CULTURA
GIORNALE DI BRESCIA DOMENICA 9 MARZO 2014
Costumi da Oscar
raccontano
il grande cinema
Il «Padre nostro»
nel silenzio abitato
di una stanza
pre oggi la mostra «Trame di cinema - Danilo Donati e la sartoria Farani - I costumi nei film di
Citti, Lattuada, Faenza, Fellini,
Pasolini, Zeffirelli...». È allestita a Villa
Manin, a Passariano (Comune di Codroipo - Ud), da oggi fino al 22 giugno.
Presenta oltre cento capolavori del due
volte Premio Oscar Danilo Donati, per
18 film. Donati ha vinto l’Oscar per i costumi di «Romeo e Giulietta» di Zeffirelli
nel 1969 e per il «Casanova» di Federico
Fellini nel 1977. I costumi sono stati realizzati dalla storica Sartoria Farani di Roma, oggi diretta da Luigi Piccolo, che firma la curatela della mostra.
La carriera di Donati (1926-2001) è ripercorsa in diciotto stanze, che accolgono
gli oltre cento costumi restaurati, dalla
collezione Farani.
Il percorso espositivo è arricchito
daunampiomateriale iconografico
con gli ingrandimenti fotografici
degli scatti realizzati sui set e la proiezione di celebri
sequenze.
Gli abiti di Donati «Amarcord» di Fellini
ci riporteranno al
Totò di «Uccellacci e uccellini», al Richard Burton de «La bisbetica domata»
di Zeffirelli (nomination all’Oscar per i
costumi 1968), alle marsine di Donald
Sutherland nel «Casanova» di Fellini
(Oscar a Donati 1977) a Silvana Mangano-Giocasta nell’«Edipo Re» di Pasolini.
Di Lattuada ci sono tra l’altro gli abiti indossati da Philippe Leroy in «La mandragola» (1965), nomination all’Oscar 1967.
Di Faenza si vedranno gli abiti per «Marianna Ucrìa», premio David di Donatello 1997. Quanto a Pasolini, vi sono i costumi per «Il Vangelo secondo Matteo»
(1964), ispirati alla pittura di Piero Della
Francesca. La mostra è aperta da martedì a venerdì: 10-13; 15-19. Sabato, domenica e festivi: 10-20. Lunedì chiuso. Ingresso: 8 € intero; 5 € ridotto. Infoline:
0432.821211; www.villamanin.it.
A
Martedì prossimo in città si presenta
il nuovo libro di Giulio Cittadini
voce dall’autore, il quale, avendo
amore del Padre
tagliato il 15 febbraio scorso il tranostro è gratuiguardo dei 90 anni, vive con conto, preveniente,
quistata serenità la condizione di
non è eros ma
non vedente. Non vedente per
agape (...), è creativo e perdonanquanto riguarda gli occhi, perché
te», scriveva padre Giulio Cittadini
per tutto il resto il nostro Padre Giunel 1984 in «Credo risorgerò».
lio ci vede benissimo. Lo sa bene
«Dio è Padre e cioè genera, crea, fa
chi ha modo di conversare con lui,
esistere», ribadiva nel 2000 in «La
che ricorda volentieri aneddoti di
tenda e i paletti». Ora il prete brequando insegnava religione ai rasciano dell’Oratorio della Pace racgazzi dell’«Arnaldo»:
coglie una preziosa ri«Scolaro mio, tu mi diflessione sul tema della
struggerai». «Padre, lei
paternità e sul valore
L’AUTORE
è indistruttibile!».
della preghiera per l’uoParte proprio da quel
mo del nostro tempo e
«Padre» coniugato così
di ogni tempo, nella «Infamiliarmente e vissuto
troduzione al Padre Nocosì intensamente da
stro», un piccolo libro
Cittadini, la possibilità
che la bresciana Morceldi offrire una lettura alliana (editrice anche
ta ma adatta a tutti, e
dei precedenti titoli del
per
tutti
pensata,
padre filippino) pubblidell’operina che comca in questi giorni, e che
«Ripeto
menta il «Padre nostro»
sarà presentato martequesta semplice,
partendo dal passo di
dì 11 marzo alle 20,45
misteriosa
Matteo nella traduzionella Sala Bevilacqua di
via Pace 10, in città. In- preghiera da quasi ne interconfessionale.
Così assolutamente neterverranno Luca Ghinove decenni...»
cessaria al nostro frenesleri, docente di Filosotico e iperconnesso vifia
della
religione
vere attuale ci pare
nell’Università del Piel’esortazione ad entrare ognuno
monte Orientale, e Mauro Orsatti,
nella propria stanza, «nella dimora
ordinario di Esegesi del Nuovo Teinteriore che è il Cristo». Soltanto
stamento nella Facoltà di Teologia
in una dimensione di positivo isoladi Lugano. L’incontro è promosso
mento e di silenzio possiamo infatdai Padri filippini della Pace e dalla
ti pensare che si liberi da noi qualCooperativa Cattolico-democraticosa, che il libro di Padre Giulio ci
ca di Culura.
invita a chiamare «preghiera», che
Libretto agile (70 pagine, 8 euro),
sia «grido verso colui che è luce,
questo di Cittadini, come il precepresenza e perdono», oppure «candente «Credere: perché no?» uscito
to che nasce dallo stupore con cui
nel maggio 2013, è stato dettato a
55
«L’
Sandro Botticelli, «Orazione nell’orto» (immagine sulla copertina del libro)
guardiamo verso il cosmo che ci avvolge, verso il pianeta che ci ospita,
verso noi stessi, verso il nostro piccolo io, fatto di luci e di ombre, nella cui interiorità cogliamo le tracce
di Colui che ci supera e che continua a chiamarci a Sé».
Lettura rasserenante e insieme stimolante, questo dono letterario,
come sempre ricco di citazioni,
che spinge a diventare «pienamente liberi» (Blondel), purificandoci
in un tempo inquinato da quelle
che Papa Francesco ci insegna a
chiamare «chiacchiere» e a bandire dalle nostre giornate. Ma è l’altro Papa, Benedetto XVI, che Cittadini indica come qualcuno che nel
cammino disegnato dal «Padre nostro» è avanti a tutti: «Ha colpito
molti - scrive Cittadini - nello stupendo discorso di commiato di Benedetto XVI, l’assoluta mancanza
di cenni di perdono. Evidentemente, il papa dimissionario non pensava (...) di aver ricevuto delle offese
da perdonare». Conclude il prete
bresciano: «Un esempio, questo,
su cui riflettere e sul quale lavorare». «Personalmente - annota ancora padre Giulio - ripeto questa semplice, misteriosa preghiera da quasi nove decenni». Secondo
sant’Agostino, tale preghiera «ricorda a tutti i credenti di essere uniti fra loro come fratelli, in quella comunione di fede e di amore, che
rende credibile al mondo la testimonianza cristiana».
Paola Carmignani
«Mondi industriali», la fotografia «scopre» la fabbrica
Al Mast di Bologna, la mostra di grandi autori, fra storia e contemporaneità dell’industria
Scatti
■ A lato,
lavoratori in una
fabbrica
fotografati da
Robert
Doisneau; sotto,
un’immagine di
Toni Schneiders;
nella foto a
colori di Harry
Gruyaert,
insediamento
industriale in
Italia
on solo rumore, fumi, metallo, fatica; bensì, anche bellezza, almeno un certo tipo di
bellezza. Tutta - nonfacilmente - prima da intuire, poi da scoprire e,
infine, da svelare come solo certa grande
fotografia sa. Ed è perciò quasi una... rivelazione, certo un disvelamento, la mostra di fotografia industriale «Mondi industriali 014» inaugurata a fine gennaio
in occasione di ArteFiera e in corso fino
al 30 marzo al Mast - Manifattura di Arti,
Sperimentazione e Tecnologia, centro e
spazio espositivo a Bologna (via Speranza 40-42 dal martedì al sabato ore 10-19)
curato
dall’omonima
fondazione.
Un’esposizione che raccoglie 243 opere
di 46 autori di notorietà internazionale,
che spaziano fra capisaldi della storia della fotografia e tendenze contemporanee.
Nomi come Berenice Abbott, Margaret
Bourke-White, Robert Doisneau, Lee
Friedlander, Bill Brandt, Walker Evans,
Robert Frank, André Kertesz, W. Eugene
Smith, Lewis Hine, che rimandano al
Gotha dei fotografi. O come Lewis Baltz,
Bernd&Hilla Becher, Joachim Brohm,
Guido Guidi, Naoya Hatakeyama, che nel più specifico fotografare il mondo del
lavoro e della fabbrica, o dei paesaggi industriali - hanno rinnovato quei fasti di
estetica e contenuto.
Tutti, nella selezione curata da Urs
Stahel, a lungo già direttore del Fotomuseum di Winterthur, accomunati da
un’impresa che le stesse note di accompagnamento definiscono importanti
N
non soltanto per firma e forme, ma anche perchè risolvono quello che viene definito «un certo disagio che la società ha
avuto nel rapporto con l’industria». Quello stereotipo di rumore, fumi, metallo, fatica, appunto...
Perchè è indubbio che a lungo il fotografare i «mondi industriali» come li chiama
l’esposizione, è stata «quantité negligéable», una trascurabile attività, a meno di
non essere - lodevolmente, sia chiaro un fotografare schierato «contro» l’idea
dell’accezione peggiore di fabbrica, impegnato nella denuncia socio-politica
delle sempre possibili (e spesso tragicamente reali) devianze del produrre industriale. Non senza ragioni, se si pensa a
«mostri» inquinatori come a Bhopal, o come la storia d’Italia insegna a proposito
del Petrolchimico di Marghera, o oggi
l’aperta vicenda dell’Ilva di Taranto.
Aver ri-scoperto una fotografia «dellafabbrica» che più serenamente, ma senza infingimenti od omertà, ha raccontato
l’evoluzione di questa parte del mondo
del lavoro, è dunque il merito _ anche fotostoriografico - di «Mondi industriali
014» e della Collezione di fotografia su industria e lavoro della Fondazione Mast.
Perchè, nella mostra, in fondo, è anzitutto di fotografia che si parla. E la qualità
dei lavori esposti è da grande mostra internazionale, declinata in sezioni tematiche: «Lavoro e lavoratori»; «Aree e impianti industriali»; «La luce e il buio»; «Visibile, invisibile»; «Flussi di energia, di
merce, di dati». In modo da abbracciare -
fra immagini storiche e contemporanee
- davvero «i mondi» diversie complementari in cui la storia dell’industria si dipana. Poco importa che a farlo sia ora il dedalo di maxi-tubi di René-Jacques nel
1950, ora l’immacolata freddezza azzurrina degli armadi digitali in «Data Flow»
del 2004 di Henrik Spohler. O, ancora, il
volto nerofumo del minatore ritratto da
Erich Lessing in Belgio nel 1951, o le luci e
scale per una scena alla... «Matrix» come
in «Maquettes/Light» del 1995 di Naoya
Hatakeyama o, indietro nel tempo, l’incombente grafismo che Berenice Abbott
ricavò dalla sagoma della centrale elettrica della Consolidated Edison nel 1938.
Cambiano scene e fotografi, biancoenero e colore, epoche e soggetti, ma al centro c’è la riuscita ricostruzione di una storia che, fotograficamente, non è mai stata assemblata con maggiore efficacia. Figurativa e di contenuti.
Francesco Fredi
Scarica

Il «Padre nostro» nel silenzio abitato di una stanza