COSA PASSA VERAMENTE NELLA TESTA DEL GENITORE: IL CODICE PARENTALE “I geni dei vostri figli riflettono soltanto il loro potenziale, non il loro destino. Sta a voi creare un ambiente che consenta di svilupparsi fino al massimo del loro potenziale” Dr. Bruce Lipton Phd Ti è mai capitato di essere di fronte a tuo figlio, vederlo piangere ed essere in balia delle proprie emozioni, sapere di avere un enorme potenziale per risolvere la questione tornando in pace, ma alla fine ritrovarti sempre a utilizzare le stesse soluzioni, cercando di consolarlo inutilmente fino a perdere la pazienza? Più semplicemente, ti sei mai trovato a voler raggiungere un tuo obiettivo personale, ma essere limitato da qualcosa più forte della tua volontà, facendo molta fatica e addirittura lasciar perdere? Beh, capita a tutti. E’ il funzionamento naturale della nostra mente. Ma se impariamo a conoscerla e a gestirla tutto questo può cambiare in meglio. La mente è un processo che regola il flusso di energia e di informazioni Daniel J. Siegel Hai mai provato a definire cos’è la mente? Durante tutti i nostri processi mentali, e non solo quando ti sei trovato in situazioni come quelle descritte prima, in cui però questo diventa evidente, sono state coinvolte due principali parti della tua mente. Una parte che decide ed è creativa, la mente conscia, ed una parte della mente che esegue e lo fa in maniera abitudinaria ed automatica, la mente subconscia, un nastro registrato di istinti ed esperienze apprese. Ma guardiamole più da vicino: • Mente subconscia: Si occupa di regolare le funzioni organiche del nostro corpo processando circa 20.000.000 di stimoli ambientali al secondo: respirazione, battito cardiaco, attività degli organi e del sistema immunitario, etc.. D’altra parte è anche un database di comportamenti geneticamente programmati o appresi dal momento del nostro concepimento, e su cui vengono scaricate le nostre esperienze di vita. La mente subconscia è un maggiordomo fedele che esegue i compiti che gli sono stati impartiti durante l’arco di tempo in cui ha prestato il suo servizio. • Mente conscia: E’ la sede del nostro sé, della nostra volontà e della nostra creatività. Attraverso la mente conscia possiamo decidere di leggere un libro, alzare un braccio o fare progetti per il futuro. A differenza della mente subconscia, il conscio processa 40 stimoli ambientali al secondo. Queste due menti collaborano in piena sinergia. Mentre siamo alla guida della nostra auto (grazie ai meccanismi che si sono integrati nel subconscio attraverso meccanismi che vedremo più avanti) possiamo fare progetti per le nostre vacanze senza stamparci contro un muro. Come avrai notato però non sempre ciò che vogliamo corrisponde a ciò che otteniamo. Perché? Immagina la scena di una mamma seduta al tavolo con la sua famiglia, il bambino di un anno sul seggiolone di fianco a lei che a piene mani porta la sua pappa alla bocca; la madre lo lascia fare perché sa che i bambini devono giocare con il cibo per averne un buon rapporto. I suoi genitori sono in piedi intorno al tavolo, che già discutono con lei sul modo migliore per imboccare il suo bambino, perché “così non si fa”, perché “non è educazione lasciar fare al bambino tutto ciò che vuole. Quando poi è grande cosa fai? Ti mette i piedi in testa. Sono tutti capricci”. Suo marito con gli occhi fissi e increduli verso di loro e che ogni tanto si rivolge a lei supplicando col suo sguardo “Perché non gli dici cosa pensi? Eri così decisa quando ieri mi spiegavi il tuo punto di vista”. Hai in mente questa scena o una scena simile? Una scena in cui tu sai che stai facendo la cosa giusta per tuo figlio, ma una parte di te vuole proprio dar ragione a papà e mamma, alla società, alla televisione? Hai mai la sensazione che una parte di te voglia andare verso una direzione, ma un’altra più forte, più profonda tiri dalla parte opposta? Secondo gli studi legati alla neuropsicologia, la parte conscia della nostra mente agisce per il 5%; il 95% delle nostre azioni è dettato invece da abitudini a livello subconscio. Quindi il 95% delle tue azioni e dei segnali che invii a tuo figlio sono decise dal subconscio, cioè da una parte di te che non conosci perché sono al di sotto della tua sfera cosciente. Ti sarai accorto quanto spesso le nostre reazioni non siano dettate dalla nostra volontà, bensì da meccanismi nascosti che non ci permettono di agire consapevolmente. Quale cambiamento puoi realizzare in te e nei tuoi figli se il 95% del tuo sistema tira in un’altra direzione? Questi stessi atteggiamenti ci sono stati trasferiti più o meno in modo inconsapevole dai nostri genitori e da chi ci ha educati. La mancanza di attenzione su questi fondamentali aspetti della nostra mente ci porta a trasferire gli stessi codici ai nostri figli. Il Codice parentale è l’insieme di comportamenti, abitudini, esperienze, linguaggio, aspetti genetici attraverso cui modelliamo la nostra realtà, e quella dei nostri figli. IL GENITORE SCIENZIATO Immagina di vivere in un laboratorio. Come leggerai più avanti nel testo, il mondo che ci circonda è il nostro mezzo per comprendere quelle parti sconosciute di noi, costituita da consensi, accordi interiori e abitudini subconsce, che più facilmente chiameremo credenze, accumulate durante tutto l’arco della vita, attraverso le quali interagiamo con l’ambiente in cui siamo nati e di cui siamo co-creatori. Attraverso tali percezioni, costruitesi nel tempo, prendiamo determinate decisioni piuttosto che altre, troviamo soluzioni e ci comportiamo in un certo modo. La realtà è l’unico laboratorio che si modifica in base al risultato degli esperimenti che concludiamo al suo interno. Diciamo quindi che la sua struttura, si modifica in base a ciò di cui veniamo a conoscenza, a seguito dei nostri esperimenti e delle nostre osservazioni. Più illuminiamo una parte interna di noi, più il laboratorio modifica la sua forma, ed in questo nuovo ambiente continueremo a portare avanti i nostri esperimenti. Fin dal nostro concepimento ci siamo circondati di una bolla percettiva di varia densità attraverso la quale interpretiamo il mondo “la fuori”, ed elaboriamo le informazioni presenti esternamente in forma libera. Queste informazioni vengono elaborate attraverso i nostri 5 sensi e registrate nella mente subconscia, cioè quella porzione di mente che crea la percezione della realtà, facendola diventare unica e particolare. Solo il 4% di ciò che vediamo arriva ai nostri occhi sotto forma di luce; l’altro 96% nasce nel cervello dalle nostre esperienze, che richiedono 1/5 di secondo per essere elaborate. Quindi di fatto non abbiamo una visione diretta della realtà, non vediamo ciò che esiste in quell’istante1 A partire dalle nostre emozioni, percezioni e sensazioni corporee, creiamo modelli mentali che plasmano le nostre aspettative su come funziona il mondo. Possiamo considerarli come una sorta di imbuto, di setaccio, attraverso il quale le informazioni vengono filtrate, oppure come lenti che ci costringono a prevedere il futuro in 1 Risvegliare il cuore bambino, p 93 base al nostro passato, e quindi a preparare le nostre menti all’azione. Queste lenti operano a un livello non accessibile alla nostra sfera cosciente, e influenzano le nostre percezioni in assenza di consapevolezza. Il cervello agisce come una macchina anticipante che continuamente si prepara al futuro sulla base di ciò che è avvenuto nel passato. I ricordi plasmano le nostre percezioni attuali creando un filtro attraverso il quale anticipiamo in modo automatico ciò che avverrà in seguito. In questo modo i modelli che codifichiamo nella nostra memoria distorcono effettivamente le nostre percezioni attuali e cambiano il modo in cui interagiamo con il mondo2. Il mondo che ci circonda è un pozzo di informazioni ed il compito del nostro cervello è quello di filtrarle, elaborarle e renderle utili ai nostri scopi. Abbiamo bisogno di crearci una chiave di lettura per l’immensa quantità di informazioni che si presentano in modo incoerente ai nostri occhi. Attimo dopo attimo il nostro computer biologico elabora tali informazioni che a noi appaiono in una certa forma, sulla base delle informazioni apprese e registrate in passato. In pratica il nostro cervello porrà attenzione su ciò che noi abbiamo deciso consciamente ed inconsciamente di cercare. L’immagine che trovi qui sotto, è un semplice esempio di come il nostro cervello, vada alla ricerca dell’informazione immettendo nel sistema il semplice comando TROVA GLI ANIMALI. Allo stesso modo il nostro cervello cerca nella realtà, un’elaborata matrice informativa, le informazioni che si aspetta di trovare. Per esempio quando abbiamo l’intenzione di acquistare un auto di un particolare modello, in quel periodo per le strade ci sembrerà che 2 Mindsight, pag 160 quel modello di auto sia aumentato. Troveremo l’oggetto dei nostri desideri ad ogni angolo. In realtà quelle auto ci sono sempre state, ma non attiravano il nostro sguardo. Il nostro cervello non le prendeva in considerazione. Pensate al cervello come ad un sofisticato motore di ricerca, in cui dopo l’inserimento di una serie di parametri, vengano fatti emergere determinati risultati. Risultati che già ci aspettiamo. Le informazioni che troveremo saranno nuove solo nella misura in cui ci alleneremo ad aprire la nostra visione del mondo. Nei capitoli dedicati alle strategie imparerai come l’osservazione di te stesso e della realtà esterna ti permetta, lavorando sul tuo presente, di agire sui meccanismi che ti impediscono di modificarla, continuando a proiettare il tuo passato anche nel futuro. Fin dal nostro concepimento e durante la nostra vita, quindi, costruiamo una sorta di involucro protettivo che rafforziamo ogni giorno cercando o costruendo prove che ci permettono di mantenere in piedi il castello che abbiamo edificato, in quanto all’interno di questa struttura percettiva ci sentiamo al sicuro. Tutto ciò che vediamo, percepiamo e sentiamo passa attraverso questo strato che ci avvolge costantemente e attraverso il quale ci muoviamo nel mondo, creando una realtà solo nostra. Questo pacchetto di informazioni raccolte a livello individuale vengono chiamate credenze o convinzioni. Bruce Lipton definisce le credenze come un linguaggio della mente attraverso cui viene codificata la nostra realtà in modo costante…Le credenze sono come filtri di una macchina fotografica, che cambiano il mondo in cui vedete il mondo. Se riconosciamo davvero il potere delle nostre credenze, abbiamo in mano la chiave della nostra libertà. Non possiamo cambiare facilmente il nostro codice genetico, ma possiamo cambiare la nostra mente3. Tutti potremmo riuscirci, se solo allenassimo la capacità di andare oltre ciò che ci aspettiamo di vedere, in base ai nostri condizionamenti. Nel capitolo legato alle strategie vedremo insieme come è possibile prepararci in tal senso. Il metodo più semplice per comprendere cos’è una credenza è quello di equipararla ad un’informazione a cui facciamo riferimento quando dobbiamo agire, decidere, scegliere. Sono come solchi in un disco in vinile attraverso i quali emettiamo sempre la stessa musica. Se per esempio siamo stati educati in maniera rigida da uno, entrambi i genitori o dalle persona che ci hanno cresciuto, e questo tipo di educazione non è stata elaborata e 3 Bruce Lipton “La biologia delle credenze”, Cesena, Macro edizioni, 2006 razionalizzata, e non portiamo attenzione sui nostri meccanismi automatici che esprimono tale rigidità, c’è la forte probabilità che continueremo a trasferire la stessa rigidità nell’educazione dei nostri figli. Questo meccanismo inoltre si ripercuoterà non solo nell’educazione dei figli, ma anche sul nostro modo di considerare il lavoro, il denaro o la vita di coppia. La nostra sfida in quanto genitori è quella di lasciar andare le nostre abitudini radicate, e fare attenzione a non programmare nelle menti subconscie dei nostri figli paure inutili e convinzioni limitanti, consapevoli che il miglior promotore della crescita è l’amore. ECCO LA VERITA’ SU COME I NOSTRI FIGLI CI FANNO DA SPECCHIO “Quanto più piccoli sono i bambini, tanto più chiaramente essi divengono lo specchio dei genitori e della loro situazione famigliare” Dott. Rudiger Dahlke I nostri figli costruiscono l’immagine che hanno di se stessi e che avranno da adulti, prevalentemente attraverso ciò che gli trasmettiamo attraverso i nostri comportamenti. I bambini apprendono per esempio la gestione delle relazioni, la gestione dei propri stati d’animo, il modo di risolvere problemi ed affrontare le situazioni attraverso ciò che noi genitori gli trasferiamo, nel 95% del tempo a livello subconscio. Questo “download” avviene sia per il comportamento manifesto che per quello non espresso, il quale nasconde comunque un’intenzione, anche se non dichiarata. La non azione ha lo stesso peso dell’azione, sia questa positiva o negativa. Quella che in definitiva viene trasferita è l’intenzione, che poi viene espressa attraverso i nostri modelli di comportamento. Confesso di trovarmi spesso in difficoltà a gestire Gabriele quando “si mette in testa qualcosa”. Se osservo il mio comportamento in queste situazioni mi accorgo che il primo modello che prenderei in considerazione è l’utilizzo della comunicazione manipolatoria, molto potente ed efficace con un bambino di 4 anni. E’ facile per un adulto utilizzare sotterfugi per distogliere l’attenzione del bambino dal suo obiettivo. “Se fai questo dopo ti compro il gelato, se non ti comporti così dopo ti faccio vedere la televisione”. Il secondo modello più gettonato sarebbe la minaccia “se lo fai dopo non usciamo in bicicletta, se non lo fai non guardi la televisione per tutto il giorno”. Adottiamo questi comportamenti spesso in maniera automatica come abbiamo detto. Ma cosa viene trasferito al bambino? Nostro figlio impara queste modalità di comportamento, impara che la minaccia e la manipolazione sono strumenti efficaci per ottenere ciò che vuole dalla vita. E’ fondamentale per un genitore imparare nuovi modelli comunicativi con il bambino. Ma questo è solo ciò che viene manifestato. In questo contesto non è importante capire come ottenere ciò che vogliamo dal bambino in una maniera meno invasiva e più delicata. Trovo più importante capire la nostra reale intenzione che si nasconde dietro l’azione. Andando più in profondità, dobbiamo chiederci qual è l’ intenzione che ci porta ad adottare un certo comportamento. Magari vogliamo più spazio per noi, magari stavamo leggendo la nostra rivista preferita e nostro figlio sta disperatamente cercando la nostra attenzione. L’informazione che viene scarica è “papà non ha tempo per me”. L’intenzione, seppur non manifesta, è tanto importante quanto il nostro comportamento. Dato che il genitore trasferisce i propri modelli mentali al figlio attraverso il processo che abbiamo visto fino ad ora: allora nostro figlio diventa una preziosa fonte di informazione sulla nostra sfera subconscia, quella parte di noi che non conosciamo, la parte sommersa dell’iceberg: I nostri figli sono specchi limpidi attraverso i quali si riflettono le parti nascoste e inespresse di noi. Questo processo di trasferimento avviene grazie alla presenza dei neuroni specchio. Questi particolari neuroni presenti nella corteccia, scoperti negli anni 90’ da un gruppo di neuroscienziati italiani, sono considerati alla base dell’empatia, e ci permettono di rispecchiare: 1. Le intenzioni comportamentali degli altri. Per esempio se vedo qualcuno sbadigliare mi viene da sbadigliare 2. Gli stati emotivi degli altri. Gli scienziati lo chiamano contagio emotivo, in quanto le emozioni che proviamo - felicità, tristezza, rabbia, paura – sono condizionati dagli stati emotivi delle persone che abbiamo intorno. Prova ad osservare le persone in posta mentre fanno la coda. Nel momento in cui la prima persona inizia ad agitarsi, tutti gli altri fanno di conseguenza, volenti o nolenti. Oppure se ti trovi ad una festa e il gruppo che stai ascoltando inizia a ridere, sarà facile che lo faccia anche tu. Più avanti nel libro imparerai ad osservare te stesso nella vita quotidiana e ti renderai conto da solo del funzionamento dei tuoi neuroni specchio e di quelli dei tuoi figli. In pratica queste strutture ci consentono di imitare i comportamenti degli altri - quando osserviamo un atto ci prepariamo ad imitarlo - e i loro stati emotivi. “Assorbiamo” gli altri lavorando proprio come delle spugne. I bambini imitando e osservando gli adulti imparano a dare un significato alle emozioni e ai comportamenti e assumono quindi, fin da piccoli, i loro meccanismi. Schemi familiari tramandati di generazione in generazione e a livello genetico, convenzioni culturali e religiose che condizionano la nostra felicità e ciò che crediamo vero della vita. CONSIDERANDO l’esistenza di questi aspetti e impegnandoci a mettere in discussione le nostra visione del mondo, doniamo ai nostri figli la possibilità di comprendere la loro visione soggettiva delle cose. Quella capacità di osservare la propria mente, ed attraverso la mente delle altre persone, potendo così entrare facilmente in risonanza con il mondo che li circonda. Quanto è importante per te essere in grado di gestire e mettere un freno alle tue reazioni di fronte ai tuoi figli? Quanto è importante introdurre modelli di comportamento nuovi, diversi da ciò che ai appreso automaticamente nei primi anni della tua vita? Un abbraccio comprensivo al posto di un castigo, un momento di tensione sostituito da un momento di gioco. A questo punto è ormai chiaro che ciò che succede a tuo figlio è strettamente collegato alla tua crescita interiore. E’ nostra responsabilità iniziare il percorso di realizzazione personale attraverso il lavoro su noi stessi e sulla nostra consapevolezza in modo che per riflesso lo possano raggiungere anche i nostri figli. Tutto ciò è evidente ed osservabile nei comportamenti dei nostri figli. Atteggiamenti di rabbia, frustrazione, mancanza di autostima, ma anche gioia ed ottimismo. Spesso si punta l’attenzione sull’emozione negativa poiché è la condizione da trasformare, ma tutto ciò è valido anche per i sentimenti positivi. La scommessa è quella di riuscire ad osservare nei bambini quelle parti di noi che proprio non vogliamo vedere, portarle a consapevolezza e modificarle in positivo. La condizione di genitore dona il privilegio di avere un punto di riferimento certo, per la tua crescita e quella delle generazioni future. Ogni volta che perdo di vista questo obiettivo immagino i miei figli con in braccio i loro figli, e mi chiedo: Cosa voglio che venga trasferito alle generazioni future? Quali sono i modelli che ho intenzione vengano tramandati? E’ importante conoscere la propria storia, ma ancora di più è avere chiaro il futuro che vogliamo. La nostra azione nel presente ha la potenzialità di modificare l’espressione genetica e il modo di vedere il mondo delle generazioni che verranno dopo di noi. Tutto può partire da te. Adesso GENITORI AL CONTRARIO I “Genitori al contrario” sono quegli individui, padre e madre biologi o adottivi, che hanno una visione ribaltata della realtà. Ossia quei genitori che sono riusciti a rendersi conto di avere piena responsabilità delle loro azioni e dell’ambiente che stanno creando intorno a loro, un ambiente in cui loro figlio crescerà e attraverso il quale costruirà il proprio futuro. Quegli individui consapevoli che l’ambiente esterno è solamente un’estensione del loro ambiente interiore, ed è quindi osservando e lavorando su se stessi che potranno integrare e modificare situazioni che ancora non riescono ad accettare. “Genitori al contrario” non è un libro sull’educazione dei bambini. Questo libro focalizza l’attenzione su di te. E’ un libretto di istruzioni per conoscere meglio te stesso e poi agire di conseguenza, con tutti i tuoi pregi e tutti quelli che al momento sembrano dei difetti, ma che in realtà sono punti di appoggio dai quali partire per migliorare. Questo libro si fonda sull’assunto in base al quale, tutto ciò che esiste intorno a noi può essere utilizzato per comprendere al meglio la nostra psicologia, fatta di emozioni, pensieri, ricordi e convinzioni. Come genitore abbiamo però trovato che l’osservazione di noi attraverso i nostri figli, è il modo più efficace per portare luce dentro la nostra mente. I figli ci mettono alla prova in ogni momento. Ci fanno vedere ciò che noi non vediamo, ma per ottenere risultati è necessario prima di tutto OSSERVARE. I figli sono lo specchio più limpido attraverso il quale possiamo guardarci quotidianamente. Illuminando con la consapevolezza i momenti difficili del passato, potrai comprendere in che modo le tue esperienze precedenti influenzano il rapporto con i tuoi figli, ma questo è solo un punto di partenza per decidere che da oggi tutto può cambiare. Il nostro presente è la somma di tutto il nostro passato, quindi è sufficiente lavorare sul “qui e ora” per costruire il futuro che vogliamo. LOZAINETTODELGENITOREALCONTRARIO Qui di seguito troverai le strategie e gli strumenti, che ti permetteranno di arrivare ad una migliore comprensione di te stesso. Questi accorgimenti hanno lo scopo di portare il tuo cervello e la tua mente all’integrazione, cioè a fare in modo che tutte le sue parti lavorino in modo coerente e coordinato al raggiungimento di un unico fine: la tua felicità e quella dei tuoi figli. L’integrazione può essere orizzontale, in modo che la logica dell’emisfero sinistro del cervello operi in sinergia con l’emotività dell’emisfero destro, e verticale, in modo che le aree del cervello che fisicamente si trovano più in alto, aree che consentono di riflettere attentamente sulle proprie azioni, si coordino con le parti che si trovano più in basso, le quali sono collegate maggiormente all’istinto, alle reazioni viscerali e alla sopravvivenza. Tutte le strategie e la maggior parte degli strumenti potranno essere attuati e utilizzati mentre interagisci con i tuoi figli, mentre lavori, mentre ti fai la doccia, mentre fai l’amore. Spesso ti troverai a dover utilizzare più strategie nello stesso momento; una sorta di super strategia che ti permetterà di esprimere il meglio di te in quanto genitore al contrario. Non sarà necessario ritagliarsi del tempo durante la giornata per meditare, poichè la meditazione sarà continuativa, momento dopo momento, evento dopo evento, pensiero dopo pensiero. Nel prossimo capitolo troverai alcuni esempi per utilizzare insieme le strategie e gli strumenti. Adesso te li presento. STRATEGIA N°1: OSSERVARE Quello per cui ti devi sforzare è principalmente OSSERVARE, compiendo questa azione indirizzando la tua attenzione verso due direzioni opposte. Una verso l’interno e l’altra verso l’esterno. Ti faccio un esempio di come agisco durante una situazione quotidiana. Mio figlio Gabriele, quando aveva tre anni, era nel pieno della sua fase egoica, in breve non esisteva altro al di fuori di lui, era al centro del mondo. Considerava come tutto suo e tutti dovevano essere a sua completa disposizione. A questa età la corteccia cerebrale dei bambini non è del tutto sviluppata e quindi la sfera razionale spesso viene sopraffatta dalle emozioni che hanno sede, come abbiamo detto, nella regione limbica. Questo fa si che sia il genitore a dover fare le veci della razionalità del bambino. Ma ecco l’episodio: arrivo a casa all’ora di cena, mi salta addosso e decide che è ora di giocare “al toro”, un gioco che facciamo tuttora, in cui mi trasformo in un “toro meccanico” e lo faccio montare sulla mia schiena facendolo saltellare. Io però ho fame. Voglio mangiare e mi pregusto la cena. Arrivo in cucina e il tavolo non è pronto. Frustrazione, rabbia. Provo a fargli capire che magari sarebbe bene fare cena e poi giocare. Non c’è verso. Rabbia, frustrazione, senso di colpa. Più gli dico no e più strilla e strattona. Più urla più gli dico no, mi sale la rabbia, perché IO ho fame, sono stanco, non vedevo l’ora di arrivare a casa e stare tranquillo… STOP. Porto una parte della mia coscienza fuori dal mio corpo (è sufficiente immaginarla, non è prevista nessuna operazione chirurgica) e creo un testimone (esattamente come un personaggio che assiste ad un qualsiasi evento) che mi permetta di vedere la scena dall’esterno e di non essere identificato completamente con le mie emozioni. Potete posizionare il vostro testimone al di fuori del vostro corpo in qualsiasi punto vogliate, l’importante è che possa avere una visione chiara della scena. E’ lo stesso processo avvenuto quando ho iniziato a focalizzare la mia attenzione sui particolari all’interno del cinema virtuale agli Universal Studios. Sono diventato il testimone della realtà virtuale a cui stavo partecipando. Se trovate difficoltà nella creazione del testimone prendetevi qualche minuto di tempo e rilassatevi seduti su una sedia. Iniziate a focalizzare la vostra attenzione sul respiro e sull’aria che entra ed esce dalle narici, “aria che entra…aria che esce”, fino a quando vi sentite più rilassati. A questo punto sforzatevi di guardarvi dall’esterno. I primi momenti sarà forse necessario usare l’immaginazione, ma poi inizierete a sentire la presenza del testimone in modo chiaro. Inizia l’osservazione. Immagina la scena di un film al rallentatore. Osservazione esterna: Ci sono due individui, uno di tre anni e l’altro di trentadue che manifestano le loro esigenze. Nel momento in cui non vengono soddisfatte iniziano a strattonare, urlare e pretendere ciò che si aspettano di ricevere. Osservazione interna su tre piani: Piano fisico: osservo la fame, la stanchezza e i dolori muscolari. Piano emozionale: osservo rabbia, frustrazione, senso di colpa. Col tempo riusciremo a classificare le nostre emozioni in base alle molte sfumature diverse. Piano mentale: osservo pensieri ripetitivi in sottofondo legati al lavoro, ai problemi economici, ai problemi relazionali, legati alla situazione in se, il tavolo ancora da apparecchiare, la cena ancora da mangiare. Accade quindi qualcosa all’esterno, che fa scattare una reazione dovuta ad un mio programma interno che non riesco a gestire. OSSERVARE quindi significa avere costantemente un occhio puntato verso se stessi, verso le emozioni e i pensieri che ci attraversano, oltre alle nostre reazioni. Inoltre significa guardare tutto ciò che è intorno a noi, fino al punto più estremo, e osservarlo come se accadesse a qualcun altro. Significa guardare alle cose come se non si avesse alcun legame con esse. In poche parole non esserne identificati. Bisogna essere il cielo che osserva le nubi. Credo che questa sia la facoltà principale che un genitore debba apprendere nel suo mestiere. Come possiamo imparare a gestire le situazioni esterne (bambini in lacrime e urlanti, botte da orbi tra fratelli, pappe che volano sul muro appena ridipinto, capolavori espressi sul divano nuovo, figli che tornano a casa la mattina senza avvisarci) se non abbiamo piena consapevolezza di quello che ci passa attraverso? Rabbia, frustrazione, senso di colpa, pensieri ossessivi sono tutti espressioni del nostro apparato psico-fisico, che difficilmente abbiamo imparato a gestire, principalmente perché nessuno ci ha mai insegnato ad osservarli. Possiamo leggere centinaia di libri sull’educazione migliore per i nostri bambini, ma se non siamo consapevoli di noi, all’atto pratico veniamo sopraffatti dalla nostra ciurma in ammutinamento. Quando non facciamo attenzione viviamo una vita meccanica, con pensieri meccanici, emozioni meccaniche, reazioni meccaniche. Qualcuno preme un bottone e noi andiamo su, ne preme un altro e andiamo giù. Indirizzando la nostra attenzione, possiamo passare dall’essere influenzati da fattori interni ed esterni a noi, all’influenzare tali fattori. Tutto cìò è fondamentale per la creazione dell’ambiente che vogliamo per i nostri figli. Non possiamo dirigerci verso il futuro che vogliamo se prima non abbiamo imparato a riconoscere e gestire i nostri schemi reattivi derivanti dall’area limbica del nostro cervello. Come abbiamo detto la somma delle nostre infinite scelte quotidiane portano alla creazione dell’ambiente in cui viviamo. L’attenzione ci permette di prendere decisioni consapevoli, che non siano dettate dal nostro passato ma da ciò che vogliamo nel futuro. Quando ci troviamo di fronte ad un bivio la nostra tendenza è spesso quella di girarci indietro e guardare nel passato prima di decidere da che parte andare. Replicare e se possibile migliorare una scelta fatta nel passato. Tutto questo lo facciamo in maniera automatica, è una modalità appresa. Cosa succederebbe se al bivio invece di voltarci indietro, ci alzassimo in punta di piedi e guardassimo meglio verso il futuro? Ti sei mai chiesto cosa vuoi veramente? Tutte le informazioni date fino a questo punto non vogliono avere lo scopo di puntare l’attenzione sul passato e sul lavoro che possiamo fare sulle nostre ferite. Non è questo lo scopo. Il nostro intento è quello di puntare l’attenzione verso il futuro. Conoscerci meglio per svegliarci dai nostri condizionamenti. Vederli e da questi partire verso ciò che vogliamo veramente per noi e per i nostri figli. Le decisioni che prenderemo bloccando i meccanismi automatici del nostro passato e puntando l’attenzione verso i nostri desideri ci porteranno, passo dopo passo, alla destinazione che ci siamo immaginati essere la migliore per noi. Immagina di dover prendere una decisione importante della tua vita. Ognuno di noi ne ha una in questo momento. Dove stai guardando? A ciò che sei stato o a ciò che vuoi essere? Come cambierebbe la tua scelta se l’attenzione fosse puntata verso ciò che vuoi ottenere, invece che indirizzata su come sarebbe bene fare, in base a scelte fatte nel passato? E come cambierebbe rispetto all’ agire in base a ciò che la società ti direbbe di fare? Esiste anche una seconda motivazione che deve spingerti a sforzarti nell’osservazione, oltre alla fondamentale capacità di relazionarci con i nostri figli, o le persone con cui interagiamo quotidianamente. Portare l’attenzione verso le tue emozioni e i tuoi comportamenti ti permette di portare luce verso le zone d’ombra della tua personalità. Quelle zone che si manifestano sotto forma di emozioni negative come rabbia, ansia, paura e che si riflettono nella realtà di fronte a te, attraverso i tuoi filtri percettivi, esattamente come la tua immagine riflessa in uno specchio. Osservando questa immagine esterna puoi conoscerti sempre meglio. Durante l’osservazione sai che la responsabilità della tua vita è unicamente tua. Se invece accusi l’esterno, ti allontani da te e deleghi la responsabilità a qualcun altro. Tuo figlio, tua moglie, tuo marito, tuo papà, tua mamma…il vicino di casa. Ma come può la sola osservazione modificare la tua personalità? Per spiegare meglio il concetto, userò la metafora di un bambino che gioca nella propria stanza. Quando il bambino è solo e non sa di essere osservato, giocherà in un modo diverso rispetto a quando sa di essere osservato da un adulto. Approvazione, bisogno di sostegno, timidezza sono tutti stati d’animo che possono portare il bambino ad agire diversamente in presenza dell’adulto. Il nostro apparato psico-fisico composto da corpo, emozioni e pensieri, reagirà diversamente alle sollecitazioni esterne se osservato costantemente. Un altro aspetto importante da considerare riguardo l’osservazione, ossia l’attenzione focalizzata verso emozioni, pensieri e reazioni, deriva dalla neuroplasticità del nostro cervello4. Quando facciamo una nuova esperienza o puntiamo l’attenzione su qualcosa – per esempio, su come ci sentiamo o quali obiettivi vorremmo ottenere – l’eccitazione elettrica a livello di neuroni porta alla produzione di proteine che consentono la creazione di nuove connessioni sinaptiche fra i neuroni attivati. Di conseguenza le nuove connessioni neuronali, createsi quando prestiamo attenzione a qualcosa, a loro volta modificano le nostre interazioni con il mondo e le modalità con cui reagiamo ad esso. In definitiva, la struttura del cervello si modifica in base alla direzione della nostra attenzione e a ciò che abitualmente facciamo. PUOI CONTARE SU DI ME: TI AMO, TI ACCOLGO, TI SOSTENGO E TI PROTEGGO Nelle pagine precedenti abbiamo parlato di specchio. Ti chiedo ora di provare a fare un piccolo test con noi. Prova ad immaginare di entrare nello specchio. Ora siete vostro figlio o vostra figlia… cosa chiedereste all’adulto dall’altra parte? Mettendoti quindi nei panni di tuo figlio, cosa chiederesti a te come genitore? Noi abbiamo provato a chiedercelo, ed ecco quello che è saltato fuori: 4 per una conoscenza più approfondita del concetto di neuroplasticità e dell’importanza dell’osservazione per il nostro cambiamento vedi “Mindsight” di Daniel J. Siegel nell’approfondimento Tenere a mente il cervello. La neuroplasticità in pillole. Parlando con la voce dei miei figli, mi chiederei di Giocare di più, di essere più presente, di ascoltare, di abbracciare e coccolare di più. Tu hai provato? Segnati cosa ti viene in mente, e nei prossimi giorni prova a migliorarti. Nelle prossime pagine, ti svelerò anche come fare nella vita stressante di tutti i giorni a ritrovare la connessione col tuo cuore, per vivere al meglio il rapporto con tuo figlio. Ma procediamo con ordine. Per poter crescere, i nostri figli hanno bisogno di percepire il nostro amore, di sentirsi amati, protetti, che le loro emozioni vengano accolte e sostenute, e che con noi siano al sicuro. Il genitore deve essere una «base sicura» (Bowlby, Winnicott), vale a dire sensibile agli stati mentali del figlio e che risponde prontamente e adeguatamente ai suoi bisogni e alle sue richieste. Pensiamo alle strampalate teorie sull’addormentamento del libro “Fate la nanna” di Eduard Estivill, che suggerisce di non intervenire quando il bambino si risveglia la notte e di lasciarlo piangere da solo nella stanza per periodi sempre più lunghi@vi pare un esempio di “base sicura”? Per chi non conoscesse il metodo ve lo riporto schematicamente, con accanto in corsivo i miei commenti. • Preparare il bambino all’addormentamento, introducendo una routine da ripetersi ogni sera (bagnetto caldo, pigiama, lettura di una storia….) E fin qui tutto bene! • Mettere il bambino nel lettino, e lasciare subito la stanza. Se il bambino inizia a piangere, lasciarlo piangere per periodi di tempo controllati prima di rientrare, aumentando gradualmente il periodo di tempo (ad esempio prima 3 minuti, poi 5 minuti, poi 10, e così via). Lasciare subito la stanza? Ma perché? Da grande avrà da lavorare di certo sulla sua ferita da abbandono povero cucciolo! Lasciarlo piangere per periodi controllati, misurati con cronometro? Allibita, lo trovo atroce, che sofferenza, non viene ascoltato, non trova risposta alla sua richiesta di aiuto! • Quando si rientra, bisogna dare conforto al bambino senza prenderlo in braccio. Nel caso, non raro, in cui il bambino abbia vomitato, bisogna pulire tutto, dire al bimbo che va tutto bene, sempre senza prenderlo in braccio, e uscire dalla stanza. Senza prenderlo in braccio? Ecco, neanche il conforto del contatto fisico gli concediamo! Il caso non raro in cui il bimbo abbia vomitato? Talmente arriva a piangere e soffrire dalla disperazione che spesso vomitano, che bella immagine di bambino felice! • A questo punto, secondo Estivill, il bambino capisce che tanto piangere non serve a niente, e si addormenta. Ha capito bene, i suoi genitori non rispondono prontamente e adeguatamente alle sue richieste e ai suoi bisogni, tanto vale lasciar perdere. Vi cito cosa c’è scritto a pag. 61 di Fate la Nanna: Qui mamma e papà dovranno dimostrare la loro vera forza. Non dovranno pensare a Paolino che, in segno di supplica, alza i braccini con un viso triste o che, se più grande, urla tutta la sua disperazione [..] Piangerà, urlerà, singhiozzerà fino a strangolarsi, vomiterà, si agiterà in preda a convulsioni, dirà “sete”, “fame”, “bua” “ti prego”, “non ti voglio più” e quant’altro pur di riuscire a piegarvi. Ma voi fate finta di nulla, siate stoici. Ma stiamo scherzando? Attribuire ad un bambino di pochi mesi l’intenzionalità di metterci alla prova, invece di pensare che quel bambino ha bisogno davvero di mamma e papà, del loro contatto, della loro protezione? Bambino ed individuo che fino a poco prima viveva in simbiosi con la sua mamma, e ora si ritrova abbandonato e non capito nel suo lettino? Cito Myla e Jon Kabat-Zinn: “Il nostro modo di vedere le cose influenza ciò che scegliamo di fare. Quando un bambino piange, pensiamo a quelle lacrime come a un tentativo di forza per controllarci o a un’espressione di disagio e bisogno di avere qualcosa da noi?...” Cosa porta a non reagire di fronte al pianto disperato di un bambino? Che emozione suscita in noi? Perché soffocare l’empatia verso il bambino, quando di fronte a qualsiasi altra persona che piange (partner, amico, o altro bambino non figlio proprio) non ci passerebbe neppure per l’anticamera del cervello di ignorare? Forse si è messi di fronte alla stessa sofferenza di quando da piccoli, non sono stati presi in considerazione i nostri bisogni? La forza di un genitore può essere misurata dalla capacità di gestire la propria sofferenza nel vedere soffrire suo figlio? Credo che la stoicità del genitore risieda invece nella capacità di gestire i propri bisogni non soddisfatti a favore di quelli dei bambini. Nel capitolo delle strategie vedremo insieme come raggiungere questo risultato. La lettura di questo libro mi è stata consigliata da una ragazza che è diventata mamma poco prima di me, e me ne parlava con entusiasmo, contenta di avere un figlio che si addormentava fin dai 3 mesi di vita senza bisogno di mamma e papà nella sua stanzetta, ma mi raccontava anche della fatica dei primi giorni, col bambino che poverino piangeva disperato. Avevo i brividi mentre la ascoltavo…pensavo alla sofferenza di quel bambino. E pensavo al fatto che se il bambino con il passare dei giorni non piangeva più per richiamare l’attenzione sui suoi bisogni, era perché aveva completamente perso FIDUCIA nei confronti dei suoi genitori. Non aveva più modo di farsi capire. Dall’altra parte riceveva solo indifferenza se non anche fastidio. Questo bambino si era arreso. La mamma aveva ottenuto l’indipendenza nel sonno di suo figlio, ma anche qualcosa di terribile: la chiusura emotiva del bimbo, che valuterà da sopprimere e soffocare i suoi sentimenti, perché non degni di essere ascoltati. Ci si lamenta tanto che durante l’adolescenza i ragazzi si chiudono, elevano un muro verso i genitori…come può essere diversamente se durante gli anni precedenti il muro era stato eretto dai genitori, che non hanno tenuto conto di cosa aveva da dire quel bimbo e non hanno dimostrato quanto fosse importante ascoltare le sue emozioni e dare il giusto valore ai sentimenti. Questi ragazzi hanno imparato che essere aperti, espressivi e desiderosi di attenzione e bisogni non andava bene per i propri genitori, come possono fidarsi di poter parlare apertamente dei loro problemi e dei loro disagi? C’è un detto che dice: “Figli piccoli, problemi piccoli. Figli grandi, problemi grandi”. Sono convinta che con un buon lavoro durante l’infanzia dei nostri figli, i problemi grandi non si verificheranno! Inizialmente pensavo di non aver capito bene quello che mi stava dicendo, per cui mi ero fatta prestare il libro, e dopo averlo letto, l’ho riportato al mittente, con la convinzione che con i miei figli avrei provato la strada del co-sleeping (di cui vi parleremo nel capitolo X?). Ma torniamo ai bisogni dell’essere umano, e nel caso specifico ai bisogni dei nostri bambini. Vi mostro la famosa piramide dei bisogni di Maslow (1954). Quello che vorrei sottolineare è il fatto che se noi genitori, base sicura dei nostri figli, non soddisfiamo i suoi bisogni primari, quelli ai primi gradini della piramide, il bambino non potrà esprimere il suo pieno potenziale, non potrà raggiungere il vertice della piramide. Se non gli diamo sicurezza fisica, se non si sentirà amato, protetto, non potrà avere una giusta autostima, non potrà avere autocontrollo, ecc. Compito di noi genitori è appunto quello di dargli tutto l’amore, la protezione e la sicurezza di cui necessita, affinchè possa acquisire la sua “sicurezza interiore” e crescere libero da paure e lacune, sapendo che alle spalle ha dei genitori amorevoli. Anche in questo caso possiamo portare l’esempio del co-sleeping. Gli specialisti a favore di questa pratica ritengono, che il bambino una volta rassicurato del fatto di avere una mamma attenta ai suoi bisogni, che risponde in maniera costante, coerente e sensibile alle sue richieste di vicinanza, di protezione, di rassicurazione, e che ha un quasi continuo contatto fisico con lui, col passare del tempo, saprà per certo che se anche la sua mamma non è presente accanto a lui, è comunque pronta ad accorrere al bisogno. E’ consapevole di essere ascoltato, che quando ha bisogno della mamma, con le sue strategie comunicative (il pianto da piccolino, e con l’uso delle parole poi), sa di essere capace di richiamare la sua attenzione, e che potrà farlo senza stress ma in maniera fluida e semplice come è giusto che sia. E soprattutto sa che otterrà una risposta, un’azione da parte della mamma. Una delle cose più tristi è vedere i bambini ignorati (parleremo dell’ascolto anche più avanti). Al parco giochi mi è capitato spesso di osservare mamme che beatamente se ne stanno a bere il caffè con le amiche, mentre per non pochi minuti i bambino urlano “Mamma!”, perchè magari vogliono essere spinti sull’altalena o anche solo per ricevere attenzione. E qui mi chiedo: ma è la mamma che ha portato al parco il bambino, o il bambino che ha portato al parco la mamma? Con che umore torneranno a casa? Il bambino sarà soddisfatto? A parer mio sarà più soddisfatta la mamma che si è presa il suo bel caffè, ha fumato la sua sigaretta e ha spettegolato con le sue amiche. Ma al bambino ci ha pensato? Poi si lamenterà del fatto che a casa continua ad essere agitato oppure noioso anche se sono stati quasi 2 ore al parco…certo, ma il bambino che ha fatto? Ha passato il suo tempo a cercare di richiamare l’attenzione di sua madre, si è sentito frustrato, non ascoltato e non compreso, non ha ricevuto risposta e ha finito per arrangiarsi da solo, deluso e interiorizzando “su mia madre non posso contare”. Quello che vorrei sottolineare è questo: Accogliamo le necessità dei nostri bimbi. Se ci richiede vicinanza e contatto fisico quasi costante da piccino, da più grandicello sarà capace di stare da solo, senza ansie e paure, grazie a quella sicurezza interna che avrà acquisito grazie a noi. I nostri figli sono dei cuccioli, e come tutti i cuccioli di mammifero, sono strettamente dipendenti da noi. E più accogliamo questa loro dipendenza, più da grandicelli saranno autonomi. Facciamo finta che il bambino sia un bicchiere da riempire. Più riempiamo il bicchiere nell’ infanzia e meno da adulto avrà bisogno di riempirlo. Sarà un genitore che a sua volta potrà colmare il bicchiere dei suoi figli senza aver bisogno di riempire prima di tutto il proprio.