Anno XXV N° 7/8 - 9/10 - Luglio/Agosto - Settembre/Ottobre 2013 Sped. Abb. Post. 45% Art.2 Comma 20/b Legge 662/96 - Filiale di Cosenza La redenzione è umanizzazione di Vincenzo C Filice apita spesso di ascoltare persone profondamente turbate per la tempesta dei tanti fatti delittuosi che, quotidianamente, si abbatte sulle nostre coscienze. I Mass media, con la scusa di un’informazione puntuale e distaccata, amplificano morbosamente e freddamente i particolari raccapriccianti per attirare l’attenzione dei lettori e senza alcuna riflessione a carattere formativo che li aiuti a leggere la realtà delittuosa inquadrandola come sfida verso il superamento di una condizione umana tutta orientata all’arricchimento, al sensualismo, alla possessività, al potere, all’individualismo,al successo, alla competitività, all’odio ottuso. L’attenzione, così, è posta esclusivamente sul delitto e la sua ferocia, ma non sulle cause radicate nella moderna idolatria del benessere individuale, economico, affettivo, autogratificante, esclusivista. Anzi, accade spesso che il responsabile del delitto appaia, sia pure in termini negativi, un eroe e susciti, di conseguenza, emulazione ed una perversa catena imitativa. Insomma, i Mass media non abdicano alla loro funzione educativa, ma la deviano irresponsabilmente affatto preoccupati della umanizzazione dell’uomo. L’umanità odierna, anche per questo, è sempre più ammalata e disorientata nella ricerca di senso. L’uomo e la donna, oggi, con eccessiva facilità, abdicano alla propria dignità di esseri intelligenti e liberi chiamati alla solidarietà, alla fraternità, all’amore gratuito e perdonante, e si rasse- La Famiglia nella tradizione culturale africana P gnano a vivere alienati, nell’essere e nell’agire, in una volontà di potenza che, in realtà, si rivolge contro se stessi. Il dramma dell’esistenza umana contemporanea è proprio questo: siamo vittime di noi stessi, della nostra stupidità che ci fa vedere il bene nel male. Questa distorsione della coscienza, ove dovesse continuare ancora a lungo, farà implodere la civiltà condannandola alla babele inquietante di uno sviluppo senza etica e di un progresso come regresso verso l’homo homini lupus. Occorre, dunque, una sollecitudine, da parte di tutti, per un progresso che sia più umanizzante e personalizzante, più proteso alla costruzione di un ordine morale oggettivo capace di rendere ogni uomo più umano fuori dal quadro ingannevole e devastante della civiltà consumistica dove la persona umana è schiava delle cose e dei sistemi socio-economici che essa stessa produce. segue a pagina 2 di Giuseppe Liguori er noi occidentali la famiglia è un nucleo piuttosto ristretto: marito, moglie e figli. Non è certo così nella tradizione africana, nella quale la famiglia è una realtà molto più estesa. Tanto per iniziare, in quasi tutti i Paesi africani la parola “cugino” non esiste ed è sostituita da quella di “fratello”: i figli di mio fratello sono anche i miei figli e tra di loro sono fratelli, non cugini. È lo stesso concetto espresso nel Nuovo Testamento, quando si parla dei “fratelli” di Gesù. In secondo luogo, anche dopo il matrimonio l’africano è legato alla famiglia d’origine e dovrà occuparsi fino alla morte innanzitutto dei suoi genitori (anche perché il sistema pensionistico non esiste o funziona malissimo), e poi anche dei suoi fratelli e delle sue sorelle, soprattutto se esse non sono sposate. C’è inoltre un altro punto molto importante, di difficile comprensione per gli eurosegue a pagina 22 continua da copertina L’uomo moderno, ognuno di noi, è chiamato a redimersi. E, questa redenzione, non è altro che la nostra umanizzazione. L’uomo è soggetto della propria esistenza, e la scienza e la tecnica ci hanno aiutato ad uscire dall’infanzia dilatando le nostre conoscenze e le nostre possibilità di vittoria e rafforzando la debolezza della nostra natura, ma ora dobbiamo lavorare per non restarne imprigionati e continuare a considerare, immanentisticamente, la ragione e “l’IO penso” come referente unico e assoluto, chiuso alla trascendenza. è inutile illudersi, la delittuosità dilagante ci conferma che “senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia” ( Enc. Caritas in Veritate, n.78). La volontà di potenza, comunque espressa e attuata, “non può fondare da sé un vero umanesimo”. Redimersi dalla stupidità vuol dire, come ha scritto Benedetto XVI , proprio questo: “La chiusura ideologica a Dio porta a dimenticare i valori autenticamente umani” (n.78). E, perciò, “l’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano”(ib.) tale e quale come quello vincente oggi. La dignità umana, dunque, esige, da parte di tutti, soprattutto delle Istituzioni, di mettere al centro la persona umana, i suoi diritti fondamentali, nel convincimento sempre chiaro, che le “leggi economiche non sono assolute”, ma devono essere ispirate alla giustizia e all’equità contro l’assenteismo, il doppio e triplo lavoro, contro il lavoro minorile e la disoccupazione dilagante e contro il capitalismo disumano che pone il profitto al di sopra di tutto, del lavoro stesso. Ma questo sarà possibile solo se , come suggeriscono i Vescovi, si dà “sempre più chiaramente il primato alla vita spirituale da cui dipende tutto il resto” (CEI, Chiesa Italiana e le prospettive del Paese, n.13). Redimersi, infine, vuol dire “andare controcorrente e porre sui valori morali le premesse di una organica cultura di vita” (CIMn.11). In tutta questa opera redentiva, i cristiani possono e devono fare molto. Essi però “non possono stare alla finestra, né possono accettare di chiudersi nelle sacrestie o nel privato” (Ib.,12) e le Parrocchie dovranno smetterla di ridurre il cristianesimo a pratiche di turismo religioso, devozionalistico e miracolistico per essere “soggetto sociale” nel proprio territorio, per una storia nuova non più legata a tradizioni ripetitive e smorte. Per questo i Vescovi insegnano: “La Parrocchia non può ridursi solo al culto, e, tantomeno all’adem- pimento burocratico della varie pratiche. Bisogna che nasca una Parrocchia comunità missionaria di credenti”. Non solo. Anche la famiglia cristiana “non può restare chiusa né sentirsi vittima. Deve essere scuola di vita, spazio di apertura e palestra di umanità (…) si faccia lievito di una società rinnovata”(CEI, CIM, n34. E, infatti, “una fede che non diventa cultura non è una fede pienamente accolta, né interamente pensata, né fedelmente vissuta” (Papa Vojtyla, Christi fideles laici, n.59). La Calabria, soprattutto, come scrivevano i Vescovi nel 1948 nella Lettera collettiva: ha bisogno di “una religione più pura e di una giustizia più piena”. Ma, ahimè, preti e laici , oggi,come sempre, sono in tutt’altre faccende affaccendati e, Vescovi e Papi, in assenza di verifiche, parlano al vento. Notizie “Bachelet”: Carta impegno 2013/2014 Come punti della carta impegno 2013/2014 sono emersi i seguenti: 1) il filo conduttore degli incontri di quest’anno dovrà essere la Bibbia. Trattare sul discorso della Bibbia e sviluppare le sue letture; 2) organizzare una visita a Rossano al Codex Purpureus per continuare la proposta fatta da Don Vincenzo durante il Campo Famiglia, di approfondire e discutere sulla relazione che lui ha tenuto al Campo e cioè “La Bibbia che cosa è e cosa non è” 3) Scuola Formazione Fare Famiglia, si è pensato quest’anno di aprirla a tutta la Società Cosentina per sensibilizzare la società stessa ai temi attuali e scottanti quali per esempio: La Relazione di Coppia; L’educazione dei figli; il rapporto scuola-famiglia che è perennemente in crisi. Bisognerà che la Scuola Fare Famiglia formi una rete di sensibilizzazione della Società e non solo delle Parrocchie. 2 Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 Non bisognerà fare molti incontri, farne pochi ma qualitativamente forti. 4) Organizzazione Premio Terracina. Attivare la Commissione organizzatrice del Premio. 5) Banco Alimentare riprenderà l’attività dopo la pausa estiva il 20 settembre anche se la roba che arriva dal Banco centrale è sempre poca. 6) Organizzazione Tombolata di Beneficienza per aiutare il Banco Alimentare; 7) Nel mese di ottobre verranno rimandate a tutti i soci le “schede impegno” in modo da verificare l’impegno di ciascun socio nelle varie attività del Centro; 8) Creare sul Giornale Oggi Famiglia uno spazio nel quale si dicano tutte le attività che il Centro svolge di volta in volta; 9) Organizzare delle visite e qualche intrattenimento per gli ospiti delle case di riposo della città. Legge contro le violenze di genere di Francesca I l 17 agosto 2013 è entrato in vigore il Decreto Legge n. 93, dal titolo “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle Province”, meglio conosciuto come decreto contro violenze di genere e femminicidio. Il decreto Legge n.93/2011 emanato successivamente alla ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica firmata ad Istanbul il giorno 11 maggio 2011, rappresenta senza dubbio un ulteriore ed importante passo in avanti nell’ambito delle misure di contrasto, al triste fenomeno del femminicidio. Basti pensare che, secondo quanto emerge dal rapporto Eures-ANSA sull’omicidio volontario in Italia, nel nostro Paese ogni giorno e ogni 12 secondi una donna viene colpita da atti di violenza di genere (fisica, verbale e psicologica). Nei primi sei mesi del 2013 sono state uccise 81 donne, di cui il 75% nel contesto familiare o affettivo: una media clamorosa, che se confermata nel resto dell’anno porterebbe a 160 vittime a fine 2013. Tra il 2000 ed il 2012 si contano complessivamente in Italia 2.200 donne vittime di omicidio, pari ad una media di 171 all’anno, una ogni due giorni. L’Italia è comunque tra i Paesi meno esposti in Europa a questa tipologia di delitto. È la Germania (con 350 vittime donne nel 2009, pari al 49,6% delle 706 vittime di omicidio totali e un indice di rischio pari a 0,8 per 100 mila donne residenti) a detenere il primato negativo, seguita dalla Francia (288 vittime, pari al 34,3% e un indice pari a 0,9) e dal Regno Unito (245, pari al 33,9% e un indice pari a 0,8). Da qui la necessità di emanare, sulla scia della Convenzione Instambul 2011, un provvedimento che fronteggiasse il fenomeno.Tre gli obiettivi fondamentali che il Legislatore ha inteso perseguire:prevenire la violenza di genere, punirla in modo certo e proteggere le vittime. Il d.l. prevede l’inasprimento delle pene in caso di maltrattamento in presenza di minore degli anni diciotto, (la c.d. violenza assistita ), in caso di violenza sessuale su donne in gravidanza e nei confronti il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero nei confronti di colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza. Ulteriore novità è la possibilità per gli inquirenti di raccogliere le testimonianze in modalità protetta, ossia , la vittima può essere interrogata senza aver di fronte il compagno, allorquando la vittima sia una persona minorenne o maggiorenne che versa in uno stato di particolare vulnerabilità. Uno dei cardini del D.L. è la previsione, analogamente a quanto già accade per i delitti di violenza sessuale, della querela irrevocabile: una volta che la persona offesa ha presentato querela, questa non può più essere ritirata. La ratio di tale norma rinviene nel Bruno tutelare in modo da sottrarre la vittima al rischio di nuove intimidazioni allo scopo di farla desistere.Ulteriori novità riguardano la previsione dell’arresto in flagranza obbligatorio in caso di maltrattamenti su familiari e conviventi. Infine è previsto il potenziamento dei centri antiviolenza e dei centri di assistenza. Tuttavia, se il Decreto Legge ha posto l’attenzione su una problematica diffusa e particolarmente sentita a livello internazionale, molti sono i dubbi e le perplessità suscitati negli operatori del settore e in particolare nelle associazioni aderenti alla Convenzione Nazionale No more e alla piattaforma Cedaw. E’ stato osservato, infatti, come il Legislatore abbia disciplinato la violenza di genere insieme ad una serie di altre norme che nulla hanno a che vedere con questo tema, dato che il decreto legifera anche in materia di protezione civile e ordine pubblico, tanto da porre dubbi di legittimità. Le perplessità maggiori, però, concernono la mancanza di formazione di tutti i soggetti coinvolti e l’elaborazione a costo zero del Piano straordinario contro la violenza segue a pagina 5 Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 3 L’accoglienza difficile Le discriminazioni razziali nel contesto dell’immigrazione di Francesco B De Filippo enché il tema dell’immigrazione sia caratterizzato da fasi intermittenti nel palinsesto della cronaca italiana, nelle ultime settimane sembra essere tornato prepotentemente alla ribalta su gran parte dei media nazionali. A destare di nuovo un certo interesse hanno sicuramente contribuito alcune vicende sia interne che internazionali, quali, ad esempio, la ripresa degli sbarchi sulle coste meridionali, la nomina a Ministro dell’Integrazione di un cittadino italiano di chiare origini africane nonché la scelta di Papa Francesco, in occasione della sua prima visita ufficiale, di recarsi nell’isola di Lampedusa. Tutto ciò, ovviamente, ha provocato, in alcuni ambienti, il brusco risveglio di quel sentimento di odio razziale (probabilmente mai sopito) che non meno di un secolo fa ha scritto una delle pagine più orrende e vergognose dell’intera storia dell’umanità. E così il Paese non ha esitato, nuovamente, a dividersi. Infatti, nelle aspre ed amare polemiche di questi giorni, un’antica e profonda ferita pare essersi riaperta nella coscienza civile degli Italiani, i cui sintomi sono evidenziati dalla disputa infinita fra coloro che si mostrano desiderosi di manifestare il volto benevolo della solidarietà e della fratellanza e quelli che, al contrario, non si sono ancora rassegnati all’ineluttabilità dei cambiamenti che scuotono l’Europa ed il mondo e che spingono il quadro demografico globale verso una composizione sempre più eterogenea e variegata. Ma cosa si nasconde, realmente, dietro queste forme patologiche di discriminazione? Qual è il confine psicologico, oltre che geografico, che determina un così forte ed irrazionale sentimento di paura e di minaccia per la propria identità o cultura? In queste alterne ed incresciose vicende riaffiorano, oltretutto, alla mente alcune memorabili pagine di letteratura contemporanea e, fra queste, la straordinaria metafora kafkiana della tana, in cui un animale del sottosuolo, protagonista inconsapevole del romanzo, decide di costruire un rifugio sotterraneo in cui poter godere di una sicurezza assoluta. Ma al procedere della costruzione è assalito da un crescente senso di inquietudine poiché, per ogni perfezionamento del proprio labirinto, è come se spostasse in là la soglia del pericolo che avverte incessante. Nonostante sia stato scritto agli inizi del secolo scorso, il racconto offre, in ogni modo, una perfetta descrizione del profilo psicologico di quanti, oggi, si oppongono all’ingresso degli stranieri 4 Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 sul nostro territorio. Non a caso, lo stesso protagonista del romanzo, nel suo assurdo e demenziale soliloquio, ammette: “.... Vennero bensì individui nella cui vicinanza non ebbi il coraggio di restare, e davanti ai quali dovevo fuggire quando soltanto li sospettavo in lontananza.....”. Ma proprio come la talpa di Kafka, non ci si rende conto che il nemico da cui dobbiamo guardarci non è fuori, ma dentro di noi. La paura dell’Altro, paradossalmente, è la paura della nostra stessa intimità. Intimità che diventa alterità minacciosa nel momento in cui l’io, suggestionato da un sogno di dominio ed autosufficienza, dimentica di riconoscerla ed accudirla con la sollecitudine che, per lo più, si riserva alle cose essenziali dell’esistenza. Tuttavia, anche se la storia in molti casi si rivela “maestra di vita”, essa ci indica che il dialogo con gli altri non è mai stato facile né mai lo sarà, specialmente ora che tutto assume una dimensione così vasta e così difficile da controllare. Infatti, ogni qual volta l’uomo incontra l’Altro, ha sempre davanti a sé tre possibilità di scelta: fargli guerra, trincerarsi dietro un muro di silenzio e d’indifferenza oppure stabilire un dialogo. Ma qual è l’elemento “sovversivo” e rivoluzionario di questo inevitabile incontro? Il dialogo, il cui scopo non può che essere la mutua comprensione e scopo della comprensione, a sua volta, il reciproco avvicinamento. Di conseguenza, comprensione ed avvicinamento si raggiungono sulla via della conoscenza, anche se l’esperienza quotidiana dimostra, in prima battuta, che quasi sempre, si reagisce alle relazioni interpersonali con riserva e diffidenza, se non addirittura con ostilità. Il quadro tracciato sin qui, ci è dunque utile per chiarire alcuni aspetti legati, principalmente, all’affiorare di deplorevoli comportamenti sociali. Si tratterebbe, dopo tutto, di analizzare il nesso esistente fra il riemergere di forme anche subdole di razzismo e la riproposizione di pericolose teorie insite in tutte quelle visioni illiberali ed antidemocratiche che, nel corso della storia, sono nate e si sono sviluppate in contrapposizione a fondamentali ed imprescindibili diritti umani. Il “salto di qualità” secondo Pierre-André Taguieff (sociologo francese), dopo la catastrofe dell’ideologia nazista, sarebbe stato compiuto in Europa con la cosiddetta svolta “culturalista” che di fatto ha bandito dal lessico la parola “razza”, sostituendola con la più innocente “etnia”. Essa, nonostante la retorica umanistica, allude ugualmente al significato di tribale. Ecco perché “etnici” sono sempre gli altri e non “noi”, cioè i gruppi e le culture che si discostano fortemente dalle norme delle società maggioritarie. Ciò implica che se da un lato abbattiamo barriere nel tentativo di edificare “ponti”, dall’altro ne innalziamo di nuove, sempre più invalicabili e sofisticate. Da qui non si può certo negare che l’ingresso dei migranti nella sfera pubblica, rispetto ai criteri di legittimazione della loro presenza, ha ormai reso obsoleti i meccanismi di produzione dello spazio sociale, mostrando, a più riprese, tutta la loro desolante inadeguatezza. Tant’è che il riflesso di questo becero ed inaccettabile ritardo culturale è racchiuso nell’uso comune che si fa del termine “clandestino”, il cui senso, impropriamente esteso, va ben al di là del significato giuridico legato al mancato rilascio del semplice permesso di soggiorno. Orgogliose, volitive, sensuali: femmine o donne? di Adele S Pizzo in dalla notte dei tempi, la donna è forza ed equilibrio, orgoglio e tenacia, energia, passione e sensualità…tutto questo racchiuso in un solo essere!!! La ricordiamo, fin dall’età della pietra, che accudisce i suoi cuccioli, provvedendo a trasformare i prodotti dell’animale cacciato dall’uomo, non solo in cibo, ma in pellicce da usare come indumenti per coprirsi e in tutto ciò che necessita per la sopravvivenza. La ritroviamo Matriarca, nelle civiltà arcaiche, come regina della famiglia e della comunità, associata, come figura, alla Madre Terra, generatrice di vita e potente forza della natura. Detta leggi e gestisce l’economia della casa. Anche nell’epoca dei Grandi Imperi è potente e libera e quasi sempre, nelle vesti di moglie dell’imperatore, tesse nell’ombra le trame della politica. Nel Medioevo, piegata dal volere dell’uomo, perso in questa era oscura, incarna in sé il Bene e il Male e viene perseguitata proprio per la sua grande forza. Infatti, la donna che decide di “ribellarsi” al volere maschile e alle regole della società, viene considerata esperta nell’arte della stregoneria, ovverosia, una strega! Questo solo perché forte e potente e quindi temuta dall’uomo. Nel Settecento cerca, in tutti i modi, di entrare a far parte della società con un ruolo diverso da quello di futura sposa e madre. Ma è solo con l’Ottocento che torna alla ribalta: la sua forza lavoro, solo adesso, acquista un importante peso sociale; ella rivendica così il suo diritto ad essere un soggetto sociale, lavoratrice e cittadina, cercando di svincolarsi dal potere dell‘uomo. Finalmente nel Novecento acquista piena libertà, indipendenza economica, giuridica, politica, sessuale: è, ora, un individuo a pieno titolo, una cittadina moderna proiettata verso la modernità. Come ci insegna la storia, oggi la donna è femmina (come lo è stata fin dai tempi della pietra) perché ha un ruolo unico continua da pagina 3 La femmina mostra, la donna è riservata ed eccezionale: è procreatrice, è l’unico essere umano in grado di generare un’altra vita. Ma è, al contempo, donna, impegnata attivamente nella società (che purtroppo è ancora molto “maschile” ), nella quale ricopre ruoli importanti. Questo duplice ruolo (l‘essere femmina e donna) ha comportato una sostanziale modifica della società : se un tempo la donna era votata alla famiglia, all’educazione della prole, oggi, a questo gravoso ed importante compito, si associa il suo ruolo nella società lavorativa, che comporta grandi disagi, primo fra tutti la mancanza di tempo per accudire, crescere ed educare i propri figli. La donna è, dunque, femmina, guerriera, strega, imprenditrice… la donna è tutto questo messo insieme!!! Legge contro le violenze di genere sessuale e di genere, per la formazione e protezione. A dire delle pre citate associazioni, il “decreto legge affronta la violenza di genere solo da un punto di vista penale, emergenziale e di pubblica sicurezza, quando invece è un fenomeno culturale, politico e strutturale”, senza prevedere finanziamenti per la formazione ed informazione, presupposti necessari per contrastare il fenomeno. Un appuntamento mancato o solo rinviato in attesa delle modifiche da apportare in sede di conversione in Legge?L’auspicio è che si giunga, nel più breve tempo possibile, ad una disciplina organica, capace di prevenire la violenza di genere, garantendo protezione alle vittime e certezza della pena, promuovendo una cultura che sia in grado di superare stereotipi e pregiudizi legati all’appartenenza di genere. La presente Convenzione ha l’obiettivo di: a proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; b contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne; c predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica; d promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; e sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell’applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio. Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 5 L’Italia con i grilli in testa: dove se ne va? di Francesco A Luciani vevo già previsto una qualche replica a quanto scrivevo su questo stesso giornale mesi or sono a proposito del movimento 5 Stelle come “necessità storico-politica”. La replica, infatti, sarebbe arrivata puntualmente sul numero successivo di “OggiFamiglia”, ma, per il suo carattere preconcetto e moralistico, non solo non avrebbe colto il nocciolo etico del mio ragionamento politico ma sarebbe stata per larghi tratti persino ripetiva rispetto a quel che, in vero con molta chiarezza, ero venuto argomentando. Adesso c’è da aspettarsi un’altra replica anche per questo articolo, ma nel precedente articolo ero venuto scrivendo un concetto chiave che speravo non passasse inosservato: “Ho deciso di votare per Grillo non perché mi fidassi e mi fidi ciecamente di lui e dei suoi proclami, a volte più propagandistici che meditati, ma perché…ho inteso contribuire alla disarticolazione di un sistema di potere non solo vecchio e inefficiente ma anche e soprattutto basato su una violazione sistematica di elementari istanze economiche e sociali e di basilari princípi di dignità personale e giustizia sociale”. Violazione sistematica che, sia pure con diverse responsabilità, ha avuto per lunghissimi anni i suoi artefici comprimari sia nel Popolo della Libertà sia nel Partito Democratico, il quale ultimo peraltro è stato scavalcato recentemente a sinistra proprio dal primo, nel quadro del governo delle Larghe Intese, sulla questione dell’IMU. Dato questo assunto, potevo io come cittadino e come cattolico votare a favore di una di queste due forze politiche? La mia valutazione e la mia risposta sono state: no, non è assolutamente possibile! E allora? Allora, il problema era ormai quello di rompere gli equilibri politici, i rapporti di forza, al fine di poter concorrere a cambiare e ridefinire in qualche modo i termini del dibattito politico nazionale e gli stessi orizzonti di un’azione governativa. In questo senso, oggettivamente, un movimento politico e non già antipolitico di forte rottura, anche se non privo di ambiguità e spinte velleitarie solo oggi molto evidenti, era quello di Grillo e questo movimento io avrei ritenuto, insieme a diversi milioni di connazionali, di poter votare, ovvero (almeno per quanto mi riguarda) di poter usare in funzione antisistema proprio per poter favorire una rigenerazione qualitativa della complessiva prassi politica nazionale. Ma probabilmente questo non poteva accadere semplicemente perché Grillo aveva nella propria testa dei grilli incompatibili, anche perché fortemente personalistici, con quelle istanze di profonda trasformazione istituzionale e strutturale da molti ritenute necessarie ma solo da pochi viste nelle loro concrete e coerenti modalità attuative. Dunque, da questo punto di vista alcu- 6 Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 ni di noi, avendo osato sperare troppo, si sono sbagliati, anche se in buona fede e “sporcandosi le mani”, senza limitarsi a pontificare dall’alto delle proprie certezze dogmatiche e boriose come chi conosce ogni cosa in anticipo rispetto alla necessaria mediazione dell’esperienza. Qualche speranza in vero non è andata delusa, perché non c’è dubbio che, con l’ingresso in parlamento, di un foltissimo gruppo “stellato”, il clima sia in qualche modo cambiato e sia cambiata anche l’agenda politica governativa, nonostante il permanere di fortissime resistenze di natura “partitocratica”. Ma d’altra parte non si può negare che la linea politica non collaborativa e anzi talvolta scioccamente ostruzionistica impressa dal signor Grillo di Genova alla sua forza parlamentare sia risultata esattamente antitetica a quella possibilità di creare per l’Italia e per il mondo intero concrete condizioni di rinascita morale e civile e di riorganizzazione economica e finanziaria. Purtroppo, la vera indole del “comico” Grillo, sul cui blog io non ho più possibilità di accesso da quando ho cominciato a rovesciare su di esso commenti sempre più caustici e severi (è bene che lo sappia chi, forse abituato ad anteporre giudizi di valore a giudizi descrittivi di tipo analitico, volesse ancora una volta replicare), si sarebbe rivelata col tempo non solo nella sua indubbia capacità dialettica e affabulatrice ma anche e soprattutto in tutta la sua pochezza umana e politica, contribuendo a conferire ormai al suo stesso movimento più una carica istrionica ed esibizionistica che una funzione di critica politica realmente efficace e costruttiva. Infatti, al di là della polemica su rimborsi elettorali e finanziamento ai partiti, sui persistenti giochi di potere di PD e PDL e sulla stessa complicità del presidente della repubblica rispetto a consuete manovre di palazzo, sulla TAV o su altre opere infrastrutturali in corso non meno che sulle spese militari, o infine sull’apertura di quei parlamentari “stellati” a ipotesi di collaborazione condizionata ma fattiva con il PD, nel movimento politico di Grillo non si scorge nient’altro o si scorge poco altro. Eppure, un’Italia che avesse avuto un Grillo in testa meno stravagante, meno bizzarro e pretenzioso, più logico o sensato, più equilibrato umanamente e politicamente più realista, avrebbe potuto conoscere veramente una grande stagione di rinnovamento civile e di riorganizzazione economica e finanziaria. Ma poiché l’Italia, in realtà, oltre il Grillo genovese ha anche altri grilli per la testa, non meno irrazionali e disdicevoli, come la scandalosa solidarietà manifestata non solo dai parlamentari berlusconiani ma anche da alcuni milioni di cittadini non di rado sedicenti “cattolici” per il senatore Berlusconi che pretende di sottrarsi ad ogni principio di legalità e alle inevitabili pene derivanti dalla sentenza definitiva di giudizio comminata a suo sfavore dalla Cassazione, oppure le continue dispute “interne” del PD nonché la sua inammissibile incapacità di opporsi dignitosamente a logiche finanziarie internazionali ed “europeiste” che ci stanno facendo precipitare in un abisso di miseria e disperazione, è molto difficile ritrovare il bandolo della matassa solo alla luce dell’appello formulato da Napolitano (forse a sua volta non privo di ambiguità e di colpe) alla consueta magica “unità nazionale” al fine di fronteggiare la grave crisi ancora in corso. Infatti, a ben vedere, la questione non è l’unità in quanto tale o l’unità con cui si continui ad assecondare una politica economica e monetaria decisa sempre altrove rispetto al nostro parlamento e nell’interesse di ristrette ma potenti oligarchie finanziarie internazionali, ma una unità che sia funzionale ad una graduale, concreta e coraggiosa inversione di tendenza, non necessariamente suscettibile di produrre effetti peggiori di quelli che stiamo già sperimentando e certamente più rispondente a quei princípi di sovranità nazionale e di democrazia popolare e parlamentare che sono o dovrebbero pur sempre costituire princípi non negoziabili dello Stato repubblicano italiano. Che fare, dunque? Forse si può confidare che un congruo numero di dissidenti del 5Stelle si stacchi da Grillo e si metta a collaborare con il PD a livello governativo condizionandone le scelte in senso sociale, ma alla lunga anche questa soluzione appare inadeguata, perché il problema politico principale, che sicuramente i “democratici” non considerano ancora tale, resta per l’appunto quello di invertire radicalmente la rotta innanzitutto e soprattutto per quanto riguarda il piano etico ed economico e quindi principalmente i rapporti con l’Europa e con la sua fallimentare politica monetaria, fiscale e finanziaria. Come cattolico, mi sento confortato in questa valutazione anche da una recente e veritiera analisi del teologo cattolico brasiliano Frei Betto. Egli nota come oggi siano moltissimi i giovani che, sebbene non vogliano né dittatura, né disoccupazione, né limitazione dei diritti sociali, né aumento del costo della vita, non sanno a chi rivolgersi e cosa fare dal momento che ormai sia i partiti di destra sia quelli di sinistra risultano addomesticati dal capitale internazionale e ad esso subordinati, per cui non c’è più nessuno che sia capace di rappresentare onestamente i veri interessi popolari e di creare alternative credibili al potere forte dei gruppi finanziari di tutto il mondo (F. Betto, Protesto! Ma che cosa propongo?, in “Koinonia” agosto 2013). E’ una tendenza ormai storica quella per cui «i partiti progressisti o di sinistra, una segue a pagina successiva La vita è meravigliosa ma tradita di Rosa Capalbo “S ono una matita nelle mani di Dio”, aveva detto Madre Teresa, quella piccola donna che è stata infaticabile nel portare aiuto ai sofferenti, sino alla morte! Tutti noi, appena nati, siamo delle pagine bianche sulle quali la vita (o se vogliamo il destino), scrive il suo romanzo o la sua tragedia. Io, se potessi, vorrei avere, nella mano sinistra una pagina bianca e nella mano destra una penna per scrivervi la mia vita, vita che vorrei poter inventare ogni giorno e darle, ogni giorno, un senso, essa, invece, mi scorre tra le dita come sabbia che scivola via. Oltre alle cose già definite vorrei scrivere il mio romanzo perché la vita dovrebbe essere questa, bella come un romanzo…. Scriverei dell’amore per tutto il mondo e per qualcuno, scriverei della pietà per tutti e per me, della fiducia negli altri per continuare la strada, degli angoli del mio carattere che vorrei smussare, delle cose da realizzare. La vita!!! Forse l’ha compresa, totalmente, Madre Teresa e tutti coloro che gettano via l’egoismo perché fardello troppo pesante da portare (se si vuole arrivare in cima bisogna portare solo il necessario). Tutti noi, portiamo come pesanti fardelli: l’egoismo, la cattiveria, la nostra povera lacerante inumanità. Il Santo Padre richiama,incessantemente, sui valori della vita, vita che noi defraudiamo della sua essenza: ogni volta che la neghiamo, che la sfruttiamo, che la consideriamo inutile, che la sopprimiamo rivoltandoci contro il cielo e contro Dio. Quest’anno è “Anno europeo dei cittadini”. Già, dedicare un anno a questo tema significa che i problemi non sono mai stati risolti e i dati sono sconfortanti: è aumentata la povertà dei paesi poveri, sono aumentati, proprio in questi paesi, l’AIDS ed i tumori, è aumentato lo sporco mercato degli organi, sono in aumento pedofilia e droga. Nel mondo occidentale si parla di clonazione degli esseri umani invece di parlare come promuovere la creazione delle famiglie e di conseguenza le nascite, sono in aumento furti, omicidi, e violenze sessuali. I diritti umani vengono calpestati continuamente, soprattutto quando esseri umani senza scrupoli (se tali si possono definire), uccidono un altro essere più debole, solo in virtù dell’arroganza del più forte. Omicidi che scuotono profondamente le coscienze degli uomini giusti e fanno capire a quanto può arrivare l’abiezione umana. Per migliorare questa povera lacerante umanità è necessario solo una frase che dovrebbe diventare Comandamento: “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”. Bisogna ritornare a guardare il cielo con occhi di fanciullo; rispettare i vecchi perché sono ciò che noi saremo, amare i bimbi perché siamo stati amati, non deludere le promesse perché, altrimenti, ci mancheranno i sogni. La vita può e deve essere meravigliosa: lo sarà se noi impareremo l’amore, quell’amore che tutto comprende e tutto dona. In questo modo la nostra vita non sarà inutile, ed anche se non saremo come Madre Teresa saremmo comunque creature che si sono sforzate di dare il meglio, e la vita può diventare per tutti il romanzo che sogno per me! continua da pagina precedente volta pervenuti al potere», cambiano di netto i loro dichiarati ideali per avvicinarsi sempre più alle posizioni conservatrici o reazionarie dei loro antichi avversari, tralasciando di «mettere in discussione il capitalismo e proponendo soluzioni cosmetiche di miglioramento della vita dei più poveri» (ivi). Accade cosí che il capitalismo, per quanto reiteratamente in crisi, cerchi «di moltiplicare le sette vite del gatto neoliberale», disattendendo «le raccomandazioni dell’ONU riguardo alla crisi finanziaria (come quella di chiudere i paradisi fiscali)» e rifiutandosi «di regolamentare il capitalismo speculativo: nel suo sforzo di perpetuarsi, il sistema dell’idolatria del capitale propone rattoppi nuovi con toppe vecchie: propone un capitalismo verde; combatte la povertà con programmi sociali compensativi (e non emancipativi); baratta le libertà individuali con la sicurezza; disprezza i movimenti sociali, criminalizza il malcontento popolare… Il sistema si rivela più distruttivo che creativo. Perfino i partiti progressisti, prima considerati di sinistra, non hanno più proposte alternative e quando arrivano al potere si limitano ad essere meri gestori della crisi economica» (ivi). Questa è la situazione, tanto per l’America Latina quanto per l’Europa. E allora? Allora, visto che siamo già entrati in un’epoca di barbarie, da cattolico sono portato a pensare che solo una nuova generazione di cristiani assistiti dallo Spirito Santo e capaci di ispirare rigorosamente la propria azione politica al vangelo potrà indicare alla nostra nazione e al mondo una vera alternativa: quella di un mondo sociale, costruito su pratiche coerenti ed efficaci di condivisione e socializzazione, in cui la proprietà privata di qualunque bene materiale, a cominciare dalle forme più consistenti di proprietà, non abbia più un valore assoluto ma un valore relativo e funzionale ad una liberazione finalmente e non retoricamente integrale di uomini e donne. Sono convinto che, tra le forze dell’arco parlamentare e costituzionale italiano, manchi in particolare un partito cattolico nuovo (e non semplicemente un nuovo partito cattolico) di ispirazione rigorosamente evangelica, al quale in realtà, già in questo momento, stanno lavorando dietro le quinte alcuni generosi e coraggiosi fratelli cattolici emiliani. Se nascerà, questo partito sarà di certo determinato a fare del Cristo integrale il cuore del mondo, il cuore dello stesso mondo politico. Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 7 “Niente è più rovinoso dell’ignoranza in azione” di Sandra Cucchetti Q uesta frase di J.W. Goethe, letta per caso l’altro giorno, mi ha fatto pensare quanto sia vero questo concetto, vero e attuale. L’ignoranza se è silenziosa ed inattiva è già un male, ma se si mette in azione è veramente... rovinosa. Ed è prova di grande ignoranza questo razzismo rinato ultimamente ed in maniera clamorosa in Italia. La vittima di turno è Cècile Kyenge, il nostro ministro per l’Integrazione, perché è una donna con una pelle di colore molto scuro ed ha i lineamenti africani. Il 29 luglio Andrea Draghi, assessore leghista a Montagnana, paragona il ministro a un gorilla. Il 14 luglio era stato il vicepresidente del Senato Calderoli ad offendere: “Kyenge sembra un orango.” Il 27 maggio l’eurodeputato leghista Mario Borghezio: “Lei è una bonga bonga e nominarla una scelta del c…” Si è parlato molto di questo argomento e cioè dell’uomo cha ha sempre temuto “il diverso” e lo ha considerato un nemico, qualcuno da cui guardarsi. E la situazione invece di migliorare, con il progredire della civiltà, sta peggiorando. A nulla sono valsi gli studi a carattere razionalistico di scienziati come Claude Levi-Strauss, noto accademico antropologo animato da una coscienza universale. Quest’uomo, libero da ogni indottrinamento, indagò sulle varie culture studiando gli aspetti particolari propri e caratteristici di un popolo, una tribù, un gruppo, ed il risultato di questa indagine e del suo pensiero in merito lo dimostrano queste parole: “Nulla, allo stato attuale della ricerca, permette di affermare la superiorià o l’inferiorità 8 Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 Nella foto: l’On. Cecile Kyenge di una razza rispetto all’altra.” Questo pensiero, espresso in un periodo in cui Hitler andava affermando la superiorità della razza ariana, è di fondamentale importanza. La ministra Cècile Kyenge è una persona preparata ed intelligente, degna del posto che occupa. E’ ignorante e razzista colui che ignora, che non sa queste cose. E se qualcuno tra noi le pensa come quei leghisti, si dovrebbe fare un esame di coscienza. Consiglio a tutti di leggere un libro piccolo ma molto interessante: “Il razzismo spiegato a mia figlia di Tahar Ben Jelloun, poeta, romanziere e giornalista, noto in Italia per i suoi numerosi e bei romanzi. Nato in Marocco nel 1944, vive a Parigi. Per il profondo messaggio contenuto in questo volume, il 14 Novembre 1998 gli è stato conferito dal segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, il “Global Tolerance Award”. E tornando a Cècile Kyenge, molto significative le parole dette a Tarsia durante la sua visita in Calabria. “Sono onorata, ha detto all’interno del museo, di quello che fa uno dei più grandi campi di internamento in Italia, di essere in questo luogo. La visita qui a Tarsia, in questo ex campo, per far capire che dai territori possono partire anche messaggi di pace, ha evitato la morte a tantissime persone. Quindi a volte, anche nelle difficoltà, i territori ci possono insegnare tantissimo. Nello stesso tempo noi non dobbiamo dimenticare quello che è stata la storia, la memoria del nostro passato, la memoria di una popolazione che è stata perseguitata e, quindi, noi dovremmo fare di questa una base, a partire dai diritti umani, per costruire anche il futuro del nostro Paese. Dobbiamo fare una campagna di informazione e di comunicazione. Metto la mia visibilità al servizio dell’altro, del diverso. A cinquant’anni dal celebre discorso di Marthin Luther King mi sento di dire che anche l’Italia è capace di sognare. Regaliamo questo sogno ai nostri figli. La politica come scelta di vita di Vincenzo Altomare è venuto a Cosenza per presentare il libro La Sinistra perduta di Mario Brunetti, suo amico personale e compagno di tante lotte politiche, dapprima nel PCI, poi in Rifondazione Comunista. Fausto Bertinotti, comunque vengano valutate le vicende politiche di cui è stato protagonista negli ultimi quarant’anni, mantiene sempre un fascino straordinario. E non solo per chi scrive... La sera del 17 luglio ha dato, ancora una volta, prova di essere un grande pensatore e non solo un organizzatore di sindacato e di partito. Nel suo intervento, con la consueta abilità comunicativa, ha sviluppato una narrazione nuova del nostro mondo. Anzitutto, che quando un’epoca storica, culturale e politica finisce, dobbiamo ricominciare daccapo. Senza infingimenti con la realtà nè ipocrisie di sorta. Bisogna ricominciare. Magari facendo come gli indiani: sdraiandoci, cioè, a terra per ascoltare i passi ‘del futuro’ che viene. Ricominciare, dunque. Ma partendo da dove? Dalla memoria storica che abbiamo ereditato dal Novecento. Questa ci dice che un grande progetto di civiltà ha segnato le vicende del ‘secolo breve’: la rivoluzione bolscevica del 1917. Dopo la rivoluzione d’Ottobre, nulla è stato uguale a prima. Si è progettata una società che aveva abolito la proprietà privata. Quel progetto è finito, soprattutto per ragioni sociali, fra l’89 e il ‘91, con l’implosione dell’Urss. Ma ci ha consegnato un’eredità: l’idea della politica come volontà di cambiare il mondo. D’altronde, per cos’altro esiste la politica, se non per cambiare il mondo? Se, al contrario, la politica lo constata, vi si adegua, lascia che a governarlo e plasmarlo siano i tecnocrati e i burocrati della Trojka (BCE, FMI e Commissione Europea) e, quindi gente alla Monti, banchieri e brookers, la politica tradisce se stessa e l’umanità che è chiamata a liberare. E dunque, Bertinotti ci invita a preparare lo zaino. Perché ci attende una lunga traversata: bisogna rovesciare questo mondo. Come diceva negli anni Ottanta padre Ignacio Ellacuria dal Salvador: “hacerse cargo de toda la realidad para revertir el mundo”. Cosa metterci, dunque, in questo zaino? Per la ‘grande traversata’, oc- corre metterci anzitutto questa memoria e il sogno che l’ha ispirata. Si tratta di portare con noi, oltrepassando il guado, le tensioni ideali che ci ha consegnato il Novecento e che si sono sedimentate nella nostra Costituzione Repubblicana. Non a caso, il pensiero unico neoliberista sta facendo forti pressioni “affinché le grandi Costituzioni, come quella italiana, vengano progressivamente sostituite da costituzioni materiali, non frutto di assemblee costituenti bensì di processi reali, spesso neppure dichiarati” (Chi comanda qui?, Mondadori, Milano 2012, p. 10). Cosa ne è, oggi, dei diritti dei lavoratori in una multinazionale come la Fiat, dove basta avere la tessera della Fiom per essere discriminati? E che dire dello scandaloso divario crescente tra pochi ricchi e le moltitudini dei poveri, causato dal dominio del capitale finanziario sulle società? Dunque, zaino sulle spalle e via, oltre il fiume. Fuor di metafora, Bertinotti ci ha ricordato che il Novecento è, sì, finito ma le sue istanze eticopolitiche permangono più vive che mai solo se sapremo utilizzarle per attraversare il fiume della storia che ci porta altrove. è per questo che non dobbiamo rassegnarci al governo del capitale finanziario, che dobbiamo recuperare l’idea forte di cui in tanti siamo da anni convinti, ossia che la politica è una scelta di vita e non una mera scelta elettorale, una scelta che impegna la vita e non un segmento temporale di essa. Anche a costo di ‘organizzare il pessimismo’, come insegnava Walter Benjamin. E, dunque, due sono le parole-chiave della politica del nostro tempo: uguaglianza (che è l’essenza della democrazia) e rivoluzione (ossia, la trasformazione del mondo). Ma chi è il nuovo soggetto che potrà creare una società piu’ inclusiva, egualitaria, giusta? Bertinotti riconosce il ‘vuoto’ attuale della politica, che affonda le sue radici nella fine del PCI (grande partito di massa) e dell’Urss. Ma pensa che l’aria nuova del Noi, che spazza quella putrida dell’egoismo, provenga dai movimenti sociali, popolari, territoriali che provengano le risposte più interessanti: dai No-Tav della Val di Susa ai No-Ponte del nostro Sud, dai comitati per la difesa dell’acqua come bene comune alle lotte sociali per i ‘Rifiuti Zero’, fino all’impegno non violento contro l’iniquo acquisto degli inutili F-35. Bene: condivido tutto. Aggiungo solo due note. Primo, la memoria storica richiama direttamente i luoghi della coscientizzazione, ossia i luoghi dove il mondo è preso cosi’ com’è ma criticato in radice. Penso alla scuola. Se questa replica il sistema vigente, nessuna traversata sarà mai possibile. Se, invece, recupera la sua natura e funzione critica, saprà formare coscienze politiche che, nel mentre trovano un mondo plasmato da tecnocrati e banchieri, susciteranno l’impegno di trasformarlo in una realtà al cui centro non ci saranno piu’ l’euro, il dollaro o lo yen, ma la dignità di ogni uomo e donna che batte i sentieri della propria dignità. Secondo: e i partiti? Dato che Bertinotti non è intervenuto specificamente su questa ‘domanda aperta’, aggiungo alcune note personali. Penso che i partiti abbiano ancora molto da dire, non sono affatto ‘passati di moda’, come una diffusa vulgata populista lascerebbe intendere. Ma, occorre aggiungere, avranno un futuro solo se, radicandosi nei territori e nelle istanze sociali, si lasceranno rinnovare dai venti di cambiamento reale che spirano dalla gente. Perchè per ora restano involucri vuoti, luoghi di potere che hanno occupato lo Stato, piuttosto che porsi come spazi politici di mediazione fra le istituzioni e i cittadini. Non possono più continuare a chiederci il voto, per giunta sempre più irrilevante, e poi rispondere alla Trojka! Se oggi sono ‘forze senza legittimità’ secondo il titolo del bel libro di Piero Ignazi, mediante un processo di conversione sincera e profonda alla gente e al suo grido di pane e dignità potranno tornare ad essere luoghi della vita democratica. Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 9 Cultura scolastica e cultura digitale di Franco T Costabile rattasi di un argomento molto attuale che sta richiamando l’attenzione e l’interesse di esperti, studiosi, ricercatori, professori di università, giornalisti, genitori ed insegnanti. Su la Repubblica del 7 aprile 2013 leggiamo l’intervista a Luigi Ballerini, psicanalista e scrittore per ragazzi, il quale alla domanda “quanto la lettura può aiutare i ragazzi”, risponde che “la lettura ha un grande valore sia in casa che a scuola, sempre che non sia separata dall’aspetto ludico o inficiata (come nella scuola) da meccanismi didattici complicati”. A Cosenza presso il Liceo Statale “Lucrezia della Valle”, l’8 aprile illustri relatori hanno commentato il libro curato dal prof. Universitario Ugo Cardinale “Si può salvare la scuola italiana?” Da cosa? Da tante cose, nonché dall’attuale dilagante povertà linguistica e di concettualizzazione dei ragazzi (prof. Raffaele Simone). Ma altri professori ed esperti sono per il primato della cultura scientifica e delle nuove tecnologie informatiche (Silvano Tagliagambe, professore di Filosofia della Scienza, Francesco Profumo, presidente del Cnr, ex ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca nel Governo Monti). E ancora sulla stampa il discorso su insegnamento e libro e computer e mezzi elettronici si fa sempre più dialettico e le soluzioni, quando ci sono, se ci sono, sono diametralmente opposte. Insomma “A scuola è meglio il libro o l’iPad”? Accostandoci al Corriere della Sera del 10 aprile 2013 abbiamo grosso modo i termini di detto discorso dialettico: - così la giornalista Valentina Santarpia ci informa che l’Italia è definita “maglia nera” per il digitale nelle scuole, ma che per la lavagna interattiva multimediale (Lim) le cose vanno meglio, introdotta com’è in 70 mila classi, non escludendo impegni governativi per l’introduzione di libri digitali, a partire dall’ a.s. 2014-2015: - così il giornalista Armando Torno, che attraverso un’intervista a due grandi pensatori, evidenzia una chiara duplicità di impostazione culturale e di conseguente ricerca della soluzione. I pensatori in questione sono Giovanni Reale, prestigioso storico della filosofia, autore del libro “Salvare la scuola nell’era digitale” - La scuola Brescia, Francesco Antinucci, direttore di ricerca all’Istituto di scienze e tecnologie cognitive del Cnr, autore del libro “computer per un figlio” Laterza 2001. Per il primo, il digitale lede e pregiudica l’apprendimento, negando la relazione tra i veri interlocutori del processo educativo ( insegnante – scolaro), mentre la scuola va anche oltre contenuti e nozioni, aiutando a formare gli strumenti intellettuali ed etici degli uomini del futuro, per cui l’introduzione dell’informatica nelle scuole non può e non deve essere il fine ma solo il supporto dell’istruzione, evitando di giudicare il mondo, secondo il proprio computer, a ‘mo di autismo. 10 Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 Per il secondo, le tecnologie determinano un nuovo modo di apprendere e poi i ragazzi arrivano a scuola già con una loro esperienza di telefonini, videogiochi ed anche di televisione che li mettono in contatto con realtà anche distanti. Insomma con le nuove tecnologie si va avanti per esperienza, si ricerca, si sperimenta e si costruisce la conoscenza, mentre il modo di apprendere scolastico non aiuta a costruire esperienza conoscitiva, giacché questa, costruita da altri nel tempo, viene assorbita attraverso l’insegnamento e i libri. Due posizioni completamente diverse che attengono addirittura a due culture diverse e contrapposte: da una parte si sostiene che la Rete ha accresciuto l’entità e le possibilità di ricerca, ma non c’è vera assimilazione e la ricerca diviene “ abilità del taglia e incolla”, dall’altra si fa presente che i ragazzi, a fronte di forme di insegnamento prescrittivo, guardano con maggiore interesse alle nuove tecnologie che finiranno per entrare sempre più ed “ inesorabilmente” nelle scuole. Personalmente non vorrei che oggi, come nel passato remoto e in quello più o meno recente, esplodesse il vecchio usuale equivoco ed anomalo scontro tra cultura umanistica e cultura scientifica, le quali al loro interno hanno vantaggi e svantaggi. Non si tratta di esaltare la penna al posto della scrittura elettronica e dei sempre nuovi strumenti di trasmissione, comunicazione, ricerca della conoscenza. Non si può impedire al progresso di andare avanti, ma ciò non toglie che si possa e si debba armonizzare le diverse culture, prendendo il meglio di ciascuna di esse. Diversamente a che servirebbero le grandi sintesi operate dai saggi della cultura? Certo oggi il contesto è di gran lunga più complesso e problematico, e non si tratta tanto di consentire ed accrescere la presenza di computer, rete e qualsivoglia tecnologia informatica nelle scuole, quanto e soprattutto che si mettano in discussione le radici profonde della nostra civiltà e del valore di humanitas dell’uomo moderno. Berlusconi condannato. Fine di un’epoca di Francesco T utti hanno aspettato con ansia e trepidazione il verdetto finale della Cassazione su Silvio Berlusconi dopo 7 anni di processi. La pena inflitta dalla Corte d’Appello di Milano viene confermata: quattro anni di carcere. Viene rimandata alla Corte d’Appello la definizione della pena accessoria per l’interdizione dai pubblici uffici. L’attesa si era fatta spasmodica. Per le vie di Roma, nei Palazzi, nelle sedi giornalistiche e televisive si respirava la stessa atmosfera che si respirava tantissimi anni fa in America durante l’attesa del verdetto di condanna alla pena di morte di Sacco e Vanzetti. I giudici ed i giurati da giorni avevano scritto la sentenza però restarono nella Camera di Consiglio per diversi giorni per far credere alla gente che in Camera discutevano. Finalmente verso le 19,30 è arrivato il giorno del giudizio dopo una snervante e lunga attesa che ha stressato non poco tutto il sistema politico italiano e i due partiti maggiori. Tutti i giornali nazionali e stranieri e le televisioni di tutto il mondo nelle loro breaking news ne hanno parlato a iosa perché sono convinti che la sentenza sarà destinata a passare alla storia ed è considerata come lo spartiacque tra il vecchio e il nuovo, tra il passato buio e triste e il radioso avvenire. Per tantissimi commentatori politici è la fine di un’epoca, l’epoca del bunga bunga, del ghe pensi mi, di un uomo solo al comando, di un conflitto di interessi che è durato venti lunghi anni. L’ora segnata dal destino batte sul quadrante della storia. Primo agosto 2013: L’inizio della fine dell’epoca berlusconiana. Adesso che Berlusconi è stato condannato come sarà l’Italia, cosa farà il Parlamento, quale sarà la sorte del Governo, come si comporteranno il Pd e i suoi maggiori dirigenti? Sappiamo cosa farà il Pdl. Forse le barricate. Gli elettori ed i simpatizzanti scenderanno certamente in piazza. Proprio circa un mese fa hanno bloccato Via del Plebiscito a Roma per assistere al comizio del loro leader. Il Governo Letta - Alfano sopravviverà? E Berlusconi davvero andrà in galera a mangiare il rancio dello Stato Italiano o andrà in esilio come il suo caro amico Bettino Craxi e poi fatto morire di crepacuore lontano dalla sua Italia che aveva tanto amato e servita con onore e gloria? Regna l’incertezza assoluta. Terrà fede all’impegno preso garantendo l’appoggio incondizionato al Governo? Ha dato la Nella foto: Silvio Berlusconi sua parola agli italiani, non potrà tradirli e deluderli. Vedremo. Gli avversari di Berlusconi, quelli che lo hanno sempre odiato e temuto, esultano. Sperano che il Pdl, nato dal predellino, si sciolga come neve al sole di marzo. Sperano in un fuggi fuggi generale degli iscritti e dei simpatizzanti verso altri partiti e altri schieramenti. Sperano, ma di speranza si può anche morire. Non hanno fatto i conti con il Cavaliere dalle sette vite come i gatti. Sono davvero ora curioso di sapere e scoprire come si comporteranno i vecchi marpioni del Pd provenienti dal PCI. Caduto Berlusconi davvero si andrà ad elezioni politiche anticipate la prossima primavera? Riuscirà il loro leader provvisorio Epifani a convocare il Congresso nazionale? Cosa farà Matteo Renzi? Alcuni giornali simpatizzanti del centro sinistra hanno sempre scritto che il Sindaco di Firenze è una grande risorsa non solo per il Pd ma anche per il futuro radioso dell’Italia, l’unico che può vincere le elezioni, che può portare la sinistra moderata al Governo. E la nomenclatura del Pd che da più di 20 anni è abbarbicata come l’edera alle comode poltrone del Parlamento cosa farà? Resterà a guardare? Non credo. Una eventuale vittoria di Matteo Renzi alla guida del Partito e del Governo significherebbe l’inizio della fine dei vari D’Alema, Veltroni, Finocchiaro, Fassino, Rosy Bindi, Gentiloni, etc. e il pensionamento definitivo dei vecchi marpioni che non sono riusciti a combinare nulla di buono sin dal 1994. Per ben due volte hanno costretto alle dimissioni Romano Prodi che aveva vinto le elezioni e battuto Berlusconi. Hanno costretto Massimo Gagliardi D’Alema a consegnare il Governo ad Amato. Hanno fatto fare a Rutelli e Veltroni una pessima figura candidandoli premier contro Silvio Berlusconi. Hanno costretto il loro Segretario Nazionale Bersani a gettare la spugna e poi farlo fuori, perché incapace ed inesperto a formare dopo le elezioni non vinte e neppure perse dello scorso inverno una grande coalizione. Nella maggioranza cresce però preoccupazione e c’è tanta agitazione e fibrillazione. Si intravedono scenari a tinte fosche. La partita è decisamente aperta. Berlusconi in galera. Pdl allo sbando. Berlusconi non è più candidabile e un voto imminente del Senato potrebbe farlo decadere da parlamentare. I dirigenti ed i peones non sanno come si devono comportare, non sanno quale posizione assumere e sono preoccupati per le loro sorti politiche e parlamentari. La maggior parte di loro senza Berlusconi dovrà sloggiare dal Parlamento ed inventarsi un nuovo mestiere. Già si parla di diserzioni, di nuovi complotti, di adesioni ad un fantomatico “partito di Napolitano”. Ora tutti i parlamentari del Pdl sono pronti a dimettersi se la Giunta per le elezioni del Senato che si riunirà il 4 ottobre voterà sulla decadenza del Sen. Berlusconi. Ma fanno davvero sul serio? Napolitano, il nostro Presidente della Repubblica, è molto infuriato. Fa sapere che non scioglierà le Camere e non si andrà a votare. Piuttosto si dimetterà lui da Presidente della Repubblica, con il risultato che il nuovo Presidente sarebbe eletto dall’attuale Parlamento con i voti del Pd e del Movimento 5 Stelle. Sarebbe certamente un uomo inviso al Pdl e a Berlusconi in particolare. E allora il Governo non cadrà? No, non cadrà, perché non conviene a nessuno andare alle urne. Le minacce, le dimissioni di tutti i parlamentari del Pdl sono finte. Sono servite a tenere alta la tensione politica, a tenere banco per alcuni giorni e sono servite principalmente al Cavaliere per far capire a Napolitano, a Letta e al Pd che al centro dell’attenzione c’è sempre lui e che senza un suo coinvolgimento Letta non potrà governare. Silvio Berlusconi, uomo navigato, non vuole la crisi di governo, non vuole affossare Letta per andare a votare a novembre o in primavera. Vuole esattamente il contrario, vuole in tutti i modi far proseguire il governo di larghe intese da lui ardentemente voluto. Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 11 Don Gabriele: l’assistente per eccellenza di Paolo D Citrigno on Gabriele Bilotti, nonostante il suo carattere a volte non facile, non fu mai freddo o scostante. Per lui, però, l’amicizia e la concordia non erano quieto vivere, ma un proclamare la verità nella carità e vivere la verità della carità e dell’accoglienza. Di lui non si ricorda mai una parola al di sopra delle righe, mai una critica gratuita, ma sempre l’invito a riconsiderare e a riprendere insieme - fianco a fianco - il cammino nel rispetto della propria e dell’altrui dignità umana, di tutti gli uomini. è stato annunciatore paziente della Carità e sempre confidente nella Provvidenza, incarnando e testimoniando fino all’ultimo, l’insegnamento evangelico che invita a non servire Dio e mammona; si fece povero, essenziale nei costumi e distaccato da quegli eccessi che molti vivono come necessità irrinunciabili. Non è casuale la scelta di offrire il suo ministero agli ultimi di un evangelico Istituto della nostra “Cosenza Vecchia”: “La Minestra di San Lorenzo”, a due passi dalla sua amata Cattedrale e da questa, per lui, significativa chiesa di San Francesco d’Assisi - il santo promotore del laicato e patrono dell’Azione cattolica -. E don Gabriele è stato ed ha rappresentato per la nostra associazione sempre un riferimento - come per la Chiesa cosentina d’altronde -. Il tutto senza “effetti speciali”, quasi nel nascondimento, sicuramente incarnando quel servo inutile o senza utile del Vangelo - icona ed essenza della nostra amata Azione cattolica stessa. E’stato, per riprendere un concetto di Don Rabitti (già assistente nazionale adulti) come la “sorella maggiore” che ci permetteva di approfondire ed accrescere la nostra spiritualità, il nostro stare insieme, la nostra fede. Senza clericalismi o sovrastrutture, ma nell’essenzialità delle certezze evangeliche - ribaditeci dal Concilio - che Dio ci ama, che ognuno di noi è un valore di cui Egli è geloso, che è perverso vivere il proprio essere figli di Dio senza essere tessitori e fautori d’amicizia e di prossimità, senza essere ospitali e farsi compagni di viaggio, senza abitare la storia da amati e amanti di Dio, senza essere, quindi, promotori di umanità vera. Verità angolari per ogni cristiano, ma che, per chi come noi aderisce all’Azione Cattolica assumono valore di particolare impegno. Eppure, in molti non l’hanno capito o non l’hanno voluto capire, specialmente quando sosteneva le necessità dei giovani e invitava i confratelli ad essere più disponibili, accoglienti e comprensivi, pronti ad accoglierli ed ascoltarli con solidarietà ed amicizia in caso di errori e di delusioni, rifuggendo paternalismi del tipo: “ci sei sbattuto col muso, ma io te l’avevo detto!” Oggi, 4 ottobre, per grazia di Dio abbiamo festeggiamo, come da tanto tempo, l’inizio del nostro anno associativo. Per don Gabriele, anche quando per discrezione e delicatezza, dal 1987, non presenziava più a questo momento, in quanto “promosso ad altro servizio nella Vigna del Signore”, tale giorno rimaneva, comunque, la festa annuale dell’associazione dalla quale mai si è discostato. 12 Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 Per grazia di Dio, ripeto, oggi noi rinnoviamo il nostro impegno nella Chiesa, per la Chiesa, con la Chiesa; quella stessa Chiesa che don Gabriele ci ha insegnato ad amare sempre, su tutto e nonostante tutto. Mettendoci in guardia e attrezzandoci contro pericolose tentazioni nostalgiche, passatiste o avanguardiste, per proseguire in quel cammino, che magari conosce qualche pausa, ma che non vuole e non deve interrompersi. Riconoscendo anche, anzi principalmente, i propri limiti. A tal proposito don Gabriele in una sua circolare del 1977, confessando i suoi limiti, si esprimeva: “Personalmente mi riscopro incapace di vera conversione, perché vorrei perdonare e non riesco a farlo, vorrei essere umile, cordiale, amabile, semplice e mi riscopro orgoglioso, complicato…”. Non un superuomo, dunque, ma un uomo feriale, normale della “normalità del cristianesimo”, che come scriveva per la Pasqua del 1975: “Va vissuto nel quotidiano, nel normale. Alla nostra vita manca la dimensione della normalità e, noi continuiamo a vivere un tipo sociologico di vita cristiana avulso dal contesto in cui viviamo”. è questo in sintesi, il lascito di don Gabriele: • Il senso della trasmissione di una tradizione d’amore per l’uomo - via maestra di e per Cristo -; • Il senso del nostro dover diventare e del nostro dover essere amanti di questa nostra Chiesa non solo diocesana. è la “carta”, riassuntiva, della sua profonda e verace testimonianza del suo seminare incessante, della sua pazienza contadina, del suo promuovere e del suo spendersi (anche economico) per la Chiesa, per l’Azione Cattolica e per i laici tutti. Piano, piano, pazientemente, accogliendoci sempre, ci ha fatto scoprire “il volto umano”di Dio: il Cristo misericordioso e gioioso e, anche quando i ”casi Un sacerdote che non diceva “fate”, ma faceva di Luigi D ue caratteristiche personali di don Gabriele mi colpirono fin dai primi momenti: il suo sorriso che stimolava l’amicizia e il suo immergersi nella realtà in prima persona per modificarla. Non era un sacerdote che diceva soltanto “fate”, ma “faceva”. Dal 1970 era assistente diocesano degli studenti di AC e insegnava religione nel Liceo Classico “Telesio”, proprio nel momento più acuto delle agitazioni studentesche che movimentavano l’Italia. Col suo sorriso riunì intorno a sé un gruppo di studenti, e non disse ad essi “organizzatevi”, ma li organizzò. In quel periodo prevaleva il volantinaggio, e il suo gruppo vi partecipava con entusiasmo e abilità. Rimase celebre un episodio. In un confronto con un gruppo molto attivo dell’estrema sinistra marxista “maoista” il gruppo degli studenti cattolici diffuse un volantino nel quale tutti erano invitati ad ascoltare gli altri e a capirne le motivazioni. Questo invito conteneva la citazione di una frase molto esplicita tratta da un libro del quale però non si indicava autore e titolo. I “maoisti” risposero con un volantino di forte rifiuto, ma due giorni dopo ebbero una brutta sorpresa: gli studenti cattolici diffusero nuovamente il medesimo volantino, ma questa volta vi scrissero anche il titolo e il nome dell’autore del libro e il numero della pagina dalla quale era stata tratta la citazione: era il famoso libretto “rosso” del cinese Mao-Tze-Tung. L’impressione fu enorme e il gruppo maoista non osò replicare. L’azione di don Gabriele era intelligente e mirava ad attuare le indicazioni del Concilio Vaticano II. Nei numeri 36 della Lumen Gentium e 76 della Gaudium et Spes il Concilio invitava i fedeli a compiere “i diritti e i doveri che loro incombono in quanto sono aggregati alla Chiesa, e quelli che loro com- continua da pagina precedente della vita” (come lui li chiamava) non gli sono stati “grati”, ha sempre avuto parole d’indulgenza e comprensione e invitava a stemperare e a “guardare oltre”: al centuplo quaggiù e all’eternità promessaci da Cristo. è stato uomo di poche parole e dei molti fatti, “del sì, sì o del no, no”! Mai fu uomo di paglia !!! sì, ma ad ubbidire in piedi! - come diceva. Così don Gabriele insegnava ed educava, ci educava, a restare all’interno delle cose ad ubbidire, il suo amico Bachelet -. Lui ha ubbidito sempre in piedi, anche in certi momenti difficilissimi e di sofferenza ecclesiale, fidando nella lealtà e nella libertà degli uomini forti e confidenti nel Vangelo; nel sostegno materno di Maria, nell’amicizia di Gesù e non sugli “uominicchi” che come la zizzania sembrano prosperare.(sic!!!) Quell’amicizia che ha predicato, testimoniato, vis- Intrieri petono in quanto membri della società umana” e a fare “una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione coi loro pastori”. Questi inviti erano stati accolti nell’art. 1 del nuovo Statuto dell’Azione Cattolica che impegnava i soci alla “evangelizzazione”, e nell’art. 3 che li impegnava a “testimoniare nella loro vita l’unione con Cristo e ad informare allo spirito cristiano le scelte da loro compiute, con propria personale responsabilità, nell’ambito delle realtà temporali”. Tuttavia la prassi associativa di allora l’aveva inteso soltanto come impegno individuale e non comunitario, tradendone esplicitamente lo spirito e la lettera. Per attuare questi impegni il 29 gennaio 1971 il Settore giovani dell’AC di Cosenza aveva invece proposto una doppia linea di azione organizzativa: costituire i gruppi parrocchiali del Movimento studenti di Azione cattolica, con la finalità “religiosa” di promuovere in nome della Chiesa lo sviluppo umano e cristiano degli studenti e di animare cristianamente la parrocchia e la scuola, e di farsi promotori di Gruppi di studenti cattolici nei vari Istituti, con la finalità “politica” di riflettere con propria personale responsabilità sui problemi della scuola, elaborasegue a pagina 15 suto e continuato ad indicare a tutti noi: vecchi e giovani compagni di viaggio dell’Azione Cattolica, dei movimenti e non solo. Per essa, tanti oggi, sono qui presenti, tanti ci sono vicini spiritualmente, tantissimi ancora sono con noi in quella comunione dei santi che ci accomuna in Cristo con chi ci ha preceduto. Ora, giunti alla fine, concedetemi. - vi prego - di pensare don Gabriele – il “socio”- immaginandolo sicuramente insieme ai suoi confratelli nell’ordine presbiterale, a sua sorella e ai suoi amatissimi e generosi genitori, ma in particolare ai carissimi don Lillo Spinelli e Mimmo Scordo (essenza vera dell’Azione Cattolica) che intona per lui uno dei suoi canti folk, proprio per fare memoria di quell’amicizia - dalle radici semplici e generose - della quale il nostro assistente è stato tessitore e seminatore e che forse è il dono più prezioso che Dio ha affidato noi uomini. Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 13 Portò le idee del concilio tra i laici di calabria Un ricordo di Mons. Gabriele Bilotti di Demetrio D Guzzardi on Gabriele Bilotti, il sacerdote cosentino morto due giorni fa, aveva da poco compiuto 80 anni; era nato a Montalto Uffugo e subito dopo la sua ordinazione sacerdotale, nel 1956, fu mandato dall’allora arcivescovo cosentino, mons. Aniello Calcara, a Catanzaro, per aiutare mons. Criscito nella conduzione del Pontificio Seminario Teologico Calabro “San Pio X”, da poco riaperto dopo un pauroso incendio. IL “San Pio X” di Catanzaro fu per don Gabriele, la sua seconda casa, tra insegnamento e gestione (vice rettore ed altri prestigiosi incarichi) don Bilotti servì la Chiesa Calabrese con passione e senso di responsabilità, nel luogo più delicato, quello della formazione dei futuri sacerdoti. Ma mai dimenticò Cosenza, la sua diocesi e gli impegni con l’Azione Cattolica regionale. Ho tanti ricordi che mi frullano nella mente, proprio in questi momenti in cui il caro don Gabriele ha raggiunto, meritatamente, la Casa del Padre. L’ho conosciuto nel 1972 quando mons. Enea Selis lo nominò parroco ad Andreotta, era il tempo delle nuove parrocchie, le aule liturgiche venivano sistemate in magazzini di fortuna e la gente da casa si portava perfino le sedie per partecipare alla Messa. Don Gabriele era anche uno stimato prof. di religione al Liceo Classico “B. Telesio” di Cosenza e ricordo i suoi ciclostilati che distribuiva agli studenti in occasione del Natale o della Pasqua. Ho avuto modo di collaborare con lui per tantissimi anni, e di lui mi restano tante cose: innanzitutto la sua bontà d’animo, la sua squisita amicizia, il suo amore alla regionalità della Chiesa calabrese, quanti incontri, quanti convegni, quanta strada insieme nel visitare diocesi ed iniziative regionali. Don Gabriele credo che sia l’uomo che ha girato maggiormente tutta la Calabria, non c’è paesino dove non sia andato, per tenere una riunione o per partecipare ad una prima Messa di un alunno diventato sa- 14 Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 Don Gabriele nel 1981 durante un campo famiglia del Centro “V. Bachelet” svoltosi a Moccone (Cs) cerdote. Bastava dirgli il nome di un paese, anche del reggino o del catanzarese, che ti indicava tutte le strade, anche le scorciatoie, per arrivare prima. Di lui la cosa più bella che porterò sempre con me è il “sensum ecclesiae” , l’amore alla Chiesa. Don Gabriele amava dire: «monaci delle cose, non costruttori di cattedrali», nel senso di dare valore a qualunque cose, e non solo a quelle appariscenti, che tutti vedono. Nelle piccolezze la sua grandezza. Quando dovevamo inviare delle lettere circolari, mai fotocopiò la sua firma… si portava nella sua stanza tutte le lettere e le firmava una per una…, un’altra sua espressione era “non tutti, ma ciascuno”, uno per uno, e di ognuno delle persone che incontrava aveva un ricordo. Per anni con mons. Dino Trabalzini ricoprì l’incario di vicario per l’azione pastorale, e questo era il suo campo d’azione: come far giungere ad ogni uomo la Parola di Dio che cambia la vita. Cercava ogni possibile strategia perché il messaggio cristiano arrivasse al cuore degli uomini. Proprio l’altro giorno mi è ritornato in mente quando per l’approssimarsi delle vacanze estive, ci faceva predisporre un piccolo calendario con gli orari delle Messe nelle località turistiche di luglio ed agosto. Ma la cosa che più desiderava era il coinvolgimento dei laici nella vita della Chiesa, e questo naturalmente era uno dei tanti frutti del Concilio Vaticano II; il continuo aggiornamento teologico lo poneva sempre al cuore della Chiesa e non c’era novità ecclesiale di cui non era a conoscenza. «Cristo al centro, una Chiesa strumento di salvezza attraverso il quale Cristo parla agli uomini di ogni tempo. La Chiesa è Trinitaria perché è fatta di amore, perdono, comprensione, impegno. Ma la Chiesa è missionaria in comunione ed al servizio dell’umanità, che presuppone la scelta libera delle persone». Negli ultimi anni della vita andava a dire quotidianamente la Messa in una piccola cappellina nel cuore del centro storico cosentino, a via Padolisi, dalle Suore Basiliane, le religiose che gestiscono la Minestra di San Lorenzo. Un prete che contava negli ambienti vaticani, ma che amava gli ultimi ed i diseredati, ecco perché questa scelta di celebrare in questo luogo dove la carità e la Provvidenza sono il pane quotidiano. Ciao don Gabriele, grazie per quanto hai fatto per me e ricordati di noi che ti abbiamo voluto bene, in molti abbiamo perso un amico e qualcuno un padre quaggiù, ma abbiamo un angelo in cielo che sicuramente continuerà a sorriderci… come ci hai insegnato tu. Il prete di “Umanesimo Integrale” di Francesco Capocasale È tornato alla casa del Padre Don Gabriele Bilotti, canonico del Duomo di Cosenza, stimato sacerdote della Diocesi cosentina, assistente degli studenti d’Azione Cattolica prima e poi del gruppo Giovani dell’Azione Cattolica, professore emerito del seminario regionale calabrese, collaboratore disponibile ed apprezzato di diversi Arcivescovi di Cosenza. I ricordi personali sono tanti, dalle riunioni del Movimento Studenti che si svolgevano nei locali della curia diocesana prima delle recenti ristrutturazioni, agli indimenticabili campi estivi dell’Azione Cattolica cosentina di Caporosa, in Sila, così come le assemblee nazionali del Movimento Studenti che di solito avevano luogo alla Domus Mariae o alla Domus Pacis di via Aurelia a Roma. Per quanto mi riguarda è stato un maestro impareggiabile, amico sincero, quasi fratello maggiore ascoltato e seguito nei consigli e nei suggerimenti. Il dolore e la tristezza che investono me e tanti altri amici, in questo momento sono forti, pertanto, soltanto, ricorrendo alla mia coscienza di cristiano, si riescono a trovare, forse, le parole giuste per un ricordo vero ne’ vuoto e ne’retorico. Di fronte al mistero della morte, il “perenne enigma”, la ragione umana si sente smarrita, ma per noi cristiani valgono le parole del libro della Sapienza: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà, sono nella pace, la loro speranza è piena d’immortalità. Il giusto non è uscito dalla vita, è entrato nella vita.” Per tutti noi, per quanti hanno condiviso quelle “esperienze associative”, è doveroso oggi riflettere sul dono che, con la sua esistenza, don Gabriele ha offerto a quanti lo hanno conosciuto ed apprezzato. Molti di quel gruppo, devono qualcosa a don Gabriele. Per molti di noi aveva spesso, infatti, un’attenzione, una sensibilità particolare, un suggerimento da proporre. In particolare, ricordo il regalo che da lui ricevetti - giovane studente liceale del Telesio di Cosenza - di una copia di Umanesimo Integrale di J.Maritain, che conservo tutt’ora, a distanza di quarant’anni, cosi’ come il primo libro sulla vita di Don Primo Mazzolari. Oltre al vuoto che lascia nella comunità diocesana, per me, nel ricordarlo c’è un sentimento interiore, soggettivo, di profonda nostalgia, per non averne mai sbagliato la misura del suo valore insieme, purtroppo, alla consapevolezza di averlo incontrato, per troppo poco tempo, per profittare pienamente della sua grande carica di solidarietà e di fede attraverso la riscoperta del vero valore profetico di un’autentica testimonianza per superare la tentazione umana di seguire i falsi profeti ed attualizzare, invece, il principio che solo la “Verità” ci fa liberi . Ha scritto bene Demetrio Guzzardi quando ricorda che, spes- so, Don Gabriele amava affermare: “monaci delle cose e non costruttori di cattedrali”. In questo contesto si collocano i numerosi viaggi con la sua “Simca” per partecipare alle riunioni nelle diverse parrocchie e Diocesi della Calabria per costruire o consolidare la presenza del Movimento Studenti di Azione Cattolica e, nel contempo, l’instaurarsi di nuovi e intensi rapporti con tanti altri amici, laici e sacerdoti, impegnati a livelli diversi nell’ associazionismo religioso calabrese come Mimmo Scordo e Don Domenico Farias, sacerdote reggino, docente all’Università di Messina che conobbi grazie a Don Gabriele, un pomeriggio di parecchi anni addietro, in occasione di un convegno Nazionale della FUCI svoltosi a Reggio Calabria. È bene arrestare qui il flusso dei ricordi, giacché potrebbe prevalere su di me la commozione e ogni riflessione potrebbe addirittura sembrare retorica. Come non ricordare, però, prima di concludere, l’idea di Don Gabriele di far celebrare in differenti giorni settimanali, la “messa dello studente”, nelle chiese che coincidevano logisticamente con le zone dove erano ubicati i diversi istituti superiori della citta’. Ad esempio ricordo: la Cattedrale per il Liceo Classico Telesio, la prima chiesa di S.S. Pietro e Paolo per il Liceo Scientifico Fermi, la chiesa di S. Giovanni Battista per il secondo Istituto Magistrale di via De Rada, oggi non più in funzione. L’insorgere e l’acuirsi della malattia di questi ultimi giorni lo avranno, certamente, rafforzato, conoscendo la Sua Fede, non nella rassegnazione della fine, ma nella certezza di un Principio, ovvero nel sentimento del “compiersi di una promessa “. Vale per Don Gabriele quanto scritto nel libro del Siracide: “i loro corpi furono sepolti in pace, ma il loro nome vive per sempre”. Dopo ,”oltre la soglia terrena”, il mistero si illuminera’ della propria luce e si rivelera’ a ciascuno, a chi se ne va e a chi ancora rimane così da perpetuarne il ricordo per risentirne quasi la voce per come ci ricorda San Paolo: “Defunctus adhuc loquitur.” con favore anche dalla Presidenza diocesana dell’AC di cui ero segretario e a poco a poco si diffuse in molre soluzioni e agire per realizzarle. ti istituti superiori della Diocesi, aggregando operoL’azione di don Gabriele non solo era coerente con samente studenti appartenenti all’Azione Cattolica, le richieste del Concilio e dello Statuto dell’AC, ma Focolarini, Scout o semplicemente cattolici. Contridava anche una soluzione altamente valida a un pro- buì a diffondere i principi cristiani nelle scuole supeblema molto acuto. Gli istituti scolastici superiori, riori e per vari anni formò molti giovani all’impegno infatti, erano allora il teatro dello scontro tra gruppi civile, politico e religioso. maoisti e gruppi fascisti. Gli studenti cattolici, per- E molti giovani di quegli anni lo ricordano come un ciò, erano attratti dall’uno o dall’altro oppure diven- momento decisivo per la formazione della loro pertavano passivi. L’indirizzo di don Gabriele fu accolto sonalità. continua da pagina 13 Un sacerdote che non diceva “fate”... Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 15 Parte Europei e parte italiani Angela Merkel ha vinto: se non siamo pronti per una Europa a 27 è necessario farne subito una a 17 di Tonino N Oliva elle serate e nottate passate all’estero dopo una lunga giornata di lavoro la nostalgia del paese natìo ti assale. Adesso con internet le distanze sono accorciate, ma ai miei tempi (anni ’70–’80) la nostalgia ti faceva cercare il tuo paese in qualche ristorante (sempre con scarsa fortuna, devo dire) o in qualche giornale posdatato da rintracciare in edicole internazionali o sulla radio, dove era facile captare qualche trasmissione della radio italiana. Mi ricordo di una simpatica trasmissione radiofonica che aveva per titolo “partenopei e partenapoletani“, dove si raccontavano le disavventure di napoletani, famosi e non, disseminati in Italia e nel mondo, dove si poneva l’accento non tanto alle mitiche origini risalenti alla sirena Partenope quanto alla quotidiana “napoletanità”. E così gli avventori della trasmissione più che “partenopei” si sentivano e caratterizzavano come “parte napoletani”. La stessa cosa sta accadendo agli odierni europei, i quali non sono di certo in sintonia con il mito di Europa, mito forse non tanto noto a molti europei, ma piuttosto sono in sintonia col loro sentire nazionale anche perché assillati dalla crisi che percuote di più e più pesantemente a livello locale. E quindi per tornare a noi italiani io direi che ci sentiamo più “parteitaliani” che “parteuropei”. Certo nel gironzolare tra le mura delle istituzioni europee di Bruxelles o di Strasburgo, dove ci si imbatte in note, manifesti ed indicazioni in 27 lingue diverse, si ha l’impressione di ritrovarsi in una novella e moderna Babele piuttosto che in una Europa Unita e dunque ancora non si è presa nemmeno la decisione più banale, quella cioè che unifica e cementa un popolo, l’adozione di una sola lingua. In un primo transiente le lingue potrebbero essere anche 2 o 3, visti i livelli di acculturazione dei tempi moderni, ma non 27! Però, nel nostro continuo ricac- 16 Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 La Merkel beve alla salute dell’Italia ciarci nella sindrome nazionalista, a nessuno viene in mente che i paesi dell’Europa unita non conoscono guerra da circa 70 anni, un record incredibile se si guarda al solo novecento. Eppure questa Unione Europa è sempre avversata, svilita, vilipesa, malvista, percepita come qualcosa lontana, immaginaria, burocratica che forse non sarà mai realizzata. Il passaggio all’euro come moneta unica è un grande passo avanti, ma ricordiamoci di Ciampi che nel 2005, in occasione del sessantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, ebbe a dire, parafrasando Massimo D’Azeglio, “abbiamo fatto l’euro ora facciamo gli europei”! Angela Merkel ha vinto le elezioni, dunque la Germania sembra aver scelto la strada dell’Unione, forse si può fare un decisivo passo in avanti. Non stiamo di certo discutendo di una cosa semplice, la realizzazione di una Europa unita è stata fatta solo dai romani e realizzata però “manu militari”, ossia con l’imposizione violenta di una dominazione imperialista, di una moneta e di una lingua. Successivamente alla caduta di Roma, con Carlo Magno e il Sacro Romano Impero si sono avvicendati secolari tentativi di unione coronati sempre da sanguinose e truculente guerre fino all’avvento di Napoleone e quindi del secondo e terzo Reich, sempre con incessante e costante profusione di sangue innocente. Oggi il tentativo di unione ha un carattere diverso come ricordano Sylvie Goulard e Mario Monti nel loro libro ”La Democrazia in Europa” (Rizzoli 2012) citando il lavoro del filosofo Michel Serres, un forte incitamento ad abbandonare le appartenenze (“francesi, cattolici, ebrei, protestanti, musulmani, atei, guasconi o picardi, uomini o donne, indigenti o agiati”) e a “smettere di edificare una collettività sul massacro di un’altra e sul proprio” (M. Serres “Petite Poucette”, Le Pommier 2013; traduzione italiana: ”Non è un mondo per vecchi. Perché i ragazzi rivoluzionano il sapere”, Bollati-Boringhieri 2013). L’Europa è in crisi istituzionale, questo è fuor di dubbio, crisi accentuata dalla recessione economica e non basta la moneta unica. Non bastano i trattati di Maastricht, i trattati di stabilità o il “Fiscal Compact”, che sono continuamente disattesi, è necessaria una trasformazione di governante politica di tipo federale, sulla scorta dell’esperienza costituzionale americana che ha già affrontato questi passaggi nel 1788: “Tra gli ostacoli più difficili che la nuova costituzione dovrà affrontare si distingue già l’interesse di certi gruppi che in tutti gli Stati si oppongono a qualunque cambiamento che minacci di erodere i loro poteri o le loro prebende”! segue a pagina 23 Sociodinamica della povertà a Cosenza Le persone, sono povere prevalentemente in relazione al posto in cui vivono di Davide I l 28 giugno presso il Salone degli Stemmi e l’1 luglio presso la Casa delle Culture, a Cosenza, è stato presentato il libro “Sociodinamica della povertà a Cosenza – Forme di povertà, vulnerabilità del territorio e politiche di contrasto”. Il testo è scaturito dalla ricerca socioeconomica condotta dal dott. Davide Franceschiello e dalla dott. ssa Chiara Vivone nell’ambito del progetto “Compagni di viaggio”. Progetto che il Centro Socio Culturale “Vittorio Bachelet” ha visto finanziarsi dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali come migliore settimo, su oltre mille proposti, nella graduatoria nazionale della Direttiva 2011. Un progetto sul quale il Centro Bachelet, attraverso il Presidente Luigi Vinceslao, Antonio Farina, Eralda Giannotta e i propri volontari, sta profondendo le migliori energie insieme anche all’Anteas, il Consultorio la Famiglia, le Parrocchie di Loreto, San Nicola e San Giovanni Battista e grazie al fattivo contributo della Arcidiocesi di Cosenza e Bisignano e della Caritas, del settore welfare del Comune di Cosenza e dell’Ente Provinciale. La ricerca parte dal presupposto che la povertà è un fenomeno multidimensionale e dinamico che non dipende solo da caratteristiche familiari, ma anche dalla qualità dei servizi pubblici, per esempio. Le persone, insomma, sono povere prevalentemente in relazione al posto in cui vivono. Non esistono più persone che restano al di sotto della soglia di povertà perennemente, è risultato invece che un’alta percentuale di famiglie entra nella povertà a causa di shock temporanei (malattie o perdita del lavoro). In quest’ottica, il “problema della povertà” coinvolge un gran numero di persone vulnerabili anziché uno zoccolo duro di poveri cronici. Viene a crearsi una nuova classe di poveri cosentini che magari non riesce a mandare i figli a scuola e non riesce ad avere un reddito che consenta loro di far fronte alle spese quotidiane, provocandone l’esclusione sociale. I giovani non riescono a sposarsi, non si procrea e la città diventa sempre più vecchia. L’indice di vecchiaia si è decuplicato, se nel 1971 c’erano solo 26 anziani su 100 ragazzi, nel 2006 gli anziani superano i ragazzi, 222 ogni 100 ragazzi. E sono proprio i giovani e le donne ad avere maggiori probabilità di entrare a far parte dell’esercito dei nuovi invisibili. Le donne risultano sottoccupate, vittime di violenze e di fenomeni di prostituzione occulta. È ritornata l’emigrazione verso il Nord e verso l’estero o si è costretti a lavorare, ben che vada, in un call center a 250 euro al mese. Ecco allora che la povertà non diventa solo perdita di risorse materiali, ma, nella peggiore delle ipotesi, anche immateriali, come il venir meno delle relazioni sociali e la volontà di agire. Effetto parzialmente attenuato, tra la maggior parte delle famiglie interpellate, per la forte presenza di reti informali. Gli indici calcolati in questa ricerca raccontano di un territorio che ancora può contare su un tessuto sociale saldo con al centro la famiglia che riesce a fungere da solido ammortizzatore sociale, qualche rendita e qualche conto in banca sempre più esiguo, un welfare state ed un sistema sanitario ancora gratuito per le fasce meno abbienti, un sistema economico più forte rispetto a quello delle altre province della stessa Calabria. I dati sono spietati: al 30 aprile 2013, nella città di Cosenza, secondo i dati forniti dall’Osserva- Franceschiello torio Provinciale del Mercato del lavoro, i disoccupati sono 9.594 pari al 13,7% della popolazione e 2.771 gli inoccupati, pari ad un altro 4%, per cui ci sono 12.365 cosentini che non lavorano, il 17,6% degli abitanti. Se si tiene in considerazione che le persone in età non lavorativa sono 23.857 (34%) e che quelli in età lavorativa sono 46.211 (66%), si traduce che a Cosenza lavorano 33.846 persone, appena il 48,3% della popolazione totale. La qualcosa si ripercuote sui redditi dei cittadini cosentini: le famiglie in povertà assoluta (pari a redditi inferiori a 800 € per una famiglia di due componenti) risultano essere il 14% circa, cioè 4.000 famiglie e 10.000 persone. Se a questi sommiamo le famiglie in condizioni di povertà relativa (1.000 € circa per due componenti) la percentuale sale al 21% (ossia 6.200 famiglie e 15.000 persone). Altro fenomeno atavicamente presente sul nostro territorio è quello riguardante la criminalità. Se, dai dati forniti dall’ISTAT, l’indice di criminalità diffusa (riferito a furti e rapine meno gravi) è basso, la provincia di Cosenza risulta solo 86^ con un trend (12,2‰) in discesa, molto più preoccupante è l’indice dei delitti legati alla criminalità organizzata (omicidi, incendi dolosi, attentati). La provincia di Cosenza (9,2%) è seconda in Italia solo a quella di Crotone e con valori assoluti (65.926 delitti) segue a pagina 20 Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 17 La famiglia: speranza e futuro in alleanza educativa con scuola e società di Giuseppe L Richiedei a famiglia è stata oggetto di riflessioni molto partecipate alla recente “47° Settimana Sociale dei Cattolici Italiana” di Torino. Si sono toccati i vari ambiti di interesse familiare: da quello economico a quello sociale, a quello giuridico. La responsabilità educativa della famiglia, nello specifico, è stata sviluppata in relazioni particolarmente competenti e in gruppi di lavoro numerosi ed appassionati. E’ diffusa la consapevolezza che il futuro si gioca soprattutto nella formazione delle nuove generazioni, che rappresentano il primo protagonista per qualunque ripresa. Anche per l’economica il fattore principale è sempre l’uomo, il cosiddetto “capitale umano” che si qualifichi per i valori che promuove, per la fiducia nel futuro, per l’impegno nel perseguire gli obiettivi di sviluppo, che tutti auspichiamo. La famiglia rappresenta, appunto, il soggetto determinante e insostituibile per un’educazione alla “vita buona”. - La riflessione sull’educazione si è caratterizzata per originalità e coerenza logica, senza i condizionamenti “ambientali” che si verificano quando si confrontano esclusivamente gli addetti ai lavori. Sia nel documento preparatorio che nelle proposte conclusive si trovano affermazioni nuove e per certi aspetti sorprendenti in ordine ai compiti educativi della famiglia, della scuola e persino della Chiesa. Non per nulla nei documenti si denunciano “terminologie confuse e letture distorte della realtà che richiedono un deciso ed efficace processo di inculturazione”. Si suggerisce di partire dalla promozione culturale, che superi i fraintendimenti corporativi e le storture ideologiche, che impediscono la percezione corretta della realtà, premessa indispensabile per individuare gli interventi migliorativi necessari. - Il primo intervento consiste nel: “Ribaltare il rapporto tra Stato, società e famiglia; infatti la famiglia possiede una sua specifica e originaria dimensione di soggetto sociale che precede la formazione dello Stato; è la prima cellula di una società e la fondamentale comunità in cui sin dall’infanzia si forma la personalità 18 Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 degli individui”. Ne consegue che la Repubblica non “attribuisce” i diritti alla famiglia, ma si limita a riconoscerli e, soprattutto ha il dovere di promuoverli in coerenza con il dettato Costituzionale (art. 2). Se ci si propone di migliorare la qualità educativa della società occorre partire dal riconoscere concretamente che “l’identità relazionale e generativa della famiglia è a fondamento della società”. Ne consegue che i rapporti vanno fondati su una corretta applicazione del principio di sussidiarietà per cui le istituzioni “favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”, come appunto è l’educazione. Nell’educazione dei figli, si afferma, anche “la Chiesa è alleata e non sostituisce la famiglia”. Diventa urgente, quindi, costruire “alleanze tra tutte le agenzie educative del territorio: famiglia, scuola, parrocchia, oratorio,lo sport, le comunità locali, per superare fragilità, frammentazioni, solitudini educative… Tra le azioni da intraprendere si individuano le costituenti educative già realizzate in alcuni territori e le “agenzie intermedie” che favoriscano i collegamenti e le reti collaborative tra tutti gli enti formativi”. - Da questa premessa scaturiscono affermazioni particolarmente coinvolgenti per tutti i protagonisti del processo educativo. Si rilancia coraggiosamente la partecipazione dei genito- ri con motivazioni sorprendenti: “In un clima dominato dall’individualismo, dal permissivismo e dalla poca sensibilità al bene comune nel quale i genitori, i docenti, gli educatori incontrano difficoltà a educare, è fondamentale la partecipazione attiva dei genitori alla vita della scuola”. La sorpresa nasce dal fatto che in molte realtà scolastiche i genitori vengono individuati come la causa piuttosto che come rimedio all’individualismo dilagante, sottovalutando in questo modo il fatto, tanto evidente quanto innegabile, che sia proprio la genitorialità a spingere gli individui ad uscire da se stessi per dedicarsi agli altri fino al sacrificio estremo. Si tratta, semmai, di educare la stessa genitorialità perché a scuola si apra “ai figli di tutti” e riscopra l’importanza del “bene comune” piuttosto che emarginarla, affidandosi esclusivamente alla buona volontà e alla deontologia professionale degli operatori scolastici. Nel documento preparatorio si afferma esplicitamente che “Perché vi sia una vera libertà educativa, è necessario il riconoscimento pieno del ruolo che la famiglia può svolgere all’interno delle scuole stesse nella definizione del progetto educativo”. In questo modo viene ripreso un impegno per genitori e per le scuole tanto ribadito nelle disposizioni normative quanto ignorato nella quotidianità della vita segue a pagina 21 La storia di A e Z si gioca sempre in famiglia di Lina A Q Z uando A è stato concepito, il papà era un po’ sbronzo: aveva festeggiato con gli amici fino a tarda sera.La moglie lo supplicava di non alzare la voce perché i vicini, si sa, sono tutti”orecchie”e poi le pareti ormai sono così sottili da far trapelare anche il respiro. Z è stato tanto voluto: papà e mamma hanno messo da parte le preoccupazioni economiche, la carriera, le vacanze, si sono messi a leggere, fantasticare, programmare, sentendosi già genitori , prima di esserlo. Appena venuto al mondo, per A sono ricominciate le liti, sospese, come per magia, solo per nove mesi: papà voleva scegliere ed imporre il nome da tramandare, secondo la tradizione, la mamma optava per quello del suo attore preferito della telenovela, che la teneva inchiodata ogni pomeriggio, approfittando di quel quarto d’ora tutto suo. Come sempre, da copione, ha avuto la meglio lui e gli è stato dato quel terribile nome, poi storpiato e cambiato in seguito in uno pseudo-inglese Z ha avuto come nome quello frutto di un compromesso tra papà e mamma, che li potesse accontentare entrambi, sempre convinti dell’importanza sostanziale della condivisione, che non conosce vincitori e vinti. A va all’asilo, le maestre hanno separato i bambini in due parti ben distinte:maschi e femmine, i primi sono “i terribili”, le seconde sono dolci e carine. Una delle due maestre lo mette sempre in castigo, in un angolino e lui batte le manine contro la parete, cercando di sfogare tutta la sua rabbia. Ogni mattina esprime il suo disagio, buttandosi a terra e piangendo disperatamente, ma loro, i grandi, dicono che è troppo capriccioso. Z frequenta lo stesso asilo: la notte grida e trova conforto nel lettone dei suoi. Prova un certo disagio per le affettuose e insistenti “attenzioni” di un bidello… lo ha disegnato come un diavoletto con delle grosse mani. La mamma ha visto e ha capito il messaggio… Pare ci siano state altre lamentele, ma tutto è stato messo a tacere, per il buon nome della scuola. A e Z si sono ritrovati alle elementari: sono diventati amici un po’ a modo loro, forse perché gli opposti si attraggono, o per una sottile ammirazione, che Z nutre per quel compagno così forte e grintoso. Solo una volta gli è scappato di lamentarsi per un ematoma provocato dalla mano pesante del padre, ma poi ha subito riacquistato quello sguardo di sfida e di prepotenza. Alle medie le loro strade si sono separate, in sezioni diverse, in scuole diverse, pare per una precisa scelta dei genitori di Z, un po’ allarmati da quella amicizia poco condivisa. I due si incontrano qualche volta, nella piazzetta del paese: A è già un piccolo uomo, ripete la gestualità del padre e anche le sue battutacce. Nelle orecchie ha sempre il lamento soffocato della madre, le porte sbattute sulla sua sofferenza, il silenzio di un’assoluta indifferenza. Lei dice sempre al figlio: “Beato te ! Sei un maschio…” Lui si è fatto l’idea di un mondo un po’ particolare dove le femmine sono tutte una copia conforme della madre:devono subire e basta, anche se qualche volta gli dispiace, ma subito si pente di questa debolezza. A viene spesso preso in giro dai compagni: Sei un debole, fifone! Femminuccia! Lui soffre e spera che passi presto questa maledetta malattia, che si chiama “adolescenza”. A è andato dal barbiere e ora ha i capelli come Barotelli, si è pure rasato e ogni volta che fatica per eliminare quei quattro peli sparsi in un viso devasta- Pecoraro to dall’acne! Ma pure,così conciato, fa un certo effetto tra le ragazzine! Sarà per le sue impennate con il motorino, sarà per la sua fama di saperci fare, ma è sempre attorniato da compagne, che sbavano per lui. Z si è creato un suo look, niente di trasgressivo,ma, come dicono gli altri, mostruosamente “normale”. Ultimamente , è rimasto molto impressionato da tutte le trasmissioni, telegiornali, che riferiscono, vomitano continuamente storie terribili di femminicidi. Ne ha parlato con i suoi, che gli hanno spiegato cos’è il rispetto per le donne, che non sono mai proprietà di qualcuno, ma persone capaci di intendere e di volere, come lo sono anche tutti i “diversi”... A e la sua famiglia ascoltano anche loro: la madre sussurra “Non è semplice denunciare e poi a che serve? Si vedono i risultati! “Regolarmente il marito commenta: “Probabilmente erano delle puttanelle, che hanno avuto quello che meritavano”. Lui, invece, pensa “Non mi capiterà mai”. Ma qualche volta, ultimamente, quando “si fa”, ha la mente annebbiata e sente una strana sensazione, che gli scuote e attraversa tutto il fisico. Si rassicura, convinto che lui si saprebbe fermare in tempo. Questa storia non ha una conclusione, forse la leggeremo un giorno sui giornali e commenteremo: “Non è stato un raptus, ma qualcosa già risaputo” e volteremo pagina. Il disgusto prevale, ma non è la sola arma da “imbracciare”, occorre anche l’educazione permanente all’acquisizione dei valori, che danno dignità all’essere umano. Ultimamente, si sta facendo strada una maggiore attenzione ai troppi casi di femminicidio, una vera strage, che si ripete in modo incalzante e preoccupante. Quanti posti vacanti a tavola, sui posti di lavoro, per strada, che sarebbero ancora occupati, se solo si fosse prestata maggiore attenzione al grido di disperato dolore di tante donne, uccise prima nell’anima, nella dignità, nel rispetto, poi fisicamente, esistenze sfregiate da un male oscuro, che colpisce chi prima è stato amante, marito, compagno e poi, spesso improvvisamente, carnefice di una storia sbagliata. Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 19 La recensione “Cose che nessuno sa” Alessandro D’Avenia, di Alessandra I Campobasso n “Cosa che nessuno sa” D’Avenia racconta con tenerezza e passione quel mondo al quale da tempo si è accostato: il mondo adolescenziale. Infatti racconta i giovani penetrando nel loro universo come quando si accosta una conchiglia all’orecchio per sentire il rumore del mare. Sono ancora una volta gli adolescenti i protagonisti del nuovo romanzo di DAvenia, dopo l’esordio del libro “Bianca come il latte, rossa come il sangue”. E’ il mondo dell’adoloscenza e della scuola quello con cui D’Avenia, giovane professore di liceo è in contatto da anni. Ha preso l’adoloscenza sul serio ed è questo forse la chiave del suo successo. Nel libro si parla di una quattordicenne di nome Margherita che sta per iniziare il suo primo anno al liceo e come ogni ragazza si trova in bilico su un filo e solo grazie all’amore delle persone che ha accanto potrà lanciarsi e proseguire il suo percorso sulla fune. Le paure affollano la sua mente e presto la sua vita cambierà, stringerà nuove amicizie, soffrirà per amori sbagliati e tradimenti, sente che la sfida è grande, che crescere non sarà nè facile nè indolore. Ma la saggezza del padre la conforta: qualunque cosa accada, sente che potrà contare su un suo abbraccio, un porto sicuro quando fuori la tempesta impazza. Ma un giorno il padre se ne va lasciando un messaggio in segreteria nel quale annuncia che non tornerà più a casa. Ascoltato il messaggio, si precipita in camera dei genitori e scopre l’armadio mezzo vuoto. Le crolla il mondo addosso e risollevarsi da terra le sembrerà impossibile. Da qui Margherita non sarà più la stessa: non sarà la spensierata adolescente, priva di ogni singola traccia di dolore, allegra, dolce e ingenua. Ma ancora non è consapevole che è proprio quel dolore che le farà intraprendere il viaggio verso la maturità, verso il diventare donna come una «perla che fiorisce nell’ostrica in seguito ad un attacco di un predatore» Troverà aiuto e sostegno soprattutto nell’ambito scolastico, ad aiutarla infatti saranno: Marta, la sua compagna di banco, contagiandola con il suo entusiasmo ed il nuovo professore di italiano e latino, sempre in grado di comprendere la vita di tutti. Infatti grazie alle sue travolgenti lezioni sull’Odissea e in particolare sul viaggio intrapreso da Telemaco alla ricerca del padre Ulisse continua da pag. 17 che la spinge poi a partire alla ricerca di suo padre. Alla fine c’è Giulio, il ragazzo dai capelli neri, bello dannato, l’unico in grado di comprenderla. Infatti lui è un ragazzo molto simile a lei, molto solitario perché privo di genitori. Con un semplice sguardo comprende i suoi sentimenti e proprio con la sua compagnia Margherita intraprende questo viaggio alla ricerca del padre ma soprattutto alla ricerca della vita. E’ un romanzo in cui ognuno di noi ci si può immedesimare perché si trovano le paure e le ansie nell’affrontare un nuovo percorso di vita. D’Avenia nel raccontare gli adolescenti e il loro mondo, le loro insicurezze ed il loro coraggio, è davvero dotato e sa entrare in contatto con i giovani straordinariamente. Ricorda che a quattordici anni è volere tutto o niente nello stesso momento, avere segreti inconfessabili, domande senza risposta e avere paure a nasconderle tutte. Quattordici anni è fragilità e non sapere come si fa… Ci sono cose che nessuno spiega e cose che nessuno sa. Sociodinamica della povertà a Cosenza addirittura superiori a quelli di province come Roma, Napoli, Palermo e Bari. Dalla ricerca si evince anche che la provincia di Cosenza è tra quelle che registrano la più alta percentuale di bevitori binge, cioè quanti mandano giù una grande quantità di alcol in un breve lasso di tempo; un’ancora elevata percentuale di analfabetismo e lavoro irregolare; a fronte di un ottima dotazione di edifici scolastici bisogna registrare in Calabria un basso numero di scuole con caratteristiche architettoniche a norma, e a fronte di una ottima dotazione di medici e strutture sanitarie, un basso livello di assistenza e qualità sanitaria che elevano il tasso di emigrazione ospedaliera, tutti fattori che rendono un territorio più povero. Si materializza allora nella città di Cosenza la figura del povero borderline, ossia quel tipo di povero che ancora teme di diventarlo, che vive 20 , Mondadori Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 quotidianamente con la consapevolezza di avere poco, ma anche con la speranza di poter aver almeno quanto gli basta per vivere degnamente. Un crogiuolo di redditi da terzo mondo uniti a qualche “paghetta” ancora elargita da genitori pensionati per racimolare i soldi delle bollette, non un reddito che permetta loro di mantenersi stabilmente al di sopra della soglia di povertà. In un tale contesto socio-economico, in cui la povertà è un fenomeno prevalentemente transitorio, con i poveri che hanno buone probabilità di migliorare la propria posizione se aiutati, le politiche dovrebbero concentrarsi in modo preponderante sulle reti di sicurezza sociale in grado di aiutare la gente a gestire la propria deprivazione presente, di farla ritornare rapidamente a una condizione di non povertà e di ridurre la vulnerabilità. La burocrazia regionale impone code ed attese stressanti di Sante Casella L’ ufficio regionale tributi e tasse automobilistiche della Regione Calabria di Viale della Repubblica di Cosenza è uno dei tanti modelli da rivedere in quanto ai rapporti con i cittadini, che, per come abbiamo constatato, sono costretti ad attendere diverse ore per venire a capo delle numerose bollette di pagamento targate Equitalia. Intanto nell’avviso di pagamento Equitalia annota che eventuali reclami o chiarimenti devono farsi presso l’ufficio regionale di cui sopra, che ha emesso il ruolo, nei giorni di lunedì, martedì, mercoledì e giovedì. Ma i cittadini che vi si recano il giovedì trovano la porta sbarrata e l’avviso di ricevimento soltanto lunedì e venerdì dalle ore 9 alle ore 13, sottolineando che alle ore 11,30 non si danno più i numeri per l’accesso agli sportelli. Prima considerazione: le due burocrazie di Equitalia e Regione non comunicano se danno indicazioni diverse per il ricevimento dei cittadini; altra considerazione: perché i tartassati e malcapitati cittadini (anche se vengono invitati a pagare somme non dovute) non vengono ricevuti tutti i giorni ed in tutte le ore d’ufficio, compreso il pomeriggio? Il personale addetto agli sportelli nei giorni e nelle ore diverse da quelle indicate di ricevimento, cosa fa se non riceve il pubblico? Un’altra considerazione è questa: Assessori, consiglieri e dirigenti della Regione perché non snelliscono la pesante burocrazia regionale, tenendo conto delle esi- continua da pag. 18 genze dei cittadini-sudditi? Non ci lamentiamo poi se il malcontento sfocia nell’antipolitica e/o nei voti di protesta, visto che sul piano del funzionamento della burocrazia e delle estenuanti attese non ci sembra di essere proprio in una regione europea! Non bisogna dimenticare, inoltre, che i cittadini sono costretti a fare lunghe code e attese in quasi tutti gli Uffici aperti al pubblico, regionali e sub-regionali, ad iniziare dagli sportelli, uffici Cup, ticket ed ambulatori della sanità territoriale e ospedaliera, per finire alle Poste di Cosenza e provincia. Come operatori dell’informazione riteniamo che il cambiamento e/o rinnovamento che molti italiani hanno chiesto nelle ultime elezioni politiche, esprimendo un voto di protesta molto penalizzante per i partiti tradizionali, rappresenti proprio un forte segnale di cui i partiti, gli eletti, i dirigenti della politica, della burocrazia e delle pubbliche amministrazioni in generale, devono tener conto. Per cambiare al più presto l’attuale rapporto con i cittadini, che devono essere trattati meglio da politici, burocrati e operatori dei pubblici servizi. Insomma bisogna dimostrare, con i fatti, di essere al servizio dei cittadini, che non sono sudditi e nemmeno, rompiscatole, ma titolari di diritti sanciti da leggi e regolamenti, oltre che dall’etica professionale degli addetti ai vari servizi pubblici. La famiglia: speranza e futuro... scolastica. Ignorato, soprattutto in quanto non vengono poste le premesse culturali ed organizzative perché i genitori siano in grado di formulare le proposte e che le proposte siano qualificate. A questo fine si suggerisce soprattutto l’associazionismo; arrivando a dire che: “Una scuola che non valorizza la presenza dei genitori e delle loro associazioni tradisce la sua missione educativa”. La stessa “disfunzione generalizzata degli Organi Collegiali” non può essere la scusa per escludere i genitori dalle scuole, ma la sollecitazione ineludibile per procedere in tempi rapidi alla loro riforma che sopperisca alle carenze attuali e ne assicuri l’efficacia. “In prospettiva occorre individuare percorsi fattibili che favoriscano il passaggio dalla partecipazione alla corresponsabilità, attraverso momenti formativi per genitori e studenti a tutti i livelli” . Durante la settimana sociale si è riaffrontato anche l’argomento spinoso delle scuole paritarie e del loro finanziamento, tornato all’attenzione pubblica in questi giorni a Bologna come a Milano. L’impostazione culturale della tematica è stata, però, diversa e per certi versi nuova: “La Conferenza Episcopale Italiana ha ricordato il principio dell’uguaglianza tra le famiglie di fronte alla scuola che impone il pieno riconoscimento, anche sotto il profilo economico, dell’opportunità di scelta tra la scuola statale e quella paritaria”. Come dire che la bandiera dell’uguaglianza, che da sempre viene invocata da coloro che si oppongono al finanziamento, viene fatta propria anche dalla Chiesa. Non si tratta di rivendicare un privilegio per le proprie scuole, ma la garanzia del diritto di scelta per tutte le famiglie “in particolare per quante versano in situazioni difficili e disagiate”. Infatti “La parità scolastica deve divenire effettiva a garanzia dell’esercizio del diritto alla libertà di scelta educativa della famiglia … Una libertà a pagamento non è vera libertà”. La disparità di trattamento economico tra la frequenza gratuita delle scuole di stato e la frequenza a pagamento nelle scuole paritarie, condiziona innegabilmente le scelte. Per questo motivo “la parità di trattamento economico come avviene negli altri Paesi Europei” rientra a pieno titolo nel dovere della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto la libertà educativa, che spetta a tutte le famiglie, benestanti o povere che siano. In conclusione il messaggio educativo, scaturito dalla 47° settimana, infonde rinnovato vigore e suggerisce forti motivazioni in quanti, genitori, docenti e studenti, sono coinvolti nella sfida educativa che incombe sull’intera società italiana. La sollecitazione viene rilanciata in nome della “libertà educativa, collegata strettamente a quella religiosa, che è un bene comune da promuovere e tutelare, un valore irrinunciabile per una società democratica, pluralista, autenticamente laica e rispettosa di tutte le identità. A questo proposito Don Luigi Sturzo ammoniva, già nel 1947: «Finché gli italiani non vinceranno la battaglia delle libertà scolastiche in tutti i gradi e in tutte le forme, resteranno sempre servi […] di tutti perché non avranno respirato la vera libertà che fa padroni di se stessi e rispettosi e tolleranti degli altri, fin dai banchi della scuola, di una scuola veramente libera». Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 21 continua da copertina La Famiglia nella tradizione culturale africana sieme. Questo termine è il motto inserito nello stemma nazionale del Kenya, altro Paese in cui il kiswahili è, insieme all’inglese, lingua ufficiale. Quali sono le conseguenze positive di questa visione del mondo? Un grande rispetto per gli anziani (soprattutto genitori e nonni), che non verranno mai messi in una casa di riposo, come avviene da noi, ma custoditi amorevolmente in famiglia, nella stessa casa in cui abitano i loro figli ed i loro nipoti. È chiaro che oggi, con l’avanzare della globalizzazione e dell’imposizione di altri modelli culturali provenienti dall’esterno, possono esserci delle eccezioni a questa regola. C’è anche, però, una conseguenza molto negativa, già accennata: il tribalismo. Anche quando non si arriva alla violenza o, peggio ancora, al genocidio, questa divisione in tribù si sente molto al momento delle elezioni, nel senso che il cittadino africano medio non vota un partito o un candidato per le sue idee, ma solo perché appartiene alla sua stessa etnia. È il caso del Kenya, dove nel febbraio scorso Uhuru Kenyatta ha vinto le elezioni presidenziali puntando sulla carta etnica e prendendo i voti dei kikuyu (l’etnia maggioritaria nel Paese, alla quale egli appartie-pei e per gli americani: l’uomo africano non esiste in ne) e dei kalenjin (tribù alla quale appartiene il suo quanto singolo, ma in quanto membro di una comu- vice-presidente William Ruto). La maggior parte dei nità più larga, che di solito viene chiamata “tribù” keniani non ha dato alcun peso al fatto che i due lea(altri preferiscono usare il termine “etnia”, che è forse der siano sotto processo al Tribunale penale internapiù “politicamente corretto”). Non dobbiamo consi- zionale (TPI) per crimini contro l’umanità. L’inchiederare ciò come un fatto totalmente negativo, perché sta sulle violenze post-elettorali del 2007-2008 (oltre quest’idea d’appartenere ad una “famiglia” più am- mille morti) è stata condotta dal procuratore del TPI pia serve anche da “welfare”, in nazioni in cui non Luis Moreno Ocampo, che recentemente ha lasciato esiste la cassa integrazione o l’indennità di disoccu- il suo incarico per raggiunti limiti di età. pazione. È la tribù che si fa carico dei disoccupati, dei più deboli e dei più vulnerabili. Senza dubbio posso- *Il dr. Liguori ha vissuto per sette anni in Africa no esserci degli eccessi, quando cioè l’appartenenza come missionario cattolico ad una comunità etnica è vissuta come negazione dei diritti delle altre tribù, fino ad arrivare, come nel Il giorno 3 ottobre caso del Rwanda, ad un vero e proprio genocidio (nel 1994 oltre 800.000 persone furono sterminate in a Castrolibero, è meno di 100 giorni). venuta a mancare È molto interessante il tentativo fatto negli anni ’60 all’affetto dei suoi dal presidente della Tanzania Julius Nyerere, detto il familiari e degli “mwalimu” (maestro). Quest’insegnante delle scuole amici la nostra soelementari, il cui processo di beatificazione sta procecia Fabiano Angedendo piuttosto rapidamente, ha cercato d’estendere la. I Soci del Cenl’idea di comunità a tutta la popolazione tanzaniana, tro, il direttore di che ha in qualche modo unificato anche con l’utilizzo “Oggi Famiglia” e di un’unica lingua nazionale, il kiswahili, che è un il comitato di redamisto di arabo e lingue bantù: ogni sera, per molti zione si uniscono anni, il “mwalimu” ha insegnato questa lingua dai al dolore dei famimicrofoni della radio nazionale tanzaniana. C’è una liari ed in modo parola in swahili, difficilmente traducibile in italiano particolare del marito Giorgio e dei figli con un solo termine, che esprime bene il concetto di comunità: “pamoja”, cioè lavorare insieme, agire inIda e Alessandro. 22 Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 continua da pag. 16 Periodico del Centro Socio-Culturale 1981 2013 “V. Bachelet” Cosenza Aut. Trib. Cosenza n. 520 del 9 Maggio 1992 DIRETTORE Vincenzo Filice DIRETTORE RESPONSABILE Francesco Bartucci COORDINATORE e AMMINISTRATORE Antonio Farina SEGRETARIA di REDAZIONE Eralda Giannotta REDAZIONE Vincenzo Altomare, Giovanni Cimino, Mario De Bonis, Davide Franceschiello Francesco Gagliardi, Lina Pecoraro, Antonino Oliva SPEDIZIONE Egidio Altomare, Lorenzo Zappone, Gino Vinceslao GRAFICA E IMPAGINAZIONE Francesco Farina STAMPA Laser Centro Stampa Viale della Repubblica, 136 D 87100 Cosenza Info: (+39) 0984.408939 / 302992 Per CONTRIBUTI VOLONTARI c/c n° 12793873 Redazione: via Gramsci, 23 87100 Cosenza Tel/Fax: (+39) 0984.483050 www.centrobachelet.it E-mail: [email protected] Parte Europei e parte Italiani (Fedralist Papers, 1787-1788). Anche la civiltà greca si è dispersa per l’incapacità di realizzare una unione politica tra le polis. E anche Einaudi ricorda che “le esitazioni e le discordie degli Stati italiani della fine del Quattrocento costarono agli italiani la perdita della indipendenza lungo tre secoli”! (L. Einaudi, “Lo scrittoio del Presidente”, Einaudi 1956). Tutto questo è contenuto nel citato libro di Goulard e Monti dove si documenta e si motiva l’urgente necessità di un ordinamento politico diverso per l’Europa Unita, con la prospettiva di “guardare lontano” come recita il sottotitolo del libro. Sarebbe un vero peccato se avessimo già sacrificato e bruciato la lungimirante visione politica di Monti e la sua fede europea sull’altare delle beghe di corto raggio dell’attuale politica italiana. Carlo Maria Martini, all’indomani della moneta unica, esprimeva l’insufficienza di una tale introduzione e manifestava il suo sogno: “Il mio sogno, la riconciliazione dei popoli”. Se ciò non si realizzerà, la gioia, l’entusiasmo, addirittura l’euforia di questi giorni (introduzione dell’euro, ndr) lasceranno il passo a uno scetticismo, a un pessimismo, a un disfattismo ancora più profondi di quelli già manifestatisi fino a ieri. C’è bisogno piuttosto - in tutti e in ciascuno, dai responsabili dei popoli fino a ogni cittadino europeo - di un supplemento di responsabilità. Non e’ parola vaga o appello generico; è atteggiamento maturo, dalle molteplici sfaccettature, che vorrei tratteggiare brevemente. E’ responsabilità riconoscere, senza alcuna riserva, che nella costruzione dell’Europa anche l’unione monetaria ha una sua importanza e un suo significato. Siamo di fronte a una grande opportunità. Se realizzata in un’ottica globale di solidarietà, la moneta unica può dare maggiore stabilità all’Europa e al suo sviluppo economico, può essere un grande strumento di libertà permettendo e favorendo la moltiplicazione degli scambi, può costituire un salto di qualità nel modo di concepire la convivenza nel nostro Continente” (C.M. Martini, Corriere della Sera 1° maggio 1998). Chi propone di uscire dall’euro vuole un ritorno alle politiche di svalutazione e inflazione che riducono il debito pubblico a spese delle classi più bisognose e meno protette, ossia vuole una repubblica delle banane dove ingrassano i produttori di banane e dove prosperano i cambiavalute con i loro denari già esportati all’estero e convertiti in oro o in dollari. Nella federazione degli Stati Uniti nessuno si sognerebbe di battere una moneta diversa dal dollaro, c’è stato un tentativo da parte degli stati del sud, durante la guerra di secessione, ma è finito in carta straccia. Bisogna dunque realizzare una Europa politica al più presto e se non si trova un accordo a 27, occorrerà ripartire come hanno fatto nel dopoguerra i padri fondatori con un accordo più ristretto, magari a 17 membri: è assurdo ammettere frettolosamente nell’unione paesi che, come Cipro e si vocifera anche la Slovenia, vogliono assurgere al ruolo di paradisi fiscali all’interno della Comunità Europea! Cioè è assurdo far rientrare dalla finestra ciò che si combatte e si butta fuori dalla porta. Gli altri paesi correranno ad aderire alla nuova unione politica, così come sono accorsi all’unione economica e si lasceranno facilmente convincere da un chiaro progetto politico per la costruzione di una Europa che sia una Europa degli Stati Uniti e non una Europa dei Trattati disattesi. Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 23 Concorso letterario di poesia e racconti brevi “Graziella Mirisola” …DONNE DEL NOSTRO SUD TRA PASSATO E PRESENTE… L ’associazione culturale CRIES (Centro Ricerche ed Informazioni Educative e Sociali) indice la prima edizione del Concorso Letterario “Graziella Mirisola”… donne del nostro sud fra passato e presente…, una manifestazione che vuole valorizzare il ruolo della donna calabrese nella nostra società in uno scambio culturale fra due Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013 generazioni a confronto, mettendo in risalto il valore e il contributo culturale e sociale dato dalle donne del sud, alla crescita e allo sviluppo della nostra società, società in cui troppo spesso si parla solo di donne abusate, maltrattate, sottomesse. Il concorso è aperto a tutti gli scrittori e le scrittrici che compongono in lingua italiana. Poesie e racconti sono a tema libero. Le opere vanno inviate entro il 28 febbraio 2014. Per informazioni scrivere a: [email protected] - oppure telefonare al 3402263179.