Riccione
19-21
settembre
2013
PALAZZO DEI CONGRESSI
www.legiornatedellapolizialocale.it
32 edizione
a
Altre misure restrittive adottabili dalla p.g.
e l’uso degli strumenti di contenzione.
L’accompagnamento per l’identificazione;
il fermo di p.s.; la redazione degli atti di p.g.
su strada o in ufficio
Cino Cecchini
Comandante Polizia Provinciale Padova
Sessione a cura del Circolo dei Tredici
IDENTIFICAZIONE, ACCOMPAGNAMENTO, ARRESTO IN FLAGRANZA
Venerdì 20 Settembre, pomeriggio
Il dizionario della lingua italiana afferma che il termine “identificare” proviene dal latino “idem” (la stessa
cosa) e vuole significare “riconoscere, scoprire, accertare l’identità di qualcuno, giudicare due o più cose
o persone come identiche”.
Quindi l’identificazione è la possibilità di riconoscere, in sede di confronto tra più termini di
una medesima persona, delle caratteristiche individuali talmente significative da poter affermare che i due termini provengono dallo stesso soggetto.
L’IDENTIFICAZIONE DI POLIZIA GIUDIZIARIA (art. 349 c.p.p.)
Art. 349. Identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e di altre
persone.
1. La polizia giudiziaria procede alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.
2. Alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini può procedersi anche
eseguendo, ove occorra, rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici nonché altri accertamenti.
2-bis. Se gli accertamenti indicati dal comma 2 comportano il prelievo di capelli o saliva e manca il
consenso dell’interessato, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, del
pubblico ministero. (1)
3. Quando procede alla identificazione, la polizia giudiziaria invita la persona nei cui confronti vengono
svolte le indagini a dichiarare o a eleggere il domicilio per le notificazioni a norma dell’articolo 161. Osserva inoltre le disposizioni dell’articolo 66.
4. Se taluna delle persone indicate nel comma 1 rifiuta di farsi identificare ovvero fornisce generalità o
documenti di identificazione in relazione ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità, la
polizia giudiziaria la accompagna nei propri uffici e ivi la trattiene per il tempo strettamente necessario
per la identificazione e comunque non oltre le dodici ore ovvero, previo avviso anche orale al pubblico
ministero, non oltre le ventiquattro ore, nel caso che l’identificazione risulti particolarmente complessa
oppure occorra l’assistenza dell’autorità consolare o di un interprete, ed in tal caso con facoltà per il soggetto di chiedere di avvisare un familiare o un convivente. (2)
5. Dell’accompagnamento e dell’ora in cui questo è stato compiuto è data immediata notizia al pubblico
ministero il quale, se ritiene che non ricorrono le condizioni previste dal comma 4, ordina il rilascio della
persona accompagnata.
6. Al pubblico ministero è data altresì notizia del rilascio della persona accompagnata e dell’ora in cui
esso è avvenuto.
(1) Comma inserito dall’art. 10, comma 1, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito con modificazioni,
nella L. 31 luglio 2005, n. 155.
(2) Comma così modificato dal D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito con modificazioni nella L. 31 luglio
2005, n. 155
L’identificazione di polizia giudiziaria può essere effettuata solo successivamente alla commissione di un
reato; tale attività deve essere realizzata non appena la polizia giudiziaria ha il primo contatto con la persona nei cui confronti si svolgono le indagini, e, per suffragarla, deve essere redatto un idoneo verbale.
Di norma può essere sufficiente l’esame della carta d’identità o di un documento equipollente come insegna l’articolo 292 del Regolamento per l’Esecuzione del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza
(è buona prassi allegare la fotocopia del documento alla relazione ed eventualmente richiedere anche il
certificato anagrafico al Comune di residenza).
È ovvio che la verifica documentale ha un’importanza fondamentale e, per tale ragione, esaminando il
documento, sarà necessario porre attenzione alla sua tipologia, al paese dal quale appare essere stato
emesso e ultimo, ma non ultimo, alla “comprensione” del medesimo.
A puro titolo di esempio Paesi come l’Irlanda, la Danimarca, la Lettonia, l’Estonia, l’Islanda, la Norvegia
e l’Inghilterra, fino al 31 dicembre 2008 non si avvalevano della carta d’identità.
Pertanto, chi esibisce una carta d’identità di uno dei citati Paesi che risalga al 2008 o a un anno precedente sta sicuramente commettendo un illecito penale essendo la sua volontà quella di trarre in inganno
l’operatore di polizia.
Per gli stranieri (nel significato dato al termine dall’articolo 1 D.Lgs. 286/1998) l’essere in possesso della
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carta d’identità, seppur in corso di validità, non equivale tout court alla libera e regolare circolazione sul
territorio nazionale, poiché è necessario esibire anche il permesso di soggiorno.
Nel controllo del modello cartaceo della carta d’identità Italiana, l’operatore deve porre particolare attenzione al quarto rigo della seconda pagina nel quale sono riportati i dati anagrafici relativi all’atto di
nascita.
Ove è scritto “Atto n.” si vuole indicare il numero progressivo annuale (da gennaio a dicembre) della dichiarazione di nascita; questo dato è contenuto nei registri del Comune di nascita, ma è trascritto anche
nella carta d’identità che dovesse essere rilasciata da un altro Ente a seguito di cambio di residenza.
Con la lettera “P” si vuole determinare la parte del Registro (possono essere indicati solo i numeri romani
I o II), mentre con la lettera “S” è individuata la serie del Registro dell’atto di nascita (possono essere
presenti solamente le lettere A oppure B).
Le combinazioni possibili sono:
“P.I” “S.A” per dichiarazioni effettuate all’Ufficiale di Stato Civile da residenti entro 10 giorni dalla nascita;
“P.II” “S.A” per le dichiarazioni effettuate all’Ufficiale di Stato Civile da non residenti;
“P.II” “S.B” per gli italiani nati all’estero;
La sola “P” – in assenza della serie indica una nascita che risale a una data precedente al 1940.
Coloro che sono nati all’estero, sia in uno Stato extra UE sia in un Stato della Comunità Europea, e risiedono in Italia “non” sono registrati negli atti di nascita, quindi la parte d’interesse - Atto n.… P…S.. - non
vengono compilati.
Le persone possono essere identificate anche tramite l’esibizione di un documento, recante la fotografia
di colui al quale è accordato, e rilasciato da una Amministrazione dello Stato (patente di guida, libretto
di porto d’armi, passaporto per l’estero, libretto ferroviario di cui sono muniti gli impiegati civili e militari
dello Stato ed i loro familiari – i c.d. modelli AT e BT - e la tessera di riconoscimento postale).
Va ricordato che è fatto obbligo ai cittadini di esibire la carta d’identità, o un documento equipollente,
ad ogni richiesta degli Ufficiali o Agenti di Pubblica Sicurezza (articolo 294 R.D. 6 maggio 1940, n. 635).
Può essere necessario, se l’indagato è privo di documenti, procedere alla sua identificazione attraverso i
rilievi dattiloscopici.
È appena il caso di rammentare che alla polizia giudiziaria è concesso, a norma dell’articolo 349,
4°- 5° e 6° comma c.p.p., privare temporaneamente della libertà personale senza provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, per scopo d’identificazione, la persona sottoposta ad indagini (ma anche colui in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti),
quando:
a)si rifiuti di dichiarare le proprie generalità, (nel qual caso il soggetto violerebbe, oltre al reato già
commesso, il precetto previsto dall’articolo 651 c.p. se si tratta di persona sottoposta ad indagini),
b)se ricorrono elementi sufficienti per ritenere false le dichiarazioni fornite sulla propria identità (artt.
495 o 496 c.p.),
c)se ricorrono elementi sufficienti per ritenere falsi i documenti d’identità esibiti (artt. 476, 477 e 482
oppure 489 e 648 c.p. o l’articolo 497 bis se trattasi di documenti validi per l’espatrio).
L’articolo 349 c.p.p. disciplina le attività tipiche della polizia giudiziaria che consistono nell’individuazione
delle generalità di tutti i soggetti che potrebbero ricoprire un ruolo nel successivo sviluppo del procedimento penale e, in particolare, delle persone sottoposte alle indagini e di chi è in grado di fornire informazioni utili ai fini delle indagini.
Scopo di tale atto è quello di permettere di accertare l’esatta identità della persona trattenuta o di verificare l’eventuale falsità dei documenti che sono stati esibiti.
Se ricorre una delle situazioni illustrate dall’articolo 349, 4° comma, c.p.p., la persona che deve essere identificata viene accompagnata coattivamente negli uffici e può essere trattenuta per non più di dodici ore.
Quando deve essere attuato un fermo d’identificazione bisogna avere bene a mente i seguenti presupposti:
a)può essere effettuato indifferentemente da un Ufficiale o da un Agente di polizia giudiziaria;
b)deve essere immediatamente dato avviso al Pubblico Ministero, il quale, se ritiene che non vi
siano elementi sufficienti per reputare le dichiarazioni o i documenti esibiti falsi, ordina che l’accompagnato sia posto in libertà;
c)i destinatari di una identificazione coattiva possono essere solamente le persone sottoposte alle
indagini o le persone informate sui fatti;
d)per le persone sottoposte alle indagini l’identificazione deve sempre essere seguita dall’invito di cui
all’articolo 161 c.p.p. (dichiarare o eleggere domicilio);
e)l’attività del secondo comma può essere esercitata solo nei riguardi della persona sottoposta alle
indagini ma non nei confronti della persona informata sui fatti;
f) l’identificazione dovrebbe per lo più essere effettuata sul posto in quanto l’accompagnamento è consentito solamente se la persona sottoposta a indagini o la persona informata
sui fatti rifiuti di farsi identificare o dichiari generalità o esibisca documenti che possono
essere, sulla scorta di sufficienti elementi, sospettabili di falsità.
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È bene rammentare che “coattivamente” vuol significare che l’attività si esplica “contro la volontà” del
destinatario della condotta.
Se l’indagato o la persona informata sui fatti fornisce agli operanti la sua totale e volontaria disponibilità a
seguire gli operanti in Comando per procedere all’attività d’identificazione, quanto verrà successivamente elaborato dalla polizia giudiziaria sarà legittimato ai sensi dall’articolo 50 del codice penale (Art. 50.
Consenso dell’avente diritto. Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della
persona che può validamente disporne.) e, quindi, non sarà più un’ attività svolta in virtù del potere –
dovere stabilito dal quarto comma dell’articolo 349 c.p.p.
Non deve essere dimenticato poi che “coattivamente”, oltre a quanto già specificato, significa ancora che
può essere fatto ricorso alla coazione fisica, per cui se la persona sottoposta alle indagini o la persona
informata sui fatti rifiuta di seguire al Comando l’operatore di polizia giudiziaria potrà essere utilizzata,
se del caso, la forza nei confronti del soggetto recalcitrante per procedere al suo accompagnamento
(occorre porre attenzione e buon senso onde evitare di cadere in una ipotesi di eccesso nella causa di
giustificazione prevista dall’articolo 51 del codice penale – Articolo 51. Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere. L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma
giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità. Se un fatto costituente
reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato
l’ordine. Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto abbia ritenuto
di obbedire a un ordine legittimo. Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli
consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine.).
Se poi l’indagato o la persona informata sui fatti decidesse di opporsi all’accompagnamento esercitando una minaccia o, peggio, una violenza nei confronti dell’operatore, con il suo comportamento violerà
l’articolo 337 del codice penale autorizzando la polizia giudiziaria ad attuare l’esecuzione di un arresto
(facoltativo) in flagranza, qualora ricorrano i presupposti della gravità del fatto o della personalità del
soggetto attivo.
Cosa dice la Giurisprudenza
Cass. pen. Sez. VI, 14/04/2011, n. 18841
FALSITA’ PERSONALE
RIFIUTO DI INDICAZIONI
In caso di rifiuto, non già di declinare le proprie generalità, ma soltanto di esibire i documenti
richiesti, gli agenti di polizia non sono legittimati ad accompagnare coattivamente l’interessato in caserma per le operazioni di identificazione, a mente
dell’art. 349, comma 4, c.p.p., qualora non emergano concreti elementi di fatto che inducano a
ritenere la falsità delle generalità declinate. In caso contrario, trova applicazione per il ristretto, che
eventualmente opponga resistenza, la causa di giustificazione prevista dall’art. 4, D.Lgs.Lgt. n. 288/1944
(dopo l’intervento della legge n. 94/2009, art. 393-bis c.p.).
FONTI
Dir. Pen. e Processo, 2011, 7, 825
Cass. pen. Sez. VI, 14-04-2011, n. 18841
AMMINISTRAZIONE PUBBLICA
Amministrazione pubblica, in genere
REATO IN GENERE
REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
- Delitti
- Dei privati
- Reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale
- Accompagnamento coattivo ingiustificato
- Perquisizione personale alla ricerca di armi
- Esecuzione in mancanza di elementi obiettivi di giustificazione
- Atto arbitrario
- Sussistenza
È configurabile l’esimente della reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale qualora il privato opponga
resistenza al pubblico ufficiale che pretenda di sottoporlo a perquisizione personale finalizzata alla ricerca
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di armi e munizioni in assenza di elementi obiettivi idonei a giustificare l’atto, e dopo averlo accompagnato coattivamente in caserma in ragione del precedente rifiuto non già di declinare le generalità, ma
di esibire i documenti d’identità. (Annulla senza rinvio, App. Venezia, 02/04/2009)
FONTI
CED Cassazione, 2011
Riv. Polizia, 2011, 12, 807
Cass. pen. Sez. II, 18-01-2011, n. 3603
IMPUTATO
IMPUTATO
- Identità personale
- Identificazione dell’imputato sulla base delle sue dichiarazioni
- Sufficienza
- Esclusione
Le sole dichiarazioni rese dall’imputato, privo di documenti e non fotosegnalato, alla polizia
giudiziaria in ordine alle proprie generalità non sono sufficienti a fondare con sicurezza l’identificazione dello stesso, incombendo in tal caso alla polizia giudiziaria di procedere ai rilievi di cui all’art.
349, commi secondo e secondo bis, cod. proc. pen. (Annulla senza rinvio, Trib. Bergamo, 16/09/2009).
FONTI
CED Cassazione, 2011
Cass. pen. Sez. III, 11-05-2010, n. 22777
IMPUTATO
INDAGINI PRELIMINARI
Indagini preliminari in genere
IMPUTATO
- Identità personale
- Identificazione dell’imputato sulla base delle sue sole dichiarazioni
- Possibilità
- Esclusione
- Ragioni
- Fattispecie
Le sole dichiarazioni rese dall’imputato, privo di documenti e non fotosegnalato, alla polizia
giudiziaria in ordine alle proprie generalità non sono sufficienti a fondare con sicurezza l’identificazione dello stesso, incombendo in tal caso alla polizia giudiziaria di procedere ai rilievi di cui
all’art. 349, commi secondo e secondo bis, cod. proc. pen.. (Fattispecie di intervenuta sentenza di non
doversi procedere perché l’azione penale non doveva essere esercitata per essere ignoto l’autore del
reato). (Rigetta, Trib. Firenze, 20 Ottobre 2008)
FONTI
CED Cassazione, 2010
Cass. pen. Sez. II, 13-06-2003, n. 37103
IMPUTATO
L’identificazione dell’imputato avvenuta sulla base delle dichiarazioni da lui fornite alla polizia giudiziaria,
consente di affermare in capo a lui la responsabilità in quanto l’ordinamento non impone l’espletamento
delle procedure previste dall’art. 349 c.p.p. se non in presenza di elementi di fatto che facciano ritenere
la falsità delle suddette dichiarazioni.
FONTI
Riv. Pen., 2004, 1135
Arch. Nuova Proc. Pen., 2004, 666
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Cass. pen. Sez. III Sent., 03-06-1998, n. 07854
P.M. in proc. M.
IMPUTATO
POLIZIA GIUDIZIARIA
IMPUTATO (COD. PROC. PEN. 1988)
- IDENTITA’ PERSONALE
- Attribuzione del reato a soggetto già individuato fisicamente
- Identità anagrafica raggiunta sulla sola base delle dichiarazioni rese
- Sufficienza
- Ragione.
L’identificazione dell’imputato da parte della polizia giudiziaria, avvenuta sulla base delle dichiarazioni
dello stesso e non confortate da alcun elemento di riscontro consente di pervenire alla affermazione di
responsabilità dell’imputato, non potendosi ritenere che lo stesso abbia fornito false generalità. In caso
di errore e/o di accertata falsità delle generalità dichiarate soccorrono specifici rimedi, con particolare
riferimento alla fase esecutiva.
FONTI
CED Cassazione, 1998
Cass. pen. Sez. I Sent., 14-10-1997, n. 09936
P.M. in proc. O.
IMPUTATO
IMPUTATO (COD. PROC. PEN. 1988)
- IDENTITA’ PERSONALE
- Certezza dell’identità fisica dell’imputato che abbia fornito le proprie generalità
- Identificabilità possibile mediante qualsiasi mezzo idoneo a fornire una dimostrazione scientifica dell’identità
- Mancato ricorso a tali modalità
- Successiva irreperibilità dell’imputato
- Possibilità di declaratoria di improcedibilità perché ignoto l’autore del reato
- Esclusione
- Ragioni
- Fattispecie.
In forza dell’art. 66 del vigente codice di procedura penale deve escludersi che l’impossibilità di attribuire
all’imputato le sue esatte generalità possa pregiudicare il compimento di alcun atto dell’autorità procedente allorquando sia certa l’identità fisica della persona; ai fini di tale accertamento
l’art. 349 cod. proc. pen. prevede la possibilità di rilievi dattiloscopici, fotografici, antropometrici o di altro
genere: peraltro il mancato ricorso a tali modalità non comporta che sia da ritenersi non identificato uno
straniero che abbia dato complete generalità, pur risultando poi irreperibile. (Nella fattispecie il Pretore
aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato - che, fermato dalla Polizia Giudiziaria,
aveva fornito agli agenti le sue generalità con l’indicazione del domicilio in Italia dove però non era stato
poi rintracciato - con la formula “per essere ignoto l’autore del fatto”, sostenendo che l’imputato stesso
non era mai stato identificato con certezza non solo anagraficamente, ma neppure fisicamente con rilievi
fotografici o dattiloscopici. La Suprema Corte, a seguito di ricorso del P.M., ha annullato con rinvio tale
sentenza, enunciando il principio di diritto di cui in massima).
FONTI
CED Cassazione, 1997
Cass. pen. Sez. V, 05-05-2010, n. 20759
IMPUTATO
INDAGINI PRELIMINARI
Persona sottoposta ad indagini
POLIZIA GIUDIZIARIA
IMPUTATO
- Identità personale
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- Identificazione indagato
- Accertamenti di p.g.
- Condizioni
L’identificazione dell’indagato ad opera della polizia giudiziaria è validamente operata sulla base delle
dichiarazioni dallo stesso fornite, perché il ricorso ai rilievi dattiloscopici, fotografici o antropometrici, o
ad altri accertamenti, si giustifica soltanto in presenza di elementi di fatto che facciano ritenere la falsità
delle indicate dichiarazioni. (Annulla con rinvio, Trib. Firenze, 30/06/2006)
FONTI
CED Cassazione, 2010
Cass. pen. Sez. II, 27-01-2009, n. 7337
R.M.
INDAGINI PRELIMINARI
Indagini preliminari in genere
INDAGINI PRELIMINARI
- Attività del pubblico ministero
- Individuazione di persone e cose
- Successivo atto di ricognizione
- Nullità
- Esclusione.
Non è nulla né inutilizzabile la ricognizione personale compiuta dalla persona chiamata, nel corso delle
indagini preliminari, ad eseguire (una o più volte) l’individuazione fotografica. (Dichiara inammissibile,
App. Firenze, 14 luglio 2008)
FONTI
CED Cassazione, 2009
Cass. pen. Sez. VI Sent., 10-06-2008, n. 36162
C.F.
OLTRAGGIO
RESISTENZA
REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
- DELITTI
- DEI PRIVATI
- REAZIONE AD ATTI ARBITRARI DEL PUBBLICO UFFICIALE
- Accompagnamento coattivo a scopo di identificazione di persona che abbia declinato le proprie generalità
- Atto arbitrario
- Condizioni
- Fattispecie in tema di resistenza a pubblico ufficiale.
È configurabile la scriminante di cui all’art. 4 del D.Lgs.Lgt. n. 288 del 1944
nel caso di resistenza opposta ad un pubblico ufficiale nell’esecuzione della misura dell’accompagnamento coattivo di cui all’art. 349 cod. proc. pen. in difetto dei presupposti previsti dal quarto comma di
detto articolo, costituiti dal rifiuto del soggetto di farsi identificare ovvero dalla sussistenza di sufficienti
elementi per ritenere la falsità delle generalità o dei documenti di identificazione da lui forniti. (Annulla
senza rinvio, App. Trento, 14 Ottobre 2005)
FONTI
CED Cassazione, 2008
Cass. pen. Sez. VI, 22/10/2002, n. 39685
A.
RESISTENZA
In materia di atti arbitrari del pubblico ufficiale, ai fini della sussistenza dell’esimente di cui all’art. 4 del
D.Lgs.Lgt. n. 288 del 1944, non basta che il pubblico ufficiale ecceda dai limiti delle sue attribuzioni, ma è
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necessario altresì che tenga una condotta improntata a vessazione, sopruso, prevaricazione, prepotenza
nei confronti del privato destinatario. (Nella specie, la Corte ha ritenuto scriminato il comportamento del
soggetto che ha opposto resistenza ad un pubblico ufficiale, il quale lo aveva privato della libertà personale oltre il tempo necessario all’identificazione, ai sensi dell’art.
11 del D.L. n. 59 del 1978 convertito con modificazioni nella legge n. 191 del 1978, al fine di vessarlo e
di fornire una dimostrazione della propria forza e della propria supremazia).
FONTI
Riv. Pen., 2003, 793
Cass. pen. Sez. I Sent., 13/11/2007, n. 43681
Pubblico Ministero presso Tribunale di Napoli c. T.M.
GIUDIZIO DIRETTISSIMO
MISURE CAUTELARI PERSONALI
Arresto
PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
- GIUDIZIO DIRETTISSIMO
- CONVALIDA DELL’ARRESTO
- Termine per la convalida dell’arresto
- Computabilità del tempo necessario per la identificazione dello straniero
- Esclusione.
In tema di giudizio direttissimo davanti al tribunale in composizione monocratica, non può computarsi
nei termini prescritti per la convalida dell’arresto il periodo trascorso per l’accertamento dell’identità dello
straniero mediante rilievi fotodattiloscopici ai sensi dell’art. 6 del D.Lgs. n. 286 del 1998 e successive
modifiche. (Annulla con rinvio, Trib. Napoli, 26 Aprile 2006)
FONTI
CED Cassazione, 2007
L’utilizzo delle manette per l’accompagnamento coattivo
L’utilizzo delle manette non è mai stato opportunamente regolamentato a livello normativo, se non per
quanto riguarda il loro uso nelle operazioni di traduzione di soggetti in condizione di restrizione della libertà personale (vedasi l’articolo 5 della legge 354/75 – “Nelle traduzioni individuali l’uso delle manette
ai polsi é obbligatorio quando lo richiedono la pericolosità del soggetto o il pericolo di fuga o circostanze di
ambiente che rendono difficile la traduzione. In tutti gli altri casi l’uso delle manette ai polsi o di qualsiasi
altro mezzo di coercizione fisica é vietato.”).
Se portate al seguito durante i servizi d’istituto possono fungere, più che altro, da potenziale “deterrente”.
È bene non dimenticare che mettere le manette ai polsi di un soggetto violento e magari anche dotato di
forza fisica non indifferente non è una facile impresa; spesso il solo mostrarle “tenendole in mano” può
rischiare di far gravemente degenerare situazioni che si presentano già particolarmente problematiche.
Con il termine “traduzione” si vuole intendere il trasferimento coattivo di persone in regime di restrizione
della libertà personale da un luogo a un altro. L’art. 42-bis, comma 1, della legge 12 dicembre 1992,
n. 492 recante “Disposizioni in materia di traduzioni di soggetti in condizione di restrizione della libertà
personale e di liberazione di imputati prosciolti” definisce come traduzione “tutte le attività di accompagnamento coattivo, da un luogo ad un altro, di soggetti detenuti, internati, fermati, arrestati o comunque
in condizione di restrizione della libertà personale”.
Vale la pena di rammentare, poi, che nella riunione del 2 luglio 1997 il Garante per la Protezione dei dati
Personali, ha dato alcune indicazioni relative alla salvaguardia della dignità e della riservatezza degli indagati e degli imputati.
La prima prescrizione riguardava il richiamo al rispetto della legge n. 492 del 1992 che vieta, salvo nei
casi di pericolosità del soggetto o di pericolo di fuga o di circostanze che rendono difficile la traduzione,
l’uso delle manette ai polsi (1. Dopo l’articolo 42 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è inserito il seguente:
“Art. 42-bis (Traduzioni). - 1. Sono traduzioni tutte le attività di accompagnamento coattivo, da un luogo ad un altro, di soggetti detenuti, internati, fermati, arrestati o comunque in condizione di restrizione
della libertà personale. 2. Le traduzioni dei detenuti e degli internati adulti sono eseguite, nel tempo più
breve possibile, dal Corpo di polizia penitenziaria, con le modalità stabilite dalle leggi e dai regolamenti
e, se trattasi di donne, con l’assistenza di personale femminile. 3. Le traduzioni di soggetti che rientrano
nella competenza dei servizi dei centri per la giustizia minorile possono essere richieste, nelle sedi in cui
non sono disponibili contingenti del Corpo di polizia penitenziaria assegnati al settore minorile, ad altre
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forze di polizia. 4. Nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti
dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare ad essi inutili disagi. L’inosservanza della presente disposizione costituisce comportamento valutabile ai fini disciplinari. 5. Nelle
traduzioni individuali l’uso delle manette ai polsi e’ obbligatorio quando lo richiedono la pericolosità del
soggetto o il pericolo di fuga o circostanze di ambiente che rendono difficile la traduzione. In tutti gli
altri casi l’uso delle manette ai polsi o di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica è vietato. Nel caso di
traduzioni individuali di detenuti o internati la valutazione della pericolosità del soggetto o del pericolo
di fuga è compiuta, all’atto di disporre la traduzione, dall’autorità giudiziaria o dalla direzione penitenziaria competente, le quali dettano le conseguenti prescrizioni. 6. Nelle traduzioni collettive è sempre
obbligatorio l’uso di manette modulari multiple dei tipi definiti con decreto ministeriale. È vietato l’uso di
qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica. 7. Nelle traduzioni individuali e collettive è consentito, nei casi
indicati dal regolamento, l’uso di abiti civili. Le traduzioni dei soggetti di cui al comma 3 sono eseguite,
di regola, in abiti civili”.).
La seconda indicazione riguardava la diffusione da parte di organi di polizia di foto segnaletiche degli
arrestati.
Il garante ha sostenuto che la raccolta di tali particolari informazioni personali (le fotosegnaletiche) è
finalizzata unicamente ad esigenze di sicurezza pubblica e di giustizia. La loro divulgazione ai mezzi di
informazione che non rientrino nelle finalità appena citate, non è più permessa dopo l’entrata in vigore
della legge n. 675 del 1996, che esplicitamente qualifica come “dato personale” qualsiasi informazione
che consenta di identificare un soggetto, quindi anche le fotografie.
Fatte queste debite premesse, occorre soffermarsi sul termine “traduzioni”; questo viene spiegato da
quanto contenuto nella legge sopra indicata, affermando che indica come tali “… tutte le attività di accompagnamento coattivo, da un luogo ad un altro, di soggetti detenuti, internati, fermati, arrestati o
comunque in condizione di restrizione della libertà personale…”.
Perché una persona possa essere considerata in stato d’arresto o di fermo occorre fare mente locale, per
il primo termine, agli articoli 380 e 381 c.p.p. A questo concetto può essere assimilabile quello del fermo
d’indiziato a’sensi dell’articolo 384 c.p.p. (in ordine al quale la polizia giudiziaria dovrà provvedere alle
medesime formalità, ovvero quelle dettate dall’articolo 386 c.p.p.), mentre, al concetto di fermo fanno
riferimento gli articoli 349 c.p.p., 11 legge 191/1978, e 6, 4° comma, D.L.vo 286/1998 ovvero a quelle
norme che attengono a una privazione temporanea della libertà personale per ragioni di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza (per la Polizia Locale, in quanto non è assimilabile all’Autorità di Pubblica
Sicurezza è, a parere di chi scrive, impossibile fare riferimento all’articolo 4 del T.U.L.P.S.).
Oltre a quanto sopra riferito, però, deve essere soppesato il concetto che la norma indica con la locuzione “… o comunque in condizione di restrizione della libertà personale…” il quale puntualizza, a parere di
chi scrive, che nel caso in cui debba si debba trasferire una persona la cui libertà personale è limitata, è
possibile l’utilizzo delle manette per un operatore di Polizia (ovviamente anche Locale) sempre però che
si realizzino, anche concorrendo fra loro, le seguenti condizioni:
a)che sia in corso un’operazione di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza;
b)che il soggetto sia pericoloso;
c)che vi sia il pericolo che costui sia dia alla fuga;
d)che si manifestino delle situazioni ambientali ostili;
e)che la riduzione della libertà del soggetto sia legittima;
f) che la dotazione del mezzo di coazione sia prevista da una norma regolamentare e/o da una legge
regionale.
Quindi l’utilizzo delle manette che sarebbe sicuramente un reato se compiuto da un qualsiasi cittadino,
è ammissibile alle condizioni anzidette per l’operatore di P.L. il quale si vedrà scriminato ai sensi dell’articolo 50 c.p. o, se il fermato o l’arrestato abbia usato violenza o resistenza, ai sensi dell’articolo 53 del
codice penale.
Ritornando al fermo d’identificazione ex articolo 349 c.p.p. e premesso quanto sopra specificato occorrerà, poi, procedere a raccogliere la dichiarazione o l’elezione del domicilio da parte della persona sottoposta alle indagini.
È questa un’operazione d’importanza fondamentale, perché se compiuta in modo non rituale, potrebbe
determinare difficoltà procedurali, o peggio, portare all’annullamento di singoli atti o dell’intero processo.
(art. 171, 1° comma - lettera e - c.p.p.).
Chiediamoci che cos’è il domicilio: il codice civile lo definisce come il luogo in cui la persona ha stabilito
la sede principale dei suoi affari o interessi (art. 43, 1° comma, codice civile) e coincide normalmente,
ma non necessariamente, con la residenza che è il luogo d’abituale dimora della persona (art. 43, 2°
comma, c.c.).
Si può svolgere la propria attività professionale in un Comune (domicilio), e abitare in un altro Comune
(dove si ha la residenza).
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È indicativo il caso dei coniugi: marito e moglie che non siano separati devono avere la stessa residenza.
Possono però non avere lo stesso domicilio, e quindi stabilire in luoghi diversi la sede principale dei loro
affari o interessi (art. 45, 1° comma, c.c.).
Dal domicilio generale della persona, che è la sede principale dei suoi affari o interessi (ad esempio il luogo in cui l’imprenditore ha la sede dell’impresa, il professionista il proprio studio) si distingue il domicilio
speciale, che la persona può eleggere, con atto scritto, per suoi determinati affari (art. 47 c.c.).
Proprio per questo distinguiamo tra la dichiarazione di domicilio (che riguarda la casa d’abitazione o
il luogo ove la persona sottoposta alle indagini svolge abitualmente il suo lavoro) e l’elezione di domicilio (che concerne un luogo diverso dai precedenti e dove dovrà essere indicata la persona alla quale
saranno notificati gli atti).
In particolare si deve porre l’accento sull’importanza che riveste l’elezione del domicilio per l’indagato
che sia senza una fissa dimora, oppure per il cittadino straniero che abbia una reperibilità assai precaria.
L’elezione del domicilio si caratterizza anche per l’indicazione del domiciliatario, a proposito del quale il
codice non richiede che costui sia a conoscenza dell’avvenuta elezione.
Spesso si ricorre all’elezione del domicilio presso lo studio del difensore d’ufficio nei confronti del quale, è bene rammentarlo, è obbligatorio eseguire la comunicazione dell’avvenuta nomina; orbene, tale
obbligo, però, non si estende alla comunicazione dell’avvenuta elezione di domicilio presso il suo studio.
Ultimamente si è assistito al caso in cui alcuni legali i quali, a torto o a ragione, accettano la notifica d’atti
concernenti il procedimento solamente per quanto riguarda la loro funzione di difensore, ma rifiutano
invece di ricevere la notifica per la persona che ha eletto il domicilio presso di loro.
In questo caso occorre trasmettere l’atto non notificato a causa del sopra specificato rifiuto al Pubblico
Ministero assegnatario del fascicolo processuale, ragguagliandolo sulle motivazioni dell’omessa notifica;
quest’ultimo ritrasmetterà l’atto alla polizia giudiziaria operante chiedendo la notifica ai sensi dell’articolo
161, 4°comma, c.p.p., rendendo di fatto obbligatoria la ricezione dell’atto da parte del legale.
Il verbale d’elezione di domicilio presuppone, ovviamente, la presenza fisica della persona sottoposta alle
indagini, ma ciò non significa necessariamente che costui deve sottoscrivere l’atto, perché la certezza
del fatto storico dell’elezione, della sua provenienza e del suo contenuto derivano dalla potestà pubblica
esercitata da chi redige il verbale (si pensi all’elezione effettuata nel corso del processo, che viene raccolta a verbale, ma non è sottoscritta dall’imputato).
Sempre a proposito del cittadino straniero, infine, è importante appurare se costui comprende o no la
lingua italiana: in caso negativo sarà necessaria l’assistenza di un interprete (Sentenza Corte Costituzionale n. 10/1999).
Già con questo primo atto è opportuno procedere alla nomina di un difensore, cosa che diviene obbligatoria se si è compiuto un atto cui il difensore aveva il diritto di assistere (vedasi artt. 352 e 354 c.p.p.), e, in
ogni caso, prima dell’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio, ma anche nel caso in cui la persona
sottoposta a indagini debba rendere le sommarie informazioni (art. 350, 1° - 2° - 3° - 4° comma c.p.p.).
Unitamente alla copia del verbale d’identificazione, dichiarazione/elezione del domicilio e nomina del
difensore alla persona sottoposta alle indagini si dovrà consegnare la cosiddetta informazione sul diritto
di difesa, meglio specificata nel 2° comma dell’articolo 369 bis del codice di procedura penale. Veniamo
ora a specificare meglio i contorni del c.d. “fermo d’identificazione” previsto da quest’articolo e al quale
le norme antiterrorismo varate con la legge n. 155 del 31 luglio 2005 hanno dato maggior mordente investigativo, introducendo il comma 2 bis all’articolo 349 c.p.p. .
Può essere utilizzato qualora la polizia giudiziaria (quindi dopo la commissione di un qualsiasi reato)
procede all’identificazione:
Della persona nei cui confronti sono svolte le indagini; della persona in grado di riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti. Nei confronti della p.s.i. l’identificazione può essere compiuta utilizzando anche rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici e altri accertamenti.
La nuova norma ha previsto che fra gli accertamenti di cui sopra, effettuabili, è bene rammentarlo, unicamente nei confronti di una persona che si ritiene abbia commesso un reato, è possibile procedere al
prelievo di capelli o di saliva e, qualora MANCHI IL CONSENSO del soggetto sottoposto al fermo d’identificazione, la polizia giudiziaria procede coattivamente, sempre però nel rispetto della dignità personale
del fermato; prima di porre in essere tale verifica, però, deve ottenere un’autorizzazione scritta
dal Pubblico Ministero.
In casi di particolare urgenza il Pubblico Ministero può autorizzare oralmente la polizia giudiziaria, ma,
è necessario che, poi, confermi per iscritto tale direttiva (non è detto nella norma entro quale termine
debba essere vergata la conferma per iscritto).
La durata del fermo è, normalmente, di dodici ore che possono però diventare ventiquattro quando ricorrono le seguenti situazioni:
1.
2.
3.
Nel caso in cui l’identificazione risulti particolarmente complessa;
Nel caso in cui occorra l’assistenza dell’autorità consolare;
Nel caso in cui occorra l’assistenza di un interprete.
Il fermato, nel caso in cui ricorra una o più di queste circostanze, a seguito delle quali il fermo può durare
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fino a ventiquattro ore, ha la facoltà di richiedere alla polizia giudiziaria operante che sia dato avviso ad
un suo familiare o convivente .
La persona sottoposta ad indagini, in questa fase, non ha garanzie difensive, ragione per la quale la
polizia giudiziaria non ha il dovere di dare avviso del fermo, nemmeno nel caso in cui questo duri ventiquattro ore, al difensore di fiducia o d’ufficio.
Era questo uno dei punti sui quali il dibattito parlamentare si era soffermato, in quanto era stato sostenuto che il fermo d’identificazione pur godendo di tre garanzie ( 1 - la durata massima di 12 ore; 2 - l’accompagnamento deve avvenire solamente negli uffici della polizia giudiziaria; 3 - la notifica al pubblico
ministero dell’ora del fermo e del successivo rilascio), non ne prevedeva due fondamentali, che peraltro
esistono nel caso di fermo ex articolo 384 c.p.p. , a seguito del quale una persona sospettata di un reato
viene portata in carcere: la nomina di un difensore e l’informazione ai familiari.
Nel momento in cui è stata aperta la discussione sull’allungamento dei tempi del fermo, si è evidenziata
la mancanza delle citate garanzie; in particolare, visto che il decreto legge 27 luglio 2005 n. 144 non prevedeva nessuna di queste guarentigie, è stato posto rimedio riformulando la norma all’atto della stesura
della legge, permettendo alla persona fermata, qualora il fermo duri oltre le dodici ore, di richiedere che
sia dato avviso ai familiari o ad una persona convivente dell’avvenuto fermo.
Francamente tra le due garanzie quella di dare l’avviso ai familiari è la misura che può comportare il
maggiore rischio che, tramite questa comunicazione, possano essere inviati messaggi ad amici o accoliti,
con il rischio di vanificare l’operazione di polizia giudiziaria in corso.
La novella tratta di nuovi strumenti d’indagine che, com’è facilmente comprensibile, sono applicabili a
qualsiasi reato e non solamente a quelli che riguardino finalità terroristiche.
Occorre verificare se tale norma sia conforme a quanto indicato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 238 del 1996, con la quale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 224, comma 2, del c.p.p.
nella parte in cui consentiva che il Giudice, nell’ambito delle operazioni peritali, disponeva misure che
comunque incidevano sulla libertà personale dell’indagato o dell’imputato o di terzi, al di fuori di quelle
specificamente previste nei casi e nei modi indicati dalla legge.
È necessario affermare che la Corte non ha voluto prevedere l’incostituzionalità di provvedimenti coercitivi che siano invasivi della persona, ma ne ha dichiarato l’incostituzionalità quando tali prelievi erano
stati effettuati senza che ne siano indicati i casi e i modi.
L’articolo 13, secondo comma, della Costituzione assoggetta ogni limitazione della libertà personale ad
una doppia garanzia: la riserva di legge, poiché le misure restrittive della libertà personale sono possibili nei soli casi e modi previsti dalla legge, e la riserva di giurisdizione, giacché è richiesto che l’atto
sia convalidato dall’Autorità Giudiziaria.
Il prelievo coattivo previsto dalla legge, almeno quello salivare, comporta una modesta restrizione della
libertà personale, ma è compiuto senza manovre invasive e non arreca alla persona sofferenza fisica o
psicologica, in quanto per determinare il suo DNA sono sufficienti poche cellule della mucosa boccale che
sono reperibili in una piccola quantità di saliva che si preleva con uno stick dalla bocca.
Per quanto è stato affermato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza, il prelievo coattivo non è
costituzionalmente corretto, quando, come visto per l’articolo 224 c.p.p., la legge presenta un’assoluta
genericità di formulazione e una totale mancanza di ogni specificazione dei casi e dei modi secondo i quali
sia legittimo procedere all’esecuzione coattiva di accertamenti peritali, mediante l’adozione, a discrezione
del Giudice, di misure restrittive della libertà personale.
Occorre affermare che tale rilievo, a parere di chi scrive, non può essere ritenuto applicabile alla normativa introdotta con la legge 155/2005.
Infatti, non sono rilevabili elementi di non costituzionalità nella norma; lascia invece perplessi la mancata
previsione della presenza del difensore, o almeno del suo avviso.
In realtà, il momento del prelievo può costituire un atto irripetibile, ragione per la quale sarebbe stato
opportuno prevedere la presenza di un difensore, che nella stragrande maggioranza dei casi sarebbe
stato un difensore d’ufficio.
L’IDENTIFICAZIONE DI PUBBLICA SICUREZZA (art. 11 D.L. 21 marzo 1978 n. 59 convertito con modificazioni nella L. 18 maggio 1978 n. 191 e articolo 4 Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza)
Art. 11 Decreto Legge 59 del 1978
Gli ufficiali e gli agenti di polizia possono accompagnare nei propri uffici chiunque, richiestone, rifiuta di
dichiarare le proprie generalità ed ivi trattenerlo per il tempo strettamente necessario al solo fine
dell’identificazione e comunque non oltre le ventiquattro ore.
La disposizione prevista nel comma precedente si applica anche quando ricorrono sufficienti indizi per
ritenere la falsità delle dichiarazioni della persona richiesta sulla propria identità personale o dei documenti d’identità da essa esibiti.
Dell’accompagnamento e dell’ora in cui è stato compiuto è data immediata notizia al Procu11
ratore della Repubblica, il quale, se riconosce che non ricorrono le condizioni di cui ai commi
precedenti, ordina il rilascio della persona accompagnata.
Al procuratore della Repubblica è data altresì immediata notizia del rilascio della persona accompagnata e dell’ora in cui è avvenuto.
Articolo 4 TULPS - Regio Decreto 18 giugno 1931 n. 773
L’autorità di pubblica sicurezza ha facoltà di ordinare che le persone pericolose o sospette e coloro che
non sono in grado o si rifiutano di provare la loro identità siano sottoposti a rilievi segnaletici.
Ha facoltà inoltre di ordinare alle persone pericolose o sospette di munirsi, entro un dato termine, della
carta di identità e di esibirla ad ogni richiesta degli ufficiali o degli agenti di pubblica sicurezza.
Articolo 7 Regolamento d’esecuzione al TULPS - Regio Decreto 6 maggio 1940 n. 635
I rilievi segnaletici per le persone pericolose o sospette e per coloro che non siano in grado o si rifiutino
di provare la propria identità, giusta l’art. 4 della Legge, sono descrittivi, fotografici, dattiloscopici e antropometrici.
La carta d’identità da rilasciarsi alle persone pericolose o sospette, a termini del citato art. 4, deve essere conforme al modello allegato al presente regolamento, senza particolari rilievi od annotazioni. Le
impronte digitali sono apposte sui cartellini da conservarsi presso l’ufficio comunale e l’ufficio provinciale
di pubblica sicurezza.
Il potere – dovere della polizia di identificare le persone attiene a due sfere distinte della sua attività:
• Finalità di polizia giudiziaria;
• Finalità di polizia di sicurezza.
Sulla finalità di polizia giudiziaria è stato già ampiamente sopra riferito; circa la finalità di pubblica sicurezza, occorre ricordare che quest’attività della polizia amministrativa ha l’onere di impedire quei comportamenti illeciti che sviluppano nei cittadini un forte allarme sociale e mettono in pericolo l’interesse
primario di una serena e pacifica convivenza fra i consociati.
L’identificazione prevista dall’articolo 349 c.p.p. è realizzata solamente qualora sia stato commesso un
reato, è finalizzata alla sua repressione, e può essere compiuta esclusivamente, qualora ne ricorrano le
condizioni, nei confronti della persona sottoposta ad indagini e delle persone informate sui fatti.
Nel caso in cui, invece, si proceda a identificare le persone nel corso di operazioni che hanno come fine
la tutela, in via preventiva, della sicurezza della collettività, prescindendo dalla commissione e dalla repressione di un reato, si svolge un’attività di polizia di sicurezza.
Questa attività d’identificazione è disciplinata da disposizioni diverse da quelle di cui all’articolo 349 c.p.p.
ed è prevista dall’articolo 11 D.L. 21 marzo 1978, n. 59 e dall’articolo 4 del T.U.L.P.S.
Per definire l’attività di pubblica sicurezza è necessario fare riferimento all’articolo 1 del Testo Unico il
quale afferma che l’Autorità di P.S. deve provvedere:
a)al mantenimento dell’ordine pubblico;
b)alla tutela della sicurezza dei cittadini;
c)alla tutela della proprietà;
d)all’osservanza delle leggi;
e)al soccorso in caso d’infortuni;
f) alla bonaria composizione dei dissidi.
Appurato ciò, è evidente che una delle attività per raggiungere gli obiettivi fissati dal citato articolo è
l’identificazione delle persone.
Le persone possono essere identificate tramite l’esibizione della carta d’identità o di un documento, recante la fotografia di colui al quale è accordato, e rilasciato da un’Amministrazione dello Stato (patente
di guida, libretto di porto d’armi, passaporto per l’estero, libretto ferroviario di cui sono muniti gli impiegati civili e militari dello Stato e i loro familiari – i c.d. modelli AT e BT - e la tessera di riconoscimento
postale).
Va ricordato che è fatto obbligo ai cittadini di esibire la carta d’identità, o un documento equipollente,
a ogni richiesta degli Ufficiali o Agenti di Pubblica Sicurezza (articolo 294 R.D. 6 maggio 1940, n. 635).
Il cittadino potrebbe dimostrare la propria identità anche semplicemente dichiarando le sue generalità,
ma sicuramente un’attività così svolta non potrebbe correttamente essere definita d’identificazione, poiché l’agente operante dovrebbe unicamente fidarsi di quanto dichiaratogli da costui.
Il rifiuto di fornire le generalità, com’è noto, è considerato un comportamento penalmente rilevante in
quanto l’articolo 651 c.p. punisce chi, richiesto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni,
rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato o su altre qualità personali.
Lo scopo di quest’articolo è di impedire che la Pubblica Amministrazione sia ostacolata, anche solo mo12
mentaneamente, nell’attività d’identificazione nei confronti di quelle persone alle quali sono state richieste le generalità.
Tale reato è istantaneo perché si perfeziona nel momento stesso in cui il soggetto attivo rifiuta di dichiarare la propria identità; quindi è ininfluente che costui, subito dopo il rifiuto, decida di fornire all’agente
operante le proprie generalità.
Va evidenziato poi che, con il termine generalità, il Legislatore ha voluto indicare tutte le notizie necessarie alla completa identificazione del soggetto (data e luogo di nascita, residenza, stato civile ecc… ).
La giurisprudenza ha sostenuto che l’obbligo di declinare le generalità non si estende all’esibizione dei
documenti d’identità, non essendo il soggetto richiesto, tenuto a documentare la propria identità personale (Cass. 2 marzo 1992, n. 2261).
Chi scrive ritiene che, alla luce di quanto sopra specificato, vi sia un “buco” normativo sull’attività d’identificazione, poiché se è vero che il cittadino ha l’obbligo di esibire i documenti a ogni richiesta degli
agenti o ufficiali di pubblica sicurezza, è altrettanto vero che non esiste alcuna sanzione afflittiva per la
violazione di tale obbligo, né esiste un dovere prescritto di portare con sé un documento d’identità in
corso di validità, con la sola eccezione che riguarda i cittadini stranieri, per i quali è prevista dall’articolo
6, 3°comma, del D. Lgs. n. 286/1998 che lo straniero il quale, a richiesta degli ufficiali e agenti
di pubblica sicurezza, non ottempera, senza giustificato motivo, all’ordine di esibizione del
passaporto o di altro documento d’identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato è punito con l’arresto fino a un
anno e con l’ammenda fino ad euro 2.000 (Va detto che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione
hanno stabilito il principio secondo cui, a seguito della modificazione dell’art. 6, comma terzo, del D. Lgs.
25 luglio 1998, n. 286, intervenuta a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 22, lett. h), della
legge 15 luglio 2009, n. 94, il reato d’inottemperanza all’ordine di esibizione del passaporto o di altro
documento d’identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato è configurabile esclusivamente nei confronti degli stranieri regolarmente
soggiornanti nel territorio dello Stato - Cass. Pen. Sezioni Unite n.1678 del 24.2.2011).
L’articolo 11 del D.L. 21 marzo 1978 n. 59, convertito con modificazioni nella Legge 18 maggio 1978 n.
191, dà facoltà agli agenti e ufficiali di polizia di accompagnare nei propri uffici, e ivi trattenerlo per il
tempo strettamente necessario al solo fine dell’identificazione e non oltre le ventiquattro ore, chiunque:
• Rifiuta di dichiarare le proprie generalità (ipotesi ora non più percorribile con questo tipo di fermo,
poiché in tale frangente, essendo stato violato l’articolo 651 c.p. occorre, se del caso, procedere ex
articolo 349, 4°-5°-6° comma, c.p.p.);
• Nel fornire la propria identità, dia adito al fatto che sussistono sufficienti indizi per ritenere false le
dichiarazioni;
• Nell’esibire i documenti, emergano sufficienti indizi per ritenerli falsi.
L’agente di polizia operante può, a questo punto, accompagnare presso il proprio ufficio il soggetto e
dovrà altresì:
• dare immediata notizia dell’accompagnamento al Procuratore della Repubblica, il quale, se ritiene
che non ricorrano i presupposti poc’anzi citati, ordina il rilascio della persona accompagnata;
• comunicare al Procuratore della Repubblica il momento del rilascio della persona fermata.
Come abbiamo detto l’accompagnamento è finalizzato all’identificazione e, quindi, la persona può essere
trattenuta solamente per il tempo necessario a quest’operazione e mai oltre le ventiquattro ore.
La legge 27 luglio 2005 n. 155 ha, altresì, previsto che se per giungere all’identificazione è necessario
ricorrere al prelievo di capelli o di saliva e non vi sia il consenso dell’interessato, la polizia procede al
prelievo coattivamente, nel rispetto della dignità personale del soggetto, dopo aver ottenuto l’autorizzazione per iscritto del pubblico ministero. L’autorizzazione può essere data anche in forma orale dal pubblico ministero, ma è necessario che tale disposizione sia confermata per iscritto (anche qui è opportuno
notare che non è detto entro quale termine debba essere redatta la conferma per iscritto).
Una corrente dottrinaria aveva espresso il dubbio che l’articolo 11 del D.L. 59/1978 fosse ancora vigente
dopo l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, e in particolare dell’articolo 349 c.p.p.
Volendo tacere sulla polemica che si era venuta a creare a proposito della durata dell’accompagnamento
(12 ore per quello di P.G. – 24 per quello di P.S.), appare opportuno evidenziare che proprio la legge
“Pisanu” ha direttamente e inequivocabilmente confermato la vigenza della norma, e, peraltro, occorre porre l’accento sul fatto che non è intervenuta alcuna modificazione legislativa, né alcuna sentenza
della Corte Costituzionale abrogativa della durata dell’accompagnamento prevista dell’articolo 11 D.L.
59/1978, ragione per la quale appare indubitabile che sia rimasta di ventiquattro ore.
È possibile procedere al controllo delle persone pericolose e sospette, e di chi non è in grado o si rifiuta di
provare la sua identità da parte dell’Autorità di Pubblica Sicurezza, la quale ha la facoltà di ordinare che
si proceda a rilievi segnaletici (descrittivi, fotografici, dattiloscopici e antropometrici) ai sensi dell’articolo
4 del T.U.L.P.S. e dell’articolo 7 del Regolamento di Esecuzione al T.U.L.P.S. .
13
Chi sono le persone che devono essere considerate pericolose?
Rientrano in questa categoria:
1.coloro che sono indiziati di appartenere ad associazioni di stampo mafioso (art. 1 Legge 31 maggio
1965 n. 575 e Legge 13 settembre 1982 n. 646 e successive modificazioni);
2.coloro che sono abitualmente dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo
l’integrità morale o fisica dei minorenni ovvero la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica (artt.
1 e 5 Legge 27 dicembre 1956 n. 1423 e art. 153 T.U.L.P.S.).
Chi sono, invece, le persone sospette?
1.sono persone sospette quelle meglio specificate nell’articolo 157 del T.U.L.P.S. , ovvero coloro i quali, fuori dal proprio Comune, con la loro condotta destano sospetti e che, alla richiesta degli organi
di polizia, non possono o non vogliono farsi identificare.
Anche con riferimento a quest’attività, si prescinde dalla repressione di un reato già commesso, essendo
un’attività di pubblica sicurezza.
Va rilevato, però, che questa norma, indicando come soggetto attivo l’Autorità di Pubblica Sicurezza e
non, più genericamente, gli ufficiali e gli agenti di P.S., a parere di chi scrive, non attribuisce competenza
ad applicarla al personale appartenente ai Corpi e Servizi di Polizia Locale, anche se munito della qualifica
di agente pubblica sicurezza, ai sensi della legge n. 65/1986.
L’ACCOMPAGNAMENTO PER L’IDENTIFICAZIONE: LE POSSIBILI IMPLICAZIONI CON I REATI
DI CUI AGLI ARTICOLI 605 (SEQUESTRO DI PERSONA) E 606 (ARRESTO ILLEGALE) DEL CODICE PENALE
Vi può essere un legame giuridico tra il fermo per identificazione di P.S. ex art. 11 L. 191/78 e i reati di
sequestro di persona commesso dal Pubblico Ufficiale con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni (art.
605, comma secondo, n. 2, c.p.) e di arresto illegale (art. 606 c.p.)?
Per comodità di lettura si trascrivono i primi due commi dell’art. 605 c.p., ove è sancito che “Chiunque
priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da sei mesi a otto anni. La pena
è della reclusione da uno a dieci anni, se il fatto
è commesso:
1)in danno di un ascendente, di un discendente, o del coniuge;
2)da un Pubblico Ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni”.
Per il reato di arresto illegale, il testo dell’art. 606 c.p. prevede che “il Pubblico Ufficiale che procede ad
un arresto, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, è punito con la reclusione fino a tre anni”.
Le tre fattispecie si contraddistinguono per un elemento comune, ovvero la privazione della libertà personale che, come è noto, trova un’adeguata tutela nell’art. 13 della Costituzione.
L’elemento, invece, che le diversifica è rappresentato dalle diverse finalità nelle quali i comportamenti del
Pubblico Ufficiale si manifestano.
1)Nel fermo di P.S. il Pubblico Ufficiale agisce nell’adempimento dei propri doveri di prevenzione tipici
dell’Autorità di Pubblica Sicurezza, conducendo al Comando chi all’atto del controllo rifiuti di esibire
i propri documenti e/o esibisca documenti di dubbia provenienza, e che a causa di tale comportamento ha dato sospetto all’Autorità e che la persona, pertanto debba essere compiutamente identificata.
2)Nell’arresto illegale il Pubblico Ufficiale agisce (sia pur illegalmente) con l’intento e al fine di mettere la vittima a disposizione dell’Autorità Giudiziaria a seguito della commissione di un reato per il
quale sia legittimo il fermo (ex art. 384 c.p.p.) o l’arresto in flagranza (ex artt. 380 e 381 c.p.p.).
È un reato affine al sequestro di persona poiché si ha la privazione della libertà personale, ma a
differenza di questo nell’arresto illegale la privazione è compiuta da un pubblico ufficiale tramite un
arresto compiuto con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni.
La condotta consiste nell’esecuzione di un arresto:
1)da parte di un pubblico ufficiale assolutamente incompetente;
2)quando non ricorrono le condizioni obiettive e subiettive previste dalla legge per l’arresto;
3)quando l’arresto è eseguito in spregio delle formalità richieste dalla legge.
All’arresto è equiparato il fermo.
L’elemento soggettivo è costituito dal dolo che consiste nella coscienza e volontà di eseguire un arresto
illegale; è necessaria la consapevolezza dell’illegalità dell’arresto, per cui manca il dolo quando non vi è
tale consapevolezza.
Se il fatto viene commesso per colpa, il soggetto attivo non ne risponde perché non è prevista la punizione a titolo di colpa, fatte salve però le eventuali sanzioni disciplinari adottabili nei suoi confronti.
L’arresto illegale differisce dal sequestro di persona compiuto da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri
inerenti alle sue funzioni poiché nell’arresto illegale il pubblico ufficiale mette a disposizione dell’Autorità
Giudiziaria competente la persona tratta in arresto, cosa che non avviene nel sequestro di persona.
La Cassazione penale (Sezione Sesta) con la sentenza del 26 marzo 2010 numero 23423 ha affermato
14
che il delitto di sequestro di persona consumato da un pubblico ufficiale con abuso di poteri inerenti alle
sue funzioni e quello di arresto illegale hanno in comune l’elemento materiale (consistente nella privazione della libertà di un soggetto), ma si differenziano per l’elemento soggettivo, in quanto nel primo
caso è richiesta la volontà dell’agente di tenere la persona offesa nella sfera del suo dominio, mentre nel
secondo caso è diretto comunque a mettere la persona offesa a disposizione dell’autorità competente, sia
pure privandola della libertà in maniera illegale. (Fattispecie in cui la S.C. ha escluso il meno grave reato
di cui all’art. 606 cod. pen., ravvisando quello di sequestro di persona nell’indebito trattenimento di una
persona, per alcune ore, presso un posto di polizia ferroviaria).
3)Diverso, ancora, è il fine dell’operatore di polizia che commette il delitto di sequestro di persona,
atteso che la sua volontà è quella di approfittare della propria qualifica al fine di privare la persona
della propria libertà di agire, mantenendola sotto il proprio controllo e non avendo alcuna intenzione di metterlo a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.
Posto ciò, in linea di teoria, se non sono stati osservati i presupposti e le prescrizioni di cui all’art. 11 della
Legge n. 191/78 (rifiuto di dichiarare le generalità e/o il sospetto della falsità delle dichiarazioni e/o dei documenti forniti; tempestivo avviso al Procuratore della Repubblica) è possibile
affermare che l’accompagnamento sarà illegittimo e la relativa condotta potrebbe integrare gli estremi
del delitto di sequestro di persona e non quello dell’arresto illegale perché in questa ipotesi l’operatore di
polizia ha compiuto un arresto o un fermo a norma degli artt. 380, 381 e 384 e ss. c.p.p. concretizzandosi
la condotta, quindi, nell’effettuazione di un arresto al di fuori dei limiti fissati dalla legge.
Alla luce di quanto detto l’abuso dei poteri limitativi della libertà personale da parte delle forze di polizia
sia di natura preventiva sia di natura preprocessuale, è astrattamente inquadrabile nel reato di sequestro di persona e non in altre norme incriminatrici, quali, appunto, quella racchiusa nell’art. 606 c.p., che
presuppone, invece, un legittimo intervento degli organi di polizia attuato, però, con modalità abusive e
non conformi alla disposizione che lo prevede.
L’ARRESTO OBBLIGATORIO E L’ARRESTO FACOLTATIVO
L’arresto in flagranza di reato è un atto a iniziativa della polizia giudiziaria; può essere obbligatorio
(art.380 c.p.p.) oppure facoltativo (art.381 c.p.p.), ed è il mezzo tramite il quale
1)un ufficiale di p.g.
2)un agente di p.g.
3)un’altra persona legittimata dalla legge (art.383 c.p.p.)
privano temporaneamente taluno della libertà personale perché colto nella flagranza di un reato
(art.382 c.p.p.) che, a seconda della sua gravità, determini uno dei soggetti sopra meglio indicati a compiere un atto dovuto (arresto obbligatorio) o un atto discrezionale (arresto facoltativo).
L’articolo 13 della Costituzione prevede l’inviolabilità della libertà personale, ammettendone però la limitazione ad opera dell’Autorità Giudiziaria nei soli casi previsti dalla legge. In casi eccezionali, la Polizia
Giudiziaria, a fini di sicurezza pubblica, può utilizzare provvedimenti provvisori (arresto e/o fermo di p.g.)
che devono essere convalidati dall’Autorità Giudiziaria entro il termine perentorio di 96 ore.
L’arresto in flagranza di reato è un atto di competenza esclusiva della polizia giudiziaria e non può essere
operato dal Pubblico Ministero.
Presupposto generale e assoluto per eseguire un arresto è la flagranza del reato, determinandosi tale
situazione qualora:
1) il soggetto sia sorpreso nell’atto di commettere il reato;
2) il soggetto, subito dopo la commissione dell’azione criminosa, sia inseguito dalla polizia giudiziaria,
dalla parte offesa o da altre persone (1^ ipotesi di quasi flagranza);
3) il soggetto sia sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima (2^ ipotesi di quasi - flagranza).
Occorre non confondere l’inseguimento con le ricerche dell’autore del reato perché, per aversi flagranza
o quasi flagranza, è necessario che tra il momento in cui viene commesso il fatto ed il momento in cui la
polizia giudiziaria o altra persona interviene non vi sia alcun intervallo e, tali azioni siano in soluzione di
continuità tra di loro. Quanto detto si concretizza con l’inseguimento, anche qualora dovesse durare per
lungo tempo.
La Suprema Corte ha però di recente puntualizzato che il termine inseguimento trascende, anche se
comprende, quello etimologico d’attività di chi corre dietro, tallona e incalza, a vista, la persona inseguita. Esprime, cioè, un concetto comprensivo anche dell’azione di ricerca, immediatamente eseguita,
anche se non immediatamente conclusa, purché protratta senza soluzione di continuità, sulla base delle
caratteristiche fisiche del soggetto o di altri elementi percepiti dalla vittima o da altre persone circa i
mezzi e la via di fuga. Ne consegue che la locuzione d’inseguimento “subito dopo il reato” sta ad indicare
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un rapporto d’immediatezza, anche relativo, che non richiede, necessariamente, la coincidenza tra il momento iniziale dell’inseguimento che può avvenire, quindi, anche dopo un breve intervallo, quale congruo
tempo strettamente necessario alla polizia giudiziaria per giungere sul luogo del delitto, acquisire notizie
utili e dare inizio alle ricerche (Cass. Pen. 7 giugno 1999, n.2738).
Quanto al significato della locuzione “immediatamente prima” che si correla alla seconda ipotesi che caratterizza la “quasi flagranza”, anch’esso va colto nell’esistenza di una stretta contiguità temporale fra la
commissione del reato e la sorpresa del reo; in questo senso la Cassazione ha più volte precisato che il
riferimento temporale non può essere dilatato fino a ricomprendervi una condotta avvenuta alcune ore
prima, poiché in questa situazione la locuzione “immediatamente prima” perderebbe ogni significato.
La facoltà d’arresto da parte dei privati (art.383 c.p.p.)
La norma attribuisce ai privati la facoltà di limitare la libertà personale di altri soggetti, ma visto il carattere eccezionale della disposizione, non è consentito che la persona arrestata sia trattenuta oltre il tempo
strettamente necessario per l’effettiva consegna agli organi di polizia.
La norma trova il suo fondamento nell’adempimento del dovere di solidarietà sociale, previsto dall’articolo 2 della Costituzione.
Il potere d’arresto è connesso al potere – dovere d’inseguire il reo che si è dato alla fuga e la situazione
disciplinata dall’articolo 383 c.p.p. si risolve nell’esercizio di fatto dei poteri anche coattivi e nell’esplicazione delle attività procedimentali propri dell’organo di polizia giudiziaria. Se il privato, invece, si limita
ad invitare il presunto colpevole ad attendere l’arrivo della polizia giudiziaria nel frattempo avvisata, non
si realizza la situazione esplicata dall’articolo 383 c.p.p. ma, piuttosto, in un semplice comportamento di
denuncia consentito a ciascun cittadino in qualsiasi situazione di violazione di legge penale.
Ad ogni buon conto, il privato deve obbligatoriamente consegnare alla polizia giudiziaria l’arrestato e le
cose costituenti il corpo del reato; tali consegne devono essere contestuali ed avvenire “‘senza ritardo”‘.
Una consegna che sia ritardata o la mancata liberazione in spregio dell’ordine impartito dalla polizia giudiziaria possono violare il precetto previsto dall’articolo 605 c.p.
Sulla polizia giudiziaria grava l’obbligo di documentare l’attività svolta dal privato e, in particolare, la
consegna dell’arrestato e delle cose che costituiscono il corpo del reato.
All’atto della consegna della persona oggetto della misura pre – cautelare la P.G. deve rilasciare al privato
una copia del verbale di consegna (art.383, 2°comma, c.p.p.).
I presupposti per l’arresto obbligatorio
Occorre che vi sia la flagranza di reato;
• Che si tratti di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena
dell’ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a vent’anni (criterio quantitativo);
• Anche al di fuori dei limiti di pena appena evidenziati, si deve procedere all’arresto di una persona
che è colta in flagranza di uno dei seguenti delitti non colposi, tentati o consumati (criterio qualitativo):
a)delitti contro la personalità dello Stato indicati nel titolo I del libro II del codice penale (articoli 241
e seguenti c.p.) per i quali è stabilità la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni
o nel massimo a dieci anni;
b)il delitto di devastazione e saccheggio previsto dall’articolo 419 del codice penale;
c)i delitti contro l’incolumità pubblica previsti nel titolo VI del libro II del codice penale per i quali è
stabilita la pena della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni o nel massimo a dieci anni (articoli 422, 423, 423 bis, 1°comma, 426, 427, 2°comma, 428, 429, 2°comma, 430, 431, 2°comma,
432, 3°comma, 433, 3° comma, 434, 2° comma, 437, 2°comma, codice penale);
d)i delitti di riduzione in schiavitù ex art. 600, prostituzione minorile ex art. 600 bis, primo comma,
pornografia minorile ex art. 600 ter, commi primo e secondo, anche se relativo al materiale pornografico di cui all’articolo 600 quater. 1, e delitto d’ iniziative turistiche volte allo sfruttamento della
prostituzione minorile ex art. 600 quinquies del codice penale;
e)delitto di violenza sessuale previsto dall’articolo 609-bis, escluso il caso previsto dal terzo comma,
e delitto di violenza sessuale di gruppo previsto dall’articolo 609-octies del codice penale;
f) il delitto di furto commesso su armi, munizioni ed esplosivi, commesso in luoghi che sono destinati
alla loro custodia (armerie, depositi ……) così come previsto dall’articolo 4 della legge 8 giugno 1977
n.533; il delitto di furto quando ricorre l’ipotesi della violenza sulle cose e non concorre la circostanza attenuante del danno patrimoniale di lieve entità (art.62 n.4 c.p.). e bis) il delitto di furto in
abitazione (art.624 bis, secondo comma, c.p.) salvo che ricorra la circostanza attenuante del danno
patrimoniale di lieve entità;
g)delitti di furto previsti dall’articolo 624-bis del codice penale, salvo che ricorra la circostanza attenuante di cui all’articolo 62, primo comma, numero 4), del codice penale;
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h)i delitti di rapina (art.628 c.p.) ed estorsione (art.629 c.p.);
i) i delitti di fabbricazione illegale, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e
porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di armi comuni da sparo con esclusione di quelle previste dall’articolo 2 comma 3 della legge 18 aprile 1975, n.110 (sono escluse le armi da bersaglio da sala, gli
strumenti “lanciarazzi” e le armi ad aria compressa);
j) i delitti che riguardano le sostanze stupefacenti e psicotrope punti ai sensi dell’articolo 73 del D.P.R.
309/1990 n.309;
k)i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale per i quali la
legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a
dieci anni;
l) i delitti di promozione, direzione, costituzione e organizzazione delle associazioni segrete (articolo
1 legge 25 gennaio 1982, n.17), delle associazioni di carattere militare (articolo 1 legge 17 aprile
1956, n.561), delle associazioni, dei movimenti o dei gruppi diretti a riorganizzare il partito fascista (articolo 1 e 2 legge 20 giugno 1952, n.645) ovvero aventi tra i propri scopi l’incitamento alla
discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (articolo 3 legge 13
ottobre 1975, n.654);
m) i delitti sia di partecipazione che di promozione, direzione e organizzazione delle associazioni di
stampo mafioso (articolo 416 bis c.p.);
n)i delitti di promozione, direzione, costituzione e organizzazione delle associazioni per delinquere
(articolo 416 commi 1 e 3 c.p.) se l’associazione è diretta ala commissione di più delitti previsti dal
comma 1 dell’articolo 380 o dalle lettere a), b), c), d), f), g), i) del comma 2 del citato articolo.
ATTENZIONE: con il Decreto Legge 14 agosto 2013 (articolo 2, comma 2, lettera c), vigente dal 21 agosto, all’articolo 380, comma 2, c.p.p. dopo la lettera l-bis) è stata aggiunta la lettera l-ter), consentendo,
con tale modifica, alla polizia giudiziaria di procedere all’arresto (obbligatorio) per i delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi e di atti persecutori, previsti dall’articolo 572 e dall’articolo 612-bis
del codice penale.
Sempre con lo stesso D.L. (articolo 8) all’articolo 625, primo comma, del codice penale, dopo il numero
7) è stato aggiunto il punto 7-bis), che aggrava la punizione se il fatto viene commesso su componenti
metalliche o altro materiale sottratto a infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime
di concessione pubblica.
Con lo stesso articolo, all’articolo 648, primo comma, è stato inserito un nuovo periodo con il quale si
prevede che la pena venga aumentata quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell’articolo 628, terzo comma, di estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629,
secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625, primo comma, n. 7-bis).
Tutto ciò ha comportato un’ulteriore modifica dell’articolo 380, comma 2, lettera e), del codice di procedura penale, perché dopo le parole “numeri 2), prima ipotesi, 3) e 5)” sono state introdotte le locuzioni
“nonché 7-bis)” e, dopo la lettera f), è stata inserita la locuzione “f-bis) delitto di ricettazione, nell’ipotesi
aggravata di cui all’articolo 648, primo comma, ultimo periodo”.
Ciò pertanto ha reso obbligatorio per la polizia giudiziaria procedere all’arresto (almeno per il periodo di
vigenza del D.L. 93/2013, ovvero dal 21 agosto al 19 ottobre 2013) di colui che viene sorpreso a sottrarre componenti metalliche o altro materiale a infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi
di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in
regime di concessione pubblica, o che abbia ricettato prodotti della stessa tipologia o provenienti da rapina aggravata ex articolo 628, terzo comma, c.p. o da estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629,
secondo comma.
I presupposti per l’arresto facoltativo
• Occorre che vi sia la flagranza di reato;
• che ricorrano le circostanze cautelari indicate nel quarto comma dell’articolo 381 c.p.p.;
• può essere operato nei confronti di colui che commetta: a) un delitto non colposo, consumato o
tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni
ovvero di un delitto colposo per il quale la legge preveda la pena della reclusione non inferiore nel
massimo a cinque anni (articolo 381, comma 1, c.p.p.); b) uno dei delitti indicati nel secondo comma dell’articolo 381 c.p.p. ovvero:
a)peculato mediante profitto dell’errore altrui (articolo 316 c.p.);
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b)corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio prevista dagli articoli 319 comma 4 e 321 del
codice penale;
c)violenza o minaccia ad un pubblico ufficiale prevista dall’articolo 336, comma 2, c.p.;
d)commercio e somministrazione di medicinali guasti e di sostanze alimentari nocive (articoli 443 e
444 c.p.);
e)corruzione di minorenni prevista dall’articolo 530 del codice penale (l’articolo è stato ora abrogato
dalla legge 15 febbraio 1996 n. 66);
f) lesione personale (articolo 582 c.p.);
g)violazione di domicilio prevista dall’art. 614, primo e secondo comma, del codice penale;
h)furto (articolo 624 c.p.);
i) danneggiamento aggravato (articolo 635, comma 2, c.p.);
j) truffa (articolo 640 c.p.);
k)appropriazione indebita (articolo 646 c.p.);
l) offerta, cessione o detenzione di materiale pornografico previste dagli articoli 600 ter, quarto comma, e 600 quater del codice penale, anche se relative al materiale pornografico di cui all’articolo
600 quater 1 del medesimo codice;
m) alterazione di armi e fabbricazione di esplosivi non riconosciuti previsti dagli articoli 3 e 24, comma 1, della legge 18 aprile 1975, n.110;
n)fabbricazione, detenzione o uso di documento di identificazione falso previsti dall’articolo 497 bis
c.p.;
o)falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie
o di altri, prevista dall’articolo 495 del codice penale;
p)fraudolente alterazioni per impedire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali, previste
dall’articolo 495-ter del codice penale.
Tutti i reati indicati nel secondo comma dell’articolo 381 c.p.p. prevedono, quale pena massima, tre anni
di reclusione.
La polizia giudiziaria può procedere all’arresto facoltativo in flagranza solamente se la misura è giustificata dalla
• gravità del fatto
• pericolosità del soggetto.
Per stabilire se un fatto è grave o una persona è socialmente pericolosa, la polizia giudiziaria deve analizzare i seguenti parametri (vedasi l’articolo 133 del codice penale):
àil luogo e il tempo dell’azione;
àle causali del fatto;
àil danno provocato;
ài mezzi, l’oggetto e le modalità dell’azione;
ài precedenti penali e giudiziari del reo;
àla condotta immediatamente successiva al reato;
àla condotta di vita individuale e familiare dell’autore del fatto.
Per la legittimità dell’arresto non è richiesta la presenza congiunta di entrambi i requisiti essendo sufficiente anche la presenza di uno solo.
La P.G. deve indicare le ragioni che l’hanno indotta ad esercitare la misura precautelare, ma, come ha
sostenuto la Corte di Cassazione, non è necessaria una motivazione ad hoc del provvedimento in quanto è sufficiente che, tramite il contesto descrittivo che deve emergere dal verbale di arresto o dagli atti
complementari, il Giudice della convalida sia messo nelle condizioni di conoscere e sindacare le ragioni
che hanno orientato la P.G. nell’esercizio della discrezionalità riconosciutale dal quarto comma dell’articolo 381 c.p.p.
È appena il caso di rammentare che l’arresto, ai sensi dell’articolo 385 del codice di procedura penale,
non è consentito quando, tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto
per adempiere a un dovere (vedasi articolo 51 del codice penale) o durante l’esercizio di una facoltà legittima (vedasi gli articoli 51 (esercizio di un diritto), 52 (legittima difesa), 53 (uso legittimo delle armi)
e 54 (stato di necessità) del codice penale) o in presenza di una causa di non punibilità (vedasi gli articoli
47 (errore di fatto), 48 (errore determinato dall’altrui inganno), 49 (reato impossibile), 88 (vizio totale
di mente). Vi sono poi alcuni casi specifici di non imputabilità indicati dagli articoli 308, 309, 384, 387,
comma 2, 398, comma 2, 463, 561, 598, 599 e 649 del codice penale).
Non si può, inoltre, procedere all’arresto nei confronti di soggetti che hanno particolari qualità personali:
1)il Sommo Pontefice (articolo 8 Trattato del Laterano);
2)il Presidente della repubblica (articolo 90 della Costituzione);
3)i Cardinali in caso di vacanza della sede pontificia;
4)i Capi e i ministri di Stati esteri in visita ufficiale in Italia;
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5)gli agenti diplomatici accreditati presso la repubblica Italiana e presso la Santa Sede;
6)gli agenti consolari;
7)i componenti del Consiglio d’Europa (legge 27 ottobre 1951, n. 1578).
Vi sono poi limitazioni per arrestare i membri del parlamento (articolo 68, comma 2, della Costituzione)
e i Giudici della Corte Costituzionale che godono del medesimo trattamento dei parlamentari (per costoro
competente a concedere l’autorizzazione all’arresto e la stessa Corte Costituzionale).
Alcuni casi arresto in flagranza
• Furto in abitazione (articolo 624 bis c.p.) – arresto obbligatorio (se non ricorre l’ipotesi dell’articolo
62 n.4 c.p. – danno di modesta entità);
• Furto con strappo, comunemente chiamato “scippo” (articolo 624 bis c.p.) – arresto obbligatorio
(se non ricorre l’ipotesi dell’articolo 62 n.4 c.p. – danno di modesta entità);
• Furto con destrezza comunemente chiamato borseggio (artt.624, 625 n.4 seconda ipotesi c.p.) –
arresto facoltativo;
• Furto d’autovettura parcheggiata sulla pubblica via, regolarmente chiusa a chiave e nei confronti
della quale il reo abbia usato violenza per penetrare al suo interno o per metterla in moto (artt.624,
625 nn.2 e 7 c.p.) – arresto obbligatorio;
• Furto d’autovettura parcheggiata sulla pubblica via, regolarmente chiusa a chiave e nei confronti
della quale il reo abbia usato un mezzo fraudolento per penetrare al suo interno o per metterla in
moto (artt.624, 625 nn.2 e 7 c.p.) – arresto facoltativo;
• Furto in supermercato (artt.624, 625 n.7 c.p.) – arresto facoltativo;
• Rapina (articolo 628 c.p.) – arresto obbligatorio;
• Estorsione (articolo 629 c.p.) – arresto obbligatorio
• Ricettazione (articolo 648 c.p.) – arresto facoltativo.
Il fermo d’indiziato di delitto (art.384 c.p.p.)
Il codice di procedura penale prevede che i soggetti legittimati a porre in essere tale misura sono:
1. il P.M. previa emanazione di un apposito decreto
2. gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, d’iniziativa, prima che il P.M. abbia assunto la direzione
delle indagini;
3. gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, d’iniziativa, anche nel caso in cui il P.M. abbia assunto la
direzione delle indagini, purché:
• l’indiziato sia stato individuato solo successivamente;
• che sopravvengano specifici elementi quali il possesso di documenti falsi che rendano fondato il
pericolo che l’indiziato stia per darsi alla fuga e non sia possibile, per situazioni d’urgenza, attendere il provvedimento del pubblico ministero.
I presupposti per operare il fermo sono:
1.il fondato pericolo di fuga;
2.quanto detto sopra da parte di una persona gravemente indiziata di un delitto;
3.delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo
a sei anni, ovvero un delitto concernente le armi da guerra e gli esplosivi, un delitto commesso per
finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico.
È possibile parlare di fondato pericolo di fuga, quando si possono constatare apprezzabili circostanze di
fatto che fanno ritenere probabile che l’indiziato voglia darsi alla fuga (tali possono essere l’acquisto di
un biglietto aereo, il regolare frettolosamente i propri affari, interrompere le normali occupazioni).
La Cassazione, sull’argomento, ha tracciato delle linee di demarcazione piuttosto evidenti, affermando
che tale pericolo deve essere dedotto da elementi specifici e concreti e non solo presunti, e che non può
essere ravvisato nel solo fatto che l’indagato si sia allontanato dal luogo del commesso reato.
D’altro canto gli elementi in parola non devono fornire la prova diretta di un progetto di fuga, essendo
sufficiente la probabilità del sottrarsi dell’indagato, anche desunta da elementi indiziari.
Dopo che il P.M. ha assunto la direzione delle indagini, la P.G. può procedere al fermo (a parte il caso
della successiva individuazione dell’indagato) solamente quando sopravvengano specifici elementi, quali
il possesso di documenti falsi che rendano fondato il pericolo che l’indiziato stia per darsi alla fuga e non
sia possibile, per situazione d’urgenza attendere il provvedimento del P.M.
Visto ciò, quando il P.M. ha già assunto la direzione delle indagini può essere operato il fermo di iniziativa
da parte della P.G. rispettando i seguenti parametri:
1)se ricorrono congiuntamente le condizioni indicate nel terzo comma dell’articolo 384 c.p.p. (impossibilità di un tempestivo intervento del P.M. e sopravvenienza di elementi sul pericolo di fuga);
2)se vi è un rapporto di tempestività e immediatezza tra l’intervento della P.G. e la fuga e che gli
elementi sopravvenuti siano tali da far ritenere che non sia possibile attendere l’intervento del P.M.
Il soggetto da sottoporre a fermo deve essere colpito da gravi indizi in ordine ad uno dei delitti indicati
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negli articoli 384, primo comma, c.p.p. (notevole probabilità circa la commissione del reato da parte del
soggetto); gli indizi qui citati rivestono la stessa prerogativa di gravità che è richiesta dall’articolo 273
c.p.p. per l’applicazione di misure di coercizione personale.
L’arresto in flagranza e il fermo d’indiziato di delitto nei confronti di minorenni
I provvedimenti di limitazione della libertà personale nei confronti di minori sono inseriti nel Capo II del
D.P.R.448/1988.
Rientrano nella testé citata disciplina i soggetti che hanno compiuto i 14 anni ma non ancora i 18; per i
minori di 14 anni che sono non imputabili così come previsto dall’articolo 97 del codice penale, il quarto
comma dell’articolo 222 del codice penale prevedeva la misura del ricovero in manicomio giudiziario nel
caso in cui fossero stati prosciolti per ragioni di età da un delitto commesso in stato di totale infermità di
mente o di cronica intossicazione da sostanze stupefacenti o da alcol; medesima misura era applicata ai
minori di 18 anni se erano prosciolti per la stessa ragione.
La norma è stata dichiarata incostituzionale nel 1998 (sentenza Corte Costituzionale n. 324/1998), nella parte in cui non subordina il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario dell’imputato prosciolto per
infermità di mente al previo accertamento da parte del giudice della persistente pericolosità sociale proveniente dall’infermità medesima al tempo dell’applicazione della misura.
L’articolo 224 c.p. dispone che qualora il minore di 14 anni abbia commesso un delitto e si tratti di un
soggetto pericoloso, il giudice può ordinare il ricovero in riformatorio giudiziario o sottoporlo a libertà
vigilata (ciò vale, ovviamente, anche per il minore che abbia compiuto i 14 anni).
Ai sensi dell’articolo 36, comma secondo, del D.P.R. 448/1988, la misura di sicurezza del riformatorio giudiziario è applicabile solamente per i delitti ai quali è irrogabile la misura della custodia cautelare, indicati
dall’articolo 23, primo comma, del citato D.P.R.
Art. 16 - Arresto in flagranza
1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere all’arresto del minorenne colto in flagranza di uno dei delitti per i quali, a norma dell’articolo 23, può essere disposta la misura della custodia
cautelare.
2.
3. Nell’avvalersi della facoltà prevista dal comma 1 gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria devono
tenere conto della gravità del fatto nonché dell’età e della personalità del minorenne .
Art. 23 - Custodia cautelare
1. La custodia cautelare può essere applicata quando si procede per delitti non colposi per i quali la legge
stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni. Anche fuori dei
casi predetti, la custodia cautelare può essere applicata quando si procede per uno dei delitti, consumati
o tentati, previsti dall’articolo 380 comma 2 lettere e), f), g), h) del codice di procedura penale nonché,
in ogni caso, per il delitto di violenza carnale.
2. Il giudice può disporre la custodia cautelare:
a) se sussistono gravi e inderogabili esigenze attinenti alle indagini, in relazione a situazioni di concreto
pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova;
b) se l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga;
c) se, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell’imputato, vi è il concreto
pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti
contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quelli per
cui si procede.
3. I termini previsti dall’articolo 303 del codice di procedura penale sono ridotti della metà per i reati
commessi da minori degli anni diciotto e dei due terzi per quelli commessi da minori degli anni sedici e
decorrono dal momento della cattura, dell’arresto, del fermo o dell’accompagnamento.
Nei riguardi di persone che non hanno raggiunto la maggiore età, l’arresto in flagranza di reato è sempre
facoltativo.
Gli ufficiali e gli agenti di P.G. possono procedere all’arresto quando il minore è colto in flagranza di
un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel
massimo a nove anni.
Possono procedere all’arresto, inoltre, nel caso di commissione, o anche nel solo tentativo, di uno dei
seguenti delitti:
a)delitto di furto su armi, munizioni ed esplosivi commesso in luoghi che sono destinati alla loro custodia (armerie, depositi………) così come previsto dall’articolo 4 della legge 8 giugno 1977 n. 533;
b)delitto di furto quando ricorre l’ipotesi della violenza sulle cose e non concorre la circostanza attenuante del danno patrimoniale di lieve entità (articolo 62 n. 4 c.p.);
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c)delitto di furto in abitazione (articolo 624 bis, primo comma, c.p.);
d)delitto di furto con strappo (il cosiddetto “scippo” – articolo 624 bis, secondo comma c.p.), salvo
che ricorra la circostanza attenuante del danno patrimoniale di lieve entità (articolo 62 n. 4 c.p.);
e)delitto di rapina (articolo 628);
f) delitto di estorsione (articolo 629 c.p.);
g)i delitti di fabbricazione illegale, introduzione nello stato, messa in vendita, cessione, detenzione
e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di
esplosivi, di armi clandestine nonché di armi comuni da sparo con esclusione di quelle previste
dall’articolo 2, comma 3, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (sono escluse le armi da bersaglio da
sala, gli strumenti lanciarazzi e le armi ad aria compressa);
h)i delitti che riguardano le circostanze stupefacenti o psicotrope puniti ai sensi dell’articolo 73 del
D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309.
Va detto che l’elencazione comprende anche l’articolo 519 del c.p. (violenza carnale); a seguito dell’abrogazione di questo articolo la previsione è ora non operante.
Per i fatti più gravi di violenza sessuale (articoli 609 bis, ter e octies) l’arresto in flagranza è consentito
perché i limiti massimi di pena non sono inferiori ai nove anni di reclusione e cioè ai limiti di pena cui gli
articoli 16 e 23 del D.P.R. n. 448 del 1988, ricollegano le facoltà per la P.G. di procedere all’arresto in
flagranza dei minorenni.
Atteso che l’arresto è sempre facoltativo occorre ragionare su i due presupposti che giustificano la misura
precautelare: la gravità del fatto e la pericolosità del soggetto che ha compiuto il reato.
Sul primo presupposto non vi è molto da dire poiché si potrebbe affermare che, visti i termini d’applicazione della misura (limite massimo di pena non inferiore a nove anni oltre ai casi sopra citati), la gravità
del fatto è “in re ipsa” e pertanto la perpetrazione di reati così gravi porta già a una valutazione indubbia
di gravità.
La questione della pericolosità - personalità del soggetto attivo è l’unico elemento residuale per valutare
se procedere o no all’arresto di costui; può, ad esempio, essere valutato se il minore dimostri di essere realmente turbato e pentito per quanto ha commesso e, in particolare, di avere compreso la gravità
dell’azione da lui compiuta.
Altre valutazioni potrebbero essere:
§ prognosi sulla possibilità che il soggetto porti a termine nuovi crimini;
§ se nell’ambiente familiare vi siano persone idonee a garantire il controllo sul minore e se tali persone offrano garanzie di impegno in tale azione.
Se tali presupposti sono insufficienti, o non sono per nulla presenti, l’arresto appare francamente opportuno.
Una volta decisa la misura precautelare, l’articolo 20 del D.L.vo 28 luglio 1989 n. 272 impone particolari
misure di attenzione sia nell’esecuzione sia nell’accompagnamento e nella traduzione:
• proteggere il minore dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità;
• riduzione, nei limiti del possibile, dei disagi e delle sofferenze materiali e psicologiche;
• divieto dell’uso di strumenti di coercizione fisica (salvo che non ricorrano gravi esigenze di sicurezza);
• divieto di trattenere il minore negli stessi locali dove sono allocati maggiorenni sottoposti a misure
precautelari.
Per i minorenni il fermo è consentito qualora sia indiziato di un delitto non colposo per il quale la legge
prevede la pena della reclusione non inferiore nel minimo a due anni (vedasi articolo 17 D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 - 1. È consentito il fermo del minorenne indiziato di un delitto per il quale, a norma
dell’articolo 23, può essere disposta la misura della custodia cautelare, sempre che, quando la legge stabilisce la pena della reclusione, questa non sia inferiore nel minimo a due anni (1) Articolo così sostituito
dall’art. 37, D.Lgs. 14 gennaio 1991, n. 12.
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altre misure restrittive adottabili dalla p.g.