PAGINE 12-13 PAGINE 18-19 Cheerleaders, ragazze pon-pon che sognano l’America 23 2- S G. 2 W PA Ai giovani piace la lirica. Anche da cantare E PAGINE 8-11 Milano punta in alto. Ma gli uffici restano vuoti N Società LM Cultura IU Verticalità Marzo 2011 AnnoVIII Numero II labiulm. campusmultimedia.net Periodico del master in giornalismo dell’Università Iulm - Campus Multimedia In-formazione - Facoltà di Comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità ERRORI E ORRORI DEL POTERE Giovanni Puglisi È ricorrente sentire dire che il mondo sta cambiando: non è vero, il mondo è già cambiato. È però ugualmente vero che molte cose, specialmente gli errori e gli orrori, non cambiano mai. È cambiato l’equilibrio del mondo: oggi gli Stati Uniti sono, in maniera quasi indiscussa, l’ago della bilancia della situazione eco-politica mondiale, con due nubi burrascose però incombenti, la Cina da una parte con la sua strisciante ricchezza sommersa e dall’altra l’emarginazione sociale, che, purtroppo, costituisce il vero pericolo sociale e politico di questo millennio. continua a pag.24 Pratica, ecologica ed economica, la bici sta conquistando le città europee. In Italia cresce la passione, ma la ciclabilità rimane insufficiente. Viaggio nel mondo a due ruote made in Italy, fra bike sharing, nuovi mestieri e vacanze a pedali PAGINE 4 - 7 Vita e opere di Walter, tassista virtuale. Ma non troppo PAGINE 14-15 Pagina 4 PRIMO PIANO LAB Iulm Bicimania La bicicletta fa bene a salute e portafoglio. Ma in Italia pedalare è un problema Ilfuturo a pedali Chiara Daffini Preso a schiaffi e chiamato ladro sotto gli occhi del proprio bambino. Una delle peggiori umiliazioni per un padre. E tutto per una bicicletta. “Ladri di biciclette”, il film di De Sica, capolavoro del neorealismo italiano, mostra con lucidità drammatica l’importanza del mezzo a due ruote nell’Italia del secondo dopoguerra. Poi venne l’era dell’auto. Adesso, dopo 60 anni, per la bicicletta sembra giunta l’ora della rivalsa, di un nuovo Fra i paesi europei messi a confronto nel grafico, l’Italia ha il minor sviluppo assoluto di piste ciclabili. amore da parte degli italiani. Olanda e Danimarca hanno città interamente In Italia ci sono circa 30 miciclabili, mentre la Germania ha triplicato negli lioni di biciclette registrate, ultimi 10 anni la viabilità riservata alle due ruote quasi quanto le auto (35milioni). Oggi spostarsi in bicicletta è chic: l’ecologia e l’essere alternativi sono di moda. Ma non vece il mezzo più veloce e pen- Inoltre apporta effetti positivi differenziare la raccolta dei risi tratta solo di un fenomeno di siamo a quante se ne possono anche a livello psicologico, fiuti e di usare carta riciclata, costume. Pedalare sta diven- parcheggiare nello stesso spa- contribuendo alla liberazione presto la bicicletta potrebbe intando una necessità. zio di un’automobile. di endorfine nel nostro cer- serirsi nelle nostre abitudini Sempre più persone e sempre La questione, comunque, tocca vello: queste sono sostanze quotidiane. più città stanno ritornando ad anche l’ambito della salute, sia chimiche con proprietà analge- La fattibilità di questo cambiautilizzare la bicicletta. individuale sia collettiva. È in- siche ed ansiolitiche che raf- mento, tuttavia, si scontra con E le ragioni sono molteplici. dubbio che il livello di inqui- forzano il buonumore e ostacoli sia tecnici sia di menPartiamo da quelle sti l’autostima. talità. In particolar Chi va in namento Percorsi modo, economiche: tenere e raggiungendo soglie Cambiare il futuro pele città itabicicletta intollerabili e che dalando: il punto ancittadini liane sono ancora mantenere un’automobile è sempre più soffre l’intera umanità ne- cora controverso sta sacrificati poco attrezzate e costoso, sia in termini cessiti aria più pulita. nel fatto che la riscostrutturate per permeno Ciò che tuttavia perta della bicicletta alle esigenze mettere la viabilità di tempo che di denaro. Rincari della di malattie molti sottovalutano è non dovrebbe essere del traffico ciclistica. benzina, generale aubeneficio che la un regresso ai tempi in percorsi per le due vascolari ilpedalata veicolare Iruote mento dei prezzi sul conferisce cui certe comodità sono decisamercato, elevate spese al singolo. non ce le si poteva mente marginali e sadi manutenzione: sono Una ricerca condotta permettere. crificati rispetto allo solo alcune delle voci anti- dalla Società britannica per la Spesso non è nemmeno una ri- spazio destinato all’automoauto. Medicina ha dimostrato che scoperta, bensì una scoperta bile. Inoltre gli italiani stessi E non parliamo del traffico e chi va spesso in bicicletta più vera e propria (pensiamo, per tendono a vivere la bicicletta delle lunghe code al volante, volte la settimana è molto più esempio, ai giovani) e, in ogni come sacrificio, più che come che nuocciono al corpo e alla sano della media. Pedalare mi- caso, più che una rinuncia è un alternativa sana alla mobilità mente. gliora la condizione fisica ge- cambiamento generale nello su 4 ruote. Sui percorsi urbani congestio- nerale e la resistenza ai stile e nella filosofia di vita. Un discorso a parte è quello rinati la bicicletta si dimostra in- malanni stagionali. Come sentiamo il bisogno di guardante la qualità delle piste STATIUNITI Quasi il 75% dei dipartimenti di polizia delle città con almeno 50 mila abitanti dispongono di pattuglie di sorveglianza in bicicletta. Grazie all’uso delle due ruote ipoliziotti riescono ad essere più veloci e possono raggiungere il luogo di un incidente o di un crimine in silenzio. Mediamente operano il 50% in più di arresti al giorno rispetto ai colleghi in auto. OLANDA ciclabili. In Italia la gran parte di esse, in ambito urbano, altro non sono che corsie delimitate da sole righe che vengono regolarmente invase dagli automobilisti più indisciplinati. In Germania (così come in Olanda e Danimarca) invece, si trovano piste ciclabili urbane sicure, con apposita cartellonistica e, soprattutto, in sede separata rispetto a quella dedicata al traffico veicolare. Per misurare il sostegno alla mobilità su due ruote, Legambiente ha elaborato un indice di ciclabilità che tiene conto non solo della lunghezza, ma anche della tipologia delle piste, quindi delle aree pedonali, delle zone con limite di velocità a 30 km/h, degli interventi di limitazione del traffico. E se è vero che Modena è la città con la più estesa rete di piste ciclabili (190km) e Pa- E’ stato realizzato un Bicycle Master Plan. Questo progetto, oltre che a creare piste ciclabili e rastrelliere in tutte le città, permette ai ciclisti di avere la precedenza sulle auto in tutte le strade e a tutti i semafori. Nel 2007, Amsterdam è diventata la prima città occidentale in cui il numero di spostamenti in bicicletta ha superato quelli in auto. LAB Iulm PRIMO PIANO L’INTERVISTA Pagina 5 BRUNO PIZZUL “La mia passione per la bici? Colpa di una insufficienza a scuola” Lo storico telecronista sportivo ha girato il mondo per seguire la Nazionale, ma da sempre a Milano si muove solo su due ruote. tutte; oggi però ho maturato la sere il più puntuale agli appun- lità. Quando si parla di piste ciconsapevolezza che è meglio tamenti perché so quanto clabili a Milano sembra che si andare in giro per Milano con tempo impiego per raggiun- debba convocare un grande aron la sua mitica voce bici non appariscenti e pre- gere un luogo e quando arrivo chitetto e che si debbano fare Bruno Pizzul ha rac- ziose perché sennò te le ru- ho sempre un palo a cui legarla chissà quali lavori. bano. Adesso è un paio d'anni (sperando di ritrovarla quando In realtà, sul modello di altre contato grandi città euche giro per esco!) ». più di trent’anni ropee, le così Milano con una Com’è muodi calcio direttaQuando piove dette piste cimente dai mi- Sono noto tra gli bici anonima, versi per una crofoni di amici per essere il che non ha grande città indosso una clabili non sono che i marmamma Rai, di- più puntuale agli nulla di partico- come Milano mantellina tipo altro ciapiedi, là lare. E’ una ba- con la due ventando nel nostromo dei dove sono sufappuntamenti nalissima bici ruote? tempo una vera transatlantici di ficientemente «La bicicletta è e propria icona perché so quanto da città che non per tutti gli apuna volta larghi, che ventempo impiego ha neppure il un mezzo di tragono divisi in cambio». sporto comodispassionati di due settori: uno Quando e simo per una questo sport. per i pedoni e dove nasce città come MiMolti non sanno che nel lano, purtroppo non ci sono l'altro per i ciclisti. Occorre cuore di questo storico tele- l'amore per la bicicletta? «Quando ero piccolo c’erano piste ciclabili, però non ci sono consapevolezza ed educazione cronista vi è anche un’altra passione, molto più remota di poche macchine e molte bici. nemmeno salite. La utilizzo da parte dei pedoni e dei cicliquella del pallone: il cicli- La bicicletta infatti era il sotto la neve e sotto la pioggia: sti: Amsterdam è un buon smo. Quella delle due ruote è mezzo di locomozione per ec- quando piove indosso una esempio di convivenza tra queste due realtà». per Bruno Pizzul un amore Lei cita Amsterdam. Altri autentico, nato in gioventù e paesaggi visti con la bicimaturato grazie ad un contecletta? sto sociale diverso da quello «In tutte le città europee che di oggi. ho visitato ci si sposta benisSi ricorda la sua prima bisimo in bici. Negli stessi Stati cicletta? Uniti, ad esempio a Los Ange«La prima mi è stata regales, tutti vanno in bicicletta. lata da mio padre quando ero Mi sono meravigliato del fatto in seconda media. che c’è molta più gente che noLui mi aveva fatto una proleggia e gira la città in bicimessa: ne avrei ricevuta in cletta rispetto a Milano. dono una non appena avessi Sottolineo Milano perché ci preso una insufficienza a sono alcune città italiane dove scuola. l'uso della bicicletta è molto Mio papà non voleva che andiffuso: soprattutto quelle emidassi a scuola perché diceva liane, venete e del Friuli dove che tutti i guai dell'umanità si usa di più la due ruote». derivano da quelli che hanno La parte più bella di Milano studiato. Mentre mia mamma da visitare in bici? dava molta importanza allo «Le più belle sono le piste cistudio. clabili nate lungo il Ticino e le Il giorno che ho preso un cinaree pedonali che si trovano alque in matematica mia madre l’interno della città. Anche il mi ha mandato a dormire percorso che faccio da Corso senza cena, mentre mio papà Sempione per andare in l'indomani mattina mi ha Duomo è stupendo. fatto trovare una bicicletta Oggi però si è perso il gusto nuova ai piedi del letto. Bruno Pizzul non ha la patente per scelta, da sempre adora girare del viaggio. Il bello della biciQuella è stata la mia prima per Milano in bicicletta. cletta è che ti permette di fervera bici. Lì però i miei genitori hanno rischiato il divor- cellenza. In più la patente au- mantellina tipo nostromo dei marti e guardare il paesaggio. zio anche se ai tempi non tomobilistica non l'ho mai fatta transatlantici di una volta. In macchina invece tutto quequindi la due ruote è il mio L’unica cosa fastidiosa è do- sto non lo puoi fare. c'era ancora!» vere pedalare sul pavé e sulle C'è una dimensione temporale La bici più strana e pre- mezzo comune di trasporto. ed esistenziale diversa, più Mi muovo per Milano solo in rotaie del tram, quello sì». ziosa che ha avuto? Se fosse Sindaco di Milano lenta e riflessiva, capace di re«Ne ho ricevute in dono pa- bicicletta: andare in bici per la recchie: Bianchi, Pinarello e città non è un gesto di grande cosa farebbe per incentivare galarti delle sensazioni che non sono tipiche del mondo moColnago. Sebbene io mettessi valore atletico però denota un l'uso della bici? «Moltiplicherei le piste cicla- derno». grande attenzione nel sorve- grande sprezzo del pericolo! gliarle me le hanno rubate Sono noto tra gli amici per es- bili con un pizzico di razionaChiara Pagnoni C dova è il capoluogo con più piste ciclabili in rapporto alla sua superficie (133,2), è Reggio Emilia la città più ciclabile d’Italia: qui la bicicletta copre il 15% della domanda di mobilità, con punte anche del 30%. Milano, invece, pur collocandosi al tredicesimo posto per estensione delle piste ciclabili, scala addirittura al 72° per indice di ciclabilità. Il problema principale, insomma, è di tipo amministrativo e infrastrutturale: manca una dotazione ciclabile, in quantità e qualità, e, di conseguenza, il cittadino non è certo propenso all’utilizzo della bicicletta per gli spostamenti urbani, perché lo ritiene scomodo e insicuro. Allora è proprio il caso di rimodernare un vecchio proverbio: vuoi un futuro migliore? Pedala! CINA Negli ultimi anni le vendite di bici elettriche sono balzate alle stelle: sono passate dalle 40 mila del 1998 ai 21 milioni del 2008. La Cina ha oggi quasi 100 milioni di bici elettriche e circa 50 milioni di automobili. Oggi la e-bike è considerata il mezzo eco sostenibile del futuro per tutte le città del paese. Alcune bici elettriche possono raggiungere i 35 km all'ora. DANIMARCA Per il 36% della popolazione, la bici è il mezzo di trasporto preferito per andare al lavoro. Nella capitale la corsia ciclabile è larga più di due metri ed è separata dall’asfalto per mezzo di cordoli. Le biciclette hanno una strada propria basata sul concetto di ‘onda verde’, ovvero semafori sincronizzati a ‘velocità’ di bici. Pagina 6 PRIMO PIANO LAB Iulm Bicimania I Libri Valentina Evelli FILOSOFICO Titolo: Lo zen e l’arte di andare in bicicletta Autore: Claude Marthaler Casa Editrice Ediciclo Pag. 144 Prezzo 14,50 PRATICO Titolo: Manuale di resistenza del ciclista urbano Autore: Luca Conti Casa Editrice Ediciclo Pag. 224 Prezzo14,90 BIOGRAFICO Titolo: Tutta mia la città. Diario di un bike-messanger Autore: Roberto Peia Casa Editrice Ediciclo Prezzo: 13 Bike & Bus Quando la passione per la bici diventa un lavoro: Urban Bike Messenger, progetto ciclomobile e ciclofficine conquistano Milano L a bicicletta; solo un mezzo di trasporto o il nuovo business del terzo millennio? “Una questione di punti di vista”- afferma Giò Pozzo mentre sistema la catena di una bicicletta ancora senza ruote. A colpo d’occhio sembra un meccanico come tanti, ma in realtà Giò Pozzo è un giornalista . Dal 1979 ha collaborato con riviste e quotidiani nazionali (tra cui il Corriere della Sera, Anna, La Gazzetta dello Sport, il Sole 24 Ore) ma negli ultimi anni ha deciso di abbandonare la scrittura per dedicarsi al grande amore per la bicicletta. “ La crisi del settore editoriale mi ha espulso dal mercato dei periodici. E’ stato un input fondamentale per trasformare la mia grande passione per la bici in un lavoro vero”. Oggi Giò Pozzo le biciclette le costruisce: gestisce da più di due anni “Orco Cicli”, una società per la costruzione di biciclette artigianali. E’ un mercato in crescita quello delle due ruote; un settore di nicchia (soprattutto in Italia). “Realizziamo biciclette artigianali (non più di una alla settimana), pezzi unici, destinati principalmente al mercato straniero. Inghilterra e Olanda sono i paesi in cui le nostre bici hanno un buon riscontro” . Le biciclette sono mezzi a impatto zero – per alcuni il trend positivo degli ultimi anni potrebbe esser considerato soltanto una moda passeggera ma in realtà è la conseguenza di una decrescita produttiva che coinvolge tutti. L’aumento costante dei costi di trasporto spinge molte persone a utilizzare sempre più sovente la bicicletta, specialmente per i brevi spostamenti e per raggiungere la sede lavorativa. Proprio il ritrovato amore per la bici ha dato un forte impulso anche alla riscoperta delle ciclofficine: luoghi in cui è possibile trovare i pezzi di ricambio e riparare da soli il proprio mezzo. “Non vogliamo biciclette rubate, preferiamo recuperare cadaveri” la filosofia della ciclo- officina di Milano +BC ( Più Bici vicolo de castillia, quartiere Isola) è chiara. Più Bici è un’associazione che riunisce gli appassionati della bicicletta che vogliono riparare da soli il proprio mezzo. Una vera e propria “officina specializzata” che mette a disposizione i pezzi di ricambio, usati o nuovi (volendo si possono anche portare i ricambi da casa). Due i principi dell’associazione esposti in bella vista all’entrata del capannone nel vicolo de Castillia: do yourself- fallo da te, “noi ti forniamo i pezzi ma la bicicletta te la ripari tu” e la “socializzazione del sapere”. Un covo di ciclisti urbani in cui proprio grazie alla condivisione delle conoscenze meccaniche si può imparare a metter mano a catena e copertoni. Il costo? Basta una quota associativa (cinque euro annuali) e un contributo simbolico per i pezzi utilizzati. Tremila i soci “ Davide Giovanetti socio dell’agenzia di viaggio Mondobici Viaggi low cost e percorsi a tappe per turisti dinamici con la mente aperta ” iscritti all’associazione nel 2010 di cui più della metà sono donne che si dilettano a metter mano tra ruote e pedali. I giovani e gli anziani sono i più attratti dalla bicicletta. Per gli studenti, in particolare, circa un anno fa è stato lanciato il progetto della Ciclomobile. Un L’INTERVISTA furgone a metano con pannelli solari, finanziato dalla fondazione Cariplo, che da più di un anno e mezzo mette a disposizione due meccanici professionisti per riparare le biciclette degli studenti. Tutte le settimane il furgone staziona davanti ai principali atenei DAVIDE GIOVANETTI A spasso per il Monica Giambersio D avide Giovanetti è uno dei tre soci dell’agenzia turistica Mondobici (www.mondobici.it), specializzata nell’organizzazione di viaggi in bicicletta in Italia e all’estero. Che tipo di clienti si rivolgono alla vostra agenzia? «I nostri clienti sono soprattutto coppie e famiglie, anche con bambini. Per i più piccoli, in particolare, oltre a prezzi ridotti, abbiamo sia delle bici da attaccare a quella del genitore sia seggiolini. L’età media è di 30 - 40 anni e, a livello territoriale, operiamo soprattutto su Milano. Una sola volta ci sono capitati dei clienti dalla Colombia che, però, avevano origini italiane. Organizziamo delle gite domenicali di prova, ad esempio nel parmense, che comprendono il giro in bici più il pranzo al ristorante in modo da permettere al cliente di capire se è il tipo di vacanza adatta a lui. I tour veri e propri, invece, durano una o due settimane e comprendono l’alloggio in un Bed & Breakfast o in un albergo con la mezza pensione, il noleggio della bici e il trasporto dei bagagli. I percorsi sono generalmente divisi in tappe di 35-40 Km al giorno; al cliente viene data una road map e la tappa da raggiungere. Non importa in quanto tempo il tragitto viene percorso durante la giornata, l’importante è che la sera i clienti raggiungano l’albergo». Bisogna avere una preparazione atletica per questo tipo di viaggi? «No, anzi, per gli atleti i percorsi che proponiamo sono troppo semplici. Tutti possono LAB Iulm PRIMO PIANO “ La crisi del settore editoriale mi ha espulso dal mercato dei periodici. E’ stato un input fondamentale per trasformare la mia grande passione per la bicicletta in un lavoro vero e & siness milanesi (Politecnico, università Statale, università Cattolica e università degli studi Milano Bicocca): più di duemila e trecento i contatti registrati dall’inizio del progetto. A salire in sella, professionalmente parlando, ci hanno pensato anche gli Urban Bike Messenger: un servizio di delivery a due ruote che consegna pacchi e buste sfrecciando in bicicletta per le strade milanesi. Il servizio ideato da Roberto Peia, Andrea Vulpio e Luca Pietra è stato attivato due anni fa. Oggi, al termine della fase Pagina 7 Curiosità ” di start up, gli Urban Bike Messnger contano più di centottanta clienti. Aziende di ogni tipo ( da Prada a Coldiretti passando per Bwin e Henkel) che usufruiscono di questo servizio specialmente nel periodo natalizio. Affidabilità velocità ed eco- sostenibilità; queste le tre parole chiave che hanno fatto diventare gli Urban Bike Messenger una realtà nel campo del delivery- “E’ un settore in via di espansione. In città come Berlino il delivery viaggia soltanto in bicicletta. In Italia la situazione è diversa: siamo abituati a vedere ‘corrieri motorizzati’, ma da alcuni anni a Milano anche i corrieri in bicicletta stanno avendo un buon riscontro” queste le parole di Andrea Vulpio, ideatore del servizio, che aggiunge - “Crediamo nella logica di un mercato eco compatibile. Ad oggi il nostro target copre solo una piccola parte del mercato ma il settore è in continua crescita”. In realtà le aziende puntano molto sulle consegne in bicicletta, un servizio green, per una questione di marketing e visibilità. In un mondo in cui tutto volge al verde, al bio e al risparmio energetico gli Urban Bike Messenger rappresentano un piccolo investimento per un ritorno di immagine. PIEGHEVOLE Si chiama Brompton ed è una mini-bici pieghevole che sta spopolando in Inghilterra. Leggera e pratica si assembla in 15 secondi. il modelllo base costa 700 euro PISTA TOP mondo faticando sui pedali fare questo tipo di viaggio, in più, per orientare nella scelta il cliente, sul nostro sito ci sono dei simboli che indicano il grado di difficoltà del percorso». Quali sono i costi di una vacanza in bici? «Siamo intorno ai cinquecento euro a settimana con il trattamento di mezza pensione. Ultimamente, con la crisi, abbiamo incrementato molto la nostra clientela. Vendiamo molto i pacchetti fuori dall’Italia, ma dal 2011 abbiamo come obiettivo quello di valorizzare il turismo su Milano puntando in particolar modo sulla zona dei Navigli. Stiamo pensando a week-end per turisti stranieri. Penso che potrebbe essere interessante far vedere questa città, di solito legata a concetti come stress, lavoro e frenesia, attraverso gli occhi della bici- cletta». Quali sono le mete più richieste? «Austria e Germania. Questi paesi hanno le migliori piste ciclabili. In Austria, ad esempio, c’è una segnaletica specifica e dei punti di ristoro apposta per i ciclisti. Abbiamo poi l’Olanda, dove c’è la possibilità del pernottamento in barca e la Francia, in particolare la zona della Loira che è ben attrezzata per muoversi in bici ed ha percorsi molto suggestivi, anche se più faticosi da percorrere per la presenza dei vigneti». Qual è il periodo dell’anno in cui avete più richieste? «Noi, ovviamente, lavoriamo nel periodo che va da MarzoAprile a Settembre-Ottobre, ma Agosto è il mese più affollato». Qualcuno si è mai pentito 1 2 3 4 Isle of Wight Inghilterra West Coast, Tasmania, Australia Luberon, Provenza, Francia San Juan Island, Washington, USA 5 Country Clare, Irlanda 6 La Farola, Cuba 7 National Highway Vietnam 8 Otago Peninsula, Nuova Zelanda Il Friuli Venezia Giulia è al 10° posto nella classifica Lonely Planet dei luoghi migliori da visitare in bicicletta di aver scelto un viaggio in bici? «No, perché le persone che si rivolgono a noi sanno che non andranno in un villaggio turistico; hanno una mentalità più aperta. E poi l’imprevisto è proprio il bello di questo tipo di vacanze. Una volta, ad esempio, in Slovenia, non potevamo più proseguire il percorso perché era caduto un ponte. Subito un vecchio del luogo ci ha indicato una via alternativa. Vedere posti nuovi è soprattutto conoscere persone, e viaggiare in bici permette di stabilire più contatti con la gente del posto che, se può, ti aiuta volentieri. In questo modo si crea un’empatia tra il turista e la realtà culturale con cui entra in contatto; si rimane meno stranieri riuscendo a comprendere meglio il paese che si visita». La pista ciclabile più corta del mondo è lunga 2,5 metri e si trova a Cardiff, in Galles, Quella più bella d’Europa collega la Francia al Belgio ON LINE Google maps ha recentemente introdotto un nuovo servizio che fornisce informazioni sui tragitti dedicati alle biciclette Pagina 8 LA CITTA’ CHE CAMBIA LAB Iulm Milan l’è un alt Milan La metropoli cambia la sua fisionomia e si sviluppa verso l’alto. Ecco i progetti che la trasformeranno Francesco Maesano Marco Mugnaioli MartaEleonora Rigoni M ilano sale e affida la proiezione verticale di se stessa agli studi di architettura più noti al mondo, tentando di ripensarsi verso l’alto. Le Torri Hines progettate da Cesar Pelli e Nicholas Grimshaw alla stazione Garibaldi, la Torre Diamante su viale della Liberazione e il Bosco Verticale di Stefano Boeri nel quartiere Isola. E ancora il Dritto di Arata Isozaki, lo Storto di Zaha Hadid e il Curvo di Daniel Libeskind, i tre grattacieli del progetto CityLife nella zona della fiera. Nel 2011 Milano è uno dei più grandi cantieri d’Europa. Nell’area che già dal piano regolatore del 1954 era stata destinata a centro direzionale, si stanno alzando oggi le torri del progetto Porta Nuova, la più alta delle quali raggiungerà i 200 metri. La zona, a seguito della costruzione della stazione Garibaldi e della chiusura della stazione ex Varesine, era rimasta disconnessa dal resto della città per oltre quarant’anni. Oggi ambisce a divenire un polo votato alla tensione comunicativa con il centro storico meneghino. L’architetto Pelli, autore del masterplan, l’ha voluta come zona pedonale sviluppata intorno ad una piazza centrale rialzata, un podio a sei metri dal livello della strada sul quale si affacceranno le strutture ecosostenibili in vetro e ferro della cittadella della moda, delle residenze, degli uffici e del grande albergo che conchiuderà la piazza. Alle spalle, in un dialogo 220 m 215 m ideale con il Pirellone, si alza il palazzo Lombardia, nuova sede della regione che con i suoi 161 metri è attualmente l’edificio più alto d’Italia. Nel vicino quartiere isola vedranno la luce le due torri del ‘bosco in verticale’ progettate da Stefano Boeri a scopo residenziale. Sui due palazzi si svilupperà una flora di 600 alberi, alcuni dei quali alti fino a 9 metri (vedi box). Tanto verde anche nel progetto CityLife. Il quartiere, che ruota attorno a un ampio parco urbano, sorgerà nella zona della ex fiera e sarà la più grande area car-free di Milano, nella quale campeggeranno i tre grattacieli firmati Isozaki, Hadid e Liebeskind: Il dritto, lo storto e il curvo saranno i nuovi simboli di Milano nel mondo. Il progetto sarà collocato in una posizione strategica rispetto ai mezzi di trasporto grazie alla vicinanza della fermata della M1, della fermata Domodossola-Fiera delle ferrovie Nord e alla fermata ‘tre torri’ della futura M5. Sui progetti in attuazione e sull’idea di una Milano sviluppata in verticale è in corso un acceso dibattito tra gli addetti ai lavori, tra chi è in disaccordo con il piano del Comune di Milano e attacca la scelta di costruire grattacieli e chi, invece, difende il senso delle scelte urbanistiche volte ad una densificazione del territorio e rivendica la qualità dei progetti in opera. Quale città uscirà da mezzo decennio di lavori? Chi e quanti saranno coloro che abiteranno e lavoreranno nelle nuove torri? E come penseremo lo spazio urbano una volta ultimate le opere? «Occuparsi di una città badando ad una sola dimensione è una grandissima stupidag- 215 m 190 m 187 m PERCHE’ SI “ I progetti consentiranno a Milano di assumere la connotazione di una città policentrica ” 175 m 172 m gine», afferma l’architetto Arturo Beltrami, ex docente di urbanistica del Politecnico di Milano. «Dovremmo operare la distinzione classica tra tra civitas e urbs. Se parliamo del complesso urbano, l’urbs, allora dobbiamo dire che il corpo della città non è plasmato da logiche formali ma da logiche immobiliari. Logiche che non fanno riferimento alle esigenze della popolazione urbana, cioè della civitas». E allora Milano cos’è? La sede delle banche o la città dei milanesi? «Qual- cuno pensa che sia principalmente la prima di queste due sostiene Beltrami - ed è davvero così quando l’unico disegno strategico in piedi è quello finanziario. L . a città di Milano è destinata ad essere in questa continua trasformazione. Un cantiere continuamente alla rincorsa del tamponamento dei disastri che vengono fatti». Quindi, secondo Beltrami anche la città di Milano sarebbe stretta nella unidimensionalità che le hanno imposto il progresso tecnico e l’audacia City Life Cosa&quando 170 m 168 m 162 m 161 m 150 m 140 m 127 m 120 m LAB Iulm LA CITTA’ CHE CAMBIA esecutiva almeno quanto le ragioni dell’investimento e dello sviluppo.Sula stessa linea si pone Antonella Contin, ricercatrice del Politecnico di Milano che in più evidenzia il problema delle dimensione della città: «Verticalità, si? Verticalità, no? Io direi verticalità, boh? E’ la taglia della città che è cambiata e a questo deve fare seguito un salto di scala. La città non sta cambiando, si sta conservando. E conserva troppo e in modo miope. Non ha ancora capito come cam- biare di scala. Nei nuovi progetti, a parte quello di Zaha Hadid che credo abbia sentito più degli altri la città e il Pirellone, si tratta essenzialmente di case estruse, edifici che potevano essere di dieci piani e invece sono di trenta». Anche Jacopo Gardella, architetto ed ex docente del Politecnico di Milano Bovisa, esprime le sue perplessità sulla costruzione di grattacieli: «Milano se costruisce,costruisce alto e questo ha ben poco a che fare con la mancanza di spazio. Di fatto i PERCHE’ NO “ Occuparsi di una città badando solo alla dimensione verticale è una grandissima stupidaggine ” Porta Nuova Come sarà 117 m 108 m 105 m 105 m 105 m 106 m 95 m 90 m 89 m Pagina 9 terreni intorno ad ogni grattacielo vengono occupati dalle infrastrutture che devono servire all’edificio, sviluppandosi di fatto anche orizzontalmente». Nella logica del Comune di Milano lo sviluppo verticale risponde alle esigenze di densificare alcune zone della città, in tal senso si è espresso Andrea Boschetti, responsabile della direzione scientifica del Piano di Governo del Territorio di Milano. «Densificare, nella definizione strategica del nuovo PGT di Milano significa dare forma e concretezza ad una chiara visione di progetto. Densificare assume il compito di valorizzare le aree porose della città costruita, promuovendo la crescita della città all’interno della città, con l’effetto di incentivare nuovi modi di vivere e abitare. Densificare, infine, per favorire la costruzione della città multicentrica, in alternativa allo sviluppo esclusivamente radiale, che ha finora segnato in modo devastante la relazione centro periferia nella dotazione di servizi di Milano». Anche Armando Borghi, docente del Master in Real Estate della Bocconi sostiene l’idea dello sviluppo di una città policentrica.«Le città italiane hanno generalmente seguito un’unica direzione per espandersi: quella orizzontale. Milano è in questo senso untipico esempio. Non si è mai ottimizzata l’altra direzione del mercato: quella verticale. Milano è una delle poche città europee con una limitata presenza di palazzi di altezza significativa. Oggi, grazie ai nuovi progetti, la città oltre a svilupparsi anche in verticale e non più solo in orizzontale,assumerà la connotazione di una città policentrica». 85 m 86 m 84 m BOSCO VERTICALE Secondo i progettisti i 600 alberi disposti sulle quattro facciate dei due immobili daranno un contributo a combattere l'inquinamento acustico e alla cattura delle polveri sottili, oltre a rilasciare umidità e produrre ossigeno. Per verificare la fattibilità del progetto sono state necessarie analisi di micrometeorologia, prove presso la galleria del vento e un calcolo preciso sul dimensionamento delle vasche contenitrici delle piante. 81 m 79 m Pagina 10 LA CITTA’ CHE CAMBIA LAB Iulm Ci sono trenta Pirelloni di uffici vuoti: ma a Milano si costruisce ancora, soprattutto in zone mal servite dai mezzi pubblici La Anna Chiara Gaudenzi Francesco Piccinelli U na tra le prime cose che vede chi arriva in città uscendo, dall’Autolaghi, a Milano Certosa, zona nord’ovest di Milano, sono le Torri di Via Val Formazza. Questo complesso di 5 grattacieli, valutati, nel 2008, 33 milioni di Euro, di proprietà dell’immobiliarista e assicuratore Salvatore Ligresti, giace semi abbandonato in una tra le zone più degradate di Milano. Fino a pochi anni fa, solo sette piani della Torre 3 erano occupati da Castorama, la grande catena di negozi di bricolage, acquisita nel 2009 da Leroy Merlin mentre oggi, a presidiare questo monumento all’abbandnono, rimangono l’Euroresins, azienda spagnola che produce resine industriali, destinata ad abbandonare i propri uffici a marzo, due aziende di ristorazione, la Chef Italia e la Avenance Elior, e una piccola società di consulenza informatica, la C.s.A. Le altre torri, la 4 e la 5, invece, danno l’impressione di essere abbandonate da sempre: gli ingressi sono transennati e, al posto dei citofoni ci sono delle nicchie di cemento armato da cui penzolano dei cavi elettrici. Nonostante questo scenario da periferia degradata, secondo il nuovo PGT (approvato ai primi di febbraio dal Consiglio Comunale di Milano), dopo Expo 2015, la periferia nordovest di Milano diventerà la copia meneghina della defense di Parigi. In effetti, qualcosa sembra già muoversi in questo senso. Poco più in là, la catena di alberghi Boscolo, costruisce un quattro stelle plus alto 96 metri che si chiamerà BH4 che minaccia di essere il primo di una serie di grattacieli, fino a 50, come consente il nuovo PGT. Ma è davvero necessario costruire una defense all’ombra della Madonnina? “A Milano ci sono già trenta Pirelloni di uffici vuoti.” sostiene Stefano Boeri, architetto, docente del Politecnico e candidato alle primarie di Milano per il PD. Quindi, non c’è una grande necessità di nuovi spazi per il terziazio. Solo i risparmi energetici che garantiscono i nuovi grattacieli sembrerebbero giustificare un investimento nell’edilizia per uffici. Ma, c’è il rischio che la nuova defense diventi solo l’ennesima selva di grattacieli isolati dal centro città. Come si arriva in Via Stephenson? Partendo città dei grattacieli fantasma dal Duomo si può prendere il tram n.12 in direzione Roserio, per 24 fermate. Poi bisogna scendere in largo Boccioni e farsi 1 km a piedi. Si può anche prendere il treno da Cadorna in direzione Saronno, scendendo però a Quarto Oggiaro e camminando per una buona mezz’oretta. A questo punto, l’unico mezzo in grado di raggiungere quella zona in un tempo ragionevole è l’auto. Peccato, però che, per arrivare alla periferia nordovest di Milano si debba preventivare un viaggio di tre quarti d’ora, par- In via Val Formazza ci sono 5 grattacieli abbandonati: è qui che nel 2030, secondo il nuovo Piano di Governo del Territorio, sorgerà la defense meneghina tendo dal centro. “In apparenza nessun costruttore ha interesse a lasciare edifici vuoti”, spiega il Professor Federico Lega della Università Bocconi: “In genere si tratta di speculazioni andate male. In qualche caso, però, si possono costruire degli edifici per ottenere dei prestiti e disporre così di un’importante leva finanziaria”. Gli indizi, in questo senso non mancano. Nella relazione del terzo trimestre 2007 di Fondiaria Sai, il gruppo assicurativo di Ligresti, si legge di un mutuo da 9.600.000 euro contratto per comprare un VIA STEPHENSON VERSO IL 2030 Area Expo 2015 Zona Stephenson Area da 446.000 metri quadri Verranno costruiti 50 nuovi grattacieli La metropolitana non arriverà prima del 2030 Via Stephenson LAB Iulm LA CITTA’ CHE CAMBIA L’INTERVISTA Pagina 11 ANTONELLO BOATTI Quando il liberismo urbanistico diventa pura anarchia I grattacieli di Porta Nuova in costruzione Le torri di Hines Italia, insieme a City Life che sorgerà sull’area della vecchia fiera, cambiano lo skyline della città. complesso residenziale sull’isola della Maddalena in Sardegna ipotecando proprio due torri di Val Formazza. In tutto questo, la collettività non ha guadagnato niente, o quasi. Gli oneri di urbanizzazione sono sempre stati un’importante voce, per i bilanci comunali ed è, in fondo, anche per questo che le amministrazioni locali sono rimaste a guardare, rinunciando ad una corretta pianificazione del territorio. Se si aggiunge che nessuno tra gli immobiliaristi di rango, è caduto, durante la stagione di Non diminuiscono gli investimenti immobiliari anche se non c’è necessità per il terziario: in periferia ci vogliono 7-8 mesi per affittare un ufficio, in centro 5 Mani Pulite, ecco un’altra chiave di lettura al fenomeno. Naturalmente non ci sono edifici vuoti solo in periferia: la Torre Galfa (anche questa di Ligresti) tra via Galvani e via Fara è uno di questi. Questo grattacielo alto 109, costruito negli anni 50 su progetto dell’architetto Melchiorre Bega è abbandonato da anni. Ciò nonostante, nelle immediate vicinanze, le gru lavorano per costruire i grattacieli del progetto Porta Nuova. Basterebbe questo per ridurre il dibattito sui centri direzionali che si è sviluppato tra gli anni 80 e 90 ad un’ipocrisia. Le ipotesi in campo, al tempo, erano due. Una, secondo la quale la città doveva sviluppare una serie di centri direzionali in periferia, vicino alle autostrade; l’altra portava avanti l’idea che dovesse nascere un centro direzionale unico, in una zona vicina al centro, attuando, in definitiva, il piano regolatore del 1953. Secondo quel PRG, tra la stazione di Milano Centrale e quella di Porta Garibaldi doveva sorgere una selva di grattacieli. Tuttavia, nel corso per 50 anni quella zona è stata lasciata a se stessa. Solo nel 2004, dal Texas, arriva il gruppo Hines con l’ambizioso progetto Porta Nuova del valore di 2 miliardi di euro. L’indagine Nomisma-Solo Affitti sulla locazione in Lombardia dà un outlook stabile per il mercato degli uffici. In altre parole, non c’è una grande necessità di nuovo terziario. Nella cosiddetta periferia terziaria, ci vogliono 7-8 mesi per trovare un nuovo locatore, mentre ne occorrono 4 in semicentro. Questo significa che il problema principale riguarda i centri direzionali costruiti negli scorsi decenni, decentrati rispetto ad ogni infrastruttura e mezzi pubblici. Il Centro Leoni in via Spadolini, nell’area ex industriale dell’OM, ne è un esempio molto evidente. Progettato negli anni ’90 e realizzato una decina di anni fa, non ha una sola linea di mezzi pubblici che lo colleghi al centro. Chi voglia arrivarci può solo usare un bus privato. on il nuovo Piano di Governo del Territorio, che ha ricevuto l’approvazione di Palazzo Marino il 4 febbraio scorso, Milano punta sul liberismo urbanistico. Il tramonto dei vincoli di destinazione d’uso è infatti una delle note caratterizzanti della nuova normativa. Così la città del 2030 è affidata alle virtù, ancora da verificare, della deregulation. Si tratta di una scommessa che presenta incognite notevoli, come sottolinea il professor Antonello Boatti, docente di urbanistica al Politecnico di Milano: «Con la fine del concetto di destinazione d’uso si rischia il caos, potremmo non essere più in grado di distinguere una zona dall’altra. Ciò impedirebbe uno sviluppo armonico e funzionale delle diverse aree che compongono il tessuto urbano». Le perplessità del Prof. Boatti si fondano su una lunghissima esperienza nel settore, maturata non solo attraverso l’impegno accademico, ma anche nell’attività professionale, che l’ha portato a contribuire attivamente allo sviluppo della città negli ultimi anni, (scoprendone i pregi e le vocazioni), ma anche affrontandone i limiti e le criticità. Basta farsi una passeggiata nel centro di Milano per ricevere l’impressione di una città satura di edifici destinati al terziario; ciò nonostante si aprono in continuazione nuovi cantieri per la costruzione di palazzi per uffici. Come mai? «Milano ha già una quantità spropositata di edifici destinati ad uffici, molti dei quali vuoti da decenni. Sono il simbolo di un fallimento, cioè di un ciclo immobiliare che non è giunto al suo compimento. Il Piano di Governo del Territorio prevede un diluvio di costruzioni: si parla di 500 mila vani in più, cioè, in termini di abitanti, di una città delle dimensioni di Bologna o di Genova da “conficcare” nel Comune di Milano». Ma questa corsa al mattone si fonda sulla previsione di un aumento della domanda d’immobili? «Potrei risponderle che “l’interrogativo è mal posto”. Ci dovremmo chiedere, invece, se costruiamo in vista della soddisfazione della reale domanda del mercato immobiliare. Insomma, per chi costruiamo? Per un target improbabile, costituito da immaginari acquirenti o locatari di immobili di lusso; la domanda reale, invece, si rivolge all’edilizia sociale o, al più, all’edilizia a canone moderato. Quindi si costruisce troppo e per un utente che non esiste». Lei invece a chi si rivolgerebbe? «In primo luogo a chi manifesta veri problemi abitativi: alle giovani coppie che non trovano case a prezzi abbordabili, agli anziani con disponibilità economiche ridotte e a coloro che perdono il “ Gli edifici vuoti di milano sono il simbolo del fallimento di un ciclo immobiliare non ancora compiuto “ C Marco Giorgetti Antonello Boatti Architetto, urbanista e docente al Politecnico di Milano. E’ noto per il suo impegno a favore dell’edilizia popolare e del social housing e per la sua opposizione al nuovo PGT. lavoro, oltre, naturalmente, ai cittadini stranieri, sempre più numerosi». Ma allora come spiega questa proliferazione di nuovi edifici di pregio, quando il mercato appare già saturo o indirizzato verso ben diverse esigenze? Chi ci guadagna da questi investimenti apparentemente insensati? «Sul piano speculativo la redditività di questi investimenti, in immobili destinati a rimanere sfitti, resta per me un mistero; evidentemente ci sono spinte ad investire “con ur- genza” nel mattone, il che, francamente, introduce qualche sospetto sulla natura o la provenienza di queste risorse…». In che modo il nuovo Piano di Governo del Territorio s’inserisce nel quadro della normativa urbanistica degli ultimi tempi? «Il PGT comporta una svolta radicale: la fine del concetto di destinazione d’uso. Le destinazioni d’uso sono totalmente liberalizzate, non saremo più in grado di distinguere la vecchia zona residenziale da un’area, ad esempio, destinata al terziario. Mi pare che in questo modo si corra il pericolo di un gran caos nell’individuazione delle funzioni economiche e sociali cui destinare le diverse zone della città». E allora quale può essere la finalità di politica urbanistica che ha ispirato la scelta di abolire i vincoli di destinazioni d’uso? «Secondo me si tratta di un malinteso liberismo urbanistico, che si risolve in una sostanziale carenza di regole. Così si perdono di vista persino le ragioni di fondo di un Piano: se questo strumento non pianifica, appunto, cioè non individua delle regole di crescita del tessuto urbano, c’è da chiedersi se conservi una ragion d’essere». Passiamo al Progetto EXPO: quanti nuovi edifici verranno davvero costruiti in vista di questo importante appuntamento? «Verranno realizzati senz’altro alcuni padiglioni espositivi, simili a serre, che è auspicabile vengano conservati anche dopo la conclusione dell’EXPO, ad esempio per ospitare in futuro un orto botanico, che a Milano non c’è mai stato. Però mi chiedo che ne sarà della massa di strutture provvisorie che saranno erette per accogliere eventi collaterali alla grande esposizione. Si tratta di spazi aggiuntivi che minacciano di far diventare l’Area EXPO un’ulteriore zona di ipertrofia urbanistica destinata al terziario. Tutto ciò mentre le grandi città europee e mondiali – Parigi in testa – stanno studiando una via per restituire parte del territorio urbano all’originaria destinazione agricola: funzione economica basilare e al contempo ecocompatibile, sulla quale io punterei decisamente. Sarebbe tra l’altro una delle poche attività produttive rimaste sul territorio di Milano». Pagina 12 CULTURA Ragazzi in fila dall’alba per un biglietto La Scala under30 e scuole dove far diventare il canto una professione La lirica vive una nuova primavera Ignazio Stagno S i racconta che Giuseppe Verdi tenesse nascoste le arie delle sue nuove opere per evitare che venissero accennate per strada, dal popolo, impaziente, “prima della prima”. Dai tempi del grande maestro molte cose sono cambiate. Oggi, non solo i contenuti degli spettacoli vengono resi noti con “anteprime delle prime”, ma ad essere impaziente più che il popolo, sono ragazzi con iphone in una mano e libretto dell’opera nell’altra. In un “Paese per vecchi”, la lirica e i grandi teatri italiani sembrano andare controcorrente. Sconti, iniziative, tutte per portare i giovani sulle poltrone delle platee. Milano in questo “ritorno al futuro” dell’opera gioca un ruolo di primo piano. Il Teatro La Scala ha lanciato nel 2008 “LaScalaunder30”, un piano di comunicazione, forte, per giovani appassionati. Primo passo un portale web dove interagire con il teatro, acquistare biglietti, ottenere spiegazioni in merito alle opere. Secondo step un profilo facebook commentare gli spettacoli. Terzo gradino la promozione di esperienze particolari come assistere alle prove, usufruire di visite guidate, assistere al lavoro di costumisti e scenografi o vivere un happy hour pre-spettacolo con gli artisti che si esibiranno sul palco. «Abbiamo cominciato nel dicembre 2008spiega Anna Donatini dell’Ufficio Relazioni esterne La Scala-con l’anteprima del Don Carlo. Biglietti a 10 euro, ed è stato un grande successo. Non ce lo aspettavamo. La sete di lirica dei ragazzi non era indifferente. Ci siamo messi al lavoro». E i numeri danno ragione a questa nuova avventura scaligera. 2000 ragazzi fra abbonati e possessori di pass “under30”, 35000 contatti online, biglietti esauriti in LAB Iulm Giovani all’Opera pochi minuti con un click e in poche ore alle biglietterie, assediate da code sin dalle prime luci dell’alba. «Da tempo il Teatro cercava di darsi una spolverata -continua la Donatini-, ma le operazioni rivolte ai giovani del passato erano sporadiche e non adeguatamente pubblicizzate. Così ora LA STORIA/ 1 abbiamo scelto un progetto organico ad alta visibilità». La scorsa stagione il programma “under30” è stato pubblicizzato con pagine sui quotidiani nazionali, banner sui portali web, strisce promozionali sui tram, t-shirt,e per finire con spot di 30” su MTV, tv che ha come target un pubblico gio- vane attento al mondo della musica e del canto. Piccoli mattoni con cui è nato un teatro virtuale racchiuso in una grande community online, divenuta al momento un caso unico in Italia. Al termine della scorsa stagione con una newsletter ai ragazzi è stato chiesto un giudizio su “under30” e di riferire se fossero studenti di musica oppure spettatori occasionali. Alla rilevazione ha risposto il 10% dei ragazzi registrati e di questi il 76% si è detto “molto” contento dell’iniziativa. Ma dai dati appare che gli spettatori di giovane età sono per il 56% studenti presso conserva- YVONNE e MARGHERITA Mille difficoltà, un solo sogno: la lirica Giulia Pezzolesi vonne e Margherita fanno Y parte del coro “ Incanto malatestiano” diretto dal mae- stro Francesco Santini, nato per volontà dell’associazione“Incanto Domus Lirica” di Fano. Entrambe sono unite da una passione: il canto. Yvonne canta da quando era piccolissima, Margherita da 5 anni. Yvonne ha 17 anni e spera di diventare una professionista del settore. Nonostante non abbia nessuno in famiglia che sia particolarmente appassionato di musica ha voluto coltivare la sua passione da sempre. Ha cantato di tutto ma si è avvicinata alla lirica due anni fa, da quando fa parte di questo coro. «Ho una voce alta e potente. Penso di poter fare lirica, credo sia più adatta alle mie caratteristiche vocali», dice Yvonne. Nel 2009 il coro ha cantato la “ Carmen” mentre negli anni precedenti hanno partecipato alla “ Boheme” con la regia di Luciano Pavarotti. «Il coro è composto più o meno da 20 ragazzi. Cantare tutti insieme è difficile perché devi relazionarti con gli altri, per noi adolescenti la voce cambia col tempo»,commenta Yvonne. Poi spiega che però cantare in coro è una cosa molto utile perché insegna ad ascoltare gli altri, ad imparare dagli errori altrui e a cercare di essere un tutt’ uno col gruppo. Margherita, 12 anni, parla delle difficoltà che ci sono nell’esecuzione di un pezzo lirico. «Molto spesso oltre alla voce è la lingua a dare problemi, bisogna pronunciare bene le parole e non sempre è facile», Nella foto a sinistra Yvonne, 17anni e Margherita, 12 anni, giovani aspiranti cantanti liriche, vivono a Fano e studiano canto spiega. «Poi è complicato fare una respirazione corretta e stare rilassati, bisogna fare bene tante cose nello stesso momento. L’impostazione lirica è diversa da quella per la musica leggera, per noi ragazze più hai una voce alta più sei facilitata anche se bisogna imparare a dosarla».Per far ciò durante le lezioni si inizia con una parte tecnica, cioè esercizi di respirazione e vocalizzi per poi passare a cantare i brani. Per ora Yvonne e Margherita parlano di “ passione” per il canto ma non nascondono i loro sogni nel cassetto. « Ovvio che vorrei diventare una cantante», commenta Margherita e Yvonne continua: « Mi piacerebbe diventare un soprano anche se non sarà facile». Inutile chiedergli cosa faranno se il loro obiettivo non si realizzerà: ridono e dicono che per ora vogliono solo sognare. LAB Iulm CULTURA L’INTERVISTA Pagina13 GAIA MARLINO Meno Maria De Filippi, più Maria Callas Roberta Rei È proprio il caso di dirlo: sull’opera lirica cala il sipario giovanile in tutta Italia. Sono tanti i giovani che scelgono di intraprendere la carriera del cantante lirico, e tanti coloro che si emozionano alle note di un “recitar cantando” a teatro. Abbiamo incontrato una giovane promessa del panorama lirico italiano, Gaia Marlino, una ragazza di 21 anni che «vive di lirica perchè è un veicolo per esprimere le emozioni più forti». Quando hai scoperto la tua passione per il “bel canto”? «A 12 anni mi sono iscritta ad un’accademia musicale per studiare musica leggera. La mia insegnante però era convinta che la mia voce fosse più “ adatta alla lirica così mi avvicinò al musical americano, una via di mezzo tra i due generi. Posso oggi dire che aveva ragione, dopo i primi contatti con il teatro, da sempre una mia grande passione, a 13 anni iniziai veri e propri corsi di lirica.Poter unire la realtà teatrale con il canto era un sogno». Ma c’è qualcuno in famiglia che ti ha spronata ad entrare Nella foto Gaia Marlino,21 anni, studia lirica al Conservatorio di Napoli S. Pietro a Majella Il teatro lirico è per i giovani: noi siamo pieni di passione, sentimenti e nell’opera si esternano le emozioni più forti La lirica è un mondo molto competitivo. Ma non posso fermarmi per questo, significherebbe che, in fondo, non sono adatta a questo mestiere tori. «Cercheremo, visti i dati, –conclude la Donatini-di rendere appetibile l’offerta anche a chi non ha una formazione tecnica». Nonostante tutto aver portato un buon 44% di neofiti ad applaudire una Carmen o una Cavalcata delle Walkirie resta un risultato rilevante. E l’entusiasmo si LA STORIA/ 2 tocca con mano leggendo i commenti lasciati su facebook o sul sito dai ragazzi. «E’ stato magico, suggestivo, camminare in una Scala aperta quasi solo per me e poterne assaporare l’atmosfera incantata e fiabesca», scrive Ilaria Tedeschi dopo aver assistito ad una sessione di prove e ad una vi- sita guidata. Poi c’è chi, in poche parole, raccoglie l’emozione di assistere ad un’anteprima come fa Alberto Straci «serata fantastica, Barenboim favoloso», o come scrive Francesca Romana Ballista«straordinario ieri sera, semplicemente straordinario… ;-)». Commenti, emoticons, di ” ragazzi, di studenti, che si riconoscono in un’unica passione. «Per due che si amano tutti gli altri si ammazzano. Decidi tu se te la senti». Così recitava una headline pubblicitaria de “LaScalaunder30” durante la scorsa stagione. A giudicare dai numeri i ragazzi “se la son sentita” e lo hanno dimostrato. GUSTAV MULLER Da San Paolo a Milano per il bel canto O cchi azzurri, capelli biondi, alto circa 1,90, e due segni particolari: passaporto brasiliano e aspirante cantante lirico. Gustav Muller di samba nelle vene ne ha ben poca, e le sue corde vocali vibrano solo per il canto lirico. 2 1 a n n i , f i g l i o d i emigranti tedeschi a San Paolo, Gustav è arrivato a Milano da circa 4 mesi per dare voce alla sua passione per la lirica. Ambizioso e fiducioso ha idee chiare:«Col corso di canto lirico all’Accademia internazionale delle Musica di Milano, voglio approdare, fra qualche anno, al Teatro La Scala». Per Gustav il canto non è una passione da coltivare nel tempo libero. «Studio lirica perché diventi il mio lavoro. So che sono tempi difficilispiega- ma penso ci sia ancora spazio per tirare fuori dai cassetti i sogni». Gustav nonostante la sua giovane età ha già esperienza sul palcoscenico. Nel 2007 al Teatro “Giardin de San Paulo” ha cantato per il musical “Jesus Crhist Superstar”. «In quel momentospiega- ho capito che la musica e il canto sarebbero diventati una meta irrinunciabile». Così ha cominciato a costruire il sentiero per raggiungere la sua “meta”. «Ho iniziato a studiare canto durante la mia adolescenza-rac- conta- in una Scuola di Canto a San Paolo, poi nel 2007 sono partito per la Germania. A Osnabruck ho completato il percorso di studi che avevo iniziato in Brasile. In Europa ho imparato molto a livello professionale e nel 2009 quando sono tornato a San Paulo, per due anni ho partecipato a spettacoli per il teatro della città». Ma Gustav sa Nella foto a sinistra Gustav Muller, 21 anni brasiliano di origini tedesche, da quattro mesi è a Milano per studiare lirica in Accademia Internazionale della Musica bene che il Brasile non è certo la patria della lirica e se a San Paolo non sei un danzatore di samba, o uno che conversa con una chitarra sulle note di una bossanova, allora devi andare da qualche altra p ar te a c e r c a r f o r t u n a . Così ancora una volta valigia in mano, volo San Paulo- Malpensa, e tanta voglia di seguire le orme di un suo caro amico brasiliano Thiago Arancam. «Thiago dopo aver studiato a Milano-conclude- nel 2005 ha esordito alla Scala e adesso canta in tutti i teatri più importanti d’Italia. Spero di poter replicare anche solo un po’ del suo talento e della sua fortuna». Gustav a Milano avrà anche perso, per dirla con Baglioni, il suo “sole, nel sale, nel sud”, ma è sicuro di trovare, in una delle capitali della lirica un pubblico che alla sua voce in un “Don Giovanni” non preferirà certo l’arpeggio di una chitarra. (i.s) in questo mondo? «In realtà mia madre voleva che facessi l’avvocato, immagina la sua approvazione quando le ho detto che volevo diventare un soprano lirico!». Come si diventa un cantante lirico professionista? «Le vie sono molteplici. Io studio da due anni al conservatorio di Napoli S.Pietro a Majella. Il conservatorio è la porta d’accesso ai concorsi pubblici e alle attestazioni che possono arricchire il tuo curriculum. Ma ciò che conta di più è l’esperienza maturata sul palcoscenico». E quanti sono i ragazzi che frequentano i corsi di lirica ? «L’anno scorso le classi erano 4, e tutte stracolme. C’è da considerare che ogni classe aveva 15 studenti, un numero abbastanza alto per un corso di canto lirico». La lirica e i giovani sono due mondi percepiti come distanti, pensi che sia un’affermazione giusta? «Non penso sia vera. Prima di tutto, nel sistema scolastico si studia storia dell’arte figurativa e non storia della musica d’arte, il che, non permette ai giovani di avvicinarsi alla conoscenza di questo tipo di arte. Ma sono i giovani i veri protagonisti della lirica e ne sono convinta». In che senso? «Il teatro lirico deriva dall’evoluzione della tragedia greca, la catarsi faceva sì che si potesse comprendere quanto c’è di grande intorno a noi, pertanto è correlata alla lirica che è il portare le passioni all’eccesso per redimersi. Ed è questa la ragione per cui il teatro lirico è per i giovani: noi siamo pieni di passione, sentimenti e nell’opera si esternano le emozioni più forti». Pensi che i prezzi degli spettacoli lirici siano proibitivi per i giovani? «Dipende. Ci sono molte iniziative nei teatri principali delle capitali della lirica italiana che permettono ai giovani di accedere a spettacoli con degli sconti. Recentemente ero al Teatro San Carlo a vedere uno spettacolo e una signora si è stupita per ‘quanti giovani occupassero le fila della platea’. Se potessimo permetterci uno spettacolo ogni volta che vogliamo vederlo, si può star sicuri che saremmo sempre lì a teatro. Ovviamente mettere in piedi un’opera lirica costa, e molto. Il costo minimo è di 50 mila euro, per non parlare di cantanti che hanno un cachè di 20mila euro». Un appello ai giovani per avvicinarli al mondo della lirica «Guardate meno tv e seguite le storie a teatro e meno Maria De Filippi, più Maria Callas!». Pagina 14 SOCIETÀ Una notte con Walter, vecchio tassista senza paura, così immaginario da sembrare vero Walter Francesco Priano E pensare che l’istinto non mi aveva mai tradito. Io i clienti sbagliati li avevo sempre riconosciuti con un’occhiata, senza far loro domande inutili del tipo: “Sei ubriaco?” a cui tanto nessuno ti risponderà mai di sì. E a chi mi chiedeva se non avessi paura a guidare il taxi di notte rispondevo sempre con un po’ di orgoglio: “Walter non ha paura di nessuno, semplicemente sta molto attento”. Così ho percorso le strade in ogni stagione e con ogni temperatura, accompagnato dalla gente più strana e diversa ma soprattutto da lei, Milano, la mia città. Questa notte, invece, è tutto diverso. Ho ricevuto la chiamata alle 23.30, una come mille altre in un mercoledì sera qualunque, nell’ultimo giorno di marzo. Il mercoledì è un giorno tranquillo per noi tassisti, perché le discoteche aperte sono poche e la gente non fa tanto tardi; spesso ti capita la chiamata di qualcuno che esce da una cena di lavoro o di uno studente che perde l’ultima metro, ed è costretto a spendere un po’ di soldi in più per rincasare. Pensavo a questo mentre mi avvicinavo a piazza Piemonte, a pochi passi dalla bella e aristocratica via Marghera, con le luci del teatro Nazionale che riflettevano sull’asfalto bagnato dalla pioggia. Ho riconosciuto subito il mio cliente, perché oramai tutti aspettano il taxi nello stesso modo: una mano nella tasca e nell’altra il cellulare, con lo sguardo fisso in maniera ossessiva sullo schermo. Anche questo non faceva eccezione, impalato sul marciapiede come un bamba, col cappuccio calato giù per proteggersi dalla pioggia e la sciarpa alta attorno al collo per ripararsi dal vento di questi giorni, che di primavera non ha proprio nulla. Così ho accostato la macchina al ciglio della strada, come ho fatto decine di volte solo in questa settimana, mentre quello apriva la porta e si accomodava sul sedile posteriore. “Dove andiamo?” ho chiesto con impazienza, perchè chi fa il nostro mestiere ha un rapporto tutto speciale con il tempo, ma la risposta non è stata quella di sempre. “Guida” ha ordinato l’uomo seduto alle mie spalle con il tono risoluto di chi non ammette repliche, e quando ho alzato gli occhi verso lo specchietto retrovisore per capire cosa stesse succe- LAB Iulm Ranger dendo, ho scoperto subito il motivo di tanta decisione: una pistola, puntata dritta alla mia schiena. L’esperienza mi ha insegnato che nelle situazioni peggiori esitare non porta a nulla di buono, così ho innestato immediatamente la prima e, senza obiezioni ma con la paura che mi mozzava il fiato, ho iniziato a guidare il mio taxi. La corsa è iniziata da ormai dieci minuti, anche se l’angoscia non mi permette di misurare con esattezza il tempo e le distanze. Persino le mie strade, compagne di tante notti, non sono più un riferi- mento sicuro: le luci di via Washington, il pavé rattoppato di Piazzale Aquileia e i tetti a spiovente di San Vittore scorrono veloci ai lati del mio sguardo, mentre quel disgraziato mi guida dal sedile dietro, con la voce roca e un’arma che non riesco più a vedere ma che dev’essere ancora puntata al mio sedile. Non è che nella mia carriera non me la sia mai vista brutta, anzi. C’è stata quella volta che un balabiott si rifiutava di pagare e mi ha rifilato un pugno sul muso, ma oramai è passata un eternità. All’epoca guidavo una Fiat Storia di Luca Massari, massacrato per un banale incidente Morte di un tassista perbene Linda Irico L e parole di Luca Massari hanno un posto fisso sulla prima pagina del blog dei tassisti milanesi :“Ascolta la natura, ama la natura. Cerca di rifugiartici quando puoi e ritroverai la tua essenza.”. Sotto le brevi righe, un monito, sospeso tra i tre punti e una grossa virgoletta: per non dimenticare. Perché loro, di sicuro, non dimenticheranno. I tassisti non sono una categoria simpatica ai più: accusati di essere conservatori, corporativi e individualisti possono sembrare da fuori una specie di “casta”. Di sicuro sono molto uniti, e consapevoli di essere una delle categorie più esposte ai pericoli della città. E la città non è la semplice somma di strade e palazzi, è l’insieme creato dal tessuto urbano e da chi lo abita. I tassisti conoscono bene entrambi gli elementi. Eppure c’è ancora qualcosa che lascia persino loro, profondi conoscitori della metropoli, stupefatti e attoniti: quanto accaduto a Luca, ucciso dopo essere stato aggredito per avere investito un cane, rimane incomprensibile anche per i suoi colleghi. Su taxystory.net la vicenda di Luca è ripercorsa dalle prime notizie dell’ANSA agli ultimi ritratti presi dei giornali. Par a l l e l a m e n t e all’informazione, quanto accaduto è stato seguito e descritto dagli stessi tassi- sti, sui siti web di categoria e sui principali blog. La morte di Massari ha riacceso vecchie polemiche nel mondo dei tassisti, soprattutto contro i media, ritenuti da sempre responsabili del clima ostile che circonda la categoria e contro le autorità, colpevoli di non garantire standard di sicurezza abbastanza elevati. Ma i tassisti non si sono limitati a condannare l’accaduto e a lanciare accuse, si sono mossi in favore della vittima e della sua famiglia, con gesti simbolici e atti concreti. Dopo la morte di Luca, avvenuta un mese dopo il pestaggio, si sono uniti al cordoglio dei familiari rispettando 5 minuti di silenzio e di astensione dal lavoro. Lo stesso 18 novembre, il giorno dei fune- rali di Luca Massari, decine di taxi listati a lutto si sono diretti in corteo verso Locate Triulzi, il paese natale della vittima. Sempre i suoi colleghi hanno portato a spalla il feretro durante le esequie, mentre associazioni, consorzi e sindacati di categoria hanno partecipato al lutto inviando corone di fiori. Solidarietà è stata espressa anche dai tassisti di altre città: a Roma si è svolta una manifestazione promossa dall'Uri e da Uritaxi con dieci minuti di «fermo» e silenzio, a Verona i tassisti si sono radunati in piazza Bra per un momento di raccoglimento e preghiera. Ma i colleghi di Luca Massari hanno dato spazio anche a gesti più concreti: gli uomini del 4040 hanno da subito dato LAB Iulm SOCIETÀ AL CINEMA IERI E OGGI Pagina 15 Dichiarazioni dei redditi sotto accusa Tariffe alle stelle ma per il fisco guadagni operai 128, mentre adesso ho una macchina giapponese col motore elettrico: era il 1974 e avevo poco più di vent’anni, così i colleghi più anziani mi avevano preso in giro come avrei fatto tante volte anch’io in seguito, sventolando la pagina de Il Giorno che parlava Aggredito selvaggiamente a calci e pugni dopo aver investito e ucciso un cane, muore per le lesioni interne dopo un mese di coma via a una colletta di fondi da destinare alla famiglia della vittima. L’iniziativa dei tassisti milanesi ha permesso di raccogliere ben 15000 euro per la famiglia di Luca Massari. Ma i soldi, custoditi nella cassaforte del S.A.TA.M, il sindacato degli artigiani tassisti milanesi, sono stati rubati durante un furto che lascia spazio a tanta amarezza e molti dubbi: un ladro che entra dalla sola finestra senza allarme, prende la chiave, svaligia la cassaforte e esce indisturbato. Un furto, insomma, eseguito a colpo sicuro. I soldi, coperti da polizza assicurativa e in parte già versati alla famiglia, potranno recuperarsi facilmente.Lo sfregio finale alla storia di Luca, invece, resta. TAXI DRIVER (1976) ANNI ‘60 Capolavoro diretto da Martin Scorsese e interpretato da Robert De Niro. Fiat 600 multipla costruita dal 1956 al 1966. In versione taxi nei colori nero-verde. IL TASSINARO (1983) ANNI ‘70/’80 Diretto e interpretato da Alberto Sordi. Nel cast anche Giulio Andreotti e Federico Fellini. “Yellow cab” come negli Stati Uniti. Alcuni di questi esemplari sono tuttora in circolazione. NIGHT ON EARTH (1991) OGGI Film a episodi diretto da Jim Jarmusch, con Roberto Benigni e Winona Ryder. Nella sua versione moderna il taxi è bianco ed ecologico nella sua versione ibrida. del mio incidente. Da allora il mio lavoro è stato una scoperta continua, perché fare il tassista di notte ti avvicina al bello e al brutto della vita, anche se solo per una manciata di minuti. Le storie dei colleghi malmenati, che ti fanno domandare se vale la pena di rischiare la vita per dieci euro, sono infatti solo una faccia del mestiere: ci sono anche i personaggi interessanti, le corse memorabili e felici, come quando ho raccolto alla Clinica Mangiagalli quella ragazza che aveva appena scoperto di essere incinta e che, con l’ecografia ancora in mano, sembrava quasi volersi scusare per la gioia che non riusciva a trattenere. Il mio lavoro mi ha fatto vivere le notti folli degli anni ’80, quando portavi al night signori elegantissimi ed eri loro ospite fino alla fine della serata, col tassametro che correva e tu venivi pagato per divertirti; ma anche notti in cui il tuo passeggero è una ragazza che piange per tutta la durata della corsa e che, poco prima di scendere dalla macchina, ti gela con una semplice e terribile confessione: “Mi scusi per le lacrime, ma stasera sono stata violentata”. Questo è il mestiere che amo e che faccio da una vita, quello che inizia quando gli altri vanno a dormire e finisce con le prime luci dell’alba. Quello che ti regala sempre una notte diversa, anche se questa volta ho attraversato mezza Milano con una pistola puntata alla schiena e la mia macchina sta puntando dritta verso la campagna, mentre la paura cresce. Mi sono lasciato alle spalle la circonvallazione e tutta via Ripamonti: le abitazioni piano piano si diradano, come le mie speranze che questa faccenda si risolva in maniera positiva. “Gira a sinistra e poi accosta” mi ordina la voce roca dal sedile posteriore, tornando a far vedere l’arma nello specchietto. Il navigatore dell’automobile riporta il nome di una strada sconosciuta, via Sant’Arialdo, che si apre su uno spiazzo sterrato risparmiato dal cemento: fermo la macchina e mi rendo conto che intorno a me non c’è altro che campagna; sono in balia del rapitore. Lui adesso tace, e così gioco la mia ultima carta: “Ascolta, se vuoi dei soldi ti do tutto quello che ho” dico con tono di supplica, mentre tiro fuori dal borsello 50 euro, il poco contante che porto con me quando inizio il turno. “Non li voglio i tuoi soldi Walter, mi basta vederti tutt stremì, bello spaventato!” È un attimo. All’improvviso quella voce diventa familiare, lo sguardo cade sul computer di bordo e leggo la data: 1° aprile; nello specchietto, non più nascosto dalla sciarpa e dal cappuccio, vedo il volto del mio collega più giovane, il Giovanni. “Questa è per tutte le volte che mi hai dato del vigliacc perchè ho paura a fare la notte!” Tiro un sospiro di sollievo, mentre la tensione accumulata inizia a sciogliersi in una risata. Per fare la ramanzina a quel pirlèta c’è sempre tempo: anche questa volta l’istinto non mi ha tradito. Erika Crispo U na casta, una lobby. Ecco come appare la categoria dei tassisti agli occhi dei cittadini italiani, i quali si sentono “derubati” a causa dei prezzi salati che sono costretti a pagare per un servizio spesso considerato non all’altezza. E la mancata liberalizzazione delle licenze, l’aumento delle tariffe e un servizio spesso insufficiente e inefficiente non fanno altro che contribuire a rafforzare la percezione negativa tra gli utenti del servizio. I tassisti si difendono sottolineando le spese elevate che devono sostenere e l’assenza di benefici rispetto alla gran parte delle tredicesima. E’ arduo stabilire quanto guadagnano realmente visto che non sono tenuti a rilasciare ricevute fiscali, ma attraverso la quantità di carburante consumato è possibile calcolare la strada percorsa e quindi risalire all’effettivo guadagno. E non è un caso se dei controlli “mirati” hanno rivelato che il 70% dei tassisti evade le tasse. D’altra parte sarebbe assurdo credere che un tassista guadagni meno di un metalmeccanico. Un reddito simile non giustificherebbe i rischi e i sacrifici del mestiere: il costo delle licenze che va dai 170.000 ai 300.000, le tasse e le assicurazioni salate, le ferie e la malattia non pagate, il Città Euro/ Km Euro/Ora Milano 0.98 25,67 Roma 0,92 23,70 Torino 1,00 24,00 Genova 0,90 24,00 Palermo 0.83 16,52 New York 0,79 16,84 Londra 1,68 34,80 Madrid 0.98 18,10 Parigi 0,99 29,00 Monaco 1,60 22,50 categorie di lavoratori. Ma quanto guadagna un tassista italiano? Difficile a dirsi. Carmelo Abbate nel blog del magazine Panorama racconta una giornata da tirocinante accanto a un tassista esperto a Milano. E tira le somme: diciotto corse in dieci ore per un totale di 343, mance incluse, fanno 8.575 lordi al mese. E anche considerando le spese per contributi, carburante e assicurazione, un tassista porterebbe a casa non meno di 4600. Troppo? Quanto è lontana questa cifra dalla realtà? Secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate i tassisti italiani dichiarano in media al fisco 1100 al mese senza mancato diritto alla tredicesima. E non spiegherebbe neppure il perché le tariffe dei taxi italiani sono tra le più care in Europa, come riportato dallo studio condotto da UNICA-FILT CGIL. A parte Londra (dove tutte le vetture sono attrezzate per ospitare le sedie a rotelle), Monaco e Parigi, Torino, Milano e Roma hanno le tariffe chilometriche più alte: rispettivamente 1,00, 0,98 e 0,92. Record di prezzi elevati anche per quanto riguarda il costo iniziale della corsa: Genova 3,25, Milano e Torino 3,00 e Roma 2,80 contro i 2,20 di Parigi, i 2,05 di Madrid e 1,75 di New York. Pagina 18 SOCIETÀ LAB Iulm Tu vuò fa l’americana Tra i tanti fenomeni esportati dagli Usa quello delle Cheerleaders sembra avere trovato stabile cittadinanza a Milano Due federazioni, tre team: è pon pon mania Stefano Fiore C ’è un particolare che lega George Bush e Ronald Reagan ma non è la politica. Lo stesso particolare lega Britney Spears a Madonna ma non è la musica. E ancora Kim Basinger a Samuel L. Jackson, ma non il cinema. La risposta? Il cheerleading. Bellezza, spettacolo, abilità: non esiste un solo termine per definire questa disciplina che oltre a fare da contesto a manifestazioni sportive, spesso diventa essa stessa evento. Merito della spettacolarità delle coreografie, dell’appariscenza delle divise e, non ultima, la bellezza delle atlete (perlopiù ragazze, ma non manca la controparte maschile). Il cheerleading è nato negli Stati Uniti nel 1898 e ben presto è divenuto fenomeno esteso tanto che oggi si pratica in quasi tutti i colleges, compare frequentemente in film e serie tv e, con passo lento ma convinto, sta muovendo i primi passi anche in Italia e soprattutto a Milano. Sebbene si abbiano notizie di gruppi di cheerleaders sin dagli anni settanta, è nel 1998, con i Cheerdance Millenium (composto da atleti italiani e sloveni) di Trieste, che il fenomeno sbarca nel nostro Paese. La strada è tracciata, sei anni dopo nasce la prima squadra tutta italiana, le Cheerleaders Italia di Torino. Nel 2009 tocca a Milano. E anche se la leggenda narra che il movimento sia nato grazie a uno studente, Johnny Campbell, la nascita del cheerleading sotto la Madonnina è gran parte merito di una norvegese giramondo dalle idee innovative e la fede incrollabile. «Quando sono arrivata qui mi sono chiesta com’era possibile che la Lombardia, nove milioni di persone, non avesse neanche un team cheer. E ho deciso di provarci» ci racconta Jennifer Lechner (foto a destra), coach delle All Stars Milano. «Ho iniziato col cheerleading a fine anni ’90 in Norvegia e nel corso del tempo ho raggiunto un livello alto. Quando mi sono trasferita a Milano mi I I TOP E I FLOP MADE IN USA n Italia il sogno americano si è anche trasformato in incubo. Il cheerleading è solo l’ultimo dei tentativi di trapiantare la cultura sportiva a stelle e strisce nel nostro Paese: il Match di wrestling p a s s a t o insegna che basta un niente per tramutare il boom in flop. L’Italia ha conosciuto fallimenti come il monster trucks (auto dagli enormi pneumatici che compiono salti e piroette su ostacoli artificiali) o il dragster (gare di accelerazioni tra auto con motori da mille cavalli). Da ricordare anche i robot wars (combattimenti tra robot costruiti amatorialmente) che erano perfino finiti in televisione. Ma l’Italia è anche ricca di americanate andate a buon fine: come il baseball, consolidato nel centro-nord, o il wrestling, che ha ispirato trasmissioni tv, pupazzi e riviste dedicate. Al contrario negli USA il calcio ha attecchito tardi, aumentando di interesse solo dopo la Coppa del Mondo nel 1994. Per il successo si fanno salti mortali, chi meglio delle cheers? (s. f.) hanno chiamato per fare la coach di Milano Cheers». Le difficoltà non sono state poche: «La dirigenza era piuttosto scettica sulla riuscita del progetto. Invece il primo allenamento lo abbiamo fatto in sei e ben presto siamo diventate tredici». Tuttavia le frizioni con la dirigenza non diminuivano. «Vedevamo in modo diverso il cheerleading: è uno spettacolo, oltre a essere uno sport. Serve capacità tecnica ma anche saper giocare con il pubblico. Così abbiamo deciso di fondare una nuova squadra, le All Stars Milano. In pochi ci credevano eppure del vecchio team solo due non ci hanno seguito». In pochi mesi hanno ballato al Forum di Assago per gli Harlem Globetrotters, a San Siro e al Bentegodi di Verona per l’Italia del rugby, a Reggio Calabria per il World Volley Tour. Inoltre sono apparse in tv su Canale 5 e Raidue e ogni settimana possiamo ammirarle a Victor Victoria su La7. Carisma ed esperienza, l’entusiasmo di Jennifer ha presto contagiato anche la Ficad (Federazione Italiana Cheerleading Acrobatico Dance): creata sul finire del 2009, è riconosciuta dal Coni. In totale 70 team cheer affiliati, con l’ambizioso obiettivo di decuplicarli entro il 2012. «Mi hanno chiamata, vedendo i progressi a Milano, mi hanno chiesto se avevo voglia di dare una mano e ho risposto positivamente. Ci aiutano anche economicamente» racconta Jennifer. Per capire la portata del fenomeno basti pensare che esiste addirittura una federazione parallela, la Fisac (Federazione Italiana Sport Acrobatici e Coreografici), nata qualche mese prima e riconosciuta sia dal Coni che dalla Federazione Europea di Cheerleading: conta una ventina di squadre e racchiude più discipline.«La Fisac ha meno esperienza – precisa Jennifer – perché non è specializzata nel solo cheerleading come noi ma si occupa anche di altro». Un po’ di sana rivalità aiuta il movimento. Anche per andare oltre le apparenze: «Non siamo ragazze pon pon senza cervello. Delle mie ragazze metà è già laureata, c’è un’insegnante professionista di danza, una fa la grafica, un’altra lavora in radio, otto ancora studiano, una fa la geometra e la volontaria di primo soccorso. Io stessa faccio l’insegnante d’inglese» spiega Jennifer. Dunque belle, le foto lo testimoniano, ma anche brave. Per verificarlo basta guardare attentamente la tv e seguire i prossimi eventi sportivi di Milano (e non solo). Vi accorgerete che il cheerleading non è solo un’americanata ma un vero e proprio sport. Nella foto, le All Star Milano. In basso Jennifer Lechner, 33 anni, coach della squadra LAB Iulm SOCIETÀ L’INTERVISTA Pagina 19 SABRINA LISSONI La mamma con i pon pon Roberto Tortora S L’INTERVISTA CRISTIANO PIERANDREI Sabrina in posa alle Final Eight 2011 di Coppa Italia di basket “ Non esiste competizione individuale, siamo tutte sorelle unite con Jennifer “ abrina Lissoni, 34 anni, sposata da 10 anni e con 2 figli, Diego di 9 anni ed Alice di 6, è una donna tuttofare: cura la casa, assistente nella ditta del marito, madre di due bambini in un’età cruciale. Nonostante ciò, a domanda precisa risponderebbe: «Professione? Cheerleader». Sabrina, come sei entrata nel mondo cheerleading? «Prima ero una pallavolista, ma ho dovuto smettere per problemi cardiaci, a settembre ho avuto un’ablazione al cuore, un intervento necessario che mi ha messo a nuovo. Risolti i problemi fisici, la mente aveva bisogno di riassaporare lo spirito di squadra. Conoscevo la disciplina, perché ho parenti negli USA, dove le cheerleaders sono vere e proprie atlete. Ho trovato su internet un concorso a cui partecipare e mi hanno presa». Com’è nata la storia con le All Stars Milano? «Sono entrata nel 2009 nelle Milano Cheers, ma poi abbiamo seguito la nostra coach Jennifer Lechner, perché si è L’ingegnere sfida i pregiudizi ballando con le cheerleaders “ Vengo dalla break-dance e dall’hip-hop. Amo divertire la gente a corpo libero “ C Giuseppe Leo ristiano ha vinto tre volte. Quando ha deciso che, al diavolo i pregiudizi, si sarebbe tuffato nel mondo del cheerleading. Quando è diventato un perno insostituibile della sua squadra. Quando ha capito che con qualche sacrificio in più avrebbe potuto mantenere fede ai propri impegni universitari. Cristiano Pierandrei, cheerleader delle Milano Cheers rappresenta la rarità che non ti aspetti, l'elemento in apparenza stonato di un'orchestra il cui messaggio di armonia, secondo i soliti benpensanti, dovrebbe essere declinato al femminile. Cristiano, domanda che ogni lettore vorrebbe porti: sei fidanzato? «Ho iniziato la vita di cheerleader da single, ma se dovesse capitare, la squadra avrebbe la priorità. Se una ragazza non sa cogliere quello che sono, non ha senso intraprendere una storia». Perché il cheerleading? «Ho sempre visto con ammirazione i campus universi- Cristiano durante un’esibizione con le Milano Cheers tari americani dove questo è uno sport professionistico e le squadre sono composte in modo paritario da maschi e femmine. Il fatto che gli uomini non possano fare delle cose non previste dalla società è un mito da sfatare». Altri sport in precedenza? «Ho fatto sempre sport, tipo danza break-dance e hip hop, far divertire la gente a corpo libero è una delle mie passioni». Qual è il tuo ruolo in squadra? «Faccio sia le coreografie che lo spotter per gli stunt». Spiegati meglio. «Gli stunt sono composti dalle basi, le quali stanno ai piedi della piramide umana e richiedono molta forza, dalla flyer che è la ragazza che sale e dallo spotter , che invece aiuta a salire». Ci sono degli standard fisici? «Nessuna ragazza è particolarmente rotonda, sono tutte magre, ma mentre le basi devono avere le braccia più robuste, le flyer devono pesare 40-50 kili, altrimenti diventa un lavoro troppo impegnativo». Quanti pregiudizi hai dovuto combattere? «Molto, ma è bastata la prima esibizione per sconfiggerlo. Pensa che molti miei amici vorrebbero venire ma sono ostaggi dei luoghi comuni». La tua famiglia? «Sono tutti contenti, perché è un’attività che mi rende felice. E poi le mie due sorelle sono nella danza. Questione di DNA». Più imbarazzato tu o loro ? «Penso si sia costruito un bel gruppo, in cui il sesso non conta nulla nelle dinamiche di squadra». Raccontaci cosa sei fuori dall’orbita del cheerleading. «Studio ingegneria informatica, mi mancano 6 esami alla laurea. Più si avvicina il termine più mi vedo seppellito da un carico di studio tremendo». Ti piacerebbe intraprendere la carriera di allenatore di una formazione di ragazze pon pon? «Solo come secondo lavoro. Il mio futuro lo immagino nei panni di ingegnere». instaurato un gruppo di sorelle che non si sono volute dividere. Abbiamo fatto un netto salto di qualità». Che ruolo hai all’interno della squadra? «Sono una spotter, ossia quella che sta alla base delle piramidi che creiamo durante le esibizioni. Spetta a me e alle compagne con cui divido il ruolo sostenere e far volteggiare in aria le flyers, che in squadra sono quelle più esili per costituzione fisica». Tu sei la più grande, ovvero la sorella maggiore delle altre ragazze, quella saggia? «Macchè, sono la più matta! La bellezza di questo sport è che non ha età né colori, in gruppo siamo tutte uguali e non c’è competizione individuale. Preparare nuove coreografie non è semplice, dietro ad ogni esibizione c’è tanto lavoro di squadra in allenamento». Tra il ruolo di moglie, di donna che lavora, di madre di due figli, dove trovi l’energia per ballare? «Non è così difficile, basta organizzarsi e collocare gli impegni intorno ai due allenamenti settimanali. Devo molto a mio marito ed ai miei due bimbi, sono venuti spesso agli allenamenti». Il momento più bello ed il più brutto che hai vissuto durante un’esibizione? «Momenti difficili ancora non ce ne sono stati, le emozioni più intense al Forum di Milano per gli Harlem Globe Trotters e a S.Siro, “Derby della Madonnina” di beneficenza tra personaggi dello spettacolo e della musica, il giorno dopo la vittoria dell’ultimo scudetto dell’Inter che, per me che sono nerazzurra, è stato il massimo!». Come affrontate i pregiudizi che, inevitabilmente, ci sono in Italia? «L’Italia ancora non è matura, ci sono ancora molti muri da abbattere. Negli Stati Uniti il cheerleading si pratica a livello professionistico, a tempo pieno e prima viene insegnato già a scuola. Noi, in generale, veniamo accolte bene, perché facciamo uno spettacolo senza essere volgari, ma c’è sempre quello che fa la battuta di cattivo gusto e non è piacevole. Per fortuna, però, sono più i consensi ed abbiamo avuto, con sorpresa, un riscontro positivo soprattutto nelle donne, che ci accolgono sempre con entusiasmo». Consiglieresti ad Alice, un giorno, di fare la cheerleader? «Io sto già lavorando per prendere il patentino da allenatore e, un giorno, mi piacerebbe diventare coach per bambini, perciò Alice sarà la mia prima allieva, lei è già pronta». Pagina 20 SPORT LAB Iulm IL CALCIO FEMMINILE IN ITALIA Il campionato italiano di calcio femminile è un torneo dilettantistico istituito dalla FIGC nel 1986. E’ costituito da tre serie nazionali, Serie A, serie A2 e B e due regionali, serie C e D. Oltre il calcio a 11, ci sono campionati di calcio a 7 e a 5. Ma il calcio femminile in Italia ha radici più antiche. Le prime testimonianze risalgono al febbraio del 1933 quando a Milano, in via Stoppani 12, viene fondato il Gruppo Femminile Calcistico, il primo club di calcio femminile organizzato. Le giocatrici scendevano in campo con la gonna. In diverse città sorgono altre squadre, ma il C.O.N.I. per evitare l’espandersi del fenomeno, impedisce alle donne di giocare sia tornei che singole gare. Nel 1950 a Napoli nasce l’AICF (Associazione italiana calcio femminile) che avrà solo 9 anni di vita. Nel 1965 all’Arena di Milano si gioca Inter-Bologna, ma in realtà tutte le ragazze in campo sono milanesi dai 14 ai 17 anni. Nel 1968 a Viareggio nasce la Federazione italiana calcio femminile (FICF), anche se alcune squadre preferiscono aderire all’UISP. Nel 1970 avviene uno scisma all’interno della FICF che porta alla nascita della FFIGC (Federazione femminile italiana giuoco calcio). Nel 1976 la FFIGC diventa FIGCF (Federazione italiana giuoco calcio femminile) che confluirà nella FIGC nel 1986. Ma è solo con lo statuto del 2000 che il calcio femminile viene esplicitamente riconosciuto dalla FIGC. Mamme nel pallone Elisabetta, Giorgia e Alessandra giocano nel San Vito, squadra di calcio a 7 del quartiere Giambellino Sono tutte mamme Erika Crispo T utto ha avuto inizio più o meno vent’anni fa quando Mauro Maggi, allora allenatore del San Vito maschile, si è posto una sfida, temeraria per i tempi: fondare una squadra di calcio femminile. E così alcune ragazze hanno lasciato la squadra di pallavolo dell’omonimo oratorio per dedicarsi a quest’inedita esperienza calcistica. Elisabetta e Giorgia sono due di loro. E sono stati proprio gli allora fidanzati, oggi mariti, che tuttora giocano nel San Vito ma- schile, a spronarle a tentare. “Abbiamo iniziato un po’ per caso, un po’ per curiosità, all’epoca c’era solo una dozzina di squadre e il campionato era stato molto breve” spiega Elisabetta mentre taglia a cubetti una zucchina. Sta preparando il minestrone per cena. Chi l’avrebbe mai detto? Lo stereotipo della donna-maschiaccio che gioca a pallone è ormai superato. Elisabetta Piras, 40 anni, un lavoro, un marito, tre figli, una gatta e una casa da mandare avanti, è il portiere del San Vito, squadra di calcio femminile a 7 del quartiere Giambellino. “I primi tempi non sapevamo fare davvero nulla” LA SQUADRA L’orgoglio del Giambellino Il San Vito si allena e gioca le proprie partite nel campo dell’oratorio omonimo in via Tito Vignoli n° 35, nel quartiere Giambellino. La squadra femminile è nata nel 1992 da un’idea di Mauro Maggi, allora allenatore della maschile e oggi della femminile, nonché presidente della società. Nel 2005 il San Vito si è costituito in ASD, associazione sportiva dilettantistica riconosciuta dal C.O.N.I. Dopo aver militato per anni nel campionato di Eccellenza, ora la squadra gioca nel campionato femminile di calcio a 7 del CSI nella categoria Open. Nell’albo d’oro due scudetti, due campionati primaverili e una coppa Disciplina. racconta Giorgia “mi ricordo che in una delle prime partite una nostra compagna fece autogol e si mise ad esultare senza capire di aver segnato nella porta sbagliata”. Una scena tanto imbarazzante quanto esilarante. Ma ne è passata di acqua sotto i ponti da allora. Sia per il San Vito che per Giorgia. La squadra gialloblu infatti può vantare nel proprio palmarès due scudetti nel campionato invernale, due nel primaverile, una coppa Disciplina (miglior fairplay del torneo), una partecipazione ai campionati regionali ed è attualmente salda in testa alla classifica del proprio girone nel campionato di quest’anno. Anche Giorgia Morera, 41 anni, mamma di due bambini, Martina di 10 e Michele di 8, ne ha fatta di strada: dopo dieci anni in gialloblu ha giocato in varie squadre a 11 in serie C e D per poi tornare nel San Vito dove oggi è il pilastro della difesa. “Gli allenamenti e soprattutto le trasferte fuori Milano erano diventati troppo impe- tinuerò comunque a fare gnativi con due figli” spiega sport”. E’ dello stesso avviso “ma la voglia di giocare a cal- Elisabetta che dopo vent’anni cio è sempre stata molto forte e passati a spaccarsi le ginocchia tornare nel San Vito è stata la sul duro terreno del Giambelscelta più ovvia”. lino, giocherà ancora qualche E infatti nemmeno le lesioni stagione visto che c’è in previai due menischi e ai legamenti sione di rifare il campo in sinche l’hanno costretta a operarsi tetico. Giorgia ed Elisabetta ad entrambe le ginocchia fanno a pezzi il muro di prel’hanno fermata. Il ruolo di giudizi che da sempre accommadre non è mai pagna le donne che stato un pro- Sotto la pioggia, giocano a pallone, blema, se non con la neve, non troppo spesso conper difficoltà pusiderate “uomini ramente logisti- esitano a tuffarsi mancati”. nel fango per E se queste due che, facilmente risolvibili da segnare donne potrebbero nonni o babyun caso o evitare un gol sembrare sitter. Se si fa ececcezionale, è precezione per le sto detto: nel San gravidanze e gli infortuni, né Vito ci sono ben 5 mamme! E Giorgia né Elisabetta hanno Alessandra de Robertis, 33 mai smesso di giocare. anni, è una di queste. Gioca a Ma, insomma, quarant’anni, pallone in gialloblu da tre sole un lavoro e una famiglia, stagioni, ma ha sempre avuto quando avranno intenzione di lo sport nel sangue. Mamma di appendere le scarpe al chiodo? Giulia, 4 anni, dopo le espe“E’ ancora presto” è la risposta rienze di atletica e canottaggio, secca di Giorgia “Smetterò ha deciso di provare col calcio, solo quando il mio fisico non sport che le è sempre piaciuto reggerà più e anche allora, con- fin da bambina. LAB Iulm “ SPORT Ho quarant’anni e tre figli ma non ho mai pensato di non giocare più per questo ” L’ INTERVISTA/1 Pagina 21 ELISABETTA, PORTIERE La mia passione invincibile E lisabetta Piras, 40 anni , da venti tra i pali del San Vito. Quanti figli hai? «Tre. Tommaso di 9 anni, Alessandro di 7 ed Emanuele di 4». Avrai fatto dei sacrifici per far coincidere i tuoi impegni di mamma con quelli della squadra. Che tipo di difficoltà hai incontrato e come le hai affrontate? «Le uniche difficoltà che ho incontrato sono state semplicemente organizzative, il far coincidere i miei impegni del weekend con quelli di mio marito (anche lui gioca) e dei miei figli. Quando le nostre partite coincidono, è Alberto (il marito, ndr) che si preoccupa di trovare un rincalzo, che sia mia suocera, un’amica o una baby-sitter. Ma non ho mai pensato di smettere per questo, è una problematica alla quale si può trovare facilmente soluzione». Che rapporto hai con le altre mamme della squadra? «Ho un bel rapporto, come con le altre ragazze, ma non facciamo cose “da mamme”. ragazze parlare delle loro cose, fare battute. Quando sono nello spogliatoio o in campo non sono né mamma né mo- L’INTERVISTA/2 SILVIA, CENTROCAMPISTA Ho sempre visto il calcio come un modo per essere solo io. A me piace ascoltare le altre glie, per quello ho altri spazi, che sono già tanti. Non fraintendermi, non rifiuto questa mia condizione, ma il calcio è un momento tutto mio che mi lega anche al passato, a quello che sono stata prima di essere mamma e moglie». Se avessi una figlia femmina che decidesse di giocare a calcio saresti d’accordo? «Assolutamente sì» Un consiglio che daresti alle ragazze che vogliono intraprendere questo sport? «Come tutte le cose, se si hanno delle passioni bisogna assecondarle, per quanto possibile e per quanto sane. A una ragazza che avesse voglia di giocare a calcio direi di seguire la propria inclinazione e le proprie passioni anche perché ormai ci sono talmente tante società che il calcio femminile non è più solo una realtà di nicchia, ma un fenomeno in espansione». (e.c.) “Finché cammino non smetto” S E la tripletta messa a segno in un match in questo campionato dimostra che non ha sbagliato disciplina. Giorgia, Elisabetta, Alessandra e le altre giocatrici del San Vito smantellano un’altra opinione diffusa e cioè che il calcio sia uno sport “da maschi” e che le donne non ne siano all’altezza. Ma non è così. Sono sempre di più le ragazze che hanno questa passione, che si allenano con costanza e con impegno, sotto la pioggia, con la neve, che non esitano a tuffarsi nel fango per segnare o evitare un gol. Sono le ragazze che amano il calcio. Giorgia analizza perfettamente la questione: “Come in altri ambiti di vita anche nello sport spesso noi donne dobbiamo fare più fatica degli uomini per essere riconosciute. E’ una questione culturale. Non c’è bisogno di “imitare i maschi” per giocare a calcio. Se ci arrendiamo a questa idea non ci scrolleremo di dosso qualche presa in giro e qualche pregiudizio di troppo”. Lo stemma della squadra femminile del San Vito. Le ragazze giocano in un campo d’oratorio al quartiere Giambellino. Hanno vinto due campionati locali di calcio a sette ilvia Belardi, 31 anni, capitano e bandiera del San Vito, numero 9 come il grande Marco Van Basten. Quando e come hai iniziato a giocare a calcio? «Il calcio mi piaceva fin da piccola, lo seguivo in tv e seguivo mio padre che giocava. Quando avevo 15 anni la mia insegnante di educazione fisica mi ha visto giocare durante una delle sue lezioni e, dato che lei faceva parte del San Vito, mi ha chiesto di provare. Da allora non ho mai smesso di tirare calci a un pallone. E sempre in gialloblu». Come mai non hai mai cambiato squadra? «Per i vincoli affettivi che mi legano al San Vito. Sono troppo affezionata alla società, all’idea di squadra e poi il calcio a 7 per me è più divertente di quello a 11». Un ricordo particolarmente emozionante della tua carriera? «Sicuramente i due scudetti vinti, ma non scorderò mai la finale del campionato primaverile che abbiamo vinto grazie ad una mia doppietta. Una gioia incontenibile». Hai intenzione di smettere? «Sicuramente smetterò, ma non so quando. Forse quando non riuscirò più a camminare. In passato ho rotto i due legamenti crociati anteriori e sono stata operata ad entrambe le gi- nocchia. La passione è troppo grande e sono ancora qui a rincorrere un pallone. Ma se dovessi subire un altro grave infortunio, probabilmente smetterei, anche se spero di non finire la mia carriera in questo modo». Se avessi una figlia femmina che decidesse di giocare a calcio saresti d’accordo? «No, certo non glielo vieterei, ma non ne sarei entusiasta. Il calcio è uno sport duro, è facile farsi male e per la sua salute preferirei che non giocasse». Un consiglio che daresti alle ragazze che vogliono intraprendere questo sport? «Allenarsi. Allenarsi sempre e comunque e non smettere mai di imparare. Nel calcio non si finisce mai di migliorare. L’allenamento, il duro lavoro, l’attenzione verso la propria condizione fisica, sono fondamentali per giocare a un buon livello». (e.c.) Pagina 22 IULM NEWS LAB Iulm La Scienza depone le armi Umberto Veronesi e Alessandro Cecchi Paone presentano “Scienza e Pace” libro tratto dall’omonimo progetto dell’oncologo milanese “Science for Peace” Meno armi, più ricerca, un pacifismo visionario con solide basi per divenire realtà Roberto Tortora M olti si chiedono perché, come uomo di scienza, mi sto impegnando per la pace. La risposta è: per continuare a combattere il dolore. Come medico mi sono reso conto che il primo bisogno dell’uomo è l’eliminazione della sofferenza e come uomo ho vissuto l’esperienza della guerra, toccandone con mano l’orrore e l’insensatezza…”. Con queste parole il professor Umberto Veronesi, Direttore Scientifico all’Istituto Europeo di Oncologia, coglie il fulcro del movimento Science for Peace, da cui scaturisce il libro intitolato “Scienza e Pace”, firmato congiuntamente con Alessandro Cecchi Paone e presentato in anteprima nell’Aula Magna dell’Università IULM. Attraverso la conversazione tra i due, introdotta e moderata dal Rettore, Giovanni Puglisi, il volume dimostra come oggi il pacifismo possa tramutarsi da utopia in realtà attraverso i meccanismi della scienza e della ragione. Di Science for Peace ne sono promotori scienziati e ricercatori (tra i quali ben 5 premi Nobel che ne costituiscono il Comitato d’Onore) il cui operato è riconosciuto a livello internazionale. “La guerra non è insita del dna del- Umberto Veronesi, Giovanni Puglisi e Alessandro Cecchi Paone alla presentazione del libro “Scienza e Pace” l’uomo, il cui unico scopo è il mantenimento della specie – dichiara Umberto Veronesi – e la scienza, fatta di numeri, è il linguaggio universale ideale per comunicare, perchè non ha etnìe. Oggi più che mai trovo assurdo che i governi continuino a investire nella politica degli armamenti anziché in quella del progresso – prosegue il medico milanese - destinando fondi esigui alla ricerca, alla sanità, all’educazione e alle urgenze sociali. E’ora di cominciare ad imitare quei Paesi che hanno già cominciato una politica del disarmo. Penso al Costa Rica – prosegue l’oncologo italiano – ma anche all’Islanda, all’Austria, al Giappone e, per ultimo, al Messico che ha dichiarato che comincerà a breve ad eliminare la propria forza militare. Sono tutti sintomi di un’epidemia positiva che spero contagi anche quei Paesi che ritengono fondamentale possedere un impianto militare all’avanguardia”. L’Unione Europea conta al suo attivo ben 27 eserciti, che non operano in regime di guerra e che producono una spesa complessiva di 300 miliardi di euro. “L’Europa non ha più confini, è la nostra nazione unica – spiega il professor Veronesi, quindi baseterebbe un solo esercito, con compiti esclusivi di polizia e pacificazione internazionale”. Da uno studio commissionato all’Università Bocconi si evince che, solo tagliando il 5 % degli attuali investimenti militari, si risparmierebbero ben 4,05 miliardi di euro, da poter utilizzare per incentivare la ricerca ed il progresso tecnologico. E’, dunque, la scienza che può dimostrare di poter portare soluzioni a situazioni da sempre causa di guerra. All’appello di Umberto Veronesi hanno risposto le personalità di maggior spicco della cultura internazionale nel corso dei due primi incontri svoltisi a Milano nel 2009 e nel 2010, alla presenza di scienziati, ma anche di comuni cit- LA PRESENTAZIONE Da sinistra Alessandro Cecchi Paone, il rettore Giovanni Puglisi e Umberto Veronesi Science for Peace è l’ultimo progetto nato su iniziativa del Professore Umberto Veronesi (già ideatore della Fondazione Veronesi per promuovere il Progresso Scientifico) per proporre e attuare soluzioni scientifiche di pace. L’obiettivo nobile è la nascita di un grande movimento per la pace alla cui guida si ponga il mondo della scienza. Hanno risposto affermativamente all’appello ventuno premi Nobel, scienziati di tutto il mondo e numerose personalità della cultura internazionale. Tra le partecipazioni più prestigiose si segnalano Rita Levi Montalcini (Nobel per la Medicina nel 1986), Luc Montagnier (Nobel per la Medicina nel 2003), Shrin Ebadi (Nobel per la Pace nel 2003), Claude Cohen-Tannoudji (Nobel per la Fisica nel1997) e il Dalai Lama. Il progetto si prefigge di realizzare due grandi obiettivi: la diffusione di una cultura di pace e la progressiva riduzione degli ordigni nucleari e delle spese militari a favore di maggiori investimenti in ricerca e sviluppo. LAB Iulm IULM NEWS Pagina 23 IN ARRIVO/2 IN ARRIVO/1 Tornano gli Open Day Online da fine marzo L’Ateneo apre ai liceali il nuovo portale Iulm Come ogni anno, l’Università apre le porte agli studenti liceali. Il programma prevede una serie di open day per illustrare i corsi e mostrare il nostro Ateneo a tutti i ragazzi che dopo la maturità dovranno decidere il proprio futuro. Per i Corsi di Laurea triennale sono previsti quattro appuntamenti, a partire da sabato 26 marzo quando l’Università rimarrà aperta dalle 9 alle 10.30. Si replicherà sabato 16 aprile, sabato 21 maggio e infine mercoledì 13 luglio. Saranno invece due gli open day dedicati ai Corsi di Laurea Magistrale: martedì 10 maggio e martedì 5 luglio. Nel corso di queste giornate si potranno incontrare i docenti che presenteranno contenuti, obiettivi e sbocchi professionali dei Corsi di Laurea. Inoltre ci sarà la possibilità di visitare le strutture dell'Ateneo e di conoscere nel dettaglio i servizi, le modalità di iscrizione e le iniziative di sostegno allo studio. A questo proposito sarà presente un info point con studenti tutor che saranno a disposizione dei visitatori per maggiori informazioni. Chiunque volesse partecipare a queste giornate può iscriversi tramite l’apposito form raggiungibile selezionando il banner “Open Day” nella home del sito Iulm. (s.f.) Sarà online nel corso del mese di marzo il nuovo portale dell’Università (nella foto), raggiungibile digitando www.iulm.it. Molte le innovazioni, a partire dalla homepage dove un rullo scorrevole mostra le iniziative più rilevanti dell’Ateneo. La pulizia dell’impaginazione e la scelta dei colori sono finalizzate a una maggiore comprensione. Appena sotto il rullo, tre macroaree: “Primo Piano” che sottolinea le notizie più importanti, “Offerta didattica” che permette agli studenti di accedere alle informazioni dei Corsi di Laurea e “Partnership” che illustra le aziende che collaborano con l’Università. Il grosso frame blu sulla sinistra, che semplifica la navigazione, e i link alle iniziative collegate all’università (come il sito del nostro giornale, il Virtual Campus e le convenzioni per gli studenti) accompagnano il navigatore in tutto il sito. Importante anche la parte multimediale, con i video degli ospiti più prestigiosi intervenuti allo Iulm e la sitemap in fondo a ogni pagina consente di avere sottomano tutte le sezioni presenti nel sito. Infine, non mancano i collegamenti ai social network come Facebook, Twitter, Flickr e Youtube. (s.f.) LA CONFERENZA Insegnare la filosofia alle elementari serve a dare i giusti valori ai bambini tadini giunti da ogni parte del mondo. Il professore ha, poi, presentato una mozione sia al Senato sia alla Camera, per impedire il progetto d’acquisto di una cinquantina di caccia bombardieri JSF (Jet Super Fight), che costerebbero allo Stato circa 100 miliardi di euro. “Per fortuna la nostra Costituzione rifiuta la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti tra nazioni, questi caccia sono strumenti esclusivi d’attacco e non di difesa, che non ci servono. Con questi fondi possiamo costruire nuovi ospedali e asili nido, in Italia ne servirebbero 20.000. Science for Peace si batte anche per questo”. La copertina del libro Anna Gaudenzi I nsegnare la filosofia alla scuola primaria è non solo possibile, ma utile e altamente formativo. Durante la conferenza internazionale sull’insegnamento della filosofia organizzata dall’Unesco presso l’Università Iulm tra il 14 e 16 febbraio 2011 filosofi, professori e membri della commissione dell’Unesco, hanno discusso sui metodi necessari per avvicinare il bambino alle grandi domande sull’essere, con la convinzione che la filosofia possa contribuire all’educazione di un individuo consapevole del suo ruolo nel mondo. Il tema dell’insegnamento della filosofia al bambino è affascinante e si presta a numerosi studi nell’ambito pedagogico. Pur apparendo una materia complessa e lontana dai bisogni fondamentali della persona, la pratica filosofica è una necessità che si presenta fin dalla più tenera età: infatti è proprio durante l’infanzia che si sviluppa l’attitudine a porsi domande sull’essere, sul divenire e sul mondo. Ed è senza dubbio la scuola, secondo quanto emerso dagli interventi, il luogo ideale dove iniziare a sviluppare un pensiero filosofico, infatti è a scuola che il bambino è più stimolato a ra- gionare per cercare risposte a aperta alla problematizzadomande che spontaneamente zione e un linguaggio semgli si presentano. Esperimenti plice e accessibile. in tal senso sono stati intrapresi Angela Melo, Presidente in molti Paesi tra del settore i quali Austria, Scienze Umane e Belgio, Canada, Sociali dell’UneFrancia, Stati sco, durante il suo Uniti e Germaintervento ha sotnia. Al centro tolineato come la della ricerca i mefilosofia, proprio todi scientifici e i perché concerne progetti educativi problemi etici, per stimolare l’atestetici e esistenteggiamento filoziali: «porta l’insofico nel dividuo fin bambino ma dall’infanzia a raanche per formare gionare sulla coninsegnanti in dizione umana e, grado di affronin momenti di tare la materia. crisi morale e Non è possibile istituzionale né utile usare un come questo, in approccio storico un mondo in cui alla filosofia, prevale l’imporquello per lo più tanza dell’econoseguito nella mia, può essere scuola secondaria, un mezzo utile ma andrebbe piutper formare uotosto adottata mini e donne Il filosofo Euripide che vedano nella una metodologia Iulm e Unesco uniti per i giovani Tra il 14 e il 16 febbraio si è tenuta alla Iulm la conferenza regionale (Europa e Nord America) sull’insegnamento della filosofia organizzata dall’Unesco. Studiosi di tutto il mondo hanno dibattuto sull’importanza dell’insegnamento della filosofia a tutti i livelli scolastici. Oltre al rettore Giovanni Puglisi, presidente della commissione italiana dell’Unesco, sono intervenuti tra gli altri Moufida Goucha Presidente della sezione di Filosofia e Democrazia, Angela Melo Presidente del settore di Scienze Umane e Sociali, Michele di Francesco professore di filosofia presso l’Università San Raffaele. (a.g.) democrazia, nella giustizia nella pace i valori giusti a cui fare riferimento». Anche in Italia vi sono stati alcuni importanti studi teorici. Il Centro di Ricerca per l’Insegnamento Filosofico di Roma e il Centro Interdisciplinare di Ricerca Educativa del Pensiero di Rovigo sono attualmente responsabili di una sperimentazione che coinvolge circa 50 scuole in tutt’Italia anche se in realtà è difficile stimare il numero esatto di classi coinvolte. Michele di Francesco, Professore di filosofia presso l’Università San Raffaele di Milano, da anni si occupa di ricerca in questo ambito e alla Iulm ha parlato di «necessità di trovare raccomandazioni da parte dei governi proprio per istituzionalizzare l’insegnamento della filosofia alle primarie e alla scuola dell’infanzia». E ha sottolineato: «Con la filosofia il bambino impara ad ascoltare l’altro e a confrontarsi. Compatibilmente con l’età del bambino e la sua sensibilità, la filosofia può avere il compito importante di educare un cittadino consapevole e un adulto responsabile»; ha concluso però: «Non bisogna dimenticare che in Italia la filosofia viene insegnata solamente negli ultimi anni del liceo, sarebbe invece fondamentale che fosse presente anche negli altri istituti superiori». Pagina 24 IULM NEWS LAB Iulm Dalla rivolta scoppiata in Maghreb contro i dittatori una lezione della storia Errori e orrori del potere segue dalla prima Gli orrori del secolo scorso, quelli che hanno sconvolto l’umanità – la follia criminale nazista e l’equivalente impareggiabile ipocrisia politica della dittatura del proletariato, che ha contagiato attraverso quella che si chiamava l’Internazionale comunista l’intero Occidente – sono stati archiviati nella memoria storica e politica, specie delle giovani generazioni, che – purtroppo! – a mala pena ne hanno nozione, anche per la stravaganza dei programmi scolastici e per le rimozioni di molta cultura contemporanea. Oggi l’iconologia mediatica, che orienta opinioni, flussi umani e anche finanziari è quella dettata dalle grandi holding della comunicazione, che riescono a trasmettere miti e illusioni, quasi sempre senza cavo, che, incontrando nell’empireo del- l’onirico o del fantastico sogni infranti e speranze disperate, li rivitalizzano, originando nella realtà flussi irrefrenabili di uomini e donne, che cercando l’Eden sulle nostre sponde, una volta arrivati ne sperimentano invece l’aspetto infernale. All’inizio del secolo scorso, quando il mito americano attirava migliaia di immigrati dall’Europa e, molti fra essi dall’Italia, bastava l’embargo decretato dal Governo americano per dissuadere, prima che fermare i flussi. Oggi la quantità dei flussi, ma soprattutto la maturazione della coscienza civile delle genti ha reso questo problema “il problema” della nostra epoca, con risvolti politici ed economici assolutamente imprevedibili. Un solo esempio vale come prisma politico per la comprensione della rivoluzionaria potenzialità di questo problema. Quando, all’inizio del secolo scorso, i nostri immigrati e, ancor di più quelli che approdavano sulle coste americane dall’Africa sub sahariana, spesso emergendo da galere putride e maleodoranti, non avrebbero mai immaginato che uno di loro, un secolo dopo, sarebbe stato il Presidente degli Stati Uniti d’America. L’avvento di Barack Obama alla Casa Bianca non è stata solo una rivoluzione politica, bensì una vera rivoluzione epocale, che insieme alla caduta del Muro di Berlino ha dato la misura del cambiamento. La percezione del cambiamento però da sola non basta a dare la forza della progettualità; e, cosa ancora più importante, non basta alla comprensione della sua ineluttabilità. È quanto accade in questi giorni, vorrei dire in queste ore sotto i nostri occhi: la caduta del dittatori, corrotti e arroganti, dell’Africa del Nord non ha insegnato ancora molto agli altri dittatori, che ammantati dal paludato ombrello del potere o dalla impareggiabile forza del petrolio, continuano a credere di poterla fare franca. In verità fin quando la comunità internazionale non avrà la forza e il coraggio di arrestare, processare e fare marcire in un carcere per il resto dei loro giorni, tutti i criminali di guerra e non solo, che hanno commesso e continuano a commettere crimini contro l’Umanità, violando in modo palese o occulto i diritti umani, non riusciremo mai a vincere questa vera battaglia di civiltà. L’ultimo venuto alla ribalta di questi immondi personaggi è il libico Gheddafi, ma – temo proprio – che il mondo sia ancora pieno di questi spregevoli e terribili personaggi, che, all’ombra degli intrecci di potere tra Stati e tra di loro o all’ombra del possesso delle fonti di energia – oggi il petrolio, domani l’acqua – riescono ad attraversare, impuniti e ta- lora anche temuti, il tempo e, purtroppo, le vite dei loro oppositori, calpestandole, anche fisicamente. Di costoro si conoscono nomi e cognomi, paesi e crimini, ma i potenti del mondo spesso tacciono, se addirittura non banchettano con costoro. È davvero strano vedere come la forza della comunicazione senza frontiere, spesso si incagli sulla soglia dei Palazzi dei Potenti della Terra, impedendo loro di aprire gli occhi davanti ai criminali misfatti dei loro “colleghi”. La distanza tra il Potere e la società civile, tra i ricchi e i poveri, tra i potenti e gli umili si allarga così sempre di più, a prima vista a danno dei secondi, ma la Storia dimostra che le cose, per fortuna, alla fine stanno proprio al contrario, “perché di loro sarà il Regno dei Cieli”. Parola di Dio, è bene non dimenticarlo. Giovanni Puglisi