Orario lezioni. Lunedì, ore 16.00-18.00, aula b14 Mercoledì, ore 16.00-18.00, aula b14 Venerdì, ore 16.00-18.00, aula b14 Sociologia dei processi culturali Sociologia della cultura Prof. Luca Salmieri Lezione 5 ‘‘La cultura nelle società moderne: classi, ceti, stili e generazioni’ Max Weber: ceti e cultura. • A differenza di Marx, per Weber le classi non corrispondono a comunità e inoltre il luogo privilegiato dove si costituiscono non è quello dei rapporti di produzione, ma il mercato. • Weber ha una visione più attenta alle dinamiche culturali, impiegando la categoria di ceto sociale per indicare l’insieme di individui che condividono uno stesso stile di vita, una simile concezione del mondo, simili gusti e simili preferenze. Per un ceto è possibile la corrispondenza con una classe, ma non è detto che da ogni classe nasca un ceto. • • I ceti sono legati al prestigio sociale. • Weber riconosce l’esistenza delle classi economiche, ma queste se vogliono tendere al potere devono organizzarsi in ceti, ovvero attraverso una comune cultura (norme, regole, condotte, modi di pensare e di comportarsi) si impongono come comunità sociale. • Da questo punto di vista Weber ha aperto lo spazio per considerare come nelle società contemporanee le differenze di cultura siano molteplici e si formino a partire da diversi aspetti: le professioni, il livello di istruzione, il prestigio, il capitale culturale. Max Weber (1864-1920) Storico di economia, giurista e quindi sociologo. Secondo Weber la sociologia deve impegnarsi ad elaborare concetti ricavati dalla ricerca storica e destinati anche alla ricerca storica, oltre che utili a comprendere i rapporti esistenti tra le diverse sfere del sociale. 1903-04 1920-21 1922 1922 L’etica protestante e lo spirito del capitalismo Sociologia della religione Il metodo delle scienze storico-sociali Economia e società Per analizzare la realtà storica e sociale è necessario selezionare alcuni elementi a scapito di altri e poi valutare gli elementi selezionati per verificare la loro capacità di essere sintesi della realtà esaminata. Gli individui seguono lo stesso processo, ma a differenza del sociologo spesso non sono consapevoli dell’arbitrarietà delle scelte. Ciò non significa che gli individui non possano non condividere alcune interpretazioni della realtà. Anzi alla base della società esiste proprio questa serie di sistemi di pensiero e di interpretazione comunemente condivisi dalla maggioranza delle persone o alternativi alla maggioranza delle persone (*). (*) Questa potrebbe essere la definizione di cultura sposata da Weber. Sociologia e cultura in Weber Alla base del concetto di cultura di Weber si evince che l’azione individuale si fa sociale, se in quanto un soggetto interpreta più o meno consapevolmente l’attività di altri soggetti e viceversa. Sviluppi storici importanti e consistenti possono essere anche dovuti fenomeni di carattere puramente culturale. Weber sottolinea ad esempio l’importanza dell’emergere di credenze e valori innovativi o di potenzialità tecniche che non si rapportano direttamente e in un primo momento alle questioni delle strutture sociali (disuguaglianze sociali, economiche, etc) Weber ritiene che l’obiettivo di comprendere i fenomeni sociali non escluda del tutto la possibilità di spiegarli. Tuttavia la spiegazione non può basarsi su leggi universali. La sociologia può e deve essere: Avalutativa Basata su ideal-tipi, sotto-tipi e sotto-sotto-tipi fino a giungere alla approssimazione più dettagliata e vicina al fenomeno preso in esame Non deterministica nelle cause, ma multicausale Centrata su visioni multi-dimensionali La cultura in Weber Per Weber la cultura è l’insieme delle interpretazioni fatte proprie dai gruppi sociali. A tali interpretazioni sono riconducibili i fenomeni sociali di grande portata come i costumi, le convenzioni, le regole, le leggi e le istituzioni che caratterizzano i gruppi stessi, conferiscono a tali gruppi un’identità collettiva, che trasmettono e a volte impongono agli individui. Le diverse interpretazioni configurano anche diversi interessi presenti all’interno della società. Quindi nella società vi sono preferenze potenzialmente incompatibili. Secondo Weber alla base dei conflitti sociali vi sono interessi materiali e interessi ideali. A volte nella comprensione del conflitto sono più importnati i primi, altre volte i secondi, altre volte ancora entrambi. Proprio perché la complessa realtà sociale è aperta ad interpretazioni diverse, per Weber è necessario elaborare tipologie: insiemi di astrazioni possibili per interpretare i diversi problemi di spiegazione posti dalla storia. Weber definisce tipi-ideali i concetti che sono alla base delle sue tipologie. Un tipoideale è tale perché la sua capacità di offrire un’interpretazione di un determinato fenomeno sociale o storico non si applica all’intera realtà e a tutte le sfaccettature che la sostanziano. È solo un’astrazione, una riduzione della realtà che funziona come sua sintesi. Weber: cultura e orientamenti sociali Nel suo modo di procedere, Weber specifica i vincoli di affinità e compatibilità che esistono tra i fenomeni propri di un ambito e quelli propri di altri ambiti (economia, politica, religione, ideologia, cultura, diritto, etc) o viceversa gli effetti bloccanti o inibenti dovuti all’inesistenza di tali vincoli. Dagli scritti di Weber si evince che l’orientamento sociale degli individui può essere dettato da uno o più tra 4 tipi di orientamento: 1) tradizionalistico: si privilegiano le modalità suggerite dalla memoria (non necessariamente quella corretta) del passato, ritenendo che quel modo è sempre stato la maniera più corretta di agire e che quindi se viene ripetuto, rappresenta un modello per l’agire presente. Tipico nella classe operaia. 2) Emotivo: si seguono gli impulsi suscitati da sensazioni ed emozioni 3) Razionale secondo i valori: si scelgono tra i mezzi a disposizione quelli più adatti a raggiungere l’obiettivo dell’azione. In questo caso però i fini sono predefiniti e corrispondono a determinati calori che orientano le scelte della persona. 4) Razionale secondo gli scopi: in questo caso qualsiasi mezzo è lecito per raggiungere un determinato scopo. Gli individui non seguono sempre lo stesso tipo di orientamento. Inoltre, convenzioni diffuse, definizioni della realtà altamente condivise, valori accettati come unicamente validi, istituzioni e norme inscritte nell’esistenza collettiva rendono poi i comportamenti un fatto di routine. Weber: spirito del capitalismo e ceti borghesi La religione: consente agli individui di attribuire un significato alla propria esistenza e alla morte, di offrire un senso morale alla vita in società. Ogni relgione svolge questi compiti in modi e misure diverse. Durkheim sosteneva invece una sorta di operare medesimo della religione in tutte le società. La diversa religiosità ha ricadute diverse in molteplici altri ambiti esperienza, tra cui appunto, i processi sociali, persino quelli che hanno a che fare con la produzione, la distribuzione e il consumo nel mondo economico. La religione e la genesi del mondo moderno. Secondo Weber, all’interno di una serie di pre-condizioni economiche, tecnologiche, storiche e sociali, il capitalismo occidentale nasce e si sviluppa anche perché un tipo di borghesia imprenditoriale si ispira a nuovi valori nel suo operare quotidiano. L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. La grande innovazione religiosa è nell’ideal-tipo della riforma protestante e nello specifico tipo di valori promosso dalla corrente calvinista che promuove la predestinazione e indirettamente l’ascetismo mondano. Il disegno divino determina una volta per tutte e per ciascun individuo la sua salvezza o dannazione. Ciascuno è predestinato all’una o all’altro. Da ciò deriva un’assillante anzia circa il proprio destino, che non è dato né conoscere, né modificare. Ciò può condurre ad un’esistenza basata sulla continua ricerca dell’evidenza della prova di essere predestinati alla salvezza. Weber: spirito del capitalismo e ceti borghesi L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. La posta in gioco dell’attività dell’imprenditore diventa la dimostrazione della propria qualità come persona: la ricerca del profitto e del benessere economico diventa un dovere; la dedizione personale ad un comportamento razionale, sistematico, istancabile divengono caratteristiche mortali predominanti. L’orientamento all’agire della nuova borghesia imprenditoriale è contrario a quello emotivo e tradizionale, ma si sposta quello della razionalità orientata allo scopo. L’etica protestante spiega dunque la genesi del capitalismo in una determinata area sociale e culturale dell’Europa. Ma naturalmente non spiega né la sua successiva espansione, né tutti i rapporti interni al capitalismo. Per Weber, l’etica religiosa è una delle concause e aveva svolto un ruolo indispensabile per la nascita del capitalismo moderno. Le religioni europee si distinguono dalle altre religioni perché avrebbero sistematicamente promosso l’dozione di modalità razionali dell’agire individuale e collettivo. È questo che ha permesso all’Occidente di imporre la propria superiorità su altre culture. Si tratta però di una superiorità di efficacia pratica e tecnologica e non una superiorità morale. Classi e cultura nella sociologia del secondo Novecento. La cultura della classe operaia. E.P. Thompson (1963, Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra) In questa opera fondamentale viene mostrato come la classe operaia delle città inglesi funzioni come una comunità, con codici tipici delle tradizioni locali e sistemi di valori fondati sul decoro, la regolarità, il mutuo soccorso. Al centro dell’analisi non c’è l’economia, ma il processo di creazione delle comunità. R.Hoggart (1957, The Uses of Literacy) Altrettanto importante è l’opera di Hoggart che anticipa l’interesse per la cultura intesa come sistema di conoscenza e rappresentazioni della realtà che varia in base alle classi e ai ceti. Secondo Hoggart la classe operaia è ancora distinguibile, mostra di avere un’identità, un senso di appartenenza, riconoscibili anche attraverso le scelte di consumo, un certo conformismo e una socialità di vicinato. Anche questo ultimo aspetto, legato alle relazioni sociali di quartiere, appare in effetti in via di decadimento. Tuttavia, per Hoggart se i confini di classe divengono più mobili e permeabili, in senso culturale continuano ad esistere producendo molteplici differenze nei gusti, negli stili e nella capacità di valutare i diversi prodotti della cultura di massa. Vi sono molti esempi di ricerche che riescono a mostrare con forza come esista uno stretto legame tra stratificazione sociale e differenziazione culturale. • Berstein (1971, Social class, language and socialization): Le classi riproducono un diverso accesso delle generazioni all’uso del linguaggio e alla conoscenza: da un lato si rileva l’uso di un linguaggio universalistico, dall’altro particolaristico. Il primo è legato ad un codice ristretto, il secondo ad un codice elaborato tipico delle classi medie ed elevate. • Goody (1982, Cooking, cusine and class. A study of comparative Sociology): Borghesissazione dell’intera cultura del cibo. Il connubbio tra cibo, tipo e ordine dei pasti e delle portate, l’etichetta e i codici del mangiare e dello stare a tavola non dipendono tanto dagli ingredienti della cucina, ma piuttosto dal sistema di status e dall’organizzazione della vita spciale a livello domestico. È un chiaro esempio questo che non vi è rapporto fisso tra tipo di oggetti culturali e cultura dei vari strati sociali. Pierre Bourdieu Capitale economico, capitale sociale e capitale culturale Pierre Bourdieu : La distinzione 1979 Il rapporto tra classe sociale e cultura è di tipo multidimensionale. Vi sono 3 diversi tipi di capitale: economico, sociale e culturale. Il capitale economico si basa sulla disponibilità di risorse materiali e finanziarie; Il capitale sociale sulle reti di relazioni in cui si è inseriti Il capitale culturale si basa sulle competenze di tipo scolastico e su quelle ereditate dalla socializzazione extra-scolastiche). Il capitale culturale, ma in un certo senso anche quello sociale, a differenza di quello economico non si depaupera quando viene sfruttato. Sulla scorta delle possibili combinazioni tra capitale economico e capitale culturale, Bourdieu, in uno studio empirico sulle diverse forme di differenziazione degli stili culinari, artistici e di consumo in genere (La distinzione, 1979), definisce un sistema strutturale di opposizioni su cui si fonderebbero le differenze di stili di vita legati alle classi: Economico e Culturale elevati Economico basso / Culturale alto Economico alto / Culturale basso Economico e Culturale bassi Pierre Bourdieu Attraverso i gusti si giocherebbe una sottile guerra prima di tutto simbolica, ma in secondo battuta con conseguenze pratiche che hanno a che fare con l’attribuzione di potere delle classi. I gusti sono delle vere e proprie pratiche culturali: comportamenti che incorporano la cultura e la società, perché tramite essi si manifestano valori etici e giudizi estetici. Attraverso le preferenze di consumo si combatte una eterna lotta da parte delle classi superiori per distinguersi dalle altre e per affermare il proprio sistema di classificazione sociale. Il gusto trasforma le cose e gli oggetti di consumo in segni distinti e distintivi. A differenza della prospettiva marxista, la stratificazione sociale è rinforzata e prodotta anche attraverso l’elaborazione di differenti stili di vita che dimandano ad una continua ridefinizione dei gusti. Esiste una diversificazione di classe rispetto ai consumi: nell’alimentazione, nella cura del corpo, nelle letture, nelle preferenze musicali, di arredamento e artistiche. Le classi medie e piccolo borghesi - nuova piccola borghesia - si distinguono a loro volta a seconda del mondo attraverso cui prendono le distanze della classe operaia, secondo un sistema strutturale di opposizioni. Esiste dunque una logica che ‘struttura’ i diversi ambiti della pratica culturale, capace di trasferirsi da un campo sociale all’altro, generando configurazioni sistematiche di proprietà con cui si gestiscono sistemi di distanze differenziali. Pierre Bourdieu: habitus I principi generatori delle diverse pratiche e proprietà sono definiti habitus: -sistemi di disposizioni durevoli e trasferibili interiorizzati in modo non cosciente - è prodotto della struttura di classe, ma è anche principio relativamente autonomo di organizzazione delle pratiche e della loro percezione. L’habitus è un sistema di disposizioni durevoli e trasferibili. Tali disposizioni sono inclinazioni a pensare, percepire e fare in una certa maniera. Tali inclinazioni vengono interiorizzate in modo per lo più non cosciente. Esse si collocano all’interno di condizioni oggettive di esistenza e di specifiche traiettorie sociali. Condizioni di esistenza simili tra individui danno vita all’habitus come habitus di classe. Le pratiche di un medesimo attore sociale e le pratiche di tutti gli attori sociali che fanno parte di una certa classe manifestano una certa affinità di stile. L’habitus dunque è sia frutto della struttura di classe sia a sua volta principio relativamente autonomo di organizzazione delle pratiche e della loro percezione-classificazione. Limiti della prospettiva di Bourdieu: • Non è chiaro come il soggetto possa svolgere autonomamente scelte di tipo innovativo rispetto all’habitus interiorizzato attraverso la socializzazione. • I processi di distinzione tra i vari strati sociali a quale dinamica sociale corrispondono? A) Far prevalere una tra le tante possibili modalità di interpretazione di un sistema di classificazioni e di valori comune ai vari strati sociali, oppure B) si tratta di una competizione tra sistemi di classificazioni e valori particolaristici e tipici di uno strato? Insomma si tratta di un sistema di classificazione e di valori unico e coerente (coerenza culturale e unità culturale) o di una lotta tra sistemi (incoerenza ed eterogeneità culturale)? Bourdieu e la prospettiva della produzione di cultura Punti chiave della prospettiva della produzione di cultura: 1) l’approfondimento sociologico ha spostato l’attenzione sul ruolo delle organizzazioni e dei mercati nel determinare i tipi di produzione culturale. 2) Dato che un oggetto culturale può essere considerato come un prodotto dei processi organizzativi, le sue caratteristiche formali e alcune delle sue tematiche di contenuto devono essere riportate non alle competenze e alla creatività dei singoli, ma ai vincoli e alle interazioni organizzative e relazionali che avvengono nei complessi mondi della produzione culturale. L’apporto di Bourdieu alla rinascita della sociologia della cultura negli Stati Uniti è dovuto al fatto che diversi autori - Peterson, Di Maggio, Crane - riuscirono a diffondere la sociologia di Pierre Bourdieu oltreoceano. Negli anni ’80 gli scritti del sociologo francese hanno avuto una diffusione ed una influenza precedentemente sconosciuti nelle università americane. Le impostazioni empiriche nello studio delle differenze culturali, più che le chiavi teoriche di interpretazione, hanno giovato alla ricezione di Bourdieu nella sociologia della cultura statunitense. Lunga serie di ricerche e analisi che hanno contraddistinto il lavoro dei sociologi della prospettiva della produzione di cultura •Di Maggio (1977): stretta relazione tra la frequentazione delle manifestazioni artistiche e la stratificazione sociale. •Di Maggio (1991): storicamente i ceti superiori dei contesti urbani americani hanno contributo a sviluppare un’organizzazione di eventi e fruizioni culturali, in particolare l’Opera, depositari di una funzione distintiva nei confronti dei riferimenti artistici delle classi inferiori •Peterson (1992): relazione tra status occupazionale e consumi musicali. Culture di gusto e valori sociali Alle culture di classe si stanno sostituendo culture di gusto? Gli stili di vita si diffondono trasversalmente alla stratificazione delle classi socio-economiche. Diane Crane (1992): nelle società post-industriali l’identità segue i riferimenti nelle pratiche di fruizione e consumo, piuttosto che nelle classi occupazionali. La stratificazione sembra seguire le distinzioni opache che emergono dal consumo piuttosto che quelle nette dettate dalla produzione. Gli oggetti materiali o la cultura depositata diventano segni di distinzione e di appartenenza. La prospettiva della produzione di cultura non risponde ad un interrogativo generale che riguarda il rapporto tra le società industriali e post-industriali e la cultura in senso ampio: l’affievolirsi delle distinzioni economiche nella stratificazione sociale rimanda alla visione francofortese di una indistinta cultura di massa? Oppure lo spostamento verso le distinzioni di gusto, le differenze negli stili di vita e nelle preferenze di consumo rimanda all’idea di una cultura altamente frammentata? McClelland (1961 The achievement society) negli anni ‘50 aveva parlato dei valori dominanti dell’achievement: aspirazione al successo, al benessere materiale e alla scalata sociale). Ma negli strati inferiori della popolazione altre ricerche hanno riscontrato l’operare di valori differenti, di affiliation: solidarietà reciproca, spirito comunitario, legami sociali forti, coesione. Nel 1952 una famosa ricerca di Chinoy (The tradition of opportunity and the aspiration of automobile workers) sugli operai di una fabbrica di automobili americana mise in evidenza l’effetto di compensazione culturale: bloccati nella loro ascesa professionale, questi operai spostavano le aspirazioni su piccoli miglioramenti della vita quotidiana. Trasformazione dei valori sociali A partire dagli anni ‘70 diverse ricerche e tra queste soprattutto quelle di Ronald Ingleahart (1977, 1990 e 1996) sottolineano una silenziosa rivoluzione nei valori che orientano l’azione e i principi delle classi medie ed elevate delle società post-moderne. Si affermano i valori postmaterialisti. Secondo Inglehart i movimenti della fine degli anni ‘60, collegati alla lunga fase di crescita economica, spostano l’attenzione dai temi del benessere materiale a quelli relativi allo stile di vita, cioè verso valori post-materialisti: esiste una gerarchia dei bisogni, tale per cui quelli di ordine elevato, relativi alla crescita intellettuale e artistica della persona, sono concepibili soltanto dopo che sono stati soddisfatti quelli di livello più basso, relativi alle questioni materiali. Le istanze post-materialiste sono orientate verso bisogni di natura espressiva, come ad esempio l’auto-realizzazione nella sfera privata e la democrazia partecipativa. I nuovi movimenti sociali, come il movimento femminista, quello studentesco, le lotte urbane, i movimenti legati alla sessualità, il movimento ecologista, le proteste anti-istituzionali (giustizia, carceri e ospedali psichiatrici), le lotte legate ai problemi della medicina e della salute, presentano grandi novità rispetto ai vecchi movimenti (di classe) che sino ad allora erano stati protagonisti delle mobilitazioni nella società. Mettono in evidenza il passaggio da forme di azione basate sulla condizione a forme di mobilitazione basate sulla convinzione, cioè scarsamente influenzate dalla composizione di classe o dalla distribuzione del potere politico. I soggetti che maggiormente si impegnano nei nuovi movimenti sociali, appartengono alla nuova classe media. Questa è costituita in particolare da settori di popolazione ad alta qualificazione intellettuale, tendenzialmente occupati nel settore dei servizi. Le loro richieste sono qualitative: si domanda una migliore qualità della vita nei suoi aspetti non economici. Inoltre, il momento decisivo per la socializzazione politica - cioè la formazione di credenze e valori destinati a sopravvivere nel tempo - si colloca nel passaggio dalla giovinezza all’età adulta: principi e priorità acquisiti in quel momento tendono a mantenersi anche successivamente. Differenze culturali e differenze generazionali Proprio il passaggio di età è al centro delle considerazioni sul concetto di generazione. In ragione della sua radice biologica, l’avvicendarsi delle generazioni è inteso da Mannheim come un processo continuo, nel quale: «la cultura viene sviluppata da uomini che accedono ogni volta di nuovo al patrimonio culturale accumulato. Nella natura della nostra struttura spirituale questo ‘nuovo accesso’ significa sempre un nuovo rapporto di distanza con l’oggetto, una nuova impostazione nella assimilazione, elaborazione e perfezionamento dell’esistente. Il ‘nuovo accesso’ è un fenomeno che è sempre rilevante nella vita sociale e trova qui solo una sua specifica realizzazione» (Mannheim 1952, opera originale del 1928 Das Problem der Generationen). L’obiettivo di Mannheim è studiare il pensiero nella sua relazione con le strutture sociali e storiche in cui ha origine. Intende dimostrare che, oltre alla classe, vi sono altre unità sociali capaci di condizionare la produzione e riproduzione della conoscenza: «i ceti, le sette, i gruppi di lavoro, le scuole e le generazioni». Se la nascita di una generazione non può essere assimilata alla formazione di un gruppo concreto in quanto manca del presupposto fondamentale della conoscenza reciproca, tuttavia: «Individui che maturano nello stesso periodo, vivono negli anni della massima capacità di assimilazione, ma anche più tardi, l’esperienza delle medesime influenze determinanti sia da parte della cultura intellettuale dominante sia da parte delle situazioni politico sociali. Essi rappresentano una generazione, una contemporaneità, poiché queste influenze sono unitarie». Differenze culturali e differenze generazionali La collocazione derivante dall’appartenenza a una generazione definisce uno spazio limitato di esperienze possibili: circoscrive, cioè, gli orizzonti a disposizione e produce una tendenza a determinati modi di comportarsi, di sentire e di pensare (cultura). La collocazione di generazione è allora una potenzialità, che può poi realizzarsi, come essere annullata o trovare articolazione in altre forze socialmente attive. Mannheim distingue tra collocazione, legame e unità di generazione. A differenza della collocazione, il legame di generazione non esprime la semplice esposizione contemporanea alle medesime esperienze: rappresenta, invece, un’unione reale tra individui nella stessa collocazione, i quali partecipano consapevolmente alle trasformazioni che investono il loro tempo. All’interno di ogni legame generazionale possono poi sorgere differenti unità di generazione: «caratterizzate dal fatto che non comportano soltanto una partecipazione di diversi individui a un contesto di avvenimenti vissuti in comune, ma individualmente dati in modo diverso, ma anzi significano un reagire unitario, una pulsazione e una configurazione affine di individui all’interno della generazione». Scarto generazionale, subculture giovanili, ribellione e controculture A partire dal secondo dopoguerra hanno fatto irruzione a più riprese diverse generazioni di giovani con un protagonismo e una manifestazione di ribellione del tutto nuovi rispetto al passato. Anni ‘50, Usa, Gran Bretagna, Svezia, Italia: gioventù ribelle (politicamente e socialmente ‘muta’, trasversale rispetto alle classi sociali). Anni ‘60, paesi capitalisti: Beat Generation (pacifismo, aspetti ludici, affettivi e relazionali; propri modelli culturali - Inglehart - e posizioni controculturali. L’industria culturale se ne impossessa e ne aumenta la circolazione). Fine anni ‘70, Usa, Francia, Germania, Italia: movimentismo politico radicale (Parigi, Maggio 1968 è l’inizio; rivolta libertaria, attacco alle gerachie sociali, all’autoritarismo, controcultura di valori universalistici relativi non solo al mondo dei giovani ma all’intera cultura e società). Questi esempi mettono in luce: 1) conflitto generazionale: la trasmissione culturale da una generazione all’altra non avviene in modo funzionale, automatico e semplice. 2) la teoria sociologica dell’adattamento di Merton non funziona del tutto (Merton aveva sostenuto sul finire degli anni ‘40 che le devianze giovanili erano da interpretare come frutto di un contrasto tra le mete culturali dominanti e i mezzi per raggiungerle). 3) Dopo l’infanzia, si struttura socialmente anche un’altra fase del ciclo di vita, chiaramente distinta dalle altre: la gioventù. Seguirà anche una distinzione con adolescenza e status di giovane-adulto. Erik Erikson parla di moratoria psicosociale. Identità e cultura. In sociologia e nelle scienze sociali in generale, il concetto di identità riguarda 2 aspetti: 1) il modo in cui l'individuo rappresenta e costruisce se stesso come appartenente determinati gruppi sociali: nazione, classe sociale, sistema culturale, etnia, genere, professione, e così via; 2) il modo in cui le norme di tali gruppi permettono a ciascun individuo di pensarsi, muoversi, collocarsi e relazionarsi rispetto a sé stesso, agli altri, al gruppo a cui afferisce ed ai gruppi esterni intesi, percepiti e classificati come diversi. Anche la formazione dell'identità si può distinguere in 2 processi: A) identificazione e B) individuazione. A) Il soggetto si rifà alle figure con le quali condivide alcuni caratteri; produce il senso di appartenenza a un'entità collettiva definita come Noi (famiglia, patria, gruppo di pari, comunità locale, nazione). B) Il soggetto fa riferimento alle caratteristiche che lo distinguono dagli altri. In effetti ogni identificazione/inclusione implica un'individuazione/esclusione. Tutti noi rivestiamo più ruoli, di conseguenza abbiamo un'identità multipla, definita come identità sociale. Tuttavia è forse meglio parlare di un processo continuo di identificazione. L'identità è contestuale e relazionale, cioè essa può variare in base al contesto, al ruolo che si intende assumere in tale contesto ed alla posizione, autodeterminata o meno, che si gioca all'interno della rete di relazioni e percezioni (simmetriche ed asimmetriche) al cui interno ci si trova inscritti ed attivi. Identità: direzioni di riflessione sociologica Esistono due direzioni di riflessione sociologica sul tema dell’identità: 1) Una è legata alla trasformazione semantica della nozione di identità (come è cambiato il significato e l’utilizzo del termine) 2) L’altra riguarda il rapporto tra la dimensione psicologica e sociologica dei processi di identificazione. Trasformazione semantica: l’identità può riferirsi ad un sistema o ad un processo. Nel primo caso si tratta del frutto di un insieme di relazioni stabili, nel secondo indica la continua dinamica del soggetto che passa da un’auto-definizione all’altra in base ai contesti, situazioni e relazioni. Come concetto, l’identità rimanda a così ad almeno 3 significati. 1) la permanenza del soggetto nel corso del tempo 2) l’unità e l’unicità del soggetto che è quindi diverso da chiunque altro 3) le relazioni tra soggetti che permettono ai soggetti di riconoscersi. L’identità individuale è la capacità dell’attore di agire differenziandosi dagli altri. Ma questa possibilità deve essere riconosciuta dagli altri e quindi alla base c’è una certa uguaglianza e una certa reciprocità. Il concetto quindi rimanda ad un rapporto con gli altri attraverso l’interiorizzazione dell’universo simbolico della cultura. È in questo campo che avviene l’identificazione. Identità: direzioni di riflessione sociologica Soggetto e azione, identità personale e sociale: nello sviluppo della società moderna l’identificazione si trasferisce gradualmente dall’esterno all’interno della società. Questo perché vi è una individualizzazione dei processi di attribuzione e di riconoscimento dell’identità (spazio anche all’immaginario). Ciò presuppone: 1) Capacità di auto-riflessione 2) Percezione e senso di appartenenza 3) Continuità temporale attraverso cui l’attore riesce a stabilire ponti tra passato e futuro e di legare l’azione ai suoi effetti. Differenza affermata da parte dell’attore Identificazione da parte dell’attore Identificazione da parte degli altri Differenza riconosciuta da parte degli altri Identità: direzioni di riflessione sociologica Nella cultura contemporanea la narrazione e la relativa esperienza assumono un aspetto centrale nella definizione dell’identità. 1) Narrazione espressiva rischio narcisismo 2) Narrazione depressiva rischio immobilità 3) Narrazione proiettiva rischio cancellazione della memoria Il riconoscimento diventa un’immagine, congruente o meno con le nostre aspettative; questo perché l’altro è sempre più situato e immaginato. Identità collettiva e identità culturale. L’identità collettiva indica il senso di identificazione al livello di gruppo. Nel soggetto collettivo, cioè nel gruppo, la dimensione locativa - di localizzazione - corrisponde solitamente ad uno spazio, ad un territorio, oppure ad un logos simbolico e immaginario. La dimensione integrativa dalle persone con ruoli e funzioni di riferimento per gli appartenenti al gruppo. Anche nel caso dell’identità collettiva sono centrali le funzioni delle narrazioni, cui si aggiunge il ruolo dei rituali, i processi storici. Quando le etichette, le immagini, gli stereotipi e i pregiudizi che vengono diretti ad un gruppo che invece si attende di essere riconosciuto per altre caratteristiche possono scattare strategie di rivendicazione identitaria. Tali strategie assumono diverse forme: accettazione o negazione dell’identità attribuita. Il concetto di identità culturale si riferisce in modo specifico per riferirsi a processi di identificazione e riconoscimento, di separazione e disconoscimenti di elementi di appartenenza strettamente culturale (diverse quindi dalle identità di genere, di classe o di gruppo più ristretto). Il dato intergenerazionale ad esempio è sempre presente. Oggi la maggioranza dei paesi è polietnica. Le principali cause di questo dato di fatto sono: lo sviluppo dei grandi flussi migratori e la persistenza e l’acuirsi delle differenze etniche e delle istanze di indipendenza all’interno di vari paesi.