____ N° 30 ____________ NOVEMBRE 2005 ___ IL C ANTIERE M USICALE Rivista del Conservatorio Niccolò Paganini Sommario • Addio Maestro Giulini • Corso orchestrale: l’autunno caldo del “Paganini” • Primi successi per M. Repetto • Canti di Liguria: nuova fatica di Mauro Balma • Killer Queen • Festival Giovanile di Musica Jazz • Fa tappa in conservatorio la stagione de I POLIFONICI • Mozart: un anno di celebrazioni • Per un ritratto di “Don Ottavio” • Marc Ord: la sfida di una comunità invisibile Il 2 novembre il Conservatorio Paganini ha organizzato, in occasione dell’apertura dell’anno accademico 2005-2006, una manifestazione inaugurale con gli interventi del Presidente, Davide Viziano, del Direttore, Patrizia Conti, del professor Nevio Zanardi (che ha donato all’Istituto un suo dipinto) e la partecipazione dell’Ensemble strumentale del Conservatorio diretto dal prof. Gianmarco Bosio. Il nuovo anno accademico inizia sotto l’ombra minacciosa della Finanziaria L’occasione di una cerimonia inaugurale, al di là dell’aspetto formale e rituale, dovrebbe rappresentare per l’intera comunità accademica un momento importante in cui ci si ritrovi insieme per ripercorrere il cammino fatto nell’anno che si è chiuso e guardare avanti verso il futuro che ci attende con le sue sfide e le sue opportunità. E in effetti, nell’insieme festoso del “vernissage” della tela di Zanardi (foto) e dell’esecuzione de Le bal Masqué di Poulenc, si è trovato il modo di sfiorare alcuni temi di grande attualità per i nostri Istituti: fondi e Riforma. Il Presidente ha sottolineato l’enorme impegno con cui l’Istituto cerca di fare fronte alla carenza di fondi, ricorrendo a finanziamenti che ci permettono al momento di affrontare alcune emergenze; mi associo certamente anche io nel ringraziamento alla Fondazione Carige e alla Compagnia di San Paolo, e ringrazio allo stesso modo gli Enti locali per la sensibilità e l’attenzione che dimostrano in modo sempre crescente verso il nostro Conservatorio. Ma voglio anche aggiungere che il nodo delle risorse finanziarie per il Sistema dell’Alta Formazione non può risolversi in questo modo; i fondi aggiuntivi messi a disposizione da enti pubblici o privati dovrebbero consentire di avere quella riserva di carburante in più per realizzare progetti di ricerca e di produzione e non – come accade – sostituire i fondi sempre più esigui che lo Stato mette a disposizione per il funzionamento dell’Istituto (che, è bene sottolinearlo, a seguito della Riforma richiede un impegno economico molto superiore al normale). [segue a pag. 2] Lele Luzzati Genova - Anno V, Numero 30 di tenere insieme due esigenze tra loro spesso contrastanti: formare studenti offrendo una formazione molto approfondita in un ben ristretto ambito disciplinare senza chiuderli in uno spazio culturale troppo angusto. Vogliamo formare musicisti che sappiano cioè padroneggiare con piena sicurezza il linguaggio della propria specifica disciplina, ma non siano chiusi alle suggestioni intellettuali che provengono da altri ambiti disciplinari, nella convinzione che la parcellizzazione delle conoscenze, peraltro inevitabilmente collegata con la necessità di un’alta specializzazione, non debba impedire forme innovative di “fertilizzazione incrociata” delle aree scientifiche. Vogliamo, infine, formare giovani che sappiano sviluppare i loro talenti con autonoma capacità di autoformazione durante tutta la loro vita professionale, dopo il periodo iniziale di studio, nei Conservatori appunto, durante il quale il giovane deve “imparare ad imparare”. È difficile, a volte, attraversando fasi di trasformazione istituzionale e momenti di sofferenza finanziaria come in questi anni, “pensare positivo” e giungere a positivi risultati, eppure bisogna continuare a farlo. Non è certo questa la sede per una più puntuale analisi dell’azione svolta dall’Istituto nell’anno appena terminato (dai rapporti con la Regione e con l’Ersu per quanto attiene al diritto allo studio, alle importanti convenzioni stipulate e alle collaborazioni con istituzioni italiane e straniere), né tantomeno per un bilancio preventivo dell’anno in corso, ma un dato è certo: pur nelle gravi difficoltà del momento presente, il Conservatorio di Genova ha dimostrato di saper reagire con uno sforzo di volontà e di impegno davvero eccezionali, segno di una grande vitalità interna e di una capacità di controllo delle situazioni complesse che va sottolineata. Sono certa che un numero cospicuo di colleghe e colleghi vorrà ancora mettere generosamente a disposizione della comunità la propria competenza, ma credo anche che lo Stato non possa continuare sistematicamente ad ignorarci e a ritenerci un “consumo intermedio discrezionale” (sic)! Patrizia Conti, Nevio Zanardi e Davide Viziano [Il nuovo anno... segue da pag 1] Purtroppo il varo della nuova Finanziaria è alle porte e, se nulla cambierà nei prossimi giorni, il taglio previsto – circa il 37% sul funzionamento di tutto il Sistema dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica – metterà in ginocchio gli Istituti che ne fanno parte: Conservatori di musica, Accademie di Belle Arti, Istituti musicali pareggiati, Istituti dell’Industria Artistica, Accademia di Arte drammatica, Accademia di Danza, vale a dire tutte quelle sedi – statali – che garantiscono con una tradizione più che consolidata la formazione artistica nel nostro paese. La gravità del fatto è di tutta evidenza: se i fondi erano scarsi sino a ieri, da domani diventeranno assolutamente insufficienti. E questo accade nello stesso momento in cui centinaia di milioni di euro sono messi a disposizione delle scuole non statali. Ritengo che in questo delicatissimo momento in cui si stanno delineando in via definitiva i nuovi percorsi formativi di I e di II livello (da cui dipenderà il futuro dell’assetto didattico nei nostri Istituti), le nostre preoccupazioni e il nostro impegno dovrebbero concentrarsi nella messa a punto di una nuova impostazione dei percorsi di studio musicali, da una parte accentuando la valenza formativa dei corsi stessi e dall’altra non perdendo di vista concrete possibilità professionali. L’esperienza delle Sperimentazioni attivate a livello nazionale ci offre infatti gli strumenti per correggere le “storture” esistenti nei corsi oggi in vigore e per raggiungere l’obiettivo prioritario, quantomeno per il nostro Conservatorio, che è quello Patrizia Conti Fra gli interpreti da sn: Bruno Pestarino, Gian Marco Bosio e Riccardo Agosti Addio Maestro Giulini All’età di 91 anni, Il maestro Carlo Maria Giulini è mancato nel giugno scorso a Brescia, dove era ricoverato da tempo in una clinica specializzata. Nato a Barletta il 19 maggio 1914, Giulini si diplomò nel 1941 al Conservatorio di S.Cecilia a Roma. Leggendaria una sua direzione della «Traviata» alla Scala nel 1955 con Maria Callas e la regia di Luchino Visconti. Giulini divenne infatti uno dei più stimati interpreti del repertorio verdiano. Nel 2000 trascorse una memorabile “due giorni” nel nostro conservatorio, incontrando docenti ed allievi. Un monumento vivente del '900 dimostratosi affabile e generoso di fronte ad una folla di ragazzi entusiasti: la bacchetta, allora ottantaseienne, dopo aver ascoltato l’Orchestra degli Allievi diretta da Antonio Tappero Merlo e la “Under 15” diretta da Nevio Zanardi, riservò all’opera didattica del conservatorio genovese toni superlativi. Lo ricordiamo in una bella immagine che ricorda l’incontro: Giulini, a fianco al Maestro Zanardi, all’allora direttore Angelo Guaragna ed ai giovani strumentisti del “Paganini”. NOVEMBRE 2005 2 Corso orchestrale: l’autunno caldo del “Paganini” «La scelta del corso orchestrale nasce dall’esigenza di pensare agli studenti iscritti ai corsi superiori: abbiamo chiamato due direttori ospiti di fama, quali Roberto Tolomelli e Marco Zambelli, entrambi genovesi, entrambi già studenti di questo istituto. I concerti al teatro Modena e all’Oratorio San Filippo rappresentano l’esito naturale di un mese di lavoro molto duro, in cui si è privilegiato l’aspetto formativo dei nostri ragazzi. I due programmi concertistici sono molto ambiziosi: il primo è dedicato all’’800 francese, il secondo a classicismo e neo classicismo». Così, Patrizia Conti, presentando l’iniziativa didattica e concertistica che ha animato l’ottobre scorso: sabato 15 al teatro Gustavo Modena, il concerto diretto da Roberto Tolomelli ha aperto l’Attività Autunnale del Conservatorio, ed ha rappresentato l’esito concertistico di un serrato lavoro formativo realizzato dal M° Tolomelli nella prima tranche del Corso Orchestrale. In programma anche «Les Nuits d’été» di Berlioz con la voce solista del mezzosoprano Gloria Scalchi. Coinvolto dal Conservatorio per la seconda tranche dei Corsi Orchestrali, Marco Zambelli, anch’egli genovese, che ha diretto l’orchestra del «Paganini» il 25 ottobre all’Oratorio di San Filippo (in programma Ravel, Respighi e Stravinskij, oltre al Concerto K 466 di Mozart eseguito da Valentina Messa, che si è rivelata talento di primissimo ordine: giovane artista studentessa del corso superiore – che probabilmente riserverà in futuro ulteriori sorprese). Riportiamo il frutto di una conversazione coi direttori ospiti: Roberto Tolomelli Sono cresciuto al “Paganini” fin da bambino, a partire dal 1968. Immaginate il piacere di tornare per una master class finalizzata ad un concerto importante, per repertorio e per l’impegno di tutti noi, con in più una solista come Gloria Scalchi! Sono contento di come abbiamo lavorato i ragazzi, il risultato è di livello professionale. Il direttore del conservatorio mi ha cercato per questa master class. Ho trovato l’idea bellissima ed ho accettato. Poi in effetti ho dovuto cancellare un concerto altrove, perché quando prendo un impegno non mi è mai capitato di tradirlo, e perché soprattutto il clima di lavoro a Genova è stato ottimale. Spero di aver offerto ai giovani colleghi un’esperienza utile. Mi piace cercare di intravedere nei giovani le qualità e provare a farle sviluppare nel migliore dei modi possibile. Mi hanno offerto una cattedra a Brescia nel nuovo ordinamento universitario, nel bienno superiore. Amo insegnare. Già vent’anni fa lavoravo molto coi ragazzi, anche a Genova. Avevo formato un gruppo che si chiamava Piccola Philarmonia, con cui abbiamo fatto tantissimi concerti, alcuni dei quali anche troppo pretenziosi. Ma sono “peccati di gioventù”. Comunque qualcosa, spero, è rimasto di tutto quel lavoro pionieristico… Dopo ho cominciato a prendere contatti con direttori importanti, tra i quali Gianandrea Gavazzeni, che mi ha in un certo senso tenuto a battesimo. Certo, poi ho dovuto lasciare Genova. Sono in partenza per l’Opera di Roma, dove dirigerò una “Cenerentola” di Prokofiev con un cast ballettistico di prima grandezza (a cominciare da Roberto Bolle). È una partitura talmente bella che ho subito accettato di affrontare questo capolavoro del ‘900. Sul fronte operistico sarò a Verona e poi dirigerò una “Norma” con Dimitra Theodossiou nei teatri di tradizione emiliani… Piazze “difficili”: Modena, Ferrara, Reggio Emilia. Quanto alle pagine per il concerto dell’orchestra del “Paganini”, ho scelto un programma ambizioso: brani che fossero stimolanti anche proprio per me, in modo da poter trovare tutto l’entusiasmo necessario. In fondo devo la predilezione per il repertorio francese alla mia insegnante genovese di pianoforte: Martha Del Vecchio, raffinatissima conoscitrice dell’area francese. Ho l’immodestia di ritenere di “sapere dove poter mettere le mani”… E questa mia sicurezza, questo mio modo di entrare dentro a questo mondo sonoro, spero di averlo comunicato ai giovani strumentisti miei concittadini. Marco Zambelli Tornare a Genova è molto bello ma non semplice. Manco da circa vent’anni: sono partito che facevo l’organista, torno che faccio il direttore! E’ curioso come il Carlo Felice persegua una politica di “nemo profeta in patria”… Direttori genovesi in carriera siamo in cinque o sei: penso a Luisi, Armiliato, Tolomelli, Guidarini. In rarissimi casi giusto uno o due hanno potuto esibirsi. Naturalmente ci terrei a dirigere nel teatro della mia città, ma ho da tempo verificato con rammarico che il Carlo Felice vuole percorrere altre strade. Motivo in più per esser grato al “Paganini” ed al suo direttore Patrizia Conti per avermi dato questa possibilità! Qui al “Paganini” ho trovato un ottimo clima, la risposta è stata precisa, attenta, coinvolta. Il 90% dell’organico è composto da studenti, quasi tutti 3 genovesi più qualcuno (bravissimo) “preso a prestito” da conservatori vicini. C’è poi qualche insegnante che rinforza le fila e che mi ha dato una grande mano: penso al violinista Mario Trabucco, che davvero ha dato prova di grande generosità. Per non parlare di artisti come Gian Enrico Cortese, che ritrovo oggi e col quale feci il mio primo concerto in duo, oboe e clavicembalo, proprio al San Filippo! Era il 1976. Quanto alla scaletta musicale genovese, (prima Mozart, poi Ravel, Respighi Stravinskij), ho preferito un’orchestra non ambiziosa nella dimensione ma nel programma: un organico “classico”, con un Concerto per pianoforte di Mozart, e tre pezzi neoclassici bellissimi e spaventosamente difficili: “Les tombeau de Couperin” di Ravel, che non è testualmente neoclassico quanto nella forma, poi Respighi, colla II suite (la meno nota, la più bella) delle “Antiche danze e arie”; infine il “Pulcinella”. Che, non lo dimentichiamo, Diaghilev propose prima a Respighi (che rifiutò) e solo in seconda battuta a Stravinskij. Abbiamo ottimi elementi e un bel pool di fiati. Ho diretto più volte orchestre giovanili, a Lipsia, in Francia e in Inghilterra… Ma la mia vocazione anche didattica la sto scoprendo di recente, persino in questi giorni genovesi. Qui ho una doppia funzione: educativa, nel periodo di lavoro (domenica compresa!), e poi di guida, in concerto. Sono molto impressionato e felice della loro risposta». gdm NOVEMBRE 2005 Primi successi per Martina Repetto Canti di Liguria, nuova fatica di Mauro Balma Diplomatasi al “Paganini”, Martina Repetto è una giovane cornista di belle speranze che, fresca di diploma, ha già raccolto i primi frutti di tanti anni di studio. Ha infatti partecipato al V Concorso Internazionale di Musica per Giovani Talenti "Città di Chieri", organizzato dal Circolo Cameristico Piemontese, che si è svolto dal 18 al 23 ottobre 2005, aggiudicandosi il primo premio nella categoria A (riservata ai concorrenti fino ai 20 anni di età). Domenica 23 ottobre si è svolto il Concerto di Premiazione della categoria A, al quale Martina ha partecipato eseguendo il Concerto n° 1 in Mib magg op. 11 di Richard Strauss, accompagnata al pianoforte dalla prof.ssa Irene Castellini Dotti. Raffinato disquisitore in giacca e cravatta di prelibatezze cameristiche romantiche o di aleatorie invenzioni novecentesche, Mauro Balma è altrettanto a proprio agio in maglione e pantaloni di velluto, lontano dalle sale-conferenze e dai teatri, in giro per viottoli di campagna, e per osterie, alla ricerca di un patrimonio musicale tanto prezioso quanto sempre più raro. Etnomusicologo appassionato, Balma da anni studia con particolare attenzione la Liguria. Ha affrontato l’articolato mondo del trallalero, si è occupato di campanari. Ed ora ha appena prodotto, con il sostegno della Regione Liguria, due preziosi CD, corredati di una corposa documentazione criticostorica, dedicati ai “Canti narrativi” e ai “Canti di Strada”. I brani raccolti nel disco “Canti da strada”, ha spiegato Balma “appartengono al genere dei canti rituali connessi con vari momenti dell’anno; uno solo di essi (“Questua per il battesimo”) è legato ad un rito domestico. Quasi tutti sono canti di questua per i quali è prevista a fronte della cantata un’offerta in denaro o in cibi e bevande”. Sono canti da eseguirsi all’aperto, nelle strade, nelle piazze e prevedono cantori improvvisati, talvolta accompagnati da fisarmonche o chitarre o da qualche strumento a fiato. I canti narrativi sono reperibili in prevalenza nell’entroterra (zona appenninica senza limitazioni provinciali: c’è continuità fra il genovesato e l’alessandrino, tra Pavia e Piacenza), sono più frequentemente solistici, molto spesso affidati a voci femminili e con testi alquanto dilatati. Un lavoro di ricerca, insomma, capillare e attento che si è snodato lungo tutto l’arco regionale, toccando Carcare e Tiglieto, Foppiano e Santo Stefano d’Aveto, Torza e Baiardo, Ceriana e Mallare, Varese Ligure e Manarola. Il risultato è la salvaguardia di un patrimonio estremamente vivo e interessante che va preservato e, possibilmente, fatto conoscere. Roberto Iovino Avevi già partecipato ad altri concorsi prima? In precedenza avevo partecipato, come rappresentante dei Conservatori della Liguria, al Concorso nazionale "Talenti per la musica 2005", organizzato dal Soroptimist International d'Italia, che si è svolto dal 22 al 24 settembre 2005 a Venezia; si trattava di un concorso misto, in cui erano in competizione tra loro strumenti di tutte le famiglie, dagli archi alle percussioni. A che età hai iniziato a suonare e come mai proprio il corno? A 11 anni, frequentando la Scuola Media annessa al nostro Conservatorio; mi sono avvicinata al Corno quasi per caso (non avevo neppure ben chiaro come fosse fatto e che suono avesse), ma è nata presto in me la passione per questo meraviglioso strumento. Pensi che sia uno strumento sottovalutato? Purtroppo, talvolta, esso è sottovalutato da coloro che non lo conoscono bene (ad esempio strumentisti ad arco o pianisti...), e quasi sempre risulta sconosciuto a chi non frequenta il mondo della musica (domanda frequente: "E' quella specie di tromba tutta arrotolata?") Quali sono le maggiori difficoltà? Non è semplice rispondere, dovrei utilizzare un linguaggio molto tecnico… La maggior difficoltà è emettere sempre le note giuste, e in particolare quella d'attacco, poichè il suono viene modulato con le labbra, e quindi non ci sono dei riferimenti precisi, se non nella propria istintiva musicalità. Ovviamente, lo studio regolare e approfondito è fondamentale per sviluppare le qualità naturali che si possiedono. C’è qualche esperienza che hai fatto che si è rivelata particolarmente formativa? Diverse, e mi hanno aiutato a "crescere" musicalmente: dai concerti con l'Orchestra degli Allievi, in cui ho spesso ricoperto il ruolo di Primo Corno, a quelli con l'Ensemble degli Ottoni e con l'Arsenale del Corno Francese (nato nell'ultimo anno da un'idea del M° Passarino); dalla partecipazione ad allestimenti di opere liriche (Tosca, Norma, Un ballo in Maschera, Aida...), a collaborazioni con varie formazioni orchestrali, genovesi e non. p.s. drammaticamente nel ’91, per arrivare ad oggi, al loro ritorno con un altro cantante (Paul Rodgers) e ai loro progetti futuri. Nel tracciare il ritratto di Freddie Mercury e compagni, la loro amica Jacky Gunn (Presidente del The Official International Queen Fan Club) ci accompagna attraverso un’intervista esclusiva nella quale racconta la sua esperienza con la band. Un ringraziamento particolare va al cantante “nostrano” Cesare Cremonini (ex leader dei Lunapop), grande fan dei Queen ed autore della bella e sentita prefazione, ulteriore testimonianza della grandezza di un gruppo che, a dispetto degli anni, rimane ancora uno dei più amati nel panorama musicale mondiale. Paola Siragna Killer Queen prima e dopo Freddie Una delle domande che mi rivolgono più frequentemente da quando mi sono diplomata in violoncello è come mai ho deciso di scrivere un libro che tratta di musica “leggera” (anche se questo termine calza davvero poco con la band in questione). Il fatto è che a volte è davvero difficile tracciare una linea di confine fra ciò che può essere ritenuto “colto” e ciò che invece è nient’altro che “intrattenimento” senza spessore. Così può capitare che a volte gruppi nati per fare musica beat-rock lascino un’impronta significativa nella storia della musica. Questo è certamente il caso dei Beatles e dei Queen. Anche se so che questo farà storcere il naso a molti, nella mia formazione musicale i Queen hanno rappresentato un tassello importante quanto le suites di Bach o le sinfonie di Beethoven, anche se certamente in modo diverso. Da questo nasce l’esigenza di scrivere di loro, di una band che, nonostante la prematura scomparsa del leader nel ’91, continua ad appassionare i fans di tutto il mondo e che proprio quest’anno ha deciso di tornare a suonare dal vivo in una tournee che ha toccato America, Giappone ed Europa, con ben quattro date italiane. “Killer Queen-prima e dopo Freddie” (Ed. De Ferrari-Lo Vecchio) vuole raccontare la storia, la musica ed i protagonisti di un’avventura finita NOVEMBRE 2005 Cesare Cremonini e Paola Siragna 4 Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca Conservatorio di Musica Niccolò Paganini Genova Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica Istituto di Alta Formazione Musicale istituti partecipanti: Catania - Istituto Musicale Pareggiato Vincenzo Bellini Bellini Jazz Quintet Como - Conservatorio Giuseppe Verdi Maurizio Besti, Antonio Cervellino, Carla De Alberti, Davide Olivo, Igor Peduzzi, Gianluca Rigamonti, Furio Romano, Gianluca Sambataro, Corrado Tosetti, Alessandro Vismara Festival Giovanile di Musica Jazz Cosenza - Conservatorio Stanislao Giacomoantonio Massimo Garritano Spring Project: Massimo Garritano, Fabio Lizzani, Mirko Onofrio, Giuseppe Sergi Lunedì 21 & Martedi 22 novembre Genova - Conservatorio Niccolò Paganini Nick Pag Jazz Combo: Paolo Maffi, Gianluca Origone, Antonino Ricciardo, Lorenzo Sandi, Denis Trapasso, Livio Zanellato Latina - Conservatorio Ottorino Respighi Claudio Campadello, Marco Cerilli, Settimio Savioli, Pierpaolo Semenzin conservatorio Niccolò Paganini villa bombrini - via albaro 28 GENOVA Messina - Conservatorio Arcangelo Corelli Giacomo Calà Scaglitta, Francesco Pisano, Fabrizio Torrisi Monopoli - Conservatorio Nino Rota Daniele Abbinante, Vittorio Gallo, Adolfo La Volpe, Vincenzo Maccuro Trieste - Conservatorio Giuseppe Tartini [vincitore nell’edizione 2004] Riccardo Chiarion, Alessia Obino, Simone Serafini, Marco Vattovani, Alberto Vianello con il patrocinio del Premio delle arti edizione 2005 Ministero dell ’Istruzione dell ’Università e della Ricerca Concerto della Bansigu Big Band partner Seminario di Paul H. Jeffrey si ringrazia Associazione Amici del Conservatorio organizzazione / informazioni Conservatorio Niccolò Paganini di Genova 16145 Genova - Via Albaro 38 Telefono 010 318683 - 010 3620747 / Fax 010 3620819 www.conservatoriopaganini.org / e-mail: [email protected] Premio Nazionale delle Arti Edizione 2005 Ufficio Stampa [email protected] Il 26 novembre ospiterà il soprano Lorna Windsor concerto, per una carrellata da Broadway ad Hollywood. In cartellone anche Michele Trenti, che lascerà momentaneamente il podio per esibirsi in qualità di chitarrista, nel concerto del 7 dicembre (a Palazzo Tursi, alle 21), insieme ai solisti delle Voci Bianche de I Polifonici: lo stesso Trenti ha firmato una serie di trascrizioni di pagine liederistiche che «verranno filologicamente riportate ad un loro primigenio utilizzo famigliare: pagine eseguite in ambienti raccolti, proposte da giovanissime voci». Mercoledì 14 dicembre, ancora a “Tursi” alle 21, di scena le Voci Bianche dell’associazione, dirette da Macelloni ed affiancate dall’arpa solista di Eva Randazzo. In quest’occasione sarà anche eseguito “A Ceremony of Carols” di Britten nella versione originale per soli, coro di voci bianche ed arpa. Mentre la stessa pagina del compositore inglese verrà proposta nel corso del grande Concerto di Natale, in programma mercoledì 21 dicembre in Cattedrale, nella versione (trascritta da Macelloni) per coro e orchestra. Di scena anche il Coro “adulto” dei Polifonici e l’Orchestra Classica di Alessandria. In programma, nell’appuntamento sinfonico corale giunto alla decima edizione, anche una carrellata di canti natalizi provenienti da tutto il mondo, arrangiati da G. Blundo Canto e dallo stesso Macelloni (che sarà sul podio). La serata sarà preceduta da un “Preludio al concerto” (alle 20.30) interpretato – sullo strumento appena restaurato della Cattedrale – dall’organista Silvia Derchi. Fa tappa in conservatorio la stagione de «I Polifonici» Cinque concerti – tutti ad ingresso libero - dedicati alla musica vocale, fra Palazzo Tursi, Conservatorio Paganini e Cattedrale di San Lorenzo: una maratona prenatalizia che si concluderà con il tradizionale appuntamento benaugurale – con coro e orchestra - a ridosso delle festività. È il contenuto della Ottava Stagione di Musica Vocale firmata dall’Associazione I Polifonici di Genova. Di cui è fondatore e direttore artistico Fabio Macelloni, docente di direzione di coro e responsabile delle voci bianche del Conservatorio. Vocalità come cuore del cartellone, proposta nelle sue molteplici sfaccettature: dalla liederistica alla musica corale. Quest’ultima è fattore trainante dell’associazione promotrice, che vede quale propria filiazione il Coro I Polifonici di Genova e la sua sezione di “voci bianche” (che da anni collabora alle produzioni operistiche del “Carlo Felice”). Il ciclo concertistico, promosso dalla Regione Liguria col patrocinio del Comune di Genova, sabato 26 novembre (alle 21) sbarcherà presso la Sala Concerti del “Paganini”: occasione per ascoltare un’artista di spessore internazionale (il soprano Lorna Windsor, accompagnata al pianoforte da Corrado Greco) alle prese col Musical: “Magic Moments” è il titolo del Lorna Windsor Le “Voci Bianche” de I POLIFONICI di Genova 5 Silvia Derchi NOVEMBRE 2005 Aspettando il 250° anniversario della nascita: Genova Mozartiana Le prime iniziative del progetto avranno luogo a Casa Paganini rispettivamente il 4 ed il 6/7 dicembre prossimi. “Madamina ….Il catalogo è questo” è una Maratona nata come iniziativa benefica a favore dell’Associazione Fibrosi Cistica, che opera accanto al Gaslini: consiste in otto ore consecutive, dalle ore 10 alle 18 di musica mozartiana, con l’intervento di circa una sessantina di esecutori, tutti insieme, da artisti ormai pienamente in carriera a giovani esordienti, in una corsa per la solidarietà. “Il fattore K(inder)”, un convegno sull’Enfant Prodige, esplora un argomento di grande interesse ancora scarsamente dibattuto. Il convegno aprirà i battenti il 6 dicembre alle ore 15 e consisterà di prestigiose analisi sul tema, che riguarderanno la personale esperienza di Amadeus ma non solo. Il 6, dopo i saluti dell’assessore alla cultura della Regione Liguria, Fabio Morchio, del Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova, Pino Boero, del vicepresidente dell’Associazione “Amici di Paganini”, Enrico Volpato, e del direttore scientifico del Centro Ricerche Umane,Franco Rossi, seguiranno le relazioni di: Roberto Iovino e Francesca Oranges (Variazioni sul tema - introduzione storica), Patrizia Conti (Le intelligenze musicali multiple: come individualizzare la didattica), Laura Gragnola (Quel poveraccio di genio, Stendhal), Renza Cerri (Enfant Prodige? Maneggiare con cura), Aldo Iester (Sviluppo neurologico ed enfant prodige). I lavori proseguiranno mercoledì 7 dicembre alle ore 15 con Dario Arkel ("Mozart: espulso!"), Roberto Pellerey (Geroglifici e sette segrete: Mozart e i misteri magici nel Settecento), Franco Rossi (Enfant prodige: e poi?), Gian Enrico Cortese (Appunti storici sull’educazione musicale precoce). La sera del 6 (ore 21) si terrà un concerto, con musiche di Paganini, di una giovanissima violinista russa , Masha Diatchenko accompagnata al pianoforte da Francesco Buccarella, ospite del Conservatorio “N. Paganini”. Paola Delucchi Mozart, un anno di celebrazioni Salisburgo, 27 gennaio 1756. La storia stabilì che quello non fosse un giorno qualsiasi. Nacque, settimo figlio di Leopold, padre determinato e ambizioso, Wolfgang Amadeus Mozart colui che per tutte le successive generazioni sarà riconosciuto come uno dei più grandi geni della storia. Bambino prodigio, giovane ribelle, genio insaziabile. Ma, ha conosciuto la felicità? Saranno dedicati i mesi futuri Alla sua memoria sarà consacrato il prossimo 2006 nel duecentocinquantesimo anno dalla nascita. Celebrazioni in tutto il mondo, naturalmente. E anche in Liguria, grazie ad una iniziativa ideata da Roberto Iovino con il Centro Ricerche Scienze Umane e sosptenuta dalla Regione Liguria, dalla Provincia di Genova, dal Comune di Genova e da numerosi altri Comuni e istituzioni della regione. Gli intenti sono vari, e il lavoro si estende in molte iniziative differenti, diluite nel lungo periodo di tempo che va dagli ultimi mesi del 2005 (in concomitanza con le rappresentazioni teatrali mozartiane del Carlo Felice) a tutto il 2006. La personalità, le opere, il significato di ricordare Amadeus oggi, i collegamenti con la modernità. Sono state molte le cause che hanno stimolato le manifestazioni. Primo scopo tra tutti è il tentativo di coinvolgere i giovani ed i giovanissimi; è preponderante infatti, tra le altre idee, il “progetto scuola”, che consiste in lezioni e concerti sul tema mozartiano in scuole elementari (per cui si prevede ,fra l’altro, un simpatico gioco dell’oca illustrato,a tema), medie e licei di tutta la Regione. Inoltre sono in programma le proiezioni di alcune pellicole cinematografiche quali “Amadeus” di Forman, “Don Giovanni” di Losey, “Flauto Magico” di Luzzati, “Noi tre” di Avati. E va ricordata ancora la serata del 20 marzo al Teatro della Corte (in colalborazione con il Teatro Stabile) con attori e cantanti, introdotti da Dacia Maraini sull’affascinante tema di Don Giovanni. Celebrare Mozart ? Ma ha senso celebrare Mozart? Ha senso, cioè, dedicare tanto spazio a un autore, sia pure geniale, che occupa però già abitualmente ampie porzioni delle stagioni liriche, sinfoniche e cameristiche? La domanda, alla vigilia di un anno, il 2006, a lui musicalmente consacrato, è assolutamente naturale. E’ lo stesso interrogativo che ci si era posti alla vigilia delle celebrazioni per Beethoven (1970), per Bach (1985, anno europeo della musica), ancora per Mozart (1991) e per Verdi (2001). In effetti se la domanda è legittima, altrettanto automatica può essere la risposta. Celebrazioni di autori tanto eclatanti possono rivestire un certo interesse a condizione che sappiano andare al di là della semplice routine, della scontata riproposizione di alcuni, popolarissimi capolavori. Ad esempio, privilegiando una riflessione più attenta su alcuni aspetti della complessa personalità artistica presa in esame. E’ proprio questa riflessione che ci si attendeva, ad esempio, dalla lodevole iniziativa del Carlo Felice che ha aperto la propria stagione proponendo in date ravvicinate (e addirittura accavallate) la trilogia su libretto di Da Ponte. Il loro accostamento poteva suggerire, in effetti, una ricerca sul suono dell’orchestra, una pulizia “stilistica” di tutte quelle incrostazioni che spesso alterano l’eleganza mozartiana sia sul piano vocale che strumentale. Non è qui il caso di valutare se l’operazione del Carlo Felice possa dirsi riuscita o meno. Il “Progetto Amadeus” ideato e diretto dal sottoscritto, nasce evidentemente con obbiettivi assai più modesti, anche se ugualmente motivati dalla volontà di non essere “banali”. In questo caso, dunque, si è voluto puntare sulla modalità di circuitazione e sulla scelta dei “protagonisti”. Un Progetto itinerante per la Liguria; e un intenso coinvolgimento di giovani (artisti e studiosi) che, in molti casi (nell’articolata sezione didattica) si rivolgeranno ad altri giovani dimostrando come sia del tutto inattuale l’idea che certa musica del passato sia patrimonio esclusivo delle vecchie generazioni. Al momento sono circa una quindicina i Comuni che hanno aderito al Progetto. E sono molte anche le associazioni musicali che si sono dichiarate disponibili a collaborare. Insomma, una consistente unione di forze per costruire intorno ad Amadeus una articolata festa della musica. Festa che avrà la sua Ouverture fra pochi giorni a Casa Paganini con una Maratona Mozart a favore dell’Associazione Ligure Fibrosi Cistica: oltre 60 gli artisti (cantanti, strumentisti, attori) che hanno garantito la loro disponibilità. Un bel segnale. Roberto Iovino NOVEMBRE 2005 W.A. Mozart in un ritratto di Gian Bettino Cignaroli 6 Aspettando il 250° anniversario della nascita: Genova Mozartiana E non ho bene/s’ella non l’ha: per un ritratto di Don Ottavio Chopin, che pure di arditezze armoniche se ne intendeva, anche a detta di un critico smaliziato come Schumann. La predilezione di Chopin per Mozart è risaputa; è noto, ad esempio, che uno dei primi capolavori chopiniani sia stato scritto proprio sulla suggestione del più celebre duetto del Don Giovanni: ci riferiamo alle Variazioni op. 2 su Là ci darem la mano, salutate da Schumann, in un famoso articolo (il primo di tanti che dedicò a Chopin), come opera di un giovanissimo genio. L’amore di Chopin per Mozart non venne meno nel corso della sua breve esistenza, se è vero che proprio nella Polacca Fantasia, op. 61, cioè in quell’opera problematica e visionaria, contestata dai contemporanei (fra i quali, non ultimo, lo stesso Liszt), alla quale più che ad ogni altra si può riconoscere lo statuto di testamento spirituale, ritroviamo, pari passo, la modulazione mozartiana dell’aria in questione. [terza ed ultima parte- leggi le altre parti dell’intervento sui n. 27 e 29 del Cantiere Musicale] (…) Ma Don Ottavio si può davvero ridurre in tutto e per tutto al cliché pacifico, quasi banale, del cicisbèo verboso e inconcludente? Se Don Giovanni si limitasse a questa partitura si direbbe di sì. Ma è risaputo che per la prima viennese dell’opera, andata in scena il 4 maggio 1788, Mozart inserì alcune arie e recitativi, tra i quali era prevista anche un’altra aria per Don Ottavio: l’aria in questione è Dalla sua pace, e va ad inserirsi nel I atto, scena XIV, dopo il recitativo in cui il nostro ha esternato la sua incredulità alla rivelazione di Donna Anna. Il testo sembrerebbe, ad una lettura sommaria, in linea con quella galanteria di maniera che abbiamo riconosciuto un attributo tipico della classe cui Don Ottavio appartiene: Dalla sua pace/La mia dipende,/Quel che a lei piace/Vita mi rende,/Quel che le incresce/Morte mi dà./S’ella sospira/ Sospiro anch’io;/È mia quell’ira/Quel pianto è mio;/E non ho bene/S’ella non l’ha. Ma è la realizzazione musicale dello stesso che mette in crisi, a nostro avviso, il ritratto di Don Ottavio precedentemente delineato, e gli attribuisce, per un momento (per uno di quei momenti che ci lasciano con il fiato sospeso, e che danno tutta la misura “eccedente” del Genio), una profondità interiore ed un’umanità autentica assente nel personaggio della versione di Praga del 1787. Come fa Mozart, ci si chiederà a questo punto, a stravolgere in un’aria la psicologia di Don Ottavio? In realtà non ci riesce in un’aria, bensì in otto battute; sono le battute 29-36. Si confrontino le battute 131 e 132 della Polacca Fantasia con le battute 28 e 29 dell’aria di Mozart e si rileverà lo stesso procedimento enarmonico, per di più sulle stesse tonalità del modello: sol minore-si. Ma a ben vedere tutto l’episodio della Polacca Fantasia compreso da battuta 124 a 137 è analogo, armonicamente, all’episodio dell’aria mozartiana compreso da battuta 21 a 36 (identici gli ambiti tonali Si bemolle maggiore-sol minore-si minore: per di più battuta 133 è la riproposizione di battuta 30, e battuta 134 di battuta 31; e più avanti, a battuta 136, si individuerà, sia pur con una risoluzione diversa, anche la sesta napoletana, nel processo di modulazione che tuttavia, a differenza del modello, riconferma la tonalità di si minore: chiaramente le esigenze dell’uno non potevano essere, pari passo, quelle dell’altro). Una casualità? Ci sembra molto più probabile un omaggio estremo (e nella nostra ottica sarebbe ancora più significativo se lo si potesse provare, anziché ricercato, del tutto inconsapevole) ad uno dei propri numi tutelari, e, in modo specifico, ad uno dei suoi momenti musicalmente più alti. Anche un modo, a noi sembra, col senno di poi, per chiudere circolarmente la propria produzione musicale, all’insegna di un compositore e di un’opera, soprattutto, che ha segnato la storia della musica, dalla sua apparizione sulle scene. Che dire, allora, per concludere? La critica ha rinunciato da tempo, ormai, a cercare una “definizione” univoca per Don Giovanni: opera seria, opera buffa, dramma giocoso? Di fronte a ciò che va “oltre” le tassonomie cedono. Don Giovanni è la più grande tautologia dell’universo del dramma in musica, definisce se stesso e tanto basta. Questa ambiguità è determinata dai suoi personaggi, se è vero, come si è visto, che persino i ruoli “minori”, come potrebbe essere quello di Don Ottavio, sfuggono ad una definizione univoca; ma non potrebbe essere altrimenti, perché il Genio è problematico, conosce la complessità del mondo e degli uomini, sa che anche nel più apparentemente fatuo e superficiale di essi è possibile rintracciare un tratto di umanità autentica, quando meno ce lo aspetteremmo; e gli basta un momento, anche solo otto battute in un’opera di due ore e più, per rimettere tutto in discussione e creare scompiglio. E questa è, infine, la sua principale attitudine, perché il Genio rifugge dalle classificazioni statiche, dalle teorie compiute e dalle dimostrazioni ineccepibili che, per quanto coerenti, brillanti ed erudite, quando gli sono rivolte contro (sì, contro) non possono far altro che limitarlo ed imbrigliarlo in ambiti per lui troppo ristretti. Dal 4 maggio 1788 Don Ottavio canta la sua aria per ricordarci tutto questo. Michele Croese Musicalmente parlando è l’armonia che si incarica della metamorfosi: Mozart passa dalla tonalità di sol minore di battuta 26 (do diesis al basso, quarto grado alterato della scala, accordo di settima diminuita in funzione di dominante doppia) a quella di si minore di battuta 28 (do diesis al basso, secondo grado della scala, accordo di settima di sensibile in secondo rivolto) con una modulazione enarmonica che trasforma il si bemolle di battuta 26-27 in la diesis a battuta 28. Ma la modulazione, sapientemente preparata tra le battute 27 e 28, non si percepisce che a battuta 29, con l’accordo di si minore in primo rivolto, che giunge sconcertante e inatteso; e proprio per questo, quando giunge, sulle parole E non ho bene/S’ella non l’ha, ha un effetto destabilizzante, come di qualcuno che spalanchi all’improvviso un abisso sotto di noi; e noi abbiamo l’impressione che Don Ottavio intuisca, per un attimo, che quello che sta dicendo travalica il cliché di un decoro formale fine a se stesso, e che, in mezzo al “dir forbito” del suo eloquio galante e stilizzato, abbia finalmente toccato una verità autentica, che lo stupisce, affabula e rapisce. Il ritorno da questo stato onirico, che dura pochi istanti, non è meno entusiasmante: la sesta napoletana di battuta 34, (mi al basso, quarto grado di si minore, accordo di do in primo rivolto) diventa un ponte modulante che riporta a sol maggiore, passando per un sesto grado abbassato (mi bemolle), semplicemente cambiando la funzione armonica del basso (il mi, appunto che diventa, da quarto grado di si minore, sesto grado di sol maggiore). Sarà poi così eccezionale questa modulazione? obietterà il lettore. E soprattutto, basta davvero, da sola, a compiere questa presunta metamorfosi del personaggio, a conferirgli, cioè, uno spessore che prima non aveva? In merito alla seconda domanda noi siamo convinti di sì, e proprio in virtù dell’eccezionale condotta dell’armonia in relazione al testo. E, per rispondere anche alla prima domanda, che questa modulazione sia davvero fuori dagli schemi credo possa bastare a testimoniarlo l’interesse che ha suscitato, spingendolo fino ad una citazione letterale, in un compositore come 7 NOVEMBRE 2005 Musica e spiritualità: parla Mark Ord, pastore battista La sfida d’una comunità invisibile Un laboratorio multietnico in continua evoluzione, un cantiere di possibili condivisioni, che trova nella musica (o meglio nel «far musica», ciascuno come sa e come può) uno dei propri cardini aggreganti. È una piccola comunità cristiana, che fa a capo alla chiesa Battista di via Vernazza (a pochi metri dal teatro Carlo Felice). Una realtà apparentemente invisibile, al cui interno però da alcuni anni si studia, si «esercita» e si perfeziona attraverso il confronto, un’ipotesi di equilibrio sociale che s’alimenta della diversità, offrendo un modello d’approccio ancor più interessante per una città come Genova, punto d’intersezione tra culture ed urgenze anche lontanissime fra loro. Passando per il centro, domenica mattina, per oltre un’ora le voci (siano gospel o pagine di provenienza europea o sudamericana) si fanno sentire fino in strada: è l’intera assemblea che si esprime cantando, sostenuta talvolta da chitarra, tastiere, percussioni… Un incontro che è anche – laicamente – un’euforica prova di costruttiva convivenza. «Quando sono arrivato a Genova dieci anni fa, ad essere stranieri in chiesa eravamo cinque o sei, mentre adesso lo è il 50% della comunità»: Mark Ord, inglese, quarantenne, da alcuni anni svolge il ministero pastorale di coppia insieme alla moglie Claire. In una realtà cresciuta nel frattempo fino a contare circa centocinquanta persone. «La svolta risale a qualche anno fa: avevamo già accolto fratelli di Gabon, Camerun ed Europa dell’est. Una comunità sudamericana ci ha chiesto l’uso del luogo ma noi abbiamo rilanciato offrendo di unire le forze: una sfida, perché ciascuno è abituato a vivere la fede in modo diverso, soprattutto quando contiamo fino a 15 differenti nazioni d’origine». - La musica che ruolo ha giocato? Nella tradizione evangelica ha una funzione forte, ma in Europa il culto è legato ad una serie contenuta di inni, anche molto antichi… «Avevamo la nostra liturgia. E chi ci ha chiesto di condividerla, venendo da altri continenti, ha iniziato a dire: io porto la chitarra, io le percussioni… C’è un modo diverso di partecipare, di esprimersi attraverso il canto. IL CANTIERE MUSICALE presidente onorario Angelo Guaragna presidente Patrizia Conti [email protected] direttore Giorgio De Martino [email protected] redazione Tiziana Canfori, Roberto Iovino, Fabio Macelloni, Paola Siragna, Emilio Traverso Conservatorio Niccolò Paganini via Albaro, 38 - 16145 Genova tel. 010.3620747 - fax 010.3620819 [email protected] [email protected] [email protected] NOVEMBRE 2005 Accogliere significa dare spazio, e fatalmente cambiare. Per anni abbiamo discusso e sperimentato liturgie (talvolta disastrose, talvolta bellissime). Quello della contaminazione è un processo delicato e complesso, ma siamo stati messi davanti a una scelta: o chiuderci o aprirci e cambiare. Abbiamo sostenuto discussioni infinite, ad esempio sul livello della musica… Prova a chiedere ad un batterista di suonare piano… E’ improbabile e frustrante! Oppure sulla quantità di canti da inserire nel culto: per chi si cantava sempre troppo, per chi sempre troppo poco. Ma il potenziale di ricchezza è immenso: tutti dovrebbero comprendere che “accogliendo”, se apparentemente si perde qualcosa, alla fine si guadagna sempre. Quello che avviene in chiesa è un laboratorio di convivenza, applicabile forse anche all’esterno. Certo, i muri ci sono, ma ognuno a suo modo può provare a rimboccarsi le maniche e cercare di abbatterli». - Andando oltre la tolleranza… «Partendo dalla tolleranza, che di per sé può avere un retrogusto semantico sgradevole, ma che è uno dei valori fondanti dei Battisti: il primo testo inglese sulla libertà di coscienza, sulla tolleranza di religione per tutti, fu scritto nel 1600 da un battista. Che naturalmente finì in prigione!». carcere genovese; partecipiamo inoltre, insieme ad altre comunità, alla distribuzione di vestiti per i senza tetto. Abbiamo pochi mezzi, e tutto quello che facciamo è frutto di coinvolgimenti a livello personale: la nostra ricchezza è l’incontro fra persone; non abbiamo strutture e gerarchie, solo rapporti di stima e di affetto». - La chiesa è forse anche un modo per ricostruire un contesto intimo, familiare, da parte di chi porta con sé la ferita di un distacco? «Gli stranieri che sono qui devono affrontare la solitudine come dato di fatto, messo in conto insieme alla fatica per reinventare la propria vita. Ma chiunque può “non sentirsi a casa”, anche chi è nato, vive e invecchia nella propria città. Solo che è più difficile riconoscere il disagio, ammettere una solitudine fatta di rapporti superficiali, di mancanza di valori. Dallo sguardo di uno straniero noi possiamo imparare a metterci in discussione. Ciò che per noi è la normalità, magari per chi ci guarda da fuori è scandalo. Il confronto può cambiare i parametri della “normalità”. Una buona occasione!». - Anche la vostra comunità, come è tradizione evangelica, si incontra per studiare la Bibbia. Ad uno sguardo esterno può sembrare strano, ancor più quando - Lei viene da un paese dove il protestantesimo è la religione dominante… L’impatto col contesto italiano, così diverso, è stato difficile? «Mi ha pesato inizialmente questa sensazione di vita ai margini, di invisibilità. Anche perché qui devo sempre spiegarmi, su ciò che sono e faccio. Inoltre ho scoperto come il cattolicesimo che ho studiato in Inghilterra era poi molto diverso da quello vissuto a livello popolare, legato a festività religiose, ai Santi… Più una religione civile che una teologia robusta e articolata». - Quali i problemi di gestione della comunità? «Problematico ma stimolante è lavorare ai margini, con persone che “non contano”: chi lascia il proprio paese deve quasi sempre ricominciare da capo… Spesso è ignorato dalla società o guardato persino con sospetto (in ragione d’una diversità culturale), mentre all’interno della chiesa è persona di forte esperienza, che magari proviene da comunità potenti che contano migliaia di persone, come in Africa, in Corea, in Sud America. Questa discrepanza può essere molto positiva, naturalmente se viene “elaborata” la tentazione di replicare qui un pezzo di casa. Noi insistiamo per l’integrazione, per utilizzare la lingua del luogo dove viviamo». - La vostra Corale è in questo senso un punto di forza? «Per cultura la nostra confessione è legata alla musica: i Battisti di tutto il mondo si aspettano che il culto sia anche un’esperienza musicale. E la musica per noi è stata un elemento aggregante potentissimo. Il nostro coro è stata la prima porzione della chiesa a diventare multiculturale. Accanto, per un repertorio più moderno, abbiamo allestito un gruppo musicale con voci e strumenti. Attraverso il canto facciamo attività esterne quali visite mensili all’ospedale evangelico, interventi musicali al Parco Acquasola e anche di recente presso un centro per tossicodipendenti». - Altre attività sociali? «Diverse volte alla settimana un nostro “ministro” visita il fra i partecipanti in molti sono giovani… «Sorprende anche me, e ne sono naturalmente soddisfatto. Studiare le Scritture è un modo per formarsi. La Bibbia non ha risposte giuste o sbagliate, propone materiale per una riflessione. Leggiamo di persone che hanno fatto i conti con l’esperienza di Dio, ma nella propria cultura e nei dettagli della propria vita. D’altronde oggi quali sono e dove, i grandi racconti che ci portano dei contenuti, che ci portano a pensare? Dallo studio biblico emergono conclusioni diverse, e ciascuno è costretto ad ascoltare l’altro, ad arricchirsi attraverso le esperienze ed il vissuto dell’altro». - Nella sua comunità oggi tutte le tensioni sono appianate? «La chiesa è un cantiere per distruggere i pregiudizi. Ad esempio, si dice che i sudamericani siano d’indole “rilassata”. Basta venire in chiesa per vedere come sono puntuali e precisi… Tedeschi, semmai! E ancora: gli europei nel canto e nella preghiera tendono a non voler ripetere una parola, mentre un africano pensa: bisogna ripetere una parola finché non ti tocca il cuore, finché non ti cambia. Insomma, continue occasioni di scambio, in una comunità che cerca di allargarsi senza cadere nell’omologazione: spazio per tutti, con elasticità ed apparente instabilità». - Cosa non va, a suo avviso, nelle chiese (siano cattoliche o protestanti) d’Europa? «Personalmente non amo la chiesa che si pone come istituzione che dà le risposte, le linee guida. Credo che oggi debba stimolare una conversazione. Debba fare domande piuttosto che confezionare risposte. Perché magari non le ha tutte, perché di certo le risposte di ieri, in un contesto nuovo, non sono pedissequamente da ripetere: c’è tutta una elaborazione da porre in atto. Credo debba proporsi come un luogo dove si riflette sui temi dell’esistenza. La nostra fede di cristiani è quella tradizionale… Nulla di stravolgente. Però sono convinto che la chiesa debba sempre riformarsi e riformularsi, in base alle domande dell’oggi». Giorgio De Martino Algraphy - Genova