“ARRIVANO
I NOSTRI ”
I libri della
nostra
vita
-1-
Distribuzione gratuita
Bollettino periodico dei
giovani da 8 a 98 anni
S . P i o X - Balduina
www.sanpiodecimo.it
Numero 27
Dicembre 2009
In questo numero:
VANGELI, BIBBIA, EMILIO
SALGARI,NATALIA GINZBURG,
ERNEST HEMINGWAY, CARLO
MARIA MARTINI, IGNAZIO
SILONE, ISABEL ALLENDE,
MARGARET MAZZANTINI,
JULES VERNE, DANIELE
MOSCHETTI, ISHMAEL BEAH,
IL CANTICO DEI CANTICI,
L’EVANGELO COME MI E’
STATO RIVELATO, TOLSTOJ,
DOSTOEVSKIJ, CARLO CASSOLA, SOMERSET MAUGHAM,
YASUNARI KAWABATA, KHALED HOSSEINI, KIPLING,
ASIMOV, JOHN FOWLES,
BRUCE CHATWIN, GEORGE
ORWELL,MARK TWAIN,ROBERTO SAVIANO, FRANCO SCAGLIA,IPPOLITO NIEVO, INDRO
MONTANELLI,ORHAN PAMUK,
HENRI CHARRIERE, ROGER
CROWLEY, JACK KEROUAC,
ALESSANDRO MANZONI,
ETC...ETC...ETC...
E poi ancora:
OCCIDENTE SENZA CRISTO
(La Corte Europea e il crocifisso)
LE BEATITUDINI OGGI
(Beati i puri di cuore)
L’ANNO SACERDOTALE
(Considerazioni di un parrocchiano)
ASS.CRISTIANI ANTI-TORTURA
(Intervista al Presidente)
SANTA MARIA DEGLI ANGELI
(Scuola cattolica alla Balduina)
IL LIBRO DI DON PAOLO
(Da che palpito viene la predica)
OCCIDENTE
SENZA
CRISTO
Gabriele Vecchione
Com’è sommessamente
noto, la Corte Europea dei
diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la presenza
del Crocifisso nelle aule
scolastiche, riscontrandone – all’unanimità – la violazione dell’art. 2 del protocollo 1 sul diritto all’istruzione e dell’art. 9 e sulla libertà di pensiero e di religione della
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali. Madame Solie Lautsi, finlandese residente ad Abano Terme, ha adito la Corte Costituzione, il TAR, il
Consiglio di Stato.
Esauriti i ricorsi leciti in Italia e non credendo nel Padreterno s’è
appellata alla suddetta Corte Europea.
Sulla crisi dell’Europa, sui suoi problemi a definirsi oltre l’ambito commerciale, si sa molto. Tali problemi non ruotano attorno
a reali o fantomatiche radici che – è lapalissiano – possono pure
seccarsi e perdere la linfa vitale, ma riguardano il perché ed il
come unirsi.
La tenacia e l’ardire pluriannuale della finlandese fanno sospettare che dietro a lei agisca la longa manus di qualche organizzazione ostile alla Chiesa. Non possiamo dimenticare che molti
eventi moderni e contemporanei fondanti la vessata identità
europea siano stati ispirati da muratori e liberi pensatori di ogni
risma: dalla Rivoluzione Francese all’Unità d’Italia.
La psicosi da accerchiamento ha sempre prodotto monstra horribilia, ma Gesù Cristo, la Chiesa che ne porta la memoria e la
vita nel mondo, sono sempre più invitati alla porta dell’attività
umana – specie se occidentale - che ne reclama totale autonomia: e questo a prescindere dalla squallida condanna della
Corte Europea.
Si studia la storia, senza mai nominare Colui che l’ha divisa in
due; si studia il diritto, senza menzionare quell’Uomo dalla cui
predicazione è sorta l’attenzione per ogni singolo uomo, la
dignità di tutti gli esseri umani, come attesta la Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’uomo; si studia la politica, dimenticando che fu Uno nella storia a desacralizzare i potenti di turno; si
studia la medicina, senza considerare che fu Lui a toccare i lebbrosi, averne compassione, curarli. I malati sono diventati un
ingombro, una cosa inguardabile. Vanno censurati, reietti, ostacolano il piano di rimozione del dolore che il genere umano ha
progettato per non soffrire. Guardiamo tutto, pur di non guardare l’Inguardabile per eccellenza, Re di tutti i malati che vogliamo
dolcemente togliere di torno. Quell’uomo che distende tanto
eroicamente quanto umilmente le sue braccia sul legno maledetto ci ricorda che siamo nel mezzo di un deserto, che siamo
un “essere-per-la-morte”, che siamo destinati comunque a
gemere nella nostra precarietà assoluta.
La viltà dei contemporanei vorrebbe – tuttalpiù – un Cristo politicamente corretto. Vorrebbe non un insegnamento, ma un’opinione da gettare nell’agorà; non la chiarezza e la fermezza del
suo linguaggio – con invettiva, apostrofe e durezza - ma certe
raffinatezze disgustose o accomodanti mezze verità; non una
sofferenza pubblica che cammina cadendo per le vie di
Gerusalemme, ma una morte nascosta ed edulcorata; non la
resurrezione – anche col corpo - ma una banale memoria
umana.
Il relativismo dei Pilato odierni non sopporta che Cristo, l’inopportuno Gesù di Nazareth, possa parlare “sui tetti”, essere luce
sul lucerniere; gradirebbe che tutto questo si riducesse alla
dimensione che sembra essere la panacea di tutti i mali: ovviamente, si parla della dimensione privata, ennesima contraddi-
zione della patologia egotica che è invece supportata e consigliata. Mentre il corpo viene messo alla mercé di telespettatori
vogliosi ed il potere ed il danaro sono onori da vantare in pubblica piazza e tutto viene privato della pudicizia, certe cose che
fanno imbarazzare i consessi della gente perbene devono rientrare nella dimensione privata della vita. Il crocifisso è imbarazzante, è inguardabile, rasenta il disgusto. E’ la morte di Dio.
Sì, è vero, hanno ragione taluni a dire che non ha ragion d’essere sui muri il simbolo di un uomo ucciso, appeso, sputato, seviziato e dileggiato. E’ il segno di un’umanità che non scende a
compromessi, che si assume la responsabilità di aver fatto
bene, che non trama all’oscuro, che non mostra arroganza, ma
mitezza, misericordia, decisione, fermezza: tutto il contrario di
un mondo che ha abituato al culto sacrificale dell’apparenza,
all’uso della menzogna come regola, alla mediocrità neanche
tanto aurea. E’ un uomo che tace, ma non acconsente al disegno dei perversi che sconfigge facendosi loro vittima perché sa
che il sacrificio è l’essenza della vita e dell’amore.
E’ un uomo che non ha paura, non rifugge in semplici codardie.
Di fronte all’assurdo è inerte; di fronte al male è potente; di fronte all’uomo sincero è tenerezza. Con due anni di vita pubblica,
ha sbaragliato i potenti e tutta quanta la saggezza che la mente
umana possa custodire. Il crocifisso – lo si capisce – è signum
contradictionis. Fu il crocifisso a dire con l’autorità che mostrava senza rispetto umano: “Chi non è con me è contro di me”
(Mt, 12, 30). Fu il crocifisso ad essere (non a condividere) dolore ed abbandono e fu dal crocifisso che un esercito di persone,
transvolando i secoli, le regioni, le culture, ha tratto ispirazione
per curare e alleviare gli abietti. Soprattutto per donarsi.
Il crocifisso è donazione e non conservazione di sé, insegna
che chi tiene per sé l’amore ed il proprio intuito in compartimenti stagni imputridisce: chi si dona, stando alla follia paradossale del legno maledetto, vince il mondo.
Lo capì una donna di sinistra e di origine ebraica, Natalia
Ginzburg, l’autrice de Il lessico famigliare, che su l’Unità del 22
marzo 1988 scrisse:
“Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E’
l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il
mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino allora assente.
La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse
negare che ha cambiato il mondo? Sono quasi duemila anni che
diciamo “prima di Cristo” e “dopo Cristo”. O vogliamo forse
smettere di dire così? Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. E’ muto e silenzioso. C’è stato sempre. Dicono che
da un crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi
offesi gli scolari ebrei. Perché mai dovrebbero sentirsene offesi
gli ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato, e non
è forse morto nel martirio, come è accaduto a milioni di ebrei nei
lager? Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di
spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte.
Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del
nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del
mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato
venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di
Dio e del prossimo... Prima di Cristo nessuno aveva mai detto
che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi... A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi
della scuola… Alcune parole di Cristo, le pensiamo sempre, e
possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano
sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto “ama il prossimo come te stesso”. Erano parole già scritte nell’Antico
Testamento, ma sono divenute il fondamento della rivoluzione
cristiana. Sono la chiave di tutto... Il crocifisso queste parole
non le evoca, perché siamo abituati a veder quel piccolo segno
appeso, e tante volte ci sembra non altro che una parte del
muro. Ma se ci viene di pensare che a dirle è stato Cristo, ci
dispiace troppo che debba sparire dal muro quel piccolo
segno… Il crocifisso fa parte della storia del mondo…”
L’occidente appare sazio e soddisfatto, ma cova in sé l’angoscia del nulla e della distruzione.
Forse, come già avevano intuito per l’Europa Benedetto Croce
e Federico Chabod, ha ancora bisogno di Cristo e della sua
Chiesa.
-2-
I LIBRI
NELLA MIA
VITA
don Paolo Tammi
Nella mia vita – tra le tante
– ho avuto anche questa
grazia: la possibilità di
avvicinarmi alla cultura, in
senso puramente oggettivo di conoscenza del pensiero, della storia del pensiero, dei contenuti affascinanti
di tanto pensiero.
Ho avuto la grazia di un papà che mi portavale domeniche
pomeriggio a visitare le chiese di Roma e declamava –
anche quando era schiacciato dal morbo di Parkinsons –
intere terzine della Divina Commedia. A casa mia giravano libri. Giravano anche donne, tutte dei miei fratelli, poiché io – da buon ultimo – ero più sobrio. Ma giravano
tanti, tanti libri. E giornali, e discussioni, e confronti politici talora aspri. A casa mia c’era una sola tv, e davanti a
quella si stava tutti, e la tv – si sa – fa cultura, stavolta in
senso soggettivo, ovvero comunica tradizioni, conoscenze che riguardano popoli, famiglie, spazi lontani.
I miei primi libri furono quelli di Emilio Salgari. Papà mi
insegnò subito che si diceva “Sàlgari” e non “Salgàri”.
I mie professori delle medie dicevano – sante parole – che
non tanto il contenuto era importante ma leggere e leggere. Chi legge impara a scrivere e a parlare. Pensate a cosa
avrà letto il tribuno Di Pietro nella sua verde età...ricordo
che da ragazzino tenevo il diario, una serie di scritti più
piacevoli del tema di italiano, che però mi aiutavano nella
sintesi, nella rilettura e nell’intimità, cioè nel piacere di
rivedere da solo, ogni tanto, la mia vita. Più tardi conobbi
Colui che mi era intimo, già da allora.
Cominciai a leggere la Bibbia verso i diciotto anni, una
sera – lo ricordo bene – che a casa c’era molta tensione.
Mi sembrava naturale. Senza sapere nemmeno cosa
fosse, mi rivolsi a un testo che diceva senza dubbio qualcosa di più alto, di più largo, di più lungo, di più profondo. Capii solo in seguito perché la Bibbia era il libro dei
libri. Anche quella sera Qualcuno prese la mia mano e la
indirizzò proprio lì. Più avanti compresi che la Bibbia era
il libro più laico. Contiene infatti molte culture, molti generi letterari, la storia di molti popoli ed è il libro meno bacchettone della vicenda umana, perché parla di un Dio che
guida le persone lasciandole libere di decidere. I pensieri
di Mao-Tse-Tung sono molto più dirigisti. Il Capitale di
Marx è una bella analisi della società e della storia, ma
non fa pulsare il cuore. A casa mia entrarono gli uni e gli
altri e io sbirciavo volentieri, ma la differenza e l’ulteriorità di Dio mi fu chiara da subito. Poi vennero i libri universitari, che divoravo e ripetevo ad alta voce. Non mi hanno
lasciato granché se non una formazione della persona e
del carattere e la possibilità di avere un titolo. Poi i libri di
teologia, quando feci il grande passo, e tra questi alcuni
li custodisco ancora. Altri non li ho venduti da Maraldi
solo per rispetto dell’imprimatur. Conobbi spesso anche
gli autori e mi resi conto che avevano scritto – alcuni – la
loro vita, la loro testimonianza. Parlavano razionalmente
di Dio ma la loro mente era ben più che un fascio di neuroni. Era una mente presa da Dio e c’era il santo proposi-
to di far conoscere le bellezze di Dio, accessibili alla
mente umana e non preda di pochi bigotti o cretini, come
dice Odifreddi. Infine compresi che i veri libri sono quelli
che – pochi, molto pochi – hai sottolineato fino a scarnificarne le pagine, che ti hanno accompagnato sempre,
che vai a riprendere solo per la nostalgia di quel che
hanno provocato nella vita tua o del periodo bello che
hanno segnato. E sempre più mi resi conto del bisogno
della sintesi. Della chiarezza, della trasparenza, della
semplicità del lessico e dei contenuti. Chi scrive un libro
può affascinare chi lo legge ma quel che conta è che gli
lasci qualcosa. E che quell’idea, quell’immagine, quella
metafora gli si stampi nella testa e lo accompagni per
molto tempo. Guardo proprio ora, mentre scrivo, la mia
biblioteca. Ci sono autori che hanno fatto la mia storia.
Ci sono libri che ho regalato con la certezza che avrebbero fatto al donatario quello che hanno fatta a me di bene.
A volte mi basta scorrere i titoli per sentirmi meglio.
E penso a chi non ha cultura, cioè non ha avuto comunicazione dell’eccedenza di questo fatto rispetto alla vita
ordinaria. Del fatto, cioè, che chi legge è più libero di chi
non lo fa. Perché non sarà mai ignorante e mai dipendente dal primo cretino che capita, specializzato nel deridere
o nello sfruttare gli incapaci. E mi convinco ancora di più
che la formazione sia la frontiera di questo futuro che
affrontiamo il quale – cancellando gran parte della cultura – ci lascia le zucche di Halloween, le isterie del Grande
Fratello, le esternazioni di politici semi analfabeti e il 21
dicembre del 2012, nel quale tutti ormai credono come
nella data in cui sarà la fine del mondo. Invece penso che
la fine è già vicina anche per questo: quando gli uomini
vendono la loro intelligenza e schiacciano inesorabilmente la loro testa, hanno fatto spazio alla menzogna e al suo
principe, che nella Bibbia ha un nome certissimo.
Però mantengo un garbato e sereno ottimismo e non mi
perdo mai la Gialappa’s Band, ai membri della quale
prima o poi erigerò in chiesa una statua, perché riescono
a ironizzare su quanto di più becero e allucinante ci trasmetta la tv italiana. E con questo invito tutti a regalarsi
un buon libro per Natale.
-3-
Tema proposto per il prossimo numero è:
“MINISTRI DI DIO”
I sacerdoti
e le suore che
abbiamo
conosciuto nella
nostra vita
e che sono stati
importanti e
significativi
per il nostro
cammino di uomini e di cristiani.
I MIEI LIBRI:
SPECCHIO DELLA MIA ESISTENZA
Cesare Catarinozzi
Ero bambino quando, attento e pieno di curiosità, ascoltavo la
voce di mio padre leggermi il primo romanzo della mia vita:
“L’isola del tesoro” di Stevenson,
nella stessa stanza dove, giocando con le biglie, facevo il Giro
d’Italia con Coppi, Bartali e Magni.
John Silver, il pirata con una
gamba sola e la stampella, veniva
affrontato da Jim, il ragazzo dal
cuore intrepido. <<Pezzi da otto
!>> gracchiava il pappagallo del
pirata.
Nel Paese, l’Italietta della ricostruzione postbellica, con De
Gasperi. Da adolescente scoprii
Salgari e il suo mondo fantastico
di avventure. Percorrevo le giungle dell’India insieme a TremalNaik
e
Kammamuri,
con
Sandokan ( la tigre della Malesia)
e Yanez davo la caccia alla terribile “tigre dell’India” Suyodhana e alla setta dei thugs. Seguivo il
Corsaro Nero, che lottava contro il perfido Van Guld, uccisore dei
suoi fratelli, ma si innamorò di sua figlia. L’amore vinse l’odio.
Capitan Tempesta (la duchessa d’Eboli fintasi uomo) era il cavaliere invincibile, personaggio di spicco nella resistenza di Famagosta
contro i turchi. Sconfisse in duello il leone di Damasco, ma poi tra
i due nacque l’amore.
Coppi Bartali e Magni avevano smesso di correre e si faceva strada un giovane ciclista francese, Jacques Anquetil, che strappò a
Coppi il record dell’ora. Ma io non giocavo più con le biglie. E la
democrazia in Italia andava consolidandosi. Scoprii “I Promessi
Sposi”, che subito dopo studiai a scuola. Il personaggio femminile che preferivo non era Lucia, ma Geltrude, l’infelice monaca di
Monza. Mi affascinava l’Innominato, con la sua conversione. Il
difetto peggiore de’ “I Promessi Sposi”, dirà poi il mio professore
di filosofia, è di essere studiato a scuola. Quindi amai la poesia
spagnola: Garcia Lorca, Machado, Jimenez, mentre esplodeva la
contestazione studentesca del 1968. e i Beatles conquistavano il
mondo musicale. Scoprii l’humour anglosassone di Wodehouse,
con il sapiente maggiordomo Jeeves. Ispirandomi a Wodehouse,
scrissi alcuni racconti umoristici, che riportavano in Italia l’imitazione di quello stile. Di Ignazio Silone ho letto “Fontamara” e “Vino
e pane”. Silone si definiva “un cristiano senza Chiesa e un socialista senza partito” e per un certo tempo sono stato così anch’io.
Le mie ultime “cotte” in letteratura sono state la scrittrice cristiana Susanna Tamaro, l’autrice di “Va dove ti porta il cuore”, “Anima
Mundi”, ecc. e Isabel Allende, cugina del presidente cileno
Salvador Allende, ucciso durante il colpo di stato di Pinochet. Ho
letto tra gli altri il libro “Paula” dedicato alla figlia morta. Sullo
sfondo della lenta agonia di Paula la vicenda autobiografica di
Isabel e della sua famiglia e quella, drammatica, delle vicende cilene. Un esempio di come realtà e fantasia possono incontrarsi ed
intrecciarsi. Conosco lo spagnolo e leggere Isabel Allende in
madrelingua è stato certamente una fortuna. Susanna Tamaro
riflette il mio cammino spirituale adulto. Parte da una forte ricerca
del Trascendente per arrivare poi ad una scelta precisa, quella cattolica. Questo percorso mi ha fatto perciò rispecchiare nei suoi
libri, anch’io sono arrivato “dove mi ha portato il cuore”.
Ma il mio amore, più che la poesia e il romanzo, è da tempo la saggistica, da “La piccola città” di Ferrarotti a “Montegrano” di
Banfield. In particolare “Piccola città”, indagine svolta dal sociologo Franco Ferrarotti, mio maestro, a Castellamare di Stabia, intervistando tantissime persone, ha rafforzato in me il desiderio di dialogo. Abbiamo tutti da imparare gli uni dagli altri. Amo specialmente la saggistica religiosa ed i libri del cardinale Carlo Maria Martini.
E’ animato anch’egli da un forte desiderio di dialogo, delinea un
cristianesimo in continua evoluzione, suscita in me il desiderio di
rimettere sempre in discussione le mie certezze. Le sue tesi sono
considerate a volte ardite, ma a me piacciono e mi coinvolgono.
Ma leggere è comunque sempre un’avventura.
-4-
LEGGERE ? PERCHE’ ?
Maria Rossi
Non pensavo che un simile argomento - i libri – mi avrebbe
messo in crisi. Eppure è stato così. Forse perché tra i libri
vivo da sempre, forse perché sono fondamentali per il lavoro che faccio, forse perché è stato “amore a prima vista” da
quando ho cominciato a leggere nel lontano ottobre del ’56.
Non ricordo, da allora, una Befana (siamo una famiglia romana e da noi i regali li ha sempre portati la vecchietta con la
scopa), un compleanno o una ricorrenza senza l’arrivo di
tanti libri. D’estate, nel paese dove andiamo, venivano le
Figlie di San Paolo a portare e presentare libri per l’infanzia
e l’adolescenza (le librerie erano allora molto scarse) e riuscivamo a strappare a mamma altri acquisti. “Strappare”
non è il verbo adatto, perché mamma è sempre stata un’accanita lettrice e il gusto del libro, insieme a tanti suggerimenti, ce lo ha trasmesso lei. Andavo in bicicletta, giocavo al
“fortino” o a nascondino con sorelle, cugini e amici ma, in
particolare, nelle lunghe estati della mia infanzia e dell’adolescenza leggevo, leggevo tanto. Credo di aver letto di tutto.
Per bambini, per adolescenti, per maschi e femmine, per
ragazze e poi per adulti; classici di tutti i tipi, libri di avventura, libri rosa sentimentali e avvincenti libri gialli. Nella mia
fantasia i corsari di Salgari si univano alle “Piccole donne”
di Alcott, “Il birichino di papà” scopriva “l’isola misteriosa”
o scendeva negli abissi con il Nautilus del capitano Nemo di
Verne. E poi, i romanzieri russi (giganteschi e complessi) e
quelli inglesi (i veri “inventori” del romanzo), quelli francesi
e qualche spagnolo: un mondo straordinario e affascinante.
Oggi continuo a leggere e leggo tanto, ho scoperto nuovi
filoni, approfondito argomenti e interessi e tento, inutilmente purtroppo, di trasmettere questa passione ai miei studenti. Quando alla fine dell’anno, ogni anno, da tanti anni, suggerisco, segnalo e propongo letture estive, già so purtroppo
dentro di me che - tranne qualche sporadica fortunata eccezione – la maggior parte di loro andrà su Internet a vedere di
cosa parla il libro e, al massimo, a leggere qualche commento sullo stesso. Avvilente ma reale, del resto la discussione
se l’e-book soppianterà il libro cartaceo è di questi ultimi
giorni. Eppure mi ostino e continuo a segnalare e suggerire
e, allora, eccomi qui a proporre due libri diversissimi tra loro.
“Venuto al mondo” di M. Mazzantini è una storia di amore e
di amicizia nell’assedio di Sarajevo, una guerra recente e
vicina a noi e troppo presto dimenticata, con un figlio –
Pietro – voluto a tutti i costi e sulla cui nascita domina un
mistero che si svelerà solo nelle ultime pagine del romanzo.
Non è un libro facile, non è un libro sereno, è in alcune pagine un libro duro e crudele, ma fa pensare e non scivola via.
Ed io penso che se un libro ti fa pensare e riflettere, anche
se questo avviene perché ti “disturba”, è di stimolo e di crescita. Il secondo è un libro di genere completamente diverso; è un libro che definirei di “spiritualità” e appartiene ad un
settore a cui oggi mi rivolgo frequentemente, perché ci sono
periodi nella vita in cui si sente la necessità di un nutrimento speciale. E’ un libro per chi, giovane, adulto o anziano,
vuole pensare e riflettere, imparare a pregare e a ringraziare.
L’autore è quello che io ritengo un “grande vecchio”, è il cardinal Martini e il libro si intitola “Qualcosa di così personale”. E’uscito da poco ed ha suscitato molti dibattiti e commenti, raccoglie diversi scritti importanti sulla Preghiera e
una prefazione sentita ed emozionata di chi, ormai vecchio e
quasi alla fine della sua vita, sente che anche la preghiera
nell’anziano – come tutto – dovrebbe trasformarsi. Sente di
dover imparare a pregare in modo nuovo. Figuratevi: Martini
che deve “imparare” a pregare! Eppure è così. Una preghiera di ringraziamento, una sintesi della propria vita, una preghiera contemplativa, affettiva, vocale più che mentale è
quella che Martini suggerisce ai vecchi come lui e, pur non
avendo i suoi anni, ho amato le sue pagine e le sue riflessioni, perché è caratteristica propria della preghiera cristiana
“lo Spirito che prega dentro di noi” a qualunque età.
Così rispondiamo facilmente alla domanda iniziale:
Libri = L-iete I-mmagini
B-uoni R-icordi I-nteriori
Buona lettura!
“AFRICA EXPRESS”
o
I MIEI LIBRI D’AFRICA
Il tema scelto per questo mese,
“I Libri della mia vita”, e la peculiarità della rubrica che curo ogni
mese mi impongono di parlare
dei “libri africani della mia vita”.
Ovviamente ho letto, specie
negli ultimi anni, molti libri
sull’Africa, sulla sua gente, sulla
sua cultura, sulla sua storia e
sulle sue tradizioni ma, se proprio devo indicare il libro che per
la prima volta mi ha fatto appassionare a questo continente, non
posso che tornare indietro negli
anni, alla mia infanzia e cioè a
quando, come tutti i ragazzi dell’epoca, leggendo libri di avventure mi sono imbattuto in Emilio Salgari. Qualcuno, forse, si
chiederà cosa c’entri con l’Africa Emilio Salgari, lo scrittore nato
a Verona nel 1862, visto che egli è famoso nel mondo per le
grandi storie del ciclo dei pirati della Malesia, Sandokan, Yanez,
la Perla di Labuan, Kammamuri e la sua splendida tigre Darma o
per i romanzi dell’altro famoso ciclo dei pirati dei Caraibi, con il
Corsaro Nero, sua figlia Jolanda ed i filibustieri che imperversavano in quei mari esotici.
Intere generazioni di giovani hanno sognato leggendo i suoi
romanzi. A me, infatti, dopo aver letto quasi tutti i libri di
Sandokan e del Corsaro Nero capitò, cercandone di nuovi, di
comprare un altro libro di Salgari, intitolato “I predoni del
Sahara” che faceva parte della ampia, ma quasi del tutto sconosciuta, serie dei “romanzi d’africa”. Questo libro narra della spedizione del Marchese di Sartena, di origine corsa, e del suo fedele servitore italiano Rocco nel deserto del Sahara alla ricerca del
colonnello francese Flatters, scomparso durante una missione.
La descrizione fatta dal romanziere di posti come Timbuctù o
Tafilelt, delle enormi distese desertiche al sud del Marocco o di
popoli come i Tuareg o i Tibbù sono immediatamente entrati
nella mia mente facendomi sognare il giorno in cui sarei, anche
io, andato laggiù.
Ovviamente erano solo fantasie adolescenziali ma, con tutta
probabilità, è da lì che è nata la mia passione per la terra
d’Africa.
Andando avanti negli anni la fase sognatrice è inevitabilmente
finita e, pian piano, ha lasciato spazio alla più razionale fase di
ricerca della vita, della storia e della cultura africana.
Tra i vari libri che ho letto sull’argomento ricordo con particolare piacere “Popoli d’Africa-Storia di un Continente” di John Iliffe
che, nel 2000, ha avuto il grande pregio di farmi conoscere
l’Africa sia sotto l’aspetto, per così dire, storico e geografico,
con la descrizione dei suoi popoli, delle sue savane, delle foreste e deserti, che sotto l’aspetto più antropologico e sociale, dai
primi tentativi di trasformazione coloniale alla nascita della industrializzazione, dalla tratta degli schiavi alla esplosione
dell’Aids.
Un altro libro, tra gli ultimi che ho avuto occasione di leggere, è
“Ancora un Giorno” di Ryszard Kapuscinski, grandissimo reporter di guerra, di origini polacche, che nella sua carriera ha seguito, e descritto, ben 27 rivoluzioni (!). Nel libro egli racconta il
caotico abbandono di Luanda, capitale dell’Angola, da parte dei
portoghesi che scappano all’arrivo delle truppe rivoluzionarie. In
questo caos l’autore trova il modo di descrivere anche alcune
persone da lui incontrate, dalla soldatessa Carlotta, una ribelle
che si ritrova con la divisa addosso ed un fucile in mano senza
neanche sapere il perché, a Dona Cartagena, una vecchia abi-
Lucio Laurita
Longo
tante di Luanda che non ha mai voluto abbandonare la città e la
sua povera locanda, l’Hotel Tivoli neanche nel peggior momento della guerra.
Vorrei, anche, ricordare “Il Vangelo nella discarica” del padre
Comboniano Daniele Moschetti che descrive i suoi difficili sette
anni di missione a Korogocho, una discarica di Nairobi di circa
1kmq ove vivono, accatastate nel più totale degrado, circa
120mila persone, senza elettricità, acqua e con a disposizione
un “cesso” (non un bagno!) ogni 80/90 famiglie.
E che dire de “La Freccia di Dio” di Chinua Achebe, un bellissimo romanzo in cui l’autore nigeriano descrive in modo mirabile
e stringato, attraverso la figura del protagonista, Ezeulu, sacerdote di un Dio locale, la contrapposizione tra la cultura, la religione e le tradizioni dei colonizzatori bianchi e quelle delle popolazioni locali.
Un posto a parte, però meritano le “Memorie di un soldato bambino” di Ishmael Beah che ne è, anche il reale protagonista.
Egli racconta in modo stupendo la guerra civile in Sierra Leone
nel 1993 quando, appena dodicenne, viene fatto prigioniero, con
il fratello minore Junior ed altri due amici, da una banda di ribelli che, dopo aver dato fuoco al loro villaggio ed ucciso quasi tutti
i suoi abitanti, li trascinano con loro nella foresta e li “arruolano”
per combattere ed uccidere i governativi sotto l’influsso della
droga. Da quel momento il
giovanissimo protagonista
non vedrà più il suo villaggio, la sua casa ed i suoi
genitori, dopo poco assisterà alla morte del fratello e,
come unico oggetto personale avrà il suo mitra. Dopo
circa due anni di questo
inferno viene fatto prigioniero e, data la sua età, consegnato alla Croce Rossa
Internazionale. Ishmael, pian
piano, e grazie alle cure ed
materne ed all’amore di una
infermiera, ritorna alla vita
normale. Questo libro è una
testimonianza assolutamente vera di quella immane,
quotidiana, tragedia africana dove migliaia di bambini, anziché
giocare, studiare e crescere nella speranza di un futuro migliore
uccidono, o vengono a loro volta uccisi, senza un perché o, peggio ancora, solo per soddisfare la sete di potere degli adulti.
Questi, ovviamente insieme ad altri, sono stati i libri della mia
“vita” africana.
-5-
L’ANGOLO DELLA CUCINA
RISO AL LATTE DI COCCO
(Nigeria)
Mezzo chilo di riso, 750 ml. di latte di cocco, mezzo litro
di brodo di carne, 1 cipolla, sale e pepe.
In una pentola, possibilmente di coccio, versare metà
del brodo di carne e portatelo ad ebollizione. Versate,
quindi, il riso, il latte di cocco e la cipolla che avrete
prima tritato. Condite con il sale ed il pepe a piacimento. Proseguire la cottura per circa 20 minuti aggiungendo, ogni tanto, il brodo tiepido in modo che il tutto non
asciughi troppo. Servite il tutto appena terminata la cottura.
A PROPOSITO DI LIBRI:
SE L’AMORE SI FA POESIA
“ L’EVANGELO COME MI E’ STATO RIVELATO ”
Celina e Giuseppe Zingale
L’interesse per il tema di questo numero ci
ha subito orientati verso due letture “preferite” che vorremmo condividere.
“ IL CANTICO DEI CANTICI ”
Ogni giorno di più la cronaca sembra
determinata nel tentativo subdolo di minare
nella sua più profonda essenza la dimensione più sacra della vita umana: l’amore
nelle sue più alte espressioni e ricchezza di
sfumature. Se ne sbiadisce la forza del
dono, prorompente al punto d’essere, per
volere divino, canale di trasmissione della
vita; se ne sfumano i contorni delicati e
soavi in nome di una presunta libertà; si
tenta di chiamare con questo nome quanto invece troppo spesso ne è
l’esatto contrario. Svuotare l’amore dell’Amore genera vuoto, delusione, paura; ma se è vero tutto ciò, è vero anche che il baratro che ciò
lascia intravedere, accende il desiderio di riconquistarne l’originaria
purezza, quel magnifico riflesso di Dio. Amore è quello di una mamma
per ogni figlio, quello di due innamorati che sognano l’avvenire insieme, amore è il sentimento che alimenta la vera amicizia, amore è sempre comunque il dono di sè fino al dimenticarsi e perdersi nell’altro e,
quando l’Altro è Dio, l’Amore non può che essere sacro e viverlo nella
forma della vocazione propria di ciascuno è vivere in santità, per la
santità. Se attingiamo alla Sacra scrittura rintracciamo le tappe di un
Amore che non ha confini e rintracciamo anche tra gli altri Scritti “Il
Cantico dei Cantici”, una raccolta di canti d’amore attribuito a
Salomone. E’ Il cantico per eccellenza, il più bel cantico. Questo libro,
che non fa diretto riferimento a Dio, usa il linguaggio di un amore passionale, terreno che ha sempre meravigliato gli esegeti. E’ molto antica l’interpretazione allegorica divenuta comune presso gli ebrei già dal
II sec. d.C.,secondo cui è quella l’epressione dell’amore di Dio per
Israele e del suo popolo per Dio, espresso con chiari riferimenti
all’amore tra due sposi; altro riferimento allegorico è quello all’amore
di Cristo per la Chiesa sua sposa. Il Cantico non segue un piano prestabilito, è una raccolta di canti uniti solo da un soggetto comune:
l’Amore! Leggerlo è davvero un’eperienza unica per le risonanze diverse che può evocare nel cuore di ciascuno, è come se ci appartenesse
tutti, è una parte di noi. E’ come un invito che ciascuno riceve ad uscire dal proprio ambito per entrare attraverso il Cantico nella libertà della
natura, nella libertà della parola di Dio che non disdegna di farsi parola di uomo. Non è facile comprenderlo, nonostante la sua immediatezza espressiva.
Abbiamo ricercato diverse interpretazioni e commenti, ci siamo soffermati in particolare sulle interessantissime spiegazioni e sfumature
che ne dà Gianfranco Ravasi. E’ la celebrazione della coppia umana
nella grandiosa esaltazione della propria unione; ma il Cantico dei cantici conosce anche l’oscurità, il timore, il silenzio e allora il pensiero
corre alla coppia “spezzata” per il silenzio dell’amore o spezzata dal
silenzio della morte. Si delinea il sentimento dell’amore come sentimento e realtà delicatissima, impegnativa che esige continuità e fedeltà. Non muore con il silenzio, non muore per un istante di gelo.
Il Cantico dei cantici privilegia infatti i toni della gioia, perchè è bello
amare, vivere cioè l’esperienza più alta ed esaltante. L’amore è più
forte della morte, l’amore ha in sè il sigillo dell’eterno.
Il Cantico dei cantici è come fosse un’opera aperta, un’opera nella
quale tutti dovranno poi scrivere la loro riga conclusiva perchè ripete
ininterrottamente l’impegno dell’amore, è il “pentateuco dell’amore”, è
poesia, è libertà. Va letto e ascoltato con il cuore come la musica di un
genio, un flusso sonoro che si conquista e ci conquista. Ma scorrendone la musicalità dei versi si fa sempre più pressante la domanda se
è Il Cantico dei cantici un poema d’amore umano o poema mistico. La
risposta dice Ravasi non ammette questa dicotomia perchè come diceva Pascal “Se esite l’amore, esiste Dio”! L’amore concreto è il frammento del tutto, dell’amore perfetto. E Dio è Amore! Per questa ragione Il Cantico dei cantici è stato definito da sempre il libro dell’Amore
che ci insegna a ricercare un amore supremo, quell’Amore che tutta la
Bibbia celebre ed esalta. L’Amore è una realtà che non possediamo, è
sempre come il sole che sta sopra di noi. Ma quel sole entra dentro di
noi, ci percorre, ci attraversa, ci alimenta, ci trasforma. Questo è
l’Amore. Questa è l’esperienza di Dio fino al giorno in cui entreremo
nell’Eternità. E concludendo sempre con le parole di Ravasi: la cosa
più mirabile che Dio abbia fatto, la più misteriosa, la più affascinante è
far sì che l’uomo sia capace di amare e di amarLo.
La parola decisiva che Dio continua a bisbigliare al cuore dell’uomo è
AMORE!
Ancora oggi Dio parla all’uomo e lo interpella, tanti gli scritti che ce lo
attestano. Addentriamoci allora in quest’altra particolare modalità che
ci manifesta l’Amore di Gesù, Il Verbo di Dio, per noi.“Le ragioni che
mi hanno mosso ad illuminare e a dettare episodi e parole miei al piccolo Giovanni sono, oltre alla gioia di comunicare una esatta cognizione di Me a quest’anima- vittima e amante, molteplici. Ma in tutte ne è
anima l’amore mio per la Chiesa, sia docente che militante, e il desiderio di aiutare le anime nella loro ascesa verso la perfezione. La conoscenza di Me è aiuto all’ascesa. La mia Parola è Vita” Con queste parole (attribuite a Gesù) inizia il capitolo 652 “Commiato all’Opera” del
decimo volume dell’opera di Maria Valtorta, nell’edizione 1998, curata
da Emilio Pisani e pubblicata dal Centro Editoriale Valtortiano srl con
il nuovo titolo “L’Evangelo come mi è stato rivelato”. Nella copertina
di tutti i volumi si legge: ”L’Opera di Maria Valtorta non aggiunge
nulla alla Rivelazione e non è il quinto Vangelo, ma completa ed illustra, nella forma di una rivelazione privata, la narrazione dei quattro
Vangeli …….. “ Dalla medesima copertina si evince che, malgrado l’assenso (ufficioso e privato) di papa Pio XII che - nell’udienza a tre religiosi Serviti del 26 febbraio 1948 – consigliò di pubblicarla “così come
sta”; il Sant’Uffizio, con decreto del 16 dicembre 1959 mise all’Indice la
sua prima edizione. Dopo la soppressione dell’Indice dei libri proibiti
vengono inoltre ricordati alcuni successivi chiarimenti dell’autorità
ecclesiastica, in particolare la lettera inviata il 31 gennaio 1985 dal
card. Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede
(ex Sant’Uffizio) al card. Siri, Arcivescovo di Genova e quella inviata il
6 maggio 1992 da mons. Dionigi Tettamanzi, segretario generale della
Conferenza Episcopale Italiana, all’editore dell’opera Emilio Pisani da
cui “traspare che l’autorità ecclesiastica permette la lettura dell’Opera
a tutti i cattolici senza distinzione alcuna, alla sola condizione che essi
non la ritengano di origine soprannaturale” Nel sito internet “www.
mariavaltorta.com” abbiamo trovato molte notizie sulla vita e gli scritti dell’autrice (nata a Caserta il 14.3.1987 e morta a Viareggio il 12.10.
1961); in particolare, con riferimento all’opera sopracitata, si legge:
“La raccolta narra la vita di Gesù, riportando episodi e fatti di vita quotidiana che non compaiono nei Vangeli canonici o che compaiono in
forma ridotta. Maria Valtorta (chiamata da Gesù “piccolo Giovanni”) ha
sempre sostenuto di non essere lei ad inventare i nuovi episodi della
biografia di Cristo, bensì di essersi limitata a descrivere minuziosamente delle “visioni” di carattere mistico che ella ammetteva di avere
e che riteneva esserle inviate da Gesù stesso e dalla Beata Vergine
Maria. Letterariamente elevata, l’opera descrive paesaggi, ambienti,
persone, eventi con la vivezza di una rappresentazione, espone gioie e
drammi con il sentimento di chi vi partecipa realmente; informa su
caratteristiche ambientali, usanze, riti, culture, con particolari ineccepibili Attraverso l’avvincente racconto della vita di Gesù l’opera illustra tutta la dottrina del cristianesimo secondo l’ortodossia cattolica”.
Abbiamo conosciuto l’opera della Valtorta per caso, grazie ad alcuni
volumi trovati sistemando la libreria di un parente ; confessiamo che
all’inizio eravamo un po’ prevenuti, pensavamo infatti si trattasse di un
testo “mistico” e quindi forse poco adatto per chi, come noi, ha poca
dimestichezza con tali testi e, per di più, poco “ortodosso”, data l’iniziale messa all’indice. La lettura di alcuni brani ci ha fatto presto ricredere, sembra veramente di rivivere ed assistere “in diretta” a tutto
quanto viene raccontato, si mettono in luce tantissimi avvenimenti
(molti mai narrati) e persone (di cui sovente è descritto anche il profilo psicologico) e viene spesso data una spiegazione “supplementare”
e per molti versi nuova, di parole, episodi, parabole che ci erono rimasti oscuri o che avevamo capito solo parzialmente. Quello che ne
abbiamo ricavato è una illuminazione dello spirito ed una compartecipazione del cuore che non ricordiamo di aver provato così viva ed efficace dalla lettura di altri testi. Intendiamoci, non si tratta certamente di
un libro consigliabile a tutti perché, se non altro, va letto in momenti
di tranquillità anche per poter assimilare avvenimenti, situazioni o la
profondità di parole che, più che descritti o riportate, si presentono
quasi come fotografati o registrate alla fonte. Per concludere questo
piccolissimo “flash” dell’opera valtortiana – che, per la verità, dobbiamo ancora terminare di leggere – ci piace ricordare alcune parole di
Gesù (sempre riportate nel capitolo 652 dell’ultimo volume del’opera),
rivolte direttamente ai lettori del libro in risposta alle possibili obiezioni o “stupori scandalizzati” che potrebbero essere fatte a quanto narrato : “ ….Io vi rispondo che non fu, con quest’opera, fatta aggiunta
alla Rivelazione, ma ricolmate le lacune che si erono prodotte per
cause naturali e voleri soprannaturali. E se Io mi sono voluto compiacere di ricostruire il quadro della mia divina Carità, così come fa un
restauratore di mosaici che rimette le tessere deteriorate o mancanti,
restituendo al mosaico la sua completa bellezza, e mi sono riservato di
farlo in questo secolo nel quale l’Umanità precipita verso l’Abisso di
tenebre e di orrore, potete voi vietarmelo? Potete forse dire di non
averne bisogno, voi dallo spirito così annebbiato, sordo, illanguidito,
alle luci, voci ed inviti dell’Alto” E ancora vi dico:“Prendete, prendete
quest’opera e “non sigillatela “, ma leggetela e fatela leggere “perché
il tempo è vicino” (Giovanni, Apocalisse , cap.22, vol. 10) e chi è santo
si faccia ancora più santo (vol. 11)”
-6-
IL
MATRIMONIO
COMBINATO
NON E’ POI
COSI’ MALE !
Giulia Bondolfi
E’ stato un matrimonio combinato e per
giunta
d’interesse.
Avevo solo dodici anni e il primo incontro
avvenne d’estate sotto l’ombrellone. Da quel
giorno nacque l’amore, un amore a prima
vista un po’ interessato potremmo dire, ma
amore che è andato via via crescendo e non mi
ha mai né abbandonato né tanto meno tradito.
Era in alto, bello, finemente rilegato sulla libreria paterna nella sezione dedicata alla letteratura russa, molto apprezzata da entrambi i miei
genitori. E’ così che mi avvicinai per la prima
volte a lui, Lev Tolstoj, e al suo “ Guerra e
Pace”, libro che mi avrebbe fatto risultare agli
occhi della mia famiglia finalmente intelligente
e addirittura colta. Avevo avuto un’accesa
discussione con mia madre che non amava
che io leggessi i fotoromanzi. Li definiva letture sciocche e io avrei fatto di tutto per risultare una ragazza intelligente, cosa che in realtà
forse non ero affatto. Amavo l’amore come
tutte le adolescenti e la lettura dei fotoromanzi
infiammava facilmente il mio cuore. Quell’
estate nascosi accuratamente il fotoromanzo
di turno che tanto amavo sotto il materasso e
incominciai a sfogliare in spiaggia “ Guerra e
Pace”. I commenti non tardarono ad arrivare: “
Brava Giulia, hai sostituito quelli stupidi giornaletti ad un libro bellissimo, ma non è un po’
troppo difficile per te?”. E così, tanto per tenere testa a questa sfida con mia madre, incominciai per davvero a leggere “Guerra e Pace”.
Lentamente rimasi affascinata dallo charme
del principe Andrej, saltando però sistematicamente tutte le pagine storiche del libro. Ancora
oggi infatti mi riprometto di rileggerlo con una
testa adulta. Chissà se mi annoierebbe?
Quella estate passò molto presto in compagnia di Tolstoj e mi accorsi che la lettura mi
faceva sentire meno sola e riusciva a farmi
sognare l’amore. Continuai con il filone russo
“Anna Karenina”, “L’idiota” e infine “Delitto e
Castigo” di Dostoevskij. Tutto era nato come
una sfida e poi si era dimostrato un meraviglioso piacere. In questi anni sono passata un
po’ da tutti i generi ( romanzi, saggistica, poesie) e per diversi autori partendo dalla lettera
russa mi sono spinta ad autori dell’estremo
oriente (Cina, Giappone,) ho toccato i vari continenti della terra attraverso i suoi scrittori ( le
Americhe, L’Europa, L’Africa e L’Oceania)
senza però mai interrompere questo meraviglioso rapporto di amore e passione che ho
per i libri. Ho notato che, a seconda delle stagioni della vita, si può leggere lo stesso libro
diversamente ed è per questo che mi riprometto se avrò tempo di rileggere dei libri che per
me hanno segnato un punto di partenza come
“La Ragazza di Bube” di Carlo Cassola o “La
casa delle Belle Addormentate” di Yasunari
Kawabata. Il massimo del piacere è fare incursioni nelle librerie e nelle biblioteche, annusare l’odore della carta , toccare la consistenza
dei libri e ammirare l’eleganza delle varie edizioni. Adoro scoprire nuovi filoni di lettura ma
non disdegno, quando stimo qualcuno, consigli preziosi su un autore che non conosco.
Niente mi rende più felice che tornare da un
libro, a cui corro trepidante dopo una giornata di lavoro, per rincontrarlo. C’è il detto
“Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. Io preferisco pensare “Dimmi cosa leggi e ti dirò cosa
provi”.
I LIBRI DELLA MIA VITA
Giancarlo Bianconi
Arrampicato sulla scala con il preciso intendimento di recuperare un po’ di spazio nella mia libreria l’occhio mi cade sul
dorso del primo dei libri ordinatamente allineati nello scaffale, e leggo: W. S. Maugham,” Il filo del rasoio”. Leggere questo titolo e ritrovarmi seduto davanti alla cattedra a sostenere il mio primo esame all’Università, “Istituzione di Diritto
Privato”, è stato un tutt’uno.
E, cosa davvero sorprendente, avverto nuovamente le stesse sensazioni, quasi fisiche direi, di allora: trepidazione, nell’attesa di essere chiamato; paura, divenuta vero e proprio
panico nel momento del fatidico «vediamo un po’ .... mi parli
di ...»; quindi sollievo perché l’argomento oggetto della
domanda l’ho ben presente, seguìto da una certa tranquillità
sino alla prima incertezza che mi fa perdere tutta la mia sicurezza. Infine disappunto, quando il professore mi affida,
come tutti gli altri miei colleghi che mi avevano preceduto del
resto, alle “cure” di uno degli assistenti componenti la commissione esaminatrice.
Solo che a me capita – e come te sbaji, mi dico - quello noto per essere, come si diceva all’epoca, una …“vera carogna”, che, infatti, mi ha messo subito in seria difficoltà con domande sul
“matrimonio”, argomento di sua specifica competenza e, detto inter nos, non propriamente della
mia (forse già da allora una larvata e inconsapevole mia intolleranza di natura allergica all’istituzione?). Disappunto, che diviene furore misto a terrore quando, terminata l’interrogazione, nel
corso dello scambio di opinioni fra il professore e l’assistente in ordine alla valutazione da dare
al mio esame, dalle espressioni dei loro volti, intuisco che sto correndo il rischio di una bocciatura propugnata, manco a dirlo, dall’assistente.
Appena-appena un po’ tranquillizzato subito dopo quando ho l’impressione che il professore non
sia del tutto d’accordo in proposito. Infine il sollievo per lo scampato pericolo con l’annuncio del
professore, e che ancora odo nelle orecchie: “Non posso darle ventiquattro perché l’ho dato alla
sua collega di prima che ha risposto sensibilmente meglio di lei; ma non posso darle neanche
ventitré perché lei ha risposto decisamente meglio del suo collega che l’ha immediatamente preceduto; pertanto le do ventitré accompagnato da questo caffè-freddo or ora servitomi dal cameriere e che mi permetto di offrirle”. Il mio imbranatissimo rifiuto viene, però, d’un subito superato
con decisa fermezza del professor Andrea Torrente, non disgiunta da una squisita signorilità
che, debbo dire, era una delle sue caratteristiche peculiari, e quindi costretto, anzi quasi violentato, ad accettare il suo invito. Più che berlo quel caffè-freddo lo trangugio d’un fiato.
E da allora l’esito del mio primo esame è sempre rimasto: “ventitré e caffè-freddo”. Terminata la
rievocazione, storica per così dire, del mio primo esame universitario, sempre fermo sulla scala
dove sono arrampicato, mi sorprendo a riflettere sull’importanza che per me deve aver avuto
quel libro se, dopo circa un cinquantennio, al solo vederlo è stato ancora capace di farmi rivivere quei momenti in modo così netto e preciso.
Ecco, allora, immediatamente un quesito: come conciliare questa sorta di constatazione (o scoperta), con la definizione data dal dizionario della lingua italiana secondo la quale il termine
importante sta a significare tutto ciò che può implicare serie conseguenze? Nel caso specifico,
infatti, non mi sembra proprio di poter affermare che questa rievocazione possa essere considerata come una seria conseguenza.
Quindi ho l’impressione che un libro, come del resto anche un fiore, un profumo non abbia di per
sé l’attitudine a suscitare mutamenti significativi nell’esistenza di un individuo che, invece, possono verificarsi solo se e in quanto l’individuo interessato è pronto a recepirne gli impulsi.
E ciò è possibile - a mio avviso - solo a compiuta maturazione psicologica: in mancanza della
quale nessun libro, nessun profumo, nessun fiore, nessun evento insomma potrà suscitare modifiche significative nell’esistenza di un individuo, ma potrà, tutt’al più, costituire una mera occasione del loro manifestarsi. Tanto per essere meno ermetico: una scintilla è in grado di far esplodere una polveriera solo se e in quanto l’edificio contiene del materiale esplosivo in quantità sufficiente, altrimenti la scintilla resta solo e nient’altro che una mera favilla: pertanto, se non si è psicologicamente pronti il libro, il fiore, il profumo restano nient’altro che libro, fiore, profumo ...
Conclusione: non ho, né ho mai avuto, un libro che possa qualificarsi importante nel senso del
termine appena specificato. Ho, però, avuto modo di leggere libri che hanno, questo sì, incorniciato per così dire, più che segnato, particolari momenti della mia vita.
È questo il caso - fra i tanti - de Il cardinale di H. M. Robinson: libro che narra la vicenda umana
e religiosa di Stephen Fermoyle, un giovane sacerdote giunto, attraverso gli anni, alla dignità
cardinalizia. Un libro stupendo che mi ha fatto provare emotivamente, fra l’altro, tutto il tormentoso e straziante travaglio di questo sacerdote, ormai monsignore, chiamato, in presenza di gravi
complicazioni sopravvenute al momento del parto della sorella, a dover scegliere, anche proprio
in quanto sacerdote, la vita della creatura che stava per nascere o quella della mamma: uno dei
due, insomma, era destinato di lì a poco a tornare al Padre.
Decisione del monsignore che non condivisi assolutamente allora, e che non condivido neanche
ora, e che oltre tutto mi lasciò alquanto sconcertato per molto tempo ma, al tempo stesso, anche
molto vicino a questa splendida figura di sacerdote. Il fatto è che proprio in quei giorni a mia
sorella, in prossimità del parto, si erano presentate difficoltà analoghe anche se, fortunatamente, meno gravi. Il parto, infatti, si concluse felicemente, e il mio nipotino di allora oggi è sottufficiale dei Carabinieri.
Tralasciando di citare i titoli dei libri che in questi ultimi anni mi hanno interessato, o affascinato
o divertito, attualmente sul mio comodino, dopo aver terminato proprio qualche giorno fa Venuto
al mondo, l’ultimo libro di Margaret Mazzantini, scrittrice talvolta un po’ prolissa ma il cui stile mi
piace molto, ho il libro, nella ristampa anastatica dell’edizione del 1891: Le chiese di Roma: dalle
origini sino al secolo XVI, “del professore Cav. Mariano Armellini”.
Un libro davvero affascinante per chi, come me, sia un appassionato di Roma, non solo per le
notizie su chiese da tempo scomparse e di cui si è persa ogni traccia e memoria, ma anche per
lo stile che, in pieno XXI secolo, appare alquanto curioso poiché, per l’appunto, è quello del
1891.
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IL DIARIO DI GIORGIA
G i o r g i a Pe r go l i n i
Caro diario,
molti sono i libri che hanno occupato le ore della mia vita. Penso
che leggere sia un piacere unico
ma allo stesso tempo un dovere
sia per sviluppare la nostra immaginazione sia per aiutarci a perfezionare la nostra lingua o
anche un’altra lingua, se si leggono i libri non tradotti in italiano. A volte leggere un libro nella lingua originale con cui è stato
scritto è molto istruttivo, si possono vedere le differenze tra una
stesura straniera e quella italiana. Leggere un libro è come
ascoltare qualcuno che racconta una storia. Il libro può diventare un componente importante della vita, può tenerci compagnia, può intrattenerci sia facendoci ridere sia commuovendoci: può essere arbitro delle nostre emozioni attraverso le sue
pagine. Leggere è un arte, e allo stesso tempo un hobby o un
compito. Sono dell’idea che la lettura debba essere spontanea,
per esempio non sono d’accordo con la scuola che impone dei
testi e in seguito li trasforma in un materiale di studio per una
verifica, è vero che approfondendo i contenuti delle pagine ed i
messaggi che l’autore vuole dare si potrà capire meglio il senso
del libro ma questo dovrebbe essere soggettivo: ognuno trova
un messaggio diverso e nessuno dovrebbe imporne uno. I libri
che hanno caratterizzato la mia vita sono molti. In particolare mi
è piaciuto leggere “Mille splendidi soli” di Khaled Hosseini.
Questo magnifico racconto mi ha aiutata a immedesimarmi in
una donna e in una bambina, entrambe afghane vittime del
maschilismo e della rivoluzione di Kabul del 1978. Libro molto
intenso e profondo che è stato capace di trasmettermi brividi,
angoscia, disprezzo e paura ma allo stesso tempo anche capace di farmi apprezzare il valore della libertà che hanno le donne
oggi in Europa. Ed è questa una delle funzioni più importanti dei
libri: far apprezzare ciò che si ha e spesso si da per scontato.
I LIBRI NELLA MIA VITA
Francesco Tani
Fin da ragazzo
sono stato un
accanito lettore
ed ancora oggi,
anziano, ho un
particolare
amore per i
libri, che acquisto, leggo e
conservo gelosamente, anche
se meno di
prima poiché,
specie la sera,
mi lascio passivizzare
dalla
TV.
Senza dubbio posso dire che una parte
importante della mia formazione la abbiano avuta, ed ancora oggi la hanno, le letture. Di questo ringrazio mio padre che
con l’esempio e con molti e ben centrati
stimoli mi ha guidato alla scoperta della
bellezza del leggere e del saper scegliere
cosa leggere.
Da ragazzo e da adolescente mi sono
nutrito soprattutto di due generi di letture.
La prima passione è stata per un bellissimo giornale per ragazzi: il Vittorioso, di
cui ancora conservo tutti i numeri dal
1944. Era, questo, un giornale per ragazzi
Un altro stupendo libro che ho letto tempo fa s’intitola “Nell” di
Mary Ann Evans tratto dalla sceneggiatura dell’omonimo film.
Nell, cresciuta in isolamento in una casa in un bosco, parla una
lingua tutta sua ma sa ugualmente comunicare attraverso gesti
sopratutto affettivi dato il suo grande bisogno d’amore, è una
donna con atteggiamenti e ideali di una bambina che non ha
mai visto nessun’altro essere umano al di fuori di sua madre.
Questo è un libro con tratti più psicologici che narrativi. Ha
come scopo quello di riuscire a far entrare il lettore nella psicologia di questa donna. Diciamo che risponde alla domanda
“cosa succederebbe ad un essere umano se venisse cresciuto
isolato dalla tecnologia, dalla città e dal resto del mondo civilizzato? E cosa succederebbe se un giorno quest’essere umano
venisse casualmente in contatto con la civiltà?”. Inoltre affronta il triste problema dello stupro; la madre si rifugia in quella
casa isolata a seguito di uno stupro dal quale darà alla luce
Nell. Attraverso le sue pagine questo libro ci rende partecipi
della frustrazione di questa madre costretta a rivivere lo stupro
ogni volta che guarda in faccia la figlia ma che nonostante questo la ama incondizionatamente e la istruisce mettendola in
guardia dai “mostri” ovvero dagli uomini. Un anno fa ho letto
un altro fantastico libro in lingua originale che tra poco uscirà
anche in Italia. Il titolo è “ If I stay” di Gayle Forman. Una storia
dura che mette alla luce l’imprudenza stradale e tutto ciò che ne
consegue come incidenti, morti e feriti. Mia, una ragazza diciasettenne, rimane vittima di un incidente stradale causato dalla
pessima guida di un grande camion. Lei rimarrà viva anche se
paralizzata mentre la sua intera famiglia morirà. Queste strazianti ma allo stesso tempo realistiche pagine raccontano i
danni che la strada può causare alle persone. Inoltre tratta di un
tema ancora più attuale quale l’omicidio volontario a seguito
della sospensioni dell’alimentazione artificiale che continua a
tenere in vita un essere umano in coma. Mia, ex bravissima atleta rimasta completamente paralizzata, senza nessuno al mondo
e ormai incatenata ad un lettino d’ospedale senza la possibilità
di sopravivvere fuori da questo, inizia a provare il desiderio di
uccidersi staccandosi dai numerosi macchinari che la tengono
in vita. I libri sono capaci di proiettarci in situazioni che non
abbiamo mai vissuto e, nonostante questo, riescono a renderci
partecipi della psicologia del personaggio come se noi fossimo
davvero lì con lui.
edito dalla A.V.E., di ispirazione cattolica,
assai ben fatto, con bravissimi autori di
testi ed eccellenti disegnatori e, come
valore aggiunto, con i fumetti ed i paginoni di Jacovitti, secondo me il più grande
autore di comics che conosco. Ancora
oggi, ogni tanto, torno a sfogliarlo.
La seconda passione, specie da adolescente, furono i libri di avventure: mi
sono nutrito di Salgari, di cui ho letto
tutto, di Verne, De Foe, Kipling ed altri
ancora.
Ai tempi del liceo sono stato introdotto,
da un bravissimo professore di italiano,
alla letteratura classica e moderna, che
ho integrato per mio conto, essendo un
amante della matematica e della fisica,
con i libri di fantascienza; con particolare
predilezione per autori come Asimov e
A.C. Clarke, due scienziati che amavano
scrivere avventure fantastiche basate,
però, su solidi presupposti scientifici.
E sempre al liceo ho cominciato a scoprire, da vero lettore quale stavo diventando,
la Bibbia, un riferimento fondamentale
per dare senso alla vita. Ai tempi dell’università, immerso nei testi di matematica,
fisica e tecnologia, ho avuto meno tempo
per i libri, dedicando il poco disponibile
alla ricerca della maturazione verso la vita
adulta, approfondendo i temi della fede ed
anche qualche tema filosofico. Tutto questo cammino, questa formazione alla
curiosità del sapere e del leggere, mi ha
aperto pienamente al mondo dei libri, nel
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quale mi sono poi sempre più avventurato dedicandomi in un certo periodo ad un
solo genere di libri, altre volte mischiando
i generi, scoprendo la saggistica, i romanzi classici storici e moderni, le novelle ed
i racconti, i gialli ed ancora nuovi generi
di libri di avventure e di scoperte.
Quando poi la figlia ha iniziato a crescere,
e poiché, per scelta e per lasciare tempo
alla lettura ed all’ascolto della musica,
fino al 1990 circa non abbiamo voluto
televisori in casa, ho scoperto un altro
filone: la bellezza delle fiabe (Grimm,
Andersen ed altri) ed i libri di Rodari che
leggevo la sera insieme a lei, oltre a
rispolverare alcuni dei libri che avevo
letto io da bambino e da ragazzo.
Successivamente ho imparato a leggere
le recensioni sui giornali, ad annotarmi i
libri che mi sembravano interessanti, per
poi acquistarne un certo numero e leggerli nei periodo di vacanza.
Non sempre la lettura rispondeva alle
aspettative, ma con questo sistema, specie se non si cerca il libro di moda, si
fanno scoperte interessanti. E continuo a
farlo ancora oggi, insieme alla rilettura di
libri già letti (si scopre sempre qualche
cosa di nuovo rileggendo un libro) senza
mai dimenticare di avere a portata di
mano il Libro per antonomasia e di approfondire e capire anche i documenti della
Chiesa, poiché l’uomo cresce solo se fa
crescere in modo armonico anima, intelligenza e cuore.
IL MISTERO
DELLA
M O N E TA
P E R D U TA
Marco Di Tillo
Da ragazzino non leggevo
molti libri. Preferivo di gran
lunga i fumetti. Il massimo
per me, a metà degli anni
’60,
erano
i
Classici
dell’Audacia
Mondadori,
con le mirabolanti avventure del professor Mortimer,
Michael
Vaillant,
Dan
Cooper, Jimmi Torrent e Ric
Roland. Ho iniziato a sfogliare le pagine di qualche romanzo
solo un po’ più tardi. Confesso subito che sono ghiotto di biografie, vite dei santi incluse, ma non sono mai andato matto per
la saggistica. Magari negli anni a venire, chissà.
Il primo romanzo vero l’ho letto a 16 anni, nel 1967, tra l’ascolto di un disco dei Beatles e uno degli Stones.
Si chiamava “Il Mago” ed era stato scritto da John Fowles,
scrittore inglese autore tra l’altro anche de “La donna del tenente francese”, “Il collezionista” e “Daniel Martin”. Era un libro
lunghissimo e strano. Un sacco di pagine in cui succedeva
poco, anzi quasi niente. Eppure l’autore era talmente bravo che
ti teneva sempre sulla corda a sfogliare avidamente pagina
dopo pagina. Era l’affascinante arte dello scrivere quella che
stavo scoprendo. Un po’ quello che dice Robert De Niro quando, interpretando un produttore cinematografico nel film “Gli
ultimi fuochi”di Elia Kazan, spiega a modo suo che cos’è davvero il cinema. Lancia una moneta in terra, la cerca, la raccoglie
e infine la rimette sul tavolo. <<Non è successo niente.>> dice
<< Ma questo è il Cinema. Niente. Eppure ti sembra tutto. Stai lì
a guardare la moneta che sparisce e poi riappare, con gli occhi
spalancati di un bambino.>>
La stessa cosa vale per la Letteratura. Se l’autore è bravo e usa
in modo magico la moneta-parola, ti porta dove vuole con la
fantasia, nel suo mondo interiore oppure da qualche altra parte.
E’ questo quello che mi affascina davvero: la grande potenzialità delle parole scritte.
Negli anni successivi iniziai a prendere d’assalto la biblioteca di
casa, passando in rassegna i vari Ernest Hemingway (“Fiesta”,
“Il vecchio e il mare”, “Di là dal fiume e tra gli alberi”), Graham
Greene (“Il potere alla gloria”, “Il terzo uomo”, “Il nostro agente all’Avana”, “Il fattore umano”, “Il console onorario”) Henry
Miller (“Tropico del cancro”, “Ricordati di ricordare”, “Il colosso di Marussi”, “Big Sur e le arance di Hyeronimus Bosch),
John Steimbeck (“Pian della Tortilla”), Truman Capote (“A sangue freddo”, “Colazione da Tiffany”) George Simenon (“La finestra del Rouet”, “L’orologiaio di Everton”, “Senza via di scampo” più una cinquantina di gialli Maigret), Albert Camus (“Lo
straniero”) , Simone de Beauvoir (“Memorie di una ragazza perbene”), Francoise Sagan (“Un po’ di sole nell’acqua gelida”),
George Bernanos (“Il diario di un curato di campagna”),
Eric Maria Lemarque (“Niente di nuovo sul fronte occidentale”).
E gli italiani che fine avevano fatto? Mio padre li aveva sistemati in un angolo più nascosto, come se fossero un tesoretto da
proteggere. Naturalmente li trovai.
E quindi via con Cassola (“La ragazza di Bube”), Tommasi di
Lampedusa (“Il gattopardo”), Pasolini (“Ragazzi di vita”),
Moravia (“Gli indifferenti”, “La ciociara”), Cesare Pavese (“La
luna e i falò”, “La bella estate”), Elsa Morante (“La storia”), Dino
Buzzati (“Un amore”, “Il deserto dei tartari”), Piero Chiara (“Una
spina nel cuore”, “Il pretore di Cuvio”), Bassani (“Il giardino dei
Finzi-Contini”), Italo Svevo (“La coscienza di Zeno”).
Terminati più o meno i libri di casa, iniziarono quelli presi in
prestito dagli amici, letti velocemente e commentati insieme,
magari davanti ad un buon bicchiere di vino.
Ed ecco quindi i vari Salinger (“Il giovane Holden”), Jack
Kerouac (“Sulla strada”, “Big Sur”, “I vagabondi del Dharma”)
Allen Ginsberg (“Juxe Box all’idrogeno”), John Updike (“Corri
coniglio”), Philip Roth (“Lamento di Portnoy”), Charles
Bukowski (“Storie di ordinaria follia”), George Orwell (“1984”) e
perfino Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice con il loro
“Porci con le ali” che possiamo definire una specie “Tre metri
sopra al cielo” degli anni settanta. In quel periodo ho scoperto
uomini dal pensiero diverso e comunque interessante: Don
Milani (“Lettere ad una professoressa”), Camillo Olivetti
(“Lettere dall’America”) , Betrand Russell (“La mia vita in filosofia”). Negli anni successivi ho amato naturalmente i sudamericani Gabriel Garcia Marquez (“Cent’anni di solitudine”) e
Osvaldo Soriano (“Triste, solitario y final”, “Artisti, pazzi e criminali”, “Pensare con i piedi”), Juan Manuel Puig (“Il tradimento di Rita Hayworth”). Ho apprezzato i libri di viaggio di Bruce
Chatwin e l’opera omnia di John Fante, scrittore e sceneggiatore americano la cui famiglia poverissima proveniva
dall’Abruzzo. Ho scoperto nuovi autori francesi come Jean Paul
Dubois (“Una vita francese”) e Philippe Delepierre (“La musica
del vento”) che vanno ad aggiungersi al Daniel Pennac di
“Signori bambini” e “Diario di scuola”. Ho conosciuto grandi ed
umanissimi giallisti del nord europa come lo svedese Henning
Mankell, il norvegese Kjell Ola Dahl e l’islandese Arnaldur
Indridason. Ho letto molti buoni romanzi storici di Valerio
Massimo Manfredi, il gigantesco Ken Follett de “I pilastri della
terra”, le piccole chicche di Mario Rigoni Stern come “Stagioni”
e “Inverni Lontani”, la serietà di Sandro Onofri (“I figli e i
padri”), l’autobiografia di Gunter Grass “Sbucciando la cipolla”,
il curioso David Baldacci di “A casa per Natale” e gli ancor più
curiosi Enrico Brizzi de “L’inattesa piega degli eventi” e l’algerino Lakhous Amara (“Scontro di civiltà per un ascensore a
piazza Vittorio”). Ho adorato la saggezza del Dalai Lama di
“Conosci te stesso”, la spiritualità di frère Roger nel “Taizeè” di
Olivier Clèment e i libri del cardinal Martini, ritrovandovi la stessa idea del “mio” Gesù, quello dalle braccia sempre aperte
verso il mondo, nel gesto eterno dell’accoglienza. Devo dire che
mi sono assai meravigliato scoprendo recentemente che alcuni
abituali frequentatori della mia stessa comunità parrocchiale
considerano Martini una specie di eretico che contravviene
spesso alle idee tradizionali, ferree, giuste e rigorose della Casa
Madre. Così va il mondo. Non tutti la pensiamo allo stesso
modo, per fortuna. Così come tutti non leggiamo allo stesso
modo e non amiamo perdere e ritrovare la stessa moneta.
Maclo & Cuttica
-9-
IL SANTA MARIA DEGLI
ANGELI, UN’ISOLA CHE
NON C’E’ ?
Da oltre mezzo secolo attivo nel quartiere Balduina, unico liceo cattolico di
zona, l’Istituto Santa Maria degli
Angeli suscita ormai da anni chiacchiere in merito alla sua presunta
chiusura. Siamo diventati una casa di
riposo. Anzi no. Siamo un ristorante.
Anzi no. Un supermercato. Dunque
stiamo solo immaginando di frequentare l’ultimo anno di un liceo classico?
Eppure noi esistiamo! Le lezioni dei
nostri docenti, le attività pomeridiane,
lo spettacolo teatrale, le visite culturali, il viaggio di istruzione, il concerto di
Natale del nostro coro, il torneo di calcetto…Tutto questo dunque è frutto di
un sogno? No, tutto questo è realtà.
Siamo un Istituto che, seppur in un
momento di difficoltà, continua a mantenere la sua identità in ognuno degli
ordini di studio attivati: scuola dell’infanzia, scuola primaria, liceo classico
e liceo scientifico. Siamo un Istituto
che è stanco di pregiudizi che vorrebbero offuscarlo. Siamo un Istituto che
non china il capo dinanzi a chi crede
che frequentare una scuola cattolica
sia solo un modo per arrivare al termine degli studi attraverso una scorciatoia in discesa. Noi e le nostre famiglie
sappiamo che non si sceglie un
Istituto cattolico per capriccio, ma perché in esso si trova un ambiente serio
nel quale sono garantiti quei valori
riconosciuti dalla tradizione civile e
culturale del nostro paese. Al Santa
Maria degli Angeli siamo conosciuti
ed apprezzati come persone, prima
ancora che come studenti. Ci sentiamo al centro di un progetto educativo
che propone un fare scuola teso a promuovere l’individuo, accompagnandolo e sostenendolo nel suo percorso di
crescita. E senza tagli degli obiettivi
didattici e dei programmi curricolari,
né sconti sulla pretesa di una condotta seria. Sappiamo di esser chiamati
ad una scelta consapevole e responsabile, che è il punto di partenza per
un impegno condiviso da docenti,
ragazzi e genitori. Eppure qualcuno
nel quartiere vorrebbe che noi rinunciassimo a tutto ciò. E allora noi invitiamo tutti a venirci a conoscere, prendendo parte alla nostra giornata open
19 dicembre 2009,
dalle 8.30 alle 13.00.
Per conoscere finalmente la nostra
isola… che c’è.
Carolina, Defne, Filippo, Luigi, Matteo
Studenti III liceo classico
Istituto Paritario Cattolico
“S.Maria degli Angeli”
C A P I TA N O N E M O,
N O N E S I TA R E !
(La mia vita tra i libri)
Sandro Morici
“Quando è opportuno, buttati nella mischia….non esitare”.
Così mi incoraggiava mia mamma quand’ero piccolo.
Ed io, a quell’età correvo in riva al mare.
D’inverno mi affacciavo sul parapetto a guardare
estasiato quella immensità. D’estate, invece, mi
immergevo nella massa d’acqua azzurra e avanzavo
verso la sua conquista, provando così la sensazione
esaltante di affrontare la mischia fragorosa delle onde
color argento, di tuffarmi nei gorghi spumeggianti e
scendere giù ad esplorare un mondo magico e tranquillo di alghe dondolanti sul fondo sabbioso. In quell’istante mi trasformavo in capitano Nemo che dall’oblò del suo Nautilus – era forse il vetro
della maschera incollata sulle mie guance – navigava per Ventimila leghe sotto i mari. Ogni
tanto il capitano lasciava il timone e si ritirava nella sua cabina. E lì, sul suo tavolo, accanto alle immancabili carte nautiche, c’era un libro illustrato che parlava di un burattino birbaccione e delle sue avventure. Pinocchio, appunto, con una sequela di guai, di accidenti,
di personaggi dalle peggiori devianze, salvato di continuo dalla fatina turchina, dal tocco
miracoloso come quello di una mamma. Altre fate, altri principi azzurri, altre favole che si
chiudevano col fatidico: “…e vissero felici e contenti”, non erano gradite a capitan Nemo,
perché…perché erano roba da femminucce. Più attraente risultava Salgari. E invece sul suo
comodino trovava posto un piccolo libretto di preghiere, …del mattino, …della sera, ove, tra
una pagina e l’altra inseriva, di tanto in tanto, immaginette di santi, quelli più simpatici, san
Domenico Savio, don Bosco, S. Antonio da Padova, san Giuseppe da Copertino, il protettore degli studenti al momento degli esami.
E già, il bambino ex-capitano Nemo, era cresciuto, era ormai uno studentello che aveva a
che fare con la sintassi latina, le equazioni di algebra, e si avviava ad aprire pagine sulla storia della filosofia. Andava ancora a passeggiare in riva al mare, ma ora teneva per mano una
ragazza dolce. Ancora una volta si era buttato nella mischia, aveva scelto.
Aveva scelto anche di impegnarsi negli studi. La scuola, le tante strade della conoscenza,
la curiosità degli sviluppi turbolenti della storia, le meraviglie dell’astronomia, i perché della
fisica, le astrazioni della matematica, il gusto delle correnti artistiche, il piacere di analizzare le sfumature poetiche dei “classici”: non molto Dante, meglio Boccaccio, i più apprezzati Carducci, Foscolo e il sommo Manzoni, e poi Verga e Pirandello. In quel periodo il leggere comandato, imposto dal professore esigente, si alternava con il leggere soffice, accattivante, gradevole, con i testi fantastici della collana Urania, i thriller della Christie, le opere
di Edgar A. Poe e di Mark Twain.
Dopo la laurea venne il momento di buttarsi nelle mischia del mondo del lavoro: la mente
del maturo ex-capitano Nemo era ora intessuta di argomenti di tecnologia avanzata, ma al
tempo stesso la lettura era rivolta a capire le mutazioni sempre più rapide della società. Nei
momenti di relax le preferenze erano per la letteratura italiana e americana del ‘900, in genere romanzieri che facevano sognare, ma anche filosofi come Russell e Croce, fino a giornalisti intelligenti come Sergio Zavoli, raffinato osservatore dei processi sociali in atto.
Insomma un percorso di arricchimento culturale “classico”.
Ma nel frattempo un forte bisogno di consolazione spirituale lo portava a rileggere e ad
approfondire autori di un secolare progetto di fede autentica, dall’antico quartetto MatteoMarco-Luca-Giovanni a Paolo di Tarso, assaporando le parole amorevoli di Madre Teresa di
Calcutta, fino ai Papi dei nostri giorni.
Oggi credo che il Nautilus abbia completato il suo lungo viaggio sotto i mari tempestosi e
stia emergendo. L’ormai anziano (ma arzillo) ex-capitano Nemo è passato dalle lettura impegnata, come quella di sana denuncia sociale (…Gomorra di Saviano) a quella più leggera di
Camilleri, di Beppe Severgnini, di De Crescenzo fino a Giorgio Forattini, con qualche sosta
di riflessione fugace presso Trilussa o Fedro: in realtà non trovate anche voi briciole di verità nella battuta umoristica o sarcastica? E infine con un sorriso sornione, catturato forse al
ritratto di Monna Lisa, in segno di riconoscimento ai tanti autori preferiti, quel capitano ha
preso in mano carta e penna ed ha consegnato alle stampe due piccoli libri (stavolta non più
letti ma scritti a proposito) della sua vita. Spiragli sul cortile e Oggi mi racconto sono semplici raccolte di altrettanto semplici momenti di meditazione da regalare agli amici: per l’ennesima una volta il nostro eroe ha provato la gioia di ripetere a sé stesso “Buttati nella
mischia, non esitare ! ”
Dimenticavo: in questi giorni sul mio comodino c’è Shantaram di Gregory David Roberts, un
bellissimo romanzo ambientato a Bombay. Shantaram è “l’uomo della pace di Dio”, che
chiude il libro (a pagina 1174) così.:“Che Dio ci aiuti. Che Dio ci perdoni. Continuiamo a
vivere”.
- 10 -
SORRISI
PAROLE DI LUCE
Alessandra Angeli
Fino a qualche anno fa la parola “mistico” mi ricordava solo quel gergo della
mia gioventù con cui si indicava qualche amico che aveva un atteggiamento
un po’ sibillino. Ora invece richiama alla mia mente chi è potuto penetrare nel
mistero più grande.
La sua riscoperta è andata di
pari passo con la mia conversione: da cattolica dormiente
ad anima dissetata ed assetata allo stesso tempo. In un
momento in cui la mia sensibilità fu risvegliata dal dolore,
mi ritrovai fra le mani degli
scritti di mistici e carismatici.
Solo qualche anno prima la
durezza del mio cuore me li
avrebbe fatti richiudere perché incomprensibili. Invece
cominciai a capire. Ora difficilmente riesco a leggere altro
e comunque rimango sempre nell’ambito della spiritualità cattolica.
I libri perciò sono stati e sono tuttora un compendio fondamentale nella
riscoperta delle fede: i tanti perché che mi tenevano lontana hanno trovato a
mano a mano le risposte. Una vera e propria guida che si è andata ad intrecciare in maniera imprescindibile ad una qualità e quantità di preghiera che
non mi era propria, alla riscoperta dei sacramenti e di circa duemila anni di
storia cristiana. Alle volte mi chiedo come ho fatto a vivere così tanto tempo
come una cieca. Ho la certezza di essere nata nella fede autentica, anche
perché le trasformazioni positive che ho visto fiorire dentro ed intorno a me,
hanno un risvolto nella vita pratica ben concreto. Ho cominciato e continuo
per fede, ma proseguo anche con una forte razionalità con cui esamino i
risultati: mantengo i piedi ben piantati per terra, ho una normalissima vita
come tanti, ma ho spazzato via ansie ed insicurezze guadagnando pace e
forza interiore. Incontro tanta gente che è come io ero, ed allora con parole
ma soprattutto con libri, cerco di porgere il Tesoro che ho trovato.
Ma ho un cruccio: arrivo solo a pochi, e tutti quei libri contenenti parole di
Luce restano chiusi tra quattro mura. Mentre, al contrario, abbonda tanta
carta stampata che veicola tenebre e instilla il dubbio; la sua diffusione
opera in maniera capillare tramite librerie, giornalai, supermercati ed addirittura autogrill. A ciò però non corrisponde una corrispettiva capillarità nella
diffusione di scritti che nutrano l’anima invece di distruggerla.
Viaggiando mi sono accorta che spesso solo le cittadine più grandi sono fornite di librerie specializzate sull’argomento; il resto del territorio è minuziosamente preda di “scorrerie e saccheggi”, complici televisione ed internet.
Spesso si coglie quello che ci si ritrova più a portata di mano, solo perché è
ciò che ci viene proposto con più immediatezza.
Non si sa che ci possono essere delle valide alternative.
Anch’io ho vissuto per anni in questa totale ignoranza. Sì, mi dico, i libri non
sono tutto: il nostro paese fortunatamente è disseminato di chiese; poi però
rifletto che non sono più piene come una volta, che le religiose e i sacerdoti
sono tanto diminuiti e talvolta scossi dalle “intemperie” del nostro tempo;
che le famiglie, anche quando non si sfasciano, tramandano sempre meno
fede e cultura cristiana. Allora sogno di aprire delle librerie spirituali sparse
nei più remoti angoletti d’Italia, come tante piccole luci nel buio, testimoni
senza tempo di quel Cristo che invece tanti stanno abbandonando.
Anche un miglior uso di internet servirebbe allo scopo.
Noi abitiamo a Roma, addirittura a due passi dal Vaticano: possiamo sfogliare tutti i testi che vogliamo.
Ma non tutti hanno questa fortuna; che il Signore ci benedica e ci aiuti a portare la Sua Parola a quelli che non hanno le nostre stesse opportunità.
Per mancanza di spazio, non riesco a menzionare nessun libro di quelli che
ho letto: e rifletto che ciò mi da modo di ricordare che la Verità è una, ma le
strade per raggiungerla sono molte. Dobbiamo far solo lo sforzo di buttar via
i nostri “scheletri nell’armadio”, darci una bella ripulita interiore per essere
in grado di comprendere veramente: il male che si annida comunque in ciascuno di noi, altera la comprensione del nostro intelletto e chiude il cuore.
Poi bussiamo alla Sua porta: nostro Padre ci sta aspettando, ha in serbo
parole di Luce per ciascuno di noi.
- 11 -
Gregorio Paparatti
Un bambino preistorico torna
alla caverna con la pagella
scolastica del primo trimestre. Mette il lastrone di pietra sul tavolo. Il padre lo
prende in mano, scuotendo la testa legge sconsolato e non si capacita. “ Il 4 in Italiano lo capisco: e’
poco che parliamo, sono le prime volte ! l 4 in
Matematica lo capisco: le nostre menti non sono
ancora sufficientemente evolute! Ma il 4 in Storia
no, te prego, so’ du’ stupudaggini !”
*
Squilla il telefono in ufficio. Il Carabiniere alza la
cornetta e dice: ‘ Chi osa rompere già a quest’ora?’
A quel punto si sente strillare dalla cornetta: ‘Lei
non ha la minima idea di chi sono io. Sono il
Generale !”
Il Carabiniere risponde: ‘ E lei sa chi sono io ?’
Il generale sbalordito risponde: ‘No.’
Il Carabiniere dice: ‘Che fortuna!’ e riaggancia la
cornetta.
*
Ospedale a Napoli. Il paziente al dottore: “Dottò,
ma l’operazione di appendicite è pericolosa?”
“Macchè. Solo a uno su mille succede qualcosa...”
“Dottò. A che nummero stammo?”
LE PILLOLE DITOMMY
Tommaso Carratelli
”Gli ostacoli sono quelle cose terribili che si
vedono quando si distoglie lo sguardo dall’ obiettivo.”
*
”Piu’ in alto cerchiamo di innalzarci più piccoli
sembriamo a quelli che non sanno volare.”
MA CHE LIBRI LEGGEVANO
GLI SCRITTORI ?
“Giornate di lettura”, Marcel Proust
“Le mie letture”, don Luigi Giussani
“Le parole”, Jean Paul Sartre
“Ore in biblioteca”, Virginia Woolf
“La biblioteca di Babele”, J. Luis Borges
“Libri per compagnia”, Paul Auster
“Tempo e racconto”, Paul Ricoeur
“I libri della mia vita”, Henry Miller
“Leggere a gesti”, Piero Innocenti
“I libri della mia vita”, Salamon Varlam
“La lettrice”, Annie Francois
IL LIBRO E’
UN’ OPERA DI CARITA’
Alfredo Palieri
A quattro anni mi spaventavano le orripilanti storie di
Pierino Porcospino e ascoltavo divertito quelle del
Prode Anselmo, il Crociato.
Nei soggiorni a letto con la
varicella, morbillo e orecchioni il libro Cuore non era
certo rallegrante ma aveva
sprazzi di bontà, sorrisi e
gioia.
Al contrario Gianburrasca
era divertentissimo. Noi
ragazzi di Villa Sciarra imitavamo le battaglie dei Ragazzi
della via Paal oppure quelle
di Sandokan e dei suoi pirati.
Viaggiavamo in compagnia
di Giulio Verne e del suo Giro
del mondo in 80 giorni.
Durante l’adolescenza, spinti da Franco Rodano, affrontavamo
gli scrittori russi: Tolstoi e Dostojevski con Delitto e Castigo,
Resurrezione, Guerra e Pace. Poi andammo sugli insegnamenti spirituali con i libri di Don Coiazzi, di padre Baragli, di
Piergiorgio Frassati e Fortunato Chiari.
A 20 anni ho letto Le confessioni di un italiano. Ippolito Nievo
le scrisse poco prima di morire (appena trentenne) immaginando di vivere fino ad 80 anni a cavallo tra il settecento e l’ottocento. E’ un libro profondissimo nell’esame degli stati d’animo
I LBRI CHE RICORDO
CON MAGGIOR
PIACERE
Bianca Maria Alfieri
Fin da quando ero adolescente amavo
molto la lettura, tanto che i miei familiari mi prendevano in giro, paragonandomi a un vecchietto del paese di mia
madre, che pur di leggere qualcosa, non
avendo la possibilità di comprarsi dei
libri, raccoglieva da terra i pezzi di giornale gettati via dai passanti. Vista la mia
passione, mio padre mi regalava rego-
dei personaggi molto ben individuati ed è anche un’esauriente
rassegna storica dell’Italia di quegli anni di continui mutamenti. Negli anni ’60 ecco la lettura di altre opere importanti: Il mulino del Po, Il dottor Zivago, il Gattopardo. Ho letto la vita di
Tommaso Moro e la sua Utopia, l’isola dove tutti lavorano e
accedono gratuitamente ai magazzini di viveri e di abbigliamento, secondo le proprie necessità, e senza denaro. Ho riletto
Cratilo che avevo già letto in latino al liceo e anche il De Bello
Gallico di Cesare e il De Germania di Tacito con l’appendice in
cui tratta delle operazioni in Britannia. E poi, ricordi di letture
varie come La storia dell’America di Van Loon, Matteo Ricci e
la sua opera in Cina, Indro Montanelli e la sua Storia d’Italia
preziosa quasi come L’Enciclopedia Storica Garzanti.
“I romanzi gialli sono ottimi per far lavorare il cervello.” diceva
Eisenhower. Ricordo che padre Baragli mi consigliava come
fioretto di lasciare le ultime pagine, rinunciando alla curiosità di
sapere chi è l’assassino. Devo dire che era proprio un fioretto
con i fiocchi! Una volta mi fu utile il sistema usato in un libro da
Philo Vance per sbloccare le porte di casa mia. C’è un libro a
cui sono molto affezionato. Si chiama “I luoghi della memoria”.
Mario Isnenghi ed altri sociologi analizzano tutti gli aspetti propri di noi italiani: il paese, la piazza ( con le sue processioni e i
comizi), i campanili, le chiese, l’oratorio, la grande Guerra, il
fascismo, la ricostruzione, il terrorismo, fino ai giorni nostri.
E gli scrittori di oggi? Il congiuntivo forse è un po’ scomparso,
forse ci sono un po’ di sgrammaticature. Colpe del ’68? Forse.
Ma non ci perdiamo d’animo. Val più la sostanza che l’apparenza( si fa per dire). Comunque sia i libri vanno digeriti, assorbiti
e, soprattutto, sono fatti per essere letti. Fanno ridere quei finti
dorsi di copertina esposti nei negozi di arredamento o quelle
enciclopedie intonse che troneggiano nelle librerie di salotti
vari. Gli inglesi dicono che la gioia di un pensionato consiste
nella vita di campagna, nella compagnia del proprio cane e,
soprattutto, in un buon libro ! I libri arricchiscono più del denaro. E l’arricchimento di cultura non è un lusso egoistico ma
un’azione di carità. Perché la cultura è una vera e propria opera
di carità verso chi ne ha bisogno.
larmente i volumi della “Scala d’Oro”,
che avevano il pregio di adattare alle
esigenze dei ragazzi i capolavori della
letteratura universale.
Cominciai così ad appassionarmi ai
grandi romanzi italiani, inglesi, russi
che poi avrei letto integralmente in
seguito. Subito dopo piansi a calde
lacrime su “La capanna dello zio Tom”,
poi furono i romanzi di Salgari ad affascinarmi, e forse da essi cominciò il mio
amore per l’India e l’Asia Orientale, che
in seguito doveva orientare le mie scelte universitarie. Alla fine del liceo mi fu
“permesso”(erano gli anni ‘50) di leggere “Via col vento”, che naturalmente,
nonostante la mole, divorai letteralmente in una sola notte.
Da allora scoprii gli americani, fino a
pochi anni prima proibiti dal Regime
lessi quasi tutti i libri di Hemingway,
commuovendomi per gli eroi di “Per chi
suona la campana”, “Addio alle armi”,
“II sole sorge ancora”, “Morte nel pomeriggio”, “II vecchio e il mare”. Mi piacquero i capolavori di Faulkner,
Steinbeck, Dos Passos, così come
“Figlio, figlio mio”, dell’inglese H.
Spring e quelli di Làwrènce: “Figli e
amanti”
e
“L’amante
di
Lady
Chatterley”, ma preferii di gran lunga i
grandi russi, da”Guerra e pace” di
Tolstoj a”Delitto e castigo” di
Dostojesky, a “Taras Bulba” di Gogol,
Fra i romanzi francesi mi appassionarono soprattutto “Madame Bovary” di
- 12 -
Flaubert,”Bel Ami” di Maupas’sant, e
“Tempo di vivere, tempo di morire” di
Remarque, mentre non riuscii mai a finire la “Recherche” di Proust.
Un po’ in ritardo ho conosciutio i sudamericani e mi hanno immediatamente
colpito i romanzi di Borgès, Varga
Llosa, Jorge Amado, Isabel Allende, ma
soprattutto “Cent’anni di solitudine” di
Gabriel Garcia Marquez e l’epopea di
Macondo. Un’emozione grandissima me
l’hanno data “Le memorie di Adriano”
della Yourcenar e, seppure m maniera
diversa, “La città della gioia” di D.
Lapierre, e “La mia Africa” di Karen
Blixen.
Più di recente ho letto con piacere “II
cacciatore di aquiloni” dell’afghano
Khaled Hossein, “II mio nome è Rosso”
e “Istanbul”, entrambi del turko Orhan
Pamuk, così come altri loro libri, e “La
masseria delle allodole” dell’armena
Arslan, che l’amica Lùcia Aiello mi fece
conoscere durante il viaggio in Armenia
della nostra parrocchia. Numerosi altri
libri mi sono rimasti nella memoria, ma
mi ci vorrebbe troppo spazio e tempo
per ricordarli tutti.
Fra i più recenti voglio citare “Vita” e
*’La lunga attesa dell’Angelo” della
Mazzucco, “Conversione” di Leonardo
Mondadori e Vittorio Messori, oltre al
coinvolgente “Il viaggio di Gesù” di
Franco Scaglia, che mi fatto tornare prepotentemente il desiderio di visitare la
Terra Santa.
LE BEATITUDINI
OGGI
Eugenia Rugolo
Come ricorderete qualche mese fa sul giornalino,
dal mio quaderno di appunti, scrivevo riguardo le
Beatitudini oggi, e a quanto possiamo ancora farne
un punto di riferimento per la nostra vita.
Secondo Gesù sono beati i poveri in spirito, sono
beati gli afflitti e sono beati i miti.
Prosegue il buon Gesù e chiama beato chi ha fame e
sete di giustizia: può essere intesa sia in senso
etico-politico sia in senso religioso.
Come imitazione della giustizia Divina, mi viene in
mente la giustizia di Giuseppe (uomo giusto) che
rifiuta di ripudiare Maria dopo aver appreso che era
incinta. Felice chi mira alla santità, chi nella luce di
Dio sa sognare grande. Infelice chi si ferma alle
mezze misure, chi vive la vita calcolando continuamente vantaggi e svantaggi delle scelte da compiere, chi ha paura di rischiare e di sbagliare.
Beati i misericordiosi: la misericordia è un atteggiamento proprio di chi si comporta nei confronti del
prossimo con benevolenza e pazienza e che arriva al
perdono, felice allora chi sa perdonare le offese ricevute. Infelice invece chi vive nel rancore, covando
spirito di vendetta, chi si porta in cuore questo tarlo,
a volte per mesi, per anni.
Beati i puri di cuore: la purezza di cuore non è limitata alla sfera sessuale, ma tutto il cuore, l’interiorità
di una persona, la sua genuinità, la sua sincerità.
Felice allora chi è assolutamente schietto, onesto,
pulito nelle relazioni interpersonali a cominciare
dalla testa, dai pensieri e dai desideri. Solo chi è pulito dentro riesce ad esserlo anche fuori negli atteggiamenti e nelle scelte di vita; La pulizia del cuore è
una cosa molto importante: basta un pugno di fango
per inquinare centinaia di litri di acqua limpida, rendendola disgustosa e imbevibile. Beati gli operatori
di pace. Ci sono tanti modi di essere operatori di
pace, lottando contro le guerre e le ingiustizie,
facendo così sentire anche in piazza la propria voce,
scegliendo al momento del voto, quelle forze politiche che meglio garantiscono di lavorare per la pace.
Sul piano personale gli operatori di pace sono i
costruttori di unità: in famiglia, in parrocchia, negli
ambienti di lavoro, nei gruppi. Tra gli operatori di
pace, oggi, sono molto importanti gli educatori, genitori, insegnanti, animatori che educano le giovani
generazioni al dialogo e all’accoglienza.
Felice chi sa costruire la pace, in ogni modo, consapevole del fatto che le infelicità più grandi sono quelle provocate dall’uomo che si scaglia contro il suo
fratello fino a ucciderlo, un pericoloso ritorno che si
va diffondendo della logica del più forte.
Beati voi quando vi insulteranno: sono le prove della
vita che attendono chi si pone alla sequela di Gesù:
incomprensione, maldicenza ecc.
Felice chi riesce a trovare un motivo per accettare
anche le prove della vita e sa dare un senso alla sofferenza. Il cristiano sa che non c’è prova senza grazia di Dio, che non esiste croce che le nostre spalle,
con l’aiuto di Dio, non riescono a reggere.
Triste è chi invece si arrende, chi non sa chiedere e
accettare l’aiuto che viene dalla fede e dalla solidarietà delle persone.
Vedete ! Questa è la Storia di Gesù in ognuno di noi.
Nessuno è fuori dalla salvezza, perchè nessuno è
fuori dal Suo Amore.
LEGGERE UN LIBRO
Roberto Vecchione
Parlare dei libri che si sono letti è sicuramente impresa non facile, soprattutto nel caso in cui la lettura venga considerata come un mezzo di arricchimento culturale. Viviamo in una
società dove i cambiamenti di opinione a 180°, le palinodie, gli stravolgimenti dei connotati ideologici di una
persona sono frequenti e non sempre
frutto di ragionamenti privi di interessi personali. Il cambiamento spesso è
il risultato di una sintesi dialettica,
una presa di coscienza di errori passati. Per molti si ha la metanoia,
ossia un avvicinamento del nostro
intelletto e del nostro cuore verso le
cose celesti, verso la Luce Divina.
Il pericolo sempre in agguato è la
malafede che ognuno, anche se
inconsapevolmente, porta dentro di
sé per cui si capisce se stessi solo
quando occorre; i pensieri mutano
secondo la convenienza; l’anima si considera come un essere con cui convivere secondo le regole della diplomazia e dell’opportunità; si ritiene di
non potersi conoscere o invece si regola la coscienza sulla base d’utilità
presente o futura. Anche la lettura di un libro può essere il risultato di un
procedimento mentale già precostituito utile a se stessi, ma privo di valore. Non è tanto dunque ciò che si legge quello che conta, ma l’interpretazione del testo per noi e per gli altri. Fare la scelta del libro da leggere può
essere frutto di un errore, perché si ritiene che possa dare piacere e vantaggio e non se ne capisce il messaggio. Un umile consiglio che do a me
stesso è quello di non pensare a ciò che è giusto fare e non fare, ma di
comportarsi, per quanto possibile, secondo gli insegnamenti lasciati da
Gesù. Nel Vangelo secondo Matteo (5, 1 – 12) si dice che i beati sono poveri in spirito, quelli che sono nel pianto, i miti, quelli che hanno fame e sete
di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia, gli insultati e i perseguitati perché vogliono il volere di Dio. Costoro saranno nel Regno dei Cieli, saranno consolati, erediteranno la terra, saranno saziati, troveranno misericordia, vedranno Dio,
saranno chiamati figli di Dio, avranno ricompensa nei cieli. Grande è quest’insegnamento di Gesù! Fra i vari libri che ho letto, quelli che più mi
hanno soddisfatto invitano ed esortano a vivere nonostante le difficoltà.
Voglio citare Henri Charriére (1906 – 1973), autore di Papillon e di Banco, il
quale riuscì a conquistarsi la libertà evadendo dall’isola del Diavolo, dopo
aver subito ingiustizia e soprusi nei peggiori sistemi del mondo per più di
13 anni. Non sappiamo se Charrière fosse credente, ma certamente mostrò
molta determinazione e coraggio, requisiti che non può non avere un cristiano se ritiene di esserlo secondo il volere di Dio.
CENTRO DI ASCOLTO CARITAS
S.PIO X
Via Attilio Friggeri 91
Martedì e Giovedì: 9,30 - 11,30
Venerdì: 16,30 - 18,30
Per ricevere informazioni si prega
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il Martedì dalle ore 16,30 alle 18,30
tel. 06.35343840 - cell. 328.1845917
Ausilio sociale - Pratiche amministrativeVisite Domiciliari - Accompagnamento
- 13 -
INTERVISTA A MASSIMO CORTI
DIRIGENTE DI ACAT
(Associazione Cristiani Anti Tortura)
A PROPOSITO
DELL’ANNO SACERDOTALE
(Considerazioni di un cristiano qualunque)
Cesare Catarinozzi
Luciano Milani
Come e quando è nata ACAT ?
Hélène Engel, un’ attiva settantaduenne,
assiste nel marzo 1974 alla conferenza che il
Pastore valdese italiano Tullio Vinay tiene a
Parigi, di ritorno dal Sud Vietnam. Nel suo
discorso Tullio Vinay descrive i trattamenti
inumani e le torture subite dai prigionieri
politici, chiusi nelle cosiddette “gabbie delle
tigri”. Racconta in dettaglio le torture subite da una giovane vietnamita,
arrestata per una poesia inneggiante alla pace, durante ben 345 sessioni di interrogatorio. Alla fine si sente nella sala il grido di Hélène: “E’
insostenibile! Come è possibile che i cristiani non reagiscono più?”,
“Per quanto tempo, noi cristiani, lasceremo sfigurare il viso del Cristo
senza reagire?”. Il 16 giugno nasce ACAT, gruppo cristiano ecumenico.
Hélène decide di “agire”, di mobilitare le chiese cristiane su un problema
così tragico. E in Italia? Il 2 aprile 1983, a Roma, il movimentocattolico
Rinascita Cristiana promuove un incontro per portare in Italia l’idea di
ACAT: parteciparono lo stesso Tullio Vinay, membri di ACAT Francia, tra
cui Jaqueline Westercamp, membri del Seminario Francese di Roma ed
amici che da allora sono parte attiva della ACAT Italia. La ACAT è nata
con lo scopo di combattere la tortura ovunque nel mondo, senza distinzione ideologica, etnica o religiosa. Successivamente dal 1982, l’abolizione della pena di morte sarà aggiunta al suo mandato, come pure la
difesa dei diritti umani in generale.
Quali sono le finalità dell’azione di ACAT?
Come accennato, le ACAT hanno lo scopo di combattere la tortura nel
mondo, senza distinzione ideologica, etnica o religiosa. Dal 1982, ACAT
lotta anche contro la pena di morte e per la difesa dei diritti umani in
generale. In molte parti del mondo il tabù della tortura sembra vacillare:
la paura –vera o simulata- del terrorismo ha portato vari governi a emanare norme più o meno in contrasto con i Diritti Umani, anche se a volte
camuffati sotto parole eufemistiche (ad es. abbiamo le “posizioni da
stress”, gli “interrogatori pressanti” o altre forme di tortura camuffate),
anche se ora, con Barak Obama, sembra che le cose possano cambiare,
almeno negli USA. Contro tutto questo, e contro la pena di morte, ACAT
agisce. Acat agisce come molte associazioni o ONG nel mondo, tramite
l’invio di lettere alle autorità dei paesi dove si pratica la tortura, la raccolta di petizioni, manifestazioni pubbliche, ecc.; tutte le volte che è possibile ci impegniamo sul territorio, sempre allo scopo di combattere la tortura e la pena di morte, senza disinteressarci dei Diritti dell’Uomo in
generale. Abbiamo in atto un premio di laurea di ben 3.500 Euro l’anno,
dal titolo “Una laurea per fermare la tortura” con l’obiettivo di spingere i
ragazzi universitari ad affrontare il tema della tortura e dei diritti umani.
Altro pilastro della nostra azione è la preghiera: dalla creazione nella
Genesi, al famoso salmo num.8, la Bibbia è piena di richiami alla dignità
dell’uomo. La tortura distrugge questa dignità, degradando sia la vittima
sia l’aguzzino. Cristo è stato torturato e noi preghiamo per evitare che
ciò avvenga di nuovo, fiduciosi nella sua resurrezione.
In che consiste l’ecumenismo di ACAT?
ACAT: un movimento ecumenico. La nostra Maria Elisa Fittoni, nella
introduzione alla tavola rotonda del 26 giugno scorso per il lancio ufficiale del Premio di Laurea, ha così illustrato l’ecumenismo di ACAT:
“L’ACAT è un movimento ecumenico, movimento che vuole fare incontrare, nella comune fede in Cristo e nello Spirito che opera negli uomini,
tutti coloro che in Cristo si riconoscono, al di là delle appartenenze di
Chiesa. Nel nome di Cristo agiamo e preghiamo tutti assieme, cattolici,
evangelici, protestanti, anglicani, ortodossi e quanti altri credono che
l’amore di Gesù e l’azione dello Spirito potranno realizzare il Regno dei
Cieli. Nei nostri incontri internazionali, solo successivamente, e non
sempre, sappiamo chi tra di noi è cattolico, e chi è anglicano o metodista. La lettera agli Ebrei dice:”Ricordatevi di quelli che sono in prigione,
come se foste anche voi prigionieri con loro. Ricordate quelli che sono
maltrattati, perché anche voi siete esseri umani”.
- 14 -
L’Anno Sacerdotale indetto dal Papa in appendice
all’Anno Paolino sta scorrendo velocemente. Convegni e
pellegrinaggi hanno avuto luogo in varie parti del mondo,
tra cui quello svoltosi in Francia presso la Casa del Santo
Curato d’Ars, nella scorsa estate ed al quale hanno partecipato oltre mille tra vescovi e sacerdoti. La penuria di
sacerdoti e religiosi affligge tutta la Chiesa e il prestito
precario di sacerdoti studenti fatto dall’Africa e
dall’America Latina alle nostre Diocesi è sempre più consistente.
Ripenso a quando nei paesi della mia Sabina ogni anno
si celebrava la prima Messa di un novello Levita nel tripudio di tutta la comunità cristiana. Soltanto nel mio paese
nativo, di appena 2000 anime, all’epoca in cui ne ero
Sindaco(e lo sono stato per oltre 16 anni) si contavano
ben 16 sacerdoti donati alla Chiesa tra diocesani e religiosi, a fronte di qualche centinaia donati dalla capitale
della cristianità, di circa 3.000.000 abitanti.
Non riesco a comprendere, per esempio , come la nostra
parrocchia S. Pio X non sia in grado di dare alla Chiesa
nemmeno un sacerdote all’anno. Eppure vi si svolge
un’attività pastorale assidua e inappuntabile, affidata ad
un parroco di grande preparazione sia teologica che
umanistico – pedagogica, né può dirsi che l’équipe di
sacerdoti che lo coadiuva sia da meno.
Si dirà che la crisi è generale. Ma se è così, quali le cause
e quali i rimedi che anche noi laici possiamo offrire per il
miglioramento della situazione vocazionale? Le cause
credo debbano ricercarsi nel processo di scristianizzazione in atto: basterebbe al riguardo riflettere sulla sentenza della Corte Europea di Strasburgo, che ha messo
fuori gioco addirittura il Crocifisso, in nome di una cattiva laicità, che presume di riscrivere in modo scandaloso
la storia e la cultura europea, che affonda le radici nel terreno fecondo del Cristianesimo. A tale causa, di natura
ideologica, si aggiunga l’altra, di natura pratica: l’affievolimento della morale e dell’etica. La vita del sacerdote, si
sa, è piena di sacrifici e di rinunce, che l’edonismo imperante induce a rifiutare. Allora, a prescindere dalla
costante preghiera al Padrone della vigna, perché mandi
abili vignaioli a coltivarla, come giustamente raccomanda il documento pontificio, cosa può suggerire un cristiano qualunque? Il discorso credo debba essere rivolto
alle nostre famiglie.
Sono loro che devono far comprendere ai loro figli la bellezza e la dignità del Sacerdozio. Esse quindi, per prime
devono avere la piena consapevolezza della grandezza di
questo Sacramento. Al riguardo, vorrei ricordare la commozione di Agostino espressa davanti al santo vescovo
Ambrogio prima che il sottile retore imperiale ricevesse il
Battesimo: “O vere veneranda sacerdotum dignitas in
quorum manibus Filius Dei venit sicut in utero Virginis
incarnetur (O eccelsa dignità dei sacerdoti, nelle cui mani
discende il Figlio di Dio nello stesso modo in cui si incarnò nel seno della Vergine!)”.
Mi piace ricordare il racconto della sua vocazione fatto
dall’Arcivescovo di Vienna Christoph Shomborn.
“A 17 anni – narra il Cardinale – andai a San Giovanni
Rotondo. Assistei alla Messa di Padre Pio. Ho avuto allora l’impressione di vedere la realtà del sacrificio di Cristo
come il velo del Sacramento per opera del frate sacerdote fosse caduto. In quel mattino cadde ogni dubbio sulla
mia vocazione. Tornai a casa. Dopo qualche giorno entrai
nello Studentato domenicano per diventare sacerdote”.
Lo scrittore russo Nikolai Gogol lasciò scritto: “Nel
momento in cui il sacerdote veste i paramenti per la
Messa si distingue da sé stesso per mostrare al mondo
di essere in persona Christi et in persona Ecclesiae”. Se
le nostre famiglie sapranno far comprendere ai loro
ragazzi la grande dignità del Sacerdote – fattore costitutivo del Mistero Eucaristico e Ministro della misericordia
di Dio nel Sacramento della Penitenza – sicuramente
susciteranno tra essi sante vocazioni nella nostra
Chiesa.
1453
LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI
Renato Ammannati
La corte bizantina ed il clero ortodosso fecero di tutto per convincere l’imperatore bizantino Costantino XI ad abbandonare la
città:
“In un’atmosfera carica di infausti presagi,
si fece il tentativo di convincere Costantino ad
abbandonare la città, ma egli si chiuse a lungo
nel silenzio e sparse lacrime.
Poi parlò loro come segue:
‘Lodo e ringrazio
per il vostro consiglio tutti voi,
perché, quello che dite, lo dite nel mio interesse.
Ma come potrei io fare questo e abbandonare
il clero, le chiese di Dio, l’impero ed il popolo tutto?
Cosa penserebbe di me il mondo?
Ditemelo, vi prego. No, signori miei, no:
morirò qui con voi’.
Smarrito, si inchinò di fronte a loro e nel suo dolore
lacrimò. Il patriarca e tutti i presenti
presero a piangere nel silenzio”.
Le mie letture preferite sono pescate nel mondo della saggistica, e perciò è là che troverei facilmente “i libri della mia vita”,
quelli che in un modo o nell’altro mi hanno lasciato una traccia
indelebile. Tuttavia, citandone solamente i titoli, perderei certamente da subito una bella quota di lettori che si apprestano a
leggere questo articolo.
Così, fra le letture meno impegnate e noiose cui mi sono dedicato, a parte i soliti polpettoni di Dan Brown e qualche altra fantastoria dello stesso genere, c’è un libro che ho letto non molto
tempo fa e che mi ha particolarmente impressionato, un libro
che difficilmente dimenticherò. L’autore è Roger Crowley, un
insegnante di inglese che, dopo essere uscito fresco dall’università di Cambridge, se n’è andato ad insegnare prima a Malta
e poi ad Istanbul. E dal soggiorno in quest’ultima città e dalla
visita ai suoi superbi monumenti ha tratto l’ispirazione per
scrivere un libro sugli ultimi mesi di vita di quella che
Costantino il Grande, il primo imperatore cristiano, volle come
nuova capitale dell’Impero. Il titolo dell’opera è, neanche a farlo
apposta, “1453. La caduta di Costantinopoli”.
È la storia, drammatica e commovente nello stesso tempo, di
una città abbandonata al suo destino, la cui caduta provocò in
tutta Europa un’impressione fortissima, ma che nessuna delle
nazioni occidentali si sognò di sostenere realmente prima e
durante l’assedio posto dagli ‘infedeli’. La città pare fosse
stata assediata, nel corso dei secoli, poco più di una ventina di
volte, ma non era mai caduta se non una volta soltanto. Aveva
resistito quasi miracolosamente a qualsiasi tentativo di assedio e assalto. L’oscura profezia pronunciata da Maometto,
riguardante le due grandi città del Mediterraneo, una volta capitali contemporaneamente del più longevo impero che la storia
abbia mai conosciuto, sembrava continuamente smentita.
Aveva infatti predetto, il fondatore della terza religione monoteista che si rifaceva ad Abramo, la caduta in mano musulmana delle due Rome.
I secoli passavano, ma Costantinopoli era sempre là, fuori del
dominio arabo. Invece fu proprio quell’anno, il 1453 appunto,
che la profezia si sarebbe, seppure parzialmente, avverata.
Nell’aprile del 1453 circa ottantamila soldati musulmani si
disposero per assediare la città sul Bosforo, dentro le cui mura
si contavano per la sua difesa non più di ottomila uomini.
Nella notte fra il 28 ed il 29 maggio dello stesso anno,
Costantinopoli si preparava a capitolare.
La mattina del 29 maggio, alle prime luci dell’alba, le armate
turche penetravano oltre le mura, squarciate da settimane di
intensi ed ininterrotti bombardamenti.
Mentre si issavano le bandiere del sultano sulle torri più alte
delle mura, nelle vie della città si diffondeva il terrore, la disperazione, il lutto.
Ad un primo momento in cui i soldati turchi si diedero al massacro spietato della popolazione, senza distinzione di età,
sesso, condizione sociale, seguì l’applicazione del precetto
musulmano di sgozzare solo i vecchi e catturare invece vivi i
giovani, in particolare “donne e bei fanciulli”, per chiederne poi
il riscatto, dopo però averli stuprati per bene.
Il momento più solenne e tragico insieme delle ultime ore di
Bisanzio fu tuttavia l’assalto alla grande chiesa di Santa Sofia.
All’interno si svolgevano i riti mattutini, dove il tono sommesso delle voci oranti dei sacerdoti si intrecciava con il singhiozzare disperato delle donne che avevano scelto una delle più
belle chiese della cristianità come ultimo rifugio contro la furia
musulmana. Appena all’interno, i soldati si gettarono sulle
donne per farne bottino e con rapidità spogliarono la chiesa di
tutto ciò che di prezioso possedeva. In brevissimo tempo, l’edificio sacro – scrive Crowley – si ridusse ad un guscio vuoto.
Dei trentamila abitanti della città, molti persero la vita in combattimento per difendere la propria casa, la propria famiglia, la
propria fede.
Quelli che si salvarono furono fatti schiavi e venduti, dopo
naturalmente essere stati costretti alla conversione forzata
all’Islam. Le navi cristiane, che il mattino del 29 maggio 1453
riuscirono a superare l’assedio della flotta musulmana, portarono in Occidente la notizia della caduta di Costantinopoli e la
morte in combattimento dell’imperatore.
Un sentimento di orrore e sgomento si diffuse in tutta l’Europa
cristiana.
Il 29 maggio 1453, in un solo giorno, furono cancellate le tracce della fede millenaria di tutto un popolo nel Figlio di Dio.
Sembravano così realizzarsi le oscure parole di Gesù:
“Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede
sulla terra ?”
Ultimamente mi torna alla memoria un ricordo d’infanzia. Marietta,
la contadina che ci abitava accanto in campagna: le sue mani, contorte e rugose per l’età; mani che,
anche se appena lavate, mantenevano sempre quell’ombra più
scura tra le pieghe, tipica di lavora la terra. Le rivedo aggiusta-
re con cura una carta variopinta che fino a poco prima rivestiva
non so più che cosa; ma ricordo bene quel gesto di spianare,
lisciare con cura quell’involucro prezioso per poi riporlo nel
cassetto del tavolo di legno.
Tengo ancora gli occhi chiusi e la mia mente va ora a tante mani
che strappano voracemente, gettandola poi dove capita, ancora della carta colorata per poi gettarsi a far lo stesso, non
paghe, su un altro pacchetto. Poi un altro ancora, e ancora.
Ripenso alle tante feste di Natale trascorse così. Alle tante feste
di compleanno dei bambini di oggi. Tra tante mani riconosco
anche le mie. Basta, mi dico, ora basta.
SCARTA LA CARTA !
Alessandra Angeli
- 15 -
Pubblichiamo con grande gioia il testo
del bellissimo discorso che Silvia
Laurita Longo ha letto in chiesa il 15
novembre scorso, giorno del ricordo
delle vittime della strada.
Le sue parole erano dedicate a tutte le
vittime della strada e, in particolare, ai
più giovani come il suo grandissimo
amico e nostro parrocchiano Gabriele
Gaglioti, scomparso purtroppo in un
tragico incidente la scorsa estate.
“GIORNO IN RICORDO
DELLE VITTIME
DELLA STRADA”
Silvia Laurita Longo
Le letture di oggi ci dicono che non sappiamo quando verrà il giorno e l’ora e che
per questo dobbiamo stare pronti.
Per Gabriele quel giorno è venuto due
mesi fa, quando una notte di agosto, a 18
anni, una macchina ha spinto la sua moto
sul guardrail dell’Aurelia. Certo non era
pronto, come non lo eravamo nessuno di
noi, e dal quel giorno l’angoscia, “come
non c’è mai stata dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo” come dice la prima
lettura, è entrata nel cuore di chi gli ha
voluto bene. Gabriele si faceva notare:
era sempre allegro, scherzoso e molto
giocherellone ma quando bisognava
essere seri diventava fin troppo maturo e
rigido nelle sue idee. Aveva solo una passione, che nessuno e in alcun modo è riuscito a levargli: le moto. Diceva di avere
un impegno inderogabile: vedere
Valentino la domenica, il suo mito.
E il suo sogno era di avere anche lui una
moto cosi potente.
Quel pomeriggio, mi chiamò e mi disse:
“Vado, vado, vado a prendere la moto con
papà”. La portò fino a casa e, orgogliosissimo, rimase mezz’ora a farmela vedere.
Era veramente felice, si vedeva dai suoi
occhi. E proprio questo, la sua passione,
appena due mesi fa l’ha portato via.
Come si può comprendere e capire la
morte di un ragazzo di appena 18 anni
credendo in Dio? Credo sia per un cristiano la prova più difficile, quella di accettare la morte di un innocente, di un giovane… In fondo tutti noi vorremmo che
morissero solo persone anziane, o
meglio, solo persone cattive, magari un
rapinatore in fuga, un ladro che cade dal
balcone.. Vorremmo che Dio evitasse
tutto questo dolore.
E allora la prima reazione, la mia ma
credo quella di tanti altri, è stata di rabbia: perché Dio ha permesso questo?
Perché, lui che vede e prevede tutto, non
ha deviato quella macchina o non ha fatto
in modo che la moto passasse un minuto
dopo? Perché, per una volta Dio, anziché
stargli a fianco non si è messo davanti a
lui?
Poi però, aiutata anche dagli altri, ho iniziato a capire che Dio non è una specie di
Mago che cambia l’ordine delle cose.
Dio lascia liberi tutti di fare le proprie
scelte e di prendere le proprie decisioni,
anche se queste possono essere sba-
gliate e pericolose. Se Dio fosse intervenuto quella sera, quante altre volte avrebbe dovuto intervenire? Non potrebbe
certo scegliere tra le vite da salvare,
dovrebbe impedire ogni giorno decine di
incidenti di moto, dovrebbe deviare le
pallottole di chi uccide un innocente,
dovrebbe prendere in braccio chi si getta
da un balcone per farla finita, dovrebbe
essere in ogni sala operatoria a guidare le
mani di un medico incapace, trasformare
le pastiglie o la polvere di chi si droga in
zucchero a velo… non credo sia possibile,e non sarebbe nemmeno giusto: se
sapessimo che ogni nostro gesto viene
corretto, sia pure a fin di bene, da un
angelo custode, cosa ne sarebbe della
libertà di ogni uomo di fare le proprie
scelte e di crescere dai propri errori?
Tutti possono sbagliare, Dio ci ha fatto un
grande dono, quello della Confessione.
Gesù ci perdona con il pentimento tutti i
nostri peccati ma non può ritirare il danno
fatto e spesso gli errori creano dolore e
angoscia agli altri.
Creare un incidente è un danno irreparabile, uccidere un ragazzo anche se involontariamente è un errore troppo grave
ma quante altre volte capita di ferire il
prossimo senza rendersene conto?
Dovremmo ricordarci che la vita non è
uno scherzo e neppure è lecito farne
quello che vogliamo seguendo capricci e
mode ma è una questione troppo importante perché quello che ci attende alla
fine è davvero definitivo: trovarsi di fronte al Padre e rendere conto di tutto.
Io non so dare una testimonianza sicura e
serena di quanto mi è successo: sono
ancora troppo coinvolta per trattare la
cosa con distacco; so però che mi ha aiutato molto, in questo periodo, il rivolgermi a Dio, il pregare lui ed ancor di più pregare insieme a tanti miei amici, molti dei
quali non entravano in chiesa da tanto
tempo. Mi ha aiutato l’affetto di chi mi sta
intorno, e mi ritengo fortunata di avere
comunque un punto fisso sul quale contare sempre: Dio.
So che quando, spesso, mi capita di
ripensare, di continuare a farmi domande
alle quali non so dare risposta e probabilmente non la saprò mai trovare, il solo
rivolgermi a Dio mi fa tirare un sospiro di
sollievo e mi da la forza di continuare a
sperare nella vita e in quanto di bello
ancora mi può riservare con accanto a me
sempre vivo il ricordo e l’amore di
Gabriele che dal cielo ci aiuta a capire il
valore della vita, che ormai troppo spesso
ci sfugge di vista. Gabri proteggici.
ASS. EUROPEA FAMILIARI
E VITTIME DELLA STRADA
ONLUS
In Europa sono circa 127 mila ogni anno le
persone che perdono la vita a causa degli
incidenti stradali. Di questi circa 7 mila
avvengono in Italia. Il 30% delle persone
coinvolte sono giovani di età compresa tra
i 15 e i 29 anni. L’associazione si propone
tra l’altro di salvaguardare le vittime di
incidenti ed i loro familiari, attraverso una
continua assistenza legale e psicologica.
www.vittime della strada.eu
tel. 800144789
- 16 -
ARRIVANO I NOSTRI
Autorizzazione del Tribunale n°89 del 6 marzo 2008
Direttore responsabile
Giulia Bondolfi
Terza pagina
don Paolo Tammi
Direttore editoriale
Marco Di Tillo
Collaboratori:
Lùcia Aiello, Bianca Maria Alfieri, Renato
Ammannati, Alessandra e Marco Angeli, Giancarlo
e Fabrizio Bianconi, Tommaso Carratelli, Cesare
Catarinozzi, Laura
e Giuseppe Del Coiro,
Gabriella Ambrosio De Luca, Anna Garibaldi,
Massimo Gatti, Pietro Gregori, Giampiero
Guadagni, Lucio e Silvia Laurita Longo, Giuliana
Lilli, don Roberto Maccioni, Maria Pia Maglia,
Luciano Milani, Cristian Molella, Alfonso
Molinaro, Sandro Morici, Alfredo Palieri,
Gregorio Paparatti, Giorgia Pergolini, Maria
Rossi, Eugenia Rugolo, Maria Lucia Saraceni,
Elena Scurpa, Francesco Tani, Stefano
Valariano, Gabriele, Roberto e Valerio Vecchione,
Celina e Giuseppe Zingale.
Stampato presso la Tipografia Medaglie d’Oro di via Appiano
I numeri arretrati li trovate online sul sito della parrocchia
www.sanpiodecimo.it
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lasciare una busta nella nostra buca di
posta presso la Segreteria Parrocchiale di
via Frioggeri. Oppure inviate una mail a:
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A PROPOSITO DI LIBRI !
Come molti di voi già sanno è uscito da poco
il libro scritto dal nostro parroco don Paolo
Tammi e dall’amico giornalista e nostro
collaboratore Giampiero Guadagni.
Diffondete, gente, diffondete!
“DA CHE
PALPITO
VIENE LA
PREDICA”
(Un prete
si racconta)
Paolo Tammi
Giampiero Guadagni
Edizioni Paoline
Euro 11,00
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