Chi siamo L&M - i Luoghi e la Memoria - associazione dei ricercatori di storia locale del Piemonte - è nata il 28 marzo 1998 ed è iscritta al Registro regionale del Volontariato. L&M ha lo scopo fondamentale di : - favorire la ricerca storica locale e valorizzare il patrimonio culturale esistente sul territorio piemontese. promuovere l'istituzione di Centri di Documentazione Storica Locali, strutture pubbliche al servizio della collettività. L&M svolge una funzione di servizio per tutti coloro che si occupano di ricerca storica locale (gruppi informali, associazioni formalmente costituite, singoli studiosi) perciò: - offre collegamento ed informazione a gruppi, associazioni e singoli - pubblica una rivista - sta per aprire un sito internet - organizza convegni a tema e seminari - censisce i gruppi, le associazioni e i singoli operanti nel campo della ricerca storica locale in Piemonte - promuove tra tutti gli interessati la formulazione di una proposta di legge regionale istitutiva dei Centri di Documentazione Storica Locali - promuove il coordinamento di iniziative sul territorio Per far fronte ai costi delle attività di servizio L&M si basa su contributi della Regione Piemonte e di eventuali altri enti pubblici, sulle quote associative e su auspicabili contributi di privati. Chiunque si occupi di storia locale è invitato ad associarsi, sia come singolo, sia come rappresentante di un gruppo. Comitato direttivo di L&M Diego Robotti - Presidente Milena Gualteri Tarsia - Vice-Presidente e Segretaria Francesco Lucania - Tesoriere Valeria Calabrese Feliciano Della Mora Giampaolo Fassino Simona Gianoni Gino Giorda Silvio Montiferrari Pietro Ramella Dario Seglie tel. 011 7495256 tel. 011 9989225 tel. 011 8191140 tel. 011 6611418 tel. 011 5807843 tel. 011 9874644 tel. 0321 863820 tel. 0124 515187 tel. 011 9340648 tel. 0125 51130 tel. 0121 58050 Redazione della Rivista L&M Pietro Ramella (coordinatore) - Valeria Calabrese, Feliciano Della Mora, Leonardo Gambino, Silvio Montiferrari, Diego Robotti. Rivista di L&M - Associazione dei ricercatori di storia locale del Piemonte Anno IV, n. 4 - gennaio 2002 gennaio 2002 Sommario Dal Museo Etnografico all’Ecomuseo, di Pietro Ramella. . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 Stoviglie e vasellame popolare nella tradizione, di Gino Giorda . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Le case con i solai a pannelli di gesso in Piemonte: influenze sul paesaggio e l’urbanistica, di Enrica Fiandra; premessa di Gianpaolo Fassino . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 L’Atlante Toponomastico del Piemonte Montano, di Gabriella Chiapusso . . . . . . . . . . . 11 Il laboratorio di toponomastica di L&M, di Lucetta Fontanella . . . . . . . . . . . . . . . 12 Verso il “Museo del Trasporto ferroviario attraverso le Alpi”, di Sergio Sacco . . . . . . . . . 14 I Terrazzamenti: un Convegno del C.A.I., di Bruno Tessa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 Di fronte al degrado della montagna, di Silvio Montiferrari . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 Mostra-mercato dell’Editoria Canavesana, di Pietro Ramella. . . . . . . . . . . . . . . . . 17 Notizie dalle Associazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L’Associazione “Comunicando”, di Maria Teresa Gavazza . Ancêtres Italiens”, di Marc Margarit . . . . . . . . . . . . L&M – I Luoghi e la Memoria - Assemblea . . . . . . . . Recensioni Ecomuseo, la nuova frontiera, di Feliciano Della Mora . . . I Piloni di Cavour, di Catterina Maurino . . . . . . . . . I nostri libri. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 19 19 20 . . . . . . . . . . . . . . . 21 . . . . . . . . . . . . . . . 22 . . . . . . . . . . . . . . . 23 Dal Museo Etnografico all’Ecomuseo N civiltà contadina, dell’artigianato, delle miniere, dei mezzi di trasporto e delle macchine. Si tratta del maggior fenomeno di musealizzazione registrato in Italia in un arco di tempo limitato. Anche il Piemonte è stato coinvolto da questo fenomeno, con 70 musei operativi, come documentato nello studio “Guida ai Musei Etnografici Italiani” (Oelschi, Firenze nel 1997). Attualmente il numero dei musei e collezioni etnografiche sul territorio piemontese, anche a seguito della Legge Regionale 14 marzo 1995, n. 31 dal titolo “Istituzione di Ecomusei in Piemonte”, è aumentato. Un problema che ora si pone è quello di qualificare queste collezioni con lo studio e la schedatura dei reperti, allestimenti museali gradevoli e con impostazione didattica, al tempo stesso evitando i “musei-fotocopia”. Il passaggio dalla collezione etnografica all’ecomuseo, nel suo significato e valore effettivi, è importante. Costringe gli addetti al la- ella seconda metà del Novecento dopo la ricostruzione del nostro Paese dalle ferite profonde inferte dalla II guerra mondiale, si assiste a uno sviluppo tumultuoso delle attività industriali, artigianali, edili, agricole e dei servizi. La dinamica di questo processo economico, carente di pianificazione, provoca lo sradicamento di milioni di Italiani, dal Sud al Nord, dal Nord-Est al Nord-Ovest, dalle campagne alle città. Vecchie macchine, strumenti per il lavoro e oggetti per la vita quotidiana obsoleti, mezzi di trasporto superati, reperti significativi del passato vengono abbandonati o distrutti. La furia innovatrice di un progresso tumultuoso cancella in pochi decenni testimonianze di vita e di lavoro, attestate da secoli. Per salvare dalla distruzione macchine, strumenti, reperti del passato, nascono con l’impegno di persone sensibili non soltanto alle forme d’arte d’elite, centinaia di musei della 1 gennaio 2002 - Ecomuseo del Lago d’Orta e Mottarone, Pettenasco (No) - Ecomuseo del Biellese voro a progettare strutture museali con impostazioni e contenuti innovativi, con un’ottica più ampia: dall’ambiente geo-fisico alla storia, dall’arte ai monumenti, dal lavoro alla vita sociale, dalla cultura alla religione. In considerazione di queste complesse problematiche; si è ritenuto importante organizzare un ciclo di incontri seminariali relativi al Museo ed all’Ecomuseo. Le lezioni, tenute da docenti universitari e da esperti di museologia e di museografia, si sono tenute ad Ivrea, presso FO.R.UM., dal gennaio all’aprile 2001. I temi generali affrontati sono stati: metodologie di ricerca (archivi-fonti orali), metodologie di allestimento, la conservazione, didattica museale, gestione di un museo, i musei italiani, l’ecomuseo. Han preso parte ai seminari 85 allievi, provenienti dalla Provincia di Torino, Valle d’Aosta, Vercellese, Novarese e Alessandrino. Nel giugno 2001 è stato presentato il volume “Ecomuseo, la nuova frontiera”, con testi sui seminari tenuti e con schede su musei esistenti in Canavese (vedere la recensione, in questo numero della Rivista L & M). I seminari e la pubblicazione del volume sono stati sostenuti da VSSP - Centro Servizi per il Volontariato - Torino, FO.R.UM. - Formazione Risorse Umane - Ivrea, Associazione Amici Museo del Canavese - Ivrea. Contributo per la promozione dei seminari è stato fornito anche da L & M. Presentiamo di seguito gli Ecomusei sostenuti dalla Regione Piemonte e le iniziative ecomuseali che fan parte del Progetto Cultura Materiale della Provincia di Torino: Provincia di Torino - Ecomuseo del Rame, Alpette - Museo Mineralogico, Brosso - Ecomuseo della lavorazione della canapa, Carmagnola - Ecomuseo della Resistenza in Alta Val Sangone, Coazze - Ecomuseo della Resistenza al Col del Lys, Rubiana - Villaggio Leumann, (Stazionetta), Collegno - MAM, Museo a cielo aperto dell’architettura moderna, Ivrea - Ecomuseo della castagna, Nomaglio - Scopriminiera, Prali - Fucina, Ronco Canavese - Ecomuseo della Resistenza di Angrogna - Ecomuseo della pietra di Rorà - Ecomuseo delle Miniere di Traversella, Traversella. Pietro Ramella Bibliografia RAMELLA P. (a cura di), Ecomuseo, la nuova frontiera, Ivrea, Bolognino, 2001. Regione Piemonte - Ecomuseo della Segale, Valdieri (Cn) - Ecomuseo della Pastorizia, Demonte (Cn) - Ecomuseo di Cascina Moglioni, Bosio (Al) - Ecomuseo di Terrazzamenti e della Vite, Cortemilia (Cn) - Ecomuseo del basso Monferrato Astigiano, Montechiaro (At) - Ecomuseo dell’Alta Val Sangone, Coazze (To) - Ecomuseo C. Romean, Salbertrand (To) - Ecomuseo del Freidano, Settimo Torinese - Ecomuseo delle Terre d’Acqua, Vercelli 2 gennaio 2002 Stoviglie e vasellame popolare nella tradizione I Nel 1634 la città di Torino impone un dazio sulle “pignate di Castellamonte, vernisate, grandi, mezzane, ordinarie, sulle ”gavie di terra vernisata e ordinaria", sui piccoli vasetti detti topini, nonché sui “limbes” e sui vasi di terra. 3 Da sempre, dalla preistoria sino a poche decine di anni fa, le umili suppellettili di terracotta rossa delle nostre colline sono state tra gli oggetti più utili e più diffusi nelle nostre case: non avevano particolari pregi estetici, si rompevano facilmente, ma costavano poco e tutti, anche i più poveri, potevano permetterseli. Per molti aspetti i ciap, per secoli, sono stati forse gli amici più fedeli e più utili per le nostre madri e sorelle, e le scodelle rosse, piene di latte appena munto o di frizzante vino dei nostri colli, hanno allietato le labbra dei piccoli e stimolato le ugole dei grandi. Nelle dure fatiche dei campi o vicino alle ardenti fornaci dei vasai, il piceul ha conservato ben fresca l’acqua anche quando il sole bruciava e nei ciap, le stoviglie di terracotta, come tutti sanno, si rompono con molta facilità e non è facile conservarle per anni o secoli, quindi abbiamo ben pochi reperti intatti di uso comune; invece i frammenti più o meno minuti di ceramiche sono molto numerosi e, negli scavi archeologici, costituiscono sovente uno degli elementi più validi e sicuri per determinare l’età dei ritrovamenti. Cocci preistorici, di epoca romana o medioevale sono stati trovati in abbondanza nel Canavese in epoca più o meno recente e qualche mio amico continua a trovarne con discreta frequenza anche ai giorni nostri. 1 A tutti quelli che si interessano di storia locale sono ben noti i documenti medioevali eporediesi che nel 1309 impongono un dazio (curaja) sui griletti (grelinetorum), sulle scodelle e sulle conche (parasidium et tresociorum) e sui dogli (ollae) che transitavano sul ponte del Canavese e con grande probabilità arrivavano proprio da Castellamonte 2. Castellamonte (To). Le maestranze della premiata ditta Antonietti, fabbrica di ceramiche. 3 gennaio 2002 crotin dei pastori la panna si depositava copiosa nelle gavie, mentre nelle facioire i tomini si cagliavano scolando il latticello. In effetti le stoviglie di terracotta hanno aiutato l’uomo in un’ampia varietà di lavori: nei cataloghi dei nostri artigiani ancora poco più di cinquant’anni fa erano illustrate una cinquantina di stoviglie di uso comune 4, ma indubbiamente molti altri tipi ne esistevano e vengono ricordati in pubblicazioni specializzate 5 o, fino a qualche decennio fa, dalla memoria di chi li aveva abitualmente utilizzati. La terracotta locale più nota e tradizionale è indubbiamente la pignatta o copat, che oggi costituisce il marchio DOC per le ceramiche castellamontesi. Ha il corpo globulare su base piatta, quattro orecchiette o piccole anse verticali a sezione circolare, contrapposte con un coperchio convesso munito di pomello. Serve a cuocere lentamente i cibi nel forno oppure appoggiata sulla piastra delle stufa. Famosa e vanto della cucina canavesana è la tofeja, saporita minestra di fagioli cotti molto lentamente nella pignatta con cotiche di maiale arrotolale e ben pepate (quajette) o salamelle, nota al punto che talora, nei manuali di cucina, la stessa pignatta viene chiamata tofeja . Questa pentola costituisce ancora oggi la produzione più importante dei nostri bravi artigiani che, in qualche elaborazione, raggiungono livelli di espressione veramente artistici. In passato altre due pentole venivano pure chiamate pignatte: si trattava di recipienti usati soprattutto per cuocere la minestra sulla piastra o nel foro circolare della stufa, a contatto diretto con la brace, avevano corpo cilindrico o tronco conico, talora con due sezioni oppure con un anello esterno che consentiva di infilare la stoviglia nei fori della stufa, in modo da accelerare la cottura . Vicino al bordo superiore due anse verticali contrapposte fungevano da manici. Ovviamente alluminio e acciaio hanno fatto scomparire del tutto queste due pentole ed è piuttosto difficile trovarne ancora qualche esemplare. Il fojòt, altro recipiente molto usato, è un tegame con corpo bombato, beccuccio versatore e manico troncoconico, un po’ obliquo . Serve per gli stufati e in particolare per preparare la bagna caoda, saporito intingolo tipicamente piemontese. Dopo la preparazione, per tenere la salsa ben calda, il fojòt veniva posto, direttamente sul tavolo, sopra un piccolo braciere di terracotta detto s-cionfetta e tutti i commensali, con una specie di rito, vi intingevano le verdure preferite: peperoni, finocchi, sedano, cardi, topinambur. È una versione molto piemontese e più economica, ma non meno allettante, della famosa bourguignonne d’Oltralpe. La classica casseruola (casarola), per la cottura della carne, ha corpo cilindrico, un po’ ristretto verso l’alto, base piatta e manico leggermente ingrossato all’estremità . Il pailet è un padellino a forma troncoconica rovesciata, con orlo estroflesso e manico allungato e strombato: viene usato in particolare per friggere le uova al burro . La pitera, detta anche carpionera non è una stoviglia molto comune: ha corpo ovale,fondo piatto e due anse orizzontali contrapposte. Il coperchio è bombato con un grande pomello schiacciato alla sommità . Serviva per la cottura dell’anitra, del tacchino (pito) e del pesce che poi veniva marinato con aceto, cipolle, salvia e altre erbe. Taluni rari esemplari ottocenteschi, oggi rielaborati con maestria dai nostri artigiani, hanno decorazioni esterne in rilievo che conferiscono alla stoviglia una certa valenza artistica. La terracotta più diffusa e comune era certamente il piatto piano o più facilmente fondo, poiché la minestra era sempre la base di ogni pasto. Veniva anche chiamato “biellina”, dal maggior centro di produzione, Ronco biellese. Data la fragilità se ne trovano ben pochi esemplari intatti . Uno degli oggetti più eleganti e caratteristici era la particolare boraccia da parete che serviva a contenere in particolare l’aceto ed in dialetto è infatti chiamata asilera. Di forma circolare, aveva il lato posteriore piatto, quello anteriore semisferico, appiattito, talora decorato da filetti ad andamento ondulatorio. Superiormente vi era un beccuccio cilindrico con orlo rigonfio per il riempimento e due anse per poter appendere il recipiente al muro. Anche questo contenitore è stato rielaborato dai nostri bravi artigiani con risultati di rilievo. 4 gennaio 2002 5 gennaio 2002 Un altro recipiente di forma ricercata ed elegante è la brocca per l’acqua detta piceul. Ha forma globulare con strozzatura al collo e orlo doppio, manico ad ansa posto superiormente e beccuccio versatore troncoconico . Normalmente viene invetriato ma gli esemplari più classici non sono verniciati poiché la porosità naturale della terracotta permette l’evaporazione dell’acqua, che si mantiene più fresca. I duj, dogli o orci, costituivano una produzione di notevole importanza e vi sono documenti nell’Archivio storico comunale che parlano di spedizioni, a dorso di mulo, persino in Svizzera. Nella seconda metà dell’Ottocento se ne produrranno anche di ottimo gres, assai apprezzati per la conservazione ottimale di prodotti chimici. I dogli hanno generalmente corpo cilindrico, rastremato verso l’alto e la base, oppure hanno corpo ovoidale che si restringe sensibilmente verso la base. I primi hanno una strozzatura verso la bocca, orlo estroflesso e due anse orizzontali, piene e contrapposte, con fasce incise e ondulate nella parte superiore del corpo; i secondi hanno bordo tumido e quattro anse diametralmente opposte, applicate subito sotto l’orlo. Tutti questi manufatti sono invetriati e sovente verniciati all’esterno con color marrone . Erano usati per la conservazione di molti alimenti, dai peperoni in salamoia ai ben noti “salam d’la doja” conservati nel grasso, dalla farina alle uova conservate nell’acqua salata. Sovente avevano un coperchio, ma talora venivano chiusi con una lastra di pietra. Un particolare doglio era l’olla (ola), di forma globulare, con strozzatura al collo e orlo estroflesso, che poteva essere anche di notevoli dimensioni. Serviva soprattutto per contenere nei negozi e nelle case cereali, farina ed anche olio e altri liquidi pregiati. Le burnìe, contenitori cilindrici, con base piatta, bordo rigonfio e coperchio a buona tenuta, verniciate internamente, servivano in particolare a conservare le acciughe sotto sale e la mostarda d’uva . Un’ altra stoviglia universalmente nota e popolare, sempre presente e... circolante nelle gaie compagnie dei buontemponi e nei gruppi corali era ed è tuttora la classica scodella di terra rossa, realizzata con pura argilla delle cave locali ed invetriata con una vetrina trasparente . Ovviamente i barattoli (arbarele), ovvero i contenitori di alimenti e generi vari, erano parecchi e di svariate misure. Il topin, già citato come “topino” nei dazi dei 1600, aveva corpo troncoconico con coperchio a incastro e pomello centrale. Dopo la prima cottura veniva decorato con una “sberlata” o con gocce di vernice. Nel secolo XIX, dogli, orci, olle, burnie e topin vengono anche prodotti in gres e invetriati per salatura nel forno ad oltre 1100 gradi con caratteristiche molto vicine al vetro. Le conche (gavie) hanno corpo troncoconico rovesciato, su base piatta ed erano di molte dimensioni . Venivano utilizzate per la schiumatura della panna per fare burro e latticini, per la preparazione dei cibi, per travasare il vino, per contenere in via temporanea alimenti, frutta e verdura ed anche per la lavatura di indumenti, verdura, oggetti vari (l’acqua e i lavelli nelle case sono conquiste molto recenti) e per i laboriosi bucati delle nostre nonne, quando non c’era il mastello classico di legno. Una stoviglia di uso particolare, che non ha, forse, un corrispettivo oggetto attuale e di cui non saprei fornire il termine italiano, è la faciora, recipiente cilindrico, di varia misura, verniciato, con le pareti laterali bucherellate. Serviva per preparare i latticini, i tomini, i formaggi freschi, e i buchi laterali permettevano lo scolo del latticello . Tutte queste stoviglie sono illustrate nei cataloghi dei fratelli Rolando e di Buscaglione, ma ve ne sono ancora molte altre: i salvadanai, regalati abitualmente ai bambini, le botticelle per il trasporto del vino, vasi e cassette di ogni dimensione, dal vasetto per i piantini da trapianto ai vasoni per i limoni. Senza entrare nel vasto campo delle stufe, vanto specifico di Castellamonte, vorrei ancora ricordare le piccole terrecotte con funzioni di riscaldamento minimo. Il “fogon”, braciere, fornelletto, era presente in tutte le case ed era la stufetta minima ed economica, accessibile a tutti per cucinare qualcosa rapidamente e riscaldarsi un po’. Ha forma troncopiramidale rovesciata, talora con figurazioni a rilievo a 6 gennaio 2002 domestico a Castellamonte, da cui ho tratto gran parte delle notizie tecniche. È comunque indubbio che i ciap sono stati per molti secoli tra gli strumenti più utili all’uomo, facilmente reperibili e fabbricabili e non privi di una loro dignità funzionale e talora persino artistica. In ogni caso sono sempre stati oggetti pacifici e mai, credo, utilizzati come armi o per scopi offensivi, al massimo qualche brava massaia infuriata avrà scagliato qualche piatto contro il marito poco cortese e prevaricatore. Ed ora che la mensa dei nonni è stata imbandita, buon appetito a tutti con “salam d’la doja, carpionà d’ trote, tofeja, pito fricasà, siole pine, martin sec al vin e na bona scuela d’ vin dij nos bric”. foglia di acanto, all’interno vi è una lastra forata per appoggiarvi la brace, sulla parte anteriore un’apertura per la ventilazione ed è sostenuto da quattro piedini . Sulla lastra forata veniva posta un po’ di brace oppure veniva acceso un mucchietto di sterpi o di legno a piccoli pezzi ed il recipiente con il cibo veniva appoggiato sul bordo superiore. Un fornello più piccolo e facilmente trasportabile era la s-cionfetta, specie di piccolo canestro in terracotta atto a contenere la brace: poteva avere un manico cilindrico orizzontale oppure addirittura un manico sovrapposto come nei canestri e questo era usato soprattutto dai commercianti ambulanti, dai carrettieri e da coloro che lavoravano all’aperto per avere un po’ di calore e riscaldarsi almeno le mani . Ricorderei ancora due terrecotte tipiche con funzioni di riscaldamento che ho ancora visto usare nella mia famiglia. Lo scaldapiedi (crus) era una specie di bottiglia con un lato piatto e con un foro, chiuso da un tappo, nella parte superiore . Riempito d’acqua bollente serviva abbastanza bene a riscaldare i piedi, soprattutto alle donne che passavano lunghe ore a far maglia e cucire indumenti. Talora veniva messo direttamente sotto le coperte per scaldare il letto. Per questa specifica funzione si usava in particolare una specie di tegame, aperto superiormente, detto “previ”. È questo uno dei ricordi più vivi della mia infanzia. Il previ, riempito di brace possibilmente di legno duro o di tutoli del granoturco (i lovaton) che duravano di più, veniva posto nella “mugna” (monaca), sorta d’intelaiatura di legno che teneva sollevate le coperte del letto. La sensazione, quanto mai piacevole, di infilarsi in un letto caldissimo, dopo essersi rapidamente spogliato nella stanza più o meno gelida, è tuttora, dopo settanta e più anni, indimenticabile. La rassegna delle stoviglie e delle terraglie domestiche non è certamente completa perché molti oggetti sono scomparsi non solo dall’uso quotidiano ma anche dai ricordi dei superstiti; e ringrazio in modo particolare la signorina Katia Gianotti, brava modellatrice del laboratorio di Roberto Perino e Silvana Neri, che ha messo a mia disposizione l’ottima sua ricerca sulla produzione di vasellame Gino Giorda BIBLIOGRAFIA e NOTE Archivio personale dell’Autore GIORDA, MICHELANGELO, Storia civile, religiosa ed economica di Castellamonte, Ivrea, 1958 1 GASTALDI B., Iconografia di alcuni oggetti di remota antichità rinvenuti in Italia, Torino, Memorie Accademia Scienze, 1889 CRESCI MARRONE G., CULASSO GASTALDI E., Torino Romana tra Orco e Stura. Per pagos vicosque, Torino, Edit. Programma, 1988 CAVAGLIÀ G., Contributi sulla romanità nel territorio di Eporedia, Chivasso, Gruppo Editor. Tipografico, 1996 GROSSIO, PIANA, TINETTI, S. Giovanni Canavese, Caluso 1971 2 GABOTTO F., Le carte dell’Archivjo vescovile di Ivrea fino al 1313. Tariffa della “cureja”, Ivrea, 1309, B.S.S.S., Pinerolo 1900 3 DUBOIN F.A., BORRELLI G.B., Editti antichi e nuovi dei Sovrani prenci della Real Casa di Savoia, pagg.1003-08, Torino, Zappata, 1681 VASCHETTI G., DONATO G., Una mensa per i conti Pastoris, Saluggia 1996 AA.W., Torino nel basso medioevo, catalogo della mostra, Torino, 1982 4 Catalogo F.Ili Rolando, Castellamonte, circa 1940 Catalogo Ditta G. Buscaglione, Castellamonte, varie ediz., 1894-1901 GIBELLI L., Memorie di cose prima che scenda il buio, Ivrea, Priuli e Verlucca, 1987 5 AA.W., Torino nel basso Medioevo cit. MANNONI T., La ceramica d’uso comune in Liguria, Albisola, 1970 MORAZZONI, La terraglia italiana, Milano, 1985. 7 gennaio 2002 Le case con i solai a pannelli di gesso in Piemonte: influenze sul paesaggio e l’urbanistica Il testo qui pubblicato è stato presentato durante il convegno “Il paesaggio rurale tradizionale: perché? per chi? come?” svoltosi al Castello di Moncucco Torinese (AT) il 6 ottobre 2001. Ne è autrice l’architetto Enrica Fiandra, già funzionario del Ministero per i Beni Culturali, da oltre un trentennio impegnata nello studio delle tradizioni costruttive del Monferrato, ed in particolare nell’uso del gesso nell’edilizia locale. In questo intervento Enrica Fiandra apre nuove prospettive di ricerca, mettendo in evidenza come vi sia uno stretto legame fra sviluppo urbanistico dei centri abitati e presenza di case con solai in gesso. L’area di diffusione di questi ultimi comprende - oltre alle zone del Monferrato casalese ed astigiano - parte della Collina torinese, dell’Alessandrino e del Cuneese. Questa diffusione territorialmente molto ampia comprova la grande importanza della tradizione costruttiva dei soffitti in gesso sia per comprendere la storia dell’architettura locale, sia per la storia dello sviluppo urbanistico e più in generale per la storia degli insediamenti umani. Per ulteriori informazioni è possibile contattare il gruppo di ricerca presso il Museo del Gesso – Castello di Moncucco - Piazza dello Statuto n. 1 - 14024 Moncucco Torinese (AT) - tel. 011.9874701, fax 011.9874328. (Gianpaolo Fassino) I l tipo di solaio di legno con pannelli di gesso gettato su matrici lignee intagliate in negativo era usato, sistematicamente, per le case rurali in Piemonte, nelle zone ricche di cave di gesso, sia all’interno dei paesi, sia nei cascinali isolati. Di solito, le case nelle quali si trovano i solai di gesso sono le più povere; all’esterno non hanno alcuna particolarità architettonica che le caratterizzi: sono semplici e modeste nella composizione della facciata, ricoperta di intonaco di calce e sabbia gialla locale. Le finestre sono piccole, senza imposte, con gli scuri interni intagliati a motivi molto simili alle decorazioni dei pannelli di gesso. Le costruzioni più antiche, tra il Seicento e il Settecento, sono esternamente più eleganti per la presenza di loggiati sulla facciata. Il gesso era un materiale economico, spesso prodotto dai contadini stessi e, per questo, il più usato. Era impiegato negli spigoli interni ed esterni delle porte, finestre, armadi e nelle riquadrature che servivano da guida alla stesura dell’intonaco, nei davanzali di finestre, nelle mensole esterne poste sotto i cornicioni. Anche i cardini di ferro per porte, finestre e imposte erano fissati con il gesso. Questo largo uso del gesso, con sorprendenti risultati di durata e resistenza, lascia stupefatti se si pensa che la zona in cui fu impiegato, anche all’esterno degli edifici, ha un clima umido ed è soggetta al gelo. Nelle case più ricche, borghesi o patrizie e nei castelli, i solai di gesso erano impiegati nei piani superiori destinati alla servitù, specialmente nei casi di costruzioni a tre piani fuori 8 gennaio 2002 terra, mentre al piano terreno vi erano coperture a volta. Tuttavia molto spesso si trovano abitazioni nelle quali il solaio a pannelli è impiegato anche a piano terreno. Le volte sono in genere a padiglione con unghie ai quattro angoli e lunette al centro di ogni lato, per permettere l’apertura di porte e finestre. L’interno delle case risulta quindi particolarmente piacevole per la presenza delle basse volte a padiglione, aggraziate e ricche di movimento e per i soffitti di gesso bianco, con le più varie decorazioni a rilievo, spartiti dai travetti e dalle travi di legno scuro. Gli ambienti sono arricchiti, inoltre, dai particolari dell’arredamento fisso quali i camini plasmati in gesso, dalle forme fantasiose, le scansie anch’esse di gesso con cornici modellate che reggono i ripiani, realizzate secondo schemi e mezzi elementari, ricchi di grazia e di eleganza. Essendo case contadine, la planimetria è molto semplice e funzionale: il muratore costruisce le camere una dopo l’altra, collegate da porte interne, con una scala per raggiungere i piani superiori che riflettono la disposizione delle camere sottostanti. La struttura di queste case ne condiziona l’aspetto: sono tutte uguali e si sviluppano, in genere, su due piani; al piano terreno troviamo un grande vano che era di solito occupato dalla cucina e ai piani superiori le camere da letto. Quando il solaio a pannelli di gesso viene realizzato nello stesso momento in cui si costruisce la casa, la trave determina la larghezza della manica, che non è mai di molto superiore ai 6 metri (2 trabucchi); questo, naturalmente, dipende dall’altezza dell’albero. Nelle case più ricche le travi sono ricavate da alberi di diametro maggiore e sono ben squadrate con gli spigoli inferiori lavorati; a volte, invece, sono appena sbozzate; altre volte, quasi tonde, conservano la forma dell’albero semplicemente scortecciato. La casa viene realizzata della larghezza di un solo vano corrispondente al soffitto in gesso. La matrice rappresenta, infatti, la base modulare che, insieme con la lunghezza delle travi, determina le dimensioni dei vani. Infatti per raddoppiare la manica, senza aumentare la larghezza del muro centrale, sarebbe stato necessario sfalsare le travi e la posizione della matrice nella manica adiacente che, come conseguenza, avrebbe mutato la sequenza dei pannelli. In tal modo due camere affiancate non potevano avere i soffitti con la scansione dei pannelli in corrispondenza. Questo inconveniente si sarebbe evitato se il solaio fosse stato di tavole lignee. In tal caso il raddoppio della manica sarebbe stato possibile perché, sfalsando le travi, le tavole, non avendo un modulo da rispettare, avrebbero potuto ugualmente essere utilizzate senza mutare la lunghezza del vano. Il muratore accurato doveva badare che la lunghezza della trave, all’interno del vano, fosse un multiplo della larghezza della matrice. Per avere un solaio omogeneo era necessario trovare alberi della stessa grandezza e della stessa lunghezza. Il problema di trovare tante piante, di solito querce, dello stesso tipo di circa 6,50 metri di lunghezza per i solai di tutte le case del paese deve aver messo a dura prova i muratori di un tempo, a tal punto da indurli a risparmiare il numero delle travi impiegate con la costruzione di campate più larghe. Ciò comportava naturalmente delle matrici di maggiore lunghezza. Da alcuni esemplari ritrovati si vede chiaramente che, avendo economizzato sul materiale con campate più larghe, si è indebolita la struttura dei travetti lignei. Gli esempi più antichi hanno la matrice di lunghezza maggiore: in seguito, però, i muratori, constatando che il travetto che la reggeva si incurvava e, di conseguenza, si rompeva il gesso dei pannelli, hanno reso più equilibrata la struttura. Esempi di pannelli di solai in gesso. 9 gennaio 2002 Tra la fine Settecento e l’inizio dell’Ottocento i solai sono ben proporzionati in lunghezza e larghezza. È interessante notare come, dal punto di vista strutturale, il solaio in gesso sia molto simile a un solaio in cemento armato; travi e travetti lavorano a trazione, come il ferro, mentre il gesso serve ad irrigidire la struttura perché è quello che riceve la compressione. A sua volta, ogni cassettone lavora allo stesso modo, le canne o i piccoli legni posti, all’interno, nella parte inferiore sono in trazione, mentre la parte superiore del gesso è compressa. Estendendo questo modulo planimetrico a tutte le case del paese si osserva che questo tipo di disposizione influenza l’urbanistica. La manica, stretta e lunga, segue le curve di livello e si mantiene sul crinale in collina; in pianura diventa rettilinea, ma è sempre semplice, e determina in questo modo il particolare aspetto urbanistico. Prendendo in esame il caso di Moncucco Torinese, le cui case sono state tutte schedate, si è constatato che la matrice per la costruzione dei solai è spesso la stessa. Si deduce che le case con questa caratteristica sono tutte contemporanee. Infatti i solai non potevano essere fatti dopo la costruzione della casa, perché - da quanto si è potuto osservare - i travetti laterali che sorreggono il pannello sono infilati nel muro durante la costruzione. Se il solaio si rompe, viene rappezzato alla meglio, ma l’originale è fatto nell’esatto momento in cui si costruisce la casa, e dall’epoca del soffitto si può risalire alla data di costruzione della casa e viceversa. Se si hanno più solai con la stessa matrice, significa che il paese ha avuto uno sviluppo contemporaneo. Pertanto, per le costruzioni in cui è usata una sola matrice, è possibile far risalire il soffitto e, di conseguenza, le case, ad un preciso momento storico. La pianta di Bagnasco d’Asti è la più significativa dal punto di vista della disposizione di questi solai che inevitabilmente condizionano l’assetto urbanistico. Le case girano intorno al recinto del castello diruto, in quanto si posano sui resti delle mura distrutte che riuti- lizzano come basamento e sono sempre a manica unica. La manica doppia si trova solo in manufatti più recenti, risalenti al primo Novecento, e sono prevalentemente stalle e fienili dove in luogo dei solai di gesso vi sono travi, spesso di ferro, con voltine di mattoni legati con gesso colato. Il diffuso sistema costruttivo dei solai di gesso, dopo i ritrovamenti di Moncucco e di Bagnasco, lo si può verificare anche altrove. Trovandolo in più comuni e osservando attentamente la successione delle case a manica semplice ci rendiamo conto di quanto sia importante, per la lettura dell’urbanistica antica, la conoscenza e lo studio di questi solai. La ricerca sull’influenza dei solai di gesso sul tracciato urbanistico è appena iniziata e lo studio sistematico delle planimetrie dei paesi in cui è presente il fenomeno - a tutt’oggi 104, distribuiti in 4 province piemontesi (Alessandria, Asti, Cuneo, Torino) - permetterà di verificare quanto un solo elemento modulare, come una matrice lignea, possa aver influenzato la tipologia delle case e di conseguenza la loro posizione nel tracciato urbanistico; nello stesso tempo si potranno mettere in evidenza le eccezioni, in alcuni casi già esaminate, ricercandone le ragioni. Enrica Fiandra 10 gennaio 2002 L’Atlante Toponomastico del Piemonte Montano La metodologia di ricerca dell’ATPM è rigorosa e precisa, volta a regolamentare la raccolta dei dati, la registrazione dei toponimi su carta topografica, la loro trascrizione su apposite schede in una grafia normalizzata, l’acquisizione delle informazioni relative al loro significato, alle caratteristiche geomorfologiche dei luoghi e a numerose altre notizie di carattere accesssorio, nonché la registrazione su nastro magnetico della lista completa delle denominazioni. Al termine di ciascuna inchiesta, i dati raccolti vengono memorizzati ed elaborati mediante un programma predisposto per archiviare e stampare il contenuto delle schede e fornire vari tipi di catalogo e di indici. I singoli archivi, che rimangono a disposizione degli studiosi, vengono quindi editi da parte della Regione Piemonte in volumi riguardanti ogni singolo Comune o, per i Parchi, l’area protetta. Diciassette sono le monografie già pubblicate: Gaiola (CN), Aisone (CN), Mombasiglio (CN), Quassolo (TO), Chianocco (TO), Roccasparvera (CN), Givoletto (TO), La Cassa (TO), Val della Torre (TO), Vallo (TO), Varisella (TO), Demonte (CN), Ostana (CN), Pont Canavese (TO), Parco naturale Alpe Veglia e Alpe Dévero (VCO), Rittana (CN) e Avigliana (TO). Numerose le raccolte in corso. Nella provincia di Alessandria: Morbello, Roccaforte Ligure e Tagliolo Monferrato. Nella provincia di Cuneo: Boves, Chiusa di Pesio, Moiola, Monterosso Grana, Oncino, Parco Alpi Marittime e Vinadio. Nella provincia di Torino: Balme, Condove, Fenestrelle, Inverso Pinasca, Levone, Luserna San Giovanni, Massello, Meana di Susa, Novalesa, Oulx, Perrero, Pragelato, Prali, Reano, Roure, Salza di Pinerolo, San Germano Chisone, Usseaux e Villar Focchiardo. Nella provincia di Vercelli: Rimella. Diverse le inchieste già ultimate, in corso di revisione redazionale. Nella provincia di Alessandria: Parco naturale Capanne di Marcarolo. Nella provincia di Cuneo: Briga Alta e Parco Ideato nel 1970 e presentato da Arturo Genre al “Colloque International de Linguistique” di Briançon (19 settembre), il progetto di ricerca Atlante Toponomastico del Piemonte Montano (siglato ATPM) è stato ufficialmente avviato nel 1983, grazie a una Convenzione stipulata tra la Regione Piemonte (Assessorato alla Cultura) e l’Università degli Studi di Torino (Dipartimento di Scienze del Linguaggio e Letterature Moderne e Comparate) nel quadro del più vasto progetto regionale “Alpi & Cultura”. Scopo dell’ATPM è la raccolta sistematica dell’intera rete di nomi che gli uomini hanno dato nei secoli, per distinguerli, ai luoghi, grandi e piccoli, rientranti nei loro interessi, ancor oggi in uso o per lo meno vivi nella memoria degli abitanti dei 528 Comuni compresi nelle 47 Comunità Montane della nostra regione. La ricerca, inquadrata in una prospettiva sincronica, è condotta sul terreno e attinge esclusivamente da fonti orali, escludendo a priori dai suoi fini immediati e diretti, per ragioni d’urgenza e d’opportunità, sia il confronto con la documentazione storica sia l’analisi etimologica dei toponimi. La ricerca sul campo viene avviata (previa richiesta da parte di uno degli Enti locali patrocinatori) e interamente realizzata da raccoglitori locali attraverso un impegno volontario, sorretto finanziariamente e organizzativamente dalle Comunità Montane, dai singoli Comuni, dalle Associazioni culturali, dai Gruppi di ricerca locale o dai Parchi e Riserve Regionali. L’Assessorato alla Cultura coordina l’attuazione del Progetto e contribuisce (ai sensi della L.R. 26/90) agli oneri materiali derivati dall’attuazione delle ricerche e dalla pubblicazione dei loro risultati; all’Università spetta invece la responsabilità scientifica (assunta dal 1997, anno della scomparsa del fondatore prof. Arturo Genre, dal prof. Lorenzo Massobrio) con i supporti metodologici, la formazione dei ricercatori, la revisione delle inchieste e la cura della loro edizione. 11 gennaio 2002 Alta Valle Pesio e Tanaro. Nella provincia di Torino: Bardonecchia, Mezzenile, Pinasca, Pomaretto, Pramollo e Rorà. Nel Verbano-Cusio-Ossola: Falmenta. In corso di pubblicazione sono attualmente i volumi dedicati al territorio di Sant’Antonino di Susa (TO) e di Valloriate (CN); in coda attendono Salbertrand (TO) e Coazze (TO). Gabriella Chiapusso Il laboratorio di toponomastica di L&M sposti sulla mappa Teresiana del 1723. Carla Rita Bertona ci ha informati che la ricerca è proseguita portando “all’individuazione di oltre trecento toponimi in fase di informatizzazione e di interpretazione e all’avvio della ricerca sulla storia dell’agricoltura a Pernate, che è anche la storia sociale del paese”. 2. Mauro Lussiana e Carla Ru hanno iniziato nel 1986 un rilevamento sul territorio dell’Alta Val Sangone. Nel 1991l’Atlante toponomastico del Piemonte montano (cfr. in questo numero di L&M il contributo di Gabriella Chiapusso) suggerisce ai rilevatori l’estensione del territorio, che Lussiana e Ru, benché lasciati soli nel pesante lavoro, finiscono di coprire nel 1998. La quantità dei toponimi rilevati è straordinaria, a testimonianza della cura e dell’attenzione impiegata nel lavoro da parte dei due esperti conoscitori del territorio. La redazione dell’ATPM prevede la pubblicazione del materiale per il dicembre 2002. 3. Gino Giorda segnala un suo progetto di ricerca toponomastica condotto in collaborazione con il Circolo Didattico di Castellamonte e il Consiglio della Biblioteca Civica ‘Carlo Trabucco’ di Castellamonte. Hanno aderito al progetto 10 classi di scuola elementare (Castellamonte, Sant’Antonio, Spineto). Il progetto, di cui fornisce dettagliata descrizione, si basa sulla collaborazione delle famiglie degli alunni per la raccolta di materiale a forte rischio di dispersione. I lavori proseguiranno nel corso dell’attuale anno; i risultati potrebbero anch’essi confluire nell’ATPM. 4. Ferruccio Pari ha presentato una raccolta di L&M si è impegnata nei due scorsi anni nella realizzazione di incontri utili ad una formazione di base (il primo anno, 2000) e più specialistica (questo secondo anno, 2001) nel campo della ricerca storica locale. I temi toccati sono stati la ricerca in archivio, l’allestimento di mostre, le fonti orali, la ricerca antroponomastica, toponomastica, la ricerca bibliografica, il problema della trascrizione dei dialetti, e poi, su proposta delle associazioni che hanno risposto alla nostra richiesta di suggerimenti, ancora la toponomastica, la tutela e valorizzazione dei beni architettonici e culturali, il patrimonio demo etno antropologico, la casa contadina e la casa alpina. Dal momento che è nostra intenzione raccogliere gli interventi tematici in un volume, che ci auguriamo di rapida pubblicazione, vi proponiamo ora i risultati del Laboratorio di toponomastica che ci ha impegnati per tre incontri in primavera e in autunno. La nostra finalità era di conoscere, incentivare e, se possibile, supportare ricerche nel campo della toponomastica, arginando, se pure in una delle molteplici tipologie di ricerca, l’abbandono o la dispersione di materiale prezioso. Abbiamo censito sei interessanti progetti, in diverse fasi di realizzazione 1. In un volume a tiratura limitata, realizzato nel 2000 dal Gruppo dialettale Pernate (Novara) in collaborazione con la Biblioteca di quartiere Pernate, dal titolo Un zich d’un pais ciamà Parnà (Qualcosa di un paese chiamato Pernate), compare un interessante elenco di 150 toponimi del territorio di Pernate tratti dal registro catastale del 1805 e di- 12 gennaio 2002 Questi i progetti che i nostri incontri hanno permesso di conoscere e sollecitare. Da parte di tutti, come immaginavamo, c’è la disponibilità a collaborare con l’Atlante toponomastico del Piemonte montano, cosa che a nostro parere assicura il miglior utilizzo dei risultati. Proprio per questo abbiamo chiesto a Gabriella Chiapusso di riassumerci le modalità di una possibile collaborazione fra l’Atlante e le Associazioni di ricerca storica locale. toponimi, conclusa da tempo, che riguarda il territorio di Caprie (Val Susa). Il progetto e la sua realizzazione si collocano negli anni ’70, e costituirono il primo spunto di quello che sarebbe diventato l’Atlante toponomastico del Piemonte montano. Collaborarono alla ricerca Giovan Battista Bronzino e Giuseppina Maffiodo. La ricerca in questione, che come altre, dice Pari, “intraprese e non pubblicate si è fermata ed è finita in uno scaffale”, risultando assai preziosa, potrebbe confluire nel materiale dell’ATPM. Delle altre, aspettiamo con curiosità qualche notizia. 5. Il Gruppo di ricerca storica di Baldissero Torinese si è proposto, accanto ad altre iniziative, di realizzare una raccolta dei toponimi del Comune. I criteri seguiti sono quelli dell’ATPM, nella speranza che il progetto regionale voglia estendersi al territorio collinare alle spalle di Torino. Una prima parte della ricerca, condotta da Luisa Lamonarca, è terminata; si tratta dei toponimi della zona di Superga confinante con il Comune di Torino. Per quanto riguarda la zona della frazione di Rivodora, confinante con San Mauro, già esiste un rilevamento condotto da Bruno Fattori; per le zone restanti si sono detti disponibili al rilevamento Paolo Martini, Renata Liboà e Manfredo Montagnana. 6. Il Gruppo Archeologico Torinese (GAT) intende “affiancare, come aiuto e necessario complemento ad un’indagine archeologica sulla collina torinese, alla ricognizione sul territorio ed alla ricerca delle fonti documentarie, il recupero delle informazioni che si possono trarre dalla tradizione orale, e quindi la raccolta e la registrazione dei toponimi utilizzati dai nativi residenti. Inoltre il confronto fra questi toponimi e quelli reperibili nei catasti e nei numerosi documenti d’archivio, editi e non, presenti nei comuni collinari potrebbe dare risultati interessanti, permettendo di ricostruire una mappa dell’insediamento medioevale collinare”. Per non disperdere energie e materiali, e per inserirsi accanto ad analoghe iniziative riguardanti la collina torinese, il GAT si propone di adottare i criteri dell’ATPM. Lucetta Fontanella 13 gennaio 2002 Verso il “Museo del Trasporto ferroviario attraverso le Alpi” N chitetti Andrea Bruno ed Ugo Bruno, ha una superficie totale di 5.000 m2 di cui 2.000 occupati da fabbricati. La caratteristica degli edifici e la loro ubicazione consentono di immaginare un nucleo che, avvalendosi delle tecniche e degli indirizzi della moderna museologia, sia capace di offrire diversi livelli di fruizione, con momenti di visita, di studio, di approfondimento scientifico e tecnologico, di interattività tra i visitatori e le macchine, d’integrazione mirata tra cultura, storia e turismo. La palazzina, adibita in origine ad uso ufficio, al piano terreno, e dormitorio, al primo piano, verrà completamente ristrutturata. La sua facciata, a livello di strada, diverrà supporto di una scocca in vetroresina che riproduce il profilo di un moderno convoglio ferroviario. Il prolungamento di questo manufatto verso una piazzetta di nuova costruzione segnalerà l’ingresso al Museo. Tale ingresso riprodurrà la sagoma interna di un vagone ferroviario a corridoio centrale che verrà percorso dal visitatore, sollecitato da effetti sonori e visivi a simulazione del viaggio e in particolare dell’attraversamento delle Alpi. Vagone che diverrà galleria di transito sottolineata da un pavimento che riproduce la via ferrata, con traversine e binari realizzati con resine sintetiche e fibre luminose. Uscendo dal vagone-tunnel si potrà accedere ai piani superiori dell’edificio oppure raggiungere il fabbricato dell’ex officina, dove sarà esposta gran parte della collezione: locomotori, vagoni, carrozze, modelli tridimensionali, simulatori di viaggio. ell’ambito del suo programma di conoscenza e di valorizzazione delle tradizioni scientifiche e tecnologiche, l‘Amministrazione provinciale di Torino ha puntato alla realizzazione di un Sistema Ecomuseale all’interno del quale trovino posto anche percorsi di visita a siti industriali non più in attività e raccolte di oggetti che testimoniano la vita produttiva e sociale delle comunità locali. In questo contesto si colloca il progetto per il “Museo del Trasporto ferroviario attraverso le Alpi” nell’officina ferroviaria di Bussoleno, ubicata in prossimità della stazione. Da anni l’officina di Bussoleno, dopo la dolorosa parentesi della sua chiusura, attendeva una utilizzazione che non fosse indifferente all’impegno di generazioni di ferrovieri che in essa avevano operato, rendendola una struttura efficiente nel settore della manutenzione dei locomotori. In considerazione dello storico legame tra la Valle di Susa, il treno e le comunicazioni transalpine è parso naturale insediare in quelle strutture ormai dismesse un polo di quel “Sistema Museo” pensato e voluto dall’Associazione Museo Ferroviario Piemontese, per il quale la Regione Piemonte ha previsto la sede principale a Savigliano. Il primo tratto ferroviario in Piemonte, da Torino a Moncalieri, è stato inaugurato nel 1848. Susa e Bussoleno sono state collegate a Torino con una linea ferroviaria fin dal 1854. Nel 1868 iniziò l’esercizio da Susa a Lanslebourg con l’arditissima “Ferrovia Fell”, che saliva ai 2.000 metri del Moncenisio. Nel 1871 fu inaugurato il Traforo del Frejus, che permise il collegamento ferroviario internazionale Torino-Modane. La Valle di Susa e Bussoleno sono quindi la sede ideale per un Museo del Trasporto ferroviario attraverso le Alpi, per captare dal passato la memoria, i segni e i segnali, gli strumenti e gli oggetti, e guardare al futuro. Lo spazio previsto per la realizzazione del Museo, il cui progetto è stato affidato agli ar- 14 gennaio 2002 Nella palazzina, oltre ai servizi di accoglienza, troverà posto un Centro di ricerca e studi in cui il materiale documentario, già in fase di raccolta, sarà archiviato, schedato e catalogato, attraverso prodotti multimediali e software interattivi. Il visitatore potrà così “navigare” tra le preziose testimonianze di un’epoca che ha registrato l’evoluzione tecnologica del trasporto ferroviario. Il complesso consentirà di organizzare un vero e proprio centro di produzione culturale, offrendo la possibilità di ospitare gruppi di studenti impegnati su specifici progetti didattici, seminari per la formazione di tecnici, convegni. Il Museo vuole essere un’istituzione viva, capace di fare cultura con continuità, di sollecitare azioni di promozione del territorio, di valorizzare l’identità locale che si specchia anche nella professionalità di chi all’impianto ferroviario di Bussoleno ha dedicato una parte importante della sua vita. Secondo le intenzioni dell’Amministrazione provinciale, il Museo sarà gestito in collaborazione con la “Feralp Team” (Associazione Amici del Museo del trasporto ferroviario attraverso le Alpi), nata ufficialmente il 14 maggio 1999 con l’intento di contribuire alla sua organizzazione. I soci sono ormai un centinaio, di cui circa la metà “operativi”, cioè impegnati in attività funzionali agli scopi che l’associazione persegue. Essa, oltre a fornire il supporto scientifico per la collezione, potrà disporre all’interno dell’ex officina di una zona riservata come laboratorio di restauro. Attualmente si sta procedendo al ripristino del locomotore a corrente continua E 626.287, e inizierà tra breve quello della locomotiva a vapore 743.283. Fa parte del sodalizio anche un gruppo di esperti ferromodellisti che sta lavorando per rimettere in efficienza il plastico ferroviario, eccezionale per fattura e dimensioni (oltre 40 m2), ceduto al Museo dagli eredi di un appassionato costruttore e collezionista di modellini funzionanti di treni. Per gli ex operai, che avevano lottato contro la chiusura dell’impianto, non è stato facile accettare la trasformazione in museo. Hanno poi compreso però che il patrimonio di cono- scenze, di saper fare in loro possesso, non poteva andare disperso, perciò molti di essi sono oggi coinvolti nel progetto. L’officina continuerà quindi ad essere viva e, in un passaggio di testimone importante, consentirà di trasferire le abilità e le conoscenze di chi vi lavorò a nuovi protagonisti, i quali avranno il compito di mantenere in vita i mezzi di trazione ed i rotabili che hanno segnato la storia delle ferrovie e potranno marciare, in un rinnovato ruolo turistico, sulle strade ferrate di oggi. Sergio Sacco 15 gennaio 2002 I Terrazzamenti: un Convegno del C.A.I. Si è tenuto a Finale Ligure il 15-16 settembre 2001 il convegno di studio annuale del Comitato Scientifico L.P.V. (Liguria-Piemonte-Valle d’Aosta) del Club Alpino Italiano, quest’anno sul tema “Terrazzamenti e deflussi idrici superficiali”. Gli argomenti svolti hanno dimostrato l’alta competenza dei relatori, tra cui docenti universitari, ricercatori, responsabili di progetti già avviati o in fase di studio. Le diapositive proiettate dai relatori per illustrare concretamente gli argomenti trattati hanno richiamato nella mente dei presenti molti luoghi degni di essere salvaguardati, conservati e fatti conoscere. Si sono evidenziati in modo particolare la situazione, gli interventi già fatti e quelli progettati nella zona delle Cinque Terre, seguiti dall’Unità di ricerca dell’Università di Genova, relatori i professori Terranova e Spotorno. Si è anche spaziato sull’esperienza dell’Ecomuseo dei Terrazzamenti e della Vite a Cortemilia, diretto dall’architetto Donatella Murtas; sull’uso dell’acqua nel Biellese nel periodo di transizione tra agricoltura e industria; sui terrazzamenti di montagna in Val d’Aosta, quale colossale opera di sistemazione idraulico-forestale e idraulico-agraria del territorio montano, relatore il dottor C. Lyabel, già dirigente del servizio Tutela Ambientale della Regione Autonoma Valle d’Aosta. È stato unanime il coro di lamentele sull’incuria, sull’abbandono, sul degrado di queste imponenti opere realizzate dall’uomo per coltivare più agevolmente la terra lungo i pendii, impedendole di franare. Se non si interviene con opere di manutenzione dei muri e di regolazione delle acque, come è stato fatto in passato, vedremo ben presto innescarsi in queste zone un pericoloso processo di squilibrio idrogeologico, che sarà impossibile arrestare. I progetti illustrati concretamente nel convegno sono un esempio di come si può o si deve intervenire, e si spera che servano anche a stimolare i responsabili del territorio a fare qualcosa prima che sia troppo tardi. Il Convegno ha inteso essere anche un appello in tal senso. Bruno Tessa (Coazze) Nota. Chi intendesse avere maggiori informazioni sull’attività del Comitato Scientifico L.P.V. del Club Alpino Italiano, o prenotarsi per ricevere gli Atti del Convegno relazionato, può rivolgersi alla Presidente del Comitato, Vanna Vignola, Via Restano, 42 13100 Vercelli. Tel. 0161 214361. Di fronte al degrado della montagna Impertèrrito Fin che può Fiorisce il melo Bianco-rosa Sulla montagna Devastata Silvio Montiferrari 16 gennaio 2002 Mostra mercato dell’Editoria Canavesana A 1996 e da allora si rinnova ogni anno la ribalta libraria locale. Un evento importante che peraltro si giustifica per un opportuno sostegno del mondo delle tradizioni, delle radici della gente e del territorio canavesano». Prendono parte dalla prima edizione della Mostra-Mercato dell’Editoria Canavesana (Quincinetto, 18 - 21 aprile 1996), una cinquantina di soggetti, tra case editrici, associazioni, enti pubblici, scuole. Per gran parte di queste realtà la Mostra-Mercato di Quincinetto è l’unica occasione per presentare le loro pubblicazioni ad un ampio pubblico di persone interessate, non avendo la possibilità, per motivi economici e di tempo, di partecipare alla grande Fiera Nazionale del Libro, che ogni anno, nel mese di maggio, si tiene al Lingotto, a Torino. La Mostra-Mercato di Quincinetto ogni anno propone dei temi conduttori, con attività culturali collaterali coerenti: • Parole e Musica, ricordando Costantino Nigra e Pietro Alessandro Yon (1997) partire da fine Settecento il Canavese annovera personalità della cultura subalpina quali Tommaso Valperga di Caluso, Carlo Botta, Bernardino Drovetti, Paolo Emilio Botta, Luigi Palma di Cesnola, Costantino Nigra, Pier Giovanni Flechia, Giuseppe Giacosa, Guido Gozzano, Giovanni Cena e Giuseppe Frola, autori di studi e di iniziative culturali di rilievo. Nel secondo Novecento opera un grande promotore di cultura, Adriano Olivetti; ed in questo ultimo arco di tempo fioriscono numerose ricerche e studi di carattere archeologico, storico, etnografico, artistico e naturalistico, con una buona diffusione. È però importante far conoscere al grande pubblico queste opere, sia per evitare che restino relegate in ambienti specialistici e sia per ricuperare i costi vivi di queste edizioni, prodotte in basse tirature, perché destinate a un mercato limitato. Alla promozione dell’editoria canavesana ha provveduto, con spirito di servizio, a partire dal 1996, un funzionario della Banca Commerciale Italiana, Presidente della Comunità Montana Dora Baltea Canavesana e Sindaco di Quincinetto: Angelo Canale Clapetto. Abbiamo chiesto all’amico Canale di raccontarci come è nata l’idea di creare questa iniziativa. «La Mostra Mercato dell’Editoria Canavesana - racconta Canale - prende origine dal “Rëscontr” (Incontro Internazionale di Studi sulla Lingua e la Letteratura Piemontese), in occasione della XXVI Festa del Piemonte celebratasi nella Comunità Montana Dora Baltea Canavesana. Si è tenuta nel maggio 1993, dopo le precedenti edizioni di Cuneo, Asti ed Alba (sei edizioni). a Quincinetto, il X Rëscontr e da allora l’appuntamento sulla “Lingua Piemontese” si ripete nel piccolo paese canavesano con la eccezione dell’edizione del ’96, che - per il 70° anniversario della nascita della Famija Turinèisa - viene organizzata a Torino. Ecco quindi l’occasione e il momento in cui prende avvio la manifestazione culturale legata alla editoria canavesana: è l’anno 17 gennaio 2002 La manifestazione, che gode di un grande successo di pubblico, viene organizzata dalla Comunità Montana Dora Baltea Canavesana (presieduta ora da Giulio Roffino e dall’Assessore alla Cultura Luca Bringhen), con il patrocinio della Regione Piemonte,Provincia di Torino e Città di Ivrea. Pietro Ramella • Editoria locale in Piemonte, con interventi di personalità del settore di alcune province piemontesi (1997) • Parole e Spettacolo, con particolare attenzione alle tematiche del Teatro e del Cinema (1998) • Luoghi reali, luoghi immaginari, luoghi narrati e luoghi vissuti, luoghi turistici e luoghi letterari. Progetti turistici scaturiti dalla “cultura dei luoghi”, oltre al folklore, all’enogastronomia, alla via francigena, all’architettura olivettiana,... (1999) • Segni e simboli della comunicazione, gli strumenti della comunicazione; poesia e musica; biblioteche del 2000: tradizionali e/o multimediali? segni e simboli, nel tempo e nello spazio; scenari della comunicazione: dal Libro al WEB (2000) • A tavola con i libri, il piacere della lettura e il piacere della tavola. Alla Mostra-Mercato dell’Editoria viene abbinata, nella piazza di fronte al Salone delle Feste e delle Tradizioni, una esposizione di prodotti tipici enogastronomici del Canavese (2001) La Mostra-Mercato dell’Editoria Canavesana, giunta alla 6ª edizione, organizza ogni anno numerose iniziative culturali collaterali: - presentazione di novità librarie sul Canavese, a cura degli autori - concerti di musica classica, bandistica, jazz, corale - spettacoli teatrali, per bambini e adulti - letture di testi e poesie - mostre di pittura, fotografia - presentazione di diapositive. 18 Notizie dalle Associazioni febbraio 2002 L’Associazione “Comunicando” ra materiale delle classi subalterne, Rosemberg § Sellier, Torino, 1978), agli studi di storia delle donne (cfr. Paola Di Cori, Altre storie, CLUEB, Bologna, 1996), ma anche ad altre scuole storiografiche innovative. Le tappe principali consistono nella raccolta consapevole, nella rielaborazione collettiva (a piccoli gruppi che fanno riferimento ai paesi), nella socializzazione conclusiva secondo modalità da decidere insieme. Un gruppo di amici, anzi di amiche, si sono incontrate, desiderose di uscire dall’isolamento, in cui talvolta sembra di cadere, soprattutto durante l’inverno, quando nei piccoli paesi cala nebbiosa la sera e tutti si rinchiudono davanti ai televisori. Alla ricerca di nuove suggestioni, di motivi su cui riflettere per capire la società che cambia, animate dalla voglia di stare insieme per non lasciar morire la creatività che c’è in ognuno di noi, abbiamo pensato di fondare una nuova associazione. A quale scopo? Con quali intenti? Creare legami di amicizia, di solidarietà,di affetti tra gli abitanti (vecchi e nuovi) dei paesi, dove la qualità della vita dovrebbe essere migliore che nelle grandi città, ma dove non sempre è facile incontrarsi e costruire o rafforzare quella rete di rapporti umani che è la ragione prima di vita delle piccole comunità. Non c’è bisogno di scomodare sociologi od esperti per dire che i centri di aggregazione vanno scomparendo, mentre aumenta il bisogno di stare insieme. Uno degli scopi, elencati nel nostro Statuto, è appunto quello di valorizzare le radici e le tradizioni locali, attraverso ricerche, iniziative, mostre ed ogni altra attività che possa favorire la consapevolezza della propria identità e la partecipazione consapevole. Di qui è nato il progetto “ Maria Teresa Gavazza Ancêtres Italiens Ricercare i propri antenati La nostra epoca testimonia un entusiasmo generale per la ricerca degli antenati e per la storia delle nostre famiglie. Affinché questa ricerca possa darci dei buoni risultati è necessaria una tecnica alla portata di tutti, a prescindere dall’età e dal livello degli studi. Passatempo istruttivo, abbisogna soltanto di un po’ di pazienza e di perseveranza, un pizzico d’ottimismo, tanta curiosità, un po’ di pignoleria e molta organizzazione. Ricercare i vostri antenati vi darà molte soddisfazioni: sarà un viaggio nel tempo che vi farà vivere da vicino non solo le diverse vicende familiari dei vostri antenati (nascite, matrimoni, decessi) ricostruite grazie agli atti notarili, ma anche approfondire il loro modo di vivere, la loro storia, gli antichi mestieri, l’economia di un villaggio o di una regione. Scoprirete forse l’origine del vostro cognome. ”. Gli abitanti dei paesi aderenti all’Associazione “COMUNIcando” (Felizzano, Fubine, Lu, Quargnento, Solero) e quanti altri vorranno aggiungersi, coordinati da un’equipe composta da studiosi e ricercatori, si incontreranno con gruppi di giovani interessati al progetto. I partecipanti alla ricerca in modo attivo racconteranno la loro storia e quella della loro famiglia, sottolineando in particolare gli aspetti legati al progetto stesso. Potranno farlo con diverse modalità o linguaggi (disegni, fonti orali, video, fotografie ecc.). Tale percorso trova la sua dignità scientifica in tutta la tradizione storiografica che si ispira principalmente alle fonti orali (cfr. Luisa Passerini, Storia orale, vita quotidiana e cultu- L’associazione - organizza corsi per principianti e riunioni di approfondimento a Parigi e fuori per scambiare le informazioni; - pubblica in giugno un “Repertorio informatico delle famiglie italiane studiate” ISSN 1168-8505, strumento utilissimo per favorire gli incontri tra ricercatori i cui antenati provengano dalla stessa provincia o comune; - ha una biblioteca specializzata con guide, inventari, carte, etc. oltre a documenti microfilmati. - invita i soci a depositare i loro lavori riguardanti l’Italia o altri paesi ed a segnalare le ope- 19 Notizie dalle Associazioni febbraio 2002 Assemblea dei Soci di L&M re o altri documenti che possano interessare la biblioteca. - presta gratuitamente per corrispondenza lo schedario delle fonti microfilmate in Italia (su microfiches); - mette a disposizione del pubblico (anche : tramite WEB) le seguenti banche dati: Bibliografia genealogica tematica e geografica sull’Italia (4017 ref.) + San Marino + Corsica + Ticino Svizzero + Ebrei Italiani + Valdesi : locadel Piemonte (protestanti); lizzazione di 59.694 località, frazioni e comuni italiani; : Italiani in Fran: 50.164 cia dal 1400 al 1830 e viceversa; Italiani naturalizzati dal 1920-1940 (in cor: notai Italiani e loro archivi dal so); 1400 al 1990 (nord-est). Il 24 novembre 2001 si sono riuniti a Torino nella sala Antico Macello di Po, via Matteo Pescatore, i Soci della nostra Associazione per il rinnovo del Comitato Direttivo e per l’elezione del Revisore Contabile per il periodo 2001-2003. Sono stati eletti Consiglieri: Robotti Diego, Gualteri Tarsia Milena, Ramella Pietro, Calabrese Valeria, Della Mora Feliciano, Fassino Giampaolo, Montiferrari Silvio, Seglie Dario, Gianoni Simona, Lucania Francesco, Giorda Gino. È stata eletta Revisore Contabile la Socia Picchetto Carola. Marc Margarit Nella seduta del Consiglio Direttivo del 17 dicembre 2001 sono state votate le cariche sociali: - Presidente, Diego Robotti - Vice-Presidente e Segretaria, Milena Gualteri Tarsia - Tesoriere, Francesco Lucania - Rivista L&M, Pietro Ramella Per contattarci: Per posta presso la sede: ANCÊTRES ITALIENS, 3 rue de Turbigo, F-75001 PARIS c/o Bibliothèque Généalogique Tel. 01.42.33.58.21 3 rue de Turbigo 75001 Paris (nel cortile a destra) Métro : Etienne Marcel oppure RER : Châtelet-Les halles orario : mercoledì 14-20 Questo il nostro sito Internet: www.geneaita.org/emi che raccoglie circa 7700 notizie bibliografiche sull’Italia, la Corsica, il Canton Ticino Informazioni sull’associazione: Marc Margarit Un particolare ringraziamento è stato espresso dal Presidente ai vecchi Consiglieri Lucetta Fontanella, Leonardo Gambino e Federica Pusineri. Questi nostri Soci, per motivi professionali, non si sono più candidati per il rinnovo del Consiglio Direttivo. Sono però tuttora vicini ad L&M e collaborano ad attività specifiche di carattere scientifico. 20 Recensioni febbraio 2002 vincia di Torino, a cura dell’Assessore alla Cultura, Walter Giuliano. Con questo ampio panorama della realtà e di problemi, unitamente alla illustrazione dei musei del Canavese, si potrà affrontare l’iniziativa di presentare alla cittadinanza una raccolta etnografica, frutto di 25 anni di lavoro volontario da parte dei soci dell’“Associazione Amici del Museo del Canavese”, che vorrà essere anche una iniziativa che coinvolgerà il pubblico, soprattutto quello giovane, recuperando la memoria ed il modo di essere di un mondo quasi perduto, ma pieno di valori che possono ancora insegnare qualcosa alle future generazioni. A cura di Pietro Ramella Bolognino Editore, Ivrea 2001 In questa pubblicazione vengono presentate le sintesi degli interventi effettuati nel seminario tenutosi ad Ivrea nel 2001 da docenti universitari e da esperti nella ricerca storica, nell’allestimento e nella gestione museale. I contenuti di questi interventi hanno consentito ai partecipanti al seminario di mettere a fuoco tutte le problematiche e di acquisire tutte le esperienze di chi è intervenuto. Questo servirà quando dovrà essere allestita la raccolta etnografica di proprietà dell’Associazione Amici del Museo del Canavese nei Feliciano Della Mora locali messi a disposizione dal Comune di Strambino. Gli argomenti sono stati trattati secondo i seguenti filoni: metodologia e ricerca, metodologia di allestimento, la conservazione, la realtà italiana. Nel primo modulo sono stati affrontati i temi della documentazione archivistica e le fonti orali, trattati da Diego Robotti della Soprintendenza Archivistica per il Piemonte e la Valle d’Aosta e da Franco Castelli dell’Istituto Storico della Resistenza della Provincia di Alessandria. Nel secondo, è stato affrontato il problema di come esporre il materiale nello spazio disponibile, sia quello reale sia quello della rete, trattato da Pier Paride Vidari del Politecnico di Milano. Nel terzo, il tema della conservazione, a cura di Anna Pellegrino del Politecnico di Torino e della didattica, a cura di Roberto Pellerey dell’Università di Genova. Nel quarto, il tema della gestione di un museo locale, a cura di Enrica Pagella, direttore del Museo. di Arte Antica di Palazzo Madama di Torino ed è stato presentato il Castellamonte. Alzata di caminetto in ceramica smaltata (ditta progetto dell’ecomuseo della ProAntonio Querio). 21 Recensioni gennaio 2002 proteggere. Tra le immagini sacre, dipinte sui piloni, sulle arcate di antiche cascine e sui muri delle case, le più ricorrenti sono quelle della Madonna, del Crocifisso, di S. Antonio abate, S. Antonio da Padova, S. Giuseppe, S. Grato e della Sacra Famiglia. Fra le pitture murali, troviamo anche quella della Sindone, nel centro di Cavour, nei pressi del portone della ex Pretura. Ricco di suggestioni, questo libro, che è anche il risultato di un impegno di molti, ha il grande merito di condurci a riflettere su un segno sacro particolarmente importante in un ambiente, come il nostro, di estrazione e cultura contadina, che sta via via scomparendo. Le nicchie vuote, i tempietti corrosi, spogli o crollati stanno lì a documentare la fede semplice e profonda dei nostri laboriosi antenati, delle cui consuetudini a volte ci dimentichiamo, troppo presi dai nostri problemi quotidiani. La nostra civiltà ha abbandonato molte paure, ma ha anche perso il contatto immediato con la natura, nella quale i nostri avi sapevano cogliere il respiro divino. C’è da sperare che l’intelligente lavoro del gruppo di ricerca promuova una riscoperta di questo patrimonio di devozione semplice e concreta, affinché venga conservato e non scompaia nell’indifferenza. Franca Giambiasi Fornasa, Maria Grazia Turina Gastaldi, ed. ProCavour, 2000 La storia di una terra si racconta attraverso quelle piccole, grandi cose che la rendono unica ed irripetibile: suoni e profumi speciali si effondono tra borghi, prati e quartieri, mentre alcuni elementi, toccando il cuore del paesaggio, rincorrono a ritroso le nostre radici procurandoci forti emozioni. Questo si prova sfogliando il libro di Franca Giambiasi Fornasa e di Maria Grazia Turina Gastaldi, esperte del Gruppo Ricerca Storica della ProCavour. Cogliendo l’opportunità di un concorso, le due autrici hanno deciso di attrarre l’attenzione dei Cavouresi e dei turisti su un aspetto fondamentale del paesaggio della nostra pianura: i segni sacri. II testo, pubblicato in occasione del Giubileo dalla Pro Loco, è il risultato di una ricerca con la collaborazione di Franco Zavattaro, Pasquale Musso, Franco Morina e di numerosi altri cavouresi, che hanno offerto il loro aiuto nel censimento delle varie costruzioni. Con la significativa copertina, ideata da Bruno Fusero, l’opera, di semplice ma elegante fattura, alterna fotografie ad informazioni sulla topografia dei luoghi, sull’ubicazione, la particolare storia e lo stato di conservazione dei vari piloni. L’ultima di copertina contiene una cartina che consente un’immediata rilevazione di tutti i tempietti. La maggior parte delle costruzioni risale al XVIII-XIX secolo. Costituiscono - come rilevano le ricercatrici - dei punti di riferimento topografico, ma anche una testimonianza storica e religiosa. Sono stati censiti 35 piloni, 8 cappelle, 16 nicchie e numerose immagini sacre. Tra i piloni più antichi, posti spesso accanto a strade di proprietà privata, primeggia quello “del Gasparin", in frazione S. Anna, risalente al 1769, restaurato ed in ottimo stato. Dello stesso anno è la cappella “d’le Bruere”, in frazione Cappella del Bosco. Un’attenzione particolare viene riservata alle immagini sacre dei consorzi irrigui che, oltre ad alludere al primordiale binomio acqua-vita, documentano la persistenza della necessità dell’acqua, bene comune, costoso e da Chi fosse interessato al prezioso libretto può rivolgersi direttamente in Pro Loco, v. Roma 3, 10061 Cavour (tel. e fax 0121.68194). Catterina Maurino 22 I nostri libri gennaio 2002 Le segnalazioni delle nuove pubblicazioni di storia locale sono un servizio per i lettori e sono importanti per la diffusione della nostra cultura. Vi invitiamo a collaborare, inviandocene copia o fornendo notizie al riguardo. Nella segnalazione si deve indicare: Cognome e nome dell’autore – Titolo dell’opera – Nome dell’editore – Luogo di stampa – Anno di edizione MAGATON E., Il piacere della fiaba, Chivasso, Gruppo Editoriale Tipografico, 2000 BIELLESE BESSONE A.S., TRIVERO S., I quadri votivi della comunità di Graglia, DocBi - Centro Studi Biellesi, 2000 MUSSO G.M., Camminando a ritroso, Ivrea, Bolognino, 2000 (a cura di), Le Sindoni ritrovate: restauro delle raffigurazioni nel Biellese, Biella, DocBi - Centro Studi Biellesi, 2000 NATALE V. PETITTI R., Annibale sulle orme di Ercole, Ivrea, Cossavella, 2001 PEYRANI BARICCO L., La chiesa di S. Vincenzo a Nole Canavese: l’indagine archeologica, Torino, 1992 (già pubbl. in: Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, 11) (a cura di), Pranzo a corte, Biella DocBi - Sapori Biellesi, 2001 NOVELLO M. Studi e ricerche sul Biellese, Biella, DocBi, 2001 Studi e ricerche sull’industria biellese, Biella, DocBi, 2000 VACHINO G. (a cura di), Le fabbriche e la foresta: RAMELLA P., forme e percorsi del paesaggio biellese, DocBi – Centro Studi Biellesi, 2000 Ecomuseo in Ivrea e Canavese: musei, mostre, archeologia, architettura, arte, etnografia, castelli, parchi, Ivrea, Bolognino, 1998 CANAVESE RAMELLA P. (a cura di), Andar per streghe in Canavese, Val d’Aosta e Piemonte, Ivrea, Cossavella, 2000 (a cura di), Il castellazzo di Caluso: idee per il recupero della fortezza, Caluso, Associazione “Le Purtasse”, 2001 ACTIS CAPORALE A. Ramella P., Napoleone e il tempo francese in Ivrea e Canavese, Santhià, Grafica Santhiatese, 2000 Alla scoperta della Paraj Auta, Comune di Pavone Canavese, 2000 RAMELLA P. (a cura di), Alle radici della democrazia e delle libertà, in Ivrea e Canavese, Ivrea, Cossavella, 2001 BELTRAMO S., GIANADA S., Cuorgné. Nascita e sviluppo di un Borgo mercantile. Secoli XI-XVIII, Cuorgné, Corsac, 2000 (a cura di), Ecomuseo, la nuova frontiera, Ivrea, Bolognino, 2001 (a cura di), I confini occidentali del Canavese tra Malone e Stura: atti della giornata di studi, (31 ottobre 1998), Settimo Torinese, Città di Settimo Torinese, 2001 RAMELLA P. BERTOTTO S., PICCHETTO C. RAMELLA P., Eporedia, 100 avanti Cristo: il territorio, i Salassi, via pubblica, valichi alpini, Duria Maior, porto, miniere d’oro, agricoltura, artigianato, commercio, acquedotto, Ivrea, Cossavella, 2001 CURNIS M. (a cura di), Gli antichi statuti del Comune di Chiaverano (1251), Ivrea, Cossavella, 2001 RAMELLA P., Fiorano nel Canavese. Dalle origini al medioevo, Ivrea, Bolognino, 2001 Le poesie di Costantino Nigra, San Giorgio Canavese, Lions Club Alto Canavese, 2001 DEMARCHI C., FAVERO R., GIORDA G., SARASSO S., 23 I paesi delle rane, Vercelli, 2000 I nostri libri gennaio 2002 torinese: Settimo 1955-1999, Roma, Carocci, 1999 CHIERESE (a cura di), Un uomo, una città: Secondo Caselle tra storia, politica e vita, Chieri, Città di Chieri, 1993 BASSIGNANA E., VANETTI G. BOCCAZZI VAROTTO C., Le piccole fiammiferaie: una tragedia del lavoro dimenticata, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1999 PINEROLESE E CAVOURESE Noi di Vanchiglietta, ‘L Borgh dël fum: storia e memorie di Vanchiglietta, Torino, Graphot, 1999 I piloni di Cavour: testimonianze di fede, arte e storia nei segni sacri sul territorio di Cavour, Cavour, Associazione Turistica Pro Loco di Cavour, 2000 VALLE DI SUSA PEYRON G., Cavour 5 giugno 1561: una data importante nella storia di Cavour: documenti e personaggi, Cavour, 1990 JANNON G., SARTI E., (a cura di), Castello di Cavour: assedio, resa, riconquista, 1592-1595: dalle cronache e dai documenti dell’epoca, Cavour, 1988 SACCO S., La Monce dai vagoni all’acciaio: storia di una fabbrica piemontese del ‘900 da Fortunato Bauchiero a Luigi Lucchini, Condove, Morra, 1999 PEYRON G. Moncenisio, già Anonima Bauchiero, Bussoleno, Edizioni del Graffio, 2000 SACCO S., Carbone Bianco: il ruolo dell’energia idraulica nell’industrializzazione della Valle di Susa, Bussoleno, Edizioni del Graffio, 2001 (a cura di), De petroglyphis Gallaeciae: arte rupestre, archeologia e paesaggio Galizia, Spagna, Pinerolo, CeSMAP, 2000 SEGLIE D. Lavoro della pietra, pietra da lavoro [Videocassetta, durata 40 minuti]. Testi di Pierluigi Richetto, Sergio Sacco, riprese Carlo Braccio, Bussoleno, Associazione “Amici del Museo della Pietra e della Castagna”, 1998 TORINESE BERTOTTO S., La città solidale: per una storia dei servizi sociosanitari nell’area metropolitana Sede di L&M Presso Istituto di Studi Storici G. Salvemini Via Vanchiglia, 3 - 10124 TORINO Segreteria di L&M: Tel./Fax 011 9989225 – e-mail: [email protected] c/o Milena Gualteri - Via Presenda, 55 - 10040 LEINÌ (To) L&M: Codice Fiscale: 97580440010 Le fotografie pubblicate su questo numero della rivista L&M sui prodotti ceramici di Castellamonte sono di: FOTO CLAUDIO MARINO - Castellamonte. La rivista L&M è ad uso interno dei Soci. Bolognino Editore, Ivrea via Dora Baltea, 4 tel. 0125 641162 e-mail: [email protected] 24