Un umanista del ‘700 italiano – Alfonso Maria de Liguori 10. S. Alfonso scrittore Indice 1. La strada del successo 2. Tecniche di stampa e altre “coselle” 3. Proprietà, ricchezza di termini, duttilità di stile 4. Un editore lontano dal Regno 5. Conclusione 1. La strada del successo Giovanni Casati, nell’introduzione ai Sermoni e Commenti evangelici, scrive: «Mi sono meravigliato, scorrendo le storie della letteratura e del pensiero nei secoli della vita italiana, di non trovare il nome di sant’Alfonso de Liguori in quel Settecento che egli visse quasi per intero, dal 1696, anno in cui nacque, al 1787 in cui morì. Eppure né la letteratura né la storia del pensiero dovrebbero trascurare questa figura eminente e significativa» (1). La sorpresa del Casati è più che giustificata. Dobbiamo però anche dire che qualificati studiosi, se non molti, si sono interessati con serietà di sant’Alfonso scrittore. Fra di essi ricordiamo: V. Gioberti, V. Fornari, B. Croce, D. Giuliotti, G. Papini, G. De Luca, P. Bargellini e il professor Giovanni Getto. Proprio quest’ultimo scrive che «sant’Alfonso merita un suo adeguato paragrafo, non solo per le sue poesie, di cui alcune mantengono una loro intatta e ferma bellezza, ma anche per certe pagine in prosa, capaci di arricchire di una loro originale e remota bellezza lo sfondo della letteratura settecentesca» (2). Per questo motivo, lo scrittore Giovanni Papini — in collaborazione con Domenico Giuliotti, la prima volta, e con Giuseppe De Luca, la seconda — ha presentato molte pagine di sant’Alfonso per la compilazione di due antologie (3). «Il suo stile (pur risentendo dei difetti del tempo) ha la grazia persuasiva e commovente di S. Francesco di Sales, mentre, talvolta, nelle descrizioni della morte, assurge alla potenza espressiva di Jacopone» (4). La sua prosa limpida e moderna — «a parte una certa prolissità, non spoglia di un suo senso e di una sua dignità letteraria» (5) — è degna di attenzione e di interesse, con pagine autenticamente belle e fortemente espressive, drammatiche o serene che siano. «Egli dissemina movimenti lirici e melodici di una rara grazia e d’una potenza ingenua, nei suoi scritti. Non infastidisce con la cultura, ma trova le corde intime, le vene segrete del nostro cuore, indòtto e umile. E riesce a prenderlo e lo fa battere di un diverso amore» (6). 2. Tecniche di stampa e altre “coselle” È stato già ricordato che l’enorme successo editoriale di sant’Alfonso è dovuto al valore intrinseco delle opere; alla chiarezza del pensiero e alla semplicità dell’espressione; all’attenzione alle esigenze dei lettori e, più in generale, del popolo; alla brevità e alla essenzialità degli scritti. E per queste caratteristiche anch’egli deve essere considerato un illuminato. Il messaggio dell’illuminismo si diffuse con facilità perché affidato a metodi di esposizione chiari, popolari, rapidi e succosi, dalla presa diretta e immediata. È quanto ha fatto Alfonso de Liguori, che nel panorama letterario del suo tempo e del suo mondo si staglia come unico e, perciò, inconfondibile. A conclusione di queste pagine presentiamo una raccolta di frasi, scritte dal santo, al suo stampatore in Venezia. Esse confermano queste peculiarità delle sue 111 opere; ma rivelano anche la sua personalità di scrittore arrivato; la coscienza, umile ma sicura, di una maturità artistica raggiunta; la consapevolezza della validità dei propri mezzi espressivi; la certezza di arrivare sempre e comunque al cuore dell’uomo o al centro del problema; la tenacia e lo scrupolo con cui si documentava; la necessità di continue aggiunte per impinguare l’opera e presentarla perfetta; la passione per il rigore ortografico e lessicale; l’accortezza per una punteggiatura sempre precisa; l’esigenza di una stampa chiara e pulita; la puntigliosità nella correzione delle bozze; l’assistenza continua in fase di stampa; lo studio per una presentazione anche esteriormente gradevole; il fiuto e le sue astuzie commerciali; i batticuori per i ritardi postali; l’apprensione per la censura spesso assurda; la preoccupazione per i revisori dei suoi scritti; l’impegno per il lancio e lo smercio dei volumi; il desiderio di andare lontano, oltre i confini del Regno di Napoli, per donare anche là cibo sostanzioso ad anime bisognose. Le frasi sono scelte nel carteggio avuto con l’editore Remondini per circa 25 anni e raccolto nel 3° volume delle Lettere, stampato a Roma nel 1890. Sono poste una di seguito all’altra, senza alcun commento: parlano molto chiaramente da sole. Gloria Patri! che finalmente. ho letto al catalogo che stanno sotto il torchio le Glorie di Maria e la Visita al SS. Sacramento. Ne ho avuta gran consolazione, per la gloria di Gesù Cristo e di Maria. Altro non ne desidero, quando son compiti, che una sola copia per vedere come son fatti. Spero che li faccia di buona carta, e non importa che costino qualche cosa di più di prezzo; perché questi libri piccioli assai più si smaltiscono quando son di buona carta, che quando di mala carta, benché più a mercato (agosto 1758). Mi dispiace che del secondo torno il. Sig. Stasi ne ha stampati alcuni fogli, e poi ha lasciato per mancanza di danari. Oh stessimo più vicini, che mi poteste mandare a far le correzioni! Questi librari, nostri son tutti pezzenti. Si tratta ora che hanno ristampate l’opere mie di cartaccia ordinaria, e le vendono per niente (16 del 1761). Del resto, la mia Morale si è venduta da per tutto. Che importa che, in Portogallo, l’han proibita in odio de’ Gesuiti? In Napoli, niuna Morale si vende tanto, quanto la mia, con tutto che nullus propheta est acceptus in patria sua… La Morale, come sta ora, seguita a vendersi dappertutto e ad esser ricercata; perché,, in fatti, al presente difficilmente si trova una Morale così piena di cose antiche e moderne, com.’è la Morale mia. In Napoli, ora si è stampata la Morale per li chierici studenti in 4 tometti. Questa Morale poco o niente mi piace; ma io vi ho notato che l’autore, quantunque sia della sentenza rigorosa, contraria alla mia (la mia non è la rigorosa, nè è quella de’ Gesuiti, ma è tra mezzo l’una e l’altra), pure mi chiama in un luogo: il dottissimo Ligorio. Io non ho questa presunzione di esser dottissimo; ma vedo che lodano, e si servono della mia Morale, anche quelli che sono contrari alla mia sentenza. E così V. S. Illma non dubiti che la ristampa seguirà ad aver lo stesso smaltimento che hanno avuto le altre edizioni (30 luglio 1772). Forse già saprà che il libretto fatto in Napoli, e chiamato il Confessore de’ villaggi, ha avuto un gran smaltimento: si è stampato da otto o nove volte, e anche in Venezia. E sia certo che il mio è migliore assai, più chiaro e più pieno di belle noti zie e dottrine circa la pratica; e meglio assai verrebbe, se l’impinguassi secondo l’idea che tengo (12 giugno 1756). Di nuovo la sono a pregare di darmi notizia a che sta la stampa dell’Istruzione latina; mentre io la sto aspettando con ansia, per farla prendere dalli miei diocesani. Io speravo a quest’ora d’averla già avuta stampata; ma sinora non ho neppure notizia che sia stata stampata. Dico ad ognuno che la desidererebbe: verrà tra breve; ma questo breve è da un pezzo che dura, e sinora non è arrivato. La prego almeno a darmene notizia (5 ottobre 1762). V. S. Illma ha fatte tante richieste per lo mio ritratto, cosa che non serve; ma quello che serve ed è cosa che tanto la desiderano, cioè di vederla stampata, non se ne parla. Né mi date nuova della Morale latina o sia Istruzione latina. Saranno già due anni, come V. S. Illma già mi scrisse tempo fa, che l’opera stava sotto del torchio. Ma quel torchio è di molto tardo moto: va un passo una volta l’anno. Le genti sempre mi domandano: quando viene? quando viene? Ed io non so che rispondere. La prego ad avvisarmi almeno che cosa ho da rispondere. Ieri parlai con alcuni venuti da Sicilia, e mi dissero che le opere mie ivi vanno molto care (12 giugno 1763). Ella poi non m ‘avvisa se ha ricevuto ancora la scatoletta delle mie opere spirituali che l’inviai… Se V. S. Ill.ma le desse alle stampe, spererei che ne avrebbe un grande smaltimento; mentre, come ho inteso, le opere di me miserabile sono ricercate non solo nel regno di Napoli e di Sicilia, ma anche per l’Italia; tanto più ora ch ‘è uscita quest’opera grande della Morale. Quest ‘altre operette mie, è vero che son picciole; ma sono tutte faticate e piene di cose, perché io non sono amico di parole; e per fare queste operette, ho letto centinaia di libri e ne ho raccolto il fiore. E tali saranno le altre operette che disegno (2 giugno 1757). Tutti i libri miei sento nominare che date alle stampe, e non le Glorie di Maria, quando quest’operetta è la più faticata e forse la più applaudita; e come scrissi, già in Napoli sinora se ne son fatte tre edizioni… Non dubiti, le mie operette non le manderò ad altri che a V. S. Illma; ma son vecchio, e s’accosta la morte; ed io poi, in ogni operetta vi fatico il doppio di quel che vi faticano gli altri, mentre vi osservo tutti gli autori che posso avere; e, come si vede, in poco restringo molto, poiché sono amico di cose e non di parole (5 luglio 1759). Il Domenicale si prosiegue a stampare, e spero a Dio che sia gradito da tutti. I sermoni vengono brevi, ma sono pieni di sugo, ed ogni sermone forse mi costa 15 giorni di fatica, quando sto spicciato; perché, quando vi son negozi del vescovado, ho bisogno di tempo più lungo. Ma già ho compito il sermone 37°; restano a farsi 17 altri sermoni. Spero che il Signore mi dia tempo di finirli. E dopo questa fatica ne medito un ‘altra più bella; ma non so se avrò tempo di compirla, perché la fatica è grande, ma sarebbe molto applaudita. Medito di fare l’Istoria delle Eresie, ma non a lungo, come han fatto gli altri e specialmente il Bernini (24 dicembre 1769). Sto con tutta la sollecitudine, aspettando che si stampi nella Morale questo Monito, e si legga da’ compratori; e perciò di nuovo prego a metterlo nell’ultima pagina della Morale, acciocché così si legga più facilmente da tutti. Io ne ho stampate qui alcune poche copie per dispensarle a qualcheduno, e qui me le rubano da mano e le cercano con ansietà. La scrittura è breve; ma è tutto sugo e sostanza, ed in breve mette in chiaro tutti i dubbi che si son fatti su questa materia (19 ottobre 1772). Sto faticando sopra il libro Vittorie de’ Martiri che verranno due tometti, e spero che molto gradirà al pubblico; perché vi ho raccolte le più belle notizie de’ martiri, che ho potuto ricavare da molti libri che mi ho fatti venire. Ed in fine, vi sarà un compendio di un famoso libro francese sopra la Messa (Del Sacrificio di ,Gesù Cristo, con una breve dichiarazione delle preghiere che si dicono nella Messa) che sarà molto gradito. L ‘autor francese è dotto, ma è infrascato di tante parole e. cose quasi incapibili che è un tedio a leggerlo; ma io, le cose che dice, le ho poste tutte in chiaro. Spero di arrivare a finirlo; dico spero, perché le infermità mi assaltano da giorno in giorno. Faccia Dio! (5 gennaio 1775). Mando per lo procaccio il libro nuovo della Condotta ammirabile della Divina Provvidenza. Egli è di piccola mole; ma mi costa, se non. erro, da tre anni di fatica; -ed a me pare che non vi è libro che persuada così chiaramente la verità della Fede, quanto questo. Vi sono in fine tre opuscoletti molto utili… Le cose che vi stanno sono tutte succinte ed abbreviate; ma ogni cosa mi costa molta fatica per appurarla. La faccia leggere a qualche savio, perché non è libro di feminelle… (L’opera Dissertazioni teologiche-morali appartenenti alla vita eterna) per quello ch’io mi figuro, non verrà più che di due o tre torni in-12°, perché io succingo le cose e son nemico di lungherie, le quali poi tediano e non si leggono; e secondo l’uso moderno, ora tutti vogliono libri succinti e sostanziosi, come spero che venga quest’opera mia secondo le dissertazioni che già ho stese, dove in breve si legge molto e con chiarezza: la quale chiarezza nelle opere mie sento che da tutti sia lodata (12 febbraio 1776). In quanto alla prima stampa delle mie opere, per me è sempre necessario che io la riveda; perché, siccome mi pare d’averle scritto altra volta, io molte cose le riformo sulla stampa medesima, e perciò gli stampatori qui hanno da avere molta pazienza con me, in fare e rifare la composizione; mentre io non mi contento mai anche di me stesso (24 maggio 1760). Prego V. S. Il.lma a starci con tutta l’attenzione sopra questo che ho scritto, ed a procurare che quella persona che ne avrà l’incombenza, prima che si cominci la stampa, legga questa mia, e collochi tutte queste aggiunte ai luoghi loro propri. Torno a dire: ha da essere una persona intendente e che capisca il senso di quello che si dice; altrimenti vi verranno molti spropositi, con disonore mio e vostro. E si assicuri che, con queste aggiunte che ora mando, verrà una Morale che fra tutte l’altre non vi è simile, almeno per le notizie di tante cose e decreti nuovi che ora vi ho notati: cose che certamente non si trovano negli altri libri (25 ottobre 1763). Sempre vi bisogna un compositore che sia accorto e non confonda le cose, ed un revisore intendente che veda se forse si è pigliato qualche abbaglio. Se (non voglia Dio!) fosse lo stesso revisore della prima stampa di questa Istruzione latina, certamente vi verrebbe un altro diluvio di spropositi; ma spero a Dio che no, come V. S. Illma mi scrisse (19 febbraio 1762). Ma il principale avvertimento per tale scritto è che il compositore ha da prendersi fastidio alla composizione, perché il carattere è alquanto scabroso; ed essendo latino e componendolo chi non sa di latino, prenderà molti abbagli. Onde bisogna che il revisore sia molto perito nel correggere tutti gli abbagli, e specialmente stia attento alla puntatura ed anche alle lettere grandi o picciole, che si han da mettere al principio delle parole (26 novembre 1769) Io ho già cacciato fuori il Compendio consaputo volgare, intitolato Istruzione e Pratica per un Confessore. Questi che ho stampato, già a furia qui in Napoli se li prendono. Onde fra non molto tempo saranno finiti… Ma s’assicuri che per l’Italia questo volgare avrà un sommo smaltimento, mentre qui ha avuto un applauso comune e, come ho detto, me lo strappano dalle mani. Stamparlo la prima volta in Venezia, senza la mia assistenza continua, era impossibile. Dio sa che assistenza continua ho avuto da farvi, con aggiustare e guastare molte cose ancora della stampa già fatta; perché le cose in istampa compariscono d’altra maniera di quello che si scrive (10 marzo 1758). Temo che non si perda la scatoletta, e mi dispiacerebbe perché, nel corpo mandato, vi stanno notate molte correzioni e molte aggiuntoline importanti, che mi han costato fatica (18 maggio 1758). Oggi alli venti di quest’anno nuovo, ricevo una sua delli 9 di settembre. Ci vuole pazienza con queste benedette poste (20 gennaio 1757). Non dubiti: immediatamente ch ‘è finita l’Opera delle monache (La vera sposa di Gesù Cristo), che verrà in due tomi in-8°, subito ce l’invierò. E le dico che tra le opere mie spirituali, questa è la più bella e la più faticata; perché vi è un compendio (per dir così) di quanto hanno scritto tutti gli altri autori per fare una monaca santa. Io certamente a principio ce l’avrei mandata a stampare; ma torno a dire, l’opere ch ‘io stampo, è necessario che le corregga io; mentre sopra la stampa vi correggo, scasso, muto ed aggiungo molte cose (24 luglio 1760). E quelle Spose insieme coll’altre 100 Apologie già se l’avranno mangiate li pesci; perché non ne posso aver nuova. Faccia domandare della barca a cui furono consegnati (marzo 1766). Torno a dire, come scrissi nell’altra mia, non si maravigli se, dopo tanto tempo che sono stato ad aggiustare questa Istruzione latina, ho lasciato di mettervi le aggiunte che ora mando; perché la Morale è un caos che non finisce mai. Io all’incontro sempre leggo, e sempre trovo cose nuove. Certe cose le passo, ma certe cose più importanti di nuovo le noto (26.1762). Circa la Morale, già le scrissi, come mi pare, che era stato proibita d’introdursi in Napoli; ma poi è stata scarcerata, e sono stato assicurato che non vi sarà più questo pericolo (9 ottobre 1768). Io sono restato ferito dalla proibizione della mia Morale in Portogallo, senza sapere per qual ragione abbiano potuta proibirla (novembre 1769). In quanto al libro delle Prediche, sto sperando fra giorni di vederlo liberato, ma ancora sta impedito; benché io per liberarlo mi sia contentato di rifonderci un poco di stima. Ma che si ha da fare? Bisogna cedere al vento, quando è tempesta. Per fare uscire questo libro, ho rivoltato Napoli, ed ho fatto tante lettere e memoriali che ne potrei empire un volume… Ora sto passando altri imbarazzi per lo libro della Storia dell’Eresie. Non vi è rimedio: chi stampa, bisogna che si armi di pazienza, se non vuol morire crepato (1 agosto 1771). Con indicibile mia consolazione ho ricevuto, per mezzo di D. Giuseppe Antonio d’Elia in Napoli, sei corpi della nuova mia Morale, ultimamente ristampata da V. S. Ill.ma… Del resto, torno a dire che quest’ultima ristampa mi fa morire contento; come all’incontro, sarei morto con pena, se fossi morto senza veder questa ristampa. Ringrazio prima Dio che ha spinto V. S. Ill.ma a far questa ristampa, e poi ne ringrazio specialmente V. S. Illma (21 ottobre 1779). Mi viene scritto, da una persona di fuori del Regno, che la mia Opera morale è stata molto ricevuta da’ Tedeschi, insieme co’ libri spirituali, de’ quali parecchi sono stati trasportati in lingua tedesca. Soli Deo honor et gloria!(2 marzo 1773). 3. Proprietà, ricchezza di termini, duttilità di stile Dai numerosi brani di lettere riportati e da quelli che faremo seguire a conclusione di quest’ultimo capitolo, si può argomentare quanto sia stato il grado di conoscenza e di padronanza che Alfonso aveva del vocabolario e quale capacità aveva di adattare il proprio stile ai vari fattori esterni e ai diversi stati d’animo. Quando parla delle sue opere, lascia trasparire una emozione che commuove non soltanto per l’uso dei numerosi diminutivi e per gli aggettivi possessivi, ma anche per quella brama costante di far crescere le proprie “creature” fino a quello stato di completezza e di maturazione da poter intraprendere da sole, in piena libertà, il cammino nel mondo. C’è un interesse e un impegno, quasi un affanno, più che materno, intorno al frutto delle sue ricerche, della sua intelligenza, della sua passione apostolica. Ecco alcuni termini comuni, da lui usati in una gamma straordinaria di sfumature trasformandoli ora in diminutivi ora in vezzeggiativi o accompagnandoli con aggettivi: dottrina, dottrinella; libro, libri piccioli, libretti piccioli, li libri miei; opera, opera picciola, operetta, queste operette mie; Trattato, trattatello, trattatino, picciolo trattatino. Le continue aggiunte — che facevano disperare compositori e correttori — diventavano: aggiuntoline, postille, notarelle; e quasi sempre con il loro bravo aggettivo: una bellissima aggiunta lunghetta; aggiuntoline utilissime; aggiuntoline utilissime e importanti; belle aggiunte; un ‘altra aggiuntolina di cosa necessaria; una postilla, o sia picciola giunta. Perfino la usatissima e bistrattata “cosa”, quando è “cosa da niente”, nella sua penna diventa cosella. Talvolta scrivendo, ma più frequentemente parlando, ricorre a espressioni e parole dialettali: il mio è migliore assai, ma mo’ ci ho perso il concetto (ma ora di lei ho perso la stima); prego a Dio; bagascio; coppoloni; chicherchie; sparambiare; andare alla montagna (faticare); cedrangole; rinfrescata (autunno); coccovaia; abbuscare; capa; sustoso. Sa essere convincente con la sua tecnica di scrittore, ma anche con l’abile ricorso a sistemi meno eleganti, ma altrettanto persuasivi, come potrebbe essere la prospettiva di guadagni economici. E la motivazione vincente, più volte ripetuta anche in una stessa lettera, per piegare l’editore Remondini a stampare non solo le opere scientifiche, ma pure quelle spirituali: «Di queste opere io non pretendo niente; solamente avrei a caro d’averne una copia, per vedere come è la stampa; del resto, non pretendo altro che la gloria di Gesù Cristo e di Maria. Ma le dico quel che l’ho scritto molte volte: che n’avrebbe uno smaltimento immenso per tutte le sorti di genti… Ora sto facendo il libro di Natale e del Cuore di Gesù, ed anche mi pare che viene una bella cosa; ma io non ce l’invierò, se non mi dice che lo vuole stampare; perché vedo che V. S. non inclina a stam pare questi libri spirituali. I libri di Morale hanno smaltimento solamente appresso li monaci e preti; ma gli spirituali si smaltiscono appresso tutti. Io non so perché V. S. Illma non ci inclina» (14 aprile 1758). E l’illustrissima Signoria “inclinò” a stampare tutte le opere alfonsiane. Al revisore ecclesiastico don G. L. Schiaggio, ai primi di aprile del 1772, invia una lettera tutta intrisa di amarezza per il giudizio poco lusinghiero col quale il revisore regio aveva approvato il Trionfo della chiesa; ma tutta grinta, nella difesa del suo lavoro. Ne trascriviamo qualche passaggio: Quando il canonico Simioli dice che non mi son servito di autori critici, è lo stesso che dire che ho scritto quello che a caso ho trovato e che ho fatto di ogni erba fascio. Il dire che ho cercato più di convertire che di convincere viene a dire che ho parlato da divoto, non già da teologo; e che le ragioni poco provano e che i miei sentimenti son dettati più dal cuore che dalla mente, ciò sarebbe svergognare affatto l’opera: parole che significano che io ho scritto da scimunito. Io non mi fido di far uscire il libro con tal vituperio. Io non l’ho scritto per lode mia, ma per la gloria di Dio. Ma quale sarebbe la gloria di Dio, se il libro esce con un tal discredito fatto dallo stesso revisore? Non ci è rimedio: chi vuole stampare, bisogna che si apparecchi a crepare. Se io avessi stampato per la gloria mia, e non di Dio, mi sentirei disperato. Come scrittore ha ottenuto tutto ciò che ha voluto: faticando senza soste, soffrendo incomprensioni e mortificazioni, lottando accanitamente per superare tutti gli ostacoli, politici e religiosi. Parafrasando una sua espressione possiamo dire che solo Dio sa le fatiche, gli imbarazzi, le spese e le angustie che ha sofferto per lo spazio di un anno e mezzo per ottenere il placet regio per la stampa del Domenicale. È stato costretto a praticar tutti que’ maneggi che possono condurre a fine la domanda del placet. Ha fatto ricorso a tutti i possibili appoggi, non disdegnando di raccomandarsi a qualche intermediario potente. Si legga in proposito la lettera che il 3 maggio 1770 rivolse a un religioso che aveva facilità di accesso al Palazzo: Mi ha scritto già lo stampatore che sia uscito il dispaccio da Palazzo, diretto a Mons. Cappellano Maggiore, che mi avesse assegnato il revisore regio per rivedere la mia opera Storia dell’Eresie, e che il medesimo mi abbia assegnato il Sig. Giordano e che V. R. si sia compromesso farmelo mutare. Onde, con questa mia, supplico V. R. a volersi compiacere a farmi questa grazia; mentre il suddetto Sig. Giordano non sa far altro che contraddirmi con impegno: onde sarebbe un guaio per me. Onde, per quanto le vivo servitore, la prego a farmelo mutare. Poche settimane prima, precisamente il 12 aprile, allo stesso aveva spedito un’altra preghiera: di fargli assegnare un altro revisore perché l’attuale «è troppo sofistico e va trovando i peli dentro l’ovo, con certi supposti fantastici», mentre lui, lo scrittore, nel compilare le opere mette «tutte le attenzioni per non dare alcuna ombra a’ diritti regi». 4. Un editore lontano dal Regno Nella Supplica dell’autore a Gesù ed a Maria, premessa alle Glorie di Maria, Alfonso ha scritto: «Ho pensato prima di morire di lasciare al mondo questo mio libro, il quale seguiti per me a predicarvi e ad animare anche gli altri a pubblicare le vostre glorie e la grande pietà che voi usate co’ vostri devoti». Non solo le Glorie di Maria, ma ciascuno dei singoli suoi libri, anche se non espressamente dichiarato, il santo autore ha avuto intenzione di lasciare all’umanità. Ed è principalmente per questo fine che egli si affidò ai Remondini, stampatori editori a Bassano e a Venezia. In realtà furono una cinquantina gli stampatori che pubblicarono le opere del de Liguori mentre questi era in vita: una buona parte operavano a Napoli, ma ce n’erano un po’ dovunque: a Catania, a Palermo, nello Stato Pontificio, nel Granducato di Toscana, nel bucato di Parma e Piacenza e in quello di Modena, nel Regno di Sardegna e nell’Impero d’Austria. A Venezia, stamparono le sue opere anche G. Manfré (Operette Spirituali, nel 1757), N. Pezzana (La vera sposa di G. Cristo, nel 1771), G. Vitti (Lettera ad un religioso amico, nel 1771). Di quelli di Napoli si serviva solamente per stampare un ristretto numero di copie: per i vicini, i collaboratori, gli amici, i suoi studenti, e che vendeva sottocosto. Erano le copie che utilizzava soprattutto per correggere e migliorare l’opera. Inoltre di alcuni di essi non aveva né stima né fiducia, sia per gli errori che facevano sia per la carta scadente che adoperavano sia perché avevano interessi solamente personali («Questi librari nostri son tutti pezzenti. Si tratta ora che hanno ristampate l’opere mie di cartaccia ordinaria, e le vendono per niente», 16 gennaio 1761; «Né questo è libro che in Napoli lo stamperanno questi nostri miserabili librai», 5 febbraio 1766; «Questi benedetti librai di Napoli, per lo più, sono pezzenti e vogliono smaltire solo i libri loro», 17 novembre 1772). Giovambattista e Giuseppe Remondini, padre e figlio, stamparono quasi tutte le opere alfonsiane dietro esplicita e personale richiesta dell’autore, il quale aveva capito che soltanto con loro poteva andare lontano ed avere, nello stesso tempo, belle copie delle proprie opere. Questi editori, che facevano concorrenza in tutta l’Europa, erano organizzati a ciclo completo: producevano la carta in proprie cartiere, si fabbricavano i caratteri di stampa, si costruivano le “macchine per l’impressione” (nel periodo più fecondo avevano 12 torchi per i libri, 24 per le immagini, e un esercito di operai di 1200 unità). Curavano essi stessi la diffusione del prodotto nelle città europee attraverso una fitta rete di depositi e di rivenditorie. Inoltre avevano, per una propagazione efficace e capillare, una catena di “ambulanti”, costituita dagli abitanti di Tesino, i primi “incaricati alla vendita”, che, praticamente, era il loro unico e massacrante — anche se non sempre adeguatamente remunerato — lavoro. Questa facilità di raggiungere i vari mercati europei giuocò un ruolo determinante per la scelta dei Remondini nel santo che, destinando i propri scritti alla grande diffusione, trovò in Venezia la cattedra per parlare al mondo intero per mezzo dei suoi volumi. E il 20 agosto 1772, a fine raggiunto, spedì al titolare della ditta questo messaggio: «La ringrazio sommamente perché per mezzo suo le povere opere mie sono pubblicate per molte parti». L’incontro di sant’Alfonso con gli stampatori veneziani fruttò un reciproco vantaggio: una vera miniera di denaro per la casa editrice; un ausilio preziosissimo per l’apostolato dello scrittore. Tanto che l’industriale propose al santo: «Se avete da stampare anche una sola pagina, mandatemela» (cfr. A. Tannoia, IV, p. 88). E il maestro, in risposta, s’impegnò: «Io non cambierò la sua stamperia per tutte le stamperie del mondo» (20 agosto 1772). 5. Conclusione La pagina alfonsiana, sia quella a impostazione scientifica sia quella di edificazione, è sempre fortemente pensata, documentata, sofferta, calibrata, completa quanto basta, limpida. Dietro ognuna di esse c’è una preparazione instancabile, un aggiornamento continuo, una voglia insaziabile di superarsi, un gusto tecnico perfetto, una inesauribile trasfusione d’amore, uno zelo sempre vivace per il bene delle anime. Dai suoi scritti abbiamo scelto alcuni brani che rivelano le qualità dello scrittore, le sue capacità. espressive, le possibilità di modulare facilmente il proprio stile per adattarlo sia ai vari sentimenti sia alle varie categorie di persone, alle quali si rivolge. Sono brani che ci rivelano uno scrittore capace di essere ora drammatico, ora sereno, ora arguto, ora forte, ora affabile, ora carico della sorridente bonarietà tutta napoletana. ___________ Note (1) G. Casati, op. cit., p. 13. (2) G. Getto, op. cit., p. 321. (3) Dizionario dell’omo salvatico, Firenze 1923; Prose di cattolici italiani di ogni secolo, Torino 1941. (4) G. Papini – D. Giuliotti, Dizionario dell’omo salvatico, Firenze 1923, p. 128. (5) G. Getto, op. cit., p., 329. (6) G. De Luca, op. cit., pp. 95-96. Su Alfonso scrittore si veda lo studio di R. Bayón, Como escribió Alfonso de Ligorio, Madrid 1940. Apri la pagina dell’Opera Omnia di S. Alfonso. Di ogni opera c’è la scheda, l’invito alla lettura e il testo.