ROMAGNOLI A ROMA NOTIZIARIO DELLA “FAMIGLIA ROMAGNOLA” DI ROMA N. 4/2009 (65) Roma, 20 maggio 2009 LA FAMIGLIA ROMAGNOLA ADERISCE ALL’UNAR (UNIONE DELLE ASSOCIAZIONI REGIONALI DI ROMA E DEL LAZIO) ADERISCE ALLA FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI EMILIANO-ROMAGNOLE DI ROMA E DEL LAZIO E’ ISCRITTA AL REGISTRO REGIONALE DELLE ASSOCIAZIONI DI PROMOZIONE SOCIALE (DET. N. D0103 DEL 21.1.2005) E’ ISCRITTA ALL’ALBO DELLA REGIONE LAZIO AI SENSI DELLA L.R. N. 49/98 = = = = = = = = = = = == = = = AGLI AMICI ROMAGNOLI DI ROMA E DEL LAZIO. AI ROMANI AMICI DELLA ROMAGNA. AGLI ENTI, AMMINISTRAZIONI, AZIENDE DI ROMAGNA Cari amici, le condizioni meteorologiche non ci hanno certo favorito nel pomeriggio dello scorso martedì 28 aprile, quando ci siamo radunati nella sede di via Aldrovandi per incontrare la delegazione forlivese del settimanale Il Momento. Il volgere del tempo al brutto ha scoraggiato certamente parecchie persone, ma, ciononostante, l’incontro è splendidamente riuscito per il clima di gioiosa amicizia che lo ha caratterizzato. Abbiamo riservato al gruppo de Il Momento “una calda accoglienza all’insegna di un’amicizia che dura da anni” per festeggiare insieme i 90 anni del giornale. All’evento il giornale forlivese ha dedicato una intera pagina, corredata di un ricco apparato fotografico, nell’edizione dell’8 maggio. Sopra: il gruppo de Il Momento con alcuni rappresentanti della Famiglia Romagnola sulla terrazza della sede di Via Aldrovandi, nella foto scattata quando già stavano cadendo le prime gocce di pioggia. MEMORANDUM 3 giugno ore 17.30 Sala dei PP. Agostiniani – S. Maria del Popolo – Incontro con l’Assessore G. Antoniozzi sul tema “I nuovi compiti dell’Europa” 10 giugno ore 17.30 Sede Via Aldrovandi 16 – Incontro con Alessandra Filippini che ci illustrerà la “vera” storia della Parmigiana di melanzane. ROMAGNOLI A ROMA - N. 4/2009 - 20 MAGGIO 2009 ► ATTIVITA’ IN PROGRAMMA ► 3 GIUGNO – INCONTRO CON L’ASSESSORE AL FAMIGLIA ROMAGNOLA PATRIMONIO ON. ANTONIOZZI L’on. Gianfranco Antoniozzi, Assessore al Patrimonio del Comune di Roma, ha manifestato l’intenzione di incontrare i Presidenti delle Associazioni Regionali, con una larga partecipazione dei rispettivi associati. Dal momento che sono ancora in via di definizione le condizioni di assegnazione dei locali di via Aldrovandi, sarà bene che la presenza di Soci e amici sia la più nutrita possibile, sia per esprimere all’assessore il senso della nostra gratitudine nei confronti dell’Amministrazione capitolina, sia per dare una dimostrazione della consistenza e del peso dell’associazionismo regionale a Roma. L’incontro, che avrà per tema I nuovi compiti dell’Europa, si svolgerà mercoledì 3 giugno, alle ore 17,30, nella Sala dei Padri Agostiniani a Piazza del Popolo, 12 (sul fianco della basilica di S. Maria). ► 10 GIUGNO – LA VERA STORIA DELLA PARMIGIANA DI MELANZANE CON ALESSANDRA FILIPPINI Nel pomeriggio del prossimo mercoledì 10 giugno, in sede a via Aldrovandi, alle ore 17.30 faremo l’ultimo incontro prima dell’interruzione estiva. Ci intratterrà piacevolmente Alessandra Filippini, parlandoci de La “vera” storia della Parmigiana di melanzane, una ricetta “d’autore” nata nel ‘700 ma non, come si potrebbe credere, a Parma. Giunta a suo tempo nella città emiliana per una circostanza fortuita, la parmigiana moderna non è quasi mai rispettosa della ricetta originaria: una storia poco conosciuta che non mancherà di interessare gli amanti della gastronomia ed i buongustai. Brindisi conclusivo. ASSOCIAZIONE TRA ROMAGNOLI A ROMA Sede: Via Ulisse Aldrovandi, 16 – 00197 Roma Tel./Fax 06 7210807 – Cell. 329 6229783 E-Mail: [email protected] http://it.dada.net/freeweb/famigliaromagnola/index.html Gianfranco Moschetti Ferdinando Pelliciardi VICE PRESIDENTE Alessandra Filippini CONSIGLIERI: Giuseppina Baldelli, Pierfrancesco Baselice, Paolo Brigliadori, Antonio Cesari (Segretario-Tesoriere), Francesco Pazzagli, Giorgio Pettini, Piersilverio Pozzi, Giuliana Sanzani, Daniele Villa REVISORI DEI CONTI: Pino Bendandi, Franco Molinari, Theo Rambelli COLLEGIO DEI PROBIVIRI: Lodovico Masetti Zannini, Alba Rosa Baccarini, Anselmo Calvetti PRESIDENTE ONORARIO PRESIDENTE Q U O T E S O C I AL I P E R L ’ AN N O 2 0 0 9 SOCIO ORDINARIO: FAMIGLIARE DI SOCIO ORDINARIO: SOCIO SOSTENITORE: ENTE SOSTENITORE: € 40,00 € 15,00 a partire da € 80,00 a partire da € 150,00 C/c Bancoposta n. 24344020 intestato a: ASSOCIAZIONE FAMIGLIA ROMAGNOLA – ROMA CODICE IBAN: IT73 R076 0103 2000 0002 4344 020 ATTIVITA’ SVOLTE 19 APRILE – RAPPRESENTAZIONE ROMAGNOLA AL TEATRO BELLI La rappresentazione pomeridiana del 19 aprile al Teatro Belli ha visto la presenza in platea anche di un gruppo di soci della Famiglia Romagnola. Era in scena lo spettacolo A e’ dè d’incù (Al giorno d’oggi), scritto e diretto da un noto autore romagnolo, il forlivese Gianni Guardigli, e interpretato dall’attore di origine ravennate Libero Sansavini. Recitato in dialetto romagnolo, peraltro con una cadenza ed una espressività che lo rendevano comprensibile anche agli ascoltatori italofoni, il monologo ha messo in evidenza le capacità e la bravura dell’attore romagnolo, calato nei panni di una anziana donna che osserva il mondo d’oggi con occhi di un tempo. Molto apprezzato lo spettacolo dal pubblico in sala, che lo ha ripetutamente applaudito insieme all’autore ed all’attore. Non è mancato l’incontro finale con foto di gruppo con alcuni dei nostri associati. (continua) A tutti i Soci ed Amici i più fervidi auguri di BUONE VACANZE 2 A e dé d’incù (Al giorno d’oggi) In qualche angolo della Romagna esiste un’aia dove una vecchia signora vede scorrere la sua vita, con la densità di chi combatte e, perché no, si compiace anche delle sue ossessioni. Non le piace il mondo di oggi, non le piacciono le persone di oggi e il loro modo di vivere. “A e dé d’incù…” diventa così un intercalare per esorcizzare ciò che non le piace. Una specie di mantra al negativo per ripulire tutto ciò che nel mondo di oggi per lei non funziona. L’ossessione della sua vita si cela dietro e davanti il ricordo di un muro. Un episodio avvenuto al tempo della guerra , che ha cambiato la sua vita e la rincorre non solo nei travagliati sogni, ma anche quando a occhi aperti siede davanti alla porta, quando la tenda è mossa dal vento che spazza l’aia. […] La signora diventa così una metafora che trattiene in sé tanti aspetti del nostro mondo moderno, da troppo tempo in fuga da tutto ciò che fa pensare e proiettato verso le scorciatoie facili dell’antipolitica così propensa a indicare le cose che non funzionano senza però dare mai un’indicazione, un consiglio per costruire invece “le cose che potrebbero funzionare”. [G.G.] ROMAGNOLI A ROMA - N. 4/2009 - 20 MAGGIO 2009 ATTIVITA’ SVOLTE 19 APRILE – RAPPRESENTAZIONE ROMAGNOLA AL TEATRO BELLI Nello scambio di doni che ne è seguito, particolare rilievo ha assunto la consegna, da parte di Giuseppina Baldelli, che fa parte del Consiglio Direttivo della nostra Associazione, delle pergamene – da lei richieste - con la benedizione papale per tre sacerdoti forlivesi (don Giovanni Amati, don Erio Castellucci, don Stefano Pascucci) che il 5 maggio avrebbero festeggiato i 25 anni di ordinazione. Un ricco buffet, con prodotti della nostra terra portati dagli amici in trasferta, ha concluso la giornata, rallegrata dall’intonazione finale delle nostre “cante “ e dalla promessa di ritrovarci nuovamente. Nella foto: al centro, in seconda fila, da sinistra, Libero Sansavini e Gianni Guardigli. 5 MAGGIO – CONVEGNO IN RICORDO DI ARMANDO RAVAGLIOLI Per ricordarne la figura di Armando Ravaglioli e la sua lunga attività svolta a Roma, martedì 5 maggio alle ore 17.30 ha avuto luogo presso la Casa delle Associazioni Regionali il Convegno “Armando Ravaglioli – testimonianze di una presenza a Roma”. E’ stata rievocata la sua attività di giornalista, scrittore, uomo di cultura, che ha sempre coltivato l’amore per la natale Romagna insieme a quello per Roma, sua città di adozione, e si è battuto a lungo e con energia per la valorizzazione delle “presenze” regionali nella Capitale. 28 APRILE – CELEBRATI CON LA DELEGAZIONE FORLIVESE I 90 ANNI DE “IL MOMENTO” Presenti numerosi componenti del Consiglio Direttivo e Soci della nostra associazione, l’incontro con la delegazione forlivese de Il Momento si è svolta nella sala Italia della sede di Via Aldrovandi. Dopo le parole di benvenuto da parte del presidente Pelliciardi, Alessandro Rondoni, direttore de Il Momento per oltre 20 anni, ha ricordato che il giornale “nei suoi 90 anni di vita ha attraversato il secolo, oltrepassato il millennio, incidendo nel territorio e facendo storia, la storia della città e dei suoi abitanti”, ed ha rievocato chi lo ha preceduto alla direzione del giornale, a cominciare da don Pippo, per continuare con don Mario Vasumi, don Francesco Ricci, Riccardo Lanzoni. Sono intervenuti Pier Silverio Pozzi (L’intervista radiofonica del 4 gennaio 1986), Giorgio Pettini (Gli esordi editoriali a Forlì), Vittorio Emiliani (Il Romagnolo che ci ha fatto conoscere Roma), Adriano Degano (L’impegno per le “Presenze regionali” e per l’UNAR), Marco Ravaglioli (Mio padre, giornalista in Comune). (Nella foto: uno scorcio del pubblico in sala) E’ poi intervenuta Antonietta Tartagni, neo-direttore del giornale, che ha rievocato i contatti con la Famiglia Romagnola durante gli anni giovanili a Roma. Aurelio Angelucci, direttore e componente della Compagnia teatrale Cinecircolo del Gallo, ha poi proposto una rassegna di ricordi e aneddoti su don Pippo e una selezione di versi romagnoli. 16/17 MAGGIO – VIAGGIO IN ROMAGNA E VISITA ALLA MOSTRA DEL CANOVA Impegnativi i due giorni trascorsi in Romagna per visitare le esposizioni legate all’arte di Antonio Canova. Nelle giornate di sabato 16 e domenica 17 maggio c’è stato modo di visitare la città di Faenza (L’officina neoclassica a Palazzo Milzetti, Duomo, Museo della Ceramica), di Forlì (Duomo, S. Mercuriale, Mostra del Canova al S. Domenico), Cesena (L’arte contesa alla Biblioteca Malatestiana), Forlimpopoli (Rocca di Albornoz). Il coronamento della full immersion romagnola si è poi avuto con la visita al Complesso di Casa Artusi e la consumazione di un ottimo pranzo domenicale presso l’omonimo ristorante, gestito da Andrea Banfi insieme a Franco e Jamila. 3 ROMAGNOLI A ROMA - N. 4/2009 - 20 MAGGIO 2009 ROMAGNOLI ILLUSTRI Nel 150° anniversario della morte AGOSTINO CODAZZI Lugo (Ra) 11/7/1793 – Pueblito de Espíritu Santo (Nuova Granada) 7/2/1859 Nato a Lugo di Romagna, Agostino Codazzi si arruolò giovanissimo nell’esercito napoleonico e combatté un po’ in tutta Europa, dalla Grecia alla Danimarca. Reduce poco più che ventenne delle ultime sfortunate campagne del Bonaparte, amareggiato e deluso del nuovo corso politico, abbandonò le armi e tentò l’impresa mercantile. Giunto a Baltimora nel 1817, dopo varie esperienze e peregrinazioni, ebbe modo di conoscere ed entrare in contatto con i movimenti di liberazione dei paesi dell’America Latina dalla dominazione spagnola. Fu così che, fallita a sua volta una ulteriore esperienza come agricoltore nella natale terra romagnola, vinto dal mal d’America, decise di ritornare in Venezuela. Accolto nell’esercito della Repubblica di Gran Colombia – che allora comprendeva la Nuova Granada (l’attuale Colombia), il Venezuela e l’Equador, destinati di lì a qualche anno a scindersi in tre stati indipendenti – nel 1826 ottenne da Simón Bolivar la nomina a Primo Comandante di Artiglieria e l’incarico di provvedere alle opere di difesa di Maracaibo. Fu nel corso di quei rilevamenti e di quelle precise informazioni che egli scoprì la sua definitiva vocazione. La cultura di stampo tecnico-scientifico, acquisita a partire dal 1810 come allievo della Scuola Teoretico-Pratica di Pavia (dove aveva sede il Reggimento d’Artiglieria a Cavallo, in cui Agostino Codazzi era stato inquadrato all’atto del reclutamento), gli aveva infatti fornito quella solida base da cui sarebbero poi scaturite le sue grandi opere nell’America del Sud. 4 Da allora la carriera di Codazzi cartografo fu in ascesa costante ed ottenne alti riconoscimenti, pur svolgendosi in mezzo a grandi difficoltà. Alternando l’attività militare con quella di geografo, con i rilievi effettuati nel corso di due decenni realizzò l’Atlante fisico-politico del Venezuela e un Compendio geografico del Venezuela, salutati con grande favore dagli esperti e le cui mappe, oltre a completare le descrizioni fisiche fatte da Humboldt, erano ricche di preziosi dati climatologici, agronomici, e demografici, risultati determinanti per la definizione dei confini fra Venezuela e Colombia. Trasferitosi nel 1849 in Colombia per il precipitare della situazione politica venezuelana, ricevette analogo incarico dal governo colombiano e, come capo della Comisión Corográfica, nell’ultimo decennio della sua vita procedette con grande tenacia al rilevamento del territorio. I risultati del suo grande impegno costituiscono il fondamento di tutte le opere geografiche relative alla Colombia stampate nella seconda metà dell’800 e nei primi decenni del ‘900. La morte colse Codazzi mentre stava completando, con l’ultima spedizione, l’esplorazione e la cartografia della Colombia. Codazzi non è ricordato solo per l’attività di esploratore e cartografo, ma anche per aver individuato il tracciato del Canale di Panama (di cui disegnò le carte, accompagnandole con articolate considerazioni di ordine politico, economico e finanziario), e per aver concepito l’idea delle colonie agricole, concretizzatasi nel 1843 con la fondazione della Colonia Tovar ad opera di emigrati tedeschi. Codazzi è considerato eroe nazionale del Venezuela e della Colombia. A lui i colombiani hanno intitolato una città (Pueblito de Espíritu Santo, ove egli morì, oggi denominato Codazzi) e l’Instituto Geográfico che ha sede in Bogotà. In numerose città venezuelane e colombiane gli sono stati dedicati monumenti e il suo ricordo è ovunque particolarmente vivo. Sepolto inizialmente in Colombia, dal 16 dicembre 1942 Agostino Codazzi riposa in pace nel Panteón Nacional venezuelano, vicino al Libertador Simón Bolivar. Lapide posta sulla casa natale di Agostino Codazzi a Lugo in Corso Mazzini 107 ROMAGNOLI A ROMA - N. 4/2009 - 20 MAGGIO 2009 MEMORIA E TRADIZIONI La longa stôria dla majê (l’origine della maggiolata) di Ligia Favi Nel mondo antico romano ogni aspetto della natura, della vita degli uomini e dei luoghi era sottoposto alla volontà divina. Niente sfuggiva agli dei che, per essere propizi agli uomini, dovevano essere adorati con offerte, con giochi rituali, con processioni sacre e con particolari cerimonie spettanti al loro culto. Non ci meraviglia il fatto che anche il mese di maggio fosse dedicato ad una divinità, sebbene minore come era Maia, la dea romana dell’abbondanza e della fecondità a cui, nel primo giorno del mese, il calendimaggio, veniva sacrificata una scrofa, simbolo della fecondità animale (questo ci viene ricordato ancora dal nome “maiale” che deriva dal nome della dea). Maia era una delle Pleiadi, le sette sorelle figlie di Atlante e di Pleione, che furono trasformate in stelle per formare la costellazione del Toro. Maia aveva ottenuto la benevolenza di Giove per sé e per le sorelle che diventarono così eterne, immortali, poiché gli aveva dato un figlio scaltro, amato e temuto dagli uomini per i suoi tranelli, Mercurio. Per Maia si facevano processioni in cui i giovani agitavano fronde di alberi e intonavano canti. Molto probabilmente erano cerimonie che venivano compiute quasi come cerimonie religiose: da queste ha avuto origine la nostra “majê”. Molti sono stati i popoli che hanno seguito riti simili per segnare la fine dell’inverno e l’inizio della bella stagione, come i Celti con le solennità di Beltane, gli Etruschi, i Liguri, gli Umbri. Alle prime semplici cerimonie veniva aggiunto il rito del “maggio”, come era chiamato un albero robusto tolto dal bosco e portato nella piazza per essere piantato nel centro di essa e adornato di nastri e di corone. Lì rimaneva anche quando tutte le foglie erano cadute e non restava che una sola corona a cui si attaccavano dolci e cibi vari che costituivano il premio dei giovani più abili nell’arrampicata (questa usanza è rimasta nella nostra tradizione ed è l’”albero della cuccagna” delle sagre contadine). Ma più che alle antiche cerimonie per Maia e alle feste primaverili dei Celti e degli altri popoli settentrionali ci sembra che la Majê abbia una origine più chiara e diretta col Calendimaggio fiorentino, la festa rinascimentale popolare, all’aperto, in forma scenica che si diffuse poi in tutta la Toscana ed anche oltre i suoi confini nella Romagna, in Emilia, nelle Marche. L’ingresso di maggio veniva festeggiato con canti e suoni notturni, liuti e mandole echeggiavano per le strade di Firenze, mentre i giovani facevano omaggio di rami fioriti sotto le finestre delle loro innamorate. «Ben venga maggio e il Gonfalon selvaggio…». Non si conosce l’esatta datazione in cui tali usi si diffusero nella nostra terra. Si sa che in alcuni paesi si “piantava maggio” nella notte di “S. Croce” (3 maggio), deponendo sui davanzali e sulle soglie delle case rami di mandorlo fiorito, di betulla, di biancospino. Con questi gentili messaggi i giovani ripetevano agli abitanti delle case una vecchia “canta” che faceva pensare al calendimaggio fiorentino: Bén vègna e véga maz, che maz l’è zà arivê e se pu a n cardì ch’e sia arivê fasìv qua fura ch’u i è la majê. (Ben venga e vada maggio / perché maggio è già arrivato / e se poi non credete che sia arrivato / venite fuori che c’è la maggiolata) Nel canto non c’era contenuto solo un gentile messaggio, ma anche un indiretto avvertimento alle “azdore” che si preparavano ad aprire le finestre per esporre al sole le coperte invernali da riporre e da tenere lontane dagli insetti. I contadini romagnoli attribuivano alla majê, con l’esposizione di rami fioriti, questa particolare virtù, oltre a quella di rendere la stagione propizia all’agricoltura. In alcune località la maggiolata durava anche due o tre settimane, come avveniva a Ravenna dove alcune ragazze, discese dalle colline più vicine, andavano a predire la sorte e a cantare il “Ben venga maggio”: Ben vegna maz ch’l’à purtê i bei fiur (vegna la stèza a tot i muradur!) ch’l’à purtê la bëla spiga Vo, Crèst de zil, mandila ben garnida. Ben vegna e vegna maz… (Ben venga maggio / che ha portato i bei fiori / [che venga il mal della rabbia a tutti i muratori!] / che ha portato la bella spiga / Voi, Cristo del cielo, mandatela ben granita / ben venga, venga maggio…). Questa festa che conservava una fisionomia ritenuta pagana venne deprecata dal cardinale Vitaliano Borromeo e poi abolita nella prima metà del ‘700. Rimane misteriosa l’invettiva contro i muratori! I vecchi contadini, allorquando si avvicinava giugno, erano soliti dire: «Le spighe mature brillano al sole di giorno e di notte aspettano la visita delle lucciole che fanno lume perché crescano piene di chicchi». Con questa immagine involontariamente poetica attendevano l’arrivo degli insetti luminosi ritenendoli portatori di magici poteri. Non sapevano che le lucciole avrebbero divorato gli afidi del grano che erano un pericolo per le spighe. Le aspettavano con ansia anche i bambini per rincorrerle e catturarle, imprigionandole sotto un bicchiere capovolto sul tavolo di cucina. I bambini,rincorrendo le lucciole, cantavano: Lozla, lozla cala cala mèt la brèja a la cavala la cavala l’è de rè lozla lozla ven da me. (Lucciola lucciola scendi scendi / metti la briglia alla cavalla / la cavalla è del re / lucciola lucciola vieni da me). Non le vedevano volentieri in casa le “azdore” che ritenevano che la presenza delle lucciole nelle case fossero dannose ai bachi da seta che erano costati sacrifici alle giovani di casa per farli schiudere al calore del loro corpo. Si sapeva poi che a giugno i bachi avevano un periodo molto delicato da superare, perciò chiudevano per prudenza l’uscio di casa. I vecchi contadini ritenevano che il giorno 11 di giugno il grano cominciasse a perdere la sua energia, il piede (e pè), perché era diventato troppo pesante. Si scrutava allora il cielo e si consultava il lunario per stabilire il giorno in cui le spighe sarebbero state recise. In molte aie si battevano le falci, quelle che il Pascoli chiamava “le falciole”, su piccole incudini. In qualche aia si formavano già i manipoli, poi le cove in attesa di preparare le biche, i bérch, dalla forma allungata che richiamava alla mente una barca. I mietitori invocavano S. Giovanni, per la protezione da incidenti durante la mietitura, (continua a pag. 6) 5 ROMAGNOLI A ROMA - N. 4/2009 - 20 MAGGIO 2009 LIBRI RICEVUTI Associazione Volontari di Guerra (Sezione di Forlì), I Forlivesi caduti nella guerra 1915-18, Forlì, Tipografia Angelo Raffaelli, 2009, pagg. 32. Ristampa anastatica a cura di Gabriele Zelli, Assessore municipale, del libretto presentato nel 1965 da Aldo Spallicci, che riporta, anno per anno e giorno per giorno, l’elenco dei caduti forlivesi nella prima Guerra mondiale. DAVIDE GNOLA, Cesenatico nella storia, Cesena, Soc. Ed. «Il Ponte Vecchio», 2008; pagg. 208. Partendo dai più antichi ritrovamenti di origine preistorica e protostorica, Davide Gnola (che è il Direttore della Biblioteca Comunale e del Museo della Marineria di Cesenatico) ripercorre le vicende storiche, politiche e culturali del territorio che sta tra Cesena ed il mare. A lungo conteso tra diversi pretendenti al dominio, il Porto di Cesena riesce finalmente ad affrancarsi dalla soggezione e raggiunge l’autonomia nel periodo napoleonico. Con l’avvento del turismo di massa si trasforma infine in uno dei più appetiti centri balneari della costa romagnola. ROBERTO BALZANI – PAOLA METTICA (a cura di), Fra imprese e territorio, Cesena, Soc. Ed. «Il Ponte Vecchio», 2007; pagg. 400. Con il sottotitolo di “Storia della camera di Commercio di Forlì-Cesena dall’Unità al XXI secolo” i curatori raccolgono una serie di saggi «fondati su documenti di prima mano e su fonti d’archivio locali e nazionali spesso sondate per la prima volta, [che] restituiscono con puntualità e con vivacità un affresco dello sviluppo locale negli ultimi due secoli, colto da una prospettiva inedita e originale, e costituiscono infine un contributo di rilievo alla bibliografia romagnola sull’età contemporanea». PAOLA METTICA, Forlì, la Piazza - Una storia di 1000 anni, Forlì, Camera di Commercio Forlì-Cesena, 2009; pagg. 24. Veloce, ma efficace, descrizione – con ambientazione storica – dei numerosi edifici forlivesi che si affacciano sulla centrale Piazza Saffi. (continua da pag. 5) specialmente nel giorno della sua festa (il 24 giugno), mentre nello stesso giorno le donne tagliavano al mattino presto lo spigo, la lavanda, da vendere al mercato e destinata a profumare nei cassetti e negli armadi la biancheria che era il tesoro di casa. Durante la notte avevano raccolto nei bacili l’acqua della guàza, la rugiada, che veniva poi usata per risanare i mali del corpo, come la rogna e la peste e che rendeva più bella la pelle. Le donne preparavano anche catini con l’”acqua di sette fontane” a cui aggiungevano fiori ed erbe odorose, che venivano esposti alla rugiada della notte (aveva la virtù di guarire ogni male!). Con quell’acqua le ragazze si lavavano al mattino, passandola più volte sul viso per renderlo più fresco e colorito, poi cercavano di “vedere” nella disposizione dei petali qualche pronostico sentimentale. Quell’acqua serviva anche a salvare gli abiti di lana dalle tarme. Anche l’aglio raccolto per S. Giovanni veniva ritenuto come un medicamento. Altre credenze, come il pane fatto al mattino senza usare il lievito, rendevano quel tempo immerso in un alone magico che gratificava le donne della famiglia. Esse già al tempo degli antichi romani avevano in Giunone, dea del mese, la loro protettrice, del matrimonio e della famiglia, che veniva invocata perché aiutasse le puerpere assistendo alle nascite. 6 MARIO GURIOLI, Mestieri di un tempo che fu, Faenza, Stefano Casanova Editore, 2009; pagg. 64. Con un abbinamento, che Giuliano Bettoli nell’introduzione definisce “alleanza benedetta”, lo scrittore Mario Gurioli ed il disegnatore Daniele Rendo «sono riusciti, in poco tempo, a tirar fuori questo vivace, simpatico libretto». Dove sono descritti – e illustrati – ben 23 mestieri che oggi ormai pochi sono in grado di ricordare: basti pensare al canapino, alla “bigattaia”, allo spaccapietre, al puntatore, al seggiolaio, al cestaio. E ai tanti altri descritti in agili schede con a fronte la relativa illustrazione visiva. GAETANO FOGGETTI – FABIO BLACO, Almanacco 2008 , Forlì e dintorni, Forlì, Grafiche MDM, ma 2009, pagg. 328. Documentando un anno di avvenimenti nella città di Forlì – e dintorni, come recita il titolo – con l’ottavo volume di questa iniziativa gli Autori osservano che è trascorso «un anno che rimarrà nella storia per eventi epocali come l’elezione del primo presidente afro americano degli Stati Uniti o la crisi finanziaria mondiale dall’evoluzione ancora incerta. Accadimenti che in qualche modo coinvolgono pure la nostra più ridotta dimensione chiamata anch’essa a ragionare su uno scenario globale. E proprio per questo consegnare ai posteri la storia assume un significato ulteriore per rimarcarne quell’identità che è il collante dell’intero sistema sociale». Restiamo in attesa del 9° volume nel 2010. MAURIZIO CAMPORESI, Piazza e Romagnoli, Forlì, Maurizio Camporesi, 2008; pagg. 80. La Piazza è – manco a dirlo – Piazza Saffi a Forlì. E i Romagnoli altro non possono essere che i forlivesi colti dall’obiettivo talvolta impietoso e sempre curioso di Maurizio Camporesi. Le immagini di questo libro fotografico provengono dall’archivio dell’autore, in una selezione che, come scrive egli stesso « si colloca nel periodo dei primi anni 80 e fa riferimento ad un lavoro di ricerca più ampio sulla Romagna e i “suoi volti”». Perché la piazza con i volti dei suoi frequentatori «oltre che uno spazio fisico… rappresenta … il luogo dell’identità collettiva per eccellenza, un luogo capace di combinare e tenere insieme le tre vocazioni tradizionali delle antiche piazze medioevali: quella religiosa con l’abbazia di S. Mercuriale, quella politica con il Palazzo del Municipio e quella economica con il mercato e la Sala Borsa». RICCARDO PASCUCCI, Storie sgualcite del Bosco, Calabrina di Cesena, Edizioni Farnedi, 2008; pagg. 32. Con un approccio inusuale e divertito – e divertente – Riccardo Pascucci “visita” le varie località del suo paese: Gambettola, anzi E Bosch. Non fa ricostruzioni storiche, non esibisce documenti, non cita date né nomi altisonanti. Ma percorre le strade con occhio sognante e fantasia visionaria. Come scrive Jader Garavina – Sindaco di Gambettola – nella introduzione «chiudendo gli occhi possiamo rivedere la gente semplice che popolava il Bosco, la Branchisa, il castello di Bulgaria, intenta ai propri umili lavori, ma anche i signori, i principi, i condottieri che transitavano sulla Strada maestra, o si affacciavano pensosi ed assorti ai loro manieri, alle torri di guardia. Un mondo lontano, forse in parte immaginario, ma comunque affascinante, che Riccardo ci restituisce con uno stile semplice e chiaro, ma con l’amore e la passione che lo lega, e lega tutti noi, a questa nostra terra». Mentre il blasone di ciascuna delle località descritte è disegnato nientemeno che da Tonino Guerra. E scusate se è poco.