ROMAGNOLI A ROMA
NOTIZIARIO DELLA “FAMIGLIA ROMAGNOLA” DI ROMA
N. 4/2009 (65)
Roma, 20 maggio 2009
LA FAMIGLIA ROMAGNOLA ADERISCE ALL’UNAR (UNIONE DELLE ASSOCIAZIONI REGIONALI DI ROMA E DEL LAZIO)
ADERISCE ALLA FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI EMILIANO-ROMAGNOLE DI ROMA E DEL LAZIO
E’ ISCRITTA AL REGISTRO REGIONALE DELLE ASSOCIAZIONI DI PROMOZIONE SOCIALE (DET. N. D0103 DEL 21.1.2005)
E’ ISCRITTA ALL’ALBO DELLA REGIONE LAZIO AI SENSI DELLA L.R. N. 49/98
= = = = = = = = = = = == = = = AGLI AMICI ROMAGNOLI DI ROMA E DEL LAZIO.
AI ROMANI AMICI DELLA ROMAGNA.
AGLI ENTI, AMMINISTRAZIONI, AZIENDE DI ROMAGNA
Cari amici,
le condizioni meteorologiche non ci hanno certo favorito
nel pomeriggio dello scorso martedì 28 aprile, quando ci
siamo radunati nella sede di via Aldrovandi per
incontrare la delegazione forlivese del settimanale Il
Momento. Il volgere del tempo al brutto ha scoraggiato
certamente parecchie persone, ma, ciononostante,
l’incontro è splendidamente riuscito per il clima di gioiosa
amicizia che lo ha caratterizzato.
Abbiamo riservato al gruppo de Il Momento “una calda
accoglienza all’insegna di un’amicizia che dura da anni”
per festeggiare insieme i 90 anni del giornale.
All’evento il giornale forlivese ha dedicato una intera
pagina, corredata di un ricco apparato fotografico,
nell’edizione dell’8 maggio.
Sopra: il gruppo de Il Momento con alcuni rappresentanti della
Famiglia Romagnola sulla terrazza della sede di Via Aldrovandi, nella
foto scattata quando già stavano cadendo le prime gocce di pioggia.
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MEMORANDUM
3 giugno ore 17.30
Sala dei PP. Agostiniani – S. Maria del Popolo – Incontro con l’Assessore G. Antoniozzi sul tema “I nuovi compiti dell’Europa”
10 giugno ore 17.30
Sede Via Aldrovandi 16 – Incontro con Alessandra Filippini che
ci illustrerà la “vera” storia della Parmigiana di melanzane.
ROMAGNOLI A ROMA - N. 4/2009 - 20 MAGGIO 2009
► ATTIVITA’ IN PROGRAMMA ► 3 GIUGNO – INCONTRO CON L’ASSESSORE AL
FAMIGLIA ROMAGNOLA
PATRIMONIO ON. ANTONIOZZI
L’on. Gianfranco Antoniozzi, Assessore al Patrimonio del
Comune di Roma, ha manifestato l’intenzione di incontrare i
Presidenti delle Associazioni Regionali, con una larga
partecipazione dei rispettivi associati. Dal momento che sono
ancora in via di definizione le condizioni di assegnazione dei
locali di via Aldrovandi, sarà bene che la presenza di Soci e
amici sia la più nutrita possibile, sia per esprimere all’assessore
il senso della nostra gratitudine nei confronti dell’Amministrazione capitolina, sia per dare una dimostrazione della
consistenza e del peso dell’associazionismo regionale a Roma.
L’incontro, che avrà per tema I nuovi compiti dell’Europa, si
svolgerà mercoledì 3 giugno, alle ore 17,30, nella Sala dei Padri
Agostiniani a Piazza del Popolo, 12 (sul fianco della basilica di
S. Maria).
► 10 GIUGNO – LA VERA STORIA DELLA PARMIGIANA DI
MELANZANE CON ALESSANDRA FILIPPINI
Nel pomeriggio del prossimo mercoledì 10 giugno, in sede a
via Aldrovandi, alle ore 17.30 faremo l’ultimo incontro prima
dell’interruzione estiva. Ci intratterrà piacevolmente Alessandra Filippini, parlandoci de La “vera” storia della
Parmigiana di melanzane, una ricetta “d’autore” nata nel ‘700
ma non, come si potrebbe credere, a Parma. Giunta a suo
tempo nella città emiliana per una circostanza fortuita, la
parmigiana moderna non è quasi mai rispettosa della ricetta
originaria: una storia poco conosciuta che non mancherà di
interessare gli amanti della gastronomia ed i buongustai.
Brindisi conclusivo.
ASSOCIAZIONE
TRA ROMAGNOLI A
ROMA
Sede: Via Ulisse Aldrovandi, 16 – 00197 Roma
Tel./Fax 06 7210807 – Cell. 329 6229783
E-Mail: [email protected]
http://it.dada.net/freeweb/famigliaromagnola/index.html
Gianfranco Moschetti
Ferdinando Pelliciardi
VICE PRESIDENTE Alessandra Filippini
CONSIGLIERI: Giuseppina Baldelli, Pierfrancesco Baselice, Paolo
Brigliadori,
Antonio
Cesari
(Segretario-Tesoriere),
Francesco Pazzagli, Giorgio Pettini, Piersilverio Pozzi,
Giuliana Sanzani, Daniele Villa
REVISORI DEI CONTI: Pino Bendandi, Franco Molinari, Theo
Rambelli
COLLEGIO DEI PROBIVIRI: Lodovico Masetti Zannini, Alba Rosa
Baccarini, Anselmo Calvetti
PRESIDENTE ONORARIO
PRESIDENTE
Q U O T E S O C I AL I P E R L ’ AN N O 2 0 0 9
SOCIO ORDINARIO:
FAMIGLIARE DI SOCIO ORDINARIO:
SOCIO SOSTENITORE:
ENTE SOSTENITORE:
€ 40,00
€ 15,00
a partire da € 80,00
a partire da € 150,00
C/c Bancoposta n. 24344020 intestato a:
ASSOCIAZIONE FAMIGLIA ROMAGNOLA – ROMA
CODICE IBAN: IT73 R076 0103 2000 0002 4344 020
ATTIVITA’ SVOLTE 19 APRILE – RAPPRESENTAZIONE ROMAGNOLA AL
TEATRO BELLI
La rappresentazione pomeridiana del 19 aprile al Teatro Belli
ha visto la presenza in platea anche di un gruppo di soci della
Famiglia Romagnola. Era in scena lo spettacolo A e’ dè d’incù
(Al giorno d’oggi), scritto e diretto da un noto autore
romagnolo, il forlivese Gianni Guardigli, e interpretato
dall’attore di origine ravennate Libero Sansavini. Recitato in
dialetto romagnolo, peraltro con una cadenza ed una
espressività che lo rendevano comprensibile anche agli
ascoltatori italofoni, il monologo ha messo in evidenza le
capacità e la bravura dell’attore romagnolo, calato nei panni di
una anziana donna che osserva il mondo d’oggi con occhi di un
tempo.
Molto apprezzato lo spettacolo dal pubblico in sala, che lo ha
ripetutamente applaudito insieme all’autore ed all’attore. Non
è mancato l’incontro finale con foto di gruppo con alcuni dei
nostri
associati.
(continua)
A tutti i Soci ed Amici i più fervidi auguri di
BUONE VACANZE
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A e dé d’incù (Al giorno d’oggi)
In qualche angolo della Romagna esiste un’aia dove una
vecchia signora vede scorrere la sua vita, con la densità
di chi combatte e, perché no, si compiace anche delle sue
ossessioni.
Non le piace il mondo di oggi, non le piacciono le
persone di oggi e il loro modo di vivere.
“A e dé d’incù…” diventa così un intercalare per
esorcizzare ciò che non le piace. Una specie di mantra al
negativo per ripulire tutto ciò che nel mondo di oggi per
lei non funziona.
L’ossessione della sua vita si cela dietro e davanti il
ricordo di un muro. Un episodio avvenuto al tempo
della guerra , che ha cambiato la sua vita e la rincorre
non solo nei travagliati sogni, ma anche quando a occhi
aperti siede davanti alla porta, quando la tenda è mossa
dal vento che spazza l’aia.
[…]
La signora diventa così una metafora che trattiene in sé
tanti aspetti del nostro mondo moderno, da troppo
tempo in fuga da tutto ciò che fa pensare e proiettato
verso le scorciatoie facili dell’antipolitica così propensa a
indicare le cose che non funzionano senza però dare mai
un’indicazione, un consiglio per costruire invece “le cose
che potrebbero funzionare”.
[G.G.]
ROMAGNOLI A ROMA - N. 4/2009 - 20 MAGGIO 2009
ATTIVITA’ SVOLTE 19 APRILE – RAPPRESENTAZIONE ROMAGNOLA AL
TEATRO BELLI
Nello scambio di doni che ne è seguito, particolare rilievo ha
assunto la consegna, da parte di Giuseppina Baldelli, che fa
parte del Consiglio Direttivo della nostra Associazione, delle
pergamene – da lei richieste - con la benedizione papale per tre
sacerdoti forlivesi (don Giovanni Amati, don Erio Castellucci,
don Stefano Pascucci) che il 5 maggio avrebbero festeggiato i
25 anni di ordinazione.
Un ricco buffet, con prodotti della nostra terra portati dagli
amici in trasferta, ha concluso la giornata, rallegrata
dall’intonazione finale delle nostre “cante “ e dalla promessa di
ritrovarci nuovamente.
Nella foto: al centro, in seconda fila, da sinistra, Libero
Sansavini e Gianni Guardigli.
5 MAGGIO – CONVEGNO IN RICORDO DI ARMANDO
RAVAGLIOLI
Per ricordarne la figura di Armando Ravaglioli e la sua lunga
attività svolta a Roma, martedì 5 maggio alle ore 17.30 ha
avuto luogo presso la Casa delle Associazioni Regionali il
Convegno “Armando Ravaglioli – testimonianze di una
presenza a Roma”. E’ stata rievocata la sua attività di
giornalista, scrittore, uomo di cultura, che ha sempre coltivato
l’amore per la natale Romagna insieme a quello per Roma, sua
città di adozione, e si è battuto a lungo e con energia per la
valorizzazione delle “presenze” regionali nella Capitale.
28 APRILE – CELEBRATI CON LA DELEGAZIONE
FORLIVESE I 90 ANNI DE “IL MOMENTO”
Presenti numerosi componenti del Consiglio Direttivo e Soci
della nostra associazione, l’incontro con la delegazione
forlivese de Il Momento si è svolta nella sala Italia della sede di
Via Aldrovandi. Dopo le parole di benvenuto da parte del
presidente Pelliciardi, Alessandro Rondoni, direttore de Il
Momento per oltre 20 anni, ha ricordato che il giornale “nei suoi
90 anni di vita ha attraversato il secolo, oltrepassato il
millennio, incidendo nel territorio e facendo storia, la storia
della città e dei suoi abitanti”, ed ha rievocato chi lo ha
preceduto alla direzione del giornale, a cominciare da don
Pippo, per continuare con don Mario Vasumi, don Francesco
Ricci, Riccardo Lanzoni.
Sono intervenuti Pier Silverio Pozzi (L’intervista radiofonica del
4 gennaio 1986), Giorgio Pettini (Gli esordi editoriali a Forlì),
Vittorio Emiliani (Il Romagnolo che ci ha fatto conoscere Roma),
Adriano Degano (L’impegno per le “Presenze regionali” e per
l’UNAR), Marco Ravaglioli (Mio padre, giornalista in Comune).
(Nella foto: uno scorcio del pubblico in sala)
E’ poi intervenuta Antonietta Tartagni, neo-direttore del
giornale, che ha rievocato i contatti con la Famiglia Romagnola
durante gli anni giovanili a Roma. Aurelio Angelucci, direttore
e componente della Compagnia teatrale Cinecircolo del Gallo,
ha poi proposto una rassegna di ricordi e aneddoti su don
Pippo e una selezione di versi romagnoli.
16/17 MAGGIO – VIAGGIO IN ROMAGNA E VISITA ALLA
MOSTRA DEL CANOVA
Impegnativi i due giorni trascorsi in Romagna per visitare le
esposizioni legate all’arte di Antonio Canova. Nelle giornate di
sabato 16 e domenica 17 maggio c’è stato modo di visitare la
città di Faenza (L’officina neoclassica a Palazzo Milzetti, Duomo,
Museo della Ceramica), di Forlì (Duomo, S. Mercuriale, Mostra
del Canova al S. Domenico), Cesena (L’arte contesa alla Biblioteca Malatestiana), Forlimpopoli (Rocca di Albornoz). Il
coronamento della full immersion romagnola si è poi avuto con
la visita al Complesso di Casa Artusi e la consumazione di un
ottimo pranzo domenicale presso l’omonimo ristorante, gestito
da Andrea Banfi insieme a Franco e Jamila.
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ROMAGNOLI A ROMA - N. 4/2009 - 20 MAGGIO 2009
ROMAGNOLI ILLUSTRI
Nel 150° anniversario della morte
AGOSTINO CODAZZI
Lugo (Ra) 11/7/1793 – Pueblito de Espíritu Santo (Nuova Granada) 7/2/1859
Nato a Lugo di Romagna, Agostino Codazzi si arruolò
giovanissimo nell’esercito napoleonico e combatté un po’ in
tutta Europa, dalla Grecia alla Danimarca. Reduce poco più che
ventenne delle ultime sfortunate campagne del Bonaparte,
amareggiato e deluso del nuovo corso politico, abbandonò le
armi e tentò l’impresa mercantile.
Giunto a Baltimora nel 1817, dopo varie esperienze e
peregrinazioni, ebbe modo di conoscere ed entrare in contatto
con i movimenti di liberazione dei paesi dell’America Latina
dalla dominazione spagnola. Fu così che, fallita a sua volta una
ulteriore esperienza come agricoltore nella natale terra
romagnola, vinto dal mal d’America, decise di ritornare in
Venezuela. Accolto nell’esercito della Repubblica di Gran
Colombia – che allora comprendeva la Nuova Granada
(l’attuale Colombia), il Venezuela e l’Equador, destinati di lì a
qualche anno a scindersi in tre stati indipendenti – nel 1826
ottenne da Simón Bolivar la nomina a Primo Comandante di
Artiglieria e l’incarico di provvedere alle opere di difesa di
Maracaibo. Fu nel corso di quei rilevamenti e di quelle precise
informazioni che egli scoprì la sua definitiva vocazione.
La cultura di stampo tecnico-scientifico, acquisita a partire dal
1810 come allievo della Scuola Teoretico-Pratica di Pavia (dove
aveva sede il Reggimento d’Artiglieria a Cavallo, in cui
Agostino Codazzi era stato inquadrato all’atto del
reclutamento), gli aveva infatti fornito quella solida base da cui
sarebbero poi scaturite le sue grandi opere nell’America del
Sud.
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Da allora la carriera di Codazzi cartografo fu in ascesa costante
ed ottenne alti riconoscimenti, pur svolgendosi in mezzo a
grandi difficoltà.
Alternando l’attività militare con quella di geografo, con i
rilievi effettuati nel corso di due decenni realizzò l’Atlante
fisico-politico del Venezuela e un Compendio geografico del
Venezuela, salutati con grande favore dagli esperti e le cui
mappe, oltre a completare le descrizioni fisiche fatte da
Humboldt, erano ricche di preziosi dati climatologici,
agronomici, e demografici, risultati determinanti per la
definizione dei confini fra Venezuela e Colombia.
Trasferitosi nel 1849 in Colombia per il precipitare della
situazione politica venezuelana, ricevette analogo incarico dal
governo colombiano e, come capo della Comisión Corográfica,
nell’ultimo decennio della sua vita procedette con grande
tenacia al rilevamento del territorio. I risultati del suo grande
impegno costituiscono il fondamento di tutte le opere
geografiche relative alla Colombia stampate nella seconda metà
dell’800 e nei primi decenni del ‘900.
La morte colse Codazzi mentre stava completando, con l’ultima
spedizione, l’esplorazione e la cartografia della Colombia.
Codazzi non è ricordato solo per l’attività di esploratore e
cartografo, ma anche per aver individuato il tracciato del
Canale di Panama (di cui disegnò le carte, accompagnandole con
articolate considerazioni di ordine politico, economico e
finanziario), e per aver concepito l’idea delle colonie agricole,
concretizzatasi nel 1843 con la fondazione della Colonia Tovar
ad opera di emigrati tedeschi.
Codazzi è considerato eroe nazionale del Venezuela e della
Colombia. A lui i colombiani hanno intitolato una città
(Pueblito de Espíritu Santo, ove egli morì, oggi denominato
Codazzi) e l’Instituto Geográfico che ha sede in Bogotà. In
numerose città venezuelane e colombiane gli sono stati dedicati
monumenti e il suo ricordo è ovunque particolarmente vivo.
Sepolto inizialmente in Colombia, dal 16 dicembre 1942
Agostino Codazzi riposa in pace nel Panteón Nacional
venezuelano, vicino al Libertador Simón Bolivar.
Lapide posta sulla casa natale di Agostino Codazzi
a Lugo in Corso Mazzini 107
ROMAGNOLI A ROMA - N. 4/2009 - 20 MAGGIO 2009
MEMORIA E TRADIZIONI
La longa stôria dla majê
(l’origine della maggiolata)
di Ligia Favi
Nel mondo antico romano ogni aspetto della natura, della vita
degli uomini e dei luoghi era sottoposto alla volontà divina.
Niente sfuggiva agli dei che, per essere propizi agli uomini,
dovevano essere adorati con offerte, con giochi rituali, con
processioni sacre e con particolari cerimonie spettanti al loro
culto. Non ci meraviglia il fatto che anche il mese di maggio
fosse dedicato ad una divinità, sebbene minore come era Maia,
la dea romana dell’abbondanza e della fecondità a cui, nel
primo giorno del mese, il calendimaggio, veniva sacrificata una
scrofa, simbolo della fecondità animale (questo ci viene
ricordato ancora dal nome “maiale” che deriva dal nome della
dea). Maia era una delle Pleiadi, le sette sorelle figlie di Atlante
e di Pleione, che furono trasformate in stelle per formare la
costellazione del Toro. Maia aveva ottenuto la benevolenza di
Giove per sé e per le sorelle che diventarono così eterne,
immortali, poiché gli aveva dato un figlio scaltro, amato e
temuto dagli uomini per i suoi tranelli, Mercurio.
Per Maia si facevano processioni in cui i giovani agitavano
fronde di alberi e intonavano canti. Molto probabilmente erano
cerimonie che venivano compiute quasi come cerimonie
religiose: da queste ha avuto origine la nostra “majê”. Molti
sono stati i popoli che hanno seguito riti simili per segnare la
fine dell’inverno e l’inizio della bella stagione, come i Celti con
le solennità di Beltane, gli Etruschi, i Liguri, gli Umbri. Alle
prime semplici cerimonie veniva aggiunto il rito del “maggio”,
come era chiamato un albero robusto tolto dal bosco e portato
nella piazza per essere piantato nel centro di essa e adornato di
nastri e di corone. Lì rimaneva anche quando tutte le foglie
erano cadute e non restava che una sola corona a cui si
attaccavano dolci e cibi vari che costituivano il premio dei
giovani più abili nell’arrampicata (questa usanza è rimasta
nella nostra tradizione ed è l’”albero della cuccagna” delle
sagre contadine).
Ma più che alle antiche cerimonie per Maia e alle feste
primaverili dei Celti e degli altri popoli settentrionali ci sembra
che la Majê abbia una origine più chiara e diretta col
Calendimaggio fiorentino, la festa rinascimentale popolare,
all’aperto, in forma scenica che si diffuse poi in tutta la Toscana
ed anche oltre i suoi confini nella Romagna, in Emilia, nelle
Marche. L’ingresso di maggio veniva festeggiato con canti e
suoni notturni, liuti e mandole echeggiavano per le strade di
Firenze, mentre i giovani facevano omaggio di rami fioriti sotto
le finestre delle loro innamorate. «Ben venga maggio e il
Gonfalon selvaggio…». Non si conosce l’esatta datazione in cui
tali usi si diffusero nella nostra terra. Si sa che in alcuni paesi si
“piantava maggio” nella notte di “S. Croce” (3 maggio),
deponendo sui davanzali e sulle soglie delle case rami di
mandorlo fiorito, di betulla, di biancospino.
Con questi gentili messaggi i giovani ripetevano agli abitanti
delle case una vecchia “canta” che faceva pensare al
calendimaggio fiorentino:
Bén vègna e véga maz,
che maz l’è zà arivê
e se pu a n cardì ch’e sia arivê
fasìv qua fura ch’u i è la majê.
(Ben venga e vada maggio / perché maggio è già arrivato / e
se poi non credete che sia arrivato / venite fuori che c’è la
maggiolata)
Nel canto non c’era contenuto solo un gentile messaggio, ma
anche un indiretto avvertimento alle “azdore” che si
preparavano ad aprire le finestre per esporre al sole le coperte
invernali da riporre e da tenere lontane dagli insetti. I contadini
romagnoli attribuivano alla majê, con l’esposizione di rami
fioriti, questa particolare virtù, oltre a quella di rendere la
stagione propizia all’agricoltura. In alcune località la
maggiolata durava anche due o tre settimane, come avveniva a
Ravenna dove alcune ragazze, discese dalle colline più vicine,
andavano a predire la sorte e a cantare il “Ben venga maggio”:
Ben vegna maz
ch’l’à purtê i bei fiur
(vegna la stèza a tot i muradur!)
ch’l’à purtê la bëla spiga
Vo, Crèst de zil, mandila ben garnida.
Ben vegna e vegna maz…
(Ben venga maggio / che ha portato i bei fiori / [che venga il
mal della rabbia a tutti i muratori!] / che ha portato la bella
spiga / Voi, Cristo del cielo, mandatela ben granita / ben
venga, venga maggio…).
Questa festa che conservava una fisionomia ritenuta pagana
venne deprecata dal cardinale Vitaliano Borromeo e poi abolita
nella prima metà del ‘700.
Rimane misteriosa l’invettiva contro i muratori!
I vecchi contadini, allorquando si avvicinava giugno, erano
soliti dire: «Le spighe mature brillano al sole di giorno e di
notte aspettano la visita delle lucciole che fanno lume perché
crescano piene di chicchi». Con questa immagine involontariamente poetica attendevano l’arrivo degli insetti luminosi
ritenendoli portatori di magici poteri. Non sapevano che le
lucciole avrebbero divorato gli afidi del grano che erano un
pericolo per le spighe. Le aspettavano con ansia anche i
bambini per rincorrerle e catturarle, imprigionandole sotto un
bicchiere capovolto sul tavolo di cucina. I bambini,rincorrendo
le lucciole, cantavano:
Lozla, lozla cala cala
mèt la brèja a la cavala
la cavala l’è de rè
lozla lozla ven da me.
(Lucciola lucciola scendi scendi / metti la briglia alla cavalla /
la cavalla è del re / lucciola lucciola vieni da me).
Non le vedevano volentieri in casa le “azdore” che ritenevano
che la presenza delle lucciole nelle case fossero dannose ai
bachi da seta che erano costati sacrifici alle giovani di casa per
farli schiudere al calore del loro corpo. Si sapeva poi che a
giugno i bachi avevano un periodo molto delicato da superare,
perciò chiudevano per prudenza l’uscio di casa.
I vecchi contadini ritenevano che il giorno 11 di giugno il grano
cominciasse a perdere la sua energia, il piede (e pè), perché era
diventato troppo pesante. Si scrutava allora il cielo e si
consultava il lunario per stabilire il giorno in cui le spighe
sarebbero state recise. In molte aie si battevano le falci, quelle
che il Pascoli chiamava “le falciole”, su piccole incudini. In
qualche aia si formavano già i manipoli, poi le cove in attesa di
preparare le biche, i bérch, dalla forma allungata che richiamava
alla mente una barca. I mietitori invocavano S. Giovanni, per la
protezione da incidenti durante la mietitura,
(continua a pag. 6)
5
ROMAGNOLI A ROMA - N. 4/2009 - 20 MAGGIO 2009
LIBRI RICEVUTI Associazione Volontari di Guerra (Sezione di Forlì), I
Forlivesi caduti nella guerra 1915-18, Forlì, Tipografia
Angelo Raffaelli, 2009, pagg. 32.
Ristampa anastatica a cura di Gabriele Zelli, Assessore
municipale, del libretto presentato nel 1965 da Aldo Spallicci,
che riporta, anno per anno e giorno per giorno, l’elenco dei
caduti forlivesi nella prima Guerra mondiale.
DAVIDE GNOLA, Cesenatico nella storia, Cesena, Soc. Ed. «Il
Ponte Vecchio», 2008; pagg. 208.
Partendo dai più antichi ritrovamenti di origine preistorica e
protostorica, Davide Gnola (che è il Direttore della Biblioteca
Comunale e del Museo della Marineria di Cesenatico)
ripercorre le vicende storiche, politiche e culturali del
territorio che sta tra Cesena ed il mare. A lungo conteso tra
diversi pretendenti al dominio, il Porto di Cesena riesce
finalmente ad affrancarsi dalla soggezione e raggiunge
l’autonomia nel periodo napoleonico. Con l’avvento del
turismo di massa si trasforma infine in uno dei più appetiti
centri balneari della costa romagnola.
ROBERTO BALZANI – PAOLA METTICA (a cura di), Fra imprese
e territorio, Cesena, Soc. Ed. «Il Ponte Vecchio», 2007;
pagg. 400.
Con il sottotitolo di “Storia della camera di Commercio di
Forlì-Cesena dall’Unità al XXI secolo” i curatori raccolgono
una serie di saggi «fondati su documenti di prima mano e su
fonti d’archivio locali e nazionali spesso sondate per la prima
volta, [che] restituiscono con puntualità e con vivacità un
affresco dello sviluppo locale negli ultimi due secoli, colto da
una prospettiva inedita e originale, e costituiscono infine un
contributo di rilievo alla bibliografia romagnola sull’età
contemporanea».
PAOLA METTICA, Forlì, la Piazza - Una storia di 1000 anni,
Forlì, Camera di Commercio Forlì-Cesena, 2009; pagg. 24.
Veloce, ma efficace, descrizione – con ambientazione storica –
dei numerosi edifici forlivesi che si affacciano sulla centrale
Piazza Saffi.
(continua da pag. 5)
specialmente nel giorno della sua festa (il 24 giugno), mentre
nello stesso giorno le donne tagliavano al mattino presto lo
spigo, la lavanda, da vendere al mercato e destinata a
profumare nei cassetti e negli armadi la biancheria che era il
tesoro di casa. Durante la notte avevano raccolto nei bacili
l’acqua della guàza, la rugiada, che veniva poi usata per
risanare i mali del corpo, come la rogna e la peste e che
rendeva più bella la pelle.
Le donne preparavano anche catini con l’”acqua di sette
fontane” a cui aggiungevano fiori ed erbe odorose, che
venivano esposti alla rugiada della notte (aveva la virtù di
guarire ogni male!). Con quell’acqua le ragazze si lavavano al
mattino, passandola più volte sul viso per renderlo più fresco e
colorito, poi cercavano di “vedere” nella disposizione dei petali
qualche pronostico sentimentale. Quell’acqua serviva anche a
salvare gli abiti di lana dalle tarme.
Anche l’aglio raccolto per S. Giovanni veniva ritenuto come un
medicamento. Altre credenze, come il pane fatto al mattino
senza usare il lievito, rendevano quel tempo immerso in un
alone magico che gratificava le donne della famiglia. Esse già al
tempo degli antichi romani avevano in Giunone, dea del mese,
la loro protettrice, del matrimonio e della famiglia, che veniva
invocata perché aiutasse le puerpere assistendo alle nascite.
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MARIO GURIOLI, Mestieri di un tempo che fu, Faenza,
Stefano Casanova Editore, 2009; pagg. 64.
Con un abbinamento, che Giuliano Bettoli nell’introduzione
definisce “alleanza benedetta”, lo scrittore Mario Gurioli ed il
disegnatore Daniele Rendo «sono riusciti, in poco tempo, a
tirar fuori questo vivace, simpatico libretto». Dove sono
descritti – e illustrati – ben 23 mestieri che oggi ormai pochi
sono in grado di ricordare: basti pensare al canapino, alla
“bigattaia”, allo spaccapietre, al puntatore, al seggiolaio, al
cestaio. E ai tanti altri descritti in agili schede con a fronte la
relativa illustrazione visiva.
GAETANO FOGGETTI – FABIO BLACO, Almanacco 2008 , Forlì
e dintorni, Forlì, Grafiche MDM, ma 2009, pagg. 328.
Documentando un anno di avvenimenti nella città di Forlì – e
dintorni, come recita il titolo – con l’ottavo volume di questa
iniziativa gli Autori osservano che è trascorso «un anno che
rimarrà nella storia per eventi epocali come l’elezione del
primo presidente afro americano degli Stati Uniti o la crisi
finanziaria mondiale dall’evoluzione ancora incerta.
Accadimenti che in qualche modo coinvolgono pure la nostra
più ridotta dimensione chiamata anch’essa a ragionare su uno
scenario globale. E proprio per questo consegnare ai posteri la
storia assume un significato ulteriore per rimarcarne
quell’identità che è il collante dell’intero sistema sociale».
Restiamo in attesa del 9° volume nel 2010.
MAURIZIO CAMPORESI, Piazza e Romagnoli, Forlì, Maurizio
Camporesi, 2008; pagg. 80.
La Piazza è – manco a dirlo – Piazza Saffi a Forlì. E i
Romagnoli altro non possono essere che i forlivesi colti
dall’obiettivo talvolta impietoso e sempre curioso di Maurizio
Camporesi. Le immagini di questo libro fotografico
provengono dall’archivio dell’autore, in una selezione che,
come scrive egli stesso « si colloca nel periodo dei primi anni
80 e fa riferimento ad un lavoro di ricerca più ampio sulla
Romagna e i “suoi volti”». Perché la piazza con i volti dei suoi
frequentatori «oltre che uno spazio fisico… rappresenta … il
luogo dell’identità collettiva per eccellenza, un luogo capace
di combinare e tenere insieme le tre vocazioni tradizionali
delle antiche piazze medioevali: quella religiosa con l’abbazia
di S. Mercuriale, quella politica con il Palazzo del Municipio e
quella economica con il mercato e la Sala Borsa».
RICCARDO PASCUCCI, Storie sgualcite del Bosco, Calabrina
di Cesena, Edizioni Farnedi, 2008; pagg. 32.
Con un approccio inusuale e divertito – e divertente –
Riccardo Pascucci “visita” le varie località del suo paese:
Gambettola, anzi E Bosch. Non fa ricostruzioni storiche, non
esibisce documenti, non cita date né nomi altisonanti. Ma
percorre le strade con occhio sognante e fantasia visionaria.
Come scrive Jader Garavina – Sindaco di Gambettola – nella
introduzione «chiudendo gli occhi possiamo rivedere la gente
semplice che popolava il Bosco, la Branchisa, il castello di
Bulgaria, intenta ai propri umili lavori, ma anche i signori, i
principi, i condottieri che transitavano sulla Strada maestra, o
si affacciavano pensosi ed assorti ai loro manieri, alle torri di
guardia. Un mondo lontano, forse in parte immaginario, ma
comunque affascinante, che Riccardo ci restituisce con uno
stile semplice e chiaro, ma con l’amore e la passione che lo
lega, e lega tutti noi, a questa nostra terra». Mentre il blasone
di ciascuna delle località descritte è disegnato nientemeno che
da Tonino Guerra. E scusate se è poco.
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Bollettino n. 4 (65) Roma 20 maggio 2009