a cura di Maria Luisa Neri Arte & Cultura Diplomata in violino e viola presso il Conservatorio di Santa Cecilia, laureata in Psicologia presso l’Università della Sapienza di Roma , Maria Luisa Neri si è poi perfezionata per gli aspetti dell’età evolutiva, sui disturbi dell’Apprendimento, ha effettuato corsi sulle tematiche dei disturbi dell’alimentazione e sulla devianza e, iscrittasi all’Albo, ha lavorato quindi anche come psicologa In passato ha collaborato con le più famose orchestre del territorio romano con le quali ha effettuato più di 500 concerti, inoltre ha effettuato produzioni con L’arena di Verona, per la famosa Aida di Luxor, con l’Orchestra della Radio Svizzera Italiana e con la Rai per trasmissioni televisive sulla musica Maria Luisa Neri, Presidente dell’ Associazione Culturale “Arte del suonare”, con Il suo amore per la musica, si è proposta lo scopo di valorizzazione il repertorio musicale classico e la promozione dei giovani talenti italiani e si è resa disponibile a condurre la Rubrica “La Musica Spiegata” per il Sito dell’Associazione Sviluppo Europeo Termine “Barocco” Come si evince dalle parti precedenti il termine musica barocca indica una musica composta nel XVII secolo e nella prima metà del XVIII secolo. L'utilizzo del termine barocco in campo musicale è fatto risalire ad una pubblicazione del musicologo Curt Sachs del 1919. Secondo gli studi di Sachs, la produzione musicale dei primi decenni del XVII secolo mostra il desiderio di stupire e divertire l'ascoltatore. Questo genere si sviluppa a fianco di composizioni che ancora rientrano completamente nell'orizzonte stilistico tardo-rinascimentale – a volte i due stili coesistono nell'ambito della produzione dello stesso compositore – pertanto non è possibile stabilire una data precisa di inizio del periodo barocco in musica così come, con analoghe considerazioni, non si può stabilire una data per la sua conclusione. Così come le altre forme d'arte del periodo, la musica barocca era votata al desiderio di stupire e divertire l'ascoltatore: cambi repentini di tempo, passaggi di grande virtuosismo strumentale o vocale e l'uso del contrappunto e della fuga, sono gli elementi che più caratterizzano la produzione musicale di questo periodo, insieme ad uno sviluppato senso dell'improvvisazione. L'utilizzo del termine barocco in campo musicale è piuttosto recente, ed è fatto risalire ad una pubblicazione del musicologo Curt Sachs del 1919. Tuttavia non tutti sono d'accordo e Manfred Bukofzer, uno dei maggiori musicologi del Novecento, arriva a sostenere, nel saggio The music in the baroque era (1947) che la Musica Barocca (intesa come uno stile unitario ed organico), non esista. È per questo motivo che Bukofzer suggerisce di evitare per quanto possibile l'espressione "musica barocca" e di adottare, invece, il criterio della distinzione tra i tre grandi stili che attraversano la musica occidentale tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento: lo stile concertante italiano, lo stile contrappuntistico tedesco e lo stile strumentale francese. Operando all'interno di questa grande tripartizione una ulteriore bipartizione: quella tra idioma strumentale e idioma vocale. A prescindere da queste considerazioni, che effettivamente possono avere degli ottimi argomenti, il termine "musica barocca" è tuttora universalmente utilizzato ed accettato per definire lo stile musicale evolutosi dopo la Musica rinascimentale e prima dello sviluppo dello stile Classico. Le forme musicali Tra le varie forme musicali di questo periodo non è superfluo ricordare: Il concerto grosso La genesi del concerto grosso va cercata in una sorta di espansione sonora della forma della sonata a tre, nei due generi da chiesa e da camera, e risale all'incirca alla metà del Seicento, e venne messo a punto a Roma, verso gli anni '80 del Seicento, da Arcangelo Corelli. I dodici Concerti dell'op.6 corrispondono alla fase "matura" del concerto grosso: un gruppo di solisti (nel caso di Corelli due violini e un violoncello) chiamato "concertino" o "soli" si contrappone all'intero corpo dell'orchestra, chiamato "grosso" o "tutti". Non una contrapposizione generica basata sulla semplice contrasto di sonorità, ma una rigorosa divisione del lavoro di carattere formale: al "grosso" spetta l'esposizione del ritornello, al concertino gli episodi solistici, secondo la successione di parti e movimenti tipica della sonata a tre che verrà poi ripresa dal concerto solistico. Il concerto solista Generalmente si individua in Antonio Vivaldi l'inventore del concetto di concerto solista, ossia, l'evoluzione del concerto grosso verso una forma musicale che prevede uno o più strumenti solisti ai quali è assegnata una partitura obbligata o una sezione (comunemente chiamata sequenza), dedicata all'improvvisazione dell'esecutore. La sonata barocca Il modello originario appare a Venezia verso la fine del Cinquecento, grazie agli organisti e ai violinisti che prestano servizio presso la Cappella della Basilica di San Marco, ma l'idea di una forma strumentale totalmente autonoma dalla musica vocale prende piede però nell'altro grande centro musicale dell'Italia del tempo: la Basilica di San Petronio a Bologna. È qui che l'ordito contrappuntistico della sonata rinascimentale si scioglie nelle sue due polarità nascoste: da un lato il basso continuo, dall'altro il libero gioco improvvisativo delle voci superiori. Nasce così il prototipo della cosiddetta "sonata a tre", il cui organico è costituito dal continuo e da due strumenti melodici. A partire dalla seconda metà del Seicento la sonata a tre si divide in due forme complementari: da un lato la "sonata da chiesa", inizialmente destinata a sostituire le parti mancanti della liturgia vocale e dunque caratterizzata da una severa scrittura contrappuntistica, dall'altro la "sonata da camera", indirizzata originariamente all'intrattenimento e quindi segnata dalla scrittura ritmico-melodica tipica delle forme di danza. La suite Le origini della suite si confondono inevitabilmente con la pratica antichissima di accompagnare e sostenere la danza con un numero più o meno elevato di voci o di strumenti. La pratica di codificare in modo rigoroso la denominazione e la successione delle diverse danze è però molto posteriore e si deve a Johann Jakob Froberger, allievo di Frescobaldi, la riduzione della suite alle sue quattro danze "di base" (allemanda, corrente, sarabanda e giga). Sarà questo il modello di base che seguirà J.S.Bach per alcune delle sue suite (ma non per tutte: le sue Suite Inglesi, ad esempio, sono articolate in otto danze). In alcuni tipi di suite dà inizio ai balli un preludio, in casi eccezionali con un'ouverture, un preambolo, una fantasia od una toccata. Fra la sarabanda e la giga si possono ritrovare danze come la gavotta, siciliana, bourrée, loure, minuetto, musetta, doppia e polacca, mentre dopo la giga le danze ordinariamente sono la passacaglia e la ciaccona. Strumenti barocchi In epoca barocca ebbero un ruolo particolarmente importante gli strumenti dedicati all'esecuzione del basso continuo, che è il vero denominatore comune di tutta la produzione musicale. Fra questi, i due di uso prevalente erano l'organo e il clavicembalo (ai quali è dedicata, inoltre, una vastissima letteratura solistica). Il basso continuo, tuttavia, era anche realizzato dalla tiorba, dall'arpa e occasionalmente dal regale; era prassi frequente che più strumenti (ad esempio organo e tiorba) concorressero all'esecuzione del basso continuo, soprattutto in compagini orchestrali o corali numerose[1]. Fra gli strumenti a corda erano pure molto diffusi, sia come strumenti solisti che come strumenti d'accompagnamento, il liuto e la chitarra. Il clavicordo, per contro, era apprezzato ma era destinato a un uso esclusivamente solistico. Per quanto riguarda gli strumenti melodici, nel passaggio dal Rinascimento all'epoca barocca si riscontra una generale riduzione nella varietà di strumenti utilizzati: mentre nel XVI secolo praticamente ogni strumento melodico, sia a fiato che a corde, era costruito in taglie differenti, che riproducevano le diverse estensioni vocali (e spesso erano indicate con i termini "soprano", "contralto", "tenore e "basso"), nel corso della prima metà del XVII secolo, con la nascita di una vera e propria letteratura strumentale idiomatica, in ciascuna "famiglia" di strumenti fu privilegiata un'unica taglia[2]. L'unica rilevante eccezione è costituita dalle viole da braccio, per le quali si consolidarono le quattro versioni che tuttora conosciamo (violino, viola, violoncello e contrabbasso). A fianco della famiglia degli archi, che costituivano l'elemento irrinunciabile di ogni insieme orchestrale, gli strumenti più frequentemente usati erano, fra gli strumenti acuti: il cornetto, che nella prima metà del XVII secolo contendeva al violino il ruolo di strumento solistico e virtuosistico per eccellenza; l'oboe, discendente diretto dal contralto della bombarda rinascimentale: erano usate, per particolari effetti timbrici, anche versioni di taglia maggiore e con alcune peculiarità costruttive, dette oboe d'amore e oboe da caccia; il flauto dolce, prevalentemente nella taglia di "contralto" (in sol nella prima parte del XVII secolo, in fa successivamente); il flauto traverso, nella taglia in re. Sia il flauto traverso che il flauto dolce subirono rilevanti modificazioni costruttive rispetto alle versioni rinascimentali: in particolare, nella seconda metà del XVII secolo si iniziò a costruire questi strumenti in più parti smontabili (tre o quattro), per permettere agli strumentisti di adeguare l'intonazione dello strumento ai diversi "la" che coesistevano. Fra gli strumenti gravi: la viola da gamba (nella taglia di basso, anche se era occasionalmente impiegata anche nella taglia di dessus: in Inghilterra il consort di viole da gamba, che includeva tutte le taglie, era tuttavia ancora in auge nel XVII secolo); il trombone; il fagotto, discendente diretto del basso della famiglia delle dulciane; Nell'orchestra barocca erano spesso presenti anche la tromba e il corno (all'epoca, entrambi senza pistoni); fra gli strumenti a percussione acquistò particolare importanza il timpano. Accanto a questi strumenti, di largo uso sia come strumenti solistici che nell'orchestra, in epoca barocca godettero di occasionale popolarità, nell'ambito di specifiche scuole o mode musicali, il mandolino; la viola d'amore, viola da braccio con corde aggiuntive di risonanza; la lira da braccio e la lira da gamba, strumenti ad arco adatti all'accompagnamento armonico; lo chalumeau, antecedente diretto del clarinetto; la musette de cour (piccola cornamusa con mantice) e la ghironda, strumenti fintamente "pastorali". nelle bande civiche e militari, il serpentone (basso della famiglia dei cornetti) e il fifre (flauto traverso ottavino), nonché il tamburo. Compositori più noti del periodo barocco Nel caso del concerto solista il nome di Vivaldi è quello che più facilmente viene citato, ma altri artisti a lui contemporanei contribuirono in modo fondamentale nello sviluppo di questi stile, fra i quali non si possono non ricordare Alessandro Marcello, Giuseppe Torelli. Giuseppe Torelli (Verona, 22 aprile 1658 – Bologna, 8 febbraio 1709) è stato un violinista e compositore italiano del periodo barocco. Fratello del noto pittore Felice Torelli, è principalmente ricordato per il suo contributo allo sviluppo del concerto grosso e del concerto solista e per le sue composizioni per archi e tromba. Allievo a Verona di Dionisio Bellante (1610 - 1685), dal 1684 fu allievo di Giacomo Antonio Perti a Bologna; il 27 giugno dello stesso anno entrò all'Accademia Filarmonica come violinista. Nel 1686 ottenne il posto di violetta nell'orchestra della Basilica di San Petronio. Nel 1689 passò alla viola tenore. Torelli suonò nell'orchestra fino allo scioglimento della stessa avvenuto nel 1696. Nel 1698 ad Augusta pubblicò i Concerti musicali op. 6, cosicché fu nominato Konzertmeister (primo violino) alla corte di Giorgio Federico II Margravio di Brandeburgo-Ansbach, posizione che mantenne fino all'anno successivo. Nel 1700 fu a Vienna per rappresentare un suo oratorio. Quindi nel 1701 tornò definitivamente a Bologna, dove fu nominato violinista a San Petronio. I suoi lavori hanno influito notevolmente sullo sviluppo del concerto grosso. Torelli applicò ai propri concerti strumentali la forma a 3 movimenti (allegro, adagio, allegro) già ideata da Alessandro Scarlatti. La sua opera comprende complessivamente 84 lavori noti. Ideò inoltre il concerto per violino solista e orchestra, all'epoca un'innovazione pionieristica a confronto del concerto grosso, in cui un gruppo di strumenti dialogava con l'orchestra. Torelli compose soprattutto sonate, concerti grossi e concerti solistici. Si consiglia l'ascolto del suo Concerto in Pastorale per la Notte di Natale: http://youtu.be/kD1R3jUmPJs Tomaso Giovanni Albinoni nacque da una ricca famiglia veneziana di mercanti di carta originaria di Castione della Presolana. Albinoni amava definirsi Musico di violino, dilettante Veneto. Studiò violino e canto, e già in età precoce divenne un bravo cantante e soprattutto un valente violinista. Probabilmente ebbe come maestro Giovanni Legrenzi. Diversamente da autori del suo tempo compose in forma indipendente senza cercare mecenati. Mecenati che nel suo tempo potevano avere più referenti: la Chiesa nei molti ruoli che essa offriva, le corti della nobiltà o le famiglie reali. Forse per sua scelta non si iscrisse mai alla corporazione veneziana degli strumentisti professionisti (l'Arte dei Sonatori) privandosi così di esibirsi in pubblico, cosa che non amava, e di ottenere dei guadagni; si orientò quindi verso la composizione. Visse sempre a Venezia anche se viaggiò molto; si ricordano almeno due suoi viaggi a Firenze nel 1703 e nel 1722. Compose la sua prima opera "Zenobia regina de Palmireni" nel 1694 su libretto di Antonio Marchi, anno in cui uscì anche la sua prima raccolta di musica strumentale le 12 Sonate a tre Op.1. Si consiglia l'ascolto della celeberrima Sonata n° 4 dell'op 1in Sol minore per violoncello e basso continuo: http://youtu.be/RK7txvqUyDY Da allora divise equalmente la sua attività tra le composizioni per canto (opere, serenate e cantate) e per strumenti (sonate e concerti). Fino al 1709 anno della morte del padre, poté dedicarsi alla musica senza la necessità economica. Poi anche grazie alla volontà testamentaria paterna fu sollevato dal dover continuare l'attività affaristica familiare in quanto figlio maggiore lasciando tale compito ai fratelli minori. Questo gli permise di dedicarsi alla musica a tempo pieno e di raggiungere una certa notorietà abbastanza rapidamente. Sposò una cantante d'opera, Margherita Raimondi, nel 1721 e fu anche grazie a lei che cantò a Monaco, nel 1722. Massimiliano Emanuele II, Elettore di Baviera, cui Albinoni dedicò dodici concerti, lo invitò a Monaco per dirigere l'opera durante le celebrazioni per le nozze del Principe Elettore Carlo Alberto di Baviera con Maria Amalia d'Asburgo, figlia dell'ultimo Imperatore Giuseppe I. In tale occasione compose l'opera "I veri amici" e la serenata "Il trionfo d'amore". Oltre a musica concertistica barocca, per cui ha la notorietà odierna, famosi in particolare i suoi concerti per oboe, di cui si consiglia l'ascolto di un celebre adagio: http://youtu.be/652ilKBGkmI Compose circa una cinquantina di opere liriche quasi tutte andate perdute e di cui rimangono poche arie. Solo del Radamisto del 1701 rimane la partitura completa. Non conosciamo le sue opere ma sappiamo che esse rivaleggiarono con un altro grande compositore veneziano di opere, Francesco Gasparini. La sua musica strumentale attrasse fortemente l'attenzione di Johann Sebastian Bach, che scrisse almeno due fughe su temi di Albinoni e usò i suoi bassi per armonia come esercizio per i suoi studenti. Le sue opere inoltre furono sempre considerate all'altezza di altrettanto famosi compositori contemporanei come Corelli e Vivaldi. Le sue nove raccolte strumentali furono pubblicate con molto successo in Italia, ad Amsterdam e a Londra, riscuotendo un notevole successo in molte corti e famiglie nobili dell'Europa meridionale. Fu particolarmente attratto dall'oboe, uno strumento relativamente poco usato in Italia fino ad allora, tanto che il suo è stato il primo concerto per oboe scritto in Italia. Mentre i concerti per oboe da solo furono per la prima volta composti in Germania da Telemann e Haendel. Albinoni dopo aver composto quattro concerti per oboe solo (N. 3, 6, 9, 12) compose quattro concerti con due oboi (N. 2, 5, 8, 11) (Op.7) che furono i primi ad essere pubblicati e che riscossero un tale successo che Albinoni ripeté questa formula nel 1722 con l'Op.9. A parte alcuni lavori strumentali datati 1735 poco si sa della vita e delle opere di Albinoni dopo la metà degli anni 1720. Molti dei lavori di Albinoni andarono perduti durante la Seconda guerra mondiale per la distruzione da parte degli alleati della Libreria di Stato di Dresda. Forse dopo il 1740 si ritirò a Venezia e smise di comporre dedicandosi alla scuola di canto. La sua opera più famosa è l'Adagio ricostruito (o meglio reinventato) da Remo in sol Minore, Giazotto, un musicologo milanese, nel 1945, basandosi solo sui bassi e su sei frammenti di melodia. Albinoni morì nella sua città natale nel 1751. Francesco Geminiani Iniziò gli studi sotto la guida di Alessandro Scarlatti, divenne poi allievo di Carlo Ambrogio (Ambrosio) Lonati, abile violinista e da ultimo passò nella scuola di Corelli. Dal 1707 rimpiazzò il padre alla Cappella Palatina di Lucca. Nel 1711 divenne primo violino e direttore d'orchestra del teatro dell'Opera di Napoli. Dopo un breve ritorno a Lucca, nel 1714 si recò a Londra dove le sue brillanti esecuzioni gli diedero in poco tempo una gran reputazione. Due anni dopo il suo arrivo a Londra, pubblicò 12 sonate per violino e basso, o clavicembalo, che dedicò al barone di Kielmansegge, ciambellano del re Giorgio I. Quest'opera ebbe un brillante successo. Il barone, che era il principale protettore di Geminiani, ne parlò al re e ottenne il permesso di far eseguire in sua presenza, da Geminiani, qualcuna delle sue produzioni. Fu Händel in quell'occasione a sedere al clavicembalo e Geminiani suonò in maniera da giustificare la protezione dei suoi amici.Le opere che Geminiani pubblicava ogni anno accrescevano la sua reputazione. Oltre ai suoi concerti, aveva arrangiato i soli di Corelli e sei sonate dello stesso autore, tra cui la versione orchestrale sul tema della Follia si cui si consiglia l'ascolto: http://youtu.be/vCCuFzT-NxA Dopo altri viaggi ed un soggiorno a Parigi, durante il quale fece stampare edizioni rivedute e corrette di molte sue opere, Geminiani ritornò in Inghilterra, nel 1755, vi fece apparire nuove composizioni e iniziò a pubblicare una sorta di giornale di musica, sotto il titolo di The harmonical miscellaney, ma lo scarso successo riscosso da questa iniziativa lo fece desistere dall'impresa dopo 2 numeri. Nel 1761 Geminiani andò in Irlanda, dove Bubourg, che era allora a capo dell'orchestra del re, l'accolse con la riconoscenza che doveva al suo antico maestro. Geminiani aveva impiegato parecchi anni a raccogliere materiali considerevoli per un libro sulla musica, ma una donna che era al suo servizio, e che senza dubbio vi era entrata allo scopo di derubarlo, gli derubò il manoscritto, che non si è più potuto ritrovare in seguito. Questa perdita fece una impressione profonda sullo spirito di Geminiani e ne accelerò probabilmente la fine della vita. Morì a Dublino, il 17 settembre 1762. Come esecutore Geminiani sembrava avere un talento di prim'ordine, perché non si conoscono contestazioni su questo aspetto, l'opinione non è invece unanime al riguardo delle sue composizioni. Avison le cita come modello di eccellente musica strumentale, ne loda soprattutto la modulazione dolce e piena di espressività, l'armonia sempre perfetta e la naturalezza dei passaggi. E' indubbio che cercò di allontanarsi dallo stile antico di Corelli, ma se le forme delle composizioni sono più moderne, non vi si trovano la ricchezza e la purezza di stile del suo maestro. In un suo lavoro "The art of playing on the violin "presuppone la conoscenza delle note e si impegna a spiegare al lettore, l'uso del manico del violino e la maniera di servirsi dell'archetto. In un'incisione che fece preparare a questo proposito, divise il manico in 12 parti, in toni interi e in semitoni, esigendo che l'allievo portasse questo schema sul manico del suo violino, con un pastello a cera, e, per mostrarne l'uso, traccia più scale con l'indicazione della diteggiatura e delle sei differenti posizioni della mano, chiarendo infine questa parte per mezzo di eloquenti esempi. Insegna inoltre a servirsi dell'archetto; come bisogna tenerlo e posarlo sulle corde per ottenere dei bei suoni, come lo si debba sollevare e la maniera di ottenere il forte e il piano. Tutte queste regole sono seguite da una serie di esempi o, piuttosto, da 12 soli per violino, con accompagnamento di basso, in tutti gli stili, in tutti i toni e in tutti i movimenti. Pietro Antonio Locatelli Locatelli nacque a Bergamo, qui poté formarsi nelle ‘cantorie’ della Basilica di Santa Maria Maggiore, come violinista. Nel 1711 grazie alle sue eccezionali capacità viene inviato a Roma per approfondire lo studio della musica. Egli frequentò probabilmente se non lo stesso Arcangelo Corelli, persone a quest’ultimo molto vicine come Giuseppe Valentini. Egli rimase a Roma fino al 1723, dove godette del favore del cardinale Pietro Ottoboni e del maggiordomo del Papa, monsignor Camillo Cybo, dedicatario dei XII Concerti Grossi Opera I (1721). In seguito a partire dal 1723 – probabilmente in concomitanza con la partenza dall’Urbe del suo protettore, monsignor Cybo – iniziò a viaggiare soprattutto in Germania, diventa tuttavia assai difficile ricostruire con precisione la vita del Locatelli in questi anni, alcuni indizi sono fornite da sue dediche o da scritti che attestano la sua presenza in questa o quella città: la dedica al patrizio veneto Girolamo Michiel Lini preposta ai Concerti dell’Arte del Violino (Op. III); i 12 fiorini d’oro ricevuti per una esibizione a Monaco di Baviera presso la corte del Principe-Elettore Karl Albert; gli 80 talleri imperiali percepiti nel dicembre 1728 a Kassel per un servizio reso presso la corte del langravio Carl von HessenKassel. Nel 1729, Locatelli si stabilì ad Amsterdam, città in cui visse fino alla morte, allontanandosi raramente da essa. Qui diresse il Collegium Musicum, composto da benestanti amanti della musica per i quali egli componeva e per i quali, ogni mercoledì con regolarità, teneva un concerto presso la propria abitazione. Alla sua morte, nel 1764, lasciò un discreto patrimonio a comprova del successo da lui ottenuto nel gestire le proprie capacità e la propria fama Locatelli fu un mostro di tecnica violinistica: si diceva che non avesse mai suonato una nota sbagliata, tranne una volta in cui il suo mignolo scivolò e toccò il ponticello dello strumento. La maggior parte delle composizioni di Locatelli sono lavori per violino. La sua pubblicazione più conosciuta è l' Arte del violino, opera III, una raccolta di dodici concerti per violino solista, archi e basso continuo. La raccolta include una serie di 24 Capricci per violino solo di grande difficoltà tecnica, posti al termine del primo e terzo movimento di ciascun concerto come cadenza del solista; dato il loro interesse nello sviluppo della tecnica violinistica, a partire dal XIX secolo si è susseguita una serie di pubblicazioni dei soli capricci, estrapolati dal contesto dei Concerti originari e utilizzati come brani concertistici a sé stanti o come studi didattici di tecnica superiore. Si consiglia l'ascolto del 12° concerto tratto dal labirinto armonico: http://youtu.be/Fil7raJb4mY Locatelli scrisse inoltre sonate per violino e basso continuo, sonate a tre, concerti grossi e una raccolta di sonate per flauto (op.2). I suoi primi lavori mostrano l'influenza di Arcangelo Corelli, mentre la produzione più matura ha un respiro più internazionale, più vicino al gusto galante. Uno dei brani più particolari ed interessanti della sua produzione è il concerto VI che chiude l'opera VII, intitolato Il Pianto di Arianna. Nonostante sia destinato ad un organico esclusivamente strumentale (un gruppo di archi divisi in "concertino" e "concerto grosso", come nel concerto grosso, una forma ormai arcaica all'epoca di Locatelli perché di fatto sostituita da tempo dal concerto solistico), la scrittura è tipicamente vocale e riproduce una sorta di cantata senza testo, divisa in recitativi ed arie Francesco Maria Veracini Dapprima allievo dello zio Antonio (figlio a sua volta del violinista Francesco), fu considerato in Italia come il maggiore compositore del suo tempo, dopo la morte di Corelli. Nacque a Firenze verso il 1690. Studiò musica e in particolare composizione presso la cattedrale di Firenze. Nel 1711 andò a Venezia iniziando la sua carriera peregrinante, e qui forse conobbe Tartini. Nel 1714 si portò a Londra dove dominava la figura di Haendel; qui ebbe modo di conoscere Geminiani. Di questo periodo è la bella Ouverture in Si b Maggiore n° 3 http://youtu.be/kZafiT2km6c L'anno dopo andò a Dusseldorf dove compose e dedicò all'Elettore Johann Wilhem, l'oratorio "Mosè al Mar Rosso". All'età di ventinove anni si recò a Venezia dove eseguì vari concerti con una tale maestria da averne un notevole successo tanto che Tartini, si convinse di non poter rivaleggiare con lui, e si ritirò ad Ancona dedicandosi a nuovi studi. Nello stesso anno (1719) Veracini fece un viaggio a Londra dove ebbe modo di suonare negli intermezzi delle opere, suscitando anche qui il più vivo entusiasmo. Scelse infatti di fermarsi in Inghilterra dove rimase circa due anni, considerato come un prodigio di abilità. Nel 1720 giunse a Dresda ed ottenne i titoli di compositore e di virtuoso dal re di Polonia. Dopo un lungo soggiorno in Boemia, fece ritorno in Inghilterra e diede dei concerti a Londra nel 1730, ma senza riscuotere lo stesso successo di un tempo. Si trovò il suo stile vecchio e il paragone con quello di Geminiani non l'aiutò. Di ritorno in Italia nel 1747, si ritirò a Pisa in una modesta dimora. Morì nel 1768.Si coniglia l'ascolto di un suo celebre Largo: http://youtu.be/FsXftO70SlE Benedetto Marcello, fratello di Alessandro Marcello, anch'egli compositore, era di famiglia nobile e, sebbene allievo di Francesco Gasparini, fu avviato dal padre a dedicarsi agli sudi di legge. Ebbe un atteggiamento critico anche nei confronti di Antonio Vivaldi, da lui ritenuto un operista alquanto volgare e modaiolo. Benedetto Marcello, infatti, guardava con sospetto ai nuovi stili musicali basati su una semplificazione dell'impianto melodico-armonico e contrappuntistico, inoltre era convinto che il melodramma avesse bisogno di una profonda riforma (da questo punto di vista può essere considerato un acuto anticipatore di Gluck). Era un ottimo musicista e esperto conoscitore della musica antica. Si narra che un giorno, nel 1728, mentre passeggiava nella chiesa dei Santi Apostoli a Venezia, cadde in una tomba aperta e svenne. In seguito a questo fatto, decise di dedicarsi esclusivamente alla musica sacra e alla composizione di poesia religiosa. Come patrizio della Repubblica di Venezia nel 1711 entrò nel Consilio dei Quaranta, e nel 1730 si recò a Pola come Provveditore, ma le sue condizioni di salute andarono peggiorando a causa del clima istriano. Nel 1738 fu nominato camerlengo a Brescia, dove morì l'anno successivo all'età di 53 anni. Benedetto Marcello è spesso ricordato per il suo Estro poetico-armonico (Venezia, 1724-1727), lavoro che mette in musica, per voci e basso continuo i primi cinquanta Salmi, nella versione in parafrasi italiana realizzata da Girolamo Ascanio Giustiniani. Questi componimenti furono molto ammirati da Charles Avison, che con John Garth curò un'edizione con testi in inglese (Londra, 1757). Tra gli ammiratori dei Salmi di Marcello, che godettero di grandissimo prestigio e di fama europea per tutto il Sette e l'Ottocento, si annoverano anche Goethe, Rossini e Verdi. Il famoso Adagio del Concerto per oboe, trascritto per strumento a tastiera da Johann Sebastian Bach e divenuto popolare ai giorni nostri grazie al film Anonimo veneziano (1970), è in realtà attribuibile al fratello Alessandro Marcello. Se ne consiglia comunque l’ascolto: http://youtu.be/2Xj8ROY-42w Compose inoltre più di trecento cantate, per una o più voci; quattro oratori (fra cui Joaz su libretto di Apostolo Zeno per la corte imperiale di Vienna) e diverse serenate. La biblioteca del Conservatorio di Bruxelles possiede alcuni interessanti volumi di cantate da camera composte per la sua donna amata. Sebbene Marcello stesso scrisse il libretto di un'opera nel 1708, La Fede riconosciuta, a Vicenza, egli nutrì scarsa simpatia per questa forma di composizione, e diede sfogo alle sue opinioni sullo stato del dramma musicale a quel tempo nel pamphlet Teatro alla moda, pubblicato anonimamente a Venezia nel 1720; questo piccolo lavoro, che fu più volte ristampato, non solo è molto divertente, ma è anche un pregevole contributo alla storia dell'opera. Il suo sepolcro si trova nella chiesa di San Giuseppe di Brescia, luogo di sepoltura per eccellenza delle personalità bresciane in campo musicale. Benedetto Marcello si trova sepolto sotto una grande lapide pavimentale al centro della navata maggiore, davanti alla scalinata che sale al presbiterio. L'iscrizione ricorda alla pari i suoi notevoli risultati come camerlengo e la proficua attività in campo musicale. Giuseppe Tartini Nacque a Pirano in Istria, il 12 aprile del 1692. Entrò dapprima alla scuola dell'Oratorio di San Filippo Neri, ma essendosi ben presto distinto per le sue brillanti disposizioni, fu inviato a Capodistria per completare i suoi studi al collegio dei padri delle scuole. Fu lì che ricevette le prime lezioni di musica e violino. L'arte della scherma gli divenne egualmente familiare, tanto che in poco tempo superò il suo maestro. I suoi genitori avevano creduto di poterlo far entrare come francescano nel monastero dei minoriti, ma non potendo riuscirvi, lo mandarono, nel 1710, all'Università di Padova per studiarvi la giurisprudenza e intraprendere la carriera di avvocato. Le sue grandi capacità gli resero questo studio così facile che ebbe anche il tempo di perfezionarsi nella scherma e di segnalarsi per parecchi duelli. Questa passione divenne tanto forte che Tartini volle andare a Parigi o a Napoli per divenire maestro d'armi, e avrebbe certo messo in atto questo progetto senza esitare se non si fosse innamorato di una damigella a cui dava lezioni e che sposò poi in segreto. Questo matrimonio gli attirò la collera dei genitori che l'abbandonarono al suo destino. Tartini si trovò, pertanto, tanto più imbarazzato, visto che appartenendo sua moglie alla famiglia del vescovo di Padova (Giorgio Cornaro), aveva da temere la persecuzione di quest'ultimo. Non gli restò altra scelta che lasciarla a Padova e fuggire a Roma, travestito da pellegrino. Non trovando sicurezza in nessun luogo, errò di città in città. Il convento dei minoriti ad Assisi, il cui guardiano era un suo parente, gli offrì infine un asilo sicuro contro l'ira del cardinale. Dimorò due anni in questo monastero e si applicò allo studio del violino che aveva quasi completamente trascurato a Padova. Le lezioni di padre Boemo, celebre organista di questo convento, completarono la sua iniziazione all'arte della musica. Un altro vantaggio che ebbe per lui questo ritiro isolato, fu il totale cambiamento del carattere. Da violento e superbo che era, divenne amabile e modesto e perse per sempre, grazie a questa vita tranquilla, i difetti che erano stati all'origine di tutte le sue sventure. Il suo nascondiglio era rimasto a lungo sconosciuto; ma un incidente imprevisto lo fece scoprire: suonando il violino nel coro della chiesa, un colpo di vento sollevò la tenda che lo nascondeva alla vista dei presenti e fu riconosciuto. Tartini si credette perduto, ma quale fu la sua sorpresa quando seppe che il cardinale l'aveva perdonato e lo cercava per condurlo nelle braccia della sua sposa! Di ritorno a Padova, fu chiamato a Venezia per far parte di un'accademia che doveva nascere sotto gli auspici del re di Polonia. Vi si recò con la sua sposa, ma lì ebbe occasione di ascoltare il famoso violinista Veracini e fu tanto colpito dalla sua tecnica ardita e nuova che preferì lasciare la città l'indomani stesso, piuttosto che entrare in concorrenza con lui. Inviò la sua sposa a Pirano, presso suo fratello e si ritirò ad Ancona per dedicarsi liberamente allo studio. In questa città trovò impiego suonando nell'orchestra del teatro "La Fenice" e qui, nel 1714, elaborò un modo nuovo di suonare il violino scoprendo il fenomeno del terzo suono (toni risultanti o toni di Tartini) ovvero della risonanza della terza nota dell'accordo, quando si fanno sentire le due note superiori. Nel 1721 fu messo a capo dell'orchestra di Sant'Antonio di Padova, questa cappella, una delle meglio assortite d'Italia, aveva quaranta musicisti, di cui sedici cantanti. Nel 1732 fu chiamato a Praga per l'incoronazione dell'imperatore Carlo VI. Vi rimase per tre anni con il suo amico Antonio Vandini, violoncellista al servizio del conte Kinsky. Nel 1728 fondò a Padova una scuola di musica e pochi maestri hanno formato così tanti buoni allievi. Lo si chiamava il maestro delle nazioni. La sua scuola ha fornito grandi musicisti a Francia, Inghilterra, Germania e Italia. Pagin si recò espressamente a Padova per formarsi sotto la sua direzione. I suoi altri allievi furono Nardini, Domenico Ferrari, Carminati, Madame Sirmen e Lahoussaye e Capuzzi. Oltre tali nomi, deve essere ricordato, fuori dalla scuola strettamente violinistica, il più famoso dei suoi allievi, il grande compositore Antonio Salieri, che da Tartini prese lezioni durante i suoi anni giovanili a Venezia. In età molto avanzata, fu colpito dallo scorbuto. Nardini, suo allievo favorito, partì da Livorno alla notizia della sua malattia e gli prodigò le sue cure fino all'ultimo momento. Tartini morì il 26 febbraio 1770. Aveva lasciato tutti i suoi scritti al suo protettore il conte di Thurn und Taxis e aveva chiesto a padre Colombo di pubblicare il suo trattato del suono. Il suo corpo fu deposto nella chiesa di Santa Caterina, Non conosciamo che pochi brani di musica vocale di Tartini, come il Miserere eseguito a Roma, il mercoledì santo del 1768 alla presenza di papa Clemente XIII. Il barone Agostino Forno, autore di un elogio di Tartini, che vi assisté, dice che questo pezzo merita il primo posto tra tutti quelli dell'autore. Essi recano, in generale, l'impronta e l'invenzione del genio; il canto è grazioso, vivo e pittoresco, l'armonia è melodiosa e semplice, sebbene sapiente. Tartini era tanto grande come compositore che come violinista. Celebre è la sua Sonata detta “Il trillo del Diavolo” che presenta nella sua parte finale trilli a doppie corde che possono essere realizzati solo da violinisti che abbiano una abilità tecnica superiore. Se ne consiglia l’ascolto: http://youtu.be/CyQwD9KZvhc M. L. N Le figurazioni sono tratte dalla rete web google immagini