“ARRIVANO I NOSTRI ” I libri della nostra vita -1- Distribuzione gratuita Bollettino periodico dei giovani da 8 a 98 anni S . P i o X - Balduina www.sanpiodecimo.it Numero 27 Dicembre 2009 In questo numero: VANGELI, BIBBIA, EMILIO SALGARI,NATALIA GINZBURG, ERNEST HEMINGWAY, CARLO MARIA MARTINI, IGNAZIO SILONE, ISABEL ALLENDE, MARGARET MAZZANTINI, JULES VERNE, DANIELE MOSCHETTI, ISHMAEL BEAH, IL CANTICO DEI CANTICI, L’EVANGELO COME MI E’ STATO RIVELATO, TOLSTOJ, DOSTOEVSKIJ, CARLO CASSOLA, SOMERSET MAUGHAM, YASUNARI KAWABATA, KHALED HOSSEINI, KIPLING, ASIMOV, JOHN FOWLES, BRUCE CHATWIN, GEORGE ORWELL,MARK TWAIN,ROBERTO SAVIANO, FRANCO SCAGLIA,IPPOLITO NIEVO, INDRO MONTANELLI,ORHAN PAMUK, HENRI CHARRIERE, ROGER CROWLEY, JACK KEROUAC, ALESSANDRO MANZONI, ETC...ETC...ETC... E poi ancora: OCCIDENTE SENZA CRISTO (La Corte Europea e il crocifisso) LE BEATITUDINI OGGI (Beati i puri di cuore) L’ANNO SACERDOTALE (Considerazioni di un parrocchiano) ASS.CRISTIANI ANTI-TORTURA (Intervista al Presidente) SANTA MARIA DEGLI ANGELI (Scuola cattolica alla Balduina) IL LIBRO DI DON PAOLO (Da che palpito viene la predica) OCCIDENTE SENZA CRISTO Gabriele Vecchione Com’è sommessamente noto, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche, riscontrandone – all’unanimità – la violazione dell’art. 2 del protocollo 1 sul diritto all’istruzione e dell’art. 9 e sulla libertà di pensiero e di religione della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Madame Solie Lautsi, finlandese residente ad Abano Terme, ha adito la Corte Costituzione, il TAR, il Consiglio di Stato. Esauriti i ricorsi leciti in Italia e non credendo nel Padreterno s’è appellata alla suddetta Corte Europea. Sulla crisi dell’Europa, sui suoi problemi a definirsi oltre l’ambito commerciale, si sa molto. Tali problemi non ruotano attorno a reali o fantomatiche radici che – è lapalissiano – possono pure seccarsi e perdere la linfa vitale, ma riguardano il perché ed il come unirsi. La tenacia e l’ardire pluriannuale della finlandese fanno sospettare che dietro a lei agisca la longa manus di qualche organizzazione ostile alla Chiesa. Non possiamo dimenticare che molti eventi moderni e contemporanei fondanti la vessata identità europea siano stati ispirati da muratori e liberi pensatori di ogni risma: dalla Rivoluzione Francese all’Unità d’Italia. La psicosi da accerchiamento ha sempre prodotto monstra horribilia, ma Gesù Cristo, la Chiesa che ne porta la memoria e la vita nel mondo, sono sempre più invitati alla porta dell’attività umana – specie se occidentale - che ne reclama totale autonomia: e questo a prescindere dalla squallida condanna della Corte Europea. Si studia la storia, senza mai nominare Colui che l’ha divisa in due; si studia il diritto, senza menzionare quell’Uomo dalla cui predicazione è sorta l’attenzione per ogni singolo uomo, la dignità di tutti gli esseri umani, come attesta la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo; si studia la politica, dimenticando che fu Uno nella storia a desacralizzare i potenti di turno; si studia la medicina, senza considerare che fu Lui a toccare i lebbrosi, averne compassione, curarli. I malati sono diventati un ingombro, una cosa inguardabile. Vanno censurati, reietti, ostacolano il piano di rimozione del dolore che il genere umano ha progettato per non soffrire. Guardiamo tutto, pur di non guardare l’Inguardabile per eccellenza, Re di tutti i malati che vogliamo dolcemente togliere di torno. Quell’uomo che distende tanto eroicamente quanto umilmente le sue braccia sul legno maledetto ci ricorda che siamo nel mezzo di un deserto, che siamo un “essere-per-la-morte”, che siamo destinati comunque a gemere nella nostra precarietà assoluta. La viltà dei contemporanei vorrebbe – tuttalpiù – un Cristo politicamente corretto. Vorrebbe non un insegnamento, ma un’opinione da gettare nell’agorà; non la chiarezza e la fermezza del suo linguaggio – con invettiva, apostrofe e durezza - ma certe raffinatezze disgustose o accomodanti mezze verità; non una sofferenza pubblica che cammina cadendo per le vie di Gerusalemme, ma una morte nascosta ed edulcorata; non la resurrezione – anche col corpo - ma una banale memoria umana. Il relativismo dei Pilato odierni non sopporta che Cristo, l’inopportuno Gesù di Nazareth, possa parlare “sui tetti”, essere luce sul lucerniere; gradirebbe che tutto questo si riducesse alla dimensione che sembra essere la panacea di tutti i mali: ovviamente, si parla della dimensione privata, ennesima contraddi- zione della patologia egotica che è invece supportata e consigliata. Mentre il corpo viene messo alla mercé di telespettatori vogliosi ed il potere ed il danaro sono onori da vantare in pubblica piazza e tutto viene privato della pudicizia, certe cose che fanno imbarazzare i consessi della gente perbene devono rientrare nella dimensione privata della vita. Il crocifisso è imbarazzante, è inguardabile, rasenta il disgusto. E’ la morte di Dio. Sì, è vero, hanno ragione taluni a dire che non ha ragion d’essere sui muri il simbolo di un uomo ucciso, appeso, sputato, seviziato e dileggiato. E’ il segno di un’umanità che non scende a compromessi, che si assume la responsabilità di aver fatto bene, che non trama all’oscuro, che non mostra arroganza, ma mitezza, misericordia, decisione, fermezza: tutto il contrario di un mondo che ha abituato al culto sacrificale dell’apparenza, all’uso della menzogna come regola, alla mediocrità neanche tanto aurea. E’ un uomo che tace, ma non acconsente al disegno dei perversi che sconfigge facendosi loro vittima perché sa che il sacrificio è l’essenza della vita e dell’amore. E’ un uomo che non ha paura, non rifugge in semplici codardie. Di fronte all’assurdo è inerte; di fronte al male è potente; di fronte all’uomo sincero è tenerezza. Con due anni di vita pubblica, ha sbaragliato i potenti e tutta quanta la saggezza che la mente umana possa custodire. Il crocifisso – lo si capisce – è signum contradictionis. Fu il crocifisso a dire con l’autorità che mostrava senza rispetto umano: “Chi non è con me è contro di me” (Mt, 12, 30). Fu il crocifisso ad essere (non a condividere) dolore ed abbandono e fu dal crocifisso che un esercito di persone, transvolando i secoli, le regioni, le culture, ha tratto ispirazione per curare e alleviare gli abietti. Soprattutto per donarsi. Il crocifisso è donazione e non conservazione di sé, insegna che chi tiene per sé l’amore ed il proprio intuito in compartimenti stagni imputridisce: chi si dona, stando alla follia paradossale del legno maledetto, vince il mondo. Lo capì una donna di sinistra e di origine ebraica, Natalia Ginzburg, l’autrice de Il lessico famigliare, che su l’Unità del 22 marzo 1988 scrisse: “Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E’ l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? Sono quasi duemila anni che diciamo “prima di Cristo” e “dopo Cristo”. O vogliamo forse smettere di dire così? Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. E’ muto e silenzioso. C’è stato sempre. Dicono che da un crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi offesi gli scolari ebrei. Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato, e non è forse morto nel martirio, come è accaduto a milioni di ebrei nei lager? Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo... Prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi... A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola… Alcune parole di Cristo, le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto “ama il prossimo come te stesso”. Erano parole già scritte nell’Antico Testamento, ma sono divenute il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto... Il crocifisso queste parole non le evoca, perché siamo abituati a veder quel piccolo segno appeso, e tante volte ci sembra non altro che una parte del muro. Ma se ci viene di pensare che a dirle è stato Cristo, ci dispiace troppo che debba sparire dal muro quel piccolo segno… Il crocifisso fa parte della storia del mondo…” L’occidente appare sazio e soddisfatto, ma cova in sé l’angoscia del nulla e della distruzione. Forse, come già avevano intuito per l’Europa Benedetto Croce e Federico Chabod, ha ancora bisogno di Cristo e della sua Chiesa. -2- I LIBRI NELLA MIA VITA don Paolo Tammi Nella mia vita – tra le tante – ho avuto anche questa grazia: la possibilità di avvicinarmi alla cultura, in senso puramente oggettivo di conoscenza del pensiero, della storia del pensiero, dei contenuti affascinanti di tanto pensiero. Ho avuto la grazia di un papà che mi portavale domeniche pomeriggio a visitare le chiese di Roma e declamava – anche quando era schiacciato dal morbo di Parkinsons – intere terzine della Divina Commedia. A casa mia giravano libri. Giravano anche donne, tutte dei miei fratelli, poiché io – da buon ultimo – ero più sobrio. Ma giravano tanti, tanti libri. E giornali, e discussioni, e confronti politici talora aspri. A casa mia c’era una sola tv, e davanti a quella si stava tutti, e la tv – si sa – fa cultura, stavolta in senso soggettivo, ovvero comunica tradizioni, conoscenze che riguardano popoli, famiglie, spazi lontani. I miei primi libri furono quelli di Emilio Salgari. Papà mi insegnò subito che si diceva “Sàlgari” e non “Salgàri”. I mie professori delle medie dicevano – sante parole – che non tanto il contenuto era importante ma leggere e leggere. Chi legge impara a scrivere e a parlare. Pensate a cosa avrà letto il tribuno Di Pietro nella sua verde età...ricordo che da ragazzino tenevo il diario, una serie di scritti più piacevoli del tema di italiano, che però mi aiutavano nella sintesi, nella rilettura e nell’intimità, cioè nel piacere di rivedere da solo, ogni tanto, la mia vita. Più tardi conobbi Colui che mi era intimo, già da allora. Cominciai a leggere la Bibbia verso i diciotto anni, una sera – lo ricordo bene – che a casa c’era molta tensione. Mi sembrava naturale. Senza sapere nemmeno cosa fosse, mi rivolsi a un testo che diceva senza dubbio qualcosa di più alto, di più largo, di più lungo, di più profondo. Capii solo in seguito perché la Bibbia era il libro dei libri. Anche quella sera Qualcuno prese la mia mano e la indirizzò proprio lì. Più avanti compresi che la Bibbia era il libro più laico. Contiene infatti molte culture, molti generi letterari, la storia di molti popoli ed è il libro meno bacchettone della vicenda umana, perché parla di un Dio che guida le persone lasciandole libere di decidere. I pensieri di Mao-Tse-Tung sono molto più dirigisti. Il Capitale di Marx è una bella analisi della società e della storia, ma non fa pulsare il cuore. A casa mia entrarono gli uni e gli altri e io sbirciavo volentieri, ma la differenza e l’ulteriorità di Dio mi fu chiara da subito. Poi vennero i libri universitari, che divoravo e ripetevo ad alta voce. Non mi hanno lasciato granché se non una formazione della persona e del carattere e la possibilità di avere un titolo. Poi i libri di teologia, quando feci il grande passo, e tra questi alcuni li custodisco ancora. Altri non li ho venduti da Maraldi solo per rispetto dell’imprimatur. Conobbi spesso anche gli autori e mi resi conto che avevano scritto – alcuni – la loro vita, la loro testimonianza. Parlavano razionalmente di Dio ma la loro mente era ben più che un fascio di neuroni. Era una mente presa da Dio e c’era il santo proposi- to di far conoscere le bellezze di Dio, accessibili alla mente umana e non preda di pochi bigotti o cretini, come dice Odifreddi. Infine compresi che i veri libri sono quelli che – pochi, molto pochi – hai sottolineato fino a scarnificarne le pagine, che ti hanno accompagnato sempre, che vai a riprendere solo per la nostalgia di quel che hanno provocato nella vita tua o del periodo bello che hanno segnato. E sempre più mi resi conto del bisogno della sintesi. Della chiarezza, della trasparenza, della semplicità del lessico e dei contenuti. Chi scrive un libro può affascinare chi lo legge ma quel che conta è che gli lasci qualcosa. E che quell’idea, quell’immagine, quella metafora gli si stampi nella testa e lo accompagni per molto tempo. Guardo proprio ora, mentre scrivo, la mia biblioteca. Ci sono autori che hanno fatto la mia storia. Ci sono libri che ho regalato con la certezza che avrebbero fatto al donatario quello che hanno fatta a me di bene. A volte mi basta scorrere i titoli per sentirmi meglio. E penso a chi non ha cultura, cioè non ha avuto comunicazione dell’eccedenza di questo fatto rispetto alla vita ordinaria. Del fatto, cioè, che chi legge è più libero di chi non lo fa. Perché non sarà mai ignorante e mai dipendente dal primo cretino che capita, specializzato nel deridere o nello sfruttare gli incapaci. E mi convinco ancora di più che la formazione sia la frontiera di questo futuro che affrontiamo il quale – cancellando gran parte della cultura – ci lascia le zucche di Halloween, le isterie del Grande Fratello, le esternazioni di politici semi analfabeti e il 21 dicembre del 2012, nel quale tutti ormai credono come nella data in cui sarà la fine del mondo. Invece penso che la fine è già vicina anche per questo: quando gli uomini vendono la loro intelligenza e schiacciano inesorabilmente la loro testa, hanno fatto spazio alla menzogna e al suo principe, che nella Bibbia ha un nome certissimo. Però mantengo un garbato e sereno ottimismo e non mi perdo mai la Gialappa’s Band, ai membri della quale prima o poi erigerò in chiesa una statua, perché riescono a ironizzare su quanto di più becero e allucinante ci trasmetta la tv italiana. E con questo invito tutti a regalarsi un buon libro per Natale. -3- Tema proposto per il prossimo numero è: “MINISTRI DI DIO” I sacerdoti e le suore che abbiamo conosciuto nella nostra vita e che sono stati importanti e significativi per il nostro cammino di uomini e di cristiani. I MIEI LIBRI: SPECCHIO DELLA MIA ESISTENZA Cesare Catarinozzi Ero bambino quando, attento e pieno di curiosità, ascoltavo la voce di mio padre leggermi il primo romanzo della mia vita: “L’isola del tesoro” di Stevenson, nella stessa stanza dove, giocando con le biglie, facevo il Giro d’Italia con Coppi, Bartali e Magni. John Silver, il pirata con una gamba sola e la stampella, veniva affrontato da Jim, il ragazzo dal cuore intrepido. <<Pezzi da otto !>> gracchiava il pappagallo del pirata. Nel Paese, l’Italietta della ricostruzione postbellica, con De Gasperi. Da adolescente scoprii Salgari e il suo mondo fantastico di avventure. Percorrevo le giungle dell’India insieme a TremalNaik e Kammamuri, con Sandokan ( la tigre della Malesia) e Yanez davo la caccia alla terribile “tigre dell’India” Suyodhana e alla setta dei thugs. Seguivo il Corsaro Nero, che lottava contro il perfido Van Guld, uccisore dei suoi fratelli, ma si innamorò di sua figlia. L’amore vinse l’odio. Capitan Tempesta (la duchessa d’Eboli fintasi uomo) era il cavaliere invincibile, personaggio di spicco nella resistenza di Famagosta contro i turchi. Sconfisse in duello il leone di Damasco, ma poi tra i due nacque l’amore. Coppi Bartali e Magni avevano smesso di correre e si faceva strada un giovane ciclista francese, Jacques Anquetil, che strappò a Coppi il record dell’ora. Ma io non giocavo più con le biglie. E la democrazia in Italia andava consolidandosi. Scoprii “I Promessi Sposi”, che subito dopo studiai a scuola. Il personaggio femminile che preferivo non era Lucia, ma Geltrude, l’infelice monaca di Monza. Mi affascinava l’Innominato, con la sua conversione. Il difetto peggiore de’ “I Promessi Sposi”, dirà poi il mio professore di filosofia, è di essere studiato a scuola. Quindi amai la poesia spagnola: Garcia Lorca, Machado, Jimenez, mentre esplodeva la contestazione studentesca del 1968. e i Beatles conquistavano il mondo musicale. Scoprii l’humour anglosassone di Wodehouse, con il sapiente maggiordomo Jeeves. Ispirandomi a Wodehouse, scrissi alcuni racconti umoristici, che riportavano in Italia l’imitazione di quello stile. Di Ignazio Silone ho letto “Fontamara” e “Vino e pane”. Silone si definiva “un cristiano senza Chiesa e un socialista senza partito” e per un certo tempo sono stato così anch’io. Le mie ultime “cotte” in letteratura sono state la scrittrice cristiana Susanna Tamaro, l’autrice di “Va dove ti porta il cuore”, “Anima Mundi”, ecc. e Isabel Allende, cugina del presidente cileno Salvador Allende, ucciso durante il colpo di stato di Pinochet. Ho letto tra gli altri il libro “Paula” dedicato alla figlia morta. Sullo sfondo della lenta agonia di Paula la vicenda autobiografica di Isabel e della sua famiglia e quella, drammatica, delle vicende cilene. Un esempio di come realtà e fantasia possono incontrarsi ed intrecciarsi. Conosco lo spagnolo e leggere Isabel Allende in madrelingua è stato certamente una fortuna. Susanna Tamaro riflette il mio cammino spirituale adulto. Parte da una forte ricerca del Trascendente per arrivare poi ad una scelta precisa, quella cattolica. Questo percorso mi ha fatto perciò rispecchiare nei suoi libri, anch’io sono arrivato “dove mi ha portato il cuore”. Ma il mio amore, più che la poesia e il romanzo, è da tempo la saggistica, da “La piccola città” di Ferrarotti a “Montegrano” di Banfield. In particolare “Piccola città”, indagine svolta dal sociologo Franco Ferrarotti, mio maestro, a Castellamare di Stabia, intervistando tantissime persone, ha rafforzato in me il desiderio di dialogo. Abbiamo tutti da imparare gli uni dagli altri. Amo specialmente la saggistica religiosa ed i libri del cardinale Carlo Maria Martini. E’ animato anch’egli da un forte desiderio di dialogo, delinea un cristianesimo in continua evoluzione, suscita in me il desiderio di rimettere sempre in discussione le mie certezze. Le sue tesi sono considerate a volte ardite, ma a me piacciono e mi coinvolgono. Ma leggere è comunque sempre un’avventura. -4- LEGGERE ? PERCHE’ ? Maria Rossi Non pensavo che un simile argomento - i libri – mi avrebbe messo in crisi. Eppure è stato così. Forse perché tra i libri vivo da sempre, forse perché sono fondamentali per il lavoro che faccio, forse perché è stato “amore a prima vista” da quando ho cominciato a leggere nel lontano ottobre del ’56. Non ricordo, da allora, una Befana (siamo una famiglia romana e da noi i regali li ha sempre portati la vecchietta con la scopa), un compleanno o una ricorrenza senza l’arrivo di tanti libri. D’estate, nel paese dove andiamo, venivano le Figlie di San Paolo a portare e presentare libri per l’infanzia e l’adolescenza (le librerie erano allora molto scarse) e riuscivamo a strappare a mamma altri acquisti. “Strappare” non è il verbo adatto, perché mamma è sempre stata un’accanita lettrice e il gusto del libro, insieme a tanti suggerimenti, ce lo ha trasmesso lei. Andavo in bicicletta, giocavo al “fortino” o a nascondino con sorelle, cugini e amici ma, in particolare, nelle lunghe estati della mia infanzia e dell’adolescenza leggevo, leggevo tanto. Credo di aver letto di tutto. Per bambini, per adolescenti, per maschi e femmine, per ragazze e poi per adulti; classici di tutti i tipi, libri di avventura, libri rosa sentimentali e avvincenti libri gialli. Nella mia fantasia i corsari di Salgari si univano alle “Piccole donne” di Alcott, “Il birichino di papà” scopriva “l’isola misteriosa” o scendeva negli abissi con il Nautilus del capitano Nemo di Verne. E poi, i romanzieri russi (giganteschi e complessi) e quelli inglesi (i veri “inventori” del romanzo), quelli francesi e qualche spagnolo: un mondo straordinario e affascinante. Oggi continuo a leggere e leggo tanto, ho scoperto nuovi filoni, approfondito argomenti e interessi e tento, inutilmente purtroppo, di trasmettere questa passione ai miei studenti. Quando alla fine dell’anno, ogni anno, da tanti anni, suggerisco, segnalo e propongo letture estive, già so purtroppo dentro di me che - tranne qualche sporadica fortunata eccezione – la maggior parte di loro andrà su Internet a vedere di cosa parla il libro e, al massimo, a leggere qualche commento sullo stesso. Avvilente ma reale, del resto la discussione se l’e-book soppianterà il libro cartaceo è di questi ultimi giorni. Eppure mi ostino e continuo a segnalare e suggerire e, allora, eccomi qui a proporre due libri diversissimi tra loro. “Venuto al mondo” di M. Mazzantini è una storia di amore e di amicizia nell’assedio di Sarajevo, una guerra recente e vicina a noi e troppo presto dimenticata, con un figlio – Pietro – voluto a tutti i costi e sulla cui nascita domina un mistero che si svelerà solo nelle ultime pagine del romanzo. Non è un libro facile, non è un libro sereno, è in alcune pagine un libro duro e crudele, ma fa pensare e non scivola via. Ed io penso che se un libro ti fa pensare e riflettere, anche se questo avviene perché ti “disturba”, è di stimolo e di crescita. Il secondo è un libro di genere completamente diverso; è un libro che definirei di “spiritualità” e appartiene ad un settore a cui oggi mi rivolgo frequentemente, perché ci sono periodi nella vita in cui si sente la necessità di un nutrimento speciale. E’ un libro per chi, giovane, adulto o anziano, vuole pensare e riflettere, imparare a pregare e a ringraziare. L’autore è quello che io ritengo un “grande vecchio”, è il cardinal Martini e il libro si intitola “Qualcosa di così personale”. E’uscito da poco ed ha suscitato molti dibattiti e commenti, raccoglie diversi scritti importanti sulla Preghiera e una prefazione sentita ed emozionata di chi, ormai vecchio e quasi alla fine della sua vita, sente che anche la preghiera nell’anziano – come tutto – dovrebbe trasformarsi. Sente di dover imparare a pregare in modo nuovo. Figuratevi: Martini che deve “imparare” a pregare! Eppure è così. Una preghiera di ringraziamento, una sintesi della propria vita, una preghiera contemplativa, affettiva, vocale più che mentale è quella che Martini suggerisce ai vecchi come lui e, pur non avendo i suoi anni, ho amato le sue pagine e le sue riflessioni, perché è caratteristica propria della preghiera cristiana “lo Spirito che prega dentro di noi” a qualunque età. Così rispondiamo facilmente alla domanda iniziale: Libri = L-iete I-mmagini B-uoni R-icordi I-nteriori Buona lettura! “AFRICA EXPRESS” o I MIEI LIBRI D’AFRICA Il tema scelto per questo mese, “I Libri della mia vita”, e la peculiarità della rubrica che curo ogni mese mi impongono di parlare dei “libri africani della mia vita”. Ovviamente ho letto, specie negli ultimi anni, molti libri sull’Africa, sulla sua gente, sulla sua cultura, sulla sua storia e sulle sue tradizioni ma, se proprio devo indicare il libro che per la prima volta mi ha fatto appassionare a questo continente, non posso che tornare indietro negli anni, alla mia infanzia e cioè a quando, come tutti i ragazzi dell’epoca, leggendo libri di avventure mi sono imbattuto in Emilio Salgari. Qualcuno, forse, si chiederà cosa c’entri con l’Africa Emilio Salgari, lo scrittore nato a Verona nel 1862, visto che egli è famoso nel mondo per le grandi storie del ciclo dei pirati della Malesia, Sandokan, Yanez, la Perla di Labuan, Kammamuri e la sua splendida tigre Darma o per i romanzi dell’altro famoso ciclo dei pirati dei Caraibi, con il Corsaro Nero, sua figlia Jolanda ed i filibustieri che imperversavano in quei mari esotici. Intere generazioni di giovani hanno sognato leggendo i suoi romanzi. A me, infatti, dopo aver letto quasi tutti i libri di Sandokan e del Corsaro Nero capitò, cercandone di nuovi, di comprare un altro libro di Salgari, intitolato “I predoni del Sahara” che faceva parte della ampia, ma quasi del tutto sconosciuta, serie dei “romanzi d’africa”. Questo libro narra della spedizione del Marchese di Sartena, di origine corsa, e del suo fedele servitore italiano Rocco nel deserto del Sahara alla ricerca del colonnello francese Flatters, scomparso durante una missione. La descrizione fatta dal romanziere di posti come Timbuctù o Tafilelt, delle enormi distese desertiche al sud del Marocco o di popoli come i Tuareg o i Tibbù sono immediatamente entrati nella mia mente facendomi sognare il giorno in cui sarei, anche io, andato laggiù. Ovviamente erano solo fantasie adolescenziali ma, con tutta probabilità, è da lì che è nata la mia passione per la terra d’Africa. Andando avanti negli anni la fase sognatrice è inevitabilmente finita e, pian piano, ha lasciato spazio alla più razionale fase di ricerca della vita, della storia e della cultura africana. Tra i vari libri che ho letto sull’argomento ricordo con particolare piacere “Popoli d’Africa-Storia di un Continente” di John Iliffe che, nel 2000, ha avuto il grande pregio di farmi conoscere l’Africa sia sotto l’aspetto, per così dire, storico e geografico, con la descrizione dei suoi popoli, delle sue savane, delle foreste e deserti, che sotto l’aspetto più antropologico e sociale, dai primi tentativi di trasformazione coloniale alla nascita della industrializzazione, dalla tratta degli schiavi alla esplosione dell’Aids. Un altro libro, tra gli ultimi che ho avuto occasione di leggere, è “Ancora un Giorno” di Ryszard Kapuscinski, grandissimo reporter di guerra, di origini polacche, che nella sua carriera ha seguito, e descritto, ben 27 rivoluzioni (!). Nel libro egli racconta il caotico abbandono di Luanda, capitale dell’Angola, da parte dei portoghesi che scappano all’arrivo delle truppe rivoluzionarie. In questo caos l’autore trova il modo di descrivere anche alcune persone da lui incontrate, dalla soldatessa Carlotta, una ribelle che si ritrova con la divisa addosso ed un fucile in mano senza neanche sapere il perché, a Dona Cartagena, una vecchia abi- Lucio Laurita Longo tante di Luanda che non ha mai voluto abbandonare la città e la sua povera locanda, l’Hotel Tivoli neanche nel peggior momento della guerra. Vorrei, anche, ricordare “Il Vangelo nella discarica” del padre Comboniano Daniele Moschetti che descrive i suoi difficili sette anni di missione a Korogocho, una discarica di Nairobi di circa 1kmq ove vivono, accatastate nel più totale degrado, circa 120mila persone, senza elettricità, acqua e con a disposizione un “cesso” (non un bagno!) ogni 80/90 famiglie. E che dire de “La Freccia di Dio” di Chinua Achebe, un bellissimo romanzo in cui l’autore nigeriano descrive in modo mirabile e stringato, attraverso la figura del protagonista, Ezeulu, sacerdote di un Dio locale, la contrapposizione tra la cultura, la religione e le tradizioni dei colonizzatori bianchi e quelle delle popolazioni locali. Un posto a parte, però meritano le “Memorie di un soldato bambino” di Ishmael Beah che ne è, anche il reale protagonista. Egli racconta in modo stupendo la guerra civile in Sierra Leone nel 1993 quando, appena dodicenne, viene fatto prigioniero, con il fratello minore Junior ed altri due amici, da una banda di ribelli che, dopo aver dato fuoco al loro villaggio ed ucciso quasi tutti i suoi abitanti, li trascinano con loro nella foresta e li “arruolano” per combattere ed uccidere i governativi sotto l’influsso della droga. Da quel momento il giovanissimo protagonista non vedrà più il suo villaggio, la sua casa ed i suoi genitori, dopo poco assisterà alla morte del fratello e, come unico oggetto personale avrà il suo mitra. Dopo circa due anni di questo inferno viene fatto prigioniero e, data la sua età, consegnato alla Croce Rossa Internazionale. Ishmael, pian piano, e grazie alle cure ed materne ed all’amore di una infermiera, ritorna alla vita normale. Questo libro è una testimonianza assolutamente vera di quella immane, quotidiana, tragedia africana dove migliaia di bambini, anziché giocare, studiare e crescere nella speranza di un futuro migliore uccidono, o vengono a loro volta uccisi, senza un perché o, peggio ancora, solo per soddisfare la sete di potere degli adulti. Questi, ovviamente insieme ad altri, sono stati i libri della mia “vita” africana. -5- L’ANGOLO DELLA CUCINA RISO AL LATTE DI COCCO (Nigeria) Mezzo chilo di riso, 750 ml. di latte di cocco, mezzo litro di brodo di carne, 1 cipolla, sale e pepe. In una pentola, possibilmente di coccio, versare metà del brodo di carne e portatelo ad ebollizione. Versate, quindi, il riso, il latte di cocco e la cipolla che avrete prima tritato. Condite con il sale ed il pepe a piacimento. Proseguire la cottura per circa 20 minuti aggiungendo, ogni tanto, il brodo tiepido in modo che il tutto non asciughi troppo. Servite il tutto appena terminata la cottura. A PROPOSITO DI LIBRI: SE L’AMORE SI FA POESIA “ L’EVANGELO COME MI E’ STATO RIVELATO ” Celina e Giuseppe Zingale L’interesse per il tema di questo numero ci ha subito orientati verso due letture “preferite” che vorremmo condividere. “ IL CANTICO DEI CANTICI ” Ogni giorno di più la cronaca sembra determinata nel tentativo subdolo di minare nella sua più profonda essenza la dimensione più sacra della vita umana: l’amore nelle sue più alte espressioni e ricchezza di sfumature. Se ne sbiadisce la forza del dono, prorompente al punto d’essere, per volere divino, canale di trasmissione della vita; se ne sfumano i contorni delicati e soavi in nome di una presunta libertà; si tenta di chiamare con questo nome quanto invece troppo spesso ne è l’esatto contrario. Svuotare l’amore dell’Amore genera vuoto, delusione, paura; ma se è vero tutto ciò, è vero anche che il baratro che ciò lascia intravedere, accende il desiderio di riconquistarne l’originaria purezza, quel magnifico riflesso di Dio. Amore è quello di una mamma per ogni figlio, quello di due innamorati che sognano l’avvenire insieme, amore è il sentimento che alimenta la vera amicizia, amore è sempre comunque il dono di sè fino al dimenticarsi e perdersi nell’altro e, quando l’Altro è Dio, l’Amore non può che essere sacro e viverlo nella forma della vocazione propria di ciascuno è vivere in santità, per la santità. Se attingiamo alla Sacra scrittura rintracciamo le tappe di un Amore che non ha confini e rintracciamo anche tra gli altri Scritti “Il Cantico dei Cantici”, una raccolta di canti d’amore attribuito a Salomone. E’ Il cantico per eccellenza, il più bel cantico. Questo libro, che non fa diretto riferimento a Dio, usa il linguaggio di un amore passionale, terreno che ha sempre meravigliato gli esegeti. E’ molto antica l’interpretazione allegorica divenuta comune presso gli ebrei già dal II sec. d.C.,secondo cui è quella l’epressione dell’amore di Dio per Israele e del suo popolo per Dio, espresso con chiari riferimenti all’amore tra due sposi; altro riferimento allegorico è quello all’amore di Cristo per la Chiesa sua sposa. Il Cantico non segue un piano prestabilito, è una raccolta di canti uniti solo da un soggetto comune: l’Amore! Leggerlo è davvero un’eperienza unica per le risonanze diverse che può evocare nel cuore di ciascuno, è come se ci appartenesse tutti, è una parte di noi. E’ come un invito che ciascuno riceve ad uscire dal proprio ambito per entrare attraverso il Cantico nella libertà della natura, nella libertà della parola di Dio che non disdegna di farsi parola di uomo. Non è facile comprenderlo, nonostante la sua immediatezza espressiva. Abbiamo ricercato diverse interpretazioni e commenti, ci siamo soffermati in particolare sulle interessantissime spiegazioni e sfumature che ne dà Gianfranco Ravasi. E’ la celebrazione della coppia umana nella grandiosa esaltazione della propria unione; ma il Cantico dei cantici conosce anche l’oscurità, il timore, il silenzio e allora il pensiero corre alla coppia “spezzata” per il silenzio dell’amore o spezzata dal silenzio della morte. Si delinea il sentimento dell’amore come sentimento e realtà delicatissima, impegnativa che esige continuità e fedeltà. Non muore con il silenzio, non muore per un istante di gelo. Il Cantico dei cantici privilegia infatti i toni della gioia, perchè è bello amare, vivere cioè l’esperienza più alta ed esaltante. L’amore è più forte della morte, l’amore ha in sè il sigillo dell’eterno. Il Cantico dei cantici è come fosse un’opera aperta, un’opera nella quale tutti dovranno poi scrivere la loro riga conclusiva perchè ripete ininterrottamente l’impegno dell’amore, è il “pentateuco dell’amore”, è poesia, è libertà. Va letto e ascoltato con il cuore come la musica di un genio, un flusso sonoro che si conquista e ci conquista. Ma scorrendone la musicalità dei versi si fa sempre più pressante la domanda se è Il Cantico dei cantici un poema d’amore umano o poema mistico. La risposta dice Ravasi non ammette questa dicotomia perchè come diceva Pascal “Se esite l’amore, esiste Dio”! L’amore concreto è il frammento del tutto, dell’amore perfetto. E Dio è Amore! Per questa ragione Il Cantico dei cantici è stato definito da sempre il libro dell’Amore che ci insegna a ricercare un amore supremo, quell’Amore che tutta la Bibbia celebre ed esalta. L’Amore è una realtà che non possediamo, è sempre come il sole che sta sopra di noi. Ma quel sole entra dentro di noi, ci percorre, ci attraversa, ci alimenta, ci trasforma. Questo è l’Amore. Questa è l’esperienza di Dio fino al giorno in cui entreremo nell’Eternità. E concludendo sempre con le parole di Ravasi: la cosa più mirabile che Dio abbia fatto, la più misteriosa, la più affascinante è far sì che l’uomo sia capace di amare e di amarLo. La parola decisiva che Dio continua a bisbigliare al cuore dell’uomo è AMORE! Ancora oggi Dio parla all’uomo e lo interpella, tanti gli scritti che ce lo attestano. Addentriamoci allora in quest’altra particolare modalità che ci manifesta l’Amore di Gesù, Il Verbo di Dio, per noi.“Le ragioni che mi hanno mosso ad illuminare e a dettare episodi e parole miei al piccolo Giovanni sono, oltre alla gioia di comunicare una esatta cognizione di Me a quest’anima- vittima e amante, molteplici. Ma in tutte ne è anima l’amore mio per la Chiesa, sia docente che militante, e il desiderio di aiutare le anime nella loro ascesa verso la perfezione. La conoscenza di Me è aiuto all’ascesa. La mia Parola è Vita” Con queste parole (attribuite a Gesù) inizia il capitolo 652 “Commiato all’Opera” del decimo volume dell’opera di Maria Valtorta, nell’edizione 1998, curata da Emilio Pisani e pubblicata dal Centro Editoriale Valtortiano srl con il nuovo titolo “L’Evangelo come mi è stato rivelato”. Nella copertina di tutti i volumi si legge: ”L’Opera di Maria Valtorta non aggiunge nulla alla Rivelazione e non è il quinto Vangelo, ma completa ed illustra, nella forma di una rivelazione privata, la narrazione dei quattro Vangeli …….. “ Dalla medesima copertina si evince che, malgrado l’assenso (ufficioso e privato) di papa Pio XII che - nell’udienza a tre religiosi Serviti del 26 febbraio 1948 – consigliò di pubblicarla “così come sta”; il Sant’Uffizio, con decreto del 16 dicembre 1959 mise all’Indice la sua prima edizione. Dopo la soppressione dell’Indice dei libri proibiti vengono inoltre ricordati alcuni successivi chiarimenti dell’autorità ecclesiastica, in particolare la lettera inviata il 31 gennaio 1985 dal card. Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant’Uffizio) al card. Siri, Arcivescovo di Genova e quella inviata il 6 maggio 1992 da mons. Dionigi Tettamanzi, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, all’editore dell’opera Emilio Pisani da cui “traspare che l’autorità ecclesiastica permette la lettura dell’Opera a tutti i cattolici senza distinzione alcuna, alla sola condizione che essi non la ritengano di origine soprannaturale” Nel sito internet “www. mariavaltorta.com” abbiamo trovato molte notizie sulla vita e gli scritti dell’autrice (nata a Caserta il 14.3.1987 e morta a Viareggio il 12.10. 1961); in particolare, con riferimento all’opera sopracitata, si legge: “La raccolta narra la vita di Gesù, riportando episodi e fatti di vita quotidiana che non compaiono nei Vangeli canonici o che compaiono in forma ridotta. Maria Valtorta (chiamata da Gesù “piccolo Giovanni”) ha sempre sostenuto di non essere lei ad inventare i nuovi episodi della biografia di Cristo, bensì di essersi limitata a descrivere minuziosamente delle “visioni” di carattere mistico che ella ammetteva di avere e che riteneva esserle inviate da Gesù stesso e dalla Beata Vergine Maria. Letterariamente elevata, l’opera descrive paesaggi, ambienti, persone, eventi con la vivezza di una rappresentazione, espone gioie e drammi con il sentimento di chi vi partecipa realmente; informa su caratteristiche ambientali, usanze, riti, culture, con particolari ineccepibili Attraverso l’avvincente racconto della vita di Gesù l’opera illustra tutta la dottrina del cristianesimo secondo l’ortodossia cattolica”. Abbiamo conosciuto l’opera della Valtorta per caso, grazie ad alcuni volumi trovati sistemando la libreria di un parente ; confessiamo che all’inizio eravamo un po’ prevenuti, pensavamo infatti si trattasse di un testo “mistico” e quindi forse poco adatto per chi, come noi, ha poca dimestichezza con tali testi e, per di più, poco “ortodosso”, data l’iniziale messa all’indice. La lettura di alcuni brani ci ha fatto presto ricredere, sembra veramente di rivivere ed assistere “in diretta” a tutto quanto viene raccontato, si mettono in luce tantissimi avvenimenti (molti mai narrati) e persone (di cui sovente è descritto anche il profilo psicologico) e viene spesso data una spiegazione “supplementare” e per molti versi nuova, di parole, episodi, parabole che ci erono rimasti oscuri o che avevamo capito solo parzialmente. Quello che ne abbiamo ricavato è una illuminazione dello spirito ed una compartecipazione del cuore che non ricordiamo di aver provato così viva ed efficace dalla lettura di altri testi. Intendiamoci, non si tratta certamente di un libro consigliabile a tutti perché, se non altro, va letto in momenti di tranquillità anche per poter assimilare avvenimenti, situazioni o la profondità di parole che, più che descritti o riportate, si presentono quasi come fotografati o registrate alla fonte. Per concludere questo piccolissimo “flash” dell’opera valtortiana – che, per la verità, dobbiamo ancora terminare di leggere – ci piace ricordare alcune parole di Gesù (sempre riportate nel capitolo 652 dell’ultimo volume del’opera), rivolte direttamente ai lettori del libro in risposta alle possibili obiezioni o “stupori scandalizzati” che potrebbero essere fatte a quanto narrato : “ ….Io vi rispondo che non fu, con quest’opera, fatta aggiunta alla Rivelazione, ma ricolmate le lacune che si erono prodotte per cause naturali e voleri soprannaturali. E se Io mi sono voluto compiacere di ricostruire il quadro della mia divina Carità, così come fa un restauratore di mosaici che rimette le tessere deteriorate o mancanti, restituendo al mosaico la sua completa bellezza, e mi sono riservato di farlo in questo secolo nel quale l’Umanità precipita verso l’Abisso di tenebre e di orrore, potete voi vietarmelo? Potete forse dire di non averne bisogno, voi dallo spirito così annebbiato, sordo, illanguidito, alle luci, voci ed inviti dell’Alto” E ancora vi dico:“Prendete, prendete quest’opera e “non sigillatela “, ma leggetela e fatela leggere “perché il tempo è vicino” (Giovanni, Apocalisse , cap.22, vol. 10) e chi è santo si faccia ancora più santo (vol. 11)” -6- IL MATRIMONIO COMBINATO NON E’ POI COSI’ MALE ! Giulia Bondolfi E’ stato un matrimonio combinato e per giunta d’interesse. Avevo solo dodici anni e il primo incontro avvenne d’estate sotto l’ombrellone. Da quel giorno nacque l’amore, un amore a prima vista un po’ interessato potremmo dire, ma amore che è andato via via crescendo e non mi ha mai né abbandonato né tanto meno tradito. Era in alto, bello, finemente rilegato sulla libreria paterna nella sezione dedicata alla letteratura russa, molto apprezzata da entrambi i miei genitori. E’ così che mi avvicinai per la prima volte a lui, Lev Tolstoj, e al suo “ Guerra e Pace”, libro che mi avrebbe fatto risultare agli occhi della mia famiglia finalmente intelligente e addirittura colta. Avevo avuto un’accesa discussione con mia madre che non amava che io leggessi i fotoromanzi. Li definiva letture sciocche e io avrei fatto di tutto per risultare una ragazza intelligente, cosa che in realtà forse non ero affatto. Amavo l’amore come tutte le adolescenti e la lettura dei fotoromanzi infiammava facilmente il mio cuore. Quell’ estate nascosi accuratamente il fotoromanzo di turno che tanto amavo sotto il materasso e incominciai a sfogliare in spiaggia “ Guerra e Pace”. I commenti non tardarono ad arrivare: “ Brava Giulia, hai sostituito quelli stupidi giornaletti ad un libro bellissimo, ma non è un po’ troppo difficile per te?”. E così, tanto per tenere testa a questa sfida con mia madre, incominciai per davvero a leggere “Guerra e Pace”. Lentamente rimasi affascinata dallo charme del principe Andrej, saltando però sistematicamente tutte le pagine storiche del libro. Ancora oggi infatti mi riprometto di rileggerlo con una testa adulta. Chissà se mi annoierebbe? Quella estate passò molto presto in compagnia di Tolstoj e mi accorsi che la lettura mi faceva sentire meno sola e riusciva a farmi sognare l’amore. Continuai con il filone russo “Anna Karenina”, “L’idiota” e infine “Delitto e Castigo” di Dostoevskij. Tutto era nato come una sfida e poi si era dimostrato un meraviglioso piacere. In questi anni sono passata un po’ da tutti i generi ( romanzi, saggistica, poesie) e per diversi autori partendo dalla lettera russa mi sono spinta ad autori dell’estremo oriente (Cina, Giappone,) ho toccato i vari continenti della terra attraverso i suoi scrittori ( le Americhe, L’Europa, L’Africa e L’Oceania) senza però mai interrompere questo meraviglioso rapporto di amore e passione che ho per i libri. Ho notato che, a seconda delle stagioni della vita, si può leggere lo stesso libro diversamente ed è per questo che mi riprometto se avrò tempo di rileggere dei libri che per me hanno segnato un punto di partenza come “La Ragazza di Bube” di Carlo Cassola o “La casa delle Belle Addormentate” di Yasunari Kawabata. Il massimo del piacere è fare incursioni nelle librerie e nelle biblioteche, annusare l’odore della carta , toccare la consistenza dei libri e ammirare l’eleganza delle varie edizioni. Adoro scoprire nuovi filoni di lettura ma non disdegno, quando stimo qualcuno, consigli preziosi su un autore che non conosco. Niente mi rende più felice che tornare da un libro, a cui corro trepidante dopo una giornata di lavoro, per rincontrarlo. C’è il detto “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. Io preferisco pensare “Dimmi cosa leggi e ti dirò cosa provi”. I LIBRI DELLA MIA VITA Giancarlo Bianconi Arrampicato sulla scala con il preciso intendimento di recuperare un po’ di spazio nella mia libreria l’occhio mi cade sul dorso del primo dei libri ordinatamente allineati nello scaffale, e leggo: W. S. Maugham,” Il filo del rasoio”. Leggere questo titolo e ritrovarmi seduto davanti alla cattedra a sostenere il mio primo esame all’Università, “Istituzione di Diritto Privato”, è stato un tutt’uno. E, cosa davvero sorprendente, avverto nuovamente le stesse sensazioni, quasi fisiche direi, di allora: trepidazione, nell’attesa di essere chiamato; paura, divenuta vero e proprio panico nel momento del fatidico «vediamo un po’ .... mi parli di ...»; quindi sollievo perché l’argomento oggetto della domanda l’ho ben presente, seguìto da una certa tranquillità sino alla prima incertezza che mi fa perdere tutta la mia sicurezza. Infine disappunto, quando il professore mi affida, come tutti gli altri miei colleghi che mi avevano preceduto del resto, alle “cure” di uno degli assistenti componenti la commissione esaminatrice. Solo che a me capita – e come te sbaji, mi dico - quello noto per essere, come si diceva all’epoca, una …“vera carogna”, che, infatti, mi ha messo subito in seria difficoltà con domande sul “matrimonio”, argomento di sua specifica competenza e, detto inter nos, non propriamente della mia (forse già da allora una larvata e inconsapevole mia intolleranza di natura allergica all’istituzione?). Disappunto, che diviene furore misto a terrore quando, terminata l’interrogazione, nel corso dello scambio di opinioni fra il professore e l’assistente in ordine alla valutazione da dare al mio esame, dalle espressioni dei loro volti, intuisco che sto correndo il rischio di una bocciatura propugnata, manco a dirlo, dall’assistente. Appena-appena un po’ tranquillizzato subito dopo quando ho l’impressione che il professore non sia del tutto d’accordo in proposito. Infine il sollievo per lo scampato pericolo con l’annuncio del professore, e che ancora odo nelle orecchie: “Non posso darle ventiquattro perché l’ho dato alla sua collega di prima che ha risposto sensibilmente meglio di lei; ma non posso darle neanche ventitré perché lei ha risposto decisamente meglio del suo collega che l’ha immediatamente preceduto; pertanto le do ventitré accompagnato da questo caffè-freddo or ora servitomi dal cameriere e che mi permetto di offrirle”. Il mio imbranatissimo rifiuto viene, però, d’un subito superato con decisa fermezza del professor Andrea Torrente, non disgiunta da una squisita signorilità che, debbo dire, era una delle sue caratteristiche peculiari, e quindi costretto, anzi quasi violentato, ad accettare il suo invito. Più che berlo quel caffè-freddo lo trangugio d’un fiato. E da allora l’esito del mio primo esame è sempre rimasto: “ventitré e caffè-freddo”. Terminata la rievocazione, storica per così dire, del mio primo esame universitario, sempre fermo sulla scala dove sono arrampicato, mi sorprendo a riflettere sull’importanza che per me deve aver avuto quel libro se, dopo circa un cinquantennio, al solo vederlo è stato ancora capace di farmi rivivere quei momenti in modo così netto e preciso. Ecco, allora, immediatamente un quesito: come conciliare questa sorta di constatazione (o scoperta), con la definizione data dal dizionario della lingua italiana secondo la quale il termine importante sta a significare tutto ciò che può implicare serie conseguenze? Nel caso specifico, infatti, non mi sembra proprio di poter affermare che questa rievocazione possa essere considerata come una seria conseguenza. Quindi ho l’impressione che un libro, come del resto anche un fiore, un profumo non abbia di per sé l’attitudine a suscitare mutamenti significativi nell’esistenza di un individuo che, invece, possono verificarsi solo se e in quanto l’individuo interessato è pronto a recepirne gli impulsi. E ciò è possibile - a mio avviso - solo a compiuta maturazione psicologica: in mancanza della quale nessun libro, nessun profumo, nessun fiore, nessun evento insomma potrà suscitare modifiche significative nell’esistenza di un individuo, ma potrà, tutt’al più, costituire una mera occasione del loro manifestarsi. Tanto per essere meno ermetico: una scintilla è in grado di far esplodere una polveriera solo se e in quanto l’edificio contiene del materiale esplosivo in quantità sufficiente, altrimenti la scintilla resta solo e nient’altro che una mera favilla: pertanto, se non si è psicologicamente pronti il libro, il fiore, il profumo restano nient’altro che libro, fiore, profumo ... Conclusione: non ho, né ho mai avuto, un libro che possa qualificarsi importante nel senso del termine appena specificato. Ho, però, avuto modo di leggere libri che hanno, questo sì, incorniciato per così dire, più che segnato, particolari momenti della mia vita. È questo il caso - fra i tanti - de Il cardinale di H. M. Robinson: libro che narra la vicenda umana e religiosa di Stephen Fermoyle, un giovane sacerdote giunto, attraverso gli anni, alla dignità cardinalizia. Un libro stupendo che mi ha fatto provare emotivamente, fra l’altro, tutto il tormentoso e straziante travaglio di questo sacerdote, ormai monsignore, chiamato, in presenza di gravi complicazioni sopravvenute al momento del parto della sorella, a dover scegliere, anche proprio in quanto sacerdote, la vita della creatura che stava per nascere o quella della mamma: uno dei due, insomma, era destinato di lì a poco a tornare al Padre. Decisione del monsignore che non condivisi assolutamente allora, e che non condivido neanche ora, e che oltre tutto mi lasciò alquanto sconcertato per molto tempo ma, al tempo stesso, anche molto vicino a questa splendida figura di sacerdote. Il fatto è che proprio in quei giorni a mia sorella, in prossimità del parto, si erano presentate difficoltà analoghe anche se, fortunatamente, meno gravi. Il parto, infatti, si concluse felicemente, e il mio nipotino di allora oggi è sottufficiale dei Carabinieri. Tralasciando di citare i titoli dei libri che in questi ultimi anni mi hanno interessato, o affascinato o divertito, attualmente sul mio comodino, dopo aver terminato proprio qualche giorno fa Venuto al mondo, l’ultimo libro di Margaret Mazzantini, scrittrice talvolta un po’ prolissa ma il cui stile mi piace molto, ho il libro, nella ristampa anastatica dell’edizione del 1891: Le chiese di Roma: dalle origini sino al secolo XVI, “del professore Cav. Mariano Armellini”. Un libro davvero affascinante per chi, come me, sia un appassionato di Roma, non solo per le notizie su chiese da tempo scomparse e di cui si è persa ogni traccia e memoria, ma anche per lo stile che, in pieno XXI secolo, appare alquanto curioso poiché, per l’appunto, è quello del 1891. -7- IL DIARIO DI GIORGIA G i o r g i a Pe r go l i n i Caro diario, molti sono i libri che hanno occupato le ore della mia vita. Penso che leggere sia un piacere unico ma allo stesso tempo un dovere sia per sviluppare la nostra immaginazione sia per aiutarci a perfezionare la nostra lingua o anche un’altra lingua, se si leggono i libri non tradotti in italiano. A volte leggere un libro nella lingua originale con cui è stato scritto è molto istruttivo, si possono vedere le differenze tra una stesura straniera e quella italiana. Leggere un libro è come ascoltare qualcuno che racconta una storia. Il libro può diventare un componente importante della vita, può tenerci compagnia, può intrattenerci sia facendoci ridere sia commuovendoci: può essere arbitro delle nostre emozioni attraverso le sue pagine. Leggere è un arte, e allo stesso tempo un hobby o un compito. Sono dell’idea che la lettura debba essere spontanea, per esempio non sono d’accordo con la scuola che impone dei testi e in seguito li trasforma in un materiale di studio per una verifica, è vero che approfondendo i contenuti delle pagine ed i messaggi che l’autore vuole dare si potrà capire meglio il senso del libro ma questo dovrebbe essere soggettivo: ognuno trova un messaggio diverso e nessuno dovrebbe imporne uno. I libri che hanno caratterizzato la mia vita sono molti. In particolare mi è piaciuto leggere “Mille splendidi soli” di Khaled Hosseini. Questo magnifico racconto mi ha aiutata a immedesimarmi in una donna e in una bambina, entrambe afghane vittime del maschilismo e della rivoluzione di Kabul del 1978. Libro molto intenso e profondo che è stato capace di trasmettermi brividi, angoscia, disprezzo e paura ma allo stesso tempo anche capace di farmi apprezzare il valore della libertà che hanno le donne oggi in Europa. Ed è questa una delle funzioni più importanti dei libri: far apprezzare ciò che si ha e spesso si da per scontato. I LIBRI NELLA MIA VITA Francesco Tani Fin da ragazzo sono stato un accanito lettore ed ancora oggi, anziano, ho un particolare amore per i libri, che acquisto, leggo e conservo gelosamente, anche se meno di prima poiché, specie la sera, mi lascio passivizzare dalla TV. Senza dubbio posso dire che una parte importante della mia formazione la abbiano avuta, ed ancora oggi la hanno, le letture. Di questo ringrazio mio padre che con l’esempio e con molti e ben centrati stimoli mi ha guidato alla scoperta della bellezza del leggere e del saper scegliere cosa leggere. Da ragazzo e da adolescente mi sono nutrito soprattutto di due generi di letture. La prima passione è stata per un bellissimo giornale per ragazzi: il Vittorioso, di cui ancora conservo tutti i numeri dal 1944. Era, questo, un giornale per ragazzi Un altro stupendo libro che ho letto tempo fa s’intitola “Nell” di Mary Ann Evans tratto dalla sceneggiatura dell’omonimo film. Nell, cresciuta in isolamento in una casa in un bosco, parla una lingua tutta sua ma sa ugualmente comunicare attraverso gesti sopratutto affettivi dato il suo grande bisogno d’amore, è una donna con atteggiamenti e ideali di una bambina che non ha mai visto nessun’altro essere umano al di fuori di sua madre. Questo è un libro con tratti più psicologici che narrativi. Ha come scopo quello di riuscire a far entrare il lettore nella psicologia di questa donna. Diciamo che risponde alla domanda “cosa succederebbe ad un essere umano se venisse cresciuto isolato dalla tecnologia, dalla città e dal resto del mondo civilizzato? E cosa succederebbe se un giorno quest’essere umano venisse casualmente in contatto con la civiltà?”. Inoltre affronta il triste problema dello stupro; la madre si rifugia in quella casa isolata a seguito di uno stupro dal quale darà alla luce Nell. Attraverso le sue pagine questo libro ci rende partecipi della frustrazione di questa madre costretta a rivivere lo stupro ogni volta che guarda in faccia la figlia ma che nonostante questo la ama incondizionatamente e la istruisce mettendola in guardia dai “mostri” ovvero dagli uomini. Un anno fa ho letto un altro fantastico libro in lingua originale che tra poco uscirà anche in Italia. Il titolo è “ If I stay” di Gayle Forman. Una storia dura che mette alla luce l’imprudenza stradale e tutto ciò che ne consegue come incidenti, morti e feriti. Mia, una ragazza diciasettenne, rimane vittima di un incidente stradale causato dalla pessima guida di un grande camion. Lei rimarrà viva anche se paralizzata mentre la sua intera famiglia morirà. Queste strazianti ma allo stesso tempo realistiche pagine raccontano i danni che la strada può causare alle persone. Inoltre tratta di un tema ancora più attuale quale l’omicidio volontario a seguito della sospensioni dell’alimentazione artificiale che continua a tenere in vita un essere umano in coma. Mia, ex bravissima atleta rimasta completamente paralizzata, senza nessuno al mondo e ormai incatenata ad un lettino d’ospedale senza la possibilità di sopravivvere fuori da questo, inizia a provare il desiderio di uccidersi staccandosi dai numerosi macchinari che la tengono in vita. I libri sono capaci di proiettarci in situazioni che non abbiamo mai vissuto e, nonostante questo, riescono a renderci partecipi della psicologia del personaggio come se noi fossimo davvero lì con lui. edito dalla A.V.E., di ispirazione cattolica, assai ben fatto, con bravissimi autori di testi ed eccellenti disegnatori e, come valore aggiunto, con i fumetti ed i paginoni di Jacovitti, secondo me il più grande autore di comics che conosco. Ancora oggi, ogni tanto, torno a sfogliarlo. La seconda passione, specie da adolescente, furono i libri di avventure: mi sono nutrito di Salgari, di cui ho letto tutto, di Verne, De Foe, Kipling ed altri ancora. Ai tempi del liceo sono stato introdotto, da un bravissimo professore di italiano, alla letteratura classica e moderna, che ho integrato per mio conto, essendo un amante della matematica e della fisica, con i libri di fantascienza; con particolare predilezione per autori come Asimov e A.C. Clarke, due scienziati che amavano scrivere avventure fantastiche basate, però, su solidi presupposti scientifici. E sempre al liceo ho cominciato a scoprire, da vero lettore quale stavo diventando, la Bibbia, un riferimento fondamentale per dare senso alla vita. Ai tempi dell’università, immerso nei testi di matematica, fisica e tecnologia, ho avuto meno tempo per i libri, dedicando il poco disponibile alla ricerca della maturazione verso la vita adulta, approfondendo i temi della fede ed anche qualche tema filosofico. Tutto questo cammino, questa formazione alla curiosità del sapere e del leggere, mi ha aperto pienamente al mondo dei libri, nel -8- quale mi sono poi sempre più avventurato dedicandomi in un certo periodo ad un solo genere di libri, altre volte mischiando i generi, scoprendo la saggistica, i romanzi classici storici e moderni, le novelle ed i racconti, i gialli ed ancora nuovi generi di libri di avventure e di scoperte. Quando poi la figlia ha iniziato a crescere, e poiché, per scelta e per lasciare tempo alla lettura ed all’ascolto della musica, fino al 1990 circa non abbiamo voluto televisori in casa, ho scoperto un altro filone: la bellezza delle fiabe (Grimm, Andersen ed altri) ed i libri di Rodari che leggevo la sera insieme a lei, oltre a rispolverare alcuni dei libri che avevo letto io da bambino e da ragazzo. Successivamente ho imparato a leggere le recensioni sui giornali, ad annotarmi i libri che mi sembravano interessanti, per poi acquistarne un certo numero e leggerli nei periodo di vacanza. Non sempre la lettura rispondeva alle aspettative, ma con questo sistema, specie se non si cerca il libro di moda, si fanno scoperte interessanti. E continuo a farlo ancora oggi, insieme alla rilettura di libri già letti (si scopre sempre qualche cosa di nuovo rileggendo un libro) senza mai dimenticare di avere a portata di mano il Libro per antonomasia e di approfondire e capire anche i documenti della Chiesa, poiché l’uomo cresce solo se fa crescere in modo armonico anima, intelligenza e cuore. IL MISTERO DELLA M O N E TA P E R D U TA Marco Di Tillo Da ragazzino non leggevo molti libri. Preferivo di gran lunga i fumetti. Il massimo per me, a metà degli anni ’60, erano i Classici dell’Audacia Mondadori, con le mirabolanti avventure del professor Mortimer, Michael Vaillant, Dan Cooper, Jimmi Torrent e Ric Roland. Ho iniziato a sfogliare le pagine di qualche romanzo solo un po’ più tardi. Confesso subito che sono ghiotto di biografie, vite dei santi incluse, ma non sono mai andato matto per la saggistica. Magari negli anni a venire, chissà. Il primo romanzo vero l’ho letto a 16 anni, nel 1967, tra l’ascolto di un disco dei Beatles e uno degli Stones. Si chiamava “Il Mago” ed era stato scritto da John Fowles, scrittore inglese autore tra l’altro anche de “La donna del tenente francese”, “Il collezionista” e “Daniel Martin”. Era un libro lunghissimo e strano. Un sacco di pagine in cui succedeva poco, anzi quasi niente. Eppure l’autore era talmente bravo che ti teneva sempre sulla corda a sfogliare avidamente pagina dopo pagina. Era l’affascinante arte dello scrivere quella che stavo scoprendo. Un po’ quello che dice Robert De Niro quando, interpretando un produttore cinematografico nel film “Gli ultimi fuochi”di Elia Kazan, spiega a modo suo che cos’è davvero il cinema. Lancia una moneta in terra, la cerca, la raccoglie e infine la rimette sul tavolo. <<Non è successo niente.>> dice << Ma questo è il Cinema. Niente. Eppure ti sembra tutto. Stai lì a guardare la moneta che sparisce e poi riappare, con gli occhi spalancati di un bambino.>> La stessa cosa vale per la Letteratura. Se l’autore è bravo e usa in modo magico la moneta-parola, ti porta dove vuole con la fantasia, nel suo mondo interiore oppure da qualche altra parte. E’ questo quello che mi affascina davvero: la grande potenzialità delle parole scritte. Negli anni successivi iniziai a prendere d’assalto la biblioteca di casa, passando in rassegna i vari Ernest Hemingway (“Fiesta”, “Il vecchio e il mare”, “Di là dal fiume e tra gli alberi”), Graham Greene (“Il potere alla gloria”, “Il terzo uomo”, “Il nostro agente all’Avana”, “Il fattore umano”, “Il console onorario”) Henry Miller (“Tropico del cancro”, “Ricordati di ricordare”, “Il colosso di Marussi”, “Big Sur e le arance di Hyeronimus Bosch), John Steimbeck (“Pian della Tortilla”), Truman Capote (“A sangue freddo”, “Colazione da Tiffany”) George Simenon (“La finestra del Rouet”, “L’orologiaio di Everton”, “Senza via di scampo” più una cinquantina di gialli Maigret), Albert Camus (“Lo straniero”) , Simone de Beauvoir (“Memorie di una ragazza perbene”), Francoise Sagan (“Un po’ di sole nell’acqua gelida”), George Bernanos (“Il diario di un curato di campagna”), Eric Maria Lemarque (“Niente di nuovo sul fronte occidentale”). E gli italiani che fine avevano fatto? Mio padre li aveva sistemati in un angolo più nascosto, come se fossero un tesoretto da proteggere. Naturalmente li trovai. E quindi via con Cassola (“La ragazza di Bube”), Tommasi di Lampedusa (“Il gattopardo”), Pasolini (“Ragazzi di vita”), Moravia (“Gli indifferenti”, “La ciociara”), Cesare Pavese (“La luna e i falò”, “La bella estate”), Elsa Morante (“La storia”), Dino Buzzati (“Un amore”, “Il deserto dei tartari”), Piero Chiara (“Una spina nel cuore”, “Il pretore di Cuvio”), Bassani (“Il giardino dei Finzi-Contini”), Italo Svevo (“La coscienza di Zeno”). Terminati più o meno i libri di casa, iniziarono quelli presi in prestito dagli amici, letti velocemente e commentati insieme, magari davanti ad un buon bicchiere di vino. Ed ecco quindi i vari Salinger (“Il giovane Holden”), Jack Kerouac (“Sulla strada”, “Big Sur”, “I vagabondi del Dharma”) Allen Ginsberg (“Juxe Box all’idrogeno”), John Updike (“Corri coniglio”), Philip Roth (“Lamento di Portnoy”), Charles Bukowski (“Storie di ordinaria follia”), George Orwell (“1984”) e perfino Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice con il loro “Porci con le ali” che possiamo definire una specie “Tre metri sopra al cielo” degli anni settanta. In quel periodo ho scoperto uomini dal pensiero diverso e comunque interessante: Don Milani (“Lettere ad una professoressa”), Camillo Olivetti (“Lettere dall’America”) , Betrand Russell (“La mia vita in filosofia”). Negli anni successivi ho amato naturalmente i sudamericani Gabriel Garcia Marquez (“Cent’anni di solitudine”) e Osvaldo Soriano (“Triste, solitario y final”, “Artisti, pazzi e criminali”, “Pensare con i piedi”), Juan Manuel Puig (“Il tradimento di Rita Hayworth”). Ho apprezzato i libri di viaggio di Bruce Chatwin e l’opera omnia di John Fante, scrittore e sceneggiatore americano la cui famiglia poverissima proveniva dall’Abruzzo. Ho scoperto nuovi autori francesi come Jean Paul Dubois (“Una vita francese”) e Philippe Delepierre (“La musica del vento”) che vanno ad aggiungersi al Daniel Pennac di “Signori bambini” e “Diario di scuola”. Ho conosciuto grandi ed umanissimi giallisti del nord europa come lo svedese Henning Mankell, il norvegese Kjell Ola Dahl e l’islandese Arnaldur Indridason. Ho letto molti buoni romanzi storici di Valerio Massimo Manfredi, il gigantesco Ken Follett de “I pilastri della terra”, le piccole chicche di Mario Rigoni Stern come “Stagioni” e “Inverni Lontani”, la serietà di Sandro Onofri (“I figli e i padri”), l’autobiografia di Gunter Grass “Sbucciando la cipolla”, il curioso David Baldacci di “A casa per Natale” e gli ancor più curiosi Enrico Brizzi de “L’inattesa piega degli eventi” e l’algerino Lakhous Amara (“Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio”). Ho adorato la saggezza del Dalai Lama di “Conosci te stesso”, la spiritualità di frère Roger nel “Taizeè” di Olivier Clèment e i libri del cardinal Martini, ritrovandovi la stessa idea del “mio” Gesù, quello dalle braccia sempre aperte verso il mondo, nel gesto eterno dell’accoglienza. Devo dire che mi sono assai meravigliato scoprendo recentemente che alcuni abituali frequentatori della mia stessa comunità parrocchiale considerano Martini una specie di eretico che contravviene spesso alle idee tradizionali, ferree, giuste e rigorose della Casa Madre. Così va il mondo. Non tutti la pensiamo allo stesso modo, per fortuna. Così come tutti non leggiamo allo stesso modo e non amiamo perdere e ritrovare la stessa moneta. Maclo & Cuttica -9- IL SANTA MARIA DEGLI ANGELI, UN’ISOLA CHE NON C’E’ ? Da oltre mezzo secolo attivo nel quartiere Balduina, unico liceo cattolico di zona, l’Istituto Santa Maria degli Angeli suscita ormai da anni chiacchiere in merito alla sua presunta chiusura. Siamo diventati una casa di riposo. Anzi no. Siamo un ristorante. Anzi no. Un supermercato. Dunque stiamo solo immaginando di frequentare l’ultimo anno di un liceo classico? Eppure noi esistiamo! Le lezioni dei nostri docenti, le attività pomeridiane, lo spettacolo teatrale, le visite culturali, il viaggio di istruzione, il concerto di Natale del nostro coro, il torneo di calcetto…Tutto questo dunque è frutto di un sogno? No, tutto questo è realtà. Siamo un Istituto che, seppur in un momento di difficoltà, continua a mantenere la sua identità in ognuno degli ordini di studio attivati: scuola dell’infanzia, scuola primaria, liceo classico e liceo scientifico. Siamo un Istituto che è stanco di pregiudizi che vorrebbero offuscarlo. Siamo un Istituto che non china il capo dinanzi a chi crede che frequentare una scuola cattolica sia solo un modo per arrivare al termine degli studi attraverso una scorciatoia in discesa. Noi e le nostre famiglie sappiamo che non si sceglie un Istituto cattolico per capriccio, ma perché in esso si trova un ambiente serio nel quale sono garantiti quei valori riconosciuti dalla tradizione civile e culturale del nostro paese. Al Santa Maria degli Angeli siamo conosciuti ed apprezzati come persone, prima ancora che come studenti. Ci sentiamo al centro di un progetto educativo che propone un fare scuola teso a promuovere l’individuo, accompagnandolo e sostenendolo nel suo percorso di crescita. E senza tagli degli obiettivi didattici e dei programmi curricolari, né sconti sulla pretesa di una condotta seria. Sappiamo di esser chiamati ad una scelta consapevole e responsabile, che è il punto di partenza per un impegno condiviso da docenti, ragazzi e genitori. Eppure qualcuno nel quartiere vorrebbe che noi rinunciassimo a tutto ciò. E allora noi invitiamo tutti a venirci a conoscere, prendendo parte alla nostra giornata open 19 dicembre 2009, dalle 8.30 alle 13.00. Per conoscere finalmente la nostra isola… che c’è. Carolina, Defne, Filippo, Luigi, Matteo Studenti III liceo classico Istituto Paritario Cattolico “S.Maria degli Angeli” C A P I TA N O N E M O, N O N E S I TA R E ! (La mia vita tra i libri) Sandro Morici “Quando è opportuno, buttati nella mischia….non esitare”. Così mi incoraggiava mia mamma quand’ero piccolo. Ed io, a quell’età correvo in riva al mare. D’inverno mi affacciavo sul parapetto a guardare estasiato quella immensità. D’estate, invece, mi immergevo nella massa d’acqua azzurra e avanzavo verso la sua conquista, provando così la sensazione esaltante di affrontare la mischia fragorosa delle onde color argento, di tuffarmi nei gorghi spumeggianti e scendere giù ad esplorare un mondo magico e tranquillo di alghe dondolanti sul fondo sabbioso. In quell’istante mi trasformavo in capitano Nemo che dall’oblò del suo Nautilus – era forse il vetro della maschera incollata sulle mie guance – navigava per Ventimila leghe sotto i mari. Ogni tanto il capitano lasciava il timone e si ritirava nella sua cabina. E lì, sul suo tavolo, accanto alle immancabili carte nautiche, c’era un libro illustrato che parlava di un burattino birbaccione e delle sue avventure. Pinocchio, appunto, con una sequela di guai, di accidenti, di personaggi dalle peggiori devianze, salvato di continuo dalla fatina turchina, dal tocco miracoloso come quello di una mamma. Altre fate, altri principi azzurri, altre favole che si chiudevano col fatidico: “…e vissero felici e contenti”, non erano gradite a capitan Nemo, perché…perché erano roba da femminucce. Più attraente risultava Salgari. E invece sul suo comodino trovava posto un piccolo libretto di preghiere, …del mattino, …della sera, ove, tra una pagina e l’altra inseriva, di tanto in tanto, immaginette di santi, quelli più simpatici, san Domenico Savio, don Bosco, S. Antonio da Padova, san Giuseppe da Copertino, il protettore degli studenti al momento degli esami. E già, il bambino ex-capitano Nemo, era cresciuto, era ormai uno studentello che aveva a che fare con la sintassi latina, le equazioni di algebra, e si avviava ad aprire pagine sulla storia della filosofia. Andava ancora a passeggiare in riva al mare, ma ora teneva per mano una ragazza dolce. Ancora una volta si era buttato nella mischia, aveva scelto. Aveva scelto anche di impegnarsi negli studi. La scuola, le tante strade della conoscenza, la curiosità degli sviluppi turbolenti della storia, le meraviglie dell’astronomia, i perché della fisica, le astrazioni della matematica, il gusto delle correnti artistiche, il piacere di analizzare le sfumature poetiche dei “classici”: non molto Dante, meglio Boccaccio, i più apprezzati Carducci, Foscolo e il sommo Manzoni, e poi Verga e Pirandello. In quel periodo il leggere comandato, imposto dal professore esigente, si alternava con il leggere soffice, accattivante, gradevole, con i testi fantastici della collana Urania, i thriller della Christie, le opere di Edgar A. Poe e di Mark Twain. Dopo la laurea venne il momento di buttarsi nelle mischia del mondo del lavoro: la mente del maturo ex-capitano Nemo era ora intessuta di argomenti di tecnologia avanzata, ma al tempo stesso la lettura era rivolta a capire le mutazioni sempre più rapide della società. Nei momenti di relax le preferenze erano per la letteratura italiana e americana del ‘900, in genere romanzieri che facevano sognare, ma anche filosofi come Russell e Croce, fino a giornalisti intelligenti come Sergio Zavoli, raffinato osservatore dei processi sociali in atto. Insomma un percorso di arricchimento culturale “classico”. Ma nel frattempo un forte bisogno di consolazione spirituale lo portava a rileggere e ad approfondire autori di un secolare progetto di fede autentica, dall’antico quartetto MatteoMarco-Luca-Giovanni a Paolo di Tarso, assaporando le parole amorevoli di Madre Teresa di Calcutta, fino ai Papi dei nostri giorni. Oggi credo che il Nautilus abbia completato il suo lungo viaggio sotto i mari tempestosi e stia emergendo. L’ormai anziano (ma arzillo) ex-capitano Nemo è passato dalle lettura impegnata, come quella di sana denuncia sociale (…Gomorra di Saviano) a quella più leggera di Camilleri, di Beppe Severgnini, di De Crescenzo fino a Giorgio Forattini, con qualche sosta di riflessione fugace presso Trilussa o Fedro: in realtà non trovate anche voi briciole di verità nella battuta umoristica o sarcastica? E infine con un sorriso sornione, catturato forse al ritratto di Monna Lisa, in segno di riconoscimento ai tanti autori preferiti, quel capitano ha preso in mano carta e penna ed ha consegnato alle stampe due piccoli libri (stavolta non più letti ma scritti a proposito) della sua vita. Spiragli sul cortile e Oggi mi racconto sono semplici raccolte di altrettanto semplici momenti di meditazione da regalare agli amici: per l’ennesima una volta il nostro eroe ha provato la gioia di ripetere a sé stesso “Buttati nella mischia, non esitare ! ” Dimenticavo: in questi giorni sul mio comodino c’è Shantaram di Gregory David Roberts, un bellissimo romanzo ambientato a Bombay. Shantaram è “l’uomo della pace di Dio”, che chiude il libro (a pagina 1174) così.:“Che Dio ci aiuti. Che Dio ci perdoni. Continuiamo a vivere”. - 10 - SORRISI PAROLE DI LUCE Alessandra Angeli Fino a qualche anno fa la parola “mistico” mi ricordava solo quel gergo della mia gioventù con cui si indicava qualche amico che aveva un atteggiamento un po’ sibillino. Ora invece richiama alla mia mente chi è potuto penetrare nel mistero più grande. La sua riscoperta è andata di pari passo con la mia conversione: da cattolica dormiente ad anima dissetata ed assetata allo stesso tempo. In un momento in cui la mia sensibilità fu risvegliata dal dolore, mi ritrovai fra le mani degli scritti di mistici e carismatici. Solo qualche anno prima la durezza del mio cuore me li avrebbe fatti richiudere perché incomprensibili. Invece cominciai a capire. Ora difficilmente riesco a leggere altro e comunque rimango sempre nell’ambito della spiritualità cattolica. I libri perciò sono stati e sono tuttora un compendio fondamentale nella riscoperta delle fede: i tanti perché che mi tenevano lontana hanno trovato a mano a mano le risposte. Una vera e propria guida che si è andata ad intrecciare in maniera imprescindibile ad una qualità e quantità di preghiera che non mi era propria, alla riscoperta dei sacramenti e di circa duemila anni di storia cristiana. Alle volte mi chiedo come ho fatto a vivere così tanto tempo come una cieca. Ho la certezza di essere nata nella fede autentica, anche perché le trasformazioni positive che ho visto fiorire dentro ed intorno a me, hanno un risvolto nella vita pratica ben concreto. Ho cominciato e continuo per fede, ma proseguo anche con una forte razionalità con cui esamino i risultati: mantengo i piedi ben piantati per terra, ho una normalissima vita come tanti, ma ho spazzato via ansie ed insicurezze guadagnando pace e forza interiore. Incontro tanta gente che è come io ero, ed allora con parole ma soprattutto con libri, cerco di porgere il Tesoro che ho trovato. Ma ho un cruccio: arrivo solo a pochi, e tutti quei libri contenenti parole di Luce restano chiusi tra quattro mura. Mentre, al contrario, abbonda tanta carta stampata che veicola tenebre e instilla il dubbio; la sua diffusione opera in maniera capillare tramite librerie, giornalai, supermercati ed addirittura autogrill. A ciò però non corrisponde una corrispettiva capillarità nella diffusione di scritti che nutrano l’anima invece di distruggerla. Viaggiando mi sono accorta che spesso solo le cittadine più grandi sono fornite di librerie specializzate sull’argomento; il resto del territorio è minuziosamente preda di “scorrerie e saccheggi”, complici televisione ed internet. Spesso si coglie quello che ci si ritrova più a portata di mano, solo perché è ciò che ci viene proposto con più immediatezza. Non si sa che ci possono essere delle valide alternative. Anch’io ho vissuto per anni in questa totale ignoranza. Sì, mi dico, i libri non sono tutto: il nostro paese fortunatamente è disseminato di chiese; poi però rifletto che non sono più piene come una volta, che le religiose e i sacerdoti sono tanto diminuiti e talvolta scossi dalle “intemperie” del nostro tempo; che le famiglie, anche quando non si sfasciano, tramandano sempre meno fede e cultura cristiana. Allora sogno di aprire delle librerie spirituali sparse nei più remoti angoletti d’Italia, come tante piccole luci nel buio, testimoni senza tempo di quel Cristo che invece tanti stanno abbandonando. Anche un miglior uso di internet servirebbe allo scopo. Noi abitiamo a Roma, addirittura a due passi dal Vaticano: possiamo sfogliare tutti i testi che vogliamo. Ma non tutti hanno questa fortuna; che il Signore ci benedica e ci aiuti a portare la Sua Parola a quelli che non hanno le nostre stesse opportunità. Per mancanza di spazio, non riesco a menzionare nessun libro di quelli che ho letto: e rifletto che ciò mi da modo di ricordare che la Verità è una, ma le strade per raggiungerla sono molte. Dobbiamo far solo lo sforzo di buttar via i nostri “scheletri nell’armadio”, darci una bella ripulita interiore per essere in grado di comprendere veramente: il male che si annida comunque in ciascuno di noi, altera la comprensione del nostro intelletto e chiude il cuore. Poi bussiamo alla Sua porta: nostro Padre ci sta aspettando, ha in serbo parole di Luce per ciascuno di noi. - 11 - Gregorio Paparatti Un bambino preistorico torna alla caverna con la pagella scolastica del primo trimestre. Mette il lastrone di pietra sul tavolo. Il padre lo prende in mano, scuotendo la testa legge sconsolato e non si capacita. “ Il 4 in Italiano lo capisco: e’ poco che parliamo, sono le prime volte ! l 4 in Matematica lo capisco: le nostre menti non sono ancora sufficientemente evolute! Ma il 4 in Storia no, te prego, so’ du’ stupudaggini !” * Squilla il telefono in ufficio. Il Carabiniere alza la cornetta e dice: ‘ Chi osa rompere già a quest’ora?’ A quel punto si sente strillare dalla cornetta: ‘Lei non ha la minima idea di chi sono io. Sono il Generale !” Il Carabiniere risponde: ‘ E lei sa chi sono io ?’ Il generale sbalordito risponde: ‘No.’ Il Carabiniere dice: ‘Che fortuna!’ e riaggancia la cornetta. * Ospedale a Napoli. Il paziente al dottore: “Dottò, ma l’operazione di appendicite è pericolosa?” “Macchè. Solo a uno su mille succede qualcosa...” “Dottò. A che nummero stammo?” LE PILLOLE DITOMMY Tommaso Carratelli ”Gli ostacoli sono quelle cose terribili che si vedono quando si distoglie lo sguardo dall’ obiettivo.” * ”Piu’ in alto cerchiamo di innalzarci più piccoli sembriamo a quelli che non sanno volare.” MA CHE LIBRI LEGGEVANO GLI SCRITTORI ? “Giornate di lettura”, Marcel Proust “Le mie letture”, don Luigi Giussani “Le parole”, Jean Paul Sartre “Ore in biblioteca”, Virginia Woolf “La biblioteca di Babele”, J. Luis Borges “Libri per compagnia”, Paul Auster “Tempo e racconto”, Paul Ricoeur “I libri della mia vita”, Henry Miller “Leggere a gesti”, Piero Innocenti “I libri della mia vita”, Salamon Varlam “La lettrice”, Annie Francois IL LIBRO E’ UN’ OPERA DI CARITA’ Alfredo Palieri A quattro anni mi spaventavano le orripilanti storie di Pierino Porcospino e ascoltavo divertito quelle del Prode Anselmo, il Crociato. Nei soggiorni a letto con la varicella, morbillo e orecchioni il libro Cuore non era certo rallegrante ma aveva sprazzi di bontà, sorrisi e gioia. Al contrario Gianburrasca era divertentissimo. Noi ragazzi di Villa Sciarra imitavamo le battaglie dei Ragazzi della via Paal oppure quelle di Sandokan e dei suoi pirati. Viaggiavamo in compagnia di Giulio Verne e del suo Giro del mondo in 80 giorni. Durante l’adolescenza, spinti da Franco Rodano, affrontavamo gli scrittori russi: Tolstoi e Dostojevski con Delitto e Castigo, Resurrezione, Guerra e Pace. Poi andammo sugli insegnamenti spirituali con i libri di Don Coiazzi, di padre Baragli, di Piergiorgio Frassati e Fortunato Chiari. A 20 anni ho letto Le confessioni di un italiano. Ippolito Nievo le scrisse poco prima di morire (appena trentenne) immaginando di vivere fino ad 80 anni a cavallo tra il settecento e l’ottocento. E’ un libro profondissimo nell’esame degli stati d’animo I LBRI CHE RICORDO CON MAGGIOR PIACERE Bianca Maria Alfieri Fin da quando ero adolescente amavo molto la lettura, tanto che i miei familiari mi prendevano in giro, paragonandomi a un vecchietto del paese di mia madre, che pur di leggere qualcosa, non avendo la possibilità di comprarsi dei libri, raccoglieva da terra i pezzi di giornale gettati via dai passanti. Vista la mia passione, mio padre mi regalava rego- dei personaggi molto ben individuati ed è anche un’esauriente rassegna storica dell’Italia di quegli anni di continui mutamenti. Negli anni ’60 ecco la lettura di altre opere importanti: Il mulino del Po, Il dottor Zivago, il Gattopardo. Ho letto la vita di Tommaso Moro e la sua Utopia, l’isola dove tutti lavorano e accedono gratuitamente ai magazzini di viveri e di abbigliamento, secondo le proprie necessità, e senza denaro. Ho riletto Cratilo che avevo già letto in latino al liceo e anche il De Bello Gallico di Cesare e il De Germania di Tacito con l’appendice in cui tratta delle operazioni in Britannia. E poi, ricordi di letture varie come La storia dell’America di Van Loon, Matteo Ricci e la sua opera in Cina, Indro Montanelli e la sua Storia d’Italia preziosa quasi come L’Enciclopedia Storica Garzanti. “I romanzi gialli sono ottimi per far lavorare il cervello.” diceva Eisenhower. Ricordo che padre Baragli mi consigliava come fioretto di lasciare le ultime pagine, rinunciando alla curiosità di sapere chi è l’assassino. Devo dire che era proprio un fioretto con i fiocchi! Una volta mi fu utile il sistema usato in un libro da Philo Vance per sbloccare le porte di casa mia. C’è un libro a cui sono molto affezionato. Si chiama “I luoghi della memoria”. Mario Isnenghi ed altri sociologi analizzano tutti gli aspetti propri di noi italiani: il paese, la piazza ( con le sue processioni e i comizi), i campanili, le chiese, l’oratorio, la grande Guerra, il fascismo, la ricostruzione, il terrorismo, fino ai giorni nostri. E gli scrittori di oggi? Il congiuntivo forse è un po’ scomparso, forse ci sono un po’ di sgrammaticature. Colpe del ’68? Forse. Ma non ci perdiamo d’animo. Val più la sostanza che l’apparenza( si fa per dire). Comunque sia i libri vanno digeriti, assorbiti e, soprattutto, sono fatti per essere letti. Fanno ridere quei finti dorsi di copertina esposti nei negozi di arredamento o quelle enciclopedie intonse che troneggiano nelle librerie di salotti vari. Gli inglesi dicono che la gioia di un pensionato consiste nella vita di campagna, nella compagnia del proprio cane e, soprattutto, in un buon libro ! I libri arricchiscono più del denaro. E l’arricchimento di cultura non è un lusso egoistico ma un’azione di carità. Perché la cultura è una vera e propria opera di carità verso chi ne ha bisogno. larmente i volumi della “Scala d’Oro”, che avevano il pregio di adattare alle esigenze dei ragazzi i capolavori della letteratura universale. Cominciai così ad appassionarmi ai grandi romanzi italiani, inglesi, russi che poi avrei letto integralmente in seguito. Subito dopo piansi a calde lacrime su “La capanna dello zio Tom”, poi furono i romanzi di Salgari ad affascinarmi, e forse da essi cominciò il mio amore per l’India e l’Asia Orientale, che in seguito doveva orientare le mie scelte universitarie. Alla fine del liceo mi fu “permesso”(erano gli anni ‘50) di leggere “Via col vento”, che naturalmente, nonostante la mole, divorai letteralmente in una sola notte. Da allora scoprii gli americani, fino a pochi anni prima proibiti dal Regime lessi quasi tutti i libri di Hemingway, commuovendomi per gli eroi di “Per chi suona la campana”, “Addio alle armi”, “II sole sorge ancora”, “Morte nel pomeriggio”, “II vecchio e il mare”. Mi piacquero i capolavori di Faulkner, Steinbeck, Dos Passos, così come “Figlio, figlio mio”, dell’inglese H. Spring e quelli di Làwrènce: “Figli e amanti” e “L’amante di Lady Chatterley”, ma preferii di gran lunga i grandi russi, da”Guerra e pace” di Tolstoj a”Delitto e castigo” di Dostojesky, a “Taras Bulba” di Gogol, Fra i romanzi francesi mi appassionarono soprattutto “Madame Bovary” di - 12 - Flaubert,”Bel Ami” di Maupas’sant, e “Tempo di vivere, tempo di morire” di Remarque, mentre non riuscii mai a finire la “Recherche” di Proust. Un po’ in ritardo ho conosciutio i sudamericani e mi hanno immediatamente colpito i romanzi di Borgès, Varga Llosa, Jorge Amado, Isabel Allende, ma soprattutto “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez e l’epopea di Macondo. Un’emozione grandissima me l’hanno data “Le memorie di Adriano” della Yourcenar e, seppure m maniera diversa, “La città della gioia” di D. Lapierre, e “La mia Africa” di Karen Blixen. Più di recente ho letto con piacere “II cacciatore di aquiloni” dell’afghano Khaled Hossein, “II mio nome è Rosso” e “Istanbul”, entrambi del turko Orhan Pamuk, così come altri loro libri, e “La masseria delle allodole” dell’armena Arslan, che l’amica Lùcia Aiello mi fece conoscere durante il viaggio in Armenia della nostra parrocchia. Numerosi altri libri mi sono rimasti nella memoria, ma mi ci vorrebbe troppo spazio e tempo per ricordarli tutti. Fra i più recenti voglio citare “Vita” e *’La lunga attesa dell’Angelo” della Mazzucco, “Conversione” di Leonardo Mondadori e Vittorio Messori, oltre al coinvolgente “Il viaggio di Gesù” di Franco Scaglia, che mi fatto tornare prepotentemente il desiderio di visitare la Terra Santa. LE BEATITUDINI OGGI Eugenia Rugolo Come ricorderete qualche mese fa sul giornalino, dal mio quaderno di appunti, scrivevo riguardo le Beatitudini oggi, e a quanto possiamo ancora farne un punto di riferimento per la nostra vita. Secondo Gesù sono beati i poveri in spirito, sono beati gli afflitti e sono beati i miti. Prosegue il buon Gesù e chiama beato chi ha fame e sete di giustizia: può essere intesa sia in senso etico-politico sia in senso religioso. Come imitazione della giustizia Divina, mi viene in mente la giustizia di Giuseppe (uomo giusto) che rifiuta di ripudiare Maria dopo aver appreso che era incinta. Felice chi mira alla santità, chi nella luce di Dio sa sognare grande. Infelice chi si ferma alle mezze misure, chi vive la vita calcolando continuamente vantaggi e svantaggi delle scelte da compiere, chi ha paura di rischiare e di sbagliare. Beati i misericordiosi: la misericordia è un atteggiamento proprio di chi si comporta nei confronti del prossimo con benevolenza e pazienza e che arriva al perdono, felice allora chi sa perdonare le offese ricevute. Infelice invece chi vive nel rancore, covando spirito di vendetta, chi si porta in cuore questo tarlo, a volte per mesi, per anni. Beati i puri di cuore: la purezza di cuore non è limitata alla sfera sessuale, ma tutto il cuore, l’interiorità di una persona, la sua genuinità, la sua sincerità. Felice allora chi è assolutamente schietto, onesto, pulito nelle relazioni interpersonali a cominciare dalla testa, dai pensieri e dai desideri. Solo chi è pulito dentro riesce ad esserlo anche fuori negli atteggiamenti e nelle scelte di vita; La pulizia del cuore è una cosa molto importante: basta un pugno di fango per inquinare centinaia di litri di acqua limpida, rendendola disgustosa e imbevibile. Beati gli operatori di pace. Ci sono tanti modi di essere operatori di pace, lottando contro le guerre e le ingiustizie, facendo così sentire anche in piazza la propria voce, scegliendo al momento del voto, quelle forze politiche che meglio garantiscono di lavorare per la pace. Sul piano personale gli operatori di pace sono i costruttori di unità: in famiglia, in parrocchia, negli ambienti di lavoro, nei gruppi. Tra gli operatori di pace, oggi, sono molto importanti gli educatori, genitori, insegnanti, animatori che educano le giovani generazioni al dialogo e all’accoglienza. Felice chi sa costruire la pace, in ogni modo, consapevole del fatto che le infelicità più grandi sono quelle provocate dall’uomo che si scaglia contro il suo fratello fino a ucciderlo, un pericoloso ritorno che si va diffondendo della logica del più forte. Beati voi quando vi insulteranno: sono le prove della vita che attendono chi si pone alla sequela di Gesù: incomprensione, maldicenza ecc. Felice chi riesce a trovare un motivo per accettare anche le prove della vita e sa dare un senso alla sofferenza. Il cristiano sa che non c’è prova senza grazia di Dio, che non esiste croce che le nostre spalle, con l’aiuto di Dio, non riescono a reggere. Triste è chi invece si arrende, chi non sa chiedere e accettare l’aiuto che viene dalla fede e dalla solidarietà delle persone. Vedete ! Questa è la Storia di Gesù in ognuno di noi. Nessuno è fuori dalla salvezza, perchè nessuno è fuori dal Suo Amore. LEGGERE UN LIBRO Roberto Vecchione Parlare dei libri che si sono letti è sicuramente impresa non facile, soprattutto nel caso in cui la lettura venga considerata come un mezzo di arricchimento culturale. Viviamo in una società dove i cambiamenti di opinione a 180°, le palinodie, gli stravolgimenti dei connotati ideologici di una persona sono frequenti e non sempre frutto di ragionamenti privi di interessi personali. Il cambiamento spesso è il risultato di una sintesi dialettica, una presa di coscienza di errori passati. Per molti si ha la metanoia, ossia un avvicinamento del nostro intelletto e del nostro cuore verso le cose celesti, verso la Luce Divina. Il pericolo sempre in agguato è la malafede che ognuno, anche se inconsapevolmente, porta dentro di sé per cui si capisce se stessi solo quando occorre; i pensieri mutano secondo la convenienza; l’anima si considera come un essere con cui convivere secondo le regole della diplomazia e dell’opportunità; si ritiene di non potersi conoscere o invece si regola la coscienza sulla base d’utilità presente o futura. Anche la lettura di un libro può essere il risultato di un procedimento mentale già precostituito utile a se stessi, ma privo di valore. Non è tanto dunque ciò che si legge quello che conta, ma l’interpretazione del testo per noi e per gli altri. Fare la scelta del libro da leggere può essere frutto di un errore, perché si ritiene che possa dare piacere e vantaggio e non se ne capisce il messaggio. Un umile consiglio che do a me stesso è quello di non pensare a ciò che è giusto fare e non fare, ma di comportarsi, per quanto possibile, secondo gli insegnamenti lasciati da Gesù. Nel Vangelo secondo Matteo (5, 1 – 12) si dice che i beati sono poveri in spirito, quelli che sono nel pianto, i miti, quelli che hanno fame e sete di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia, gli insultati e i perseguitati perché vogliono il volere di Dio. Costoro saranno nel Regno dei Cieli, saranno consolati, erediteranno la terra, saranno saziati, troveranno misericordia, vedranno Dio, saranno chiamati figli di Dio, avranno ricompensa nei cieli. Grande è quest’insegnamento di Gesù! Fra i vari libri che ho letto, quelli che più mi hanno soddisfatto invitano ed esortano a vivere nonostante le difficoltà. Voglio citare Henri Charriére (1906 – 1973), autore di Papillon e di Banco, il quale riuscì a conquistarsi la libertà evadendo dall’isola del Diavolo, dopo aver subito ingiustizia e soprusi nei peggiori sistemi del mondo per più di 13 anni. Non sappiamo se Charrière fosse credente, ma certamente mostrò molta determinazione e coraggio, requisiti che non può non avere un cristiano se ritiene di esserlo secondo il volere di Dio. CENTRO DI ASCOLTO CARITAS S.PIO X Via Attilio Friggeri 91 Martedì e Giovedì: 9,30 - 11,30 Venerdì: 16,30 - 18,30 Per ricevere informazioni si prega di telefonare il Martedì dalle ore 16,30 alle 18,30 tel. 06.35343840 - cell. 328.1845917 Ausilio sociale - Pratiche amministrativeVisite Domiciliari - Accompagnamento - 13 - INTERVISTA A MASSIMO CORTI DIRIGENTE DI ACAT (Associazione Cristiani Anti Tortura) A PROPOSITO DELL’ANNO SACERDOTALE (Considerazioni di un cristiano qualunque) Cesare Catarinozzi Luciano Milani Come e quando è nata ACAT ? Hélène Engel, un’ attiva settantaduenne, assiste nel marzo 1974 alla conferenza che il Pastore valdese italiano Tullio Vinay tiene a Parigi, di ritorno dal Sud Vietnam. Nel suo discorso Tullio Vinay descrive i trattamenti inumani e le torture subite dai prigionieri politici, chiusi nelle cosiddette “gabbie delle tigri”. Racconta in dettaglio le torture subite da una giovane vietnamita, arrestata per una poesia inneggiante alla pace, durante ben 345 sessioni di interrogatorio. Alla fine si sente nella sala il grido di Hélène: “E’ insostenibile! Come è possibile che i cristiani non reagiscono più?”, “Per quanto tempo, noi cristiani, lasceremo sfigurare il viso del Cristo senza reagire?”. Il 16 giugno nasce ACAT, gruppo cristiano ecumenico. Hélène decide di “agire”, di mobilitare le chiese cristiane su un problema così tragico. E in Italia? Il 2 aprile 1983, a Roma, il movimentocattolico Rinascita Cristiana promuove un incontro per portare in Italia l’idea di ACAT: parteciparono lo stesso Tullio Vinay, membri di ACAT Francia, tra cui Jaqueline Westercamp, membri del Seminario Francese di Roma ed amici che da allora sono parte attiva della ACAT Italia. La ACAT è nata con lo scopo di combattere la tortura ovunque nel mondo, senza distinzione ideologica, etnica o religiosa. Successivamente dal 1982, l’abolizione della pena di morte sarà aggiunta al suo mandato, come pure la difesa dei diritti umani in generale. Quali sono le finalità dell’azione di ACAT? Come accennato, le ACAT hanno lo scopo di combattere la tortura nel mondo, senza distinzione ideologica, etnica o religiosa. Dal 1982, ACAT lotta anche contro la pena di morte e per la difesa dei diritti umani in generale. In molte parti del mondo il tabù della tortura sembra vacillare: la paura –vera o simulata- del terrorismo ha portato vari governi a emanare norme più o meno in contrasto con i Diritti Umani, anche se a volte camuffati sotto parole eufemistiche (ad es. abbiamo le “posizioni da stress”, gli “interrogatori pressanti” o altre forme di tortura camuffate), anche se ora, con Barak Obama, sembra che le cose possano cambiare, almeno negli USA. Contro tutto questo, e contro la pena di morte, ACAT agisce. Acat agisce come molte associazioni o ONG nel mondo, tramite l’invio di lettere alle autorità dei paesi dove si pratica la tortura, la raccolta di petizioni, manifestazioni pubbliche, ecc.; tutte le volte che è possibile ci impegniamo sul territorio, sempre allo scopo di combattere la tortura e la pena di morte, senza disinteressarci dei Diritti dell’Uomo in generale. Abbiamo in atto un premio di laurea di ben 3.500 Euro l’anno, dal titolo “Una laurea per fermare la tortura” con l’obiettivo di spingere i ragazzi universitari ad affrontare il tema della tortura e dei diritti umani. Altro pilastro della nostra azione è la preghiera: dalla creazione nella Genesi, al famoso salmo num.8, la Bibbia è piena di richiami alla dignità dell’uomo. La tortura distrugge questa dignità, degradando sia la vittima sia l’aguzzino. Cristo è stato torturato e noi preghiamo per evitare che ciò avvenga di nuovo, fiduciosi nella sua resurrezione. In che consiste l’ecumenismo di ACAT? ACAT: un movimento ecumenico. La nostra Maria Elisa Fittoni, nella introduzione alla tavola rotonda del 26 giugno scorso per il lancio ufficiale del Premio di Laurea, ha così illustrato l’ecumenismo di ACAT: “L’ACAT è un movimento ecumenico, movimento che vuole fare incontrare, nella comune fede in Cristo e nello Spirito che opera negli uomini, tutti coloro che in Cristo si riconoscono, al di là delle appartenenze di Chiesa. Nel nome di Cristo agiamo e preghiamo tutti assieme, cattolici, evangelici, protestanti, anglicani, ortodossi e quanti altri credono che l’amore di Gesù e l’azione dello Spirito potranno realizzare il Regno dei Cieli. Nei nostri incontri internazionali, solo successivamente, e non sempre, sappiamo chi tra di noi è cattolico, e chi è anglicano o metodista. La lettera agli Ebrei dice:”Ricordatevi di quelli che sono in prigione, come se foste anche voi prigionieri con loro. Ricordate quelli che sono maltrattati, perché anche voi siete esseri umani”. - 14 - L’Anno Sacerdotale indetto dal Papa in appendice all’Anno Paolino sta scorrendo velocemente. Convegni e pellegrinaggi hanno avuto luogo in varie parti del mondo, tra cui quello svoltosi in Francia presso la Casa del Santo Curato d’Ars, nella scorsa estate ed al quale hanno partecipato oltre mille tra vescovi e sacerdoti. La penuria di sacerdoti e religiosi affligge tutta la Chiesa e il prestito precario di sacerdoti studenti fatto dall’Africa e dall’America Latina alle nostre Diocesi è sempre più consistente. Ripenso a quando nei paesi della mia Sabina ogni anno si celebrava la prima Messa di un novello Levita nel tripudio di tutta la comunità cristiana. Soltanto nel mio paese nativo, di appena 2000 anime, all’epoca in cui ne ero Sindaco(e lo sono stato per oltre 16 anni) si contavano ben 16 sacerdoti donati alla Chiesa tra diocesani e religiosi, a fronte di qualche centinaia donati dalla capitale della cristianità, di circa 3.000.000 abitanti. Non riesco a comprendere, per esempio , come la nostra parrocchia S. Pio X non sia in grado di dare alla Chiesa nemmeno un sacerdote all’anno. Eppure vi si svolge un’attività pastorale assidua e inappuntabile, affidata ad un parroco di grande preparazione sia teologica che umanistico – pedagogica, né può dirsi che l’équipe di sacerdoti che lo coadiuva sia da meno. Si dirà che la crisi è generale. Ma se è così, quali le cause e quali i rimedi che anche noi laici possiamo offrire per il miglioramento della situazione vocazionale? Le cause credo debbano ricercarsi nel processo di scristianizzazione in atto: basterebbe al riguardo riflettere sulla sentenza della Corte Europea di Strasburgo, che ha messo fuori gioco addirittura il Crocifisso, in nome di una cattiva laicità, che presume di riscrivere in modo scandaloso la storia e la cultura europea, che affonda le radici nel terreno fecondo del Cristianesimo. A tale causa, di natura ideologica, si aggiunga l’altra, di natura pratica: l’affievolimento della morale e dell’etica. La vita del sacerdote, si sa, è piena di sacrifici e di rinunce, che l’edonismo imperante induce a rifiutare. Allora, a prescindere dalla costante preghiera al Padrone della vigna, perché mandi abili vignaioli a coltivarla, come giustamente raccomanda il documento pontificio, cosa può suggerire un cristiano qualunque? Il discorso credo debba essere rivolto alle nostre famiglie. Sono loro che devono far comprendere ai loro figli la bellezza e la dignità del Sacerdozio. Esse quindi, per prime devono avere la piena consapevolezza della grandezza di questo Sacramento. Al riguardo, vorrei ricordare la commozione di Agostino espressa davanti al santo vescovo Ambrogio prima che il sottile retore imperiale ricevesse il Battesimo: “O vere veneranda sacerdotum dignitas in quorum manibus Filius Dei venit sicut in utero Virginis incarnetur (O eccelsa dignità dei sacerdoti, nelle cui mani discende il Figlio di Dio nello stesso modo in cui si incarnò nel seno della Vergine!)”. Mi piace ricordare il racconto della sua vocazione fatto dall’Arcivescovo di Vienna Christoph Shomborn. “A 17 anni – narra il Cardinale – andai a San Giovanni Rotondo. Assistei alla Messa di Padre Pio. Ho avuto allora l’impressione di vedere la realtà del sacrificio di Cristo come il velo del Sacramento per opera del frate sacerdote fosse caduto. In quel mattino cadde ogni dubbio sulla mia vocazione. Tornai a casa. Dopo qualche giorno entrai nello Studentato domenicano per diventare sacerdote”. Lo scrittore russo Nikolai Gogol lasciò scritto: “Nel momento in cui il sacerdote veste i paramenti per la Messa si distingue da sé stesso per mostrare al mondo di essere in persona Christi et in persona Ecclesiae”. Se le nostre famiglie sapranno far comprendere ai loro ragazzi la grande dignità del Sacerdote – fattore costitutivo del Mistero Eucaristico e Ministro della misericordia di Dio nel Sacramento della Penitenza – sicuramente susciteranno tra essi sante vocazioni nella nostra Chiesa. 1453 LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI Renato Ammannati La corte bizantina ed il clero ortodosso fecero di tutto per convincere l’imperatore bizantino Costantino XI ad abbandonare la città: “In un’atmosfera carica di infausti presagi, si fece il tentativo di convincere Costantino ad abbandonare la città, ma egli si chiuse a lungo nel silenzio e sparse lacrime. Poi parlò loro come segue: ‘Lodo e ringrazio per il vostro consiglio tutti voi, perché, quello che dite, lo dite nel mio interesse. Ma come potrei io fare questo e abbandonare il clero, le chiese di Dio, l’impero ed il popolo tutto? Cosa penserebbe di me il mondo? Ditemelo, vi prego. No, signori miei, no: morirò qui con voi’. Smarrito, si inchinò di fronte a loro e nel suo dolore lacrimò. Il patriarca e tutti i presenti presero a piangere nel silenzio”. Le mie letture preferite sono pescate nel mondo della saggistica, e perciò è là che troverei facilmente “i libri della mia vita”, quelli che in un modo o nell’altro mi hanno lasciato una traccia indelebile. Tuttavia, citandone solamente i titoli, perderei certamente da subito una bella quota di lettori che si apprestano a leggere questo articolo. Così, fra le letture meno impegnate e noiose cui mi sono dedicato, a parte i soliti polpettoni di Dan Brown e qualche altra fantastoria dello stesso genere, c’è un libro che ho letto non molto tempo fa e che mi ha particolarmente impressionato, un libro che difficilmente dimenticherò. L’autore è Roger Crowley, un insegnante di inglese che, dopo essere uscito fresco dall’università di Cambridge, se n’è andato ad insegnare prima a Malta e poi ad Istanbul. E dal soggiorno in quest’ultima città e dalla visita ai suoi superbi monumenti ha tratto l’ispirazione per scrivere un libro sugli ultimi mesi di vita di quella che Costantino il Grande, il primo imperatore cristiano, volle come nuova capitale dell’Impero. Il titolo dell’opera è, neanche a farlo apposta, “1453. La caduta di Costantinopoli”. È la storia, drammatica e commovente nello stesso tempo, di una città abbandonata al suo destino, la cui caduta provocò in tutta Europa un’impressione fortissima, ma che nessuna delle nazioni occidentali si sognò di sostenere realmente prima e durante l’assedio posto dagli ‘infedeli’. La città pare fosse stata assediata, nel corso dei secoli, poco più di una ventina di volte, ma non era mai caduta se non una volta soltanto. Aveva resistito quasi miracolosamente a qualsiasi tentativo di assedio e assalto. L’oscura profezia pronunciata da Maometto, riguardante le due grandi città del Mediterraneo, una volta capitali contemporaneamente del più longevo impero che la storia abbia mai conosciuto, sembrava continuamente smentita. Aveva infatti predetto, il fondatore della terza religione monoteista che si rifaceva ad Abramo, la caduta in mano musulmana delle due Rome. I secoli passavano, ma Costantinopoli era sempre là, fuori del dominio arabo. Invece fu proprio quell’anno, il 1453 appunto, che la profezia si sarebbe, seppure parzialmente, avverata. Nell’aprile del 1453 circa ottantamila soldati musulmani si disposero per assediare la città sul Bosforo, dentro le cui mura si contavano per la sua difesa non più di ottomila uomini. Nella notte fra il 28 ed il 29 maggio dello stesso anno, Costantinopoli si preparava a capitolare. La mattina del 29 maggio, alle prime luci dell’alba, le armate turche penetravano oltre le mura, squarciate da settimane di intensi ed ininterrotti bombardamenti. Mentre si issavano le bandiere del sultano sulle torri più alte delle mura, nelle vie della città si diffondeva il terrore, la disperazione, il lutto. Ad un primo momento in cui i soldati turchi si diedero al massacro spietato della popolazione, senza distinzione di età, sesso, condizione sociale, seguì l’applicazione del precetto musulmano di sgozzare solo i vecchi e catturare invece vivi i giovani, in particolare “donne e bei fanciulli”, per chiederne poi il riscatto, dopo però averli stuprati per bene. Il momento più solenne e tragico insieme delle ultime ore di Bisanzio fu tuttavia l’assalto alla grande chiesa di Santa Sofia. All’interno si svolgevano i riti mattutini, dove il tono sommesso delle voci oranti dei sacerdoti si intrecciava con il singhiozzare disperato delle donne che avevano scelto una delle più belle chiese della cristianità come ultimo rifugio contro la furia musulmana. Appena all’interno, i soldati si gettarono sulle donne per farne bottino e con rapidità spogliarono la chiesa di tutto ciò che di prezioso possedeva. In brevissimo tempo, l’edificio sacro – scrive Crowley – si ridusse ad un guscio vuoto. Dei trentamila abitanti della città, molti persero la vita in combattimento per difendere la propria casa, la propria famiglia, la propria fede. Quelli che si salvarono furono fatti schiavi e venduti, dopo naturalmente essere stati costretti alla conversione forzata all’Islam. Le navi cristiane, che il mattino del 29 maggio 1453 riuscirono a superare l’assedio della flotta musulmana, portarono in Occidente la notizia della caduta di Costantinopoli e la morte in combattimento dell’imperatore. Un sentimento di orrore e sgomento si diffuse in tutta l’Europa cristiana. Il 29 maggio 1453, in un solo giorno, furono cancellate le tracce della fede millenaria di tutto un popolo nel Figlio di Dio. Sembravano così realizzarsi le oscure parole di Gesù: “Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra ?” Ultimamente mi torna alla memoria un ricordo d’infanzia. Marietta, la contadina che ci abitava accanto in campagna: le sue mani, contorte e rugose per l’età; mani che, anche se appena lavate, mantenevano sempre quell’ombra più scura tra le pieghe, tipica di lavora la terra. Le rivedo aggiusta- re con cura una carta variopinta che fino a poco prima rivestiva non so più che cosa; ma ricordo bene quel gesto di spianare, lisciare con cura quell’involucro prezioso per poi riporlo nel cassetto del tavolo di legno. Tengo ancora gli occhi chiusi e la mia mente va ora a tante mani che strappano voracemente, gettandola poi dove capita, ancora della carta colorata per poi gettarsi a far lo stesso, non paghe, su un altro pacchetto. Poi un altro ancora, e ancora. Ripenso alle tante feste di Natale trascorse così. Alle tante feste di compleanno dei bambini di oggi. Tra tante mani riconosco anche le mie. Basta, mi dico, ora basta. SCARTA LA CARTA ! Alessandra Angeli - 15 - Pubblichiamo con grande gioia il testo del bellissimo discorso che Silvia Laurita Longo ha letto in chiesa il 15 novembre scorso, giorno del ricordo delle vittime della strada. Le sue parole erano dedicate a tutte le vittime della strada e, in particolare, ai più giovani come il suo grandissimo amico e nostro parrocchiano Gabriele Gaglioti, scomparso purtroppo in un tragico incidente la scorsa estate. “GIORNO IN RICORDO DELLE VITTIME DELLA STRADA” Silvia Laurita Longo Le letture di oggi ci dicono che non sappiamo quando verrà il giorno e l’ora e che per questo dobbiamo stare pronti. Per Gabriele quel giorno è venuto due mesi fa, quando una notte di agosto, a 18 anni, una macchina ha spinto la sua moto sul guardrail dell’Aurelia. Certo non era pronto, come non lo eravamo nessuno di noi, e dal quel giorno l’angoscia, “come non c’è mai stata dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo” come dice la prima lettura, è entrata nel cuore di chi gli ha voluto bene. Gabriele si faceva notare: era sempre allegro, scherzoso e molto giocherellone ma quando bisognava essere seri diventava fin troppo maturo e rigido nelle sue idee. Aveva solo una passione, che nessuno e in alcun modo è riuscito a levargli: le moto. Diceva di avere un impegno inderogabile: vedere Valentino la domenica, il suo mito. E il suo sogno era di avere anche lui una moto cosi potente. Quel pomeriggio, mi chiamò e mi disse: “Vado, vado, vado a prendere la moto con papà”. La portò fino a casa e, orgogliosissimo, rimase mezz’ora a farmela vedere. Era veramente felice, si vedeva dai suoi occhi. E proprio questo, la sua passione, appena due mesi fa l’ha portato via. Come si può comprendere e capire la morte di un ragazzo di appena 18 anni credendo in Dio? Credo sia per un cristiano la prova più difficile, quella di accettare la morte di un innocente, di un giovane… In fondo tutti noi vorremmo che morissero solo persone anziane, o meglio, solo persone cattive, magari un rapinatore in fuga, un ladro che cade dal balcone.. Vorremmo che Dio evitasse tutto questo dolore. E allora la prima reazione, la mia ma credo quella di tanti altri, è stata di rabbia: perché Dio ha permesso questo? Perché, lui che vede e prevede tutto, non ha deviato quella macchina o non ha fatto in modo che la moto passasse un minuto dopo? Perché, per una volta Dio, anziché stargli a fianco non si è messo davanti a lui? Poi però, aiutata anche dagli altri, ho iniziato a capire che Dio non è una specie di Mago che cambia l’ordine delle cose. Dio lascia liberi tutti di fare le proprie scelte e di prendere le proprie decisioni, anche se queste possono essere sba- gliate e pericolose. Se Dio fosse intervenuto quella sera, quante altre volte avrebbe dovuto intervenire? Non potrebbe certo scegliere tra le vite da salvare, dovrebbe impedire ogni giorno decine di incidenti di moto, dovrebbe deviare le pallottole di chi uccide un innocente, dovrebbe prendere in braccio chi si getta da un balcone per farla finita, dovrebbe essere in ogni sala operatoria a guidare le mani di un medico incapace, trasformare le pastiglie o la polvere di chi si droga in zucchero a velo… non credo sia possibile,e non sarebbe nemmeno giusto: se sapessimo che ogni nostro gesto viene corretto, sia pure a fin di bene, da un angelo custode, cosa ne sarebbe della libertà di ogni uomo di fare le proprie scelte e di crescere dai propri errori? Tutti possono sbagliare, Dio ci ha fatto un grande dono, quello della Confessione. Gesù ci perdona con il pentimento tutti i nostri peccati ma non può ritirare il danno fatto e spesso gli errori creano dolore e angoscia agli altri. Creare un incidente è un danno irreparabile, uccidere un ragazzo anche se involontariamente è un errore troppo grave ma quante altre volte capita di ferire il prossimo senza rendersene conto? Dovremmo ricordarci che la vita non è uno scherzo e neppure è lecito farne quello che vogliamo seguendo capricci e mode ma è una questione troppo importante perché quello che ci attende alla fine è davvero definitivo: trovarsi di fronte al Padre e rendere conto di tutto. Io non so dare una testimonianza sicura e serena di quanto mi è successo: sono ancora troppo coinvolta per trattare la cosa con distacco; so però che mi ha aiutato molto, in questo periodo, il rivolgermi a Dio, il pregare lui ed ancor di più pregare insieme a tanti miei amici, molti dei quali non entravano in chiesa da tanto tempo. Mi ha aiutato l’affetto di chi mi sta intorno, e mi ritengo fortunata di avere comunque un punto fisso sul quale contare sempre: Dio. So che quando, spesso, mi capita di ripensare, di continuare a farmi domande alle quali non so dare risposta e probabilmente non la saprò mai trovare, il solo rivolgermi a Dio mi fa tirare un sospiro di sollievo e mi da la forza di continuare a sperare nella vita e in quanto di bello ancora mi può riservare con accanto a me sempre vivo il ricordo e l’amore di Gabriele che dal cielo ci aiuta a capire il valore della vita, che ormai troppo spesso ci sfugge di vista. Gabri proteggici. ASS. EUROPEA FAMILIARI E VITTIME DELLA STRADA ONLUS In Europa sono circa 127 mila ogni anno le persone che perdono la vita a causa degli incidenti stradali. Di questi circa 7 mila avvengono in Italia. Il 30% delle persone coinvolte sono giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni. L’associazione si propone tra l’altro di salvaguardare le vittime di incidenti ed i loro familiari, attraverso una continua assistenza legale e psicologica. www.vittime della strada.eu tel. 800144789 - 16 - ARRIVANO I NOSTRI Autorizzazione del Tribunale n°89 del 6 marzo 2008 Direttore responsabile Giulia Bondolfi Terza pagina don Paolo Tammi Direttore editoriale Marco Di Tillo Collaboratori: Lùcia Aiello, Bianca Maria Alfieri, Renato Ammannati, Alessandra e Marco Angeli, Giancarlo e Fabrizio Bianconi, Tommaso Carratelli, Cesare Catarinozzi, Laura e Giuseppe Del Coiro, Gabriella Ambrosio De Luca, Anna Garibaldi, Massimo Gatti, Pietro Gregori, Giampiero Guadagni, Lucio e Silvia Laurita Longo, Giuliana Lilli, don Roberto Maccioni, Maria Pia Maglia, Luciano Milani, Cristian Molella, Alfonso Molinaro, Sandro Morici, Alfredo Palieri, Gregorio Paparatti, Giorgia Pergolini, Maria Rossi, Eugenia Rugolo, Maria Lucia Saraceni, Elena Scurpa, Francesco Tani, Stefano Valariano, Gabriele, Roberto e Valerio Vecchione, Celina e Giuseppe Zingale. Stampato presso la Tipografia Medaglie d’Oro di via Appiano I numeri arretrati li trovate online sul sito della parrocchia www.sanpiodecimo.it NUOVI COLLABORATORI Chi vuole inviare articoli, disegni, vignette, critiche,suggerimenti o solo offerte per sostenere la pubblicazione, può lasciare una busta nella nostra buca di posta presso la Segreteria Parrocchiale di via Frioggeri. Oppure inviate una mail a: [email protected] A PROPOSITO DI LIBRI ! Come molti di voi già sanno è uscito da poco il libro scritto dal nostro parroco don Paolo Tammi e dall’amico giornalista e nostro collaboratore Giampiero Guadagni. Diffondete, gente, diffondete! “DA CHE PALPITO VIENE LA PREDICA” (Un prete si racconta) Paolo Tammi Giampiero Guadagni Edizioni Paoline Euro 11,00