, andarono a lavorare con Edoardo. In breve tempo la
Sartoria Sirtori divenne la più
importante in Italia e i ricchi provenienti da tutta Europa venivano a
farsi fare i vestiti su misura da questi
genii della sartoria.
Ritornarono così ad essere una
grande famiglia felice come quando
c'erano ancora i loro genitori. Nei
giorni di festa, tutti insieme si recavano in piazza del Duomo per bere
un caldo "cafè del genoeucc" e ricordare quando, durante la loro infanzia, lo sorseggiavano con papà e
mamma per "scaldas e tegnì avert ìj
oeucc", anche se ora potrebbero
permettersi una fumante cioccolata
al rinomato "Cafè Sant'Ambroeus"…
Scuola Elementare di San Bovio
Classi 5A e 5B
Marzo 2008
11
Storia di un Martinin
a cura del Laboratorio di Arte e Immagine della “Virgilio”.
Proff. Katia Calò e Marzia Ducco
FONDO’ LA...
Passaggi di tempo
Passaggi di tempo
San Carlo Borromeo
e le Stelline
Un santo vicino ai bisognosi e ai sofferenti
Carlo Borromeo nacque ad Arona (Novara)
nel 1538 da una nobile e ricca famiglia. Si laureò
in legge e, poco dopo, suo zio papa Pio IV lo
elesse cardinale e poi vescovo di Milano. Nei
diciannove anni del suo episcopato egli dedicò
alla sua gente tutto il suo tempo e le sue energie.
Nell’anno di grande carestia (1569) più di
tremila persone al giorno venivano nutrite dall’arcivescovo. Negli anni della peste (1576-1577)
che provocò in città 6000 morti, Carlo
Borromeo, mentre molti altri potenti di Milano
scapparono altrove, non si preoccupò del contagio. Usciva ogni giorno a visitare i malati, usò le
tappezzerie della sua casa per provvedere ai
vestiti di migliaia di malati. Fece costruire duecento capanne al di fuori di ciascuna porta della
città per ospitare gli appestati.
Marzo 2008
12
Dopo la peste, essendo aumentato il numero di emarginati e derelitti, Carlo fece costruire
l’Ospedale dei Poveri Mendicanti e Vergognosi
della Stella, utilizzando il vecchio Monastero
delle Benedettine di Santa Maria della Stella,
situato nell’attuale corso Magenta. L’ospedale
curava i poveri di entrambi i sessi.
A partire dalla seconda metà del Seicento la
Stella rafforza sempre di più un’accoglienza rivolta all’infanzia bisognosa. La sua trasformazione
definitiva in Orfanotrofio delle Stelline avvenne
nel XVIII secolo. Le Stelline ricevevano ricovero,
assistenza e istruzione. Inizialmente e fino a metà
dell’800 alle ragazze venivano insegnati i lavori
femminili: taglio, cucito e maglia. Con il trasformarsi della società agli inizi del ’900 le Stelline
cominciarono a seguire anche corsi di specializzazione nel ramo commerciale e industriale per
avviarsi a diventare operaie, segretarie, commesse.
S. Carlo Borromeo, che aveva dato vita a
questa istituzione destinata a continuare nei
secoli successivi, il 3 novembre del 1584 crollò
sotto il peso della sua insostenibile fatica. Aveva
soltanto 46 anni, e lasciava ai milanesi il ricordo
di una santità seconda soltanto a quella di un
altro grande Vescovo milanese, S. Ambrogio.
Classi 4A e 4B – Elementare di Bettola
San Girolamo Emiliani
e i Martinitt
Il Patrono degli orfani e dei giovani
San Girolamo Emiliani nacque a
Venezia nel 1486 da una famiglia
nobile. Intraprese la vita militare molto
presto e divenne castellano di
Castelnovo di Quero con i fratelli. Nel
1511, in seguito ad un assalto,
Girolamo venne fatto prigioniero e rinchiuso nei sotterranei del castello. Nei
giorni passati nella solitudine si avvicinò alla preghiera trovandosi, secondo
la leggenda, improvvisamente libero:
Girolamo attribuì sempre la sua liberazione all’intervento speciale della
Madonna.
Nel 1531 abbandonò la vita militare, lasciò definitivamente la casa paterna,
vendette i propri averi e li distribuì ai poveri.
Si dedicò a tempo pieno alle opere in favore
degli orfani, dei fanciulli abbandonati e dei
malati istruendoli e dando loro una formazione cristiana. Molte persone lo sostennero e
collaborarono nei suoi centri di accoglienza
che diventarono sempre più organizzati fino
ad essere riconosciuti come un ordine religioso con il nome di Padri Somaschi.
Nel 1533 Girolamo attraversò l’Adda
diretto a Milano dove infuriava un’epidemia
di peste, chiamato dal duca Francesco Sforza
che gli offrì la possibilità di radunare gli orfa-
ni milanesi presso la chiesa di San Martino.
Questa vicinanza suggerì al popolo di chiamare la chiesa San Martino degli Orfani e,
per le stesse ragioni, di chiamare gli orfani
Martinitt (al singolare: Martinin). Tuttora i
milanesi chiamano così questi ragazzi.
San Girolamo morì l’8 febbraio del 1537
mentre assisteva i malati di peste, colpito lui
stesso da questa terribile malattia. Nel 1747 è
stato santificato e nel 1928 venne proclamato “Patrono universale degli orfani e della
gioventù”.
Classe 4C - Elementare di Bettola
Marzo 2008
Passaggi di tempo
13
Molto più di un lavoro
Intervista a due ex-educatori della comunitàalloggio di Linate. I signori Turrini raccontano la
loro esperienza trentennale a favore di chi vive
una “vita fragile”
Lunedì 10 Dicembre 2007 noi alunni della
3C della Scuola Secondaria di Primo Grado
“Virgilio”, insieme al nostro Dirigente Scolastico
professor Facciorusso, alla Vicaria prof.
Nunziata e ai professori Leondi e Leopardi,
abbiamo incontrato Mariangela e Ilario Turrini,
che fino all’anno scorso hanno lavorato come
educatori per i Martinitt a Peschiera Borromeo.
La comunità-alloggio dei Martinitt a Linate
è stata fondata nel ’79 con lo scopo di ospitare
ragazzi o bambini, dai tre ai ventuno anni,
rimasti orfani dei genitori o con gravi problemi
familiari (ad esempio: un genitore che ha problemi con la legge, o con l’alcool, le droghe,
ecc.).
segue dalla prima elementare, aiutandola a
svolgere i compiti.
Ilario e Mariangela si ricordano di tutti i
ragazzi di cui si sono presi cura, e questo dimostra l’impegno e l’affetto che dedicavano al proprio lavoro. Le loro figlie sono orgogliose dei
loro genitori e hanno instaurato con i ragazzi
cresciuti insieme a loro nella casa-famiglia di
Linate un bel rapporto, tanto che ancora oggi si
frequentano.
I Turrini ci sono sembrati molto soddisfatti
di avere dedicato la loro vita a questo “lavoro”;
in realtà, per loro non si è trattato solo di un
lavoro qualunque, ma di molto di più, quasi
una “missione” nella quale si sono impegnati
Mariangela e Ilario Turrini con la prof. Raffaella Leopardi
Per prima cosa abbiamo posto a Ilario e
Mariangela molte domande sulla loro vita passata al servizio dei Martinitt: ci ha molto stupiti
sapere che si sono conosciuti proprio grazie alla
loro collaborazione con questa Istituzione,
all’epoca in cui avevano vent’anni ed erano
studenti universitari.
Dopo avere lavorato come volontari per un
breve periodo, hanno deciso di diventare educatori di mestiere. In seguito si sono sposati,
hanno avuto due figlie; l’Amministrazione del
Pio Albergo Trivulzio ha loro affidato dei bambini; insieme a loro, si sono stabiliti a Linate, in
via Rimembranze, in una villetta di proprietà
dell’Ente, tuttora esistente e funzionante.
Questa era un’esperienza nuova, allora;
prima, infatti, i Martinitt vivevano in “collegio”,
con orari e regole molto rigide, divisi in “squadre” di trenta, con un educatore.
Oggi, per fortuna, si sono diffuse comunità
come quella di Linate, in cui i ragazzini ospitati
sono pochi di numero e possono sperimentare
un modello di vita simile a quello familiare. I
signori Turrini ci hanno spiegato la differenza
tra affido e adozione. L’affido è un provvedimento temporaneo, adottato dal tribunale dei
minorenni, mediante il quale un ragazzo viene
accolto presso una famiglia, una comunità o
una singola persona, nel caso in cui la famiglia
d’origine sia in una fase di difficoltà. Il legame
con i genitori non viene modificato.
Con l’adozione, invece, il bambino diventa
figlio a tutti gli effetti; gli aspiranti genitori devono essere uniti in matrimonio da almeno tre
anni e devono essere adeguati ad educare,
istruire ed in grado di mantenere chi intendono
adottare. Di recente i coniugi Turrini sono
andati in pensione, ma Mariangela continua
comunque a occuparsi di una bambina che
totalmente, a beneficio di tantissimi ragazzi in
difficoltà, dalla vita allora fragile.
Per la nostra classe è stato un vero piacere
intervistare Mariangela e Ilario; questa è stata
un’esperienza molto istruttiva e interessante, di
cui ci ricorderemo sempre.
Associazione “Peschiera Sotto le Stelle”
c/o La Galleria, via Dante, 2 - Peschiera Borromeo
tel. 02.55.300.716
Vita fragile: due parole,
un grande significato
La vita fragile è una vita piena di incertezze, senza punti di riferimento, dove fin dalla
nascita ti ritrovi a dover lottare sopportando
esperienze difficili, inimmaginabili.
Un esempio è l’argomento trattato in classe riguardante i Martinitt e le Stelline: bambini
che trascorrono l’infanzia e l’adolescenza in
istituti, perché non possono essere educati
dalle rispettive famiglie. Crescono in cerca dei
loro genitori, della verità; sognano, una volta
diventati adulti, di poter trovare lavoro, per
costruirsi quella famiglia che non hanno mai
avuto.
Un altro argomento a tema, che abbiamo
affrontato, è quello relativo al “Progetto Axè”.
Quest’ultimo è un centro educativo che opera
in Brasile, dove accoglie alcuni dei tantissimi
ragazzi senza futuro, senza famiglia, senza
qualcuno che voglia loro bene; ragazzi che
vivono per le strade, nelle “favelas” o baracco-
Intervista a cura della Classe 3C “Virgilio”
Stesura del testo: Gabriele Di Maggio
Erika Salsi, Marta Stellacci, Samuel Toscani
Sotto: Mariangela e Ilario Turrini
con alcuni ospiti della Comunità Alloggio
di Linate (dal libro di E. Catania, “I Martinitt”
edito dal Pio Albergo Trivulzio)
poli di San Salvador de Bahia.
Le persone che lavorano a “Progetto Axè”
cercano di aiutare i bambini senza speranze
attraverso dei corsi, condotti da insegnanti
specializzati; si cerca di dare un futuro ai
ragazzi, facendo loro apprendere regole
importanti per il lavoro e gli studi; ma soprattutto si cerca di fare in modo che essi rispettino sé stessi, rafforzandone l’autostima.
In classe abbiamo letto vari testi su questo
argomento; personalmente ho imparato che di
bambini sfortunati ce ne sono veramente
molti, e che bisogna aiutarli per farli diventare
degli adulti sicuri, preparati, che siano in
grado di aiutare il prossimo, di vivere una vita
nella quale possano inseguire dei sogni, per
riuscire un giorno a realizzarli.
Guglielmo Oselladore, 2C “Virgilio”
a
r
e
tt
e
l
La
C’è posta per noi!
Torino, 18 gennaio 2008
Gentilissimi Professori e alunni tutti
della scuola Media “Virgilio” e dell’Istituto
Comprensivo Statale
“Fabrizio De
Andrè” di Peschiera Borromeo.
Ancora una volta siete riusciti a compiere il miracolo della Carità. Grazie, grazie, grazie infinite! Noi siamo ogni giorno
più stupite del vostro impegno unito all’entusiasmo con il quale riuscite a contagiare
tutte le persone che incontrate, inoltre
siamo commosse per la grandezza del
vostro amore. Tutti i nostri bambini riconoscenti sognano un nuovo pozzo che soddisferà presto la loro sete e quella delle loro
famiglie. E’ veramente grande la
Provvidenza del Signore! Quando la missione avanza nuove esigenze e noi temiamo di non farcela a soddisfarle, subito ci
date una prova concreta che non siamo
soli… e la speranza si rinnova.
Nella preghiera lasciamo che il Signore
accompagni con la sua forza e il suoi
amore i vostri impegni. Rinnoviamo ancora il nostro grazie sincero.
Suor Maria e Suor Laura,
Suore di Santa Maria di Loreto, Vercelli
Un caro saluto anche dalle Sorelle
Missionarie di Isiolo, Kenya
L’Istituto De Andrè ha “adottato a
distanza” i bambini di Isiolo, raccoglie
fondi per costruire una scuola che si sta
sempre più ampliando e tutto ciò che a
loro serve per una vita migliore.
Passaggi di tempo
Marzo 2008
14
Abiti, case, mestieri:
antiche e nuove fragilità
Il principe felice
e l’uomo fragile di oggi
La 2F della “Virgilio” a confronto col passato
L’esperienza del laboratorio teatrale alle Medie
Durante lo scorso mese di ottobre abbiamo
effettuato un’uscita didattica per visitare una
mostra che illustrava la vita di orfani e anziani nel
passato. Siamo perciò andati all’ex Palazzo delle
Stelline in Corso Magenta a Milano, per renderci
conto di persona di come vivevano Martinitt,
Stelline e “Vecchioni”. I primi erano ragazzi e
ragazze rimasti orfani, ospitati e assistiti sino alla
maggiore età da apposite strutture assistenziali
milanesi, risalenti al XVI secolo. I cosiddetti
“Vecchioni” invece erano gli anziani ricoverati
presso il Pio Albergo Trivulzio, dove potevano
usufruire di pasti caldi e di un letto dove dormire. Gli organizzatori di tale mostra, che ci ha consentito di conoscere le diversità di vita tra ieri e
oggi, ci hanno anche suggerito di partecipare ad
un concorso che avrebbe premiato il lavoro
migliore riguardo antiche e nuove fragilità sociali. La nostra classe ha deciso di aderire a tale iniziativa. Noi alunni della 2F ci siamo divisi in 5
gruppi, formati da 4-5 alunni ciascuno; ogni
gruppo ha scelto un tema ben preciso da sviluppare. Gli argomenti su cui lavorare riguardavano: l’abbigliamento come elemento di distinzione sociale; i mestieri di ieri che non ci sono più e
quelli che si sono evoluti; i diversi modi di abitare, simbolo della povertà di ieri e della solitudine
di oggi.
L’attività si è svolta con l’indispensabile ed
utile aiuto dei professori di alcune materie, che ci
hanno dato una mano per quanto riguarda l’uso
del computer, oppure ci hanno procurato informazioni preziose circa il tema del nostro lavoro.
Io ho scelto di partecipare al gruppo che tratta
l’argomento dei mestieri scomparsi, insieme ad
altri miei compagni. Il nostro compito consiste
nel creare una presentazione, con un programma per il computer (power point) in cui mostriamo i lavori caduti in disuso ed esaminiamo le
loro caratteristiche. Alcuni di questi lavori sono:
la lavandaia, l’arrotino, la filatrice, la sguattera, il
corriere.
C’era chi lavorava per i ricchi, procurandosi
appena il necessario per sopravvivere, chi si
impegnava nello svolgere qualche semplice
compito, e chi metteva a repentaglio la propria
salute assumendosi incarichi pesanti per l’età o la
condizione. Ho notato come i poveri fossero fantasiosi nell’inventarsi attività utili che permettessero loro di portare a casa qualcosa da mettere
sotto i denti per sé e la famiglia. Non ci sono solo
i mestieri scomparsi. Molti di essi esistono ancora, ma sono così mutati da non sembrare più
quelli di prima: è quello che ha scoperto il gruppo che si è voluto occupare della storia dei vigili
del fuoco, incuriosito da un’antica foto dei pompieri di una volta, sul carretto tirato dai cavalli,
con vecchie pompe ad acqua che oggi fanno
sorridere…
La società di oggi, sempre più sviluppata dal
punto di vista tecnologico, mette a nudo, in
modo spesso impressionante, vecchie e nuove
fragilità dell’uomo. Ed ecco che i nuovi vigili del
fuoco non si limitano solo a spegnere le fiamme,
come già facevano ai tempi dell’antica Roma,
ma sono pronti ad intervenire in ogni specie di
calamità: oltre a domare incendi, soccorrono
persone, recuperano animali, intervengono negli
incidenti stradali o negli allagamenti e inondazioni. Sono soprattutto al servizio di chi è più fragile e più facilmente in pericolo: disabili, anziani,
bambini, uomini che lavorano in condizioni
poco sicure…
Uno dei due gruppi che avevano come argomento la moda nel tempo, ha deciso di realizzare un video, nel quale mostrerà antichi modelli
Anche quest’anno i ragazzi della scuola
media dell’Istituto Comprensivo Statale Fabrizio
De André sono impegnati nei laboratori pomeridiani, che permettono sia di recuperare o approfondire discipline scolastiche, che di svolgere attività del tutto nuove. Tra tanti tipi di laboratori proposti, ne troviamo uno che si occupa di rappre-
spiegandone le funzioni. In passato l’abbigliamento è stato un forte elemento di distinzione
sociale: gli abiti eleganti e preziosamente intessuti delle persone ricche, decisamente scomodi,
facevano da contrasto all’abbigliamento semplice e un po’ rozzo dei poveri, più pratico e adatto
alle diverse mansioni lavorative. Adesso, dopo la
rivoluzione del “pret à porter”, anche il modo di
vestire è diventato più “democratico”, ma è così
vero? Il non vestire “griffato” non diventa forse
pretesto per venire emarginato dal gruppo dei
propri coetanei? La moda di oggi non evidenzia,
forse più di ieri, la fragilità della nostra insicurezza di adolescenti?
Da questo punto di vista abbiamo riflettuto
sul significato delle divise di Martinitt e Stelline.
L’essere vestiti in modo analogo evitava qualsiasi forma di distinzione sociale ed era segno evidente dell’appartenenza a una comunità educativa, che svolgeva un’importante funzione di
riscatto e di reinserimento in quella società che li
aveva estromessi.
Degrado e lusso, povertà e ricchezza, sono
visibili non solo nel modo di vestire, ma anche
nel modo d’abitare, come ha potuto rilevare l’ultimo gruppo, occupandosi di come è cambiata la
casa negli ultimi due secoli. Le palazzine di una
volta, visibili ancora nel nostro territorio, sono
espressione di un’idea raffinata di bellezza; gli
spazi ampi, raccolti attorno al cortile interno e
chiusi allo sguardo indiscreto dei passanti, testimoniano come, intorno alle famiglie ricche, gravitasse un gran numero di servi e di come ci
fosse tempo per il relax e il divertimento.
L’appartamento moderno, al contrario, nello spazio limitato dei suoi scarsi metri quadrati, offre un
esempio della funzionalità dell’architettura
moderna: tutto deve essere utile, deve aiutare
nello svolgimento dei lavori domestici nel minor
tempo possibile.
Infatti la donna lavora e spesso si deve occupare anche della casa, quindi preferisce fare a
meno di qualche metro in più, che poi dovrebbe
organizzare… e poi i terreni edificabili sono sempre meno e la richiesta di nuove abitazioni sempre più alta! Anche oggi ci sono case più ricche e
case più povere, ma c’è parsa più umana la vecchia casa di ringhiera, che aveva il bagno fuori,
piuttosto che i palazzoni popolari di periferie
spesso degradate. Le prime infatti testimoniano
una vita di comunità, ricca di attenzione solidale,
dove tutti sapevano tutto degli altri e ciascuno si
impegnava a sostenere la fragilità dell’amico.
Oggi purtroppo un diffuso benessere o la ricerca
di facili oggetti di consumo rendono le persone
più sole ed infelici, perché spesso la povertà peggiore non è quella materiale…
Questi in sintesi i risultati più significativi della
riflessione che la nostra classe ha condotto grazie
al concorso promosso dagli organizzatori della
mostra “La vita fragile”. Proprio su questo aggettivo ci siamo soffermati, notandone tutti i molteplici significati e cercando di coglierlo in tutti i
suoi aspetti, nel passato e nel presente, come ho
cercato di mettere in luce sopra.
Sono sempre favorevole alle uscite didattiche, perché mi consentono di evadere dalla quotidiana routine scolastica, tuttavia questa volta la
visita della mostra e l’impegno che ne è derivato
con la partecipazione al concorso, indipendentemente dall’esito finale, mi hanno dato un’enorme soddisfazione, consentendomi di conoscere e
approfondire aspetti caratteristici del passato di
Milano e della mia città che mi erano totalmente
sconosciuti.
Matteo Marziali, 2F “Virgilio”
studente che bigia) o lo utilizza solo per sé ( la
signora che fa shopping).
Anche nel nostro testo il principe soccorre chi
è povero, ma abbiamo sostituito i poveri di allora, descritti da Wilde, con i poveri di oggi: un
mendicante, un orfano e un immigrato. Se al
primo può bastare (ma è davvero così?) un aiuto
prove dello spettacolo
sentare attraverso il teatro la “fragilità umana”. I
ragazzi di questo laboratorio stanno compiendo
un percorso espressivo che si propone l’analisi di
un racconto scritto da Oscar Wilde dal titolo “Il
principe felice”; cercano di riadattare i personaggi e le situazioni narrati nella storia, alle problematiche sociali ed economiche dei nostri giorni.
economico, agli altri due personaggi occorre
molto di più. L’orfano è in realtà un bambino
ricco che vede i genitori solo in fotografia, perché
troppo occupati nell’accumulare guadagni per
garantirgli una vita di agio. L’immigrato appare
chiuso nella solitudine e nella nostalgia di ciò che
ha lasciato, soffocato com’è dal grigiore della vita
Nel testo di Wilde, liberamente adattato teatralmente, la statua di un principe si commuove
alla vista dei mali presenti in una città, dove tutti
paiono unicamente presi dai loro interessi economici o politici. Egli si spoglierà progressivamente
di tutte le gemme che lo adornano e, con l’aiuto
di una rondine, cambierà la sorte dei poveri che
implorano aiuto. La città dell’autore inglese è
diventata la nostra città. Abbiamo creato dei
nuovi personaggi che mettessero in evidenza le
contraddizioni di oggi e perciò nella folla abbiamo dato un volto a chi corre frenetico e non ha
tempo per gli altri (l’uomo d’affari, la segretaria),
a chi è arrabbiato perché i suoi diritti non vengono rispettati (l’operaio alla manifestazione), a chi,
pur avendo tempo, non ne capisce il senso (lo
cittadina. Il finale dello spettacolo sarà perciò problematico e, se vorrà suggerire una risposta (nel
ballo finale in cui tutti sono coinvolti, lasciando un
attimo in sospeso le proprie occupazioni), in realtà porrà una domanda a ciascun spettatore.
Rielaborare il testo di Wilde e cercare di rappresentarlo attraverso il teatro è piuttosto difficoltoso, ma porta a momenti di riflessione e anche
di gioco tra ragazzi . Gli studenti stanno mettendo
in scena questo lavoro, nella speranza di far comprendere come la drammatizzazione sia anche un
modo per far riflettere, attraverso un momento
giocoso, sulle nuove fragilità del nostro tempo.
Sara Magnani, Cristina Gurgone , 2F “Virgilio”
Marzo 2008
La Cooperativa “il Carro”
Il 5 febbraio gli alunni della classe 2B
hanno fatto visita alla Cooperativa Sociale “Il
Carro”. Appena entrati sono stati accolti dal
presidente di questa Cooperativa e da una
educatrice, che, dopo averci fatto prendere
posto attorno ad un tavolo, si sono preparati a
rispondere alle nostre domande.
Prima di tutto abbiamo chiesto come è
nata questa Cooperativa; ci ha risposto il presidente, dicendoci che circa 35 anni fa dei
ragazzi di sedici anni sono stati chiamati dal
Parroco di Paullo, che ha chiesto loro se potevano fare compagnia ad alcuni ragazzi disabili ogni 15 giorni. Essi accettarono, ma inaspettatamente ciò che era nato da un invito del
sacerdote, si è trasformato in un’amicizia forte
e duratura. Dopo circa 15 anni è proprio dalla
necessità di quegli ormai adulti di trovare un
lavoro, che nasce l’idea della Cooperativa
Sociale, al cui interno il 60% del personale è
disabile; attualmente la Cooperativa ha diciotto lavoratori, più alcuni volontari. La giornata
si svolge così: il lavoro inizia alle ore 8.30 e
finisce alle 17, ma ci sono due pause, una alle
10,30 ed una alle 12 per il pranzo.
Passaggi di tempo
15
Abbiamo
chiesto
all’educatrice che lavori
svolgessero i lavoratori; ci
ha risposto dicendo che si
occupano di trasporti, pulizie per i Comuni, della cura
dei giardini, ma svolgono
anche lavori manuali, confezionando oggetti vari,
bomboniere e particolari
riproduzioni di quadri
famosi, secondo la tecnica
degli “strappi”; tuttavia
l’educatrice ha sottolineato
che questa cooperativa
non è una scuola, anche se
alcune persone hanno
imparato un lavoro.
Abbiamo chiesto al
presidente se era fiero del risultato dei lavoratori; ci ha risposto dicendo che oltre ad esserne fiero, è anche contentissimo del prodotto
finale, e di aver dato un lavoro a persone che
in quanto tali hanno bisogno di lavorare.
Infine abbiamo chiesto perché questa cooperativa si chiama “Il Carro” e a chi è dedicata;
ci è stato risposto che il nome è riconducibile
al mezzo, una volta di uso comune, utilizzato
nei lavori soprattutto agricoli; quindi una cooperativa dove si lavora, non può chiamarsi in
altro modo. La Cooperativa è dedicata alla
Madonna del Rosario; infatti fuori dall’edificio
abbiamo trovato un piccolo monumento che
la raffigura. Dopo l’intervista, l’educatrice e il
presidente ci hanno accompagnato a vedere e
conoscere i lavoratori, che svolgono lavori
semplici ma essenziali. Infine abbiamo potuto
osservare in cosa consiste la tecnica degli
“strappi”, per la quale occorre prendere un
foglio di compensato e intonacarlo; su di esso,
quando è asciutto, si applica una stampa e si
ricopre con una sostanza patinata per rendere
uniforme il prodotto finale.
Gianluca Gazzaniga - 2B “Virgilio”
Le mie riflessioni
Ci sono momenti in cui un uomo, per
qualche motivo, cade in depressione, pensa
che non valga più la pena di vivere. In quei
momenti servono persone che ti tendano
una mano e ti offrano il loro aiuto per tornare alla serenità quotidiana. E questo è quello
che è successo e succede a chi siamo andati
a trovare martedì 5 febbraio a Paullo, presso
la cooperativa sociale “Il Carro”.
Dopo questa uscita ho riflettuto molto
sullo stato d’animo di queste persone, e
penso che la cooperativa abbia cambiato
loro la vita, perché ora non si sentono più
inutili, anzi, sono felici di aver qualcosa da
svolgere, come tutte le altre persone della
terra. Ho provato a mettermi nei loro panni;
certo, hanno avuto
degli ostacoli da
superare (chi non ne
ha!); ma io non
credo che la loro
possa essere definita
una “vita fragile”.
Per me la “vita
fragile” è una vita
maltrattata, indifesa
e non apprezzata per
quello che è. La vita
fragile è una vita
buia, che non trova
una via d’uscita;
però mi sembra che
questi ragazzi l’abbiano già trovata,
una ragione di vivere. All’interno della
cooperativa
una
ragazza ha detto di
sentirsi felice, perché
la mattina va a lavorare; è perché vuole
sentirsi una persona
qualunque, e sa di
poter essere tale.
Questa uscita mi ha insegnato che la felicità
si può trovare stando con persone che non
guardano le tue caratteristiche fisiche, ma
dritto al cuore.
Un proverbio dice “ non è forte chi non
cade, è forte chi, cadendo, ha il coraggio di
rialzarsi”. Credo che dopo essere sprofondati
nella depressione, sia difficile riaffiorare in
superficie, e che ci voglia tanta forza.
Secondo me tutta questa forza e tutto questo
coraggio vengono ricompensati dalla felicità
che viene trovata e che traspare dai visi sorridenti di queste persone.
Valentina Gallipoli - 2B “Virgilio”
La Galleria non è solo MODA,
è anche un centro d'aggregazione.
Un laboratorio di idee, di promozione culturale
e di iniziative a scopo benefico
sul nostro territorio.
Sono orgogliosa di sostenere
La Galleria - via Dante, 2
Peschiera Borromeo - Mi
tel. 02.55.300.716
le attività promosse
dall'Istituto Comprensivo De Andrè!
Carla Bruschi
Passaggi di tempo
Marzo 2008
16
Un ex Martinin
nella nostra scuola
Un grande e doppio
gesto d’amore
Intervista a Roberto Zanetti, cittadino
di Peschiera, già ospite dei Martinitt
Intervista ai coniugi Lucia e Andrea Villa,
che hanno in affido due ragazzi
Roberto Zanetti é un uomo dall’aspetto
solido, ma quando entra nella nostra aula,
pronto a rispolverare i ricordi della sua infanzia da “Martinin”, il suo volto tradisce l’emozione. Oggi ha 54 anni, é sposato, ha due figlie
e un lavoro in banca: una vita normale. La
sua infanzia però, paragonata alla nostra, é
stata tutt’altro che normale: orfano dei genitori, all’età di 10 anni é entrato nel collegio dei
Martinitt di Milano, dove è rimasto per sette
anni.
Gli chiediamo di raccontarci della sua
esperienza in Istituto: “Eravamo circa 500, la
vita per certi versi era dura, c’era una forte
disciplina. Spesso dipendeva dagli educatori:
alcuni erano molto rigidi e severi, altri più affabili e benevoli. La giornata era scandita dagli
orari: sveglia alle 7 (dormivamo in camerate di
20-30 ragazzi), ciascuno rifaceva il letto e riordinava le proprie cose, poi tutti in fila nei
Di solito i ragazzi orfani, o figli di famiglie
poco agiate o in difficoltà, vengono ospitati
negli Orfanotrofi. Fortunatamente ci sono persone che si prendono cura di questi ragazzi e
ottengono di poterli inserire nelle proprie famiglie, dove la vita e il “clima” sono sicuramente migliori. E’ il caso di Lucia e Andrea Villa,
due coniugi di Peschiera Borromeo; noi abbia-
Roberto Zanetti con la Redazione
bagni, colazione al refettorio, poi si andava
nelle aule a studiare. Dopo il pranzo avevamo
due ore di ricreazione, durante le quali giocavamo a calcio, a pallacanestro e così via, quindi tutti di nuovo a studiare. La TV si guardava
solo qualche volta dopo cena: di solito si giocava con le biglie e con le figurine. Alle 21 si
andava a dormire, si spegnevano le luci”.
A questo punto gli chiediamo di parlarci
dei suoi ricordi: “Tra i ricordi più belli ci sono
gli amici, il periodo nella cosiddetta Nazionale
di calcio dei Martinitt, o anche nella Banda
musicale dei Martinitt, dove suonavo la cornetta. Ricordo con piacere anche i momenti
nella Casa-vacanze di Piano Rancio (sopra
Erba), un posto bello con grandi spazi verdi in
cui si organizzavano cacce al tesoro e altri giochi. Poi c’era il Natale, con la festa nel grande
salone e l’apertura dei regali offerti dai vari
benefattori”. Un altro ricordo è legato alle uniformi: “Ne avevamo ben quattro, per le diverse occasioni, le ho ancora perfettamente in
mente, come lo stemma cucito sulla divisa più
bella: Rondine e Calibro”.
Dei ricordi tristi Roberto però non parla; ci
confida che perfino le sue figlie, per rispetto e
discrezione, non sono mai volute entrare nei
dettagli della sua storia. Io volevo tanto
domandargli dei suoi momenti più malinconici, ma ho notato che aveva un certo pudore a
parlarne, e così mi sono sentito di rispettare la
sua riservatezza.
Oggi Roberto Zanetti
parla positivamente della sua esperienza di ex
Martinin: l’abitudine alla
disciplina lo ha reso
quello che è oggi, gli è
stata data l’opportunità
di farsi degli amici, di
studiare, di integrarsi e
di trovare un lavoro.
Un’altra considerazione
che egli fa, riguarda i
benefattori che, con
generosità, finanziavano
il Collegio dei Martinitt:
questi filantropi, oltre a
fornire aiuti al Collegio,
offrivano lavoro ai
Martinitt nelle loro fabbriche, botteghe o uffici (Roberto dice: “Ci
sentivamo fortunati...”). Si trattava delle famiglie più importanti di Milano; essi infatti erano
industriali, imprenditori e nobili che sentivano
molto il valore dell’assistenza e della solidarietà. Erano espressione di una città come
Milano che credeva ancora che a tutti andasse
offerta una opportunità per integrarsi nella
società.
Francesco Basti, 2C “Virgilio”
Redazione: Daniela Falcone, Stefania
Giambelli, Tina La Rossa, Sergio Leondi,
Silvia Maggi, Ortensia Passalacqua,
Giuseppina Torsello
Impaginazione: Alessandro Robecchi
Quindicinale “7 giorni”, Sergio Leondi
Tipografia: Stem Editoriale S.p.A.
Via Brescia, 22 - 20063 Cernusco S/N Milano
Tel. 0292104710
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Responsabile del Giornale
Prof. Sergio Leondi
Fotografie: Flavio Giacomessi
Segreteria di redazione: Michela Cioli,
Alice Labbozzetta, 2D “Virgilio”
Istituto Comprensivo Statale
“Fabrizio De André”
Via Carlo Goldoni 1,
Peschiera Borromeo (Milano)
e-mail: [email protected]
Fax: 0251650184
Passaggi di tempo
Laboratorio di Giornalismo
Titolare: Prof. Sergio Leondi
Classi Seconde e Terze, Scuola Media
“Virgilio”: Francesco Basti, Federica Bettini,
Michela Cioli, Giorgio Dell’Orto, Federico
Fiamberti, Gianluca Gazzaniga, Alice
Labbozzetta, Valentina Ontani, Guglielmo
Oselladore, Mattia Sala, Rebecca Trevisani.
ti e adottati; questa associazione metteva a
disposizione psicologi e legali per le varie pratiche burocratiche. Un giorno questa associazione chiamò i Villa per chiedere loro se potevano prendere in affido Meron, un ragazzo eritreo arrivato in Italia con il padre, il quale lo
aveva lasciato in un Istituto a causa di problemi economici.
La famiglia Villa
mo avuto il piacere di intervistarli l’11 dicembre 2007.
Essi ci hanno raccontato la loro storia:
tutto ebbe inizio sei anni fa, quando conobbero una coppia di sposi che aveva preso in affido tre ragazzi; essi raccontarono ai coniugi
Villa tutte le pratiche che avevano dovuto sbrigare; tuttavia i signori Villa, allora, erano sicuri che non avrebbero mai adottato o chiesto in
affido un ragazzo. E invece…
L’anno dopo successe una disgrazia qui a
Peschiera Borromeo: morì l’unico genitore
rimasto ad un ragazzo, Alessandro; disperato,
egli cercava una famiglia nel nostro Comune,
perché non voleva staccarsi dalle sue origini;
inoltre qui c’erano i suoi amici, l’unica cosa
che lo confortava. Ai signori Villa tornò in
mente la famiglia che aveva adottato tre
ragazzi: dopo averne discusso con i propri
due figli naturali Daniele e Sara, decisero di
prendere in affido Alessandro. Hanno perciò
dato la loro disponibilità al Comune il quale,
avendoli ritenuti idonei, affidò loro ufficialmente Alessandro; questi accettò la soluzione
con gioia.
Dopo tre anni che Alessandro viveva con
loro, i Villa si iscrissero a una Società di
Crema che trattava di ragazzi e ragazze affida-
Così i coniugi Villa si sono recati presso
questo Ente per conoscere meglio Meron:
appena lo hanno visto hanno provato sofferenza per le sue condizioni psico-fisiche, e
quindi hanno deciso di prendere anche lui in
affido, per dargli affetto e sostegno; ne parlarono alla propria famiglia: i loro figli furono
subito convinti. Alessandro all’inizio era un po’
geloso, ma alla fine anche lui si convinse,
quando sentì questa frase detta da Lucia e
Andrea: “Dopo che arriva un fratello, l’amore
dei genitori non viene diviso per due, ma raddoppia”.
Quando Meron arrivò, aveva undici anni:
ancora oggi è con loro. Al compimento dei 18
anni sia Meron che Alessandro dovranno decidere se continuare a rimanere in famiglia con
i Villa, oppure no: sia Andrea che Lucia hanno
detto ai due ragazzi che quella in cui essi vivono è la loro casa, pertanto possono restare
tutto il tempo che desiderano.
Questo grande e doppio atto d’amore ha
reso e rende felici Lucia e Andrea, come i loro
due figli naturali. Alessandro e Meron, grazie a
loro, possono ricevere ancora l’amore ed il
calore di una famiglia.
Gianluca Gazzaniga, 2B “Virgilio”
Dirigente Scolastico
Prof. Giuseppe Facciorusso
Tel.
Tel.
Tel.
Tel.
Tel.
Tel.
Tel.
Direzione: 025470172-025470527
Scuola Media “Virgilio”: 025470797
Scuola Media di San Bovio: 027532831
Primarie Bettola: 025470402
Primarie San Bovio: 027531431
Materne Bettola: 025471076
Materne San Bovio: 027532829
SOCIETA' COOPERATIVA A.R.L. FONDATA NEL 1952
Via Due Giugno, 2-4 - 20068 - Peschiera Borromeo (Mi)
Tel. 02.51.65.03.67 - 02.55.30.15.11 - 02.55.30.34.92
fax 02.55.30.15.29 - [email protected] - www.coopcel.com
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n° 7 – marzo 2008(dimensioni 18.6 MB)