PAGINE 12-13
PAGINE 18-19
Cheerleaders,
ragazze pon-pon
che sognano
l’America
23
2-
S G. 2
W PA
Ai giovani
piace la lirica.
Anche
da cantare
E
PAGINE 8-11
Milano punta
in alto.
Ma gli uffici
restano vuoti
N
Società
LM
Cultura
IU
Verticalità
Marzo 2011
AnnoVIII
Numero II
labiulm.
campusmultimedia.net
Periodico del master in giornalismo dell’Università Iulm - Campus Multimedia In-formazione - Facoltà di Comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità
ERRORI E ORRORI
DEL POTERE
Giovanni Puglisi
È
ricorrente sentire dire
che il mondo sta cambiando: non è vero, il
mondo è già cambiato. È però
ugualmente vero che molte
cose, specialmente gli errori e
gli orrori, non cambiano mai.
È cambiato l’equilibrio del
mondo: oggi gli Stati Uniti
sono, in maniera quasi indiscussa, l’ago della bilancia
della situazione eco-politica
mondiale, con due nubi burrascose però incombenti, la Cina
da una parte con la sua strisciante ricchezza sommersa e
dall’altra l’emarginazione sociale, che, purtroppo, costituisce il vero pericolo sociale e
politico di questo millennio.
continua a pag.24
Pratica, ecologica ed economica, la bici
sta conquistando le città europee.
In Italia cresce la passione, ma la
ciclabilità rimane insufficiente. Viaggio
nel mondo a due ruote made in Italy,
fra bike sharing, nuovi mestieri
e vacanze a pedali
PAGINE 4 - 7
Vita e opere di Walter, tassista virtuale. Ma non troppo
PAGINE 14-15
Pagina 4
PRIMO PIANO
LAB Iulm
Bicimania
La bicicletta fa bene a salute
e portafoglio. Ma in Italia
pedalare è un problema
Ilfuturo
a pedali
Chiara Daffini
Preso a schiaffi e chiamato
ladro sotto gli occhi del proprio bambino. Una delle peggiori umiliazioni per un padre.
E tutto per una bicicletta.
“Ladri di biciclette”, il film di
De Sica, capolavoro del neorealismo italiano, mostra con
lucidità drammatica l’importanza del mezzo a due ruote
nell’Italia del secondo dopoguerra.
Poi venne l’era dell’auto.
Adesso, dopo 60 anni, per la
bicicletta sembra giunta l’ora
della rivalsa, di un nuovo
Fra i paesi europei messi a confronto nel grafico,
l’Italia ha il minor sviluppo assoluto di piste ciclabili.
amore da parte degli italiani.
Olanda e Danimarca hanno città interamente
In Italia ci sono circa 30 miciclabili, mentre la Germania ha triplicato negli
lioni di biciclette registrate,
ultimi 10 anni la viabilità riservata alle due ruote
quasi quanto le auto (35milioni).
Oggi spostarsi in bicicletta è
chic: l’ecologia e l’essere alternativi sono di moda. Ma non vece il mezzo più veloce e pen- Inoltre apporta effetti positivi differenziare la raccolta dei risi tratta solo di un fenomeno di siamo a quante se ne possono anche a livello psicologico, fiuti e di usare carta riciclata,
costume. Pedalare sta diven- parcheggiare nello stesso spa- contribuendo alla liberazione presto la bicicletta potrebbe intando una necessità.
zio di un’automobile.
di endorfine nel nostro cer- serirsi nelle nostre abitudini
Sempre più persone e sempre La questione, comunque, tocca vello: queste sono sostanze quotidiane.
più città stanno ritornando ad anche l’ambito della salute, sia chimiche con proprietà analge- La fattibilità di questo cambiautilizzare la bicicletta.
individuale sia collettiva. È in- siche ed ansiolitiche che raf- mento, tuttavia, si scontra con
E le ragioni sono molteplici.
dubbio che il livello di inqui- forzano il buonumore e ostacoli sia tecnici sia di menPartiamo da quelle
sti l’autostima.
talità. In particolar
Chi
va in namento
Percorsi modo,
economiche: tenere e
raggiungendo soglie Cambiare il futuro pele città itabicicletta intollerabili e che dalando: il punto ancittadini liane sono ancora
mantenere un’automobile è sempre più
soffre l’intera umanità ne- cora controverso sta sacrificati poco attrezzate e
costoso, sia in termini
cessiti aria più pulita. nel fatto che la riscostrutturate per permeno Ciò che tuttavia perta della bicicletta alle esigenze mettere la viabilità
di tempo che di denaro. Rincari della di malattie molti sottovalutano è non dovrebbe essere del traffico ciclistica.
benzina, generale aubeneficio che la un regresso ai tempi in
percorsi per le due
vascolari ilpedalata
veicolare Iruote
mento dei prezzi sul
conferisce cui certe comodità
sono decisamercato, elevate spese
al singolo.
non ce le si poteva
mente marginali e sadi manutenzione: sono
Una ricerca condotta permettere.
crificati rispetto allo
solo alcune delle voci anti- dalla Società britannica per la Spesso non è nemmeno una ri- spazio destinato all’automoauto.
Medicina ha dimostrato che scoperta, bensì una scoperta bile. Inoltre gli italiani stessi
E non parliamo del traffico e chi va spesso in bicicletta più vera e propria (pensiamo, per tendono a vivere la bicicletta
delle lunghe code al volante, volte la settimana è molto più esempio, ai giovani) e, in ogni come sacrificio, più che come
che nuocciono al corpo e alla sano della media. Pedalare mi- caso, più che una rinuncia è un alternativa sana alla mobilità
mente.
gliora la condizione fisica ge- cambiamento generale nello su 4 ruote.
Sui percorsi urbani congestio- nerale e la resistenza ai stile e nella filosofia di vita. Un discorso a parte è quello rinati la bicicletta si dimostra in- malanni stagionali.
Come sentiamo il bisogno di guardante la qualità delle piste
STATIUNITI
Quasi il 75% dei dipartimenti di polizia delle città
con almeno 50 mila abitanti dispongono di pattuglie
di sorveglianza in bicicletta. Grazie all’uso delle due
ruote ipoliziotti riescono ad essere più veloci e
possono raggiungere il luogo di un incidente o di un
crimine in silenzio. Mediamente operano il 50% in
più di arresti al giorno rispetto ai colleghi in auto.
OLANDA
ciclabili.
In Italia la gran parte di esse, in
ambito urbano, altro non sono
che corsie delimitate da sole
righe che vengono regolarmente invase dagli automobilisti più indisciplinati.
In Germania (così come in
Olanda e Danimarca) invece,
si trovano piste ciclabili urbane
sicure, con apposita cartellonistica e, soprattutto, in sede separata rispetto a quella
dedicata al traffico veicolare.
Per misurare il sostegno alla
mobilità su due ruote, Legambiente ha elaborato un indice di
ciclabilità che tiene conto non
solo della lunghezza, ma anche
della tipologia delle piste,
quindi delle aree pedonali,
delle zone con limite di velocità a 30 km/h, degli interventi
di limitazione del traffico.
E se è vero che Modena è la
città con la più estesa rete di
piste ciclabili (190km) e Pa-
E’ stato realizzato un Bicycle Master Plan.
Questo progetto, oltre che a creare piste ciclabili e
rastrelliere in tutte le città, permette ai ciclisti di
avere la precedenza sulle auto in tutte le strade e a
tutti i semafori. Nel 2007, Amsterdam è diventata
la prima città occidentale in cui il numero di
spostamenti in bicicletta ha superato quelli in auto.
LAB Iulm
PRIMO PIANO
L’INTERVISTA
Pagina 5
BRUNO PIZZUL
“La mia passione per la bici?
Colpa di una insufficienza a scuola”
Lo storico telecronista sportivo ha girato il mondo per seguire
la Nazionale, ma da sempre a Milano si muove solo su due ruote.
tutte; oggi però ho maturato la sere il più puntuale agli appun- lità. Quando si parla di piste ciconsapevolezza che è meglio tamenti perché so quanto clabili a Milano sembra che si
andare in giro per Milano con tempo impiego per raggiun- debba convocare un grande aron la sua mitica voce bici non appariscenti e pre- gere un luogo e quando arrivo chitetto e che si debbano fare
Bruno Pizzul ha rac- ziose perché sennò te le ru- ho sempre un palo a cui legarla chissà quali lavori.
bano. Adesso è un paio d'anni (sperando di ritrovarla quando In realtà, sul modello di altre
contato
grandi città euche giro per esco!) ».
più di trent’anni
ropee, le così
Milano con una
Com’è muodi calcio direttaQuando piove dette piste cimente dai mi- Sono noto tra gli bici anonima, versi per una
crofoni
di amici per essere il che non ha grande città
indosso una clabili non sono
che i marmamma Rai, di- più puntuale agli nulla di partico- come Milano
mantellina
tipo altro
ciapiedi,
là
lare. E’ una ba- con la due
ventando nel
nostromo dei dove sono sufappuntamenti nalissima bici ruote?
tempo una vera
transatlantici di ficientemente
«La bicicletta è
e propria icona perché so quanto da città che non
per tutti gli apuna volta larghi, che ventempo impiego ha neppure il un mezzo di tragono divisi in
cambio».
sporto comodispassionati di
due settori: uno
Quando e simo per una
questo sport.
per i pedoni e
dove
nasce città come MiMolti non sanno che nel
lano, purtroppo non ci sono l'altro per i ciclisti. Occorre
cuore di questo storico tele- l'amore per la bicicletta?
«Quando ero piccolo c’erano piste ciclabili, però non ci sono consapevolezza ed educazione
cronista vi è anche un’altra
passione, molto più remota di poche macchine e molte bici. nemmeno salite. La utilizzo da parte dei pedoni e dei cicliquella del pallone: il cicli- La bicicletta infatti era il sotto la neve e sotto la pioggia: sti: Amsterdam è un buon
smo. Quella delle due ruote è mezzo di locomozione per ec- quando piove indosso una esempio di convivenza tra queste due realtà».
per Bruno Pizzul un amore
Lei cita Amsterdam. Altri
autentico, nato in gioventù e
paesaggi visti con la bicimaturato grazie ad un contecletta?
sto sociale diverso da quello
«In tutte le città europee che
di oggi.
ho visitato ci si sposta benisSi ricorda la sua prima bisimo in bici. Negli stessi Stati
cicletta?
Uniti, ad esempio a Los Ange«La prima mi è stata regales, tutti vanno in bicicletta.
lata da mio padre quando ero
Mi sono meravigliato del fatto
in seconda media.
che c’è molta più gente che noLui mi aveva fatto una proleggia e gira la città in bicimessa: ne avrei ricevuta in
cletta rispetto a Milano.
dono una non appena avessi
Sottolineo Milano perché ci
preso una insufficienza a
sono alcune città italiane dove
scuola.
l'uso della bicicletta è molto
Mio papà non voleva che andiffuso: soprattutto quelle emidassi a scuola perché diceva
liane, venete e del Friuli dove
che tutti i guai dell'umanità
si usa di più la due ruote».
derivano da quelli che hanno
La parte più bella di Milano
studiato. Mentre mia mamma
da visitare in bici?
dava molta importanza allo
«Le più belle sono le piste cistudio.
clabili nate lungo il Ticino e le
Il giorno che ho preso un cinaree pedonali che si trovano alque in matematica mia madre
l’interno della città. Anche il
mi ha mandato a dormire
percorso che faccio da Corso
senza cena, mentre mio papà
Sempione per andare in
l'indomani mattina mi ha
Duomo è stupendo.
fatto trovare una bicicletta
Oggi però si è perso il gusto
nuova ai piedi del letto. Bruno Pizzul non ha la patente per scelta, da sempre adora girare
del viaggio. Il bello della biciQuella è stata la mia prima per Milano in bicicletta.
cletta è che ti permette di fervera bici. Lì però i miei genitori hanno rischiato il divor- cellenza. In più la patente au- mantellina tipo nostromo dei marti e guardare il paesaggio.
zio anche se ai tempi non tomobilistica non l'ho mai fatta transatlantici di una volta. In macchina invece tutto quequindi la due ruote è il mio L’unica cosa fastidiosa è do- sto non lo puoi fare.
c'era ancora!»
vere pedalare sul pavé e sulle C'è una dimensione temporale
La bici più strana e pre- mezzo comune di trasporto.
ed esistenziale diversa, più
Mi muovo per Milano solo in rotaie del tram, quello sì».
ziosa che ha avuto?
Se fosse Sindaco di Milano lenta e riflessiva, capace di re«Ne ho ricevute in dono pa- bicicletta: andare in bici per la
recchie: Bianchi, Pinarello e città non è un gesto di grande cosa farebbe per incentivare galarti delle sensazioni che non
sono tipiche del mondo moColnago. Sebbene io mettessi valore atletico però denota un l'uso della bici?
«Moltiplicherei le piste cicla- derno».
grande attenzione nel sorve- grande sprezzo del pericolo!
gliarle me le hanno rubate Sono noto tra gli amici per es- bili con un pizzico di razionaChiara Pagnoni
C
dova è il capoluogo con più
piste ciclabili in rapporto alla
sua superficie (133,2), è Reggio Emilia la città più ciclabile
d’Italia: qui la bicicletta copre
il 15% della domanda di mobilità, con punte anche del 30%.
Milano, invece, pur collocandosi al tredicesimo posto per
estensione delle piste ciclabili,
scala addirittura al 72° per indice di ciclabilità.
Il problema principale,
insomma, è di tipo amministrativo e infrastrutturale:
manca una dotazione ciclabile,
in quantità e qualità, e, di conseguenza, il cittadino non è
certo propenso all’utilizzo
della bicicletta per gli spostamenti urbani, perché lo ritiene
scomodo e insicuro.
Allora è proprio il caso di rimodernare un vecchio proverbio: vuoi un futuro migliore?
Pedala!
CINA
Negli ultimi anni le vendite di bici elettriche sono
balzate alle stelle: sono passate dalle 40 mila del 1998
ai 21 milioni del 2008. La Cina ha oggi quasi 100
milioni di bici elettriche e circa 50 milioni di automobili. Oggi la e-bike è considerata il mezzo eco sostenibile del futuro per tutte le città del paese. Alcune
bici elettriche possono raggiungere i 35 km all'ora.
DANIMARCA
Per il 36% della popolazione, la bici è il mezzo
di trasporto preferito per andare al lavoro.
Nella capitale la corsia ciclabile è larga più di
due metri ed è separata dall’asfalto per mezzo
di cordoli. Le biciclette hanno una strada propria basata sul concetto di ‘onda verde’, ovvero
semafori sincronizzati a ‘velocità’ di bici.
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PRIMO PIANO
LAB Iulm
Bicimania
I Libri
Valentina Evelli
FILOSOFICO
Titolo: Lo zen e l’arte di andare
in bicicletta
Autore: Claude Marthaler
Casa Editrice Ediciclo
Pag. 144
Prezzo 14,50 
PRATICO
Titolo: Manuale di resistenza del
ciclista urbano
Autore: Luca Conti
Casa Editrice Ediciclo
Pag. 224
Prezzo14,90 
BIOGRAFICO
Titolo: Tutta mia la città. Diario
di un bike-messanger
Autore: Roberto Peia
Casa Editrice Ediciclo
Prezzo: 13 
Bike
&
Bus
Quando la passione
per la bici diventa un lavoro:
Urban Bike Messenger,
progetto ciclomobile
e ciclofficine
conquistano Milano
L
a bicicletta; solo un
mezzo di trasporto o il
nuovo business del
terzo millennio? “Una questione di punti di vista”- afferma Giò Pozzo mentre
sistema la catena di una bicicletta ancora senza ruote. A
colpo d’occhio sembra un
meccanico come tanti, ma in
realtà Giò Pozzo è un giornalista . Dal 1979 ha collaborato
con riviste e quotidiani nazionali (tra cui il Corriere della
Sera, Anna, La Gazzetta dello
Sport, il Sole 24 Ore) ma
negli ultimi anni ha deciso di
abbandonare la scrittura per
dedicarsi al grande amore per
la bicicletta. “ La crisi del settore editoriale mi ha espulso
dal mercato dei periodici. E’
stato un input fondamentale
per trasformare la mia grande
passione per la bici in un lavoro vero”.
Oggi Giò Pozzo le biciclette le costruisce: gestisce
da più di due anni “Orco
Cicli”, una società per la costruzione di biciclette artigianali. E’ un mercato in crescita
quello delle due ruote; un
settore di nicchia (soprattutto
in Italia). “Realizziamo biciclette artigianali (non più di
una alla settimana), pezzi
unici, destinati principalmente al mercato straniero.
Inghilterra e Olanda sono i
paesi in cui le nostre bici
hanno un buon riscontro” .
Le biciclette sono mezzi a
impatto zero – per alcuni il
trend positivo degli ultimi
anni potrebbe esser considerato soltanto una moda passeggera ma in realtà è la
conseguenza di una decrescita produttiva che coinvolge
tutti. L’aumento costante dei
costi di trasporto spinge
molte persone a utilizzare
sempre più sovente la bicicletta, specialmente per i
brevi spostamenti e per raggiungere la sede lavorativa.
Proprio il ritrovato amore per
la bici ha dato un forte impulso anche alla riscoperta
delle ciclofficine: luoghi in
cui è possibile trovare i pezzi
di ricambio e riparare da soli
il proprio mezzo.
“Non vogliamo biciclette
rubate, preferiamo recuperare
cadaveri” la filosofia della
ciclo- officina di Milano +BC (
Più Bici vicolo de castillia,
quartiere Isola) è chiara. Più
Bici è un’associazione che riunisce gli appassionati della bicicletta che vogliono riparare
da soli il proprio mezzo. Una
vera e propria “officina specializzata” che mette a disposizione i pezzi di ricambio, usati
o nuovi (volendo si possono
anche portare i ricambi da
casa).
Due i principi dell’associazione esposti in bella vista all’entrata del capannone nel
vicolo de Castillia: do yourself- fallo da te, “noi ti forniamo i pezzi ma la bicicletta
te la ripari tu” e la “socializzazione del sapere”. Un covo di
ciclisti urbani in cui proprio
grazie alla condivisione delle
conoscenze meccaniche si può
imparare a metter mano a catena e copertoni.
Il costo? Basta una quota associativa (cinque euro annuali)
e un contributo simbolico per i
pezzi utilizzati. Tremila i soci
“
Davide Giovanetti
socio dell’agenzia di viaggio
Mondobici
Viaggi low cost
e percorsi a tappe
per turisti
dinamici con la
mente aperta
”
iscritti all’associazione nel
2010 di cui più della metà sono
donne che si dilettano a metter
mano tra ruote e pedali. I giovani e gli anziani sono i più attratti dalla bicicletta. Per gli
studenti, in particolare, circa
un anno fa è stato lanciato il
progetto della Ciclomobile. Un
L’INTERVISTA
furgone a metano con pannelli
solari, finanziato dalla fondazione Cariplo, che da più di un
anno e mezzo mette a disposizione due meccanici professionisti per riparare le biciclette
degli studenti. Tutte le settimane il furgone staziona davanti ai principali atenei
DAVIDE
GIOVANETTI
A spasso per il
Monica Giambersio
D
avide Giovanetti è uno
dei tre soci dell’agenzia turistica Mondobici
(www.mondobici.it), specializzata nell’organizzazione di
viaggi in bicicletta in Italia e
all’estero.
Che tipo di clienti si rivolgono alla vostra agenzia?
«I nostri clienti sono soprattutto coppie e famiglie, anche
con bambini. Per i più piccoli,
in particolare, oltre a prezzi ridotti, abbiamo sia delle bici da
attaccare a quella del genitore
sia seggiolini. L’età media è di
30 - 40 anni e, a livello territoriale, operiamo soprattutto
su Milano. Una sola volta ci
sono capitati dei clienti dalla
Colombia che, però, avevano
origini italiane. Organizziamo
delle gite domenicali di prova,
ad esempio nel parmense, che
comprendono il giro in bici più
il pranzo al ristorante in modo
da permettere al cliente di capire se è il tipo di vacanza
adatta a lui. I tour veri e propri,
invece, durano una o due settimane e comprendono l’alloggio in un Bed & Breakfast o in
un albergo con la mezza pensione, il noleggio della bici e il
trasporto dei bagagli. I percorsi
sono generalmente divisi in
tappe di 35-40 Km al giorno; al
cliente viene data una road
map e la tappa da raggiungere.
Non importa in quanto tempo
il tragitto viene percorso durante la giornata, l’importante
è che la sera i clienti raggiungano l’albergo».
Bisogna avere una preparazione atletica per questo tipo
di viaggi?
«No, anzi, per gli atleti i percorsi che proponiamo sono
troppo semplici. Tutti possono
LAB Iulm
PRIMO PIANO
“
La crisi del settore
editoriale mi ha
espulso dal mercato
dei periodici. E’
stato un input
fondamentale per
trasformare la mia
grande passione
per la bicicletta in
un lavoro vero
e
&
siness
milanesi (Politecnico, università Statale, università Cattolica e università degli studi
Milano Bicocca): più di duemila e trecento i contatti registrati dall’inizio del progetto.
A salire in sella, professionalmente parlando, ci hanno pensato anche gli Urban Bike
Messenger: un servizio di delivery a due ruote che consegna
pacchi e buste sfrecciando in
bicicletta per le strade milanesi.
Il servizio ideato da Roberto
Peia, Andrea Vulpio e Luca
Pietra è stato attivato due anni
fa. Oggi, al termine della fase
Pagina 7
Curiosità
”
di start up, gli Urban Bike
Messnger contano più di centottanta clienti. Aziende di ogni
tipo ( da Prada a Coldiretti passando per Bwin e Henkel) che
usufruiscono di questo servizio
specialmente nel periodo natalizio.
Affidabilità velocità ed eco-
sostenibilità; queste le tre parole chiave che hanno fatto diventare gli Urban Bike
Messenger una realtà nel
campo del delivery- “E’ un
settore in via di espansione. In
città come Berlino il delivery
viaggia soltanto in bicicletta.
In Italia la situazione è diversa: siamo abituati a vedere
‘corrieri motorizzati’, ma da
alcuni anni a Milano anche i
corrieri in bicicletta stanno
avendo un buon riscontro” queste le parole di Andrea
Vulpio, ideatore del servizio,
che aggiunge - “Crediamo
nella logica di un mercato eco
compatibile. Ad oggi il nostro
target copre solo una piccola
parte del mercato ma il settore
è in continua crescita”.
In realtà le aziende puntano
molto sulle consegne in bicicletta, un servizio green, per
una questione di marketing e
visibilità. In un mondo in cui
tutto volge al verde, al bio e al
risparmio energetico gli Urban
Bike Messenger rappresentano un piccolo investimento
per un ritorno di immagine.
PIEGHEVOLE
Si chiama Brompton ed è una
mini-bici pieghevole che sta
spopolando in Inghilterra.
Leggera e pratica si
assembla in 15 secondi.
il modelllo base costa 700 euro
PISTA TOP
mondo faticando sui pedali
fare questo tipo di viaggio, in
più, per orientare nella scelta il
cliente, sul nostro sito ci sono
dei simboli che indicano il
grado di difficoltà del percorso».
Quali sono i costi di una vacanza in bici?
«Siamo intorno ai cinquecento euro a settimana con il
trattamento di mezza pensione.
Ultimamente, con la crisi, abbiamo incrementato molto la
nostra clientela. Vendiamo
molto i pacchetti fuori dall’Italia, ma dal 2011 abbiamo come
obiettivo quello di valorizzare
il turismo su Milano puntando
in particolar modo sulla zona
dei Navigli. Stiamo pensando
a week-end per turisti stranieri.
Penso che potrebbe essere interessante far vedere questa
città, di solito legata a concetti
come stress, lavoro e frenesia,
attraverso gli occhi della bici-
cletta».
Quali sono le mete più richieste?
«Austria e Germania. Questi
paesi hanno le migliori piste
ciclabili. In Austria, ad esempio, c’è una segnaletica specifica e dei punti di ristoro
apposta per i ciclisti. Abbiamo
poi l’Olanda, dove c’è la possibilità del pernottamento in
barca e la Francia, in particolare la zona della Loira che è
ben attrezzata per muoversi in
bici ed ha percorsi molto suggestivi, anche se più faticosi da
percorrere per la presenza dei
vigneti».
Qual è il periodo dell’anno
in cui avete più richieste?
«Noi, ovviamente, lavoriamo
nel periodo che va da MarzoAprile a Settembre-Ottobre,
ma Agosto è il mese più affollato».
Qualcuno si è mai pentito
1
2
3
4
Isle of Wight
Inghilterra
West Coast,
Tasmania,
Australia
Luberon,
Provenza,
Francia
San Juan Island,
Washington,
USA
5
Country Clare,
Irlanda
6
La Farola, Cuba
7
National Highway
Vietnam
8
Otago Peninsula,
Nuova Zelanda
Il Friuli Venezia Giulia
è al 10° posto
nella classifica Lonely Planet
dei luoghi migliori
da visitare in bicicletta
di aver scelto un viaggio in
bici?
«No, perché le persone che si
rivolgono a noi sanno che non
andranno in un villaggio turistico; hanno una mentalità più
aperta. E poi l’imprevisto è
proprio il bello di questo tipo
di vacanze. Una volta, ad
esempio, in Slovenia, non potevamo più proseguire il percorso perché era caduto un
ponte. Subito un vecchio del
luogo ci ha indicato una via alternativa. Vedere posti nuovi è
soprattutto conoscere persone,
e viaggiare in bici permette di
stabilire più contatti con la
gente del posto che, se può, ti
aiuta volentieri. In questo
modo si crea un’empatia tra il
turista e la realtà culturale con
cui entra in contatto; si rimane
meno stranieri riuscendo a
comprendere meglio il paese
che si visita».
La pista ciclabile
più corta del mondo
è lunga 2,5 metri e si trova
a Cardiff, in Galles,
Quella più bella d’Europa
collega la Francia al Belgio
ON LINE
Google maps ha recentemente
introdotto un nuovo servizio
che fornisce informazioni
sui tragitti dedicati
alle biciclette
Pagina 8
LA CITTA’ CHE CAMBIA
LAB Iulm
Milan
l’è un alt Milan
La metropoli cambia la sua
fisionomia e si sviluppa verso
l’alto. Ecco i progetti
che la trasformeranno
Francesco Maesano
Marco Mugnaioli
MartaEleonora Rigoni
M
ilano sale e affida la
proiezione verticale
di se stessa agli studi
di architettura più noti al
mondo, tentando di ripensarsi
verso l’alto.
Le Torri Hines progettate da
Cesar Pelli e Nicholas Grimshaw alla stazione Garibaldi, la
Torre Diamante su viale della
Liberazione e il Bosco Verticale di Stefano Boeri nel quartiere Isola. E ancora il Dritto di
Arata Isozaki, lo Storto di Zaha
Hadid e il Curvo di Daniel Libeskind, i tre grattacieli del
progetto CityLife nella zona
della fiera.
Nel 2011 Milano è uno dei
più grandi cantieri d’Europa.
Nell’area che già dal piano regolatore del 1954 era stata destinata a centro direzionale, si
stanno alzando oggi le torri del
progetto Porta Nuova, la più
alta delle quali raggiungerà i
200 metri. La zona, a seguito
della costruzione della stazione
Garibaldi e della chiusura della
stazione ex Varesine, era rimasta disconnessa dal resto della
città per oltre quarant’anni.
Oggi ambisce a divenire un
polo votato alla tensione comunicativa con il centro storico meneghino.
L’architetto Pelli, autore del
masterplan, l’ha voluta come
zona pedonale sviluppata intorno ad una piazza centrale
rialzata, un podio a sei metri
dal livello della strada sul
quale si affacceranno le strutture ecosostenibili in vetro e
ferro della cittadella della
moda, delle residenze, degli
uffici e del grande albergo che
conchiuderà la piazza.
Alle spalle, in un dialogo
220 m
215 m
ideale con il Pirellone, si alza
il palazzo Lombardia, nuova
sede della regione che con i
suoi 161 metri è attualmente
l’edificio più alto d’Italia. Nel
vicino quartiere isola vedranno
la luce le due torri del ‘bosco
in verticale’ progettate da Stefano Boeri a scopo residenziale. Sui due palazzi si
svilupperà una flora di 600 alberi, alcuni dei quali alti fino a
9 metri (vedi box).
Tanto verde anche nel progetto CityLife. Il quartiere, che
ruota attorno a un ampio parco
urbano, sorgerà nella zona
della ex fiera e sarà la più
grande area car-free di Milano,
nella quale campeggeranno i
tre grattacieli firmati Isozaki,
Hadid e Liebeskind: Il dritto,
lo storto e il curvo saranno i
nuovi simboli di Milano nel
mondo. Il progetto sarà collocato in una posizione strategica
rispetto ai mezzi di trasporto
grazie alla vicinanza della fermata della M1, della fermata
Domodossola-Fiera delle ferrovie Nord e alla fermata ‘tre
torri’ della futura M5.
Sui progetti in attuazione e
sull’idea di una Milano sviluppata in verticale è in corso un
acceso dibattito tra gli addetti
ai lavori, tra chi è in disaccordo
con il piano del Comune di Milano e attacca la scelta di costruire grattacieli e chi, invece,
difende il senso delle scelte urbanistiche volte ad una densificazione del territorio e
rivendica la qualità dei progetti
in opera. Quale città uscirà da
mezzo decennio di lavori? Chi
e quanti saranno coloro che
abiteranno e lavoreranno nelle
nuove torri? E come penseremo lo spazio urbano una
volta ultimate le opere?
«Occuparsi di una città badando ad una sola dimensione
è una grandissima stupidag-
215 m
190 m
187 m
PERCHE’ SI
“
I progetti
consentiranno a
Milano di assumere
la connotazione
di una città
policentrica
”
175 m
172 m
gine», afferma l’architetto Arturo Beltrami, ex docente di urbanistica del Politecnico di
Milano. «Dovremmo operare
la distinzione classica tra tra civitas e urbs. Se parliamo del
complesso urbano, l’urbs, allora dobbiamo dire che il corpo
della città non è plasmato da
logiche formali ma da logiche
immobiliari. Logiche che non
fanno riferimento alle esigenze
della popolazione urbana, cioè
della civitas». E allora Milano
cos’è? La sede delle banche o
la città dei milanesi? «Qual-
cuno pensa che sia principalmente la prima di queste due sostiene Beltrami - ed è davvero così quando l’unico disegno strategico in piedi è quello
finanziario. L
. a città di Milano
è destinata ad essere in questa
continua trasformazione. Un
cantiere continuamente alla
rincorsa del tamponamento dei
disastri che vengono fatti».
Quindi, secondo Beltrami
anche la città di Milano sarebbe stretta nella unidimensionalità che le hanno imposto
il progresso tecnico e l’audacia
City Life
Cosa&quando
170 m
168 m
162 m
161 m
150 m
140 m
127 m
120 m
LAB Iulm
LA CITTA’ CHE CAMBIA
esecutiva almeno quanto le ragioni dell’investimento e dello
sviluppo.Sula stessa linea si
pone Antonella Contin, ricercatrice del Politecnico di Milano che in più evidenzia il
problema delle dimensione
della città: «Verticalità, si?
Verticalità, no? Io direi verticalità, boh? E’ la taglia della città
che è cambiata e a questo deve
fare seguito un salto di scala.
La città non sta cambiando, si
sta conservando. E conserva
troppo e in modo miope. Non
ha ancora capito come cam-
biare di scala. Nei nuovi progetti, a parte quello di Zaha
Hadid che credo abbia sentito
più degli altri la città e il Pirellone, si tratta essenzialmente di
case estruse, edifici che potevano essere di dieci piani e invece sono di trenta». Anche
Jacopo Gardella, architetto ed
ex docente del Politecnico di
Milano Bovisa, esprime le sue
perplessità sulla costruzione di
grattacieli: «Milano se costruisce,costruisce alto e questo ha
ben poco a che fare con la
mancanza di spazio. Di fatto i
PERCHE’ NO
“
Occuparsi di
una città badando
solo alla dimensione
verticale è una
grandissima
stupidaggine
”
Porta Nuova
Come sarà
117 m
108 m
105 m
105 m
105 m
106 m
95 m
90 m
89 m
Pagina 9
terreni intorno ad ogni grattacielo vengono occupati dalle
infrastrutture che devono servire all’edificio, sviluppandosi
di fatto anche orizzontalmente».
Nella logica del Comune di
Milano lo sviluppo verticale risponde alle esigenze di densificare alcune zone della città,
in tal senso si è espresso Andrea Boschetti, responsabile
della direzione scientifica del
Piano di Governo del Territorio di Milano. «Densificare,
nella definizione strategica del
nuovo PGT di Milano significa
dare forma e concretezza ad
una chiara visione di progetto.
Densificare assume il compito
di valorizzare le aree porose
della città costruita, promuovendo la crescita della città
all’interno della città, con l’effetto di incentivare nuovi modi
di vivere e abitare. Densificare,
infine, per favorire la costruzione della città multicentrica,
in alternativa allo sviluppo
esclusivamente radiale, che ha
finora segnato in modo devastante la relazione centro periferia nella dotazione di servizi
di Milano». Anche Armando
Borghi, docente del Master in
Real Estate della Bocconi sostiene l’idea dello sviluppo di
una città policentrica.«Le città
italiane hanno generalmente
seguito un’unica direzione per
espandersi: quella orizzontale.
Milano è in questo senso untipico esempio. Non si è mai ottimizzata l’altra direzione del
mercato: quella verticale. Milano è una delle poche città europee con una limitata
presenza di palazzi di altezza
significativa. Oggi, grazie ai
nuovi progetti, la città oltre a
svilupparsi anche in verticale e
non più solo in orizzontale,assumerà la connotazione di una
città policentrica».
85 m
86 m
84 m
BOSCO VERTICALE
Secondo i progettisti i
600 alberi disposti
sulle quattro facciate
dei due immobili daranno un contributo a
combattere l'inquinamento acustico e alla
cattura delle polveri
sottili, oltre a rilasciare
umidità e produrre ossigeno. Per verificare
la fattibilità del progetto sono state necessarie analisi di
micrometeorologia,
prove presso la galleria del vento e un calcolo preciso sul
dimensionamento
delle vasche contenitrici delle piante.
81 m
79 m
Pagina 10
LA CITTA’ CHE CAMBIA
LAB Iulm
Ci sono trenta Pirelloni
di uffici vuoti: ma a Milano
si costruisce ancora,
soprattutto in zone
mal servite dai
mezzi pubblici
La
Anna Chiara Gaudenzi
Francesco Piccinelli
U
na tra le prime cose che
vede chi arriva in città
uscendo, dall’Autolaghi, a Milano Certosa, zona
nord’ovest di Milano, sono le
Torri di Via Val Formazza.
Questo complesso di 5 grattacieli, valutati, nel 2008, 33 milioni di Euro, di proprietà
dell’immobiliarista e assicuratore Salvatore Ligresti, giace
semi abbandonato in una tra le
zone più degradate di Milano.
Fino a pochi anni fa, solo sette
piani della Torre 3 erano occupati da Castorama, la grande
catena di negozi di bricolage,
acquisita nel 2009 da Leroy
Merlin mentre oggi, a presidiare questo monumento all’abbandnono,
rimangono
l’Euroresins, azienda spagnola
che produce resine industriali,
destinata ad abbandonare i propri uffici a marzo, due aziende
di ristorazione, la Chef Italia e
la Avenance Elior, e una piccola società di consulenza informatica, la C.s.A. Le altre
torri, la 4 e la 5, invece, danno
l’impressione di essere abbandonate da sempre: gli ingressi
sono transennati e, al posto dei
citofoni ci sono delle nicchie di
cemento armato da cui penzolano dei cavi elettrici. Nonostante questo scenario da
periferia degradata, secondo il
nuovo PGT (approvato ai
primi di febbraio dal Consiglio
Comunale di Milano), dopo
Expo 2015, la periferia nordovest di Milano diventerà la
copia meneghina della defense
di Parigi. In effetti, qualcosa
sembra già muoversi in questo
senso. Poco più in là, la catena
di alberghi Boscolo, costruisce
un quattro stelle plus alto 96
metri che si chiamerà BH4 che
minaccia di essere il primo di
una serie di grattacieli, fino a
50, come consente il nuovo
PGT. Ma è davvero necessario
costruire una defense all’ombra della Madonnina? “A Milano ci sono già trenta Pirelloni
di uffici vuoti.” sostiene Stefano Boeri, architetto, docente
del Politecnico e candidato
alle primarie di Milano per il
PD. Quindi, non c’è una
grande necessità di nuovi spazi
per il terziazio. Solo i risparmi
energetici che garantiscono i
nuovi grattacieli sembrerebbero giustificare un investimento nell’edilizia per uffici.
Ma, c’è il rischio che la nuova
defense diventi solo l’ennesima selva di grattacieli isolati
dal centro città. Come si arriva
in Via Stephenson? Partendo
città
dei
grattacieli
fantasma
dal Duomo si può prendere il
tram n.12 in direzione Roserio,
per 24 fermate. Poi bisogna
scendere in largo Boccioni e
farsi 1 km a piedi. Si può anche
prendere il treno da Cadorna in
direzione Saronno, scendendo
però a Quarto Oggiaro e camminando per una buona
mezz’oretta. A questo punto,
l’unico mezzo in grado di raggiungere quella zona in un
tempo ragionevole è l’auto.
Peccato, però che, per arrivare
alla periferia nordovest di Milano si debba preventivare un
viaggio di tre quarti d’ora, par-
In via Val Formazza
ci sono 5 grattacieli
abbandonati:
è qui che nel 2030,
secondo il nuovo
Piano di Governo
del Territorio,
sorgerà la defense
meneghina
tendo dal centro. “In apparenza nessun costruttore ha
interesse a lasciare edifici
vuoti”, spiega il Professor Federico Lega della Università
Bocconi: “In genere si tratta di
speculazioni andate male. In
qualche caso, però, si possono
costruire degli edifici per ottenere dei prestiti e disporre così
di un’importante leva finanziaria”. Gli indizi, in questo senso
non mancano. Nella relazione
del terzo trimestre 2007 di
Fondiaria Sai, il gruppo assicurativo di Ligresti, si legge di
un mutuo da 9.600.000 euro
contratto per comprare un
VIA STEPHENSON VERSO IL 2030
Area Expo
2015
Zona
Stephenson
Area da 446.000
metri quadri
Verranno costruiti
50 nuovi grattacieli
La metropolitana
non arriverà
prima del 2030
Via
Stephenson
LAB Iulm
LA CITTA’ CHE CAMBIA
L’INTERVISTA
Pagina 11
ANTONELLO BOATTI
Quando il liberismo
urbanistico diventa
pura anarchia
I grattacieli di Porta
Nuova in costruzione
Le torri di Hines Italia,
insieme a City Life che
sorgerà sull’area della
vecchia fiera,
cambiano lo skyline
della città.
complesso residenziale sull’isola della Maddalena in Sardegna ipotecando proprio due
torri di Val Formazza. In tutto
questo, la collettività non ha
guadagnato niente, o quasi. Gli
oneri di urbanizzazione sono
sempre stati un’importante
voce, per i bilanci comunali ed
è, in fondo, anche per questo
che le amministrazioni locali
sono rimaste a guardare, rinunciando ad una corretta pianificazione del territorio. Se si
aggiunge che nessuno tra gli
immobiliaristi di rango, è caduto, durante la stagione di
Non diminuiscono
gli investimenti
immobiliari anche
se non c’è necessità
per il terziario: in
periferia ci vogliono
7-8 mesi per
affittare un ufficio,
in centro 5
Mani Pulite, ecco un’altra
chiave di lettura al fenomeno.
Naturalmente non ci sono edifici vuoti solo in periferia: la
Torre Galfa (anche questa di
Ligresti) tra via Galvani e via
Fara è uno di questi. Questo
grattacielo alto 109, costruito
negli anni 50 su progetto dell’architetto Melchiorre Bega è
abbandonato da anni. Ciò nonostante, nelle immediate vicinanze, le gru lavorano per
costruire i grattacieli del progetto Porta Nuova. Basterebbe
questo per ridurre il dibattito
sui centri direzionali che si è
sviluppato tra gli anni 80 e 90
ad un’ipocrisia. Le ipotesi in
campo, al tempo, erano due.
Una, secondo la quale la città
doveva sviluppare una serie di
centri direzionali in periferia,
vicino alle autostrade; l’altra
portava avanti l’idea che dovesse nascere un centro direzionale unico, in una zona
vicina al centro, attuando, in
definitiva, il piano regolatore
del 1953. Secondo quel PRG,
tra la stazione di Milano Centrale e quella di Porta Garibaldi
doveva sorgere una selva di
grattacieli. Tuttavia, nel corso
per 50 anni quella zona è stata
lasciata a se stessa. Solo nel
2004, dal Texas, arriva il
gruppo Hines con l’ambizioso
progetto Porta Nuova del valore di 2 miliardi di euro. L’indagine Nomisma-Solo Affitti
sulla locazione in Lombardia
dà un outlook stabile per il
mercato degli uffici. In altre
parole, non c’è una grande necessità di nuovo terziario.
Nella cosiddetta periferia terziaria, ci vogliono 7-8 mesi per
trovare un nuovo locatore,
mentre ne occorrono 4 in semicentro. Questo significa che
il problema principale riguarda
i centri direzionali costruiti
negli scorsi decenni, decentrati
rispetto ad ogni infrastruttura e
mezzi pubblici. Il Centro
Leoni in via Spadolini, nell’area ex industriale dell’OM,
ne è un esempio molto evidente. Progettato negli anni ’90
e realizzato una decina di anni
fa, non ha una sola linea di
mezzi pubblici che lo colleghi
al centro. Chi voglia arrivarci
può solo usare un bus privato.
on il nuovo Piano di
Governo del Territorio,
che ha ricevuto l’approvazione di Palazzo Marino il 4 febbraio scorso,
Milano punta sul liberismo
urbanistico. Il tramonto dei
vincoli di destinazione d’uso
è infatti una delle note caratterizzanti della nuova normativa. Così la città del 2030 è
affidata alle virtù, ancora da
verificare, della deregulation.
Si tratta di una scommessa
che presenta incognite notevoli, come sottolinea il professor Antonello Boatti,
docente di urbanistica al Politecnico di Milano: «Con la
fine del concetto di destinazione d’uso si rischia il caos,
potremmo non essere più in
grado di distinguere una zona
dall’altra. Ciò impedirebbe
uno sviluppo armonico e funzionale delle diverse aree
che compongono il tessuto
urbano».
Le perplessità del Prof. Boatti
si fondano su una lunghissima esperienza nel settore,
maturata non solo attraverso
l’impegno accademico, ma
anche nell’attività professionale, che l’ha portato a contribuire attivamente allo
sviluppo della città negli ultimi anni, (scoprendone i
pregi e le vocazioni), ma
anche affrontandone i limiti e
le criticità.
Basta farsi una passeggiata nel centro di Milano
per ricevere l’impressione
di una città satura di edifici
destinati al terziario; ciò
nonostante si aprono in
continuazione nuovi cantieri per la costruzione di
palazzi per uffici. Come
mai?
«Milano ha già una quantità spropositata di edifici destinati ad uffici, molti dei
quali vuoti da decenni. Sono
il simbolo di un fallimento,
cioè di un ciclo immobiliare
che non è giunto al suo compimento. Il Piano di Governo
del Territorio prevede un diluvio di costruzioni: si parla
di 500 mila vani in più, cioè,
in termini di abitanti, di una
città delle dimensioni di Bologna o di Genova da “conficcare” nel Comune di
Milano».
Ma questa corsa al mattone si fonda sulla previsione di un aumento della
domanda d’immobili?
«Potrei risponderle che
“l’interrogativo è mal posto”.
Ci dovremmo chiedere, invece, se costruiamo in vista
della soddisfazione della
reale domanda del mercato immobiliare. Insomma, per chi
costruiamo? Per un target improbabile, costituito da immaginari acquirenti o locatari di
immobili di lusso; la domanda
reale, invece, si rivolge all’edilizia sociale o, al più, all’edilizia a canone moderato. Quindi
si costruisce troppo e per un
utente che non esiste».
Lei invece a chi si rivolgerebbe?
«In primo luogo a chi manifesta veri problemi abitativi:
alle giovani coppie che non
trovano case a prezzi abbordabili, agli anziani con disponibilità economiche ridotte e a
coloro che perdono il
“
Gli edifici
vuoti di milano sono
il simbolo del
fallimento di un
ciclo immobiliare
non ancora
compiuto
“
C
Marco Giorgetti
Antonello Boatti
Architetto, urbanista e
docente al Politecnico di
Milano.
E’ noto per il suo impegno a
favore dell’edilizia popolare
e del social housing e per
la sua opposizione al nuovo
PGT.
lavoro, oltre, naturalmente, ai
cittadini stranieri, sempre più
numerosi».
Ma allora come spiega
questa proliferazione di
nuovi edifici di pregio,
quando il mercato appare già
saturo o indirizzato verso
ben diverse esigenze? Chi ci
guadagna da questi investimenti apparentemente insensati?
«Sul piano speculativo la
redditività di questi investimenti, in immobili destinati a
rimanere sfitti, resta per me un
mistero; evidentemente ci sono
spinte ad investire “con ur-
genza” nel mattone, il che,
francamente, introduce qualche sospetto sulla natura o la
provenienza di queste risorse…».
In che modo il nuovo
Piano di Governo del Territorio s’inserisce nel quadro
della normativa urbanistica
degli ultimi tempi?
«Il PGT comporta una
svolta radicale: la fine del concetto di destinazione d’uso. Le
destinazioni d’uso sono totalmente liberalizzate, non saremo più in grado di
distinguere la vecchia zona residenziale da un’area, ad esempio, destinata al terziario. Mi
pare che in questo modo si
corra il pericolo di un gran
caos nell’individuazione delle
funzioni economiche e sociali
cui destinare le diverse zone
della città».
E allora quale può essere
la finalità di politica urbanistica che ha ispirato la scelta
di abolire i vincoli di destinazioni d’uso?
«Secondo me si tratta di un
malinteso liberismo urbanistico, che si risolve in una sostanziale carenza di regole.
Così si perdono di vista persino le ragioni di fondo di un
Piano: se questo strumento non
pianifica, appunto, cioè non individua delle regole di crescita
del tessuto urbano, c’è da chiedersi se conservi una ragion
d’essere».
Passiamo al Progetto
EXPO: quanti nuovi edifici
verranno davvero costruiti in
vista di questo importante
appuntamento?
«Verranno realizzati senz’altro alcuni padiglioni espositivi, simili a serre, che è
auspicabile vengano conservati
anche dopo la conclusione dell’EXPO, ad esempio per ospitare in futuro un orto botanico,
che a Milano non c’è mai stato.
Però mi chiedo che ne sarà
della massa di strutture provvisorie che saranno erette per accogliere eventi collaterali alla
grande esposizione.
Si tratta di spazi aggiuntivi che
minacciano di far diventare
l’Area EXPO un’ulteriore zona
di ipertrofia urbanistica destinata al terziario. Tutto ciò mentre le grandi città europee e
mondiali – Parigi in testa –
stanno studiando una via per
restituire parte del territorio urbano all’originaria destinazione agricola: funzione
economica basilare e al contempo ecocompatibile, sulla
quale io punterei decisamente.
Sarebbe tra l’altro una delle
poche attività produttive
rimaste sul territorio di
Milano».
Pagina 12
CULTURA
Ragazzi in fila
dall’alba per
un biglietto
La Scala
under30 e
scuole dove
far diventare
il canto una
professione
La lirica vive
una nuova
primavera
Ignazio Stagno
S
i racconta che Giuseppe
Verdi tenesse nascoste
le arie delle sue nuove
opere per evitare che venissero accennate per strada, dal
popolo, impaziente, “prima
della prima”. Dai tempi del
grande maestro molte cose
sono cambiate. Oggi, non solo
i contenuti degli spettacoli
vengono resi noti con “anteprime delle prime”, ma ad essere impaziente più che il
popolo, sono ragazzi con
iphone in una mano e libretto
dell’opera nell’altra. In un
“Paese per vecchi”, la lirica e
i grandi teatri italiani sembrano andare controcorrente.
Sconti, iniziative, tutte per
portare i giovani sulle poltrone
delle platee. Milano in questo
“ritorno al futuro” dell’opera
gioca un ruolo di primo piano.
Il Teatro La Scala ha lanciato
nel 2008 “LaScalaunder30”,
un piano di comunicazione,
forte, per giovani appassionati. Primo passo un portale
web dove interagire con il teatro, acquistare biglietti, ottenere spiegazioni in merito alle
opere. Secondo step un profilo
facebook commentare gli
spettacoli. Terzo gradino la
promozione di esperienze particolari come assistere alle
prove, usufruire di visite guidate, assistere al lavoro di costumisti e scenografi o vivere
un happy hour pre-spettacolo
con gli artisti che si esibiranno
sul palco. «Abbiamo cominciato nel dicembre 2008spiega Anna Donatini dell’Ufficio Relazioni esterne La
Scala-con l’anteprima del Don
Carlo. Biglietti a 10 euro, ed è
stato un grande successo. Non
ce lo aspettavamo. La sete di
lirica dei ragazzi non era indifferente. Ci siamo messi al
lavoro». E i numeri danno ragione a questa nuova avventura scaligera. 2000 ragazzi
fra abbonati e possessori di
pass “under30”, 35000 contatti online, biglietti esauriti in
LAB Iulm
Giovani
all’Opera
pochi minuti con un click e in
poche ore alle biglietterie, assediate da code sin dalle prime
luci dell’alba. «Da tempo il
Teatro cercava di darsi una
spolverata -continua la Donatini-, ma le operazioni rivolte
ai giovani del passato erano
sporadiche e non adeguatamente pubblicizzate. Così ora
LA STORIA/ 1
abbiamo scelto un progetto organico ad alta visibilità». La
scorsa stagione il programma
“under30” è stato pubblicizzato con pagine sui quotidiani
nazionali, banner sui portali
web, strisce promozionali sui
tram, t-shirt,e per finire con
spot di 30” su MTV, tv che ha
come target un pubblico gio-
vane attento al mondo della
musica e del canto. Piccoli
mattoni con cui è nato un teatro virtuale racchiuso in una
grande community online, divenuta al momento un caso
unico in Italia. Al termine
della scorsa stagione con una
newsletter ai ragazzi è stato
chiesto un giudizio su
“under30” e di riferire se fossero studenti di musica oppure
spettatori occasionali. Alla rilevazione ha risposto il 10%
dei ragazzi registrati e di questi il 76% si è detto “molto”
contento dell’iniziativa. Ma
dai dati appare che gli spettatori di giovane età sono per il
56% studenti presso conserva-
YVONNE e MARGHERITA
Mille difficoltà, un solo sogno: la lirica
Giulia Pezzolesi
vonne e Margherita fanno
Y
parte del coro “ Incanto
malatestiano” diretto dal mae-
stro Francesco Santini, nato
per volontà dell’associazione“Incanto Domus Lirica”
di Fano.
Entrambe sono unite da una
passione: il canto. Yvonne
canta da quando era piccolissima, Margherita da 5 anni.
Yvonne ha 17 anni e spera di
diventare una professionista
del settore. Nonostante non
abbia nessuno in famiglia che
sia particolarmente appassionato di musica ha voluto coltivare la sua passione da
sempre.
Ha cantato di tutto ma si è
avvicinata alla lirica due anni
fa, da quando fa parte di questo coro. «Ho una voce alta e
potente. Penso di poter fare lirica, credo sia più adatta alle
mie caratteristiche vocali»,
dice Yvonne. Nel 2009 il coro
ha cantato la “ Carmen” mentre negli anni precedenti hanno
partecipato alla “ Boheme”
con la regia di Luciano Pavarotti. «Il coro è composto più o
meno da 20 ragazzi. Cantare
tutti insieme è difficile perché
devi relazionarti con gli altri,
per noi adolescenti la voce
cambia col tempo»,commenta
Yvonne. Poi spiega che però
cantare in coro è una cosa
molto utile perché insegna ad
ascoltare gli altri, ad imparare
dagli errori altrui e a cercare di
essere un tutt’ uno col gruppo.
Margherita, 12 anni, parla
delle difficoltà che ci sono nell’esecuzione di un pezzo lirico.
«Molto spesso oltre alla voce è
la lingua a dare problemi, bisogna pronunciare bene le parole e non sempre è facile»,
Nella foto
a sinistra
Yvonne,
17anni e
Margherita,
12 anni,
giovani
aspiranti
cantanti
liriche,
vivono a
Fano e
studiano
canto
spiega. «Poi è complicato fare
una respirazione corretta e
stare rilassati, bisogna fare
bene tante cose nello stesso
momento. L’impostazione lirica è diversa da quella per la
musica leggera, per noi ragazze più hai una voce alta più
sei facilitata anche se bisogna
imparare a dosarla».Per far ciò
durante le lezioni si inizia con
una parte tecnica, cioè esercizi
di respirazione e vocalizzi per
poi passare a cantare i brani.
Per ora Yvonne e Margherita parlano di “ passione” per
il canto ma non nascondono i
loro sogni nel cassetto.
« Ovvio che vorrei diventare
una cantante», commenta
Margherita e Yvonne continua:
« Mi piacerebbe diventare un
soprano anche se non sarà facile». Inutile chiedergli cosa
faranno se il loro obiettivo non
si realizzerà: ridono e dicono
che per ora vogliono solo sognare.
LAB Iulm
CULTURA
L’INTERVISTA
Pagina13
GAIA MARLINO
Meno Maria De Filippi, più Maria Callas
Roberta Rei
È
proprio il caso di dirlo:
sull’opera lirica cala il
sipario giovanile in tutta
Italia. Sono tanti i giovani che
scelgono di intraprendere la
carriera del cantante lirico, e
tanti coloro che si emozionano
alle note di un “recitar cantando” a teatro. Abbiamo incontrato una giovane
promessa del panorama lirico
italiano, Gaia Marlino, una ragazza di 21 anni che «vive di
lirica perchè è un veicolo per
esprimere le emozioni più
forti».
Quando hai scoperto la tua
passione per il “bel canto”?
«A 12 anni mi sono iscritta ad
un’accademia musicale per
studiare musica leggera. La
mia insegnante però era convinta che la mia voce fosse più
“
adatta alla lirica così mi avvicinò al musical americano,
una via di mezzo tra i due generi. Posso oggi dire che
aveva ragione, dopo i primi
contatti con il teatro, da sempre una mia grande passione,
a 13 anni iniziai veri e propri
corsi di lirica.Poter unire la realtà teatrale con il canto era un
sogno».
Ma c’è qualcuno in famiglia
che ti ha spronata ad entrare
Nella foto Gaia Marlino,21 anni,
studia lirica al Conservatorio di
Napoli S. Pietro a Majella
Il teatro lirico è per i giovani:
noi siamo pieni di passione,
sentimenti
e nell’opera si esternano
le emozioni più forti
La lirica è un mondo molto
competitivo. Ma non posso
fermarmi per questo,
significherebbe che, in fondo,
non sono adatta
a questo mestiere
tori. «Cercheremo, visti i dati,
–conclude la Donatini-di rendere appetibile l’offerta anche
a chi non ha una formazione
tecnica». Nonostante tutto
aver portato un buon 44% di
neofiti ad applaudire una Carmen o una Cavalcata delle
Walkirie resta un risultato rilevante. E l’entusiasmo si
LA STORIA/ 2
tocca con mano leggendo i
commenti lasciati su facebook
o sul sito dai ragazzi.
«E’ stato magico, suggestivo,
camminare in una Scala aperta
quasi solo per me e poterne assaporare l’atmosfera incantata
e fiabesca», scrive Ilaria Tedeschi dopo aver assistito ad una
sessione di prove e ad una vi-
sita guidata. Poi c’è chi, in
poche parole, raccoglie l’emozione di assistere ad un’anteprima come fa Alberto Straci
«serata fantastica, Barenboim
favoloso», o come scrive Francesca Romana Ballista«straordinario ieri sera,
semplicemente straordinario…
;-)». Commenti, emoticons, di
”
ragazzi, di studenti, che si riconoscono in un’unica passione.
«Per due che si amano tutti gli
altri si ammazzano. Decidi tu
se te la senti». Così recitava
una headline pubblicitaria de
“LaScalaunder30” durante la
scorsa stagione. A giudicare
dai numeri i ragazzi “se la son
sentita” e lo hanno dimostrato.
GUSTAV MULLER
Da San Paolo a Milano per il bel canto
O
cchi azzurri, capelli
biondi, alto circa 1,90,
e due segni particolari:
passaporto brasiliano e aspirante cantante lirico. Gustav
Muller di samba nelle vene ne
ha ben poca, e le sue corde vocali vibrano solo per il canto lirico. 2 1 a n n i , f i g l i o d i
emigranti tedeschi a San
Paolo, Gustav è arrivato a Milano da circa 4 mesi per dare
voce alla sua passione per la lirica. Ambizioso e fiducioso ha
idee chiare:«Col corso di canto
lirico all’Accademia internazionale delle Musica di Milano, voglio approdare, fra
qualche anno, al Teatro La
Scala». Per Gustav il canto non
è una passione da coltivare nel
tempo libero. «Studio lirica
perché diventi il mio lavoro.
So che sono tempi difficilispiega- ma penso ci sia ancora
spazio per tirare fuori dai cassetti i sogni». Gustav nonostante la sua giovane età ha già
esperienza sul palcoscenico.
Nel 2007 al Teatro “Giardin
de San Paulo” ha cantato per
il musical “Jesus Crhist Superstar”. «In quel momentospiega- ho capito che la
musica e il canto sarebbero diventati una meta irrinunciabile». Così ha cominciato a
costruire il sentiero per raggiungere la sua “meta”. «Ho
iniziato a studiare canto durante la mia adolescenza-rac-
conta- in una Scuola di Canto
a San Paolo, poi nel 2007
sono partito per la Germania.
A Osnabruck ho completato il
percorso di studi che avevo
iniziato in Brasile. In Europa
ho imparato molto a livello
professionale e nel 2009
quando sono tornato a San
Paulo, per due anni ho partecipato a spettacoli per il teatro
della città». Ma Gustav sa
Nella foto
a sinistra
Gustav
Muller,
21 anni
brasiliano
di origini
tedesche, da
quattro mesi
è a Milano
per studiare
lirica in
Accademia
Internazionale
della
Musica
bene che il Brasile non è certo
la patria della lirica e se a San
Paolo non sei un danzatore di
samba, o uno che conversa
con una chitarra sulle note di
una bossanova, allora devi andare da qualche altra p ar te a
c e r c a r f o r t u n a . Così ancora una volta valigia in mano,
volo San Paulo- Malpensa, e
tanta voglia di seguire le orme
di un suo caro amico brasiliano Thiago Arancam.
«Thiago dopo aver studiato
a Milano-conclude- nel 2005
ha esordito alla Scala e adesso
canta in tutti i teatri più importanti d’Italia. Spero di poter
replicare anche solo un po’ del
suo talento e della sua fortuna». Gustav a Milano avrà
anche perso, per dirla con Baglioni, il suo “sole, nel sale,
nel sud”, ma è sicuro di trovare, in una delle capitali della
lirica un pubblico che alla sua
voce in un “Don Giovanni”
non preferirà certo l’arpeggio
di una chitarra.
(i.s)
in questo mondo?
«In realtà mia madre voleva
che facessi l’avvocato, immagina la sua approvazione
quando le ho detto che volevo
diventare un soprano lirico!».
Come si diventa un cantante
lirico professionista?
«Le vie sono molteplici.
Io studio da due anni al conservatorio di Napoli S.Pietro a
Majella. Il conservatorio è la
porta d’accesso ai concorsi
pubblici e alle attestazioni che
possono arricchire il tuo curriculum. Ma ciò che conta di più
è l’esperienza maturata sul
palcoscenico».
E quanti sono i ragazzi che
frequentano i corsi di lirica ?
«L’anno scorso le classi erano
4, e tutte stracolme. C’è da
considerare che ogni classe
aveva 15 studenti, un numero
abbastanza alto per un corso di
canto lirico».
La lirica e i giovani sono due
mondi percepiti come distanti, pensi che sia un’affermazione giusta?
«Non penso sia vera.
Prima di tutto, nel sistema scolastico si studia storia dell’arte
figurativa e non storia della
musica d’arte, il che, non permette ai giovani di avvicinarsi
alla conoscenza di questo tipo
di arte. Ma sono i giovani i
veri protagonisti della lirica e
ne sono convinta».
In che senso?
«Il teatro lirico deriva dall’evoluzione della tragedia
greca, la catarsi faceva sì che
si potesse comprendere quanto
c’è di grande intorno a noi,
pertanto è correlata alla lirica
che è il portare le passioni all’eccesso per redimersi.
Ed è questa la ragione per cui
il teatro lirico è per i giovani:
noi siamo pieni di passione,
sentimenti e nell’opera si
esternano le emozioni più
forti».
Pensi che i prezzi degli spettacoli lirici siano proibitivi
per i giovani?
«Dipende. Ci sono molte iniziative nei teatri principali
delle capitali della lirica italiana che permettono ai giovani di accedere a spettacoli
con degli sconti.
Recentemente ero al Teatro
San Carlo a vedere uno spettacolo e una signora si è stupita
per ‘quanti giovani occupassero le fila della platea’.
Se potessimo permetterci uno
spettacolo ogni volta che vogliamo vederlo, si può star sicuri che saremmo sempre lì a
teatro.
Ovviamente mettere in piedi
un’opera lirica costa, e molto.
Il costo minimo è di 50 mila
euro, per non parlare di cantanti che hanno un cachè di
20mila euro».
Un appello ai giovani per avvicinarli al mondo della lirica
«Guardate meno tv e seguite
le storie a teatro e meno Maria
De Filippi, più Maria Callas!».
Pagina 14
SOCIETÀ
Una notte con
Walter, vecchio
tassista senza
paura, così
immaginario
da sembrare
vero
Walter
Francesco Priano
E
pensare che l’istinto non
mi aveva mai tradito. Io i
clienti sbagliati li avevo
sempre riconosciuti con un’occhiata, senza far loro domande
inutili del tipo: “Sei ubriaco?”
a cui tanto nessuno ti risponderà mai di sì. E a chi mi chiedeva se non avessi paura a
guidare il taxi di notte rispondevo sempre con un po’ di orgoglio: “Walter non ha paura
di nessuno, semplicemente sta
molto attento”. Così ho percorso le strade in ogni stagione
e con ogni temperatura, accompagnato dalla gente più
strana e diversa ma soprattutto
da lei, Milano, la mia città.
Questa notte, invece, è tutto diverso. Ho ricevuto la chiamata
alle 23.30, una come mille
altre in un mercoledì sera qualunque, nell’ultimo giorno di
marzo. Il mercoledì è un
giorno tranquillo per noi tassisti, perché le discoteche aperte
sono poche e la gente non fa
tanto tardi; spesso ti capita la
chiamata di qualcuno che esce
da una cena di lavoro o di uno
studente che perde l’ultima
metro, ed è costretto a spendere un po’ di soldi in più per
rincasare. Pensavo a questo
mentre mi avvicinavo a piazza
Piemonte, a pochi passi dalla
bella e aristocratica via Marghera, con le luci del teatro Nazionale
che
riflettevano
sull’asfalto bagnato dalla pioggia. Ho riconosciuto subito il
mio cliente, perché oramai tutti
aspettano il taxi nello stesso
modo: una mano nella tasca e
nell’altra il cellulare, con lo
sguardo fisso in maniera ossessiva sullo schermo. Anche
questo non faceva eccezione,
impalato sul marciapiede come
un bamba, col cappuccio calato giù per proteggersi dalla
pioggia e la sciarpa alta attorno
al collo per ripararsi dal vento
di questi giorni, che di primavera non ha proprio nulla. Così
ho accostato la macchina al ciglio della strada, come ho fatto
decine di volte solo in questa
settimana, mentre quello
apriva la porta e si accomodava sul sedile posteriore.
“Dove andiamo?” ho chiesto
con impazienza, perchè chi fa
il nostro mestiere ha un rapporto tutto speciale con il
tempo, ma la risposta non è
stata quella di sempre. “Guida”
ha ordinato l’uomo seduto alle
mie spalle con il tono risoluto
di chi non ammette repliche, e
quando ho alzato gli occhi
verso lo specchietto retrovisore
per capire cosa stesse succe-
LAB Iulm
Ranger
dendo, ho scoperto subito il
motivo di tanta decisione: una
pistola, puntata dritta alla mia
schiena. L’esperienza mi ha insegnato che nelle situazioni
peggiori esitare non porta a
nulla di buono, così ho innestato immediatamente la prima
e, senza obiezioni ma con la
paura che mi mozzava il fiato,
ho iniziato a guidare il mio
taxi. La corsa è iniziata da
ormai dieci minuti, anche se
l’angoscia non mi permette di
misurare con esattezza il
tempo e le distanze. Persino le
mie strade, compagne di tante
notti, non sono più un riferi-
mento sicuro: le luci di via Washington, il pavé rattoppato di
Piazzale Aquileia e i tetti a
spiovente di San Vittore scorrono veloci ai lati del mio
sguardo, mentre quel disgraziato mi guida dal sedile dietro,
con la voce roca e un’arma che
non riesco più a vedere ma che
dev’essere ancora puntata al
mio sedile. Non è che nella
mia carriera non me la sia mai
vista brutta, anzi. C’è stata
quella volta che un balabiott si
rifiutava di pagare e mi ha rifilato un pugno sul muso, ma
oramai è passata un eternità.
All’epoca guidavo una Fiat
Storia di Luca Massari, massacrato per un banale incidente
Morte di un
tassista perbene
Linda Irico
L
e parole di Luca Massari hanno un posto
fisso sulla prima pagina del blog dei tassisti milanesi :“Ascolta la natura,
ama la natura. Cerca di rifugiartici quando puoi e ritroverai la tua essenza.”.
Sotto le brevi righe, un monito, sospeso tra i tre punti e
una grossa virgoletta: per
non dimenticare. Perché
loro, di sicuro, non dimenticheranno. I tassisti non
sono una categoria simpatica ai più: accusati di essere
conservatori,
corporativi e individualisti
possono sembrare da fuori
una specie di “casta”. Di sicuro sono molto uniti, e
consapevoli di essere una
delle categorie più esposte
ai pericoli della città. E la
città non è la semplice
somma di strade e palazzi,
è l’insieme creato dal tessuto urbano e da chi lo
abita. I tassisti conoscono
bene entrambi gli elementi.
Eppure c’è ancora qualcosa
che lascia persino loro, profondi conoscitori della metropoli, stupefatti e attoniti:
quanto accaduto a Luca, ucciso dopo essere stato aggredito per avere investito
un cane, rimane incomprensibile anche per i suoi colleghi. Su taxystory.net la
vicenda di Luca è ripercorsa dalle prime notizie
dell’ANSA agli ultimi ritratti presi dei giornali. Par a l l e l a m e n t e
all’informazione, quanto
accaduto è stato seguito e
descritto dagli stessi tassi-
sti, sui siti web di categoria
e sui principali blog. La
morte di Massari ha riacceso vecchie polemiche nel
mondo dei tassisti, soprattutto contro i media, ritenuti
da sempre responsabili del
clima ostile che circonda la
categoria e contro le autorità, colpevoli di non garantire standard di sicurezza
abbastanza elevati. Ma i
tassisti non si sono limitati
a condannare l’accaduto e a
lanciare accuse, si sono
mossi in favore della vittima e della sua famiglia,
con gesti simbolici e atti
concreti. Dopo la morte di
Luca, avvenuta un mese
dopo il pestaggio, si sono
uniti al cordoglio dei familiari rispettando 5 minuti di
silenzio e di astensione dal
lavoro. Lo stesso 18 novembre, il giorno dei fune-
rali di Luca Massari, decine
di taxi listati a lutto si sono
diretti in corteo verso Locate Triulzi, il paese natale
della vittima. Sempre i suoi
colleghi hanno portato a
spalla il feretro durante le
esequie, mentre associazioni, consorzi e sindacati
di categoria hanno partecipato al lutto inviando corone di fiori. Solidarietà è
stata espressa anche dai tassisti di altre città: a Roma si
è svolta una manifestazione
promossa dall'Uri e da Uritaxi con dieci minuti di
«fermo» e silenzio, a Verona i tassisti si sono radunati in piazza Bra per un
momento di raccoglimento
e preghiera. Ma i colleghi
di Luca Massari hanno dato
spazio anche a gesti più
concreti: gli uomini del
4040 hanno da subito dato
LAB Iulm
SOCIETÀ
AL CINEMA
IERI E OGGI
Pagina 15
Dichiarazioni dei redditi sotto accusa
Tariffe alle stelle
ma per il fisco
guadagni operai
128, mentre adesso ho una
macchina giapponese col motore elettrico: era il 1974 e
avevo poco più di vent’anni,
così i colleghi più anziani mi
avevano preso in giro come
avrei fatto tante volte anch’io
in seguito, sventolando la pagina de Il Giorno che parlava
Aggredito
selvaggiamente a
calci e pugni dopo
aver investito e
ucciso un cane,
muore per le lesioni
interne dopo
un mese di coma
via a una colletta di fondi
da destinare alla famiglia
della vittima. L’iniziativa
dei tassisti milanesi ha permesso di raccogliere ben
15000 euro per la famiglia
di Luca Massari. Ma i soldi,
custoditi nella cassaforte
del S.A.TA.M, il sindacato
degli artigiani tassisti milanesi, sono stati rubati durante un furto che lascia
spazio a tanta amarezza e
molti dubbi: un ladro che
entra dalla sola finestra
senza allarme, prende la
chiave, svaligia la cassaforte e esce indisturbato.
Un furto, insomma, eseguito a colpo sicuro. I soldi,
coperti da polizza assicurativa e in parte già versati
alla famiglia, potranno recuperarsi facilmente.Lo
sfregio finale alla storia di
Luca, invece, resta.
TAXI DRIVER (1976)
ANNI ‘60
Capolavoro diretto da Martin
Scorsese e interpretato da
Robert De Niro.
Fiat 600 multipla costruita dal
1956 al 1966. In versione taxi
nei colori nero-verde.
IL TASSINARO (1983)
ANNI ‘70/’80
Diretto e interpretato da Alberto
Sordi. Nel cast anche Giulio
Andreotti e Federico Fellini.
“Yellow cab” come negli Stati
Uniti. Alcuni di questi esemplari
sono tuttora in circolazione.
NIGHT ON EARTH (1991)
OGGI
Film a episodi diretto da Jim
Jarmusch, con Roberto Benigni
e Winona Ryder.
Nella sua versione moderna il
taxi è bianco ed ecologico nella
sua versione ibrida.
del mio incidente. Da allora il
mio lavoro è stato una scoperta
continua, perché fare il tassista
di notte ti avvicina al bello e al
brutto della vita, anche se solo
per una manciata di minuti. Le
storie dei colleghi malmenati,
che ti fanno domandare se vale
la pena di rischiare la vita per
dieci euro, sono infatti solo una
faccia del mestiere: ci sono
anche i personaggi interessanti,
le corse memorabili e felici,
come quando ho raccolto alla
Clinica Mangiagalli quella ragazza che aveva appena scoperto di essere incinta e che,
con l’ecografia ancora in
mano, sembrava quasi volersi
scusare per la gioia che non
riusciva a trattenere. Il mio lavoro mi ha fatto vivere le notti
folli degli anni ’80, quando
portavi al night signori elegantissimi ed eri loro ospite fino
alla fine della serata, col tassametro che correva e tu venivi
pagato per divertirti; ma anche
notti in cui il tuo passeggero è
una ragazza che piange per
tutta la durata della corsa e che,
poco prima di scendere dalla
macchina, ti gela con una semplice e terribile confessione:
“Mi scusi per le lacrime, ma
stasera sono stata violentata”.
Questo è il mestiere che amo e
che faccio da una vita, quello
che inizia quando gli altri
vanno a dormire e finisce con
le prime luci dell’alba. Quello
che ti regala sempre una notte
diversa, anche se questa volta
ho attraversato mezza Milano
con una pistola puntata alla
schiena e la mia macchina sta
puntando dritta verso la campagna, mentre la paura cresce.
Mi sono lasciato alle spalle la
circonvallazione e tutta via Ripamonti: le abitazioni piano
piano si diradano, come le mie
speranze che questa faccenda
si risolva in maniera positiva.
“Gira a sinistra e poi accosta”
mi ordina la voce roca dal sedile posteriore, tornando a far
vedere l’arma nello specchietto. Il navigatore dell’automobile riporta il nome di una
strada sconosciuta, via Sant’Arialdo, che si apre su uno
spiazzo sterrato risparmiato dal
cemento: fermo la macchina e
mi rendo conto che intorno a
me non c’è altro che campagna; sono in balia del rapitore.
Lui adesso tace, e così gioco la
mia ultima carta: “Ascolta, se
vuoi dei soldi ti do tutto quello
che ho” dico con tono di supplica, mentre tiro fuori dal borsello 50 euro, il poco contante
che porto con me quando inizio il turno. “Non li voglio i
tuoi soldi Walter, mi basta vederti tutt stremì, bello spaventato!”
È
un
attimo.
All’improvviso quella voce diventa familiare, lo sguardo
cade sul computer di bordo e
leggo la data: 1° aprile; nello
specchietto, non più nascosto
dalla sciarpa e dal cappuccio,
vedo il volto del mio collega
più giovane, il Giovanni.
“Questa è per tutte le volte che
mi hai dato del vigliacc perchè
ho paura a fare la notte!” Tiro
un sospiro di sollievo, mentre
la tensione accumulata inizia a
sciogliersi in una risata. Per
fare la ramanzina a quel pirlèta
c’è sempre tempo: anche questa volta l’istinto non mi ha tradito.
Erika Crispo
U
na casta, una lobby.
Ecco come appare la
categoria dei tassisti
agli occhi dei cittadini italiani, i quali si sentono “derubati” a causa dei prezzi
salati che sono costretti a pagare per un servizio spesso
considerato non all’altezza. E
la mancata liberalizzazione
delle licenze, l’aumento delle
tariffe e un servizio spesso
insufficiente e inefficiente
non fanno altro che contribuire a rafforzare la percezione negativa tra gli utenti
del servizio. I tassisti si difendono sottolineando le
spese elevate che devono sostenere e l’assenza di benefici
rispetto alla gran parte delle
tredicesima. E’ arduo stabilire quanto guadagnano realmente visto che non sono
tenuti a rilasciare ricevute
fiscali, ma attraverso la
quantità di carburante consumato è possibile calcolare
la strada percorsa e quindi
risalire all’effettivo guadagno. E non è un caso se dei
controlli “mirati” hanno rivelato che il 70% dei tassisti evade le tasse. D’altra
parte sarebbe assurdo credere che un tassista guadagni
meno
di
un
metalmeccanico. Un reddito simile non giustificherebbe i rischi e i sacrifici
del mestiere: il costo delle
licenze che va dai 170.000
ai 300.000, le tasse e le assicurazioni salate, le ferie e
la malattia non pagate, il
Città
Euro/ Km
Euro/Ora
Milano
0.98
25,67
Roma
0,92
23,70
Torino
1,00
24,00
Genova
0,90
24,00
Palermo
0.83
16,52
New York
0,79
16,84
Londra
1,68
34,80
Madrid
0.98
18,10
Parigi
0,99
29,00
Monaco
1,60
22,50
categorie di lavoratori.
Ma quanto guadagna un
tassista italiano? Difficile a
dirsi. Carmelo Abbate nel
blog del magazine Panorama racconta una giornata
da tirocinante accanto a un
tassista esperto a Milano. E
tira le somme: diciotto
corse in dieci ore per un totale di 343, mance incluse,
fanno 8.575 lordi al mese.
E anche considerando le
spese per contributi, carburante e assicurazione, un
tassista porterebbe a casa
non meno di 4600.
Troppo? Quanto è lontana
questa cifra dalla realtà?
Secondo i dati dell’Agenzia
delle Entrate i tassisti italiani dichiarano in media al
fisco 1100 al mese senza
mancato diritto alla tredicesima. E non spiegherebbe
neppure il perché le tariffe
dei taxi italiani sono tra le
più care in Europa, come riportato dallo studio condotto da UNICA-FILT
CGIL. A parte Londra
(dove tutte le vetture sono
attrezzate per ospitare le
sedie a rotelle), Monaco e
Parigi, Torino, Milano e
Roma hanno le tariffe chilometriche più alte: rispettivamente 1,00, 0,98 e
0,92. Record di prezzi elevati anche per quanto riguarda il costo iniziale della
corsa: Genova 3,25, Milano e Torino 3,00 e Roma
2,80 contro i 2,20 di Parigi, i 2,05 di Madrid e
1,75 di New York.
Pagina 18
SOCIETÀ
LAB Iulm
Tu vuò fa
l’americana
Tra i tanti fenomeni esportati dagli Usa
quello delle Cheerleaders sembra avere
trovato stabile cittadinanza a Milano
Due federazioni, tre team: è pon pon mania
Stefano Fiore
C
’è un particolare che
lega George Bush e
Ronald Reagan ma
non è la politica. Lo stesso
particolare lega Britney Spears a Madonna ma non è la
musica. E ancora Kim Basinger a Samuel L. Jackson, ma
non il cinema. La risposta? Il
cheerleading. Bellezza, spettacolo, abilità: non esiste un
solo termine per definire questa disciplina che oltre a fare
da contesto a manifestazioni
sportive, spesso diventa essa
stessa evento. Merito della
spettacolarità delle coreografie, dell’appariscenza delle divise e, non ultima, la bellezza
delle atlete (perlopiù ragazze,
ma non manca la controparte
maschile). Il cheerleading è
nato negli Stati Uniti nel 1898
e ben presto è divenuto fenomeno esteso tanto che oggi si
pratica in quasi tutti i colleges, compare frequentemente
in film e serie tv e, con passo
lento ma convinto, sta muovendo i primi passi anche in
Italia e soprattutto a Milano.
Sebbene si abbiano notizie
di gruppi di cheerleaders sin
dagli anni settanta, è nel
1998, con i Cheerdance Millenium (composto da atleti
italiani e sloveni) di Trieste,
che il fenomeno sbarca nel
nostro Paese. La strada è tracciata, sei anni dopo nasce la
prima squadra tutta italiana, le
Cheerleaders Italia di Torino.
Nel 2009 tocca a Milano. E
anche se la leggenda narra
che il movimento sia nato
grazie a uno studente, Johnny
Campbell, la nascita del cheerleading sotto la Madonnina
è gran parte merito di una
norvegese giramondo dalle
idee innovative e la fede incrollabile. «Quando sono arrivata qui mi sono chiesta
com’era possibile che la
Lombardia, nove milioni di
persone, non avesse neanche
un team cheer. E ho deciso di
provarci» ci racconta Jennifer
Lechner (foto a destra), coach
delle All Stars Milano. «Ho
iniziato col cheerleading a
fine anni ’90 in Norvegia e
nel corso del tempo ho raggiunto un livello alto. Quando
mi sono trasferita a Milano mi
I
I TOP E I FLOP
MADE IN USA
n Italia il sogno americano si
è anche trasformato in incubo.
Il
cheerleading è solo
l’ultimo
dei tentativi
di
trapiantare
la cultura
sportiva a
stelle
e
strisce nel
nostro
Paese: il
Match di wrestling p a s s a t o
insegna che
basta un niente per tramutare
il boom in flop. L’Italia ha conosciuto fallimenti come il
monster trucks (auto dagli
enormi pneumatici che compiono salti e piroette su
ostacoli artificiali) o il dragster (gare di accelerazioni tra
auto con motori da mille
cavalli). Da ricordare anche i
robot wars (combattimenti tra
robot costruiti amatorialmente) che erano perfino finiti in televisione. Ma l’Italia
è anche ricca di americanate
andate a buon fine: come il
baseball, consolidato nel centro-nord, o il wrestling, che ha
ispirato trasmissioni tv, pupazzi e riviste dedicate. Al
contrario negli USA il calcio
ha attecchito tardi, aumentando di interesse solo dopo la
Coppa del Mondo nel 1994. Per
il successo si fanno salti mortali,
chi meglio delle cheers? (s. f.)
hanno chiamato per fare la
coach di Milano Cheers».
Le difficoltà non sono state
poche: «La dirigenza era piuttosto scettica sulla riuscita del
progetto. Invece il primo allenamento lo abbiamo fatto in
sei e ben presto siamo diventate tredici». Tuttavia le frizioni con la dirigenza non
diminuivano. «Vedevamo in
modo diverso il cheerleading:
è uno spettacolo, oltre a essere
uno sport. Serve capacità tecnica ma anche saper giocare
con il pubblico. Così abbiamo
deciso di fondare una nuova
squadra, le All Stars Milano. In
pochi ci credevano eppure del
vecchio team solo due non ci
hanno seguito». In pochi mesi
hanno ballato al Forum di Assago per gli Harlem Globetrotters, a San Siro e al Bentegodi
di Verona per l’Italia del rugby,
a Reggio Calabria per il World
Volley Tour. Inoltre sono apparse in tv su Canale 5 e Raidue e ogni settimana possiamo
ammirarle a Victor Victoria su
La7. Carisma ed esperienza,
l’entusiasmo di Jennifer ha
presto contagiato anche la
Ficad (Federazione Italiana
Cheerleading
Acrobatico
Dance): creata sul finire del
2009, è riconosciuta dal Coni.
In totale 70 team cheer affiliati,
con l’ambizioso obiettivo di
decuplicarli entro il 2012. «Mi
hanno chiamata, vedendo i
progressi a Milano, mi hanno
chiesto se avevo voglia di dare
una mano e ho risposto positivamente. Ci aiutano anche
economicamente» racconta
Jennifer. Per capire la portata
del fenomeno basti pensare che
esiste addirittura una federazione parallela, la Fisac (Federazione
Italiana
Sport
Acrobatici e Coreografici),
nata qualche mese prima e riconosciuta sia dal Coni che
dalla Federazione Europea di
Cheerleading: conta una ventina di squadre e racchiude più
discipline.«La Fisac ha meno
esperienza – precisa Jennifer –
perché non è specializzata nel
solo cheerleading come noi ma
si occupa anche di altro».
Un po’ di sana rivalità aiuta
il movimento. Anche per andare oltre le apparenze: «Non
siamo ragazze pon pon senza
cervello. Delle mie ragazze
metà è già laureata, c’è un’insegnante professionista di
danza, una fa la grafica, un’altra lavora in radio, otto ancora
studiano, una fa la geometra e
la volontaria di primo soccorso. Io stessa faccio l’insegnante d’inglese» spiega
Jennifer. Dunque belle, le foto
lo testimoniano, ma anche
brave. Per verificarlo basta
guardare attentamente la tv e
seguire i prossimi eventi sportivi di Milano (e non solo).
Vi accorgerete che il cheerleading non è solo un’americanata ma un vero e proprio
sport.
Nella foto,
le All Star Milano.
In basso Jennifer
Lechner, 33 anni,
coach della squadra
LAB Iulm
SOCIETÀ
L’INTERVISTA
Pagina 19
SABRINA LISSONI
La mamma con i pon pon
Roberto Tortora
S
L’INTERVISTA
CRISTIANO PIERANDREI
Sabrina in posa alle Final Eight
2011 di Coppa Italia di basket
“
Non esiste
competizione
individuale, siamo
tutte sorelle unite
con Jennifer
“
abrina Lissoni, 34 anni,
sposata da 10 anni e con
2 figli, Diego di 9 anni ed
Alice di 6, è una donna tuttofare: cura la casa, assistente
nella ditta del marito, madre di
due bambini in un’età cruciale.
Nonostante ciò, a domanda
precisa risponderebbe: «Professione? Cheerleader».
Sabrina, come sei entrata
nel mondo cheerleading?
«Prima ero una pallavolista,
ma ho dovuto smettere per problemi cardiaci, a settembre ho
avuto un’ablazione al cuore,
un intervento necessario che
mi ha messo a nuovo. Risolti i
problemi fisici, la mente aveva
bisogno di riassaporare lo spirito di squadra. Conoscevo la
disciplina, perché ho parenti
negli USA, dove le cheerleaders sono vere e proprie atlete.
Ho trovato su internet un
concorso a cui partecipare e
mi hanno presa».
Com’è nata la storia con le
All Stars Milano?
«Sono entrata nel 2009 nelle
Milano Cheers, ma poi abbiamo seguito la nostra coach
Jennifer Lechner, perché si è
L’ingegnere sfida i pregiudizi
ballando con le cheerleaders
“
Vengo dalla
break-dance
e dall’hip-hop.
Amo divertire
la gente a corpo
libero
“
C
Giuseppe Leo
ristiano ha vinto tre
volte. Quando ha deciso che, al diavolo i
pregiudizi, si sarebbe tuffato
nel mondo del cheerleading.
Quando è diventato un perno
insostituibile della sua squadra. Quando ha capito che
con qualche sacrificio in più
avrebbe potuto mantenere
fede ai propri impegni universitari. Cristiano Pierandrei,
cheerleader
delle
Milano Cheers rappresenta la
rarità che non ti aspetti, l'elemento in apparenza stonato di
un'orchestra il cui messaggio
di armonia, secondo i soliti
benpensanti, dovrebbe essere
declinato al femminile.
Cristiano, domanda che
ogni lettore vorrebbe porti:
sei fidanzato?
«Ho iniziato la vita di cheerleader da single, ma se dovesse capitare, la squadra
avrebbe la priorità. Se una ragazza non sa cogliere quello
che sono, non ha senso intraprendere una storia».
Perché il cheerleading?
«Ho sempre visto con ammirazione i campus universi-
Cristiano durante
un’esibizione con
le Milano Cheers
tari americani dove questo è
uno sport professionistico e le
squadre sono composte in
modo paritario da maschi e
femmine. Il fatto che gli
uomini non possano fare delle
cose non previste dalla società
è un mito da sfatare».
Altri sport in precedenza?
«Ho fatto sempre sport, tipo
danza break-dance e hip hop,
far divertire la gente a corpo libero è una delle mie passioni».
Qual è il tuo ruolo in squadra?
«Faccio sia le coreografie che
lo spotter per gli stunt».
Spiegati meglio.
«Gli stunt sono composti
dalle basi, le quali stanno ai
piedi della piramide umana e
richiedono molta forza, dalla
flyer che è la ragazza che sale e
dallo spotter , che invece aiuta
a salire».
Ci sono degli standard
fisici?
«Nessuna ragazza è particolarmente rotonda, sono tutte
magre, ma mentre le basi devono avere le braccia più robuste, le flyer devono pesare
40-50 kili, altrimenti diventa
un lavoro troppo impegnativo».
Quanti pregiudizi hai
dovuto combattere?
«Molto, ma è bastata la prima
esibizione per sconfiggerlo.
Pensa che molti miei amici
vorrebbero venire ma sono
ostaggi dei luoghi comuni».
La tua famiglia?
«Sono tutti contenti, perché è
un’attività che mi rende felice.
E poi le mie due sorelle sono
nella danza. Questione di
DNA».
Più imbarazzato tu o loro ?
«Penso si sia costruito un bel
gruppo, in cui il sesso non
conta nulla nelle dinamiche di
squadra».
Raccontaci cosa sei fuori
dall’orbita del cheerleading.
«Studio ingegneria informatica, mi mancano 6 esami alla
laurea. Più si avvicina il termine più mi vedo seppellito da
un carico di studio tremendo».
Ti piacerebbe intraprendere
la carriera di allenatore di
una formazione di ragazze
pon pon?
«Solo come secondo lavoro.
Il mio futuro lo immagino nei
panni di ingegnere».
instaurato un gruppo di sorelle
che non si sono volute dividere. Abbiamo fatto un netto
salto di qualità».
Che ruolo hai all’interno
della squadra?
«Sono una spotter, ossia
quella che sta alla base delle
piramidi che creiamo durante
le esibizioni. Spetta a me e alle
compagne con cui divido il
ruolo sostenere e far volteggiare in aria le flyers, che in
squadra sono quelle più esili
per costituzione fisica».
Tu sei la più grande, ovvero
la sorella maggiore delle altre
ragazze, quella saggia?
«Macchè, sono la più matta!
La bellezza di questo sport è
che non ha età né colori, in
gruppo siamo tutte uguali e
non c’è competizione individuale. Preparare nuove coreografie non è semplice, dietro ad
ogni esibizione c’è tanto lavoro di squadra in allenamento».
Tra il ruolo di moglie, di
donna che lavora, di madre
di due figli, dove trovi l’energia per ballare?
«Non è così difficile, basta organizzarsi e collocare gli impegni
intorno
ai
due
allenamenti settimanali. Devo
molto a mio marito ed ai miei
due bimbi, sono venuti spesso
agli allenamenti».
Il momento più bello ed il
più brutto che hai vissuto durante un’esibizione?
«Momenti difficili ancora non
ce ne sono stati, le emozioni
più intense al Forum di Milano
per gli Harlem Globe Trotters
e a S.Siro, “Derby della Madonnina” di beneficenza tra
personaggi dello spettacolo e
della musica, il giorno dopo la
vittoria dell’ultimo scudetto
dell’Inter che, per me che sono
nerazzurra, è stato il massimo!».
Come affrontate i pregiudizi che, inevitabilmente, ci
sono in Italia?
«L’Italia ancora non è matura,
ci sono ancora molti muri da
abbattere. Negli Stati Uniti il
cheerleading si pratica a livello
professionistico, a tempo pieno
e prima viene insegnato già a
scuola. Noi, in generale, veniamo accolte bene, perché
facciamo uno spettacolo senza
essere volgari, ma c’è sempre
quello che fa la battuta di cattivo gusto e non è piacevole.
Per fortuna, però, sono più i
consensi ed abbiamo avuto,
con sorpresa, un riscontro positivo soprattutto nelle donne,
che ci accolgono sempre con
entusiasmo».
Consiglieresti ad Alice, un
giorno, di fare la cheerleader?
«Io sto già lavorando per
prendere il patentino da allenatore e, un giorno, mi piacerebbe diventare coach per
bambini, perciò Alice sarà la
mia prima allieva, lei è già
pronta».
Pagina 20
SPORT
LAB Iulm
IL CALCIO FEMMINILE IN ITALIA
Il campionato italiano di calcio femminile è un torneo dilettantistico istituito dalla FIGC nel 1986. E’ costituito da tre serie nazionali,
Serie A, serie A2 e B e due regionali, serie C e D. Oltre il calcio a 11, ci sono campionati di calcio a 7 e a 5. Ma il calcio femminile in
Italia ha radici più antiche. Le prime testimonianze risalgono al febbraio del 1933 quando a Milano, in via Stoppani 12, viene fondato
il Gruppo Femminile Calcistico, il primo club di calcio femminile organizzato. Le giocatrici scendevano in campo con la gonna. In diverse città sorgono altre squadre, ma il C.O.N.I. per evitare l’espandersi del fenomeno, impedisce alle donne di giocare sia tornei che
singole gare. Nel 1950 a Napoli nasce l’AICF (Associazione italiana calcio femminile) che avrà solo 9 anni di vita. Nel 1965 all’Arena
di Milano si gioca Inter-Bologna, ma in realtà tutte le ragazze in campo sono milanesi dai 14 ai 17 anni. Nel 1968 a Viareggio nasce
la Federazione italiana calcio femminile (FICF), anche se alcune squadre preferiscono aderire all’UISP. Nel 1970 avviene uno scisma
all’interno della FICF che porta alla nascita della FFIGC (Federazione femminile italiana giuoco calcio). Nel 1976 la FFIGC diventa
FIGCF (Federazione italiana giuoco calcio femminile) che confluirà nella FIGC nel 1986. Ma è solo con lo statuto del 2000 che il calcio femminile viene esplicitamente riconosciuto dalla FIGC.
Mamme
nel
pallone
Elisabetta, Giorgia
e Alessandra giocano nel San
Vito, squadra di calcio a 7
del quartiere Giambellino
Sono tutte mamme
Erika Crispo
T
utto ha avuto inizio più o
meno vent’anni fa
quando Mauro Maggi,
allora allenatore del San Vito
maschile, si è posto una sfida,
temeraria per i tempi: fondare
una squadra di calcio femminile. E così alcune ragazze
hanno lasciato la squadra di
pallavolo dell’omonimo oratorio per dedicarsi a quest’inedita esperienza calcistica.
Elisabetta e Giorgia sono due
di loro.
E sono stati proprio gli allora
fidanzati, oggi mariti, che tuttora giocano nel San Vito ma-
schile, a spronarle a tentare.
“Abbiamo iniziato un po’ per
caso, un po’ per curiosità, all’epoca c’era solo una dozzina
di squadre e il campionato era
stato molto breve” spiega Elisabetta mentre taglia a cubetti
una zucchina. Sta preparando
il minestrone per cena. Chi
l’avrebbe mai detto? Lo stereotipo della donna-maschiaccio che gioca a pallone è ormai
superato.
Elisabetta Piras, 40 anni, un
lavoro, un marito, tre figli, una
gatta e una casa da mandare
avanti, è il portiere del San
Vito, squadra di calcio femminile a 7 del quartiere Giambellino. “I primi tempi non
sapevamo fare davvero nulla”
LA SQUADRA
L’orgoglio del Giambellino
Il San Vito si allena e gioca le proprie partite nel campo dell’oratorio omonimo in via Tito Vignoli n° 35, nel quartiere
Giambellino. La squadra femminile è nata nel 1992 da un’idea
di Mauro Maggi, allora allenatore della maschile e oggi della
femminile, nonché presidente della società.
Nel 2005 il San Vito si è costituito in ASD, associazione sportiva dilettantistica riconosciuta dal C.O.N.I. Dopo aver militato per anni nel campionato di Eccellenza, ora la squadra
gioca nel campionato femminile di calcio a 7 del CSI nella categoria Open. Nell’albo d’oro due scudetti, due campionati primaverili e una coppa Disciplina.
racconta Giorgia “mi ricordo
che in una delle prime partite
una nostra compagna fece autogol e si mise ad esultare
senza capire di aver segnato
nella porta sbagliata”. Una
scena tanto imbarazzante
quanto esilarante.
Ma ne è passata di acqua
sotto i ponti da allora. Sia per il
San Vito che per Giorgia.
La squadra gialloblu infatti
può vantare nel proprio palmarès due scudetti nel campionato invernale, due nel
primaverile, una coppa Disciplina (miglior fairplay del torneo), una partecipazione ai
campionati regionali ed è attualmente salda in testa alla
classifica del proprio girone
nel campionato di quest’anno.
Anche Giorgia Morera, 41
anni, mamma di due bambini,
Martina di 10 e Michele di 8,
ne ha fatta di strada: dopo dieci
anni in gialloblu ha giocato in
varie squadre a 11 in serie C e
D per poi tornare nel San Vito
dove oggi è il pilastro della difesa. “Gli allenamenti e soprattutto le trasferte fuori Milano
erano diventati troppo impe- tinuerò comunque a fare
gnativi con due figli” spiega sport”. E’ dello stesso avviso
“ma la voglia di giocare a cal- Elisabetta che dopo vent’anni
cio è sempre stata molto forte e passati a spaccarsi le ginocchia
tornare nel San Vito è stata la sul duro terreno del Giambelscelta più ovvia”.
lino, giocherà ancora qualche
E infatti nemmeno le lesioni stagione visto che c’è in previai due menischi e ai legamenti sione di rifare il campo in sinche l’hanno costretta a operarsi tetico. Giorgia ed Elisabetta
ad entrambe le ginocchia fanno a pezzi il muro di prel’hanno fermata. Il ruolo di giudizi che da sempre accommadre non è mai
pagna le donne che
stato un pro- Sotto la pioggia, giocano a pallone,
blema, se non con la neve, non troppo spesso conper difficoltà pusiderate “uomini
ramente logisti- esitano a tuffarsi mancati”.
nel fango per E se queste due
che, facilmente
risolvibili
da
segnare donne potrebbero
nonni o babyun caso
o
evitare
un gol sembrare
sitter. Se si fa ececcezionale, è precezione per le
sto detto: nel San
gravidanze e gli infortuni, né Vito ci sono ben 5 mamme! E
Giorgia né Elisabetta hanno Alessandra de Robertis, 33
mai smesso di giocare.
anni, è una di queste. Gioca a
Ma, insomma, quarant’anni, pallone in gialloblu da tre sole
un lavoro e una famiglia, stagioni, ma ha sempre avuto
quando avranno intenzione di lo sport nel sangue. Mamma di
appendere le scarpe al chiodo? Giulia, 4 anni, dopo le espe“E’ ancora presto” è la risposta rienze di atletica e canottaggio,
secca di Giorgia “Smetterò ha deciso di provare col calcio,
solo quando il mio fisico non sport che le è sempre piaciuto
reggerà più e anche allora, con- fin da bambina.
LAB Iulm
“
SPORT
Ho quarant’anni
e tre figli ma non
ho mai pensato
di non giocare più
per questo
”
L’ INTERVISTA/1
Pagina 21
ELISABETTA, PORTIERE
La mia passione invincibile
E
lisabetta Piras, 40 anni , da
venti tra i pali del San Vito.
Quanti figli hai?
«Tre. Tommaso di 9 anni,
Alessandro di 7 ed Emanuele di 4».
Avrai fatto dei sacrifici
per far coincidere i tuoi
impegni di mamma con
quelli della squadra. Che
tipo di difficoltà hai incontrato e come le hai affrontate?
«Le uniche difficoltà che
ho incontrato sono state
semplicemente organizzative, il far coincidere i miei
impegni del weekend con
quelli di mio marito (anche
lui gioca) e dei miei figli.
Quando le nostre partite
coincidono, è Alberto (il
marito, ndr) che si preoccupa di trovare un rincalzo,
che sia mia suocera,
un’amica o una baby-sitter.
Ma non ho mai pensato di
smettere per questo, è una
problematica alla quale si
può trovare facilmente soluzione».
Che rapporto hai con le
altre mamme della squadra?
«Ho un bel rapporto, come
con le altre ragazze, ma non
facciamo cose “da mamme”.
ragazze parlare delle loro cose,
fare battute. Quando sono
nello spogliatoio o in campo
non sono né mamma né mo-
L’INTERVISTA/2
SILVIA, CENTROCAMPISTA
Ho sempre visto il calcio come
un modo per essere solo io.
A me piace ascoltare le altre
glie, per quello ho altri spazi,
che sono già tanti. Non fraintendermi, non rifiuto questa
mia condizione, ma il
calcio è un momento
tutto mio che mi lega
anche al passato, a
quello che sono stata
prima
di
essere
mamma e moglie».
Se avessi una figlia
femmina che decidesse di giocare a calcio saresti d’accordo?
«Assolutamente sì»
Un consiglio che daresti alle ragazze che
vogliono intraprendere questo sport?
«Come tutte le cose,
se si hanno delle passioni bisogna assecondarle, per quanto
possibile e per quanto
sane.
A una ragazza che
avesse voglia di giocare a calcio direi di
seguire la propria inclinazione e le proprie
passioni anche perché
ormai ci sono talmente
tante società che il calcio femminile non è più solo una realtà
di nicchia, ma un fenomeno in
espansione».
(e.c.)
“Finché cammino non smetto”
S
E la tripletta messa a segno
in un match in questo campionato dimostra che non ha sbagliato disciplina. Giorgia,
Elisabetta, Alessandra e le altre
giocatrici del San Vito smantellano un’altra opinione diffusa e cioè che il calcio sia uno
sport “da maschi” e che le
donne non ne siano all’altezza.
Ma non è così.
Sono sempre di più le ragazze che hanno questa passione, che si allenano con
costanza e con impegno, sotto
la pioggia, con la neve, che
non esitano a tuffarsi nel fango
per segnare o evitare un gol.
Sono le ragazze che amano il
calcio. Giorgia analizza perfettamente la questione: “Come
in altri ambiti di vita anche
nello sport spesso noi donne
dobbiamo fare più fatica degli
uomini per essere riconosciute.
E’ una questione culturale.
Non c’è bisogno di “imitare i
maschi” per giocare a calcio.
Se ci arrendiamo a questa idea
non ci scrolleremo di dosso
qualche presa in giro e qualche
pregiudizio di troppo”.
Lo stemma della squadra
femminile del San Vito.
Le ragazze giocano in un campo
d’oratorio al quartiere
Giambellino.
Hanno vinto due campionati
locali di calcio a sette
ilvia Belardi, 31 anni, capitano e bandiera del San
Vito, numero 9 come il
grande Marco Van Basten.
Quando e come hai iniziato
a giocare a calcio?
«Il calcio mi piaceva fin da
piccola, lo seguivo in tv e seguivo mio padre che giocava.
Quando avevo 15 anni la mia
insegnante di educazione fisica
mi ha visto giocare durante una
delle sue lezioni e, dato che lei
faceva parte del San Vito, mi
ha chiesto di provare.
Da allora non ho mai smesso di
tirare calci a un pallone. E
sempre in gialloblu».
Come mai non hai mai cambiato squadra?
«Per i vincoli affettivi che mi
legano al San Vito. Sono
troppo affezionata alla società,
all’idea di squadra e poi il calcio a 7 per me è più divertente
di quello a 11».
Un ricordo particolarmente
emozionante della tua carriera?
«Sicuramente i due scudetti
vinti, ma non scorderò mai la
finale del campionato primaverile che abbiamo vinto grazie ad una mia doppietta. Una
gioia incontenibile».
Hai intenzione di smettere?
«Sicuramente smetterò, ma
non so quando. Forse quando
non riuscirò più a camminare.
In passato ho rotto i due legamenti crociati anteriori e sono
stata operata ad entrambe le gi-
nocchia. La passione è troppo
grande e sono ancora qui a rincorrere un pallone.
Ma se dovessi subire un altro
grave infortunio, probabilmente smetterei, anche se
spero di non finire la mia carriera in questo modo».
Se avessi una figlia femmina
che decidesse di giocare a
calcio saresti d’accordo?
«No, certo non glielo vieterei,
ma non ne sarei entusiasta. Il
calcio è uno sport duro, è facile
farsi male e per la sua salute
preferirei che non giocasse».
Un consiglio che daresti alle
ragazze che vogliono intraprendere questo sport?
«Allenarsi. Allenarsi sempre e
comunque e non smettere mai
di imparare. Nel calcio non si
finisce mai di migliorare.
L’allenamento, il duro lavoro,
l’attenzione verso la propria
condizione fisica, sono fondamentali per giocare a un buon
livello». (e.c.)
Pagina 22
IULM NEWS
LAB Iulm
La Scienza
depone
le armi
Umberto Veronesi e
Alessandro Cecchi Paone
presentano “Scienza e Pace”
libro tratto dall’omonimo
progetto dell’oncologo
milanese “Science for Peace”
Meno armi, più ricerca, un
pacifismo visionario con
solide basi per divenire realtà
Roberto Tortora
M
olti si chiedono perché, come uomo di
scienza, mi sto impegnando per la pace. La risposta è: per continuare a
combattere il dolore. Come
medico mi sono reso conto che
il primo bisogno dell’uomo è
l’eliminazione della sofferenza
e come uomo ho vissuto
l’esperienza della guerra, toccandone con mano l’orrore e
l’insensatezza…”. Con queste
parole il professor Umberto
Veronesi, Direttore Scientifico
all’Istituto Europeo di Oncologia, coglie il fulcro del movimento Science for Peace, da
cui scaturisce il libro intitolato
“Scienza e Pace”, firmato congiuntamente con Alessandro
Cecchi Paone e presentato in
anteprima nell’Aula Magna
dell’Università IULM. Attraverso la conversazione tra i
due, introdotta e moderata dal
Rettore, Giovanni Puglisi, il
volume dimostra come oggi il
pacifismo possa tramutarsi da
utopia in realtà attraverso i
meccanismi della scienza e
della ragione.
Di Science for Peace ne
sono promotori scienziati e ricercatori (tra i quali ben 5
premi Nobel che ne costituiscono il Comitato d’Onore) il
cui operato è riconosciuto a livello internazionale. “La
guerra non è insita del dna del-
Umberto Veronesi,
Giovanni Puglisi
e Alessandro
Cecchi Paone
alla presentazione
del libro “Scienza e Pace”
l’uomo, il cui unico scopo è il
mantenimento della specie –
dichiara Umberto Veronesi – e
la scienza, fatta di numeri, è il
linguaggio universale ideale
per comunicare, perchè non ha
etnìe. Oggi più che mai trovo
assurdo che i governi continuino a investire nella politica
degli armamenti anziché in
quella del progresso – prosegue il medico milanese - destinando fondi esigui alla ricerca,
alla sanità, all’educazione e
alle urgenze sociali. E’ora di
cominciare ad imitare quei
Paesi che hanno già cominciato una politica del disarmo.
Penso al Costa Rica – prosegue
l’oncologo italiano – ma anche
all’Islanda, all’Austria, al
Giappone e, per ultimo, al
Messico che ha dichiarato che
comincerà a breve ad eliminare
la propria forza militare. Sono
tutti sintomi di un’epidemia
positiva che spero contagi
anche quei Paesi che ritengono
fondamentale possedere un impianto militare all’avanguardia”.
L’Unione Europea conta al
suo attivo ben 27 eserciti, che
non operano in regime di
guerra e che producono una
spesa complessiva di 300 miliardi di euro. “L’Europa non
ha più confini, è la nostra nazione unica – spiega il professor
Veronesi,
quindi
baseterebbe un solo esercito,
con compiti esclusivi di polizia
e pacificazione internazionale”. Da uno studio commissionato all’Università Bocconi
si evince che, solo tagliando il
5 % degli attuali investimenti
militari, si risparmierebbero
ben 4,05 miliardi di euro, da
poter utilizzare per incentivare
la ricerca ed il progresso tecnologico. E’, dunque, la
scienza che può dimostrare di
poter portare soluzioni a situazioni da sempre causa di
guerra. All’appello di Umberto
Veronesi hanno risposto le personalità di maggior spicco
della cultura internazionale nel
corso dei due primi incontri
svoltisi a Milano nel 2009 e nel
2010, alla presenza di scienziati, ma anche di comuni cit-
LA PRESENTAZIONE
Da sinistra Alessandro Cecchi Paone, il rettore Giovanni Puglisi e Umberto Veronesi
Science for Peace è l’ultimo progetto nato su iniziativa del
Professore Umberto Veronesi (già ideatore della Fondazione
Veronesi per promuovere il Progresso Scientifico) per proporre e attuare soluzioni scientifiche di pace. L’obiettivo nobile è la nascita di un grande movimento per la pace alla cui
guida si ponga il mondo della scienza. Hanno risposto affermativamente all’appello ventuno premi Nobel, scienziati di
tutto il mondo e numerose personalità della cultura internazionale. Tra le partecipazioni più prestigiose si segnalano Rita
Levi Montalcini (Nobel per la Medicina nel 1986), Luc Montagnier (Nobel per la Medicina nel 2003), Shrin Ebadi (Nobel
per la Pace nel 2003), Claude Cohen-Tannoudji (Nobel per la
Fisica nel1997) e il Dalai Lama. Il progetto si prefigge di realizzare due grandi obiettivi: la diffusione di una cultura di
pace e la progressiva riduzione degli ordigni nucleari e delle
spese militari a favore di maggiori investimenti in ricerca e
sviluppo.
LAB Iulm
IULM NEWS
Pagina 23
IN ARRIVO/2
IN ARRIVO/1
Tornano gli Open Day Online da fine marzo
L’Ateneo apre ai liceali il nuovo portale Iulm
Come ogni anno, l’Università apre le
porte agli studenti liceali. Il programma prevede una serie di open
day per illustrare i corsi e mostrare il
nostro Ateneo a tutti i ragazzi che
dopo la maturità dovranno decidere il
proprio futuro. Per i Corsi di Laurea
triennale sono previsti quattro appuntamenti, a partire da sabato 26 marzo
quando l’Università rimarrà aperta dalle 9 alle 10.30. Si replicherà sabato 16 aprile, sabato 21 maggio e infine mercoledì 13
luglio. Saranno invece due gli open day dedicati ai Corsi di
Laurea Magistrale: martedì 10 maggio e martedì 5 luglio. Nel
corso di queste giornate si potranno incontrare i docenti che
presenteranno contenuti, obiettivi e sbocchi professionali dei
Corsi di Laurea. Inoltre ci sarà la possibilità di visitare le strutture dell'Ateneo e di conoscere nel dettaglio i servizi, le modalità di iscrizione e le iniziative di sostegno allo studio. A questo
proposito sarà presente un info point con studenti tutor che saranno a disposizione dei visitatori per maggiori informazioni.
Chiunque volesse partecipare a queste giornate può iscriversi
tramite l’apposito form raggiungibile selezionando il banner
“Open Day” nella home del sito Iulm. (s.f.)
Sarà online nel corso del mese di
marzo il nuovo portale dell’Università
(nella foto), raggiungibile digitando
www.iulm.it. Molte le innovazioni, a
partire dalla homepage dove un rullo
scorrevole mostra le iniziative più rilevanti dell’Ateneo. La pulizia dell’impaginazione e la scelta dei colori
sono finalizzate a una maggiore comprensione. Appena sotto il rullo, tre macroaree: “Primo Piano”
che sottolinea le notizie più importanti, “Offerta didattica” che
permette agli studenti di accedere alle informazioni dei Corsi
di Laurea e “Partnership” che illustra le aziende che collaborano con l’Università.
Il grosso frame blu sulla sinistra, che semplifica la navigazione,
e i link alle iniziative collegate all’università (come il sito del
nostro giornale, il Virtual Campus e le convenzioni per gli studenti) accompagnano il navigatore in tutto il sito. Importante
anche la parte multimediale, con i video degli ospiti più prestigiosi intervenuti allo Iulm e la sitemap in fondo a ogni pagina
consente di avere sottomano tutte le sezioni presenti nel sito.
Infine, non mancano i collegamenti ai social network come Facebook, Twitter, Flickr e Youtube. (s.f.)
LA CONFERENZA
Insegnare la filosofia alle elementari
serve a dare i giusti valori ai bambini
tadini giunti da ogni parte del
mondo. Il professore ha, poi,
presentato una mozione sia al
Senato sia alla Camera, per impedire il progetto d’acquisto di
una cinquantina di caccia bombardieri JSF (Jet Super Fight),
che costerebbero allo Stato
circa 100 miliardi di euro. “Per
fortuna la nostra Costituzione
rifiuta la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti tra nazioni, questi caccia
sono strumenti esclusivi d’attacco e non di difesa, che non
ci servono. Con questi fondi
possiamo costruire nuovi ospedali e asili nido, in Italia ne servirebbero 20.000. Science for
Peace si batte anche per questo”.
La copertina del libro
Anna Gaudenzi
I
nsegnare la filosofia alla
scuola primaria è non
solo possibile, ma utile
e altamente formativo. Durante la conferenza internazionale sull’insegnamento
della filosofia organizzata
dall’Unesco presso l’Università Iulm tra il 14 e 16 febbraio 2011 filosofi, professori
e membri della commissione
dell’Unesco, hanno discusso
sui metodi necessari per avvicinare il bambino alle grandi
domande sull’essere, con la
convinzione che la filosofia
possa contribuire all’educazione di un individuo consapevole del suo ruolo nel
mondo.
Il tema dell’insegnamento
della filosofia al bambino è
affascinante e si presta a numerosi studi nell’ambito pedagogico. Pur apparendo una
materia complessa e lontana
dai bisogni fondamentali
della persona, la pratica filosofica è una necessità che si
presenta fin dalla più tenera
età: infatti è proprio durante
l’infanzia che si sviluppa l’attitudine a porsi domande sull’essere, sul divenire e sul
mondo.
Ed è senza dubbio la
scuola, secondo quanto
emerso dagli interventi, il
luogo ideale dove iniziare a
sviluppare un pensiero filosofico, infatti è a scuola che il
bambino è più stimolato a ra-
gionare per cercare risposte a
aperta alla problematizzadomande che spontaneamente
zione e un linguaggio semgli si presentano. Esperimenti
plice e accessibile.
in tal senso sono stati intrapresi
Angela Melo, Presidente
in molti Paesi tra
del
settore
i quali Austria,
Scienze Umane e
Belgio, Canada,
Sociali dell’UneFrancia,
Stati
sco, durante il suo
Uniti e Germaintervento ha sotnia. Al centro
tolineato come la
della ricerca i mefilosofia, proprio
todi scientifici e i
perché concerne
progetti educativi
problemi etici,
per stimolare l’atestetici e esistenteggiamento filoziali: «porta l’insofico
nel
dividuo
fin
bambino
ma
dall’infanzia a raanche per formare
gionare sulla coninsegnanti
in
dizione umana e,
grado di affronin momenti di
tare la materia.
crisi morale e
Non è possibile
istituzionale
né utile usare un
come questo, in
approccio storico
un mondo in cui
alla
filosofia,
prevale l’imporquello per lo più
tanza dell’econoseguito
nella
mia, può essere
scuola secondaria,
un mezzo utile
ma andrebbe piutper formare uotosto
adottata
mini e donne
Il filosofo Euripide che vedano nella
una metodologia
Iulm e Unesco uniti per i giovani
Tra il 14 e il 16 febbraio si è tenuta alla Iulm la conferenza regionale (Europa e Nord America) sull’insegnamento della filosofia organizzata dall’Unesco. Studiosi di tutto il mondo hanno
dibattuto sull’importanza dell’insegnamento della filosofia a tutti
i livelli scolastici. Oltre al rettore Giovanni Puglisi, presidente
della commissione italiana dell’Unesco, sono intervenuti tra gli
altri Moufida Goucha Presidente della sezione di Filosofia e Democrazia, Angela Melo Presidente del settore di Scienze Umane
e Sociali, Michele di Francesco professore di filosofia presso
l’Università San Raffaele. (a.g.)
democrazia, nella giustizia
nella pace i valori giusti a cui
fare riferimento».
Anche in Italia vi sono stati
alcuni importanti studi teorici.
Il Centro di Ricerca per l’Insegnamento Filosofico di Roma
e il Centro Interdisciplinare di
Ricerca Educativa del Pensiero
di Rovigo sono attualmente responsabili di una sperimentazione che coinvolge circa 50
scuole in tutt’Italia anche se in
realtà è difficile stimare il numero esatto di classi coinvolte.
Michele di Francesco, Professore di filosofia presso
l’Università San Raffaele di
Milano, da anni si occupa di ricerca in questo ambito e alla
Iulm ha parlato di «necessità di
trovare raccomandazioni da
parte dei governi proprio per
istituzionalizzare l’insegnamento della filosofia alle primarie
e
alla
scuola
dell’infanzia».
E ha sottolineato: «Con la filosofia il bambino impara ad
ascoltare l’altro e a confrontarsi. Compatibilmente con
l’età del bambino e la sua sensibilità, la filosofia può avere il
compito importante di educare
un cittadino consapevole e un
adulto responsabile»; ha concluso però: «Non bisogna dimenticare che in Italia la
filosofia viene insegnata solamente negli ultimi anni del
liceo, sarebbe invece fondamentale che fosse presente
anche negli altri istituti superiori».
Pagina 24
IULM NEWS
LAB Iulm
Dalla rivolta scoppiata in Maghreb contro i dittatori una lezione della storia
Errori e orrori del potere
segue dalla prima
Gli orrori del secolo scorso,
quelli che hanno sconvolto l’umanità – la follia criminale nazista
e
l’equivalente
impareggiabile ipocrisia politica della dittatura del proletariato, che ha contagiato
attraverso quella che si chiamava l’Internazionale comunista l’intero Occidente – sono
stati archiviati nella memoria
storica e politica, specie delle
giovani generazioni, che – purtroppo! – a mala pena ne hanno
nozione, anche per la stravaganza dei programmi scolastici
e per le rimozioni di molta cultura contemporanea. Oggi l’iconologia mediatica, che
orienta opinioni, flussi umani e
anche finanziari è quella dettata dalle grandi holding della
comunicazione, che riescono a
trasmettere miti e illusioni,
quasi sempre senza cavo, che,
incontrando nell’empireo del-
l’onirico o del fantastico sogni
infranti e speranze disperate, li
rivitalizzano, originando nella
realtà flussi irrefrenabili di uomini e donne, che cercando
l’Eden sulle nostre sponde, una
volta arrivati ne sperimentano
invece l’aspetto infernale.
All’inizio del secolo scorso,
quando il mito americano attirava migliaia di immigrati dall’Europa e, molti fra essi
dall’Italia, bastava l’embargo
decretato dal Governo americano per dissuadere, prima che
fermare i flussi. Oggi la quantità dei flussi, ma soprattutto la
maturazione della coscienza
civile delle genti ha reso questo problema “il problema”
della nostra epoca, con risvolti
politici ed economici assolutamente imprevedibili. Un solo
esempio vale come prisma politico per la comprensione
della rivoluzionaria potenzialità di questo problema.
Quando, all’inizio del secolo
scorso, i nostri immigrati e,
ancor di più quelli che approdavano sulle coste americane
dall’Africa sub sahariana,
spesso emergendo da galere
putride e maleodoranti, non
avrebbero mai immaginato che
uno di loro, un secolo dopo, sarebbe stato il Presidente degli
Stati Uniti d’America. L’avvento di Barack Obama alla
Casa Bianca non è stata solo
una rivoluzione politica, bensì
una vera rivoluzione epocale,
che insieme alla caduta del
Muro di Berlino ha dato la misura del cambiamento. La percezione del cambiamento però
da sola non basta a dare la
forza della progettualità; e,
cosa ancora più importante,
non basta alla comprensione
della sua ineluttabilità.
È quanto accade in questi
giorni, vorrei dire in queste ore
sotto i nostri occhi: la caduta
del dittatori, corrotti e arroganti, dell’Africa del Nord non
ha insegnato ancora molto agli
altri dittatori, che ammantati
dal paludato ombrello del potere o dalla impareggiabile
forza del petrolio, continuano
a credere di poterla fare franca.
In verità fin quando la comunità internazionale non avrà la
forza e il coraggio di arrestare,
processare e fare marcire in un
carcere per il resto dei loro
giorni, tutti i criminali di
guerra e non solo, che hanno
commesso e continuano a
commettere crimini contro
l’Umanità, violando in modo
palese o occulto i diritti umani,
non riusciremo mai a vincere
questa vera battaglia di civiltà.
L’ultimo venuto alla ribalta di
questi immondi personaggi è il
libico Gheddafi, ma – temo
proprio – che il mondo sia ancora pieno di questi spregevoli
e terribili personaggi, che, all’ombra degli intrecci di potere tra Stati e tra di loro o
all’ombra del possesso delle
fonti di energia – oggi il petrolio, domani l’acqua – riescono
ad attraversare, impuniti e ta-
lora anche temuti, il tempo e,
purtroppo, le vite dei loro oppositori, calpestandole, anche
fisicamente. Di costoro si conoscono nomi e cognomi,
paesi e crimini, ma i potenti del
mondo spesso tacciono, se addirittura non banchettano con
costoro.
È davvero strano vedere come
la forza della comunicazione
senza frontiere, spesso si incagli sulla soglia dei Palazzi dei
Potenti della Terra, impedendo
loro di aprire gli occhi davanti
ai criminali misfatti dei loro
“colleghi”. La distanza tra il
Potere e la società civile, tra i
ricchi e i poveri, tra i potenti e
gli umili si allarga così sempre
di più, a prima vista a danno
dei secondi, ma la Storia dimostra che le cose, per fortuna,
alla fine stanno proprio al contrario, “perché di loro sarà il
Regno dei Cieli”. Parola di
Dio, è bene non dimenticarlo.
Giovanni Puglisi
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Marzo 2011 - Master in Giornalismo