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L’ECO DI BERGAMO
GIOVEDÌ 23 MAGGIO 2013
Focus
Cime e società
Dove e quando
Si può visitare sino al 7 luglio
allo Spazio Oberdan di Milano
La mostra «La Lombardia e le Alpi
nel 150° anno di fondazione del Club
alpino italiano» è aperta presso lo
Spazio Oberdan della Provincia di
Milano, in viale Vittorio Veneto 2, sino al prossimo 7 luglio. Con ingres-
so libero, l’esposizione è visitabile il
martedì e il giovedì dalle 10 alle 22,
mentre mercoledì, venerdì, sabato
e domenica l’apertura è dalle 10 alle
19,30; lunedì chiuso. Il catalogo è
pubblicato da Bellavite. La mostra è
promossa dall’assessorato alla Cultura della Provincia di Milano con il
patrocinio della presidenza generale del Cai. Grazie alla collaborazione
delle numerose sezioni lombarde
del Club alpino italiano, sono esposti
documenti rari, cimeli di spedizioni
extraeuropee, libri e pubblicazioni
storiche, cartografie, dipinti e panorami d’epoca, modellini di rifugi
lombardi, fotografie storiche e moderne, attrezzi alpinistici d’ogni tipo.
a
La Bergamo bene
scoprì la montagna
E nacque il Cai
primo in Lombardia
Orobie e orobici alla mostra per il 150° del Club
La nostra sezione, seconda quanto a iscritti,
è la più vecchia: fu fondata nell’aprile del 1873
PINO CAPELLINI
a Ha un posto di tutto rispetto la sezione di Bergamo alla bella mostra per il 150° del
Club alpino italiano organizzata
dalla sezione di Milano. Non che
le sia stato riservato uno spazio
particolare, ma le montagne delle Orobie sono ben conosciute ai
milanesi, molti dei quali vi hanno mosso i primi passi da alpinisti. Uno spazio di casa, familiare
anche per il gran numero di famiglie che a partire fin dagli inizi del secolo scorso hanno incominciato a frequentare le valli
bergamasche.
Del resto la sezione di Bergamo, seconda per numero di
iscritti, è prima in Lombardia per
anzianità. Intitolata ad Antonio
Locatelli, è stata fondata nell’aprile del 1873, quella di Milano
qualche mese più tardi, nel novembre dello stesso anno. I fondatori? Sia per quanto riguarda
Bergamo che il sodalizio milanese un gruppo di appassionati, naturalmente benestanti.
Già allora molti bergamaschi
andavano in montagna, ma per
necessità: cacciatori, cercatori di
minerali, contrabbandieri anche.
Tutte attività grazie alla quali conoscevano ogni piega delle Orobie, i passi, le creste, nessuno che
si spingesse fin sulle cime. Pericoli a parte, lassù non c’era niente che potesse destare interesse.
E se cercatori di minerali o
cacciatori nell’inseguire i camosci si sono spinti molto in alto fino a toccare qualche cima, non
ne è rimasta traccia. Ben diversamente si comportavano gli alpinisti dei primi tempi, che si
sentivano investiti del ruolo di
esploratori anche a scopi scientifici. Partivano dalla città portando con sé vari strumenti, dal
barometro aneroide al termometro: apparecchiature ingombranti e delicate, bastava un brusco movimento per romperle.
Come spesso accadeva.
Una volta in vetta, venivano
eseguite misurazioni su altezza,
pressione, temperatura, registrate tra le note con cui veniva descritta la salita, cui seguivano le
relazioni puntualmente pubblicate sui primi bollettini sezionali. E fanno storia. Significativa la
prima salita in vetta alla Presolana ed esemplare è il racconto laefJfznfTvwFpCB2Is3yOgE44CgVXiEPG/apgkQNyOL0=
sciato dall’ingeger Antonio Curò,
che raggiunse la vetta in compagnia del cugino Federico Frizzoni. Le Orobie non erano del tutto sconosciute. Già gli inglesi, che
stavano esaurendo a poco a poco
l’esplorazione del settore occidentale delle Alpi, stavano facendo puntate sulle nostre montagne. Ma sulla «regina» delle Orobie non c’era mai stato nessuno.
Curò e Frizzoni erano esponenti della Bergamo bene: avevano tempo e disponibilità per le
loro imprese. Il primo, in particolare, seguiva con attenzione
quanto avveniva in Italia e in Europa. L’ascensione della Presolana nell’ottobre del 1870 non fu
che un primo passo per fondare,
tre anni dopo, il Cai bergamasco.
Quel giorno il suo obiettivo era la
vetta, ma era spinto anche dall’ambizione di essere il primo ad
arrivare fin lassù.
Antonio Curò
Una volta raggiunta la sommità, volle accertarsi di non essere stato preceduto: sulla «desiata meta» non c’era traccia
umana. Un cima più bassa in direzione nord-ovest, separata da
un profondo crepaccio, mostrava invece un ometto di pietra, il
che gli fece ritenere che ci fosse
stato qualcuno. Probabilmente
cacciatori che erano stati richiamati dai camosci, più numerosi
su quel versante del monte.
La salita andò a buon fine grazie al fondamentale contributo
di un tagliapietre di Castione,
Carlo Medici, capostipite delle
guide alpine sulle Orobie, che
Curò raccomanda «con tutta coscienza a chi s’invogliasse di tentare quella escursione». Medici
si assume in compito di condurre i due cugini fin sulla vetta della montagna senza nessuna
esperienza come guida. Ma
se la cava in modo lodevole anche nei passaggi più difficili rivelando una conoscenza dei luoghi
forse per averli
frequentati come
cacciatore.
Il tagliapietre
era stato indicato a
Curò da un amico,
il dottor Giovanni
Comotti, «distinto
cultore di scienze
naturali», che forse
aveva avuto occasione di conoscerlo
«quale guida esperta» in qualche
escursione in valle.
Medici esce dall’anonimato grazie alla salita sulla Presolana; diverrà guida
alpina ufficiale solo
più tardi, quando il
Cai di Bergamo,
dopo la costituzione, avrà cura
di istituire il libretto
di guida che l’interessato porterà con
sé per esibirlo ai
clienti, i quali vi aggiungeranno note
sul suo operato.
Ma il montanaro
più noto in quest’epoca di pionieri fu
Antonio Baroni di
Sussia, in valle
Brembana. Contadino, cacciatore, cercatore di minerali fu
una grande guida.
Aprì molte nuove vie,
tra cui una sul pizzo
Badile, che porta il
suo nome. Sapeva
venire a capo di situazioni molto difficili. Nella prima salita alla Punta di
Scais, bloccato da un
macigno, supera l’ostacolo togliendosi le
scarpe. Non prima di
aver raccomandato ai
suoi clienti di fare attenzione perché non finissero nel sottostante
ghiacciaio. Era le uniche che aveva. ■
©RIPRODUZIONE RISERVATA
L’impressionante parete del Badile, «copertina» della mostra; a sinistra, si arrampica sulle guglie della Grignetta
a
Curnis & Merelli
I volti dei grandi
secondo Mazzoleni
a Troppi. Tanti,
al punto che poter dare
spazio agli alpinisti lombardi che nei tempi più
recenti hanno inanellato una serie di imprese
sulle montagne di casa,
sulle Alpi e un po’ in tutti continenti, sarebbe
stato necessario destina-
re a loro una intera sala della mostra in corso allo Spazio Oberdan, a Milano. È stata perciò effettuata una selezione limitata a
una bella serie di ritratti eseguiti dal fotografo bergamasco Marco Mazzoleni. E poi per tutti parla, oltre alla mostra stessa, anche
il catalogo con il suo importante
contributo alla conoscenza della
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L’ECO DI BERGAMO
GIOVEDÌ 23 MAGGIO 2013
A Tito Terzi, il noto fotografo delle Orobie scomparso
pochi anni fa, è stato riservato uno spazio di tutto rispetto
alla mostra sui 150 anni del Club alpino italiano a Milano.
Vi spicca un suo grande ritratto con la biografia.
Inoltre, le immagini di Terzi sono state utilizzate
per illustrate il volume «La Lombardia e le Alpi»
Padre putativo delle guide lombarde: così viene definito
Antonio Baroni nel bel libro-catalogo edito in coincidenza
con la mostra. Questo solido montanaro della Val
Brembana ancora oggi è citato ad esempio non solo per le
qualità alpinistiche, ma anche per la serietà e l’impegno
nei confronti dei clienti che si affidavano a lui nelle scalate
Una spettacolare immagine
delle Orobie: la foto è stata
scattata dall’elicottero
a
Dalla tendina del K2
all’arpione Roseg
Sono alcune delle tante curiosità in esposizione
La presidente lombarda: «Cos’è il Cai? Iscrivetevi»
GRAZIA LISSI
Simone Moro
Mario Curnis
storia dell’alpinismo lombardo.
Mazzoleni aveva già eseguito
un buon numero di ritratti di alpinisti lombardi per il libro «Il
grandi della montagna lombarda» edito nel 2008 dalla Società
editrice Sesaab. Era destinato
agli abbonati dei sette quotidiani del gruppo ed ebbe un notevole successo. È richiesto ancora
oggi, anche se da tempo è introvabile.
Mazzoleni lavorò per molti
mesi con la macchina fotografica. Gli alpinisti da fotografare
erano quattordici (fu necessaria
una dura selezione tra i «grandi»
che meritavano di essere raccontati), per alcuni fu necessario
aspettare che rientrassero da
una spedizione o prendere accordi all’ultimo momento prima
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Mario Merelli
Alessandro Gogna
della partenza. Moro, Mondinel- lista che lo accompagnava fu l’inli, Merelli, Gogna, Greco, Panze- contro con il grande Riccardo
ri, Ferrari: erano quasi sempre in Cassin nel soggiorno nella sua
viaggio o impegnati in scalate.
villetta alla periferia di Lecco,
Tra l’altro, non si
sulla strada per Magtrattava solo di ritratgianico. Sulla soglia
ti. Compito del fotodel secolo, era il testigrafo era anche quelmone di un’epoca irrilo di raccontare la vita
petibile. E lui ne era
quotidiana di questi
ben consapevole. Con
super-alpinisti: negli
la lucidità dei ricordi,
allenamenti, al lavoro,
tutto quello che aveva
con la famiglia. La stovisto e vissuto. Impuria di ogni alpinista
gnò con fierezza la picera raccontata non
cozza (una Cassin)
Marco Mazzoleni che teneva vicino a sé.
solo nei testi, ma anche in belle sequenze
Non fu necessario
di immagini, con le quali Mazzo- chiedergli di mettersi in posa.
leni raggiunse notevoli livelli di Con i suoi limpidi occhi azzurri
eccellenza.
guardò verso il fotografo. Uno
Uno dei momenti più emozio- scatto, ed era fatta. ■
nanti per il fotografo e il giorna- P.C.
a La montagna è la loro
passione, la meta, il sogno. La
mostra «La Lombardia e le Alpi» allo Spazio Oberdan di Milano fino al 7 luglio, rende
omaggio, nel 150° anniversario
della fondazione, al Cai (Club
alpino italiano) e ai suoi tanti
volontari (www.caimilano.eu,
catalogo Bellavite). Un evento
importante che precede le celebrazioni ufficiali che inizieranno il 25 maggio a Torino, città
dove l’associazione è nata da
un’idea di Quintino Sella, il 23
ottobre del 1863, primo club alpino costituito dopo l’Unità di
Italia (www.loscarpone.cai.it):
e il sodalizio, oggi, conta di ben
316 mila iscritti. La mostra milanese vuole evidenziare il legame antico, ormai indissolubile,
fra Cai e Lombardia: sette le sezioni storiche fondate nell’Ottocento fra cui Bergamo (1873),
Como (1875), Cremona (1888),
Milano (1873), Lecco (1874),
Monza (1899), Sondrio (1872).
Oggi sono 146.
«Abbiamo ripercorso la nostra storia per ricordarci che
abbiamo un passato e per preparare un futuro – spiega Renata Viviani, presidente del Cai
Regione Lombardia –. Abbiamo
esposto non solo le nostre Alpi
ma le montagne del mondo, le
tante spedizioni a cui hanno
partecipato gli alpinisti della
nostra regione». Ecco dunque
la tenda della spedizione sul
K2, i libri, le pubblicazioni storiche, le cartografie, i dipinti, i
panorama d’epoca, attrezzi alpinistici d’ogni periodo, gli scarponi indossati dai primi escursionisti, i modellini dei rifugi.
Renata Viviani
Tante le foto, scattate dagli alpinisti stessi, dagli scalatori, ricordi di imprese compiute. Sono spesso immagini amatoriali, eppure hanno lo sguardo di
chi con la montagna ci vive, accetta con consapevolezza la sfida e la documenta, ogni tappa
fino alla cima.
Mentre l’obbiettivo di Marco
Mazzoleni ha immortalato alpinisti lombardi entrati nella
leggenda: fra questi Achille
Compagnoni, Alessandro Gogna, Riccardo Cassin, Adriano
Greco, la bergamasca Nives
Meroi. Una sezione è dedicata
ai tanti personaggi che hanno
fatto la storia dell’alpinismo, come il medico milanese Vittorio
Ronchetti, primario dell’Ospedale Maggiore, che un secolo fa,
tra il 1907 e il 1913, effettuò cinque spedizioni in Caucaso; è
esposta una cartina disegnata
dall’alpinista di straordinaria
bellezza e precisione.
I lombardi amano la montagna e per alcuni di loro è stata
fonte di scrittura, ecco le opere
originali di Dino Buzzati, Cle-
mente Rebora, Antonia Pozzi,
Ettore Zapparoli, Giovanni
Bertacchi. Fra scritti, diari e documenti campeggia il Duomo di
Milano in forma dolomitica dipinto da Buzzati. La mostra rivela anche il felice incontro fra
la creatività produttiva lombarda e la frequentazione delle
montagne. Fra le tante curiosità il Rampichino, prototipo di
mountain bike lanciato a Milano con una grande campagna
pubblicitaria negli Anni Ottanta, le scarpette da arrampicata
«aerlite» con cui i sassisti della
Val di Mello hanno sostituito i
vecchi scarponi, il singolare
«arpione Roseg» commercializzato dalla sezione valtellinese
del Cai e che ha rinnovato la
tecnica dell’arrampicata sul
ghiaccio.
È un’esposizione dedicata a
chi ama la montagna e a chi ancora non la conosce, agli alpinisti passati e futuri. Un consiglio
per chi vuole iniziare? «Di iscriversi al Cai – continua la presidente Viviani – e scegliere un
corso di avvicinamento base. È
importante partire con il piede
giusto, sapere dove andare e come. Bisogna darsi delle regole
di base, il resto viene da sé». Fra
le tante vette in mostra a quale
è più legata? «Alla Cima Piazzi:
sono nata in Valtellina ed è stata una delle mie prime mete.
Oggi vivo a Bergamo e ho un
grande amore per le Orobie.
Non sono molto alte ma ripide,
hanno una loro severità, bisogna avere fiato e gambe per andarci. Sarà per questo che i bergamaschi camminano così veloci?». ■
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La storia del CLUB ALPINO ITALIANO