Anno XXV N° 7/8 - 9/10 - Luglio/Agosto - Settembre/Ottobre 2013
Sped. Abb. Post. 45% Art.2 Comma 20/b Legge 662/96 - Filiale di Cosenza
La redenzione è umanizzazione
di Vincenzo
C
Filice
apita spesso di ascoltare
persone
profondamente
turbate per la tempesta dei
tanti fatti delittuosi che, quotidianamente, si abbatte sulle nostre
coscienze.
I Mass media, con la scusa di
un’informazione puntuale e distaccata, amplificano morbosamente e freddamente i particolari raccapriccianti per attirare
l’attenzione dei lettori e senza
alcuna riflessione a carattere formativo che li aiuti a leggere la
realtà delittuosa inquadrandola
come sfida verso il superamento di una condizione umana tutta orientata all’arricchimento, al
sensualismo, alla possessività, al
potere, all’individualismo,al successo, alla competitività, all’odio
ottuso.
L’attenzione, così, è posta esclusivamente sul delitto e la sua ferocia, ma non sulle cause radicate
nella moderna idolatria del benessere individuale, economico,
affettivo, autogratificante, esclusivista. Anzi, accade spesso che
il responsabile del delitto appaia,
sia pure in termini negativi, un
eroe e susciti, di conseguenza,
emulazione ed una perversa catena imitativa. Insomma, i Mass
media non abdicano alla loro
funzione educativa, ma la deviano irresponsabilmente affatto
preoccupati della umanizzazione
dell’uomo.
L’umanità odierna, anche per
questo, è sempre più ammalata e
disorientata nella ricerca di senso. L’uomo e la donna, oggi, con
eccessiva facilità, abdicano alla
propria dignità di esseri intelligenti e liberi chiamati alla solidarietà, alla fraternità, all’amore
gratuito e perdonante, e si rasse-
La Famiglia
nella tradizione
culturale africana
P
gnano a vivere alienati, nell’essere e nell’agire, in una volontà di
potenza che, in realtà, si rivolge
contro se stessi. Il dramma dell’esistenza umana contemporanea
è proprio questo: siamo vittime
di noi stessi, della nostra stupidità che ci fa vedere il bene nel
male.
Questa distorsione della coscienza, ove dovesse continuare ancora a lungo, farà implodere la civiltà condannandola alla babele
inquietante di uno sviluppo senza etica e di un progresso come
regresso verso l’homo homini lupus. Occorre, dunque, una sollecitudine, da parte di tutti, per un
progresso che sia più umanizzante e personalizzante, più proteso
alla costruzione di un ordine morale oggettivo capace di rendere
ogni uomo più umano fuori dal
quadro ingannevole e devastante della civiltà consumistica dove
la persona umana è schiava delle
cose e dei sistemi socio-economici che essa stessa produce.
segue a pagina 2
di Giuseppe
Liguori
er noi occidentali la famiglia è un nucleo piuttosto ristretto: marito,
moglie e figli. Non è certo così
nella tradizione africana, nella
quale la famiglia è una realtà
molto più estesa. Tanto per
iniziare, in quasi tutti i Paesi africani la parola “cugino”
non esiste ed è sostituita da
quella di “fratello”: i figli di
mio fratello sono anche i miei
figli e tra di loro sono fratelli,
non cugini.
È lo stesso concetto espresso
nel Nuovo Testamento, quando si parla dei “fratelli” di
Gesù. In secondo luogo, anche
dopo il matrimonio l’africano
è legato alla famiglia d’origine e dovrà occuparsi fino alla
morte innanzitutto dei suoi
genitori (anche perché il sistema pensionistico non esiste
o funziona malissimo), e poi
anche dei suoi fratelli e delle
sue sorelle, soprattutto se esse
non sono sposate.
C’è inoltre un altro punto
molto importante, di difficile
comprensione per gli eurosegue a pagina 22
continua da copertina
L’uomo moderno, ognuno di noi,
è chiamato a redimersi. E, questa redenzione, non è altro che la
nostra umanizzazione. L’uomo è
soggetto della propria esistenza,
e la scienza e la tecnica ci hanno
aiutato ad uscire dall’infanzia dilatando le nostre conoscenze e le
nostre possibilità di vittoria e rafforzando la debolezza della nostra
natura, ma ora dobbiamo lavorare per non restarne imprigionati e
continuare a considerare, immanentisticamente, la ragione e “l’IO
penso” come referente unico e assoluto, chiuso alla trascendenza.
è inutile illudersi, la delittuosità
dilagante ci conferma che “senza
Dio l’uomo non sa dove andare e
non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia” ( Enc. Caritas in
Veritate, n.78).
La volontà di potenza, comunque
espressa e attuata, “non può fondare da sé un vero umanesimo”.
Redimersi dalla stupidità vuol
dire, come ha scritto Benedetto
XVI , proprio questo: “La chiusura
ideologica a Dio porta a dimenticare i valori autenticamente umani” (n.78). E, perciò, “l’umanesimo
che esclude Dio è un umanesimo
disumano”(ib.) tale e quale come
quello vincente oggi. La dignità
umana, dunque, esige, da parte
di tutti, soprattutto delle Istituzioni, di mettere al centro la persona
umana, i suoi diritti fondamentali,
nel convincimento sempre chiaro,
che le “leggi economiche non sono
assolute”, ma devono essere ispirate alla giustizia e all’equità contro l’assenteismo, il doppio e triplo lavoro, contro il lavoro minorile e la disoccupazione dilagante
e contro il capitalismo disumano
che pone il profitto al di sopra di
tutto, del lavoro stesso. Ma questo
sarà possibile solo se , come suggeriscono i Vescovi, si dà “sempre più chiaramente il primato
alla vita spirituale da cui dipende
tutto il resto” (CEI, Chiesa Italiana
e le prospettive del Paese, n.13). Redimersi, infine, vuol dire “andare
controcorrente e porre sui valori
morali le premesse di una organica cultura di vita” (CIMn.11). In
tutta questa opera redentiva, i cristiani possono e devono fare molto. Essi però “non possono stare
alla finestra, né possono accettare
di chiudersi nelle sacrestie o nel
privato” (Ib.,12) e le Parrocchie
dovranno smetterla di ridurre il
cristianesimo a pratiche di turismo religioso, devozionalistico e
miracolistico per essere “soggetto
sociale” nel proprio territorio, per
una storia nuova non più legata a
tradizioni ripetitive e smorte. Per
questo i Vescovi insegnano: “La
Parrocchia non può ridursi solo
al culto, e, tantomeno all’adem-
pimento burocratico della varie
pratiche. Bisogna che nasca una
Parrocchia comunità missionaria
di credenti”.
Non solo. Anche la famiglia cristiana “non può restare chiusa né
sentirsi vittima. Deve essere scuola
di vita, spazio di apertura e palestra di umanità (…) si faccia lievito di una società rinnovata”(CEI,
CIM, n34. E, infatti, “una fede che
non diventa cultura non è una
fede pienamente accolta, né interamente pensata, né fedelmente
vissuta” (Papa Vojtyla, Christi fideles laici, n.59).
La Calabria, soprattutto, come
scrivevano i Vescovi nel 1948 nella Lettera collettiva: ha bisogno di
“una religione più pura e di una
giustizia più piena”.
Ma, ahimè, preti e laici , oggi,come
sempre, sono in tutt’altre faccende
affaccendati e, Vescovi e Papi, in
assenza di verifiche, parlano al
vento.
Notizie “Bachelet”: Carta impegno 2013/2014
Come punti della carta impegno 2013/2014 sono emersi i
seguenti:
1) il filo conduttore degli incontri di quest’anno dovrà essere la Bibbia. Trattare sul discorso della Bibbia e sviluppare
le sue letture;
2) organizzare una visita a Rossano al Codex Purpureus
per continuare la proposta fatta da Don Vincenzo durante
il Campo Famiglia, di approfondire e discutere sulla relazione che lui ha tenuto al Campo e cioè “La Bibbia che cosa
è e cosa non è”
3) Scuola Formazione Fare Famiglia, si è pensato quest’anno di aprirla a tutta la Società Cosentina per sensibilizzare
la società stessa ai temi attuali e scottanti quali per esempio: La Relazione di Coppia; L’educazione dei figli; il rapporto scuola-famiglia che è perennemente in crisi.
Bisognerà che la Scuola Fare Famiglia formi una rete di
sensibilizzazione della Società e non solo delle Parrocchie.
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Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
Non bisognerà fare molti incontri, farne pochi ma qualitativamente forti.
4) Organizzazione Premio Terracina. Attivare la Commissione organizzatrice del Premio.
5) Banco Alimentare riprenderà l’attività dopo la pausa
estiva il 20 settembre anche se la roba che arriva dal Banco
centrale è sempre poca.
6) Organizzazione Tombolata di Beneficienza per aiutare il
Banco Alimentare;
7) Nel mese di ottobre verranno rimandate a tutti i soci le
“schede impegno” in modo da verificare l’impegno di ciascun socio nelle varie attività del Centro;
8) Creare sul Giornale Oggi Famiglia uno spazio nel quale
si dicano tutte le attività che il Centro svolge di volta in
volta;
9) Organizzare delle visite e qualche intrattenimento per
gli ospiti delle case di riposo della città.
Legge contro le violenze di genere
di Francesca
I
l 17 agosto 2013 è entrato in
vigore il Decreto Legge n. 93,
dal titolo “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il
contrasto della violenza di genere
nonché in tema di protezione civile
e di commissariamento delle Province”, meglio conosciuto come
decreto contro violenze di genere
e femminicidio. Il decreto Legge
n.93/2011 emanato successivamente alla ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la
violenza nei confronti delle donne
e la violenza domestica firmata ad
Istanbul il giorno 11 maggio 2011,
rappresenta senza dubbio un ulteriore ed importante passo in avanti
nell’ambito delle misure di contrasto, al triste fenomeno del femminicidio.
Basti pensare che, secondo quanto
emerge dal rapporto Eures-ANSA
sull’omicidio volontario in Italia,
nel nostro Paese ogni giorno e ogni
12 secondi una donna viene colpita
da atti di violenza di genere (fisica,
verbale e psicologica). Nei primi
sei mesi del 2013 sono state uccise
81 donne, di cui il 75% nel contesto familiare o affettivo: una media
clamorosa, che se confermata nel
resto dell’anno porterebbe a 160
vittime a fine 2013.
Tra il 2000 ed il 2012 si contano
complessivamente in Italia 2.200
donne vittime di omicidio, pari
ad una media di 171 all’anno, una
ogni due giorni.
L’Italia è comunque tra i Paesi
meno esposti in Europa a questa
tipologia di delitto. È la Germania
(con 350 vittime donne nel 2009,
pari al 49,6% delle 706 vittime di
omicidio totali e un indice di rischio pari a 0,8 per 100 mila donne residenti) a detenere il primato
negativo, seguita dalla Francia (288
vittime, pari al 34,3% e un indice
pari a 0,9) e dal Regno Unito (245,
pari al 33,9% e un indice pari a 0,8).
Da qui la necessità di emanare,
sulla scia della Convenzione Instambul 2011, un provvedimento
che fronteggiasse il fenomeno.Tre
gli obiettivi fondamentali che il
Legislatore ha inteso perseguire:prevenire la violenza di genere,
punirla in modo certo e proteggere
le vittime.
Il d.l. prevede l’inasprimento delle
pene in caso di maltrattamento in
presenza di minore degli anni diciotto, (la c.d. violenza assistita ), in
caso di violenza sessuale su donne
in gravidanza e nei confronti il coniuge, anche separato o divorziato,
ovvero nei confronti di colui che
alla stessa persona è o è stato legato
da relazione affettiva, anche senza
convivenza.
Ulteriore novità è la possibilità per
gli inquirenti di raccogliere le testimonianze in modalità protetta, ossia , la vittima può essere interrogata senza aver di fronte il compagno, allorquando la vittima sia una
persona minorenne o maggiorenne
che versa in uno stato di particolare vulnerabilità.
Uno dei cardini del D.L. è la previsione, analogamente a quanto
già accade per i delitti di violenza
sessuale, della querela irrevocabile: una volta che la persona offesa
ha presentato querela, questa non
può più essere ritirata.
La ratio di tale norma rinviene nel
Bruno
tutelare in modo da sottrarre la
vittima al rischio di nuove intimidazioni allo scopo di farla desistere.Ulteriori novità riguardano la
previsione dell’arresto in flagranza obbligatorio in caso di maltrattamenti su familiari e conviventi.
Infine è previsto il potenziamento
dei centri antiviolenza e dei centri
di assistenza.
Tuttavia, se il Decreto Legge ha posto l’attenzione su una problematica diffusa e particolarmente sentita
a livello internazionale, molti sono
i dubbi e le perplessità suscitati negli operatori del settore e in particolare nelle associazioni aderenti
alla Convenzione Nazionale No
more e alla piattaforma Cedaw.
E’ stato osservato, infatti, come il
Legislatore abbia disciplinato la
violenza di genere insieme ad una
serie di altre norme che nulla hanno a che vedere con questo tema,
dato che il decreto legifera anche in
materia di protezione civile e ordine pubblico, tanto da porre dubbi
di legittimità.
Le perplessità maggiori, però, concernono la mancanza di formazione di tutti i soggetti coinvolti e l’elaborazione a costo zero del Piano
straordinario contro la violenza
segue a pagina 5
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
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L’accoglienza
difficile
Le discriminazioni razziali nel contesto dell’immigrazione
di Francesco
B
De Filippo
enché il tema dell’immigrazione sia
caratterizzato da fasi intermittenti
nel palinsesto della cronaca italiana, nelle ultime settimane sembra essere
tornato prepotentemente alla ribalta su
gran parte dei media nazionali. A destare di nuovo un certo interesse hanno
sicuramente contribuito alcune vicende
sia interne che internazionali, quali, ad
esempio, la ripresa degli sbarchi sulle
coste meridionali, la nomina a Ministro
dell’Integrazione di un cittadino italiano
di chiare origini africane nonché la scelta
di Papa Francesco, in occasione della sua
prima visita ufficiale, di recarsi nell’isola
di Lampedusa. Tutto ciò, ovviamente, ha
provocato, in alcuni ambienti, il brusco
risveglio di quel sentimento di odio razziale (probabilmente mai sopito) che non
meno di un secolo fa ha scritto una delle
pagine più orrende e vergognose dell’intera storia dell’umanità. E così il Paese
non ha esitato, nuovamente, a dividersi.
Infatti, nelle aspre ed amare polemiche di
questi giorni, un’antica e profonda ferita
pare essersi riaperta nella coscienza civile
degli Italiani, i cui sintomi sono evidenziati dalla disputa infinita fra coloro che
si mostrano desiderosi di manifestare il
volto benevolo della solidarietà e della
fratellanza e quelli che, al contrario, non
si sono ancora rassegnati all’ineluttabilità
dei cambiamenti che scuotono l’Europa
ed il mondo e che spingono il quadro
demografico globale verso una composizione sempre più eterogenea e variegata.
Ma cosa si nasconde, realmente, dietro
queste forme patologiche di discriminazione? Qual è il confine psicologico, oltre
che geografico, che determina un così
forte ed irrazionale sentimento di paura
e di minaccia per la propria identità o
cultura? In queste alterne ed incresciose
vicende riaffiorano, oltretutto, alla mente
alcune memorabili pagine di letteratura
contemporanea e, fra queste, la straordinaria metafora kafkiana della tana, in cui
un animale del sottosuolo, protagonista
inconsapevole del romanzo, decide di
costruire un rifugio sotterraneo in cui poter godere di una sicurezza assoluta. Ma
al procedere della costruzione è assalito
da un crescente senso di inquietudine
poiché, per ogni perfezionamento del
proprio labirinto, è come se spostasse in
là la soglia del pericolo che avverte incessante. Nonostante sia stato scritto agli
inizi del secolo scorso, il racconto offre,
in ogni modo, una perfetta descrizione
del profilo psicologico di quanti, oggi,
si oppongono all’ingresso degli stranieri
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Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
sul nostro territorio. Non a caso, lo stesso
protagonista del romanzo, nel suo assurdo e demenziale soliloquio, ammette: “....
Vennero bensì individui nella cui vicinanza
non ebbi il coraggio di restare, e davanti ai
quali dovevo fuggire quando soltanto li sospettavo in lontananza.....”. Ma proprio
come la talpa di Kafka, non ci si rende
conto che il nemico da cui dobbiamo
guardarci non è fuori, ma dentro di noi.
La paura dell’Altro, paradossalmente, è
la paura della nostra stessa intimità. Intimità che diventa alterità minacciosa nel
momento in cui l’io, suggestionato da un
sogno di dominio ed autosufficienza, dimentica di riconoscerla ed accudirla con
la sollecitudine che, per lo più, si riserva
alle cose essenziali dell’esistenza. Tuttavia, anche se la storia in molti casi si rivela “maestra di vita”, essa ci indica che il
dialogo con gli altri non è mai stato facile
né mai lo sarà, specialmente ora che tutto
assume una dimensione così vasta e così
difficile da controllare. Infatti, ogni qual
volta l’uomo incontra l’Altro, ha sempre
davanti a sé tre possibilità di scelta: fargli guerra, trincerarsi dietro un muro di
silenzio e d’indifferenza oppure stabilire
un dialogo.
Ma qual è l’elemento “sovversivo” e rivoluzionario di questo inevitabile incontro? Il dialogo, il cui scopo non può che
essere la mutua comprensione e scopo
della comprensione, a sua volta, il reciproco avvicinamento. Di conseguenza,
comprensione ed avvicinamento si raggiungono sulla via della conoscenza, anche se l’esperienza quotidiana dimostra,
in prima battuta, che quasi sempre, si
reagisce alle relazioni interpersonali con
riserva e diffidenza, se non addirittura
con ostilità. Il quadro tracciato sin qui, ci
è dunque utile per chiarire alcuni aspetti
legati, principalmente, all’affiorare di deplorevoli comportamenti sociali. Si tratterebbe, dopo tutto, di analizzare il nesso
esistente fra il riemergere di forme anche
subdole di razzismo e la riproposizione
di pericolose teorie insite in tutte quelle
visioni illiberali ed antidemocratiche che,
nel corso della storia, sono nate e si sono
sviluppate in contrapposizione a fondamentali ed imprescindibili diritti umani.
Il “salto di qualità” secondo Pierre-André Taguieff (sociologo francese), dopo la
catastrofe dell’ideologia nazista, sarebbe
stato compiuto in Europa con la cosiddetta svolta “culturalista” che di fatto ha
bandito dal lessico la parola “razza”, sostituendola con la più innocente “etnia”.
Essa, nonostante la retorica umanistica,
allude ugualmente al significato di tribale. Ecco perché “etnici” sono sempre gli
altri e non “noi”, cioè i gruppi e le culture
che si discostano fortemente dalle norme
delle società maggioritarie.
Ciò implica che se da un lato abbattiamo
barriere nel tentativo di edificare “ponti”,
dall’altro ne innalziamo di nuove, sempre più invalicabili e sofisticate. Da qui
non si può certo negare che l’ingresso dei
migranti nella sfera pubblica, rispetto ai
criteri di legittimazione della loro presenza, ha ormai reso obsoleti i meccanismi
di produzione dello spazio sociale, mostrando, a più riprese, tutta la loro desolante inadeguatezza.
Tant’è che il riflesso di questo becero ed
inaccettabile ritardo culturale è racchiuso nell’uso comune che si fa del termine
“clandestino”, il cui senso, impropriamente esteso, va ben al di là del significato giuridico legato al mancato rilascio del
semplice permesso di soggiorno.
Orgogliose, volitive, sensuali:
femmine o donne?
di Adele
S
Pizzo
in dalla notte dei tempi, la donna è forza ed
equilibrio, orgoglio e tenacia, energia, passione
e sensualità…tutto questo racchiuso in un solo
essere!!!
La ricordiamo, fin dall’età della pietra, che accudisce
i suoi cuccioli, provvedendo a trasformare i prodotti
dell’animale cacciato dall’uomo, non solo in cibo, ma
in pellicce da usare come indumenti per coprirsi e in
tutto ciò che necessita per la sopravvivenza.
La ritroviamo Matriarca, nelle civiltà arcaiche, come
regina della famiglia e della comunità, associata,
come figura, alla Madre Terra, generatrice di vita e
potente forza della natura. Detta leggi e gestisce l’economia della casa.
Anche nell’epoca dei Grandi Imperi è potente e libera e quasi sempre, nelle vesti di moglie dell’imperatore, tesse nell’ombra le trame della politica.
Nel Medioevo, piegata dal volere dell’uomo, perso
in questa era oscura, incarna in sé il Bene e il Male e
viene perseguitata proprio per la sua grande forza.
Infatti, la donna che decide di “ribellarsi” al volere
maschile e alle regole della società, viene considerata esperta nell’arte della stregoneria, ovverosia, una
strega! Questo solo perché forte e potente e quindi
temuta dall’uomo. Nel Settecento cerca, in tutti i
modi, di entrare a far parte della società con un ruolo
diverso da quello di futura sposa e madre.
Ma è solo con l’Ottocento che torna alla ribalta: la
sua forza lavoro, solo adesso, acquista un importante
peso sociale; ella rivendica così il suo diritto ad essere un soggetto sociale, lavoratrice e cittadina, cercando di svincolarsi dal potere dell‘uomo.
Finalmente nel Novecento acquista piena libertà, indipendenza economica, giuridica, politica, sessuale:
è, ora, un individuo a pieno titolo, una cittadina moderna proiettata verso la modernità. Come ci insegna
la storia, oggi la donna è femmina (come lo è stata
fin dai tempi della pietra) perché ha un ruolo unico
continua da pagina 3
La femmina mostra, la donna è riservata
ed eccezionale: è procreatrice, è l’unico essere umano
in grado di generare un’altra vita. Ma è, al contempo, donna, impegnata attivamente nella società (che
purtroppo è ancora molto “maschile” ), nella quale
ricopre ruoli importanti.
Questo duplice ruolo (l‘essere femmina e donna) ha
comportato una sostanziale modifica della società :
se un tempo la donna era votata alla famiglia, all’educazione della prole, oggi, a questo gravoso ed importante compito, si associa il suo ruolo nella società
lavorativa, che comporta grandi disagi, primo fra
tutti la mancanza di tempo per accudire, crescere ed
educare i propri figli. La donna è, dunque, femmina,
guerriera, strega, imprenditrice… la donna è tutto
questo messo insieme!!!
Legge contro le violenze di genere
sessuale e di genere, per la formazione e protezione. A
dire delle pre citate associazioni, il “decreto legge affronta la violenza di genere solo da un punto di vista
penale, emergenziale e di pubblica sicurezza, quando
invece è un fenomeno culturale, politico e strutturale”, senza prevedere finanziamenti per la formazione
ed informazione, presupposti necessari per contrastare il fenomeno.
Un appuntamento mancato o solo rinviato in attesa
delle modifiche da apportare in sede di conversione
in Legge?L’auspicio è che si giunga, nel più breve
tempo possibile, ad una disciplina organica, capace di
prevenire la violenza di genere, garantendo protezione alle vittime e certezza della pena, promuovendo
una cultura che sia in grado di superare stereotipi e
pregiudizi legati all’appartenenza di genere.
La presente Convenzione ha l’obiettivo di: a proteggere
le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire
ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;
b contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione
contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi,
ivi compreso rafforzando l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne;
c predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza
contro le donne e di violenza domestica;
d promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;
e sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate
dell’applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio.
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
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L’Italia con i grilli in testa: dove se ne va?
di Francesco
A
Luciani
vevo già previsto una qualche
replica a quanto scrivevo su questo stesso giornale mesi or sono a
proposito del movimento 5 Stelle come
“necessità storico-politica”. La replica,
infatti, sarebbe arrivata puntualmente
sul numero successivo di “OggiFamiglia”, ma, per il suo carattere preconcetto
e moralistico, non solo non avrebbe colto
il nocciolo etico del mio ragionamento
politico ma sarebbe stata per larghi tratti persino ripetiva rispetto a quel che,
in vero con molta chiarezza, ero venuto
argomentando. Adesso c’è da aspettarsi
un’altra replica anche per questo articolo, ma nel precedente articolo ero venuto
scrivendo un concetto chiave che speravo
non passasse inosservato: “Ho deciso di
votare per Grillo non perché mi fidassi e
mi fidi ciecamente di lui e dei suoi proclami, a volte più propagandistici che
meditati, ma perché…ho inteso contribuire alla disarticolazione di un sistema
di potere non solo vecchio e inefficiente
ma anche e soprattutto basato su una violazione sistematica di elementari istanze
economiche e sociali e di basilari princípi
di dignità personale e giustizia sociale”.
Violazione sistematica che, sia pure con
diverse responsabilità, ha avuto per lunghissimi anni i suoi artefici comprimari
sia nel Popolo della Libertà sia nel Partito
Democratico, il quale ultimo peraltro è
stato scavalcato recentemente a sinistra
proprio dal primo, nel quadro del governo delle Larghe Intese, sulla questione
dell’IMU. Dato questo assunto, potevo io
come cittadino e come cattolico votare a
favore di una di queste due forze politiche? La mia valutazione e la mia risposta sono state: no, non è assolutamente
possibile! E allora? Allora, il problema
era ormai quello di rompere gli equilibri politici, i rapporti di forza, al fine di
poter concorrere a cambiare e ridefinire
in qualche modo i termini del dibattito
politico nazionale e gli stessi orizzonti di
un’azione governativa.
In questo senso, oggettivamente, un movimento politico e non già antipolitico di forte
rottura, anche se non privo di ambiguità e
spinte velleitarie solo oggi molto evidenti, era
quello di Grillo e questo movimento io avrei
ritenuto, insieme a diversi milioni di connazionali, di poter votare, ovvero (almeno per
quanto mi riguarda) di poter usare in funzione antisistema proprio per poter favorire una
rigenerazione qualitativa della complessiva
prassi politica nazionale. Ma probabilmente
questo non poteva accadere semplicemente
perché Grillo aveva nella propria testa dei
grilli incompatibili, anche perché fortemente
personalistici, con quelle istanze di profonda
trasformazione istituzionale e strutturale da
molti ritenute necessarie ma solo da pochi viste nelle loro concrete e coerenti
modalità
attuative.
Dunque, da questo punto di vista alcu-
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Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
ni di noi, avendo osato sperare troppo,
si sono sbagliati, anche se in buona fede
e “sporcandosi le mani”, senza limitarsi
a pontificare dall’alto delle proprie certezze dogmatiche e boriose come chi conosce ogni cosa in anticipo rispetto alla
necessaria mediazione dell’esperienza.
Qualche speranza in vero non è andata
delusa, perché non c’è dubbio che, con
l’ingresso in parlamento, di un foltissimo
gruppo “stellato”, il clima sia in qualche
modo cambiato e sia cambiata anche l’agenda politica governativa, nonostante
il permanere di fortissime resistenze di
natura “partitocratica”. Ma d’altra parte
non si può negare che la linea politica non
collaborativa e anzi talvolta scioccamente
ostruzionistica impressa dal signor Grillo di Genova alla sua forza parlamentare sia risultata esattamente antitetica a
quella possibilità di creare per l’Italia e
per il mondo intero concrete condizioni
di rinascita morale e civile e di riorganizzazione economica e finanziaria.
Purtroppo, la vera indole del “comico”
Grillo, sul cui blog io non ho più possibilità di accesso da quando ho cominciato
a rovesciare su di esso commenti sempre
più caustici e severi (è bene che lo sappia
chi, forse abituato ad anteporre giudizi di
valore a giudizi descrittivi di tipo analitico, volesse ancora una volta replicare), si
sarebbe rivelata col tempo non solo nella
sua indubbia capacità dialettica e affabulatrice ma anche e soprattutto in tutta la
sua pochezza umana e politica, contribuendo a conferire ormai al suo stesso
movimento più una carica istrionica ed
esibizionistica che una funzione di critica
politica realmente efficace e costruttiva.
Infatti, al di là della polemica su rimborsi
elettorali e finanziamento ai partiti, sui
persistenti giochi di potere di PD e PDL e
sulla stessa complicità del presidente della repubblica rispetto a consuete manovre di palazzo, sulla TAV o su altre opere
infrastrutturali in corso non meno che
sulle spese militari, o infine sull’apertura
di quei parlamentari “stellati” a ipotesi
di collaborazione condizionata ma fattiva con il PD, nel movimento politico di
Grillo non si scorge nient’altro o si scorge
poco altro.
Eppure, un’Italia che avesse avuto un Grillo
in testa meno stravagante, meno bizzarro e
pretenzioso, più logico o sensato, più equilibrato umanamente e politicamente più realista, avrebbe potuto conoscere veramente una
grande stagione di rinnovamento civile e di
riorganizzazione economica e finanziaria.
Ma poiché l’Italia, in realtà, oltre il Grillo genovese ha anche altri grilli per la testa,
non meno irrazionali e disdicevoli, come la
scandalosa solidarietà manifestata non solo
dai parlamentari berlusconiani ma anche da
alcuni milioni di cittadini non di rado sedicenti “cattolici” per il senatore Berlusconi
che pretende di sottrarsi ad ogni principio di
legalità e alle inevitabili pene derivanti dalla
sentenza definitiva di giudizio comminata a
suo sfavore dalla Cassazione, oppure le continue dispute “interne” del PD nonché la sua
inammissibile incapacità di opporsi dignitosamente a logiche finanziarie internazionali
ed “europeiste” che ci stanno facendo precipitare in un abisso di miseria e disperazione, è molto difficile ritrovare il bandolo della
matassa solo alla luce dell’appello formulato
da Napolitano (forse a sua volta non privo
di ambiguità e di colpe) alla consueta magica
“unità nazionale” al fine di fronteggiare la
grave crisi ancora in corso.
Infatti, a ben vedere, la questione non è
l’unità in quanto tale o l’unità con cui si
continui ad assecondare una politica economica e monetaria decisa sempre altrove rispetto al nostro parlamento e nell’interesse di ristrette ma potenti oligarchie
finanziarie internazionali, ma una unità
che sia funzionale ad una graduale, concreta e coraggiosa inversione di tendenza,
non necessariamente suscettibile di produrre effetti peggiori di quelli che stiamo già sperimentando e certamente più
rispondente a quei princípi di sovranità
nazionale e di democrazia popolare e parlamentare che sono o dovrebbero pur sempre costituire princípi non negoziabili dello
Stato repubblicano italiano.
Che fare, dunque? Forse si può confidare
che un congruo numero di dissidenti del
5Stelle si stacchi da Grillo e si metta a collaborare con il PD a livello governativo
condizionandone le scelte in senso sociale, ma alla lunga anche questa soluzione
appare inadeguata, perché il problema
politico principale, che sicuramente i
“democratici” non considerano ancora
tale, resta per l’appunto quello di invertire radicalmente la rotta innanzitutto e
soprattutto per quanto riguarda il piano
etico ed economico e quindi principalmente i rapporti con l’Europa e con la sua
fallimentare politica monetaria, fiscale e
finanziaria. Come cattolico, mi sento confortato in questa valutazione anche da
una recente e veritiera analisi del teologo
cattolico brasiliano Frei Betto.
Egli nota come oggi siano moltissimi i
giovani che, sebbene non vogliano né
dittatura, né disoccupazione, né limitazione dei diritti sociali, né aumento del
costo della vita, non sanno a chi rivolgersi e
cosa fare dal momento che ormai sia i partiti
di destra sia quelli di sinistra risultano addomesticati dal capitale internazionale e ad esso
subordinati, per cui non c’è più nessuno che
sia capace di rappresentare onestamente i veri
interessi popolari e di creare alternative credibili al potere forte dei gruppi finanziari di tutto il mondo (F. Betto, Protesto! Ma che cosa
propongo?, in “Koinonia” agosto 2013).
E’ una tendenza ormai storica quella per
cui «i partiti progressisti o di sinistra, una
segue a pagina successiva
La vita è meravigliosa ma tradita
di Rosa
Capalbo
“S
ono una matita nelle mani di Dio”, aveva
detto Madre Teresa, quella piccola donna
che è stata infaticabile nel portare aiuto ai
sofferenti, sino alla morte!
Tutti noi, appena nati, siamo delle pagine bianche
sulle quali la vita (o se vogliamo il destino), scrive il
suo romanzo o la sua tragedia. Io, se potessi, vorrei
avere, nella mano sinistra una pagina bianca e nella
mano destra una penna per scrivervi la mia vita, vita
che vorrei poter inventare ogni giorno e darle, ogni
giorno, un senso, essa, invece, mi scorre tra le dita
come sabbia che scivola via.
Oltre alle cose già definite vorrei scrivere il mio romanzo perché la vita dovrebbe essere questa, bella
come un romanzo….
Scriverei dell’amore per tutto il mondo e per qualcuno, scriverei della pietà per tutti e per me, della fiducia negli altri per continuare la strada, degli angoli
del mio carattere che vorrei smussare, delle cose da
realizzare.
La vita!!! Forse l’ha compresa, totalmente, Madre Teresa e tutti coloro che gettano via l’egoismo perché
fardello troppo pesante da portare (se si vuole arrivare in cima bisogna portare solo il necessario).
Tutti noi, portiamo come pesanti fardelli: l’egoismo,
la cattiveria, la nostra povera lacerante inumanità.
Il Santo Padre richiama,incessantemente, sui valori
della vita, vita che noi defraudiamo della sua essenza: ogni volta che la neghiamo, che la sfruttiamo, che
la consideriamo inutile, che la sopprimiamo rivoltandoci contro il cielo e contro Dio.
Quest’anno è “Anno europeo dei cittadini”.
Già, dedicare un anno a questo tema significa che i
problemi non sono mai stati risolti e i dati sono sconfortanti: è aumentata la povertà dei paesi poveri,
sono aumentati, proprio in questi paesi, l’AIDS ed i
tumori, è aumentato lo sporco mercato degli organi,
sono in aumento pedofilia e droga.
Nel mondo occidentale si parla di clonazione degli
esseri umani invece di parlare come promuovere la
creazione delle famiglie e di conseguenza le nascite,
sono in aumento furti, omicidi, e violenze sessuali.
I diritti umani vengono calpestati continuamente,
soprattutto quando esseri umani senza scrupoli (se
tali si possono definire), uccidono un altro essere più
debole, solo in virtù dell’arroganza del più forte.
Omicidi che scuotono profondamente le coscienze
degli uomini giusti e fanno capire a quanto può arrivare l’abiezione umana.
Per migliorare questa povera lacerante umanità è necessario solo una frase che dovrebbe diventare Comandamento: “non fare agli altri ciò che non vuoi
sia fatto a te”. Bisogna ritornare a guardare il cielo
con occhi di fanciullo; rispettare i vecchi perché sono
ciò che noi saremo, amare i bimbi perché siamo stati
amati, non deludere le promesse perché, altrimenti,
ci mancheranno i sogni.
La vita può e deve essere meravigliosa: lo sarà se
noi impareremo l’amore, quell’amore che tutto comprende e tutto dona.
In questo modo la nostra vita non sarà inutile, ed
anche se non saremo come Madre Teresa saremmo
comunque creature che si sono sforzate di dare il meglio, e la vita può diventare per tutti il romanzo che
sogno per me!
continua da pagina precedente
volta pervenuti al potere», cambiano di netto i loro dichiarati
ideali per avvicinarsi sempre più alle posizioni conservatrici o
reazionarie dei loro antichi avversari, tralasciando di «mettere
in discussione il capitalismo e proponendo soluzioni cosmetiche di miglioramento della vita dei più poveri» (ivi).
Accade cosí che il capitalismo, per quanto reiteratamente in
crisi, cerchi «di moltiplicare le sette vite del gatto neoliberale»,
disattendendo «le raccomandazioni dell’ONU riguardo alla
crisi finanziaria (come quella di chiudere i paradisi fiscali)» e
rifiutandosi «di regolamentare il capitalismo speculativo: nel
suo sforzo di perpetuarsi, il sistema dell’idolatria del capitale
propone rattoppi nuovi con toppe vecchie: propone un capitalismo verde; combatte la povertà con programmi sociali compensativi (e non emancipativi); baratta le libertà individuali con
la sicurezza; disprezza i movimenti sociali, criminalizza il malcontento popolare…
Il sistema si rivela più distruttivo che creativo. Perfino i partiti progressisti, prima considerati di sinistra, non hanno più
proposte alternative e quando arrivano al potere si limitano
ad essere meri gestori della crisi economica» (ivi). Questa è la
situazione, tanto per l’America Latina quanto per l’Europa. E
allora? Allora, visto che siamo già entrati in un’epoca di barbarie, da cattolico sono portato a pensare che solo una nuova
generazione di cristiani assistiti dallo Spirito Santo e capaci di
ispirare rigorosamente la propria azione politica al vangelo potrà indicare alla nostra nazione e al mondo una vera alternativa:
quella di un mondo sociale, costruito su pratiche coerenti ed efficaci di condivisione e socializzazione, in cui la proprietà privata
di qualunque bene materiale, a cominciare dalle forme più consistenti
di proprietà, non abbia più un valore assoluto ma un valore relativo e
funzionale ad una liberazione finalmente e non retoricamente integrale di uomini e donne.
Sono convinto che, tra le forze dell’arco parlamentare e costituzionale italiano, manchi in particolare un partito cattolico nuovo
(e non semplicemente un nuovo partito cattolico) di ispirazione rigorosamente evangelica, al quale in realtà, già in questo
momento, stanno lavorando dietro le quinte alcuni generosi e
coraggiosi fratelli cattolici emiliani. Se nascerà, questo partito
sarà di certo determinato a fare del Cristo integrale il cuore del
mondo, il cuore dello stesso mondo politico.
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
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“Niente è più rovinoso dell’ignoranza in azione”
di Sandra
Cucchetti
Q
uesta frase di J.W. Goethe, letta per caso l’altro
giorno, mi ha fatto pensare quanto sia vero questo concetto, vero e attuale. L’ignoranza se
è silenziosa ed inattiva è già un
male, ma se si mette in azione è
veramente... rovinosa.
Ed è prova di grande ignoranza
questo razzismo rinato ultimamente ed in maniera clamorosa
in Italia. La vittima di turno è
Cècile Kyenge, il nostro ministro
per l’Integrazione, perché è una
donna con una pelle di colore
molto scuro ed ha i lineamenti
africani.
Il 29 luglio Andrea Draghi, assessore leghista a Montagnana,
paragona il ministro a un gorilla.
Il 14 luglio era stato il vicepresidente del Senato Calderoli ad
offendere: “Kyenge sembra un
orango.” Il 27 maggio l’eurodeputato leghista Mario Borghezio:
“Lei è una bonga bonga e nominarla una scelta del c…” Si è parlato molto di questo argomento
e cioè dell’uomo cha ha sempre
temuto “il diverso” e lo ha considerato un nemico, qualcuno
da cui guardarsi. E la situazione
invece di migliorare, con il progredire della civiltà, sta peggiorando.
A nulla sono valsi gli studi a
carattere razionalistico di scienziati come Claude Levi-Strauss,
noto accademico antropologo
animato da una coscienza universale. Quest’uomo, libero da
ogni indottrinamento, indagò
sulle varie culture studiando gli
aspetti particolari propri e caratteristici di un popolo, una tribù,
un gruppo, ed il risultato di questa indagine e del suo pensiero
in merito lo dimostrano queste
parole: “Nulla, allo stato attuale
della ricerca, permette di affermare la superiorià o l’inferiorità
8
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
Nella foto: l’On. Cecile Kyenge
di una razza rispetto all’altra.”
Questo pensiero, espresso in un
periodo in cui Hitler andava affermando la superiorità della
razza ariana, è di fondamentale
importanza. La ministra Cècile
Kyenge è una persona preparata
ed intelligente, degna del posto
che occupa. E’ ignorante e razzista colui che ignora, che non sa
queste cose. E se qualcuno tra
noi le pensa come quei leghisti,
si dovrebbe fare un esame di coscienza. Consiglio a tutti di leggere un libro piccolo ma molto
interessante:
“Il razzismo spiegato a mia figlia
di Tahar Ben Jelloun, poeta, romanziere e giornalista, noto in
Italia per i suoi numerosi e bei
romanzi. Nato in Marocco nel
1944, vive a Parigi. Per il profondo messaggio contenuto in questo volume, il 14 Novembre 1998
gli è stato conferito dal segretario generale delle Nazioni Unite,
Kofi Annan, il “Global Tolerance
Award”.
E tornando a Cècile Kyenge,
molto significative le parole dette a Tarsia durante la sua visita
in Calabria. “Sono onorata, ha
detto all’interno del museo, di
quello che fa uno dei più grandi
campi di internamento in Italia,
di essere in questo luogo.
La visita qui a Tarsia, in questo ex campo, per far capire che
dai territori possono partire anche messaggi di pace, ha evitato
la morte a tantissime persone.
Quindi a volte, anche nelle difficoltà, i territori ci possono insegnare tantissimo. Nello stesso
tempo noi non dobbiamo dimenticare quello che è stata la storia,
la memoria del nostro passato, la
memoria di una popolazione che
è stata perseguitata e, quindi, noi
dovremmo fare di questa una
base, a partire dai diritti umani,
per costruire anche il futuro del
nostro Paese.
Dobbiamo fare una campagna
di informazione e di comunicazione. Metto la mia visibilità al
servizio dell’altro, del diverso.
A cinquant’anni dal celebre discorso di Marthin Luther King
mi sento di dire che anche l’Italia
è capace di sognare. Regaliamo
questo sogno ai nostri figli.
La politica come scelta di vita
di Vincenzo Altomare
è
venuto a Cosenza per presentare il libro La Sinistra perduta
di Mario Brunetti, suo amico
personale e compagno di tante lotte politiche, dapprima nel PCI, poi
in Rifondazione Comunista. Fausto
Bertinotti, comunque vengano valutate le vicende politiche di cui è
stato protagonista negli ultimi quarant’anni, mantiene sempre un fascino straordinario. E non solo per chi
scrive... La sera del 17 luglio ha dato,
ancora una volta, prova di essere un
grande pensatore e non solo un organizzatore di sindacato e di partito.
Nel suo intervento, con la consueta abilità comunicativa, ha sviluppato una narrazione nuova del nostro mondo. Anzitutto, che quando
un’epoca storica, culturale e politica finisce, dobbiamo ricominciare
daccapo. Senza infingimenti con la
realtà nè ipocrisie di sorta. Bisogna
ricominciare. Magari facendo come
gli indiani: sdraiandoci, cioè, a terra
per ascoltare i passi ‘del futuro’ che
viene. Ricominciare, dunque. Ma
partendo da dove? Dalla memoria
storica che abbiamo ereditato dal
Novecento. Questa ci dice che un
grande progetto di civiltà ha segnato
le vicende del ‘secolo breve’: la rivoluzione bolscevica del 1917. Dopo la
rivoluzione d’Ottobre, nulla è stato
uguale a prima. Si è progettata una
società che aveva abolito la proprietà privata. Quel progetto è finito, soprattutto per ragioni sociali, fra l’89 e
il ‘91, con l’implosione dell’Urss. Ma
ci ha consegnato un’eredità: l’idea
della politica come volontà di cambiare il mondo. D’altronde, per
cos’altro esiste la politica, se non per
cambiare il mondo? Se, al contrario,
la politica lo constata, vi si adegua,
lascia che a governarlo e plasmarlo
siano i tecnocrati e i burocrati della
Trojka (BCE, FMI e Commissione
Europea) e, quindi gente alla Monti,
banchieri e brookers, la politica tradisce se stessa e l’umanità che è chiamata a liberare. E dunque, Bertinotti
ci invita a preparare lo zaino. Perché
ci attende una lunga traversata: bisogna rovesciare questo mondo. Come
diceva negli anni Ottanta padre
Ignacio Ellacuria dal Salvador: “hacerse cargo de toda la realidad para
revertir el mundo”.
Cosa metterci, dunque, in questo
zaino? Per la ‘grande traversata’, oc-
corre metterci anzitutto questa memoria e il sogno che l’ha ispirata. Si
tratta di portare con noi, oltrepassando il guado, le tensioni ideali che ci
ha consegnato il Novecento e che si
sono sedimentate nella nostra Costituzione Repubblicana. Non a caso, il
pensiero unico neoliberista sta facendo forti pressioni “affinché le grandi
Costituzioni, come quella italiana,
vengano progressivamente sostituite
da costituzioni materiali, non frutto
di assemblee costituenti bensì di processi reali, spesso neppure dichiarati” (Chi comanda qui?, Mondadori,
Milano 2012, p. 10).
Cosa ne è, oggi, dei diritti dei lavoratori in una multinazionale come la
Fiat, dove basta avere la tessera della
Fiom per essere discriminati? E che
dire dello scandaloso divario crescente tra pochi ricchi e le moltitudini dei poveri, causato dal dominio
del capitale finanziario sulle società?
Dunque, zaino sulle spalle e via, oltre il fiume. Fuor di metafora, Bertinotti ci ha ricordato che il Novecento
è, sì, finito ma le sue istanze eticopolitiche permangono più vive che
mai solo se sapremo utilizzarle per
attraversare il fiume della storia che
ci porta altrove. è per questo che non
dobbiamo rassegnarci al governo del
capitale finanziario, che dobbiamo
recuperare l’idea forte di cui in tanti siamo da anni convinti, ossia che la
politica è una scelta di vita e non una
mera scelta elettorale, una scelta che
impegna la vita e non un segmento
temporale di essa. Anche a costo di
‘organizzare il pessimismo’, come
insegnava Walter Benjamin.
E, dunque, due sono le parole-chiave della politica del nostro tempo:
uguaglianza (che è l’essenza della
democrazia) e rivoluzione (ossia, la
trasformazione del mondo). Ma chi
è il nuovo soggetto che potrà creare
una società piu’ inclusiva, egualitaria, giusta? Bertinotti riconosce il
‘vuoto’ attuale della politica, che affonda le sue radici nella fine del PCI
(grande partito di massa) e dell’Urss.
Ma pensa che l’aria nuova del Noi,
che spazza quella putrida dell’egoismo, provenga dai movimenti sociali, popolari, territoriali che provengano le risposte più interessanti: dai
No-Tav della Val di Susa ai No-Ponte del nostro Sud, dai comitati per la
difesa dell’acqua come bene comune
alle lotte sociali per i ‘Rifiuti Zero’,
fino all’impegno non violento contro
l’iniquo acquisto degli inutili F-35.
Bene: condivido tutto. Aggiungo
solo due note. Primo, la memoria
storica richiama direttamente i luoghi della coscientizzazione, ossia i
luoghi dove il mondo è preso cosi’
com’è ma criticato in radice. Penso alla scuola. Se questa replica il
sistema vigente, nessuna traversata
sarà mai possibile. Se, invece, recupera la sua natura e funzione critica,
saprà formare coscienze politiche
che, nel mentre trovano un mondo
plasmato da tecnocrati e banchieri,
susciteranno l’impegno di trasformarlo in una realtà al cui centro non
ci saranno piu’ l’euro, il dollaro o lo
yen, ma la dignità di ogni uomo e
donna che batte i sentieri della propria dignità. Secondo: e i partiti? Dato che Bertinotti non è intervenuto specificamente su questa ‘domanda aperta’,
aggiungo alcune note personali. Penso che i partiti abbiano ancora molto da dire, non sono affatto ‘passati
di moda’, come una diffusa vulgata
populista lascerebbe intendere. Ma,
occorre aggiungere, avranno un futuro solo se, radicandosi nei territori
e nelle istanze sociali, si lasceranno
rinnovare dai venti di cambiamento
reale che spirano dalla gente.
Perchè per ora restano involucri
vuoti, luoghi di potere che hanno occupato lo Stato, piuttosto che porsi
come spazi politici di mediazione fra
le istituzioni e i cittadini. Non possono più continuare a chiederci il voto,
per giunta sempre più irrilevante, e
poi rispondere alla Trojka! Se oggi
sono ‘forze senza legittimità’ secondo il titolo del bel libro di Piero Ignazi, mediante un processo di conversione sincera e profonda alla gente e
al suo grido di pane e dignità potranno tornare ad essere luoghi della vita
democratica.
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
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Cultura scolastica e cultura digitale
di Franco
T
Costabile
rattasi di un argomento molto attuale che
sta richiamando l’attenzione e l’interesse di
esperti, studiosi, ricercatori, professori di università, giornalisti, genitori ed insegnanti. Su la Repubblica del 7 aprile 2013 leggiamo l’intervista a
Luigi Ballerini, psicanalista e scrittore per ragazzi,
il quale alla domanda “quanto la lettura può aiutare i ragazzi”, risponde che “la lettura ha un grande
valore sia in casa che a scuola, sempre che non sia
separata dall’aspetto ludico o inficiata (come nella
scuola) da meccanismi didattici complicati”.
A Cosenza presso il Liceo Statale “Lucrezia della
Valle”, l’8 aprile illustri relatori hanno commentato
il libro curato dal prof. Universitario Ugo Cardinale
“Si può salvare la scuola italiana?” Da cosa? Da tante cose, nonché dall’attuale dilagante povertà linguistica e di concettualizzazione dei ragazzi (prof.
Raffaele Simone). Ma altri professori ed esperti
sono per il primato della cultura scientifica e delle
nuove tecnologie informatiche (Silvano Tagliagambe, professore di Filosofia della Scienza, Francesco
Profumo, presidente del Cnr, ex ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca nel Governo Monti). E
ancora sulla stampa il discorso su insegnamento e
libro e computer e mezzi elettronici si fa sempre più
dialettico e le soluzioni, quando ci sono, se ci sono,
sono diametralmente opposte.
Insomma “A scuola è meglio il libro o l’iPad”? Accostandoci al Corriere della Sera del 10 aprile 2013
abbiamo grosso modo i termini di detto discorso
dialettico: - così la giornalista Valentina Santarpia
ci informa che l’Italia è definita “maglia nera” per
il digitale nelle scuole, ma che per la lavagna interattiva multimediale (Lim) le cose vanno meglio,
introdotta com’è in 70 mila classi, non escludendo
impegni governativi per l’introduzione di libri digitali, a partire dall’ a.s. 2014-2015: - così il giornalista
Armando Torno, che attraverso un’intervista a due
grandi pensatori, evidenzia una chiara duplicità di
impostazione culturale e di conseguente ricerca della soluzione. I pensatori in questione sono Giovanni
Reale, prestigioso storico della filosofia, autore del
libro “Salvare la scuola nell’era digitale” - La scuola Brescia, Francesco Antinucci, direttore di ricerca
all’Istituto di scienze e tecnologie cognitive del Cnr,
autore del libro “computer per un figlio” Laterza
2001.
Per il primo, il digitale lede e pregiudica l’apprendimento, negando la relazione tra i veri interlocutori del processo educativo ( insegnante – scolaro),
mentre la scuola va anche oltre contenuti e nozioni, aiutando a formare gli strumenti intellettuali ed
etici degli uomini del futuro, per cui l’introduzione
dell’informatica nelle scuole non può e non deve
essere il fine ma solo il supporto dell’istruzione,
evitando di giudicare il mondo, secondo il proprio
computer, a ‘mo di autismo.
10
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
Per il secondo, le tecnologie determinano un nuovo modo di apprendere e poi i ragazzi arrivano a
scuola già con una loro esperienza di telefonini, videogiochi ed anche di televisione che li mettono in
contatto con realtà anche distanti. Insomma con le
nuove tecnologie si va avanti per esperienza, si ricerca, si sperimenta e si costruisce la conoscenza,
mentre il modo di apprendere scolastico non aiuta a
costruire esperienza conoscitiva, giacché questa, costruita da altri nel tempo, viene assorbita attraverso
l’insegnamento e i libri.
Due posizioni completamente diverse che attengono addirittura a due culture diverse e contrapposte:
da una parte si sostiene che la Rete ha accresciuto
l’entità e le possibilità di ricerca, ma non c’è vera
assimilazione e la ricerca diviene “ abilità del taglia
e incolla”, dall’altra si fa presente che i ragazzi, a
fronte di forme di insegnamento prescrittivo, guardano con maggiore interesse alle nuove tecnologie
che finiranno per entrare sempre più ed “ inesorabilmente” nelle scuole.
Personalmente non vorrei che oggi, come nel passato remoto e in quello più o meno recente, esplodesse il vecchio usuale equivoco ed anomalo scontro
tra cultura umanistica e cultura scientifica, le quali
al loro interno hanno vantaggi e svantaggi. Non si
tratta di esaltare la penna al posto della scrittura
elettronica e dei sempre nuovi strumenti di trasmissione, comunicazione, ricerca della conoscenza.
Non si può impedire al progresso di andare avanti,
ma ciò non toglie che si possa e si debba armonizzare le diverse culture, prendendo il meglio di ciascuna di esse.
Diversamente a che servirebbero le grandi sintesi
operate dai saggi della cultura? Certo oggi il contesto è di gran lunga più complesso e problematico, e
non si tratta tanto di consentire ed accrescere la presenza di computer, rete e qualsivoglia tecnologia
informatica nelle scuole, quanto e soprattutto che
si mettano in discussione le radici profonde della
nostra civiltà e del valore di humanitas dell’uomo
moderno.
Berlusconi condannato. Fine di un’epoca
di Francesco
T
utti hanno aspettato con ansia
e trepidazione il verdetto finale
della Cassazione su Silvio Berlusconi dopo 7 anni di processi. La
pena inflitta dalla Corte d’Appello di
Milano viene confermata: quattro anni
di carcere. Viene rimandata alla Corte
d’Appello la definizione della pena accessoria per l’interdizione dai pubblici
uffici. L’attesa si era fatta spasmodica.
Per le vie di Roma, nei Palazzi, nelle
sedi giornalistiche e televisive si respirava la stessa atmosfera che si respirava tantissimi anni fa in America durante l’attesa del verdetto di condanna
alla pena di morte di Sacco e Vanzetti.
I giudici ed i giurati da giorni avevano
scritto la sentenza però restarono nella
Camera di Consiglio per diversi giorni
per far credere alla gente che in Camera discutevano.
Finalmente verso le 19,30 è arrivato il
giorno del giudizio dopo una snervante e lunga attesa che ha stressato non
poco tutto il sistema politico italiano e
i due partiti maggiori.
Tutti i giornali nazionali e stranieri e le
televisioni di tutto il mondo nelle loro
breaking news ne hanno parlato a iosa
perché sono convinti che la sentenza
sarà destinata a passare alla storia ed
è considerata come lo spartiacque tra
il vecchio e il nuovo, tra il passato buio
e triste e il radioso avvenire. Per tantissimi commentatori politici è la fine
di un’epoca, l’epoca del bunga bunga,
del ghe pensi mi, di un uomo solo al
comando, di un conflitto di interessi
che è durato venti lunghi anni. L’ora
segnata dal destino batte sul quadrante della storia. Primo agosto 2013: L’inizio della fine dell’epoca berlusconiana. Adesso che Berlusconi è stato condannato come sarà l’Italia, cosa farà
il Parlamento, quale sarà la sorte del
Governo, come si comporteranno il Pd
e i suoi maggiori dirigenti? Sappiamo
cosa farà il Pdl. Forse le barricate. Gli
elettori ed i simpatizzanti scenderanno
certamente in piazza. Proprio circa un
mese fa hanno bloccato Via del Plebiscito a Roma per assistere al comizio
del loro leader. Il Governo Letta - Alfano sopravviverà? E Berlusconi davvero andrà in galera a mangiare il rancio
dello Stato Italiano o andrà in esilio
come il suo caro amico Bettino Craxi e
poi fatto morire di crepacuore lontano
dalla sua Italia che aveva tanto amato e servita con onore e gloria? Regna
l’incertezza assoluta. Terrà fede all’impegno preso garantendo l’appoggio
incondizionato al Governo? Ha dato la
Nella foto: Silvio Berlusconi
sua parola agli italiani, non potrà tradirli e deluderli. Vedremo.
Gli avversari di Berlusconi, quelli che
lo hanno sempre odiato e temuto,
esultano. Sperano che il Pdl, nato dal
predellino, si sciolga come neve al sole
di marzo. Sperano in un fuggi fuggi
generale degli iscritti e dei simpatizzanti verso altri partiti e altri schieramenti. Sperano, ma di speranza si può
anche morire. Non hanno fatto i conti
con il Cavaliere dalle sette vite come i
gatti. Sono davvero ora curioso di sapere e scoprire come si comporteranno
i vecchi marpioni del Pd provenienti
dal PCI. Caduto Berlusconi davvero si
andrà ad elezioni politiche anticipate
la prossima primavera? Riuscirà il loro
leader provvisorio Epifani a convocare il Congresso nazionale? Cosa farà
Matteo Renzi? Alcuni giornali simpatizzanti del centro sinistra hanno sempre scritto che il Sindaco di Firenze è
una grande risorsa non solo per il Pd
ma anche per il futuro radioso dell’Italia, l’unico che può vincere le elezioni,
che può portare la sinistra moderata al
Governo. E la nomenclatura del Pd che
da più di 20 anni è abbarbicata come
l’edera alle comode poltrone del Parlamento cosa farà? Resterà a guardare?
Non credo. Una eventuale vittoria di
Matteo Renzi alla guida del Partito e
del Governo significherebbe l’inizio
della fine dei vari D’Alema, Veltroni,
Finocchiaro, Fassino, Rosy Bindi, Gentiloni, etc. e il pensionamento definitivo dei vecchi marpioni che non sono
riusciti a combinare nulla di buono sin
dal 1994. Per ben due volte hanno costretto alle dimissioni Romano Prodi
che aveva vinto le elezioni e battuto
Berlusconi. Hanno costretto Massimo
Gagliardi
D’Alema a consegnare il Governo ad
Amato. Hanno fatto fare a Rutelli e
Veltroni una pessima figura candidandoli premier contro Silvio Berlusconi.
Hanno costretto il loro Segretario Nazionale Bersani a gettare la spugna e
poi farlo fuori, perché incapace ed inesperto a formare dopo le elezioni non
vinte e neppure perse dello scorso inverno una grande coalizione.
Nella maggioranza cresce però preoccupazione e c’è tanta agitazione e
fibrillazione. Si intravedono scenari a
tinte fosche. La partita è decisamente
aperta. Berlusconi in galera. Pdl allo
sbando. Berlusconi non è più candidabile e un voto imminente del Senato
potrebbe farlo decadere da parlamentare. I dirigenti ed i peones non sanno
come si devono comportare, non sanno quale posizione assumere e sono
preoccupati per le loro sorti politiche
e parlamentari. La maggior parte di
loro senza Berlusconi dovrà sloggiare
dal Parlamento ed inventarsi un nuovo mestiere. Già si parla di diserzioni,
di nuovi complotti, di adesioni ad un
fantomatico “partito di Napolitano”.
Ora tutti i parlamentari del Pdl sono
pronti a dimettersi se la Giunta per le
elezioni del Senato che si riunirà il 4 ottobre voterà sulla decadenza del Sen.
Berlusconi.
Ma fanno davvero sul serio? Napolitano, il nostro Presidente della Repubblica, è molto infuriato. Fa sapere che
non scioglierà le Camere e non si andrà a votare. Piuttosto si dimetterà lui
da Presidente della Repubblica, con il
risultato che il nuovo Presidente sarebbe eletto dall’attuale Parlamento con i
voti del Pd e del Movimento 5 Stelle.
Sarebbe certamente un uomo inviso al
Pdl e a Berlusconi in particolare.
E allora il Governo non cadrà? No,
non cadrà, perché non conviene a nessuno andare alle urne. Le minacce, le
dimissioni di tutti i parlamentari del
Pdl sono finte. Sono servite a tenere
alta la tensione politica, a tenere banco
per alcuni giorni e sono servite principalmente al Cavaliere per far capire a
Napolitano, a Letta e al Pd che al centro dell’attenzione c’è sempre lui e che
senza un suo coinvolgimento Letta
non potrà governare.
Silvio Berlusconi, uomo navigato, non
vuole la crisi di governo, non vuole affossare Letta per andare a votare a novembre o in primavera. Vuole esattamente il contrario, vuole in tutti i modi
far proseguire il governo di larghe intese da lui ardentemente voluto.
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
11
Don Gabriele: l’assistente per eccellenza
di Paolo
D
Citrigno
on Gabriele Bilotti, nonostante il suo carattere
a volte non facile, non fu mai freddo o scostante. Per lui, però, l’amicizia e la concordia non
erano quieto vivere, ma un proclamare la verità nella
carità e vivere la verità della carità e dell’accoglienza.
Di lui non si ricorda mai una parola al di sopra delle
righe, mai una critica gratuita, ma sempre l’invito a
riconsiderare e a riprendere insieme - fianco a fianco
- il cammino nel rispetto della propria e dell’altrui
dignità umana, di tutti gli uomini.
è stato annunciatore paziente della Carità e sempre
confidente nella Provvidenza, incarnando e testimoniando fino all’ultimo, l’insegnamento evangelico
che invita a non servire Dio e mammona; si fece
povero, essenziale nei costumi e distaccato da quegli
eccessi che molti vivono come necessità irrinunciabili. Non è casuale la scelta di offrire il suo ministero agli ultimi di un evangelico Istituto della nostra
“Cosenza Vecchia”: “La Minestra di San Lorenzo”,
a due passi dalla sua amata Cattedrale e da questa,
per lui, significativa chiesa di San Francesco d’Assisi
- il santo promotore del laicato e patrono dell’Azione
cattolica -.
E don Gabriele è stato ed ha rappresentato per la nostra associazione sempre un riferimento - come per la
Chiesa cosentina d’altronde -. Il tutto senza “effetti
speciali”, quasi nel nascondimento, sicuramente incarnando quel servo inutile o senza utile del Vangelo - icona ed essenza della nostra amata Azione cattolica stessa. E’stato, per riprendere un concetto di Don
Rabitti (già assistente nazionale adulti) come la “sorella maggiore” che ci permetteva di approfondire
ed accrescere la nostra spiritualità, il nostro stare insieme, la nostra fede. Senza clericalismi o sovrastrutture, ma nell’essenzialità delle certezze evangeliche
- ribaditeci dal Concilio - che Dio ci ama, che ognuno
di noi è un valore di cui Egli è geloso, che è perverso
vivere il proprio essere figli di Dio senza essere tessitori e fautori d’amicizia e di prossimità, senza essere
ospitali e farsi compagni di viaggio, senza abitare la
storia da amati e amanti di Dio, senza essere, quindi,
promotori di umanità vera.
Verità angolari per ogni cristiano, ma che, per chi
come noi aderisce all’Azione Cattolica assumono
valore di particolare impegno. Eppure, in molti non
l’hanno capito o non l’hanno voluto capire, specialmente quando sosteneva le necessità dei giovani e
invitava i confratelli ad essere più disponibili, accoglienti e comprensivi, pronti ad accoglierli ed ascoltarli con solidarietà ed amicizia in caso di errori e di
delusioni, rifuggendo paternalismi del tipo: “ci sei
sbattuto col muso, ma io te l’avevo detto!”
Oggi, 4 ottobre, per grazia di Dio abbiamo festeggiamo, come da tanto tempo, l’inizio del nostro anno
associativo. Per don Gabriele, anche quando per
discrezione e delicatezza, dal 1987, non presenziava più a questo momento, in quanto “promosso ad
altro servizio nella Vigna del Signore”, tale giorno
rimaneva, comunque, la festa annuale dell’associazione dalla quale mai si è discostato.
12
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
Per grazia di Dio, ripeto, oggi noi rinnoviamo il
nostro impegno nella Chiesa, per la Chiesa, con la
Chiesa; quella stessa Chiesa che don Gabriele ci ha
insegnato ad amare sempre, su tutto e nonostante
tutto. Mettendoci in guardia e attrezzandoci contro
pericolose tentazioni nostalgiche, passatiste o avanguardiste, per proseguire in quel cammino, che magari conosce qualche pausa, ma che non vuole e non
deve interrompersi. Riconoscendo anche, anzi principalmente, i propri limiti.
A tal proposito don Gabriele in una sua circolare del
1977, confessando i suoi limiti, si esprimeva: “Personalmente mi riscopro incapace di vera conversione, perché vorrei perdonare e non riesco a farlo,
vorrei essere umile, cordiale, amabile, semplice e mi
riscopro orgoglioso, complicato…”.
Non un superuomo, dunque, ma un uomo feriale,
normale della “normalità del cristianesimo”, che
come scriveva per la Pasqua del 1975: “Va vissuto
nel quotidiano, nel normale. Alla nostra vita manca
la dimensione della normalità e, noi continuiamo a
vivere un tipo sociologico di vita cristiana avulso dal
contesto in cui viviamo”.
è questo in sintesi, il lascito di don Gabriele:
•
Il senso della trasmissione di una tradizione
d’amore per l’uomo - via maestra di e per Cristo -;
•
Il senso del nostro dover diventare e del nostro dover essere amanti di questa nostra Chiesa non
solo diocesana.
è la “carta”, riassuntiva, della sua profonda e verace
testimonianza del suo seminare incessante, della sua
pazienza contadina, del suo promuovere e del suo
spendersi (anche economico) per la Chiesa, per l’Azione Cattolica e per i laici tutti.
Piano, piano, pazientemente, accogliendoci sempre,
ci ha fatto scoprire “il volto umano”di Dio: il Cristo misericordioso e gioioso e, anche quando i ”casi
Un sacerdote che non diceva “fate”, ma faceva
di Luigi
D
ue caratteristiche personali
di don Gabriele mi colpirono fin dai primi momenti: il
suo sorriso che stimolava l’amicizia e il suo immergersi nella realtà
in prima persona per modificarla.
Non era un sacerdote che diceva
soltanto “fate”, ma “faceva”.
Dal 1970 era assistente diocesano
degli studenti di AC e insegnava
religione nel Liceo Classico “Telesio”, proprio nel momento più
acuto delle agitazioni studentesche che movimentavano l’Italia.
Col suo sorriso riunì intorno a sé
un gruppo di studenti, e non disse ad essi “organizzatevi”, ma li
organizzò. In quel periodo prevaleva il volantinaggio, e il suo
gruppo vi partecipava con entusiasmo e abilità. Rimase celebre
un episodio. In un confronto con
un gruppo molto attivo dell’estrema sinistra marxista “maoista” il
gruppo degli studenti cattolici diffuse un volantino nel quale tutti
erano invitati ad ascoltare gli altri
e a capirne le motivazioni. Questo
invito conteneva la citazione di
una frase molto esplicita tratta da
un libro del quale però non si indicava autore e titolo. I “maoisti”
risposero con un volantino di forte
rifiuto, ma due giorni dopo ebbero
una brutta sorpresa: gli studenti
cattolici diffusero nuovamente il
medesimo volantino, ma questa
volta vi scrissero anche il titolo e
il nome dell’autore del libro e il
numero della pagina dalla quale
era stata tratta la citazione: era il
famoso libretto “rosso” del cinese
Mao-Tze-Tung. L’impressione fu
enorme e il gruppo maoista non
osò replicare.
L’azione di don Gabriele era intelligente e mirava ad attuare le indicazioni del Concilio Vaticano II.
Nei numeri 36 della Lumen Gentium e 76 della Gaudium et Spes il
Concilio invitava i fedeli a compiere “i diritti e i doveri che loro incombono in quanto sono aggregati
alla Chiesa, e quelli che loro com-
continua da pagina precedente
della vita” (come lui li chiamava) non gli sono stati
“grati”, ha sempre avuto parole d’indulgenza e comprensione e invitava a stemperare e a “guardare oltre”: al centuplo quaggiù e all’eternità promessaci
da Cristo. è stato uomo di poche parole e dei molti
fatti, “del sì, sì o del no, no”! Mai fu uomo di paglia !!!
sì, ma ad ubbidire in piedi! - come diceva. Così don
Gabriele insegnava ed educava, ci educava, a restare
all’interno delle cose ad ubbidire, il suo amico Bachelet -.
Lui ha ubbidito sempre in piedi, anche in certi momenti difficilissimi e di sofferenza ecclesiale, fidando
nella lealtà e nella libertà degli uomini forti e confidenti nel Vangelo; nel sostegno materno di Maria,
nell’amicizia di Gesù e non sugli “uominicchi” che
come la zizzania sembrano prosperare.(sic!!!)
Quell’amicizia che ha predicato, testimoniato, vis-
Intrieri
petono in quanto membri della società umana” e a fare “una chiara
distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo,
compiono in proprio nome, come
cittadini, guidati dalla coscienza
cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione coi loro pastori”. Questi
inviti erano stati accolti nell’art.
1 del nuovo Statuto dell’Azione
Cattolica che impegnava i soci alla
“evangelizzazione”, e nell’art. 3
che li impegnava a “testimoniare
nella loro vita l’unione con Cristo
e ad informare allo spirito cristiano le scelte da loro compiute, con
propria personale responsabilità,
nell’ambito delle realtà temporali”. Tuttavia la prassi associativa
di allora l’aveva inteso soltanto
come impegno individuale e non
comunitario, tradendone esplicitamente lo spirito e la lettera.
Per attuare questi impegni il 29
gennaio 1971 il Settore giovani
dell’AC di Cosenza aveva invece
proposto una doppia linea di azione organizzativa: costituire i gruppi parrocchiali del Movimento
studenti di Azione cattolica, con la
finalità “religiosa” di promuovere
in nome della Chiesa lo sviluppo
umano e cristiano degli studenti e di animare cristianamente la
parrocchia e la scuola, e di farsi
promotori di Gruppi di studenti
cattolici nei vari Istituti, con la finalità “politica” di riflettere con
propria personale responsabilità
sui problemi della scuola, elaborasegue a pagina 15
suto e continuato ad indicare a tutti noi: vecchi e
giovani compagni di viaggio dell’Azione Cattolica,
dei movimenti e non solo.
Per essa, tanti oggi, sono qui presenti, tanti ci sono
vicini spiritualmente, tantissimi ancora sono con noi
in quella comunione dei santi che ci accomuna in
Cristo con chi ci ha preceduto.
Ora, giunti alla fine, concedetemi. - vi prego - di pensare don Gabriele – il “socio”- immaginandolo sicuramente insieme ai suoi confratelli nell’ordine presbiterale, a sua sorella e ai suoi amatissimi e generosi
genitori, ma in particolare ai carissimi don Lillo Spinelli e Mimmo Scordo (essenza vera dell’Azione Cattolica) che intona per lui uno dei suoi canti folk, proprio per fare memoria di quell’amicizia - dalle radici
semplici e generose - della quale il nostro assistente
è stato tessitore e seminatore e che forse è il dono più
prezioso che Dio ha affidato noi uomini.
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
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Portò le idee del concilio
tra i laici di calabria
Un ricordo di Mons. Gabriele Bilotti
di Demetrio
D
Guzzardi
on Gabriele Bilotti, il sacerdote cosentino morto
due giorni fa, aveva da
poco compiuto 80 anni; era nato a
Montalto Uffugo e subito dopo la
sua ordinazione sacerdotale, nel
1956, fu mandato dall’allora arcivescovo cosentino, mons. Aniello
Calcara, a Catanzaro, per aiutare
mons. Criscito nella conduzione
del Pontificio Seminario Teologico
Calabro “San Pio X”, da poco riaperto dopo un pauroso incendio.
IL “San Pio X” di Catanzaro fu
per don Gabriele, la sua seconda
casa, tra insegnamento e gestione
(vice rettore ed altri prestigiosi incarichi) don Bilotti servì la Chiesa
Calabrese con passione e senso di
responsabilità, nel luogo più delicato, quello della formazione dei
futuri sacerdoti.
Ma mai dimenticò Cosenza, la sua
diocesi e gli impegni con l’Azione
Cattolica regionale. Ho tanti ricordi che mi frullano nella mente,
proprio in questi momenti in cui
il caro don Gabriele ha raggiunto,
meritatamente, la Casa del Padre.
L’ho conosciuto nel 1972 quando
mons. Enea Selis lo nominò parroco ad Andreotta, era il tempo delle
nuove parrocchie, le aule liturgiche venivano sistemate in magazzini di fortuna e la gente da casa si
portava perfino le sedie per partecipare alla Messa. Don Gabriele era
anche uno stimato prof. di religione al Liceo Classico “B. Telesio” di
Cosenza e ricordo i suoi ciclostilati
che distribuiva agli studenti in occasione del Natale o della Pasqua.
Ho avuto modo di collaborare con
lui per tantissimi anni, e di lui mi
restano tante cose: innanzitutto la
sua bontà d’animo, la sua squisita
amicizia, il suo amore alla regionalità della Chiesa calabrese, quanti
incontri, quanti convegni, quanta
strada insieme nel visitare diocesi
ed iniziative regionali. Don Gabriele credo che sia l’uomo che ha
girato maggiormente tutta la Calabria, non c’è paesino dove non
sia andato, per tenere una riunione o per partecipare ad una prima
Messa di un alunno diventato sa-
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Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
Don Gabriele nel 1981 durante un campo famiglia del Centro “V. Bachelet” svoltosi a Moccone (Cs)
cerdote. Bastava dirgli il nome di
un paese, anche del reggino o del
catanzarese, che ti indicava tutte
le strade, anche le scorciatoie, per
arrivare prima.
Di lui la cosa più bella che porterò sempre con me è il “sensum
ecclesiae” , l’amore alla Chiesa.
Don Gabriele amava dire: «monaci delle cose, non costruttori di
cattedrali», nel senso di dare valore a qualunque cose, e non solo
a quelle appariscenti, che tutti
vedono. Nelle piccolezze la sua
grandezza. Quando dovevamo
inviare delle lettere circolari, mai
fotocopiò la sua firma… si portava nella sua stanza tutte le lettere e
le firmava una per una…, un’altra
sua espressione era “non tutti, ma
ciascuno”, uno per uno, e di ognuno delle persone che incontrava
aveva un ricordo.
Per anni con mons. Dino Trabalzini ricoprì l’incario di vicario per
l’azione pastorale, e questo era
il suo campo d’azione: come far
giungere ad ogni uomo la Parola
di Dio che cambia la vita. Cercava ogni possibile strategia perché
il messaggio cristiano arrivasse al
cuore degli uomini. Proprio l’altro giorno mi è ritornato in mente
quando per l’approssimarsi delle
vacanze estive, ci faceva predisporre un piccolo calendario con
gli orari delle Messe nelle località
turistiche di luglio ed agosto. Ma
la cosa che più desiderava era il
coinvolgimento dei laici nella vita
della Chiesa, e questo naturalmente era uno dei tanti frutti del
Concilio Vaticano II; il continuo
aggiornamento teologico lo poneva sempre al cuore della Chiesa e
non c’era novità ecclesiale di cui
non era a conoscenza. «Cristo al
centro, una Chiesa strumento di
salvezza attraverso il quale Cristo
parla agli uomini di ogni tempo.
La Chiesa è Trinitaria perché è fatta di amore, perdono, comprensione, impegno.
Ma la Chiesa è missionaria in comunione ed al servizio dell’umanità, che presuppone la scelta libera delle persone».
Negli ultimi anni della vita andava a dire quotidianamente la Messa in una piccola cappellina nel
cuore del centro storico cosentino,
a via Padolisi, dalle Suore Basiliane, le religiose che gestiscono
la Minestra di San Lorenzo. Un
prete che contava negli ambienti
vaticani, ma che amava gli ultimi
ed i diseredati, ecco perché questa
scelta di celebrare in questo luogo dove la carità e la Provvidenza
sono il pane quotidiano. Ciao don
Gabriele, grazie per quanto hai
fatto per me e ricordati di noi che
ti abbiamo voluto bene, in molti
abbiamo perso un amico e qualcuno un padre quaggiù, ma abbiamo
un angelo in cielo che sicuramente
continuerà a sorriderci… come ci
hai insegnato tu.
Il prete di “Umanesimo Integrale”
di Francesco
Capocasale
È
tornato alla casa del Padre Don Gabriele Bilotti, canonico
del Duomo di Cosenza, stimato sacerdote della Diocesi
cosentina, assistente degli studenti d’Azione Cattolica
prima e poi del gruppo Giovani dell’Azione Cattolica, professore emerito del seminario regionale calabrese, collaboratore
disponibile ed apprezzato di diversi Arcivescovi di Cosenza.
I ricordi personali sono tanti, dalle riunioni del Movimento
Studenti che si svolgevano nei locali della curia diocesana prima delle recenti ristrutturazioni, agli indimenticabili campi
estivi dell’Azione Cattolica cosentina di Caporosa, in Sila, così
come le assemblee nazionali del Movimento Studenti che di
solito avevano luogo alla Domus Mariae o alla Domus Pacis
di via Aurelia a Roma.
Per quanto mi riguarda è stato un maestro impareggiabile,
amico sincero, quasi fratello maggiore ascoltato e seguito nei
consigli e nei suggerimenti.
Il dolore e la tristezza che investono me e tanti altri amici, in
questo momento sono forti, pertanto, soltanto, ricorrendo alla
mia coscienza di cristiano, si riescono a trovare, forse, le parole giuste per un ricordo vero ne’ vuoto e ne’retorico.
Di fronte al mistero della morte, il “perenne enigma”, la ragione umana si sente smarrita, ma per noi cristiani valgono le
parole del libro della Sapienza: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà, sono nella pace,
la loro speranza è piena d’immortalità. Il giusto non è uscito
dalla vita, è entrato nella vita.”
Per tutti noi, per quanti hanno condiviso quelle “esperienze
associative”, è doveroso oggi riflettere sul dono che, con la
sua esistenza, don Gabriele ha offerto a quanti lo hanno conosciuto ed apprezzato. Molti di quel gruppo, devono qualcosa
a don Gabriele.
Per molti di noi aveva spesso, infatti, un’attenzione, una sensibilità particolare, un suggerimento da proporre.
In particolare, ricordo il regalo che da lui ricevetti - giovane studente liceale del Telesio di Cosenza - di una copia di
Umanesimo Integrale di J.Maritain, che conservo tutt’ora, a distanza di quarant’anni, cosi’ come il primo libro sulla vita di
Don Primo Mazzolari.
Oltre al vuoto che lascia nella comunità diocesana, per me,
nel ricordarlo c’è un sentimento interiore, soggettivo, di profonda nostalgia, per non averne mai sbagliato la misura del
suo valore insieme, purtroppo, alla consapevolezza di averlo
incontrato, per troppo poco tempo, per profittare pienamente
della sua grande carica di solidarietà e di fede attraverso la
riscoperta del vero valore profetico di un’autentica testimonianza per superare la tentazione umana di seguire i falsi
profeti ed attualizzare, invece, il principio che solo la “Verità”
ci fa liberi .
Ha scritto bene Demetrio Guzzardi quando ricorda che, spes-
so, Don Gabriele amava affermare: “monaci delle cose e non
costruttori di cattedrali”.
In questo contesto si collocano i numerosi viaggi con la sua
“Simca” per partecipare alle riunioni nelle diverse parrocchie
e Diocesi della Calabria per costruire o consolidare la presenza del Movimento Studenti di Azione Cattolica e, nel contempo, l’instaurarsi di nuovi e intensi rapporti con tanti altri
amici, laici e sacerdoti, impegnati a livelli diversi nell’ associazionismo religioso calabrese come Mimmo Scordo e Don
Domenico Farias, sacerdote reggino, docente all’Università
di Messina che conobbi grazie a Don Gabriele, un pomeriggio di parecchi anni addietro, in occasione di un convegno
Nazionale della FUCI svoltosi a Reggio Calabria.
È bene arrestare qui il flusso dei ricordi, giacché potrebbe prevalere su di me la commozione e ogni riflessione potrebbe
addirittura sembrare retorica.
Come non ricordare, però, prima di concludere, l’idea di
Don Gabriele di far celebrare in differenti giorni settimanali,
la “messa dello studente”, nelle chiese che coincidevano logisticamente con le zone dove erano ubicati i diversi istituti
superiori della citta’. Ad esempio ricordo: la Cattedrale per il
Liceo Classico Telesio, la prima chiesa di S.S. Pietro e Paolo
per il Liceo Scientifico Fermi, la chiesa di S. Giovanni Battista
per il secondo Istituto Magistrale di via De Rada, oggi non
più in funzione. L’insorgere e l’acuirsi della malattia di questi
ultimi giorni lo avranno, certamente, rafforzato, conoscendo
la Sua Fede, non nella rassegnazione della fine, ma nella certezza di un Principio, ovvero nel sentimento del “compiersi
di una promessa “.
Vale per Don Gabriele quanto scritto nel libro del Siracide:
“i loro corpi furono sepolti in pace, ma il loro nome vive per
sempre”. Dopo ,”oltre la soglia terrena”, il mistero si illuminera’ della propria luce e si rivelera’ a ciascuno, a chi se ne va
e a chi ancora rimane così da perpetuarne il ricordo per risentirne quasi la voce per come ci ricorda San Paolo: “Defunctus
adhuc loquitur.”
con favore anche dalla Presidenza diocesana dell’AC
di cui ero segretario e a poco a poco si diffuse in molre soluzioni e agire per realizzarle.
ti istituti superiori della Diocesi, aggregando operoL’azione di don Gabriele non solo era coerente con samente studenti appartenenti all’Azione Cattolica,
le richieste del Concilio e dello Statuto dell’AC, ma Focolarini, Scout o semplicemente cattolici. Contridava anche una soluzione altamente valida a un pro- buì a diffondere i principi cristiani nelle scuole supeblema molto acuto. Gli istituti scolastici superiori, riori e per vari anni formò molti giovani all’impegno
infatti, erano allora il teatro dello scontro tra gruppi civile, politico e religioso.
maoisti e gruppi fascisti. Gli studenti cattolici, per- E molti giovani di quegli anni lo ricordano come un
ciò, erano attratti dall’uno o dall’altro oppure diven- momento decisivo per la formazione della loro pertavano passivi. L’indirizzo di don Gabriele fu accolto sonalità.
continua da pagina 13
Un sacerdote che non diceva “fate”...
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
15
Parte Europei e parte italiani
Angela Merkel ha vinto: se non siamo pronti
per una Europa a 27 è necessario farne subito una a 17
di Tonino
N
Oliva
elle serate e nottate passate all’estero dopo una
lunga giornata di lavoro la
nostalgia del paese natìo ti assale. Adesso con internet le distanze
sono accorciate, ma ai miei tempi
(anni ’70–’80) la nostalgia ti faceva cercare il tuo paese in qualche ristorante (sempre con scarsa
fortuna, devo dire) o in qualche
giornale posdatato da rintracciare in edicole internazionali o sulla radio, dove era facile captare
qualche trasmissione della radio
italiana. Mi ricordo di una simpatica trasmissione radiofonica
che aveva per titolo “partenopei e
partenapoletani“, dove si raccontavano le disavventure di napoletani, famosi e non, disseminati in
Italia e nel mondo, dove si poneva l’accento non tanto alle mitiche
origini risalenti alla sirena Partenope quanto alla quotidiana “napoletanità”. E così gli avventori
della trasmissione più che “partenopei” si sentivano e caratterizzavano come “parte napoletani”.
La stessa cosa sta accadendo agli
odierni europei, i quali non sono
di certo in sintonia con il mito di
Europa, mito forse non tanto noto
a molti europei, ma piuttosto sono
in sintonia col loro sentire nazionale anche perché assillati dalla
crisi che percuote di più e più pesantemente a livello locale.
E quindi per tornare a noi italiani
io direi che ci sentiamo più “parteitaliani” che “parteuropei”. Certo nel gironzolare tra le mura delle istituzioni europee di Bruxelles
o di Strasburgo, dove ci si imbatte
in note, manifesti ed indicazioni
in 27 lingue diverse, si ha l’impressione di ritrovarsi in una novella e moderna Babele piuttosto
che in una Europa Unita e dunque
ancora non si è presa nemmeno la
decisione più banale, quella cioè
che unifica e cementa un popolo,
l’adozione di una sola lingua. In
un primo transiente le lingue potrebbero essere anche 2 o 3, visti i
livelli di acculturazione dei tempi
moderni, ma non 27!
Però, nel nostro continuo ricac-
16
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
La Merkel beve alla salute dell’Italia
ciarci nella sindrome nazionalista, a nessuno viene in mente che
i paesi dell’Europa unita non conoscono guerra da circa 70 anni,
un record incredibile se si guarda
al solo novecento. Eppure questa
Unione Europa è sempre avversata, svilita, vilipesa, malvista,
percepita come qualcosa lontana,
immaginaria, burocratica che forse non sarà mai realizzata. Il passaggio all’euro come moneta unica è un grande passo avanti, ma
ricordiamoci di Ciampi che nel
2005, in occasione del sessantesimo anniversario della fine della
Seconda guerra mondiale, ebbe
a dire, parafrasando Massimo
D’Azeglio, “abbiamo fatto l’euro
ora facciamo gli europei”! Angela Merkel ha vinto le elezioni,
dunque la Germania sembra aver
scelto la strada dell’Unione, forse
si può fare un decisivo passo in
avanti.
Non stiamo di certo discutendo di
una cosa semplice, la realizzazione di una Europa unita è stata fatta
solo dai romani e realizzata però
“manu militari”, ossia con l’imposizione violenta di una dominazione imperialista, di una moneta
e di una lingua. Successivamente
alla caduta di Roma, con Carlo
Magno e il Sacro Romano Impero
si sono avvicendati secolari tentativi di unione coronati sempre
da sanguinose e truculente guerre
fino all’avvento di Napoleone e
quindi del secondo e terzo Reich,
sempre con incessante e costante
profusione di sangue innocente.
Oggi il tentativo di unione ha un
carattere diverso come ricordano
Sylvie Goulard e Mario Monti nel
loro libro ”La Democrazia in Europa” (Rizzoli 2012) citando il lavoro del filosofo Michel Serres, un
forte incitamento ad abbandonare
le appartenenze (“francesi, cattolici, ebrei, protestanti, musulmani, atei, guasconi o picardi, uomini o donne, indigenti o agiati”) e a
“smettere di edificare una collettività sul massacro di un’altra e sul
proprio” (M. Serres “Petite Poucette”, Le Pommier 2013; traduzione
italiana: ”Non è un mondo per vecchi. Perché i ragazzi rivoluzionano il
sapere”, Bollati-Boringhieri 2013).
L’Europa è in crisi istituzionale, questo è fuor di dubbio, crisi
accentuata dalla recessione economica e non basta la moneta
unica. Non bastano i trattati di
Maastricht, i trattati di stabilità
o il “Fiscal Compact”, che sono
continuamente disattesi, è necessaria una trasformazione di governante politica di tipo federale,
sulla scorta dell’esperienza costituzionale americana che ha già affrontato questi passaggi nel 1788:
“Tra gli ostacoli più difficili che la
nuova costituzione dovrà affrontare si distingue già l’interesse di
certi gruppi che in tutti gli Stati
si oppongono a qualunque cambiamento che minacci di erodere
i loro poteri o le loro prebende”!
segue a pagina 23
Sociodinamica della povertà a Cosenza
Le persone, sono povere prevalentemente in relazione al posto in cui vivono
di Davide
I
l 28 giugno presso il Salone degli Stemmi e l’1 luglio presso la
Casa delle Culture, a Cosenza,
è stato presentato il libro “Sociodinamica della povertà a Cosenza
– Forme di povertà, vulnerabilità
del territorio e politiche di contrasto”. Il testo è scaturito dalla ricerca
socioeconomica condotta dal dott.
Davide Franceschiello e dalla dott.
ssa Chiara Vivone nell’ambito del
progetto “Compagni di viaggio”.
Progetto che il Centro Socio Culturale “Vittorio Bachelet” ha visto
finanziarsi dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali come
migliore settimo, su oltre mille proposti, nella graduatoria nazionale
della Direttiva 2011. Un progetto
sul quale il Centro Bachelet, attraverso il Presidente Luigi Vinceslao,
Antonio Farina, Eralda Giannotta e i propri volontari, sta profondendo le migliori energie insieme
anche all’Anteas, il Consultorio la
Famiglia, le Parrocchie di Loreto,
San Nicola e San Giovanni Battista
e grazie al fattivo contributo della
Arcidiocesi di Cosenza e Bisignano
e della Caritas, del settore welfare
del Comune di Cosenza e dell’Ente
Provinciale.
La ricerca parte dal presupposto
che la povertà è un fenomeno multidimensionale e dinamico che non
dipende solo da caratteristiche familiari, ma anche dalla qualità dei
servizi pubblici, per esempio. Le
persone, insomma, sono povere
prevalentemente in relazione al posto in cui vivono. Non esistono più
persone che restano al di sotto della
soglia di povertà perennemente, è
risultato invece che un’alta percentuale di famiglie entra nella povertà a causa di shock temporanei
(malattie o perdita del lavoro). In
quest’ottica, il “problema della povertà” coinvolge un gran numero
di persone vulnerabili anziché uno
zoccolo duro di poveri cronici. Viene a crearsi una nuova classe di poveri cosentini che magari non riesce
a mandare i figli a scuola e non riesce ad avere un reddito che consenta loro di far fronte alle spese quotidiane, provocandone l’esclusione
sociale. I giovani non riescono a
sposarsi, non si procrea e la città diventa sempre più vecchia. L’indice
di vecchiaia si è decuplicato, se nel
1971 c’erano solo 26 anziani su 100
ragazzi, nel 2006 gli anziani superano i ragazzi, 222 ogni 100 ragazzi.
E sono proprio i giovani e le donne
ad avere maggiori probabilità di
entrare a far parte dell’esercito dei
nuovi invisibili. Le donne risultano
sottoccupate, vittime di violenze e
di fenomeni di prostituzione occulta. È ritornata l’emigrazione verso
il Nord e verso l’estero o si è costretti a lavorare, ben che vada, in
un call center a 250 euro al mese.
Ecco allora che la povertà non diventa solo perdita di risorse materiali, ma, nella peggiore delle ipotesi, anche immateriali, come il venir
meno delle relazioni sociali e la volontà di agire. Effetto parzialmente attenuato, tra la maggior parte
delle famiglie interpellate, per la
forte presenza di reti informali. Gli
indici calcolati in questa ricerca raccontano di un territorio che ancora
può contare su un tessuto sociale
saldo con al centro la famiglia che
riesce a fungere da solido ammortizzatore sociale, qualche rendita e
qualche conto in banca sempre più
esiguo, un welfare state ed un sistema sanitario ancora gratuito per
le fasce meno abbienti, un sistema
economico più forte rispetto a quello delle altre province della stessa
Calabria. I dati sono spietati: al 30
aprile 2013, nella città di Cosenza,
secondo i dati forniti dall’Osserva-
Franceschiello
torio Provinciale del Mercato del
lavoro, i disoccupati sono 9.594
pari al 13,7% della popolazione e
2.771 gli inoccupati, pari ad un altro 4%, per cui ci sono 12.365 cosentini che non lavorano, il 17,6%
degli abitanti. Se si tiene in considerazione che le persone in età non
lavorativa sono 23.857 (34%) e che
quelli in età lavorativa sono 46.211
(66%), si traduce che a Cosenza lavorano 33.846 persone, appena il
48,3% della popolazione totale. La
qualcosa si ripercuote sui redditi
dei cittadini cosentini: le famiglie
in povertà assoluta (pari a redditi
inferiori a 800 € per una famiglia di
due componenti) risultano essere
il 14% circa, cioè 4.000 famiglie e
10.000 persone. Se a questi sommiamo le famiglie in condizioni di povertà relativa (1.000 € circa per due
componenti) la percentuale sale al
21% (ossia 6.200 famiglie e 15.000
persone). Altro fenomeno atavicamente presente sul nostro territorio
è quello riguardante la criminalità.
Se, dai dati forniti dall’ISTAT, l’indice di criminalità diffusa (riferito
a furti e rapine meno gravi) è basso, la provincia di Cosenza risulta
solo 86^ con un trend (12,2‰) in
discesa, molto più preoccupante è l’indice dei delitti legati alla
criminalità organizzata (omicidi,
incendi dolosi, attentati). La provincia di Cosenza (9,2%) è seconda
in Italia solo a quella di Crotone e
con valori assoluti (65.926 delitti)
segue a pagina 20
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
17
La famiglia: speranza e futuro in
alleanza educativa con scuola e società
di Giuseppe
L
Richiedei
a famiglia è stata oggetto di riflessioni molto partecipate alla
recente “47° Settimana Sociale
dei Cattolici Italiana” di Torino. Si
sono toccati i vari ambiti di interesse familiare: da quello economico a
quello sociale, a quello giuridico. La
responsabilità educativa della famiglia, nello specifico, è stata sviluppata
in relazioni particolarmente competenti e in gruppi di lavoro numerosi
ed appassionati.
E’ diffusa la consapevolezza che il
futuro si gioca soprattutto nella formazione delle nuove generazioni,
che rappresentano il primo protagonista per qualunque ripresa. Anche
per l’economica il fattore principale è
sempre l’uomo, il cosiddetto “capitale umano” che si qualifichi per i valori che promuove, per la fiducia nel
futuro, per l’impegno nel perseguire
gli obiettivi di sviluppo, che tutti auspichiamo. La famiglia rappresenta,
appunto, il soggetto determinante e
insostituibile per un’educazione alla
“vita buona”.
- La riflessione sull’educazione si è
caratterizzata per originalità e coerenza
logica, senza i condizionamenti “ambientali” che si verificano quando si
confrontano esclusivamente gli addetti ai lavori. Sia nel documento preparatorio che nelle proposte conclusive si trovano affermazioni nuove e
per certi aspetti sorprendenti in ordine ai compiti educativi della famiglia,
della scuola e persino della Chiesa.
Non per nulla nei documenti si denunciano “terminologie confuse e
letture distorte della realtà che richiedono un deciso ed efficace processo
di inculturazione”. Si suggerisce di
partire dalla promozione culturale,
che superi i fraintendimenti corporativi e le storture ideologiche, che
impediscono la percezione corretta
della realtà, premessa indispensabile
per individuare gli interventi migliorativi necessari.
- Il primo intervento consiste nel: “Ribaltare il rapporto tra Stato, società e
famiglia; infatti la famiglia
possiede una sua specifica e originaria dimensione di soggetto sociale
che precede la formazione dello Stato; è la prima cellula di una società e
la fondamentale comunità in cui sin
dall’infanzia si forma la personalità
18
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
degli individui”. Ne consegue che la
Repubblica non “attribuisce” i diritti
alla famiglia, ma si limita a riconoscerli e, soprattutto ha il dovere di
promuoverli in coerenza con il dettato Costituzionale (art. 2). Se ci si propone di migliorare la qualità educativa della società occorre partire dal
riconoscere concretamente che “l’identità relazionale e generativa della
famiglia è a fondamento della società”. Ne consegue che i rapporti vanno
fondati su una corretta applicazione
del principio di sussidiarietà per cui
le istituzioni “favoriscono l’autonoma
iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività
di interesse generale”, come appunto
è l’educazione. Nell’educazione dei figli, si afferma, anche “la Chiesa è alleata
e non sostituisce la famiglia”. Diventa
urgente, quindi, costruire “alleanze
tra tutte le agenzie educative del territorio: famiglia, scuola, parrocchia,
oratorio,lo sport, le comunità locali,
per superare fragilità, frammentazioni, solitudini educative… Tra le azioni da intraprendere si individuano le
costituenti educative già realizzate in
alcuni territori e le “agenzie intermedie” che favoriscano i collegamenti e
le reti collaborative tra tutti gli enti
formativi”.
- Da questa premessa scaturiscono
affermazioni particolarmente coinvolgenti per tutti i protagonisti del
processo educativo. Si rilancia coraggiosamente la partecipazione dei genito-
ri con motivazioni sorprendenti: “In
un clima dominato dall’individualismo, dal permissivismo e dalla poca
sensibilità al bene comune nel quale
i genitori, i docenti, gli educatori incontrano difficoltà a educare, è fondamentale la partecipazione attiva
dei genitori alla vita della scuola”. La
sorpresa nasce dal fatto che in molte
realtà scolastiche i genitori vengono
individuati come la causa piuttosto
che come rimedio all’individualismo
dilagante, sottovalutando in questo
modo il fatto, tanto evidente quanto
innegabile, che sia proprio la genitorialità a spingere gli individui ad
uscire da se stessi per dedicarsi agli
altri fino al sacrificio estremo. Si tratta, semmai, di educare la stessa genitorialità perché a scuola si apra “ai
figli di tutti” e riscopra l’importanza del “bene comune” piuttosto che
emarginarla, affidandosi esclusivamente alla buona volontà e alla deontologia professionale degli operatori
scolastici.
Nel documento preparatorio si afferma esplicitamente che “Perché vi sia
una vera libertà educativa, è necessario il riconoscimento pieno del ruolo
che la famiglia può svolgere all’interno
delle scuole stesse nella definizione del
progetto educativo”. In questo modo
viene ripreso un impegno per genitori e per le scuole tanto ribadito
nelle disposizioni normative quanto
ignorato nella quotidianità della vita
segue a pagina 21
La storia di A e Z si gioca sempre in famiglia
di Lina
A
Q
Z
uando A è stato concepito, il
papà era un po’ sbronzo: aveva festeggiato con gli amici
fino a tarda sera.La moglie lo supplicava di non alzare la voce perché i
vicini, si sa, sono tutti”orecchie”e poi
le pareti ormai sono così sottili da far
trapelare anche il respiro.
Z è stato tanto voluto: papà e mamma
hanno messo da parte le preoccupazioni economiche, la carriera, le vacanze, si sono messi a leggere, fantasticare, programmare, sentendosi già
genitori , prima di esserlo.
Appena venuto al mondo, per A sono
ricominciate le liti, sospese, come per
magia, solo per nove mesi: papà voleva scegliere ed imporre il nome da
tramandare, secondo la tradizione, la
mamma optava per quello del suo attore preferito della telenovela, che la
teneva inchiodata ogni pomeriggio,
approfittando di quel quarto d’ora
tutto suo.
Come sempre, da copione, ha avuto la
meglio lui e gli è stato dato quel terribile nome, poi storpiato e cambiato in
seguito in uno pseudo-inglese
Z ha avuto come nome quello frutto di
un compromesso tra papà e mamma,
che li potesse accontentare entrambi,
sempre convinti dell’importanza sostanziale della condivisione, che non
conosce vincitori e vinti.
A va all’asilo, le maestre hanno separato i bambini in due parti ben
distinte:maschi e femmine, i primi
sono “i terribili”, le seconde sono dolci
e carine. Una delle due maestre lo mette sempre in castigo, in un angolino e
lui batte le manine contro la parete,
cercando di sfogare tutta la sua rabbia.
Ogni mattina esprime il suo disagio,
buttandosi a terra e piangendo disperatamente, ma loro, i grandi, dicono
che è troppo capriccioso.
Z frequenta lo stesso asilo: la notte
grida e trova conforto nel lettone dei
suoi. Prova un certo disagio per le
affettuose e insistenti “attenzioni” di
un bidello… lo ha disegnato come un
diavoletto con delle grosse mani. La
mamma ha visto e ha capito il messaggio…
Pare ci siano state altre lamentele, ma
tutto è stato messo a tacere, per il buon
nome della scuola.
A e Z si sono ritrovati alle elementari:
sono diventati amici un po’ a modo
loro, forse perché gli opposti si attraggono, o per una sottile ammirazione,
che Z nutre per quel compagno così
forte e grintoso. Solo una volta gli è
scappato di lamentarsi per un ematoma provocato dalla mano pesante del
padre, ma poi ha subito riacquistato
quello sguardo di sfida e di prepotenza.
Alle medie le loro strade si sono separate, in sezioni diverse, in scuole diverse, pare per una precisa scelta dei
genitori di Z, un po’ allarmati da quella amicizia poco condivisa. I due si incontrano qualche volta, nella piazzetta
del paese: A è già un piccolo uomo, ripete la gestualità del padre e anche le
sue battutacce. Nelle orecchie ha sempre il lamento soffocato della madre,
le porte sbattute sulla sua sofferenza,
il silenzio di un’assoluta indifferenza.
Lei dice sempre al figlio: “Beato te ! Sei
un maschio…” Lui si è fatto l’idea di
un mondo un po’ particolare dove le
femmine sono tutte una copia conforme della madre:devono subire e basta,
anche se qualche volta gli dispiace, ma
subito si pente di questa debolezza.
A viene spesso preso in giro dai compagni: Sei un debole, fifone! Femminuccia!
Lui soffre e spera che passi presto questa maledetta malattia, che si chiama
“adolescenza”.
A è andato dal barbiere e ora ha i capelli come Barotelli, si è pure rasato e
ogni volta che fatica per eliminare quei
quattro peli sparsi in un viso devasta-
Pecoraro
to dall’acne! Ma pure,così conciato, fa
un certo effetto tra le ragazzine! Sarà
per le sue impennate con il motorino,
sarà per la sua fama di saperci fare, ma
è sempre attorniato da compagne, che
sbavano per lui.
Z si è creato un suo look, niente di
trasgressivo,ma, come dicono gli altri,
mostruosamente “normale”. Ultimamente , è rimasto molto impressionato
da tutte le trasmissioni, telegiornali,
che riferiscono, vomitano continuamente storie terribili di femminicidi.
Ne ha parlato con i suoi, che gli hanno
spiegato cos’è il rispetto per le donne,
che non sono mai proprietà di qualcuno, ma persone capaci di intendere
e di volere, come lo sono anche tutti i
“diversi”...
A e la sua famiglia ascoltano anche
loro: la madre sussurra “Non è semplice denunciare e poi a che serve?
Si vedono i risultati! “Regolarmente
il marito commenta: “Probabilmente
erano delle puttanelle, che hanno avuto quello che meritavano”. Lui, invece,
pensa “Non mi capiterà mai”.
Ma qualche volta, ultimamente, quando “si fa”, ha la mente annebbiata e
sente una strana sensazione, che gli
scuote e attraversa tutto il fisico. Si
rassicura, convinto che lui si saprebbe
fermare in tempo. Questa storia non
ha una conclusione, forse la leggeremo un giorno sui giornali e commenteremo: “Non è stato un raptus, ma
qualcosa già risaputo” e volteremo
pagina. Il disgusto prevale, ma non
è la sola arma da “imbracciare”, occorre anche l’educazione permanente
all’acquisizione dei valori, che danno
dignità all’essere umano. Ultimamente, si sta facendo strada una maggiore
attenzione ai troppi casi di femminicidio, una vera strage, che si ripete in
modo incalzante e preoccupante.
Quanti posti vacanti a tavola, sui posti di lavoro, per strada, che sarebbero
ancora occupati, se solo si fosse prestata maggiore attenzione al grido di disperato dolore di tante donne, uccise
prima nell’anima, nella dignità, nel rispetto, poi fisicamente, esistenze sfregiate da un male oscuro, che colpisce
chi prima è stato amante, marito, compagno e poi, spesso improvvisamente,
carnefice di una storia sbagliata.
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
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La recensione
“Cose che nessuno sa”
Alessandro D’Avenia,
di Alessandra
I
Campobasso
n “Cosa che nessuno sa” D’Avenia racconta con tenerezza e passione quel mondo al quale da tempo si
è accostato: il mondo adolescenziale. Infatti racconta i
giovani penetrando nel loro universo come quando si accosta una conchiglia all’orecchio per sentire il rumore del
mare. Sono ancora una volta gli adolescenti i protagonisti
del nuovo romanzo di DAvenia, dopo l’esordio del libro
“Bianca come il latte, rossa come il sangue”. E’ il mondo
dell’adoloscenza e della scuola quello con cui D’Avenia,
giovane professore di liceo è in contatto da anni. Ha preso
l’adoloscenza sul serio ed è questo forse la chiave del suo
successo. Nel libro si parla di una quattordicenne di nome
Margherita che sta per iniziare il suo primo anno al liceo e
come ogni ragazza si trova in bilico su un filo e solo grazie
all’amore delle persone che ha accanto potrà lanciarsi e
proseguire il suo percorso sulla fune. Le paure affollano la
sua mente e presto la sua vita cambierà, stringerà nuove
amicizie, soffrirà per amori sbagliati e tradimenti, sente
che la sfida è grande, che crescere non sarà nè facile nè
indolore.
Ma la saggezza del padre la conforta: qualunque cosa accada, sente che potrà contare su un suo abbraccio, un porto sicuro quando fuori la tempesta impazza. Ma un giorno
il padre se ne va lasciando un messaggio in segreteria nel
quale annuncia che non tornerà più a casa.
Ascoltato il messaggio, si precipita in camera dei genitori
e scopre l’armadio mezzo vuoto. Le crolla il mondo addosso e risollevarsi da terra le sembrerà impossibile. Da
qui Margherita non sarà più la stessa: non sarà la spensierata adolescente, priva di ogni singola traccia di dolore,
allegra, dolce e ingenua. Ma ancora non è consapevole che
è proprio quel dolore che le farà intraprendere il viaggio
verso la maturità, verso il diventare donna come una «perla che fiorisce nell’ostrica in seguito ad un attacco di un
predatore» Troverà aiuto e sostegno soprattutto nell’ambito scolastico, ad aiutarla infatti saranno: Marta, la sua
compagna di banco, contagiandola con il suo entusiasmo
ed il nuovo professore di italiano e latino, sempre in grado di comprendere la vita di tutti. Infatti grazie alle sue
travolgenti lezioni sull’Odissea e in particolare sul viaggio intrapreso da Telemaco alla ricerca del padre Ulisse
continua da pag. 17
che la spinge poi a partire alla ricerca di suo padre. Alla
fine c’è Giulio, il ragazzo dai capelli neri, bello dannato,
l’unico in grado di comprenderla. Infatti lui è un ragazzo
molto simile a lei, molto solitario perché privo di genitori. Con un semplice sguardo comprende i suoi sentimenti
e proprio con la sua compagnia Margherita intraprende
questo viaggio alla ricerca del padre ma soprattutto alla
ricerca della vita.
E’ un romanzo in cui ognuno di noi ci si può immedesimare perché si trovano le paure e le ansie nell’affrontare
un nuovo percorso di vita.
D’Avenia nel raccontare gli adolescenti e il loro mondo, le
loro insicurezze ed il loro coraggio, è davvero dotato e sa
entrare in contatto con i giovani straordinariamente.
Ricorda che a quattordici anni è volere tutto o niente nello stesso momento, avere segreti inconfessabili, domande
senza risposta e avere paure a nasconderle tutte. Quattordici anni è fragilità e non sapere come si fa… Ci sono cose
che nessuno spiega e cose che nessuno sa.
Sociodinamica della povertà a Cosenza
addirittura superiori a quelli di province come Roma,
Napoli, Palermo e Bari. Dalla ricerca si evince anche
che la provincia di Cosenza è tra quelle che registrano
la più alta percentuale di bevitori binge, cioè quanti
mandano giù una grande quantità di alcol in un breve lasso di tempo; un’ancora elevata percentuale di
analfabetismo e lavoro irregolare; a fronte di un ottima dotazione di edifici scolastici bisogna registrare in
Calabria un basso numero di scuole con caratteristiche
architettoniche a norma, e a fronte di una ottima dotazione di medici e strutture sanitarie, un basso livello
di assistenza e qualità sanitaria che elevano il tasso di
emigrazione ospedaliera, tutti fattori che rendono un
territorio più povero. Si materializza allora nella città
di Cosenza la figura del povero borderline, ossia quel
tipo di povero che ancora teme di diventarlo, che vive
20
, Mondadori
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
quotidianamente con la consapevolezza di avere poco,
ma anche con la speranza di poter aver almeno quanto
gli basta per vivere degnamente.
Un crogiuolo di redditi da terzo mondo uniti a qualche “paghetta” ancora elargita da genitori pensionati
per racimolare i soldi delle bollette, non un reddito che
permetta loro di mantenersi stabilmente al di sopra
della soglia di povertà. In un tale contesto socio-economico, in cui la povertà è un fenomeno prevalentemente transitorio, con i poveri che hanno buone probabilità di migliorare la propria posizione se aiutati, le
politiche dovrebbero concentrarsi in modo preponderante sulle reti di sicurezza sociale in grado di aiutare
la gente a gestire la propria deprivazione presente, di
farla ritornare rapidamente a una condizione di non
povertà e di ridurre la vulnerabilità.
La burocrazia regionale impone code ed attese stressanti
di Sante
Casella
L’
ufficio regionale tributi e tasse automobilistiche della Regione Calabria di Viale della Repubblica di Cosenza è uno dei tanti modelli da
rivedere in quanto ai rapporti con i cittadini, che, per
come abbiamo constatato, sono costretti ad attendere
diverse ore per venire a capo delle numerose bollette
di pagamento targate Equitalia. Intanto nell’avviso di
pagamento Equitalia annota che eventuali reclami o
chiarimenti devono farsi presso l’ufficio regionale di
cui sopra, che ha emesso il ruolo, nei giorni di lunedì,
martedì, mercoledì e giovedì. Ma i cittadini che vi si
recano il giovedì trovano la porta sbarrata e l’avviso
di ricevimento soltanto lunedì e venerdì dalle ore 9
alle ore 13, sottolineando che alle ore 11,30 non si danno più i numeri per l’accesso agli sportelli.
Prima considerazione: le due burocrazie di Equitalia
e Regione non comunicano se danno indicazioni diverse per il ricevimento dei cittadini; altra considerazione: perché i tartassati e malcapitati cittadini (anche
se vengono invitati a pagare somme non dovute) non
vengono ricevuti tutti i giorni ed in tutte le ore d’ufficio, compreso il pomeriggio? Il personale addetto agli
sportelli nei giorni e nelle ore diverse da quelle indicate di ricevimento, cosa fa se non riceve il pubblico?
Un’altra considerazione è questa: Assessori, consiglieri e dirigenti della Regione perché non snelliscono la
pesante burocrazia regionale, tenendo conto delle esi-
continua da pag. 18
genze dei cittadini-sudditi?
Non ci lamentiamo poi se il malcontento sfocia nell’antipolitica e/o nei voti di protesta, visto che sul piano
del funzionamento della burocrazia e delle estenuanti attese non ci sembra di essere proprio in una regione europea!
Non bisogna dimenticare, inoltre, che i cittadini sono
costretti a fare lunghe code e attese in quasi tutti gli
Uffici aperti al pubblico, regionali e sub-regionali, ad
iniziare dagli sportelli, uffici Cup, ticket ed ambulatori della sanità territoriale e ospedaliera, per finire alle
Poste di Cosenza e provincia.
Come operatori dell’informazione riteniamo che il
cambiamento e/o rinnovamento che molti italiani
hanno chiesto nelle ultime elezioni politiche, esprimendo un voto di protesta molto penalizzante per i
partiti tradizionali, rappresenti proprio un forte segnale di cui i partiti, gli eletti, i dirigenti della politica,
della burocrazia e delle pubbliche amministrazioni in
generale, devono tener conto. Per cambiare al più presto l’attuale rapporto con i cittadini, che devono essere trattati meglio da politici, burocrati e operatori dei
pubblici servizi. Insomma bisogna dimostrare, con
i fatti, di essere al servizio dei cittadini, che non sono
sudditi e nemmeno, rompiscatole, ma titolari di diritti
sanciti da leggi e regolamenti, oltre che dall’etica professionale degli addetti ai vari servizi pubblici.
La famiglia: speranza e futuro...
scolastica. Ignorato, soprattutto in quanto non vengono poste le premesse culturali ed organizzative perché
i genitori siano in grado di formulare le proposte e che
le proposte siano qualificate. A questo fine si suggerisce
soprattutto l’associazionismo; arrivando a dire che: “Una
scuola che non valorizza la presenza dei genitori e delle
loro associazioni tradisce la sua missione educativa”. La
stessa “disfunzione generalizzata degli Organi Collegiali” non può essere la scusa per escludere i genitori dalle
scuole, ma la sollecitazione ineludibile per procedere in
tempi rapidi alla loro riforma che sopperisca alle carenze attuali e ne assicuri l’efficacia. “In prospettiva occorre
individuare percorsi fattibili che favoriscano il passaggio
dalla partecipazione alla corresponsabilità, attraverso
momenti formativi per genitori e studenti a tutti i livelli” .
Durante la settimana sociale si è riaffrontato anche l’argomento spinoso delle scuole paritarie e del loro finanziamento, tornato all’attenzione pubblica in questi giorni
a Bologna come a Milano. L’impostazione culturale della tematica è stata, però, diversa e per certi versi nuova:
“La Conferenza Episcopale Italiana ha ricordato il principio dell’uguaglianza tra le famiglie di fronte alla scuola
che impone il pieno riconoscimento, anche sotto il profilo
economico, dell’opportunità di scelta tra la scuola statale
e quella paritaria”. Come dire che la bandiera dell’uguaglianza, che da sempre viene invocata da coloro che si
oppongono al finanziamento, viene fatta propria anche
dalla Chiesa. Non si tratta di rivendicare un privilegio per
le proprie scuole, ma la garanzia del diritto di scelta per
tutte le famiglie “in particolare per quante versano in situazioni difficili e disagiate”. Infatti “La parità scolastica deve
divenire effettiva a garanzia dell’esercizio del diritto alla
libertà di scelta educativa della famiglia … Una libertà a
pagamento non è vera libertà”. La disparità di trattamento economico tra la frequenza gratuita delle scuole di stato e la frequenza a pagamento nelle scuole paritarie, condiziona innegabilmente le scelte. Per questo motivo “la
parità di trattamento economico come avviene negli altri
Paesi Europei” rientra a pieno titolo nel dovere della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto la
libertà educativa, che spetta a tutte le famiglie, benestanti
o povere che siano. In conclusione il messaggio educativo,
scaturito dalla 47° settimana, infonde rinnovato vigore e
suggerisce forti motivazioni in quanti, genitori, docenti e
studenti, sono coinvolti nella sfida educativa che incombe
sull’intera società italiana.
La sollecitazione viene rilanciata in nome della “libertà
educativa, collegata strettamente a quella religiosa, che
è un bene comune da promuovere e tutelare, un valore
irrinunciabile per una società democratica, pluralista,
autenticamente laica e rispettosa di tutte le identità. A
questo proposito Don Luigi Sturzo ammoniva, già nel
1947: «Finché gli italiani non vinceranno la battaglia
delle libertà scolastiche in tutti i gradi e in tutte le forme,
resteranno sempre servi […] di tutti perché non avranno
respirato la vera libertà che fa padroni di se stessi e
rispettosi e tolleranti degli altri, fin dai banchi della
scuola, di una scuola veramente libera».
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
21
continua da copertina
La Famiglia nella tradizione culturale africana
sieme. Questo termine è il motto inserito nello stemma nazionale del Kenya, altro Paese in cui il kiswahili è, insieme all’inglese, lingua ufficiale.
Quali sono le conseguenze positive di questa visione del mondo? Un grande rispetto per gli anziani
(soprattutto genitori e nonni), che non verranno mai
messi in una casa di riposo, come avviene da noi,
ma custoditi amorevolmente in famiglia, nella stessa casa in cui abitano i loro figli ed i loro nipoti. È
chiaro che oggi, con l’avanzare della globalizzazione
e dell’imposizione di altri modelli culturali provenienti dall’esterno, possono esserci delle eccezioni a
questa regola.
C’è anche, però, una conseguenza molto negativa,
già accennata: il tribalismo. Anche quando non si
arriva alla violenza o, peggio ancora, al genocidio,
questa divisione in tribù si sente molto al momento delle elezioni, nel senso che il cittadino africano
medio non vota un partito o un candidato per le sue
idee, ma solo perché appartiene alla sua stessa etnia.
È il caso del Kenya, dove nel febbraio scorso Uhuru
Kenyatta ha vinto le elezioni presidenziali puntando
sulla carta etnica e prendendo i voti dei kikuyu (l’etnia maggioritaria nel Paese, alla quale egli appartie-pei e per gli americani: l’uomo africano non esiste in ne) e dei kalenjin (tribù alla quale appartiene il suo
quanto singolo, ma in quanto membro di una comu- vice-presidente William Ruto). La maggior parte dei
nità più larga, che di solito viene chiamata “tribù” keniani non ha dato alcun peso al fatto che i due lea(altri preferiscono usare il termine “etnia”, che è forse der siano sotto processo al Tribunale penale internapiù “politicamente corretto”). Non dobbiamo consi- zionale (TPI) per crimini contro l’umanità. L’inchiederare ciò come un fatto totalmente negativo, perché sta sulle violenze post-elettorali del 2007-2008 (oltre
quest’idea d’appartenere ad una “famiglia” più am- mille morti) è stata condotta dal procuratore del TPI
pia serve anche da “welfare”, in nazioni in cui non Luis Moreno Ocampo, che recentemente ha lasciato
esiste la cassa integrazione o l’indennità di disoccu- il suo incarico per raggiunti limiti di età.
pazione. È la tribù che si fa carico dei disoccupati, dei
più deboli e dei più vulnerabili. Senza dubbio posso- *Il dr. Liguori ha vissuto per sette anni in Africa
no esserci degli eccessi, quando cioè l’appartenenza come missionario cattolico
ad una comunità etnica è vissuta come negazione
dei diritti delle altre tribù, fino ad arrivare, come nel
Il giorno 3 ottobre
caso del Rwanda, ad un vero e proprio genocidio
(nel 1994 oltre 800.000 persone furono sterminate in
a Castrolibero, è
meno di 100 giorni).
venuta a mancare
È molto interessante il tentativo fatto negli anni ’60
all’affetto dei suoi
dal presidente della Tanzania Julius Nyerere, detto il
familiari e degli
“mwalimu” (maestro). Quest’insegnante delle scuole
amici la nostra soelementari, il cui processo di beatificazione sta procecia Fabiano Angedendo piuttosto rapidamente, ha cercato d’estendere
la. I Soci del Cenl’idea di comunità a tutta la popolazione tanzaniana,
tro, il direttore di
che ha in qualche modo unificato anche con l’utilizzo
“Oggi Famiglia” e
di un’unica lingua nazionale, il kiswahili, che è un
il comitato di redamisto di arabo e lingue bantù: ogni sera, per molti
zione si uniscono
anni, il “mwalimu” ha insegnato questa lingua dai
al dolore dei famimicrofoni della radio nazionale tanzaniana. C’è una
liari ed in modo
parola in swahili, difficilmente traducibile in italiano
particolare del marito Giorgio e dei figli
con un solo termine, che esprime bene il concetto di
comunità: “pamoja”, cioè lavorare insieme, agire inIda e Alessandro.
22
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
continua da pag. 16
Periodico del Centro Socio-Culturale
1981
2013
“V.
Bachelet”
Cosenza
Aut. Trib. Cosenza n. 520 del 9 Maggio 1992
DIRETTORE
Vincenzo Filice
DIRETTORE RESPONSABILE
Francesco Bartucci
COORDINATORE e AMMINISTRATORE
Antonio Farina
SEGRETARIA di REDAZIONE
Eralda Giannotta
REDAZIONE
Vincenzo Altomare, Giovanni Cimino,
Mario De Bonis, Davide Franceschiello
Francesco Gagliardi, Lina Pecoraro,
Antonino Oliva
SPEDIZIONE
Egidio Altomare, Lorenzo Zappone,
Gino Vinceslao
GRAFICA E IMPAGINAZIONE
Francesco Farina
STAMPA
Laser Centro Stampa
Viale della Repubblica, 136 D
87100 Cosenza
Info: (+39) 0984.408939 / 302992
Per CONTRIBUTI VOLONTARI
c/c n° 12793873
Redazione: via Gramsci, 23
87100 Cosenza
Tel/Fax: (+39) 0984.483050
www.centrobachelet.it
E-mail: [email protected]
Parte Europei e parte Italiani
(Fedralist Papers, 1787-1788). Anche la civiltà greca
si è dispersa per l’incapacità di realizzare una unione politica tra le polis. E anche Einaudi ricorda che
“le esitazioni e le discordie degli Stati italiani della
fine del Quattrocento costarono agli italiani la perdita
della indipendenza lungo tre secoli”! (L. Einaudi, “Lo
scrittoio del Presidente”, Einaudi 1956).
Tutto questo è contenuto nel citato libro di Goulard e
Monti dove si documenta e si motiva l’urgente necessità di un ordinamento politico diverso per l’Europa
Unita, con la prospettiva di “guardare lontano” come
recita il sottotitolo del libro. Sarebbe un vero peccato
se avessimo già sacrificato e bruciato la lungimirante
visione politica di Monti e la sua fede europea sull’altare delle beghe di corto raggio dell’attuale politica
italiana.
Carlo Maria Martini, all’indomani della moneta unica, esprimeva l’insufficienza di una tale introduzione e manifestava il suo sogno: “Il mio sogno, la riconciliazione dei popoli”. Se ciò non si realizzerà, la gioia,
l’entusiasmo, addirittura l’euforia di questi giorni (introduzione dell’euro, ndr) lasceranno il passo a uno
scetticismo, a un pessimismo, a un disfattismo ancora
più profondi di quelli già manifestatisi fino a ieri. C’è
bisogno piuttosto - in tutti e in ciascuno, dai responsabili dei popoli fino a ogni cittadino europeo - di un
supplemento di responsabilità. Non e’ parola vaga o appello generico; è atteggiamento maturo, dalle molteplici sfaccettature, che vorrei tratteggiare brevemente.
E’ responsabilità riconoscere, senza alcuna riserva, che
nella costruzione dell’Europa anche l’unione monetaria ha una sua importanza e un suo significato. Siamo
di fronte a una grande opportunità. Se realizzata in
un’ottica globale di solidarietà, la moneta unica può
dare maggiore stabilità all’Europa e al suo sviluppo
economico, può essere un grande strumento di libertà permettendo e favorendo la moltiplicazione degli
scambi, può costituire un salto di qualità nel modo di
concepire la convivenza nel nostro Continente” (C.M.
Martini, Corriere della Sera 1° maggio 1998).
Chi propone di uscire dall’euro vuole un ritorno alle
politiche di svalutazione e inflazione che riducono il
debito pubblico a spese delle classi più bisognose e
meno protette, ossia vuole una repubblica delle banane dove ingrassano i produttori di banane e dove
prosperano i cambiavalute con i loro denari già esportati all’estero e convertiti in oro o in dollari. Nella federazione degli Stati Uniti nessuno si sognerebbe di
battere una moneta diversa dal dollaro, c’è stato un
tentativo da parte degli stati del sud, durante la guerra di secessione, ma è finito in carta straccia.
Bisogna dunque realizzare una Europa politica al più
presto e se non si trova un accordo a 27, occorrerà ripartire come hanno fatto nel dopoguerra i padri fondatori con un accordo più ristretto, magari a 17 membri: è assurdo ammettere frettolosamente nell’unione
paesi che, come Cipro e si vocifera anche la Slovenia,
vogliono assurgere al ruolo di paradisi fiscali all’interno della Comunità Europea! Cioè è assurdo far rientrare dalla finestra ciò che si combatte e si butta fuori
dalla porta. Gli altri paesi correranno ad aderire alla
nuova unione politica, così come sono accorsi all’unione economica e si lasceranno facilmente convincere da un chiaro progetto politico per la costruzione di
una Europa che sia una Europa degli Stati Uniti e non
una Europa dei Trattati disattesi.
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
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Concorso letterario di poesia e racconti brevi “Graziella Mirisola”
…DONNE DEL NOSTRO SUD
TRA PASSATO E PRESENTE…
L
’associazione culturale CRIES (Centro
Ricerche ed Informazioni Educative
e Sociali) indice la prima edizione del
Concorso Letterario “Graziella Mirisola”…
donne del nostro sud fra passato e presente…, una manifestazione che vuole valorizzare il ruolo della donna calabrese nella nostra società in uno scambio culturale fra due
Oggi Famiglia • Lug/Ago - Sett/Ott 2013
generazioni a confronto, mettendo in risalto
il valore e il contributo culturale e sociale
dato dalle donne del sud, alla crescita e allo
sviluppo della nostra società, società in cui
troppo spesso si parla solo di donne abusate,
maltrattate, sottomesse. Il concorso è aperto a tutti gli scrittori e le scrittrici che compongono in lingua italiana. Poesie e racconti
sono a tema libero. Le opere vanno inviate
entro il 28 febbraio 2014.
Per informazioni scrivere a: [email protected] - oppure telefonare
al 3402263179.
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Sett/Ott - Centro Socio Culturale