La mia Arca
La mia Arca
Mensile della parrocchia Beata Vergine Addolorata
N° 6 - Marzo 2013
Mons. Jorge Mario Bergoglio
Papa Francesco
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Notizie Utili
La mia Arca
Fumata bianca
Habemus Papam
a cura di Annamaria Nardo
LA MIA ARCA
Mensile della Parrocchia
Beata Vergine Addolorata
Collaborano in redazione:
- Barban Luigino
- Bognolo Roberto
- Naccari Graziella
- Nardo Annamaria
- Rossi Margherita
- Tacchia Gabriella
- Visentin Speranza
Sito web:
- Pilla Ermenegildo
- www.lamiaarca.it
- [email protected]
Il giorno 19 marzo è stato ufficialmente proclamato il nuovo Papa
Francesco.
Di seguito riportiamo alcuni brani
dell’omelia di Papa Fracesco durante la cerimonia.
Il Pontefice ha ricordato la figura
di S. Giuseppe sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa
universale, con quanta umiltà e
amore ha accettato la volontà del
Signore.
In questa parte dell’omelia il Santo Padre ci indica la strada che noi
cristiani dobbiamo seguire, “...
Vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità,
con prontezza, ma vediamo anche
qual’è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo
nella nostra vita, per custodire gli
altri, per custodire il creato! La
vocazione del custodire, però, non
riguarda solamente noi cristiani,
ha una dimensione che precede
e che è semplicemente umana,
riguarda tutti. è il custodire l’intero creato, la bellezza del creato,
come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato
san Francesco d’Assisi: è l’avere
rispetto per ogni creatura di Dio
e per l’ambiente in cui viviamo...
L’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei
bambini, dei vecchi, di coloro che
sono più fragili e che spesso sono
nella periferia del nostro cuore.
E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella
famiglia: i coniugi si custodiscono
reciprocamente, poi come i geni2
tori si prendono cura dei figli, e
col tempo anche i figli diventano
custodi dei genitori. è il vivere con
sincerità le amicizie, che sono un
reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In
fondo, tutto è affidato alla custodia
dell’uomo, ed è una responsabilità
che ci riguarda tutti. Siate custodi
dei doni di Dio! E quando l’uomo
viene meno a questa responsabilità, quando non ci prendiamo cura
del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore
inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte,
distruggono e deturpano il volto
dell’uomo e della donna”.
Da quanto ha detto, percepisco
che il suo pontificato seguirà la
strada che ha tracciato San Francesco d’Assisi.
Notizie Utili
La mia Arca
Tempo di
Quaresima
a cura di Annamaria Nardo
Preghiera al Padre
Ho visto i tuoi occhi intrisi di sangue
il corpo martoriato, flagellato,
le mani perforate di chiodi
Dio quanto dolore!
Tu
che per volontà del Padre
sei morto per noi,
accogli
questa supplica
Proteggi
dalla violenza i più deboli,
gli indifesi
Rafforzami nella fede,
guidami nella giusta via
per amarti di più
Insegnami a comprendere
chi soffre nel silenzio, nel dolore,
rendimi forte per lottare
Padre
nell’ora del riposo eterno
se mi resti accanto, non avrò paura,
perdona i miei peccati
ora e sempre
Nella chiesa primitiva la celebrazione della Pasqua è anticipata da uno
o due giorni di digiuno.
Tale digiuno sembra fosse orientato
non tanto alla celebrazione pasquale quanto all’amministrazione del
battesimo che pian piano veniva
riservata alla veglia pasquale. La
prassi del digiuno era indirizzata
innanzitutto ai catecumeni e poi
estesa al ministro del battesimo e a
tutta la comunità ecclesiale.
Tale digiuno non aveva scopo penitenziale ma ascetico-illuminativo.
In questo periodo a Roma la domenica precedente la Pasqua era denominata “Domenica di passione”
e nel Venerdì e Mercoledì di questa
stessa settimana non si celebrava
l’eucaristia. Di tale consuetudine è
testimone uno storico del V secolo,
Socrate. Durante queste tre settimane si proclamava il vangelo secondo Giovanni.
La lettura di questo testo è giustificata dal fatto che esso è ricco di brani che si riferiscono alla prossimità
della pasqua e alla presenza di Gesù
a Gerusalemme. Questa preparazione prolungata fu motivata dalla
prassi penitenziale.
I penitenti intraprendevano questo
cammino attraverso l’imposizione
delle ceneri e l’utilizzazione di un
abito di sacco in segno della propria
contrizione e del proprio impegno
ascetico.
Si giunge a imporre le ceneri ai penitenti il mercoledì di questa settimana antecedente la prima domenica di quaresima, rito che verrà
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poi esteso a tutti i cristiani. A partire da questa fase incominciano a
delinearsi anche le antiche tappe
del catecumenato, che preparava
al battesimo pasquale nella solenne veglia del Sabato Santo; infatti
questo tempo battesimale si integrava con il tempo di preparazione
dei penitenti alla riconciliazione del
giovedì santo.
Fu così che anche i semplici fedeli
ovvero quanti non erano catecumeni né pubblici penitenti vennero
associati a questo intenso cammino
di ascesi e di penitenza per poter
giungere alle celebrazioni pasquali
con l’animo disposto a una più autentica partecipazione. La domenica con cui ha inizio questa settimana è la Quinquagesima, perché
è il cinquantesimo giorno prima di
Pasqua.
La Settimana Santa è la settimana
nella quale il Cristianesimo celebra
gli eventi di fede correlati agli ultimi giorni di Gesù, comprendenti in
particolare la sua passione, morte e
resurrezione.
In tutto il mondo, i cattolici chiamano Settimana Santa il periodo,
da Domenica delle Palme al Sabato
Santo, che precede la Pasqua, cioè la
domenica in cui si ricorda la Resurrezione dai morti di Gesù Cristo. La
Pasqua è la massima solennità della
fede cristiana e ogni anno si celebra
la prima domenica di luna nuova di
Primavera (tra fine marzo e aprile).
I riti religiosi della settimana santa,
sono celebrati con solennità in tutte
le chiese del mondo cristiano.
Padre Pio
La mia Arca
Padre Pio
Guarita
per-fet-ta-men-te
a cura di Speranza Visentin
(2… segue Guarita per-fet-ta-men-t-e)
La mia amica meravigliata ed io
con le gambe che più non mi reggevano per la forte commozione provata, mentre le signore commentavano l’avvenimento, nell’udire
una voce nel cuore. Una autentica
voce umana che mi aveva detto:
“Hai ottenuto la grazia. Andrai
dal medico ed egli ti dirà che sei
guarita per-fet-ta-men-te”.
Sì, proprio così, a sillabe scandite. Non so se per pudore o la forte commozione, non dissi nulla
all’amica.
Camminavo come un automa. Via
facendo, l’amica mi pregò di entrare da “Coier” per chiedere se
era arrivata della piuma di cui ella
aveva bisogno. Mancava poco alle
19. Data l’ora un po’ tarda, il negozio era senza clienti.
C’erano solo i commessi. Appena
entrate, con stupore immenso di
entrambe, fummo investite da un
odore acutissimo di viole quasi ci
fossimo trovate in una serra piena soltanto di questo fiore. Questa
volta la mia amica, che è di origine
francese, si commosse oltre misura ed esclamò:
“Mon Dieu! Io non ci capisco più
niente! Che succede? Che cos’è
questo profumo?”
Sentii allora che dovevo parlare
e le rivelai quanto avevo intimamente e nitidamente udito circa la
guarigione. Ella ne rimase sorpresa. Era mai possibile, si chiedeva,
Padre Pio , vuole che si mantengano le promesse fatte
ch’io fossi guarita al’improvviso,
mentre la pleurite si era aggravata al punto da indurre suo marito ad esaminarmi per mezzo dei
raggi? Lasciato il negozio, pochi
passi più in là, entrammo dallo
specialista. Eravamo sconvolte.
Seguì una visita radioscopica lunga, anzi lunghissima. Il medico
non parlava. Questi mi invitò in un
altro gabinetto ambulatoriale. Anche qui altro esame lungo ed estenuante, ed il medico continuava a
non aprire bocca. Sua moglie, presente alla scena, s’innervosisce:
“Ma Sergio!” Dice al marito.
“In nome di Dio parla, di’ qualche
cosa!”
Io ero seduta su uno sgabellino girevole. Ero sfinita e in uno stato di
sospensione difficile a descriversi.
Il medico mi mette le dita sulle
spalle e mi fa girare sullo gabellino
in modo da trovarmi faccia a faccia con lui. Mi guarda, poi si mette
le mani ai fianchi e pronuncia queste testuali parole:
“Che cosa devo dire, se la signora
è guarita per-fet-ta-men-te?”
Proprio così, a sillabe scandite,
proprio come le avevo sentite nel
cuore, sostando da Mimma.
A questo punto l’amica ebbe un
grido e raccontò al marito non
meno stupito quanto era accaduto
nei due negozi e disse le parole che
io le avevo confidate di aver sentite nel cuore. Allora spiegai come
tutto quello che era accaduto era
da attribuirsi a Padre Pio, alla cui
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intercessione avevo fatto appello:
quando avrei potuto mettermi in
viaggio per andare a ringraziarlo? Il medico, per tutta risposta,
prese un foglio intestato e scrisse per mio marito queste parole:
“Sua moglie può partire e
andare dove vuole”.
Della pleurite, per la quale ero stata in cura tre mesi, nessuna traccia: ero proprio guarita
per-fet-ta-men-te!
Tre giorni dopo ero a San Giovanni Rotondo, nel noto corridoio del
convento, in attesa del passaggio
del Padre. Padre Pio finalmente
venne. Quando mi fu vicino, mi
puntò l’indice contro e mi sorrise
in modo così paterno e burlone che
sarebbe stato superfluo aggiungere parola. Intanto avevo intesa benissimo la lezione: prima di promettere bisogna pensarci.
Qualche altro fiorellino di
gratitudine…
In occasione del mio primo viaggio a San Giovanni Rotondo, il mio
terzogenito Giampaolo mi aveva
messo nella borsetta un biscotto
con la raccomandazione di darlo
al Padre.
Mi aveva anche fatto promettere
di raccomandare a Padre Pio che
pregasse per lui perché anch’egli
desiderava;
“Diventare santo”.
Infine, se il Padre aveva un Crocifisso “anca vecio”, il piccolo mi
pregava che glielo regalasse. Padre
Pio non sgradì il biscottino, l’in-
La mia Arca
Padre Pio
genuo dono; il giorno della Pentecoste, appena qualche mese dopo,
venne ricambiato col Pane Eucaristico della Prima Comunione,
che il piccolo riceveva dalle mani
del Padre. In quanto al Crocifisso
“Anca vecio!”
Questi ripeteva,
“digli che non ce l’ho”
Il Padre f rugò nel saio, aggiungendo:
“portagli questa, è l’Immacolata”.
E mi consegnò una medaglietta
con un cordoncino bianco.
In questa medesima circostanza era anche venuto Mauro, il più
piccolo dei nostri figlioli. Mauro aveva compiuto sei anni e ciò
nonostante non parlava ancora.
All’età di otto mesi aveva avuto la
poliomielite.
Oltre alla favella, la brutta malattia lo aveva colpito nella parte sinistra del corpo, per cui,
quando camminava o correva,
fatto qualche metro, il piccolo perdeva l’equilibrio e cadeva.
Grazie ad un amico, e ad una strategia da lui suggerita, mio marito Renzo poté incontrarsi col
Padre mentre questi usciva dalla cella. Egli aveva con sé tutti e
due i piccoli, Mauro e Giampaolo, come Padre Pio gli fu vicino
Renzo si mise subito a parlargli di
Mauro. Il Padre fece vista di non
dargli retta e tagliò il discorso
dicendo:“Devo scendere a benedire una macchina”.
Messa una mano sul capo del piccolo, glielo fece ciondolare con
l’aria di chi voglia dire:
“Non è nulla state tranquilli”.
La macchina da benedire era la
nostra.
Essa era stata fatta entrare per il
portone del muro di cinta del giardino ed ora si trovava davanti alla
porticina per la quale vi si accede
dall’interno del convento. Il Padre,
raggiuntala insieme a mio marito e
ai figliuoli, recitò la preghiera di rito e infine benedisse e asperse con
l’acqua santa la macchina, aggiungendo questo augurio:
“Tutti sani, tutti santi, tutti vecchi
… compreso te”
e toccò la fronte di Renzo con
l’aspersorio. Io guardavo la scena
dal buco della serratura del portone. Partimmo il giorno seguente.
Dopo qualche tempo io mi trovavo
a letto ammalata. I figliuoli andavano a scuola e un’insegnante li
assisteva nei compiti. Dalla maestra mandavo pure Mauro, perché
il piccolo, pur non parlando, borbottava soltanto, manifestava una
viva intelligenza.
Un pomeriggio Mauro entra in camera mia. Avvicinandosi al mio
letto, vi posa Il Vangelo narrato
ai piccoli, il libretto delle Edizioni
Paoline che lo zio sacerdote aveva
regalato al fratello Giampaolo. Il
bambino apre il Vangelo a caso, vi
punta il dito sopra e, a stento, borbottando, riesce a leggere:
“Padre nostro che sei nei cieli…”
“Mauro, tu parli, leggi!”
E mi stringo al cuore piangendo,
pensando alla mano benedetta che,
pochi mesi prima, si era posata sul
suo capo. Mauro da quel giorno,
è stato in grado di frequentare le
scuole, di farsi brillantemente un
avvenire. E oggi è un giovane normale, come tutti gli altri.
Padre Pio si appresta a benedire la macchina
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(continua...)
Racconto
La mia Arca
Le redattrici scrivono...
anche i cani
hanno un’anima
Spotti
a cura di Graziella Naccari
Anche noi redattrici
scriviamo i nostri pensieri.
Questo raccontino è
puro frutto della
mia fantasia.
Mi piace scrivere, mi
aiuta nel cammino
del mio io quotidiano
di donna
Essere
Tutto scorre anche la vita.
Un giorno
mi guardo allo specchio e...
“Ma chi sei tu groviglio di cellule?”
C’è un conflitto in me tra l’essere
che sento nel profondo dell’anima
che si interroga sul bene e sul male e quella figura spenta, riflessa
alla specchio, che vive e non pensa
“Quali dei due esseri sono io?”
Sono zombi che subisco la vita di
tutti i giorni o donna che continua
a interrogarsi?
Domande
interrogativi
custoditi nascosti
nel profondo del mio Essere.
Sembra che la primavera abbia
deciso di restare ai tropici, grossi nuvoloni grigi si spintonano
nel cielo. All’improvviso un forte
scroscio di pioggia mi obbliga a
ripararmi affrettatamente sotto
uno scatolone. Se questo temporale terminasse potrei gironzolare
per la città e trovare qualche cosa
da mangiare, ho dei forti spasmi
allo stomaco. Avessi almeno un
pezzo di pane vecchio da mettere
sotto i denti, è un giorno che non
mi sfamo, ma che dico un giorno,
sarà una settimana, l’unica cosa
che trovo e che divoro con voracità sono i chewing-gum che stanno
incollati per terra, il loro sapore
dolciastro mi aiuta a tamponare
momentaneamente i morsi atroci
della fame.
Uno strano pizzicore al naso mi
dice che sta per succedere qualcosa, è assodato che il mio intuito
non sbaglia mai.
“Ma che fa tutta quella gente in
mezzo alla strada … cosa sarà
successo? Un incidente! C’è una
signora stesa a terra”.“Fate largo
fate largo” si spolmona il vigile
spingendo i curiosi a spostarsi.
“Vi prego la signora ha bisogno di
respirare, fate largo c’è bisogno di
spazio sta arrivando l’autoambulanza”.
Guardo quella povera donna esanime a terra, non ci vuole poi un
dottore per capire che…
“Ma non vedete che sta morendo?”
Mi avvicino di più e mi accuccio
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accanto a lei, le sfioro una mano,
lei apre gli occhi appena appena,
mi fa un segno… un cenno “Zitti
vuole parlarmi” ma la voce è talmente flebile che non afferro una
parola… nel medesimo istante un
palpito di ciglia e un rivolo di sangue le sgorga dalla bocca e forma
una piccola pozza sull’asfalto bagnato.
Improvvisamente dal suo petto balza fuori una farfallina traslucida che si muove di qua e di
là ondeggiando davanti al mio
naso.“Presto, presto” mi dice, “io
sono la sua anima, offrimi ospitalità nel tuo corpo, sii partecipe
sostienimi altrimenti morirò. Ha
due bambini piccini hanno bisogno di un amico di giochi, di un
compagno spensierato, e tu mi
sembri idoneo. Ti darò una mano e assieme riusciremo a farli
di nuovo sorridere” Una dolce
euforia mi prende alla bocca dello stomaco, mi piace crogiolarmi
all’idea di avere un’anima, però il
pensiero rimane vago a mezz’aria,
interrotto dal suono angosciante
della sirena che sembra squarciare il mondo.
Gli infermieri sistemano sulla lettiga la poveretta, io reso cosciente del mio nuovo ruolo con un
balzo salto sull’autoambulanza,
un’infermiere mi vede, mi prende
di brutto e mi scaraventa a terra. Mentre si gira per sistemarla
dentro, con uno scatto a sorpresa
sono di nuovo accanto alla donna.
Racconto
La mia Arca
Sento che non posso mancare, sono ormai vincolato a lei. “Ma sì gli
grida l’altro infermiere, non essere barbaro, lascialo salire, non vedi sarà il suo cane”.
Se non l’avete capito io sono un
cane di razza con tanto di pedigree, un dalmata dal corpo bianco
e snello macchiato da cerchietti
neri, grossi come una moneta, le
mie orecchie sono nere e pendenti
ma pur sempre vigili a sollevarsi
ad ogni irrilevante rumore sospetto. Essere un cane di razza non mi
ha risparmiato dall’umiliazione
e dell’abbandono, scaraventato
in mezzo ad un’autostrada dalla
crudeltà degli umani. Sono stato
un costoso regalo di Natale, un
piccolo cucciolo comprato da due
genitori privi di coscienza, per far
giocare la loro bambina viziata.
Nel momento in cui si sono resi
conto che non ero un giocattolo
di peluche e che avevo degli inevitabili bisogni, senza avere un
minimo di sensibilità mi hanno
abbandonato. Ecco il perché, mi
ritrovo ad essere un cane randagio! Da questo momento vengo al
mondo una seconda volta, l’anima
di quella donna vive in me, non
sono più un cane vagabondo, sono
stato adottato vivo nella sua casa
con i suoi esuberanti bimbetti, mi
sento amato e coccolato. Per loro
sono solo Spotti un amico fidato,
un compagno di giochi tenace e
instancabile nelle pazze scorribande che avvengono in giardino,
sopra i letti e sotto le coperte. Nella bella stagione andiamo a fare
lunghe passeggiate nei boschi con
il loro papà. Tra una corsa turbolenta e un capitombolo arriva
sera, i miei dolcissimi cuccioletti
stanchi morti, si addormentano
tra le benevoli braccia di Morfeo.
Certamente non supplisco la perdita della loro mamma, ma almeno li faccio divertire. Anche il loro
papa si è attaccato a me.
Visita del nostro Patriarca
Giovedì 21 febbraio malgrado la
serata innevata, la nostra parrocchia ha avuto la gioia di incontrare il Patriarca, dopo un
breve saluto con il parroco, la
visita si è svolta in tre momenti
molto importanti. Il principale,
con la celebrazione eucaristica
animata dal nostro meraviglioso
coro, il Patriarca più volte in altre occasione si è complimentato
con i nostri giovani cantori, tutta la comunità dopo la S. Messa
l’ha accolto con un caloroso applauso nel salone S. Giuseppe,
Mons. Moraglia si è soffermato
molto a riflettere e a farci riflettere, a meditare sulla preghiera
(spesso siamo distratti perché
siamo presi dalle nostre preoccupazioni quotidiane).
Nel secondo momento, ha risposto ad alcune domande fatte da
Marisa del gruppo missionario,
a cura di Annamaria Nardo
da Elena del gruppo catechisti e
da una coppia di giovani sposi
Tante erano la domande che
ognuno di noi avrebbe voluto fare
ma il tempo purtroppo era limitato. Poi si è incontrato con i giovani delle superiori.
L’incontro con il Patriarca si è
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Alla sera quando la casa si zittisce
salto sul divano e mi spaparazzo
vicino al mio padrone, il suo odore
umano è così rassicurante che mi
addormento.
Certe volte mi gratta la testa e fissandomi negli occhi mi dice: “Sai
Spotti siamo stati favoriti dalla
buona sorte a trovarti”.
“Caro il mio padrone… sono stato
io a scoprire voi”.
“Spotti sei davvero una manna
dal cielo, vorrei tanto sapere chi è
stata quell’anima buona che ti ha
inviato a noi?”. Gli scodinzolo festoso e sfodero il mio irresistibile
sorriso.
Da lassù sono sicuro che lei è soddisfatta di avermi concesso la sua
anima. Ho conosciuto la crudeltà
e l’abbandono degli umani, ma
anche la gioia di vivergli accanto.
Se avete un cane guardatelo negli
occhi e ditemi se quello che dico
non è vero:
Anche i cani hanno un’anima…
concentrato in modo particolare sull’anno della fede, i nostri
ragazzi sono stati veramente
soddisfatti dell’incontro. S.E.
Mons. Moraglia ci ha promesso
di ritornare e noi lo aspetteremo con gioia alla prossima occasione.
Notizie Utili
La mia Arca
Suor Giuseppina
Bakhita
Canonizzata
il 1° Ottobre 2000
a cura di Gildo Pilla
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mente sepolta nella tomba di una
famiglia scledense, i Gasparella, probabilmente in vista di una
successiva traslazione nel Tempio
della Sacra Famiglia del convento
delle Canossiane di Schio, traslazione poi avvenuta nel 1969.
Il processo di canonizzazione iniziò nel 1959, a soli 12 anni dalla
morte.
Il 1º dicembre 1978 Papa Giovanni
Paolo II firmò il decreto dell'eroicità delle virtù della serva di Dio
Giuseppina Bakhita. Durante lo
stesso pontificato, Giuseppina Bakhita fu beatificata il 17 maggio
1992 e canonizzata il 1º ottobre
2000.
Ai fini della canonizzazione, la
Chiesa cattolica ritiene necessario
un secondo miracolo, dopo quello
richiesto per la beatificazione: nel
caso di Giuseppina Bakhita, ha ritenuto miracolosa la guarigione di
Eva da Costa Onishi, guarita nel
1992 da ulcerazioni infette agli arti
inferiori, causate da diabete e ipertensione.
La memoria liturgica si celebra il
giorno 8 febbraio.
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sa a Zianigo (frazione di Mirano).
Dopo tre anni i coniugi Michieli
si trasferirono in Africa a Suakin
dove possedevano un albergo e
lasciarono temporaneamente la
figlia e Bakhita in affidamento
presso l'Istituto dei Catecumeni in
Venezia gestito dalle Figlie della
Carità (Canossiane). Bakhita venne ospitata gratuitamente come
catecumena e cominciò a ricevere
così un'istruzione religiosa.
Quando la signora Michieli ritornò
dall'Africa per riprendersi la figlia
e Bakhita, quest'ultima, con molto coraggio e decisione, manifestò
la sua intenzione di rimanere in
Italia con le suore Canossiane. La
signora Michieli fece intervenire
il Procuratore del Re, venne coinvolto anche il cardinale patriarca
di Venezia Domenico Agostini, i
quali insieme fecero presente alla
signora che in Italia non erano riconosciute le leggi di schiavitù: il
29 novembre 1889 Bakhita fu dichiarata legalmente libera.
Fatta suora fu trasferita in un convento di Schio dove trascorse il resto della sua vita.
La popolazione locale prese ad
amare questa insolita suora di colore per i suoi modi gentili, la voce
calma, il volto sempre sorridente:
venne così ribattezzata dagli scledensi (cioè dagli abitanti di Schio)
"Madre Moréta".
Dal 1939 cominciò ad avere seri
problemi di salute e non si allontanò più da Schio. Morì l'8 febbraio
1947 dopo una lunga e dolorosa
malattia. La salma venne inizial-
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Guardando TV2000 ho avuto modo di conoscere suor Giuseppina
Bakhita, una Santa che non avevo
avuto modo di conoscere prima, e
così ho voluto approfondire.
A casa ho diversi libri, e guarda
caso ho un libro anche su suor Bakhita, un libro che le suore Canossiane hanno distribuito quando è
stata beatificata.
La sua storia inizia in un villaggio
del Sudan occidentale verso l’anno
1869, all’età di circa sei anni viene rapita da mercanti arabi e fatta
schiava, venduta più volte, conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù. Nella capitale sudanese venne infine
comprata dal console italiano residente in quella città, Callisto Legnani, con il proposito di renderle
la libertà: questo diplomatico già
in precedenza aveva comprato
bambini schiavi per restituirli alle
loro famiglie. Nel caso di Bakhita
ciò non fu possibile per la distanza
del villaggio di origine dalla capitale e per il vuoto di memoria della
bambina riguardo ai nomi del proprio villaggio e dei propri familiari. Nella casa del console Bakhita
visse serenamente per due anni
lavorando con gli altri domestici
senza essere più considerata una
schiava.
A causa della guerra nel 1884 fu
affidata a Augusto Michieli che la
portò in Italia.
In Italia Augusto Michieli con la
moglie presero con loro Bakhita
come bambinaia della figlia Mimmina e la portarono nella loro ca-
La mia Arca
Cucina
Ricette di cucina
Ricette
a modo mio
a cura di Gabriella Tacchia
CROSTINI DI SCAMORZA
FORMAGGIO CON LE CIPOLLE
INGREDIENTI PER 4 PERSONE:
una scamorza affumicata da 400 gr.
pane in cassetta 200 gr.
oppure pane casareccio tipo toscano
Qualche filetto di acciuga preferibilmente sott’olio
Olio d’oliva
Sale
INGREDIENTI PER POCHI:
400 gr. di formaggio tipo montasio seminvecchiato
1 cipolla
Burro o olio d’oliva a vostra scelta
PREPARAZIONE:
Tagliate il formaggio a fettine sottili. Affettate
sottilmente la cipolla e fatela appassire dolcemente
in una padella antiaderente col burro o nell’olio a
fuoco basso. Appena la cipolla è pronta, versate nella
padella il formaggio distribuendolo uniformemente
sul fondo. Alzate la fiamma e fate proseguire la cottura,
sollevando ogni tanto con un cucchiaio di legno la
crosticina del fondo per evitare che si attacchi. Alla
fine si sarà formata una specie di torta leggermente
dorata e appetitosissima che potreste gustare con la
polenta. Ma questa è un’altra storia.
PREPARAZIONE:
Tagliare il formaggio a fette e a tocchetti il pane,
facendo in modo che abbiano la stessa dimensione.
Prendete una pirofila e stendete nel fondo un foglio
di carta forno, adagiate per primo un pezzo di pane
e sopra una fettina di scamorza alternandola al
pane, avendo cura che siano a stretto contatto e che
l’ultimo pezzo sia di pane. Quando avrete finito gli
ingredienti versate sopra un filo di olio, stendete le
acciughe (in quantità preferita), un poco di sale e
infornate a 150° per 15 minuti circa. Controllate che
il pane non abbrustolisca troppo ma la scamorza si
deve sciogliere. Servite immediatamente. è un piatto
gustoso per una merenda, guardando alla TV la
partita della squadra preferita, ma fate attenzione a
non scottarvi la lingua.
Questi due piatti-merende ve li ho segnalati
perché possono risolvere una serata domenicale
al posto della solita pizza. sempre ottima ma...
Le redattrici augurano una veloce guarigione
alla nostra amica e collaboratrice Speranza
che giace a letto infortunata (causa incidente
stradale). La ringraziamo perché malgrado
l’incidente ci fa avere via e-mail i suoi articoli
sempre interessanti. Le maranteghe tue amiche
ti augurano una Buona Pasqua.
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Pensieri in libertà
La mia Arca
La ruota
di Pietro Galletto
a cura di Margherita Rossi
La Ruota,
un congegno semplice
che raccoglieva i neonati
altrimenti destinati
alla morte.
Pietro Galletto
lega le vicende
dei suoi protagonisti
a quelle della Ruota,
la cui abolizione
si protrasse nel Veneto,
tra arroventate polemiche,
fin quasi alla fine
del secolo XIX.
Si tratta di un romanzo storico
ambientato in un arco di tempo
che va da metà ‘800 a metà ‘900,
“La ruota” racconta le vicende
di poveri contadini del piovese e
prende spunto da vicende legate
alla ruota degli esposti di Padova. Oggi le ruote sono note come “Culle per la vita”, in genere
si trovano presso ospedali come
“Villa Salus” qui a Mestre, oppure
presso istituti che poi provvedono ad attivare l’ospedale per la
cura e la custodia del bambino
fino alla sua adozione.
La ruota del romanzo era installata presso l’Istituto degli Esposti di Padova - a Venezia c’era
l’Istituto della Pietà - e fino alla
loro soppressione le ruote erano
legate a questi istituti che, con le
loro luci e le loro ombre, hanno
accolto, nutrito e fatto crescere
tutti i bambini abbandonati alla
nascita e a loro affidati, bambini
abbandonati perché nati fuori dal
matrimonio oppure perché la famiglia non poteva mantenerli.
In questo libro si narra tutto questo: la miseria nera dei contadini,
il lavoro duro e faticoso quindi
una estrema povertà materiale ma non morale né spirituale.
In questo romanzo si ritrovano
valori preziosi che sono andati perduti, o almeno dimenticati e messi un po’ da parte, come
la solidarietà tra persone, come
il buon cuore, come la rettitudine, la lealtà che permettevano di
vivere la fatica nel rispetto reciproco e permettevano di aiutare i
bambini abbandonati, aiutandoli
a crescere ricevendo un’educazione ai buoni sentimenti, al lavoro
onesto, anche la possibilità di ricevere un’educazione scolastica.
Come Vittore, un esposto che riuscirà a diventare “maestro” grazie
alla forza d’animo della mamma
adottiva, anche lei esposta e adottata. Nonostante la povertà Vittore, che nel suo percorso troverà
tanti ostacoli, riuscirà ad “emergere” da una condizione segnata
dal “marchio”: NN.
In questo libro c’è uno spaccato
10
di vita che riporta indietro negli
anni e soprattutto ci aiuta a capire “chi” siamo” e “perché” siamo”, ci aiuta a capire e riscoprire
“il senso” della vita cioè perché e
come vivere i giorni che abbiamo
a disposizione oggi, qui, a Mestre e dovunque e la mèta che ci
aspetta tutti.
Certo da allora è cambiato tutto: i costumi, il modo di vivere, il
linguaggio, le priorità nelle scelte
sono date - spesso - a quanto ci
allontana gli uni dagli altri quindi
da noi stessi, e quello che più ci
allontana è l’aver perduto la capacità di riconoscere l’umanità
dell’altro, abbiamo quasi dimenticato che ogni donna e ogni uomo sono fatti per amare ed essere
amati.
“La ruota” romanzo storico ambientato in un pezzetto di campagna veneta tra metà ‘800 e metà
‘900, forse, ci può aiutare a ritrovare noi stessi nelle vite di tanti
personaggi delineati con tratto
nitido e affettuoso dall’autore,
non sembra di leggere perché ci
si sente immersi e coinvolti nelle storie e nelle vicende narrate,
prendendo le parti e facendo il
tifo per i propri beniamini, ognuno troverà i propri, protagonisti
di storie di vita faticose ma che
non annichiliscono le persone in
un destino segnato, bensì aprono
alla speranza in una vita migliore vivendo passo passo la propria
vita e la propria condizione operando per il bene. Non soltanto e
sempre il proprio.
Curiosità
La mia Arca
Venezia
minacciata
da Genova
Nei periodi di guerra il leone impugnava una spada
a cura di Gildo Pilla
Come sapete la Repubblica di Venezia è stata una delle più grandi
città marinare, e la Repubblica
più lunga di tutti i tempi. Innumerevoli le sue battaglie per mantenere il dominio dei mari, una
delle sue avversarie è stata Genova che ha cercato in tutti i modi di
conquistare il controllo del Mediterraneo.
Nel 1375 la rivalità tra le due città
era arrivata a una svolta inevitabile e Venezia incaricò l’ammiraglio Vettor Pisani di contrastare
i genovesi. I suoi risultati furono
eccellenti, però il 7 maggio 1379
si lasciò battere vicino a Pola
da una flotta Genovese apparsa
nell’Adriatico guidata da Luciano
Doria.
Questa sconfitta ha permesso ai
genovesi di conquistare Chioggia
e da lì sferrare gli attacchi. Vene-
zia si trovava circondata, dal mare dalla flotta di Genova, da terra
dall’esercito del Signore di Padova e dalle truppe del re d’Ungheria.
In questo difficile momento Venezia diede prova di una costanza
ammirevole. Pisani destituito e
imprigionato dopo la disfatta di
Pola, per furor di popolo, fu richiamato al comando per difendere la città, con 40 nuove galee e
la migliore conoscenza dei canali
della laguna veneziana iniziò una
dura battaglia che da lì a poco lo
portò ad isolare Chioggia dalla
flotta genovese. Con l’arrivo di
una flotta veneziana, agli ordini
di Carlo Zeno, rientrata dal Levante ci fu la svolta definitiva alla
guerra. L’assedio della Torre delle
Bebbe proseguì per altri sei mesi
nei quali, secondo le cronache, il
Resti Torre delle Bebbe
11
Pisani dovette più volte far ricorso
alla sua capacità di comando visto
che dovette reprimere una rivolta
delle sue stesse truppe, sobillate
dal traditore Roberto da Recanati, spia al soldo dei genovesi.
Il 24 giugno 1380 la città cadde
ed il Pisani decise di riprendere il
largo con la flotta per allontanare
la minaccia dalle zone propinque
a Venezia. Durante una delle sue
tante incursioni s’ammalò di febbri malariche e morì nella notte
tra il 13 ed il 14 agosto 1380.
La pace definitiva fu firmata a Torino nel 1381, da qui Venezia uscita malconcia riprese il controllo
dei mari e il suo commercio allargando il suo mercato, Genova al
contrario iniziò il suo declino, e
nel 1396, rinunciava alla sua stessa libertà e si concedeva al re di
Francia.
Relax
La mia Arca
Un momento
di relax
a cura della redazione
UBRIACHI
Un pensionato, dopo una allegra serata passata
all’osteria con gli amici che non vedeva da tempo, si
appresta a tornare a casa. Sono ormai le 3 di notte
e lui è decisamente “fatto come un caco!” Con tanta
pazienza riesce comunque a salire in auto e si avvia
verso casa pensando: “... a vago pian pianeo, tanto i
xe solo 2 km. No i me fermarà miga proprio a mi?
Anca parché se i me ferma, altro che punti i me cava.
‘l mea brusa ea patente”.
Ma ecco che, dopo neanche un chilometro dalla partenza gli si para davanti un poliziotto che lo ferma
agitando la paletta. “Favorisca la patente!” chiede il
militare. L’uomo pieno di paura, oltre che pieno di
vino, farfuglia qualcosa e cerca la patente nelle tasche
della giacca. Prima di darla al poliziotto però, pensa
bene di infilarci dentro un pezzo da 100 €uro. Il poliziotto prende la patente, la apre e vede la banconota.
Guarda un po’ di traverso l’uomo ma, facendo finta
di niente, si mette isoldi in tasca e dice: “Vada pure e,
guidi piano”.
L’uomo riparte pensando: “...bon Dio, ea me xe ‘nda
ben. Mejo 100 euri in manco che sensa patente”.
Ma è praticamente appena ripartito che un poliziotto
lo ferma di nuovo. “...a porca maeora... ma cosa xea
questa ea strada del demonio”. Pensa subito l’uomo.
Il militare si avvicina, fa cenno di abbassare il finestrino e dice: “Favorisca la patente prego”! L’uomo,
sempre più impaurito per le possibili conseguenze,
farfuglia qualcosa e cerca la patente nelle tasche della
giacca. Finalmente, dopo quasi due minuti di ricerche
la trova, ma prima di darla al poliziotto, che si stava
spazientendo, pensa bene di infilarci dentro una banconota, questa volta da 50 €uro. Il poliziotto prende
la patente, la apre e vede i soldi, guarda l’uomo ma,
facendo finta di niente si mette i soldi in tasca e scuotendo la testa dice: “Va bene. Vada pure e guidi con
prudenza”.
L’uomo riparte per la seconda volta, pensando: “...ben,
ea me xe ‘nda ben anca stavolta. Mejo 150 euri in
manco che sensa patente. Ormai so quasi rivà casa.
Speremo ben parché a gò quasi finio anca i schei,
ostregheta!”.
Ma ecco che, quasi per dispetto, un poliziotto lo ferma per la terza volta. “...a porca maeora... anca el
sindaco e tutta ea so giunta, ma cosa gai anca questi. Noi poe ‘ndare in serca de deinquenti invese de
ciaparme mi? E sta strada ea sarà anca finia... ”
pensa il povero ubriaco. Il militare si avvicina all’auto
e fa cenno di abbassare il finestrino. Brontolando
tra sé e sé, l’uomo abbassa il finestrino e, con occhio
da stato comatoso guarda il poliziotto che, serio in
viso gli chiede: “Nono, quanti schei gheto in scarsea?”
L’uomo, che ormai non riesce più neanche a star
seduto dritto, strabuzza gli occhi alla domanda del
poliziotto. Si fruga in tutte le tasche, e non solo nelle
tasche.... Dopo aver controllato anche le monetine risponde: “A gò ventisinque Euri capo...”, “… dai vecio,
dame ‘sti 25 euri che te porto fora da sta ostrega de
rotonda!”.
Sudoku per tutti
6 7
9 3 1
1
5 8 2
3
4
6 7
8
8
5
4
4
2
5 1
5
1
2 4 5
6
6 3 9
8 2
La soluzione del “Sudoku per tutti” qui sopra
pubblicato la trovate a pagina 8.
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LA MIA ARCA - Beata Vergine Addolorata