____ N°
30
____________
NOVEMBRE
2005 ___
IL C ANTIERE
M USICALE
Rivista del Conservatorio Niccolò Paganini
Sommario
• Addio Maestro Giulini
• Corso orchestrale:
l’autunno caldo del “Paganini”
• Primi successi per M. Repetto
• Canti di Liguria:
nuova fatica di Mauro Balma
• Killer Queen
• Festival Giovanile di Musica Jazz
• Fa tappa in conservatorio
la stagione de I POLIFONICI
• Mozart:
un anno di celebrazioni
• Per un ritratto di “Don Ottavio”
• Marc Ord: la sfida di una
comunità invisibile
Il 2 novembre il Conservatorio Paganini
ha organizzato, in occasione dell’apertura
dell’anno accademico 2005-2006, una
manifestazione inaugurale con gli interventi
del Presidente, Davide Viziano,
del Direttore, Patrizia Conti, del professor
Nevio Zanardi (che ha donato all’Istituto
un suo dipinto) e la partecipazione
dell’Ensemble strumentale del Conservatorio
diretto dal prof. Gianmarco Bosio.
Il nuovo anno accademico
inizia sotto l’ombra
minacciosa della Finanziaria
L’occasione di una cerimonia inaugurale, al
di là dell’aspetto formale e rituale,
dovrebbe rappresentare per l’intera
comunità accademica un momento
importante in cui ci si ritrovi insieme per
ripercorrere il cammino fatto nell’anno che
si è chiuso e guardare avanti verso il futuro
che
ci attende
con le sue sfide
e le sue opportunità. E
in effetti, nell’insieme festoso
del “vernissage” della tela di Zanardi
(foto) e dell’esecuzione de Le bal Masqué
di Poulenc, si è trovato il modo di sfiorare
alcuni temi di grande attualità per i nostri
Istituti: fondi e Riforma.
Il Presidente ha sottolineato l’enorme
impegno con cui l’Istituto cerca di fare
fronte alla carenza di fondi, ricorrendo a
finanziamenti che ci permettono al
momento di affrontare alcune emergenze;
mi associo certamente anche io nel
ringraziamento alla Fondazione Carige e
alla Compagnia di San Paolo, e ringrazio
allo stesso modo gli Enti locali per la
sensibilità e l’attenzione che dimostrano in
modo sempre crescente verso il nostro
Conservatorio. Ma voglio anche aggiungere
che il nodo delle risorse finanziarie per il
Sistema dell’Alta Formazione non può
risolversi in questo modo; i fondi aggiuntivi
messi a disposizione da enti pubblici o
privati dovrebbero consentire di avere
quella riserva di carburante in più per
realizzare progetti di ricerca e di produzione
e non – come accade – sostituire i fondi
sempre più esigui che lo Stato mette a
disposizione per il funzionamento
dell’Istituto (che, è bene sottolinearlo, a
seguito della Riforma richiede un impegno
economico molto superiore al normale).
[segue a pag. 2]
Lele Luzzati
Genova - Anno V, Numero 30
di tenere insieme due esigenze tra loro spesso contrastanti: formare studenti
offrendo una formazione molto approfondita in un ben ristretto ambito
disciplinare senza chiuderli in uno spazio culturale troppo angusto.
Vogliamo formare musicisti che sappiano cioè padroneggiare con piena
sicurezza il linguaggio della propria specifica disciplina, ma non siano
chiusi alle suggestioni intellettuali che provengono da altri ambiti
disciplinari, nella convinzione che la parcellizzazione delle conoscenze,
peraltro inevitabilmente collegata con la necessità di un’alta
specializzazione, non debba impedire forme innovative di “fertilizzazione
incrociata” delle aree scientifiche. Vogliamo, infine, formare giovani che
sappiano sviluppare i loro talenti con autonoma capacità di autoformazione
durante tutta la loro vita professionale, dopo il periodo iniziale di studio, nei
Conservatori appunto, durante il quale il giovane deve “imparare ad
imparare”.
È difficile, a volte, attraversando fasi di trasformazione istituzionale e
momenti di sofferenza finanziaria come in questi anni, “pensare positivo”
e giungere a positivi risultati, eppure bisogna continuare a farlo. Non è
certo questa la sede per una più puntuale analisi dell’azione svolta
dall’Istituto nell’anno appena terminato (dai rapporti con la Regione e con
l’Ersu per quanto attiene al diritto allo studio, alle importanti convenzioni
stipulate e alle collaborazioni con istituzioni italiane e straniere), né
tantomeno per un bilancio preventivo dell’anno in corso, ma un dato è
certo: pur nelle gravi difficoltà del momento presente, il Conservatorio di
Genova ha dimostrato di saper reagire con uno sforzo di volontà e di
impegno davvero eccezionali, segno di una grande vitalità interna e di una
capacità di controllo delle situazioni complesse che va sottolineata. Sono
certa che un numero cospicuo di colleghe e colleghi vorrà ancora mettere
generosamente a disposizione della comunità la propria competenza, ma
credo anche che lo Stato non possa continuare sistematicamente ad
ignorarci e a ritenerci un “consumo intermedio discrezionale” (sic)!
Patrizia Conti, Nevio Zanardi e Davide Viziano
[Il nuovo anno...
segue da pag 1]
Purtroppo il varo della nuova Finanziaria è alle porte e, se nulla cambierà
nei prossimi giorni, il taglio previsto – circa il 37% sul funzionamento di
tutto il Sistema dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica –
metterà in ginocchio gli Istituti che ne fanno parte: Conservatori di musica,
Accademie di Belle Arti, Istituti musicali pareggiati, Istituti dell’Industria
Artistica, Accademia di Arte drammatica, Accademia di Danza, vale a dire
tutte quelle sedi – statali – che garantiscono con una tradizione più che
consolidata la formazione artistica nel nostro paese.
La gravità del fatto è di tutta evidenza: se i fondi erano scarsi sino a ieri, da
domani diventeranno assolutamente insufficienti. E questo accade nello
stesso momento in cui centinaia di milioni di euro sono messi a
disposizione delle scuole non statali.
Ritengo che in questo delicatissimo momento in cui si stanno delineando in
via definitiva i nuovi percorsi formativi di I e di II livello (da cui dipenderà
il futuro dell’assetto didattico nei nostri Istituti), le nostre preoccupazioni e
il nostro impegno dovrebbero concentrarsi nella messa a punto di una
nuova impostazione dei percorsi di studio musicali, da una parte
accentuando la valenza formativa dei corsi stessi e dall’altra non perdendo
di vista concrete possibilità professionali. L’esperienza delle
Sperimentazioni attivate a livello nazionale ci offre infatti gli strumenti per
correggere le “storture” esistenti nei corsi oggi in vigore e per raggiungere
l’obiettivo prioritario, quantomeno per il nostro Conservatorio, che è quello
Patrizia Conti
Fra gli interpreti da sn: Bruno Pestarino, Gian Marco Bosio e Riccardo Agosti
Addio Maestro Giulini
All’età di 91 anni, Il maestro Carlo Maria
Giulini è mancato nel giugno scorso a
Brescia, dove era ricoverato da tempo in
una clinica specializzata. Nato a Barletta il
19 maggio 1914, Giulini si diplomò nel 1941
al Conservatorio di S.Cecilia a Roma.
Leggendaria una sua direzione della «Traviata»
alla Scala nel 1955 con Maria Callas e la
regia di Luchino Visconti. Giulini divenne
infatti uno dei più stimati interpreti del
repertorio verdiano.
Nel 2000 trascorse una memorabile “due
giorni” nel nostro conservatorio, incontrando
docenti ed allievi. Un monumento vivente
del '900 dimostratosi affabile e generoso di
fronte ad una folla di ragazzi entusiasti: la
bacchetta, allora ottantaseienne, dopo aver
ascoltato l’Orchestra degli Allievi diretta da
Antonio Tappero Merlo e la “Under 15”
diretta da Nevio Zanardi, riservò all’opera
didattica del conservatorio genovese toni
superlativi.
Lo ricordiamo in una bella immagine che
ricorda l’incontro: Giulini, a fianco al
Maestro Zanardi, all’allora direttore Angelo
Guaragna ed ai giovani strumentisti del
“Paganini”.
NOVEMBRE 2005
2
Corso orchestrale: l’autunno caldo del “Paganini”
«La scelta del corso orchestrale nasce dall’esigenza
di pensare agli studenti iscritti ai corsi superiori:
abbiamo chiamato due direttori ospiti di fama, quali
Roberto Tolomelli e Marco Zambelli, entrambi
genovesi, entrambi già studenti di questo istituto. I
concerti al teatro Modena e all’Oratorio San Filippo
rappresentano l’esito naturale di un mese di lavoro
molto duro, in cui si è privilegiato l’aspetto formativo
dei nostri ragazzi. I due programmi concertistici sono
molto ambiziosi: il primo è dedicato all’’800 francese,
il secondo a classicismo e neo classicismo».
Così, Patrizia Conti, presentando l’iniziativa didattica
e concertistica che ha animato l’ottobre scorso: sabato
15 al teatro Gustavo Modena, il concerto diretto da
Roberto Tolomelli ha aperto l’Attività Autunnale del
Conservatorio, ed ha rappresentato l’esito concertistico
di un serrato lavoro formativo realizzato dal M°
Tolomelli nella prima tranche del Corso Orchestrale.
In programma anche «Les Nuits d’été» di Berlioz con
la voce solista del mezzosoprano Gloria Scalchi.
Coinvolto dal Conservatorio per la seconda tranche
dei Corsi Orchestrali, Marco Zambelli, anch’egli
genovese, che ha diretto l’orchestra del «Paganini» il
25 ottobre all’Oratorio di San Filippo (in programma
Ravel, Respighi e Stravinskij, oltre al Concerto K 466
di Mozart eseguito da Valentina Messa, che si è
rivelata talento di primissimo ordine: giovane artista studentessa del corso superiore – che probabilmente
riserverà in futuro ulteriori sorprese).
Riportiamo il frutto di una conversazione coi direttori
ospiti:
Roberto Tolomelli
Sono cresciuto al “Paganini” fin da bambino, a
partire dal 1968. Immaginate il piacere di tornare
per una master class finalizzata ad un concerto
importante, per repertorio e per l’impegno di tutti
noi, con in più una solista come Gloria Scalchi!
Sono contento di come abbiamo lavorato i ragazzi,
il risultato è di livello professionale.
Il direttore del conservatorio mi ha cercato per
questa master class. Ho trovato l’idea bellissima ed
ho accettato. Poi in effetti ho dovuto cancellare un
concerto altrove, perché quando prendo un
impegno non mi è mai capitato di tradirlo, e perché
soprattutto il clima di lavoro a Genova è stato
ottimale. Spero di aver offerto ai giovani colleghi
un’esperienza utile.
Mi piace cercare di intravedere nei giovani le
qualità e provare a farle sviluppare nel migliore dei
modi possibile. Mi hanno offerto una cattedra a
Brescia nel nuovo ordinamento universitario, nel
bienno superiore. Amo insegnare.
Già vent’anni fa lavoravo molto coi ragazzi, anche
a Genova. Avevo formato un gruppo che si
chiamava Piccola Philarmonia, con cui abbiamo
fatto tantissimi concerti, alcuni dei quali anche
troppo pretenziosi. Ma sono “peccati di gioventù”.
Comunque qualcosa, spero, è rimasto di tutto quel
lavoro pionieristico…
Dopo ho cominciato a prendere contatti con
direttori importanti, tra i quali Gianandrea
Gavazzeni, che mi ha in un certo senso tenuto a
battesimo. Certo, poi ho dovuto lasciare Genova.
Sono in partenza per l’Opera di Roma, dove
dirigerò una “Cenerentola” di Prokofiev con un
cast ballettistico di prima grandezza (a cominciare
da Roberto Bolle). È una partitura talmente bella
che ho subito accettato di affrontare questo
capolavoro del ‘900. Sul fronte operistico sarò a
Verona e poi dirigerò una “Norma” con Dimitra
Theodossiou nei teatri di tradizione emiliani…
Piazze “difficili”: Modena, Ferrara, Reggio Emilia.
Quanto alle pagine per il concerto dell’orchestra
del “Paganini”, ho scelto un programma
ambizioso: brani che fossero stimolanti anche
proprio per me, in modo da poter trovare tutto
l’entusiasmo necessario. In fondo devo la
predilezione per il repertorio francese alla mia
insegnante genovese di pianoforte: Martha Del
Vecchio, raffinatissima conoscitrice dell’area
francese. Ho l’immodestia di ritenere di “sapere
dove poter mettere le mani”… E questa mia
sicurezza, questo mio modo di entrare dentro a
questo mondo sonoro, spero di averlo comunicato
ai giovani strumentisti miei concittadini.
Marco Zambelli
Tornare a Genova è molto bello ma non semplice.
Manco da circa vent’anni: sono partito che facevo
l’organista, torno che faccio il direttore!
E’ curioso come il Carlo Felice persegua una
politica di “nemo profeta in patria”… Direttori
genovesi in carriera siamo in cinque o sei: penso a
Luisi, Armiliato, Tolomelli, Guidarini. In rarissimi
casi giusto uno o due hanno potuto esibirsi.
Naturalmente ci terrei a dirigere nel teatro della
mia città, ma ho da tempo verificato con
rammarico che il Carlo Felice vuole percorrere
altre strade. Motivo in più per esser grato al
“Paganini” ed al suo direttore Patrizia Conti per
avermi dato questa possibilità!
Qui al “Paganini” ho trovato un ottimo clima, la
risposta è stata precisa, attenta, coinvolta. Il 90%
dell’organico è composto da studenti, quasi tutti
3
genovesi più qualcuno (bravissimo) “preso a
prestito” da conservatori vicini. C’è poi qualche
insegnante che rinforza le fila e che mi ha dato una
grande mano: penso al violinista Mario Trabucco,
che davvero ha dato prova di grande generosità.
Per non parlare di artisti come Gian Enrico
Cortese, che ritrovo oggi e col quale feci il mio
primo concerto in duo, oboe e clavicembalo,
proprio al San Filippo! Era il 1976.
Quanto alla scaletta musicale genovese, (prima
Mozart, poi Ravel, Respighi Stravinskij), ho
preferito un’orchestra non ambiziosa nella
dimensione ma nel programma: un organico
“classico”, con un Concerto per pianoforte di
Mozart, e tre pezzi neoclassici bellissimi e
spaventosamente difficili: “Les tombeau de
Couperin” di Ravel, che non è testualmente
neoclassico quanto nella forma, poi Respighi, colla
II suite (la meno nota, la più bella) delle “Antiche
danze e arie”; infine il “Pulcinella”. Che, non lo
dimentichiamo, Diaghilev propose prima a Respighi
(che rifiutò) e solo in seconda battuta a Stravinskij.
Abbiamo ottimi elementi e un bel pool di fiati.
Ho diretto più volte orchestre giovanili, a Lipsia, in
Francia e in Inghilterra… Ma la mia vocazione
anche didattica la sto scoprendo di recente, persino
in questi giorni genovesi. Qui ho una doppia
funzione: educativa, nel periodo di lavoro
(domenica compresa!), e poi di guida, in concerto.
Sono molto impressionato e felice della loro
risposta».
gdm
NOVEMBRE 2005
Primi successi per Martina Repetto
Canti di Liguria, nuova fatica di Mauro Balma
Diplomatasi al “Paganini”, Martina Repetto è una giovane cornista di belle speranze che,
fresca di diploma, ha già raccolto i primi frutti di tanti anni di studio. Ha infatti
partecipato al V Concorso Internazionale di Musica per Giovani Talenti "Città di Chieri",
organizzato dal Circolo Cameristico Piemontese, che si è svolto dal 18 al 23 ottobre
2005, aggiudicandosi il primo premio nella categoria A (riservata ai concorrenti fino ai
20 anni di età). Domenica 23 ottobre si è svolto il Concerto di Premiazione della
categoria A, al quale Martina ha partecipato eseguendo il Concerto n° 1 in Mib magg op.
11 di Richard Strauss, accompagnata al pianoforte dalla prof.ssa Irene Castellini Dotti.
Raffinato disquisitore in giacca e cravatta di prelibatezze cameristiche
romantiche o di aleatorie invenzioni novecentesche, Mauro Balma è altrettanto
a proprio agio in maglione e pantaloni di velluto, lontano dalle sale-conferenze
e dai teatri, in giro per viottoli di campagna, e per osterie, alla ricerca di un
patrimonio musicale tanto prezioso quanto sempre
più raro.
Etnomusicologo appassionato, Balma da anni studia
con particolare attenzione la Liguria. Ha affrontato
l’articolato mondo del trallalero, si è occupato di
campanari. Ed ora ha appena prodotto, con il
sostegno della Regione Liguria, due preziosi CD,
corredati di una corposa documentazione criticostorica, dedicati ai “Canti narrativi” e ai “Canti di Strada”.
I brani raccolti nel disco “Canti da strada”, ha spiegato Balma “appartengono
al genere dei canti rituali connessi con vari momenti dell’anno; uno solo di essi
(“Questua per il battesimo”) è legato ad un rito domestico. Quasi tutti sono
canti di questua per i quali è prevista a fronte della cantata un’offerta in denaro
o in cibi e bevande”. Sono canti da eseguirsi
all’aperto, nelle strade, nelle piazze e prevedono
cantori improvvisati, talvolta accompagnati da
fisarmonche o chitarre o da qualche strumento a fiato.
I canti narrativi sono reperibili in prevalenza
nell’entroterra (zona appenninica senza limitazioni
provinciali: c’è continuità fra il genovesato e
l’alessandrino, tra Pavia e Piacenza), sono più
frequentemente solistici, molto spesso affidati a voci
femminili e con testi alquanto dilatati.
Un lavoro di ricerca, insomma, capillare e attento che si è snodato lungo tutto
l’arco regionale, toccando Carcare e Tiglieto, Foppiano e Santo Stefano
d’Aveto, Torza e Baiardo, Ceriana e Mallare, Varese Ligure e Manarola.
Il risultato è la salvaguardia di un patrimonio estremamente vivo e interessante
che va preservato e, possibilmente, fatto conoscere.
Roberto Iovino
Avevi già partecipato ad altri concorsi prima?
In precedenza avevo partecipato, come rappresentante dei Conservatori della Liguria, al
Concorso nazionale "Talenti per la musica 2005", organizzato dal Soroptimist
International d'Italia, che si è svolto dal 22 al 24 settembre 2005 a Venezia; si trattava di
un concorso misto, in cui erano in competizione tra loro strumenti di tutte le famiglie,
dagli archi alle percussioni.
A che età hai iniziato a suonare e come mai proprio il corno?
A 11 anni, frequentando la Scuola Media annessa al nostro Conservatorio; mi sono
avvicinata al Corno quasi per caso (non avevo neppure ben chiaro come fosse fatto e che
suono avesse), ma è nata presto in me la passione per questo meraviglioso strumento.
Pensi che sia uno strumento sottovalutato?
Purtroppo, talvolta, esso è sottovalutato da coloro che non lo conoscono bene (ad
esempio strumentisti ad arco o pianisti...), e quasi sempre risulta sconosciuto a chi non
frequenta il mondo della musica (domanda frequente: "E' quella specie di tromba tutta
arrotolata?")
Quali sono le maggiori difficoltà?
Non è semplice rispondere, dovrei utilizzare un linguaggio molto tecnico… La maggior
difficoltà è emettere sempre le note giuste, e in particolare quella d'attacco, poichè il
suono viene modulato con le labbra, e quindi non ci sono dei riferimenti precisi, se non
nella propria istintiva musicalità. Ovviamente, lo studio regolare e approfondito è
fondamentale per sviluppare le qualità naturali che si possiedono.
C’è qualche esperienza che hai fatto che si è rivelata particolarmente formativa?
Diverse, e mi hanno aiutato a "crescere" musicalmente: dai concerti con l'Orchestra degli
Allievi, in cui ho spesso ricoperto il ruolo di Primo Corno, a quelli con l'Ensemble degli
Ottoni e con l'Arsenale del Corno Francese (nato nell'ultimo anno da un'idea del M°
Passarino); dalla partecipazione ad allestimenti di opere liriche (Tosca, Norma, Un ballo
in Maschera, Aida...), a collaborazioni con varie formazioni orchestrali, genovesi e non.
p.s.
drammaticamente nel ’91, per arrivare ad oggi, al loro
ritorno con un altro cantante (Paul Rodgers) e ai loro
progetti futuri.
Nel tracciare il ritratto di Freddie Mercury e compagni,
la loro amica Jacky Gunn (Presidente del The Official
International Queen Fan Club) ci accompagna
attraverso un’intervista esclusiva nella quale racconta la
sua esperienza con la band.
Un ringraziamento particolare va al cantante “nostrano”
Cesare Cremonini (ex leader dei Lunapop), grande fan
dei Queen ed autore della bella e sentita prefazione,
ulteriore testimonianza della grandezza di un gruppo
che, a dispetto degli anni, rimane ancora uno dei più
amati nel panorama musicale mondiale. Paola Siragna
Killer Queen
prima e dopo Freddie
Una delle domande che mi rivolgono più
frequentemente da quando mi sono diplomata in
violoncello è come mai ho deciso di scrivere un
libro che tratta di musica “leggera” (anche se questo
termine calza davvero poco con la band in
questione).
Il fatto è che a volte è davvero difficile tracciare una
linea di confine fra ciò che può essere ritenuto
“colto” e ciò che invece è nient’altro che
“intrattenimento” senza spessore. Così può capitare
che a volte gruppi nati per fare musica beat-rock
lascino un’impronta significativa nella storia della
musica.
Questo è certamente il caso dei Beatles e dei Queen.
Anche se so che questo farà storcere il naso a molti, nella mia formazione
musicale i Queen hanno rappresentato un tassello importante quanto le
suites di Bach o le sinfonie di Beethoven, anche se certamente in modo
diverso.
Da questo nasce l’esigenza di scrivere di loro, di una band che,
nonostante la prematura scomparsa del leader nel ’91, continua ad
appassionare i fans di tutto il mondo e che proprio quest’anno ha deciso
di tornare a suonare dal vivo in una tournee che ha toccato America,
Giappone ed Europa, con ben quattro date italiane.
“Killer Queen-prima e dopo Freddie” (Ed. De Ferrari-Lo Vecchio) vuole
raccontare la storia, la musica ed i protagonisti di un’avventura finita
NOVEMBRE 2005
Cesare Cremonini e Paola Siragna
4
Ministero dell’Istruzione
dell’Università e della Ricerca
Conservatorio di Musica
Niccolò Paganini Genova
Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica
Istituto di Alta Formazione Musicale
istituti partecipanti:
Catania - Istituto Musicale Pareggiato Vincenzo Bellini
Bellini Jazz Quintet
Como - Conservatorio Giuseppe Verdi
Maurizio Besti, Antonio Cervellino, Carla De Alberti, Davide Olivo, Igor Peduzzi, Gianluca Rigamonti, Furio Romano,
Gianluca Sambataro, Corrado Tosetti, Alessandro Vismara
Festival Giovanile di Musica Jazz
Cosenza - Conservatorio Stanislao Giacomoantonio
Massimo Garritano Spring Project: Massimo Garritano, Fabio Lizzani, Mirko Onofrio, Giuseppe Sergi
Lunedì 21
&
Martedi 22 novembre
Genova - Conservatorio Niccolò Paganini
Nick Pag Jazz Combo: Paolo Maffi, Gianluca Origone, Antonino Ricciardo, Lorenzo Sandi, Denis Trapasso,
Livio Zanellato
Latina - Conservatorio Ottorino Respighi
Claudio Campadello, Marco Cerilli, Settimio Savioli, Pierpaolo Semenzin
conservatorio Niccolò Paganini
villa bombrini - via albaro 28
GENOVA
Messina - Conservatorio Arcangelo Corelli
Giacomo Calà Scaglitta, Francesco Pisano, Fabrizio Torrisi
Monopoli - Conservatorio Nino Rota
Daniele Abbinante, Vittorio Gallo, Adolfo La Volpe, Vincenzo Maccuro
Trieste - Conservatorio Giuseppe Tartini [vincitore nell’edizione 2004]
Riccardo Chiarion, Alessia Obino, Simone Serafini, Marco Vattovani, Alberto Vianello
con il patrocinio del
Premio delle arti edizione 2005
Ministero dell ’Istruzione
dell ’Università e della Ricerca
Concerto della Bansigu Big Band
partner
Seminario di Paul H. Jeffrey
si ringrazia
Associazione Amici del Conservatorio
organizzazione / informazioni
Conservatorio Niccolò Paganini di Genova
16145 Genova - Via Albaro 38
Telefono 010 318683 - 010 3620747 / Fax 010 3620819
www.conservatoriopaganini.org / e-mail: [email protected]
Premio Nazionale delle Arti
Edizione 2005
Ufficio Stampa
[email protected]
Il 26 novembre ospiterà il soprano Lorna Windsor
concerto, per una carrellata da Broadway ad Hollywood.
In cartellone anche Michele Trenti, che lascerà momentaneamente il podio
per esibirsi in qualità di chitarrista, nel concerto del 7 dicembre (a Palazzo
Tursi, alle 21), insieme ai solisti delle Voci Bianche de I Polifonici: lo stesso
Trenti ha firmato una serie di trascrizioni di pagine liederistiche che
«verranno filologicamente riportate ad un loro primigenio utilizzo famigliare:
pagine eseguite in ambienti raccolti, proposte da giovanissime voci».
Mercoledì 14 dicembre, ancora a “Tursi” alle 21, di scena le Voci Bianche
dell’associazione, dirette da Macelloni ed affiancate dall’arpa solista di Eva
Randazzo. In quest’occasione sarà anche eseguito “A Ceremony of Carols”
di Britten nella versione originale per soli, coro di voci bianche ed arpa.
Mentre la stessa pagina del compositore inglese verrà proposta nel corso del
grande Concerto di Natale, in programma mercoledì 21 dicembre in
Cattedrale, nella versione (trascritta da Macelloni) per coro e orchestra. Di
scena anche il Coro “adulto” dei Polifonici e l’Orchestra Classica di
Alessandria. In programma, nell’appuntamento sinfonico corale giunto alla
decima edizione, anche una carrellata di canti natalizi provenienti da tutto
il mondo, arrangiati da G. Blundo Canto e dallo stesso Macelloni (che sarà
sul podio). La serata sarà preceduta da un “Preludio al concerto” (alle
20.30) interpretato – sullo strumento appena restaurato della Cattedrale –
dall’organista Silvia Derchi.
Fa tappa in conservatorio la
stagione de «I Polifonici»
Cinque concerti – tutti ad ingresso libero - dedicati alla musica vocale, fra
Palazzo Tursi, Conservatorio Paganini e Cattedrale di San Lorenzo: una
maratona prenatalizia che si concluderà con il tradizionale appuntamento
benaugurale – con coro e orchestra - a ridosso delle festività. È il contenuto
della Ottava Stagione di Musica Vocale firmata dall’Associazione I
Polifonici di Genova. Di cui è fondatore e direttore artistico Fabio
Macelloni, docente di direzione di coro e responsabile delle voci bianche
del Conservatorio.
Vocalità come cuore del cartellone, proposta nelle sue molteplici
sfaccettature: dalla liederistica alla musica corale. Quest’ultima è fattore
trainante dell’associazione promotrice, che vede quale propria filiazione il
Coro I Polifonici di Genova e la sua sezione di “voci bianche” (che da anni
collabora alle produzioni operistiche del “Carlo Felice”).
Il ciclo concertistico, promosso dalla Regione Liguria col patrocinio del
Comune di Genova, sabato 26 novembre (alle 21) sbarcherà presso la Sala
Concerti del “Paganini”: occasione per ascoltare un’artista di spessore
internazionale (il soprano Lorna Windsor, accompagnata al pianoforte da
Corrado Greco) alle prese col Musical: “Magic Moments” è il titolo del
Lorna Windsor
Le “Voci Bianche” de I POLIFONICI di Genova
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Silvia Derchi
NOVEMBRE 2005
Aspettando il 250° anniversario della nascita: Genova Mozartiana
Le prime iniziative del progetto avranno luogo a Casa Paganini rispettivamente il
4 ed il 6/7 dicembre prossimi.
“Madamina ….Il catalogo è questo” è una Maratona nata come iniziativa benefica
a favore dell’Associazione Fibrosi Cistica, che opera accanto al Gaslini: consiste
in otto ore consecutive, dalle ore 10 alle 18 di musica mozartiana, con l’intervento
di circa una sessantina di esecutori, tutti insieme, da artisti ormai pienamente in
carriera a giovani esordienti, in una corsa per la solidarietà.
“Il fattore K(inder)”, un convegno sull’Enfant Prodige, esplora un argomento di
grande interesse ancora scarsamente dibattuto. Il convegno aprirà i battenti il 6
dicembre alle ore 15 e consisterà di prestigiose analisi sul tema, che riguarderanno
la personale esperienza di Amadeus ma non solo.
Il 6, dopo i saluti dell’assessore alla cultura della Regione Liguria, Fabio Morchio,
del Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova,
Pino Boero, del vicepresidente dell’Associazione “Amici di Paganini”, Enrico
Volpato, e del direttore scientifico del Centro Ricerche Umane,Franco Rossi,
seguiranno le relazioni di: Roberto Iovino e Francesca Oranges (Variazioni sul
tema - introduzione storica), Patrizia Conti (Le intelligenze musicali multiple:
come individualizzare la didattica), Laura Gragnola (Quel poveraccio di genio,
Stendhal), Renza Cerri (Enfant Prodige? Maneggiare con cura), Aldo Iester
(Sviluppo neurologico ed enfant prodige).
I lavori proseguiranno mercoledì 7 dicembre alle ore 15 con Dario Arkel
("Mozart: espulso!"), Roberto Pellerey (Geroglifici e sette segrete: Mozart e i
misteri magici nel Settecento), Franco Rossi (Enfant prodige: e poi?), Gian Enrico
Cortese (Appunti storici sull’educazione musicale precoce). La sera del 6 (ore 21)
si terrà un concerto, con musiche di Paganini, di una giovanissima violinista russa
, Masha Diatchenko accompagnata al pianoforte da Francesco Buccarella, ospite
del Conservatorio “N. Paganini”.
Paola Delucchi
Mozart, un anno di celebrazioni
Salisburgo, 27 gennaio 1756. La storia stabilì che quello non fosse un giorno
qualsiasi. Nacque, settimo figlio di Leopold, padre determinato e ambizioso,
Wolfgang Amadeus Mozart colui che per tutte le successive generazioni sarà
riconosciuto come uno dei più grandi geni della storia.
Bambino prodigio, giovane ribelle, genio insaziabile. Ma, ha conosciuto la
felicità? Saranno dedicati i mesi futuri Alla sua memoria sarà consacrato il
prossimo 2006 nel duecentocinquantesimo anno dalla nascita.
Celebrazioni in tutto il mondo, naturalmente. E anche in Liguria, grazie ad una
iniziativa ideata da Roberto Iovino con il Centro Ricerche Scienze Umane e
sosptenuta dalla Regione Liguria, dalla Provincia di Genova, dal Comune di
Genova e da numerosi altri Comuni e istituzioni della regione.
Gli intenti sono vari, e il lavoro si estende in molte iniziative differenti, diluite nel
lungo periodo di tempo che va dagli ultimi mesi del 2005 (in concomitanza con le
rappresentazioni teatrali mozartiane del Carlo Felice) a tutto il 2006.
La personalità, le opere, il significato di ricordare Amadeus oggi, i collegamenti
con la modernità. Sono state molte le cause che hanno stimolato le manifestazioni.
Primo scopo tra tutti è il tentativo di coinvolgere i giovani ed i giovanissimi; è
preponderante infatti, tra le altre idee, il “progetto scuola”, che consiste in lezioni
e concerti sul tema mozartiano in scuole elementari (per cui si prevede ,fra l’altro,
un simpatico gioco dell’oca illustrato,a tema), medie e licei di tutta la Regione.
Inoltre sono in programma le proiezioni di alcune pellicole cinematografiche quali
“Amadeus” di Forman, “Don Giovanni” di Losey, “Flauto Magico” di Luzzati,
“Noi tre” di Avati.
E va ricordata ancora la serata del 20 marzo al Teatro della Corte (in
colalborazione con il Teatro Stabile) con attori e cantanti, introdotti da Dacia
Maraini sull’affascinante tema di Don Giovanni.
Celebrare Mozart ?
Ma ha senso celebrare Mozart? Ha senso, cioè, dedicare tanto spazio a un autore, sia
pure geniale, che occupa però già abitualmente ampie porzioni delle stagioni liriche,
sinfoniche e cameristiche? La domanda, alla vigilia di un anno, il 2006, a lui
musicalmente consacrato, è assolutamente naturale.
E’ lo stesso interrogativo che ci si era posti alla vigilia delle celebrazioni per
Beethoven (1970), per Bach (1985, anno europeo della musica), ancora per Mozart
(1991) e per Verdi (2001).
In effetti se la domanda è legittima, altrettanto automatica può essere la risposta.
Celebrazioni di autori tanto eclatanti possono rivestire un certo interesse a
condizione che sappiano andare al di là della semplice routine, della scontata
riproposizione di alcuni, popolarissimi capolavori. Ad esempio, privilegiando una
riflessione più attenta su alcuni aspetti della complessa personalità artistica presa in
esame. E’ proprio questa riflessione che ci si attendeva, ad esempio, dalla lodevole
iniziativa del Carlo Felice che ha aperto la propria stagione proponendo in date
ravvicinate (e addirittura accavallate) la trilogia su libretto di Da Ponte. Il loro
accostamento poteva suggerire, in effetti, una ricerca sul suono dell’orchestra, una
pulizia “stilistica” di tutte quelle incrostazioni che spesso alterano l’eleganza
mozartiana sia sul piano vocale che strumentale. Non è qui il caso di valutare se
l’operazione del Carlo Felice possa dirsi riuscita o meno.
Il “Progetto Amadeus” ideato e diretto dal sottoscritto, nasce evidentemente con
obbiettivi assai più modesti, anche se ugualmente motivati dalla volontà di non essere
“banali”. In questo caso, dunque, si è voluto puntare sulla modalità di circuitazione e
sulla scelta dei “protagonisti”. Un Progetto itinerante per la Liguria; e un intenso
coinvolgimento di giovani (artisti e studiosi) che, in molti casi (nell’articolata sezione
didattica) si rivolgeranno ad altri giovani dimostrando come sia del tutto inattuale
l’idea che certa musica del passato sia patrimonio esclusivo delle vecchie generazioni.
Al momento sono circa una quindicina i Comuni che hanno aderito al Progetto. E
sono molte anche le associazioni musicali che si sono dichiarate disponibili a
collaborare. Insomma, una consistente unione di forze per costruire intorno ad
Amadeus una articolata festa della musica. Festa che avrà la sua Ouverture fra pochi
giorni a Casa Paganini con una Maratona Mozart a favore dell’Associazione Ligure
Fibrosi Cistica: oltre 60 gli artisti (cantanti, strumentisti, attori) che hanno garantito
la loro disponibilità. Un bel segnale.
Roberto Iovino
NOVEMBRE 2005
W.A. Mozart in un ritratto di Gian Bettino Cignaroli
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Aspettando il 250° anniversario della nascita: Genova Mozartiana
E non ho bene/s’ella non l’ha:
per un ritratto di Don Ottavio
Chopin, che pure di arditezze armoniche se ne intendeva, anche a detta di un critico smaliziato
come Schumann.
La predilezione di Chopin per Mozart è risaputa; è noto, ad esempio, che uno dei primi
capolavori chopiniani sia stato scritto proprio sulla suggestione del più celebre duetto del Don
Giovanni: ci riferiamo alle Variazioni op. 2 su Là ci darem la mano, salutate da Schumann, in
un famoso articolo (il primo di tanti che dedicò a Chopin), come opera di un giovanissimo
genio.
L’amore di Chopin per Mozart non venne meno nel corso della sua breve esistenza, se è vero
che proprio nella Polacca Fantasia, op. 61, cioè in quell’opera problematica e visionaria,
contestata dai contemporanei (fra i quali, non ultimo, lo stesso Liszt), alla quale più che ad ogni
altra si può riconoscere lo statuto di testamento spirituale, ritroviamo, pari passo, la
modulazione mozartiana dell’aria in questione.
[terza ed ultima parte- leggi le altre parti dell’intervento sui n. 27 e 29 del Cantiere Musicale]
(…) Ma Don Ottavio si può davvero ridurre in tutto e per tutto al cliché pacifico, quasi banale,
del cicisbèo verboso e inconcludente?
Se Don Giovanni si limitasse a questa partitura si direbbe di sì. Ma è risaputo che per la prima
viennese dell’opera, andata in scena il 4 maggio 1788, Mozart inserì alcune arie e recitativi, tra
i quali era prevista anche un’altra aria per Don Ottavio: l’aria in questione è Dalla sua pace, e
va ad inserirsi nel I atto, scena XIV, dopo il recitativo in cui il nostro ha esternato la sua
incredulità alla rivelazione di Donna Anna.
Il testo sembrerebbe, ad una lettura sommaria, in linea con quella galanteria di maniera che
abbiamo riconosciuto un attributo tipico della classe cui Don Ottavio appartiene: Dalla sua
pace/La mia dipende,/Quel che a lei piace/Vita mi rende,/Quel che le incresce/Morte mi
dà./S’ella sospira/ Sospiro anch’io;/È mia quell’ira/Quel pianto è mio;/E non ho bene/S’ella
non l’ha.
Ma è la realizzazione musicale dello stesso che mette in crisi, a nostro avviso, il ritratto di Don
Ottavio precedentemente delineato, e gli attribuisce, per un momento (per uno di quei momenti
che ci lasciano con il fiato sospeso, e che danno tutta la misura “eccedente” del Genio), una
profondità interiore ed un’umanità autentica assente nel personaggio della versione di Praga
del 1787.
Come fa Mozart, ci si chiederà a questo punto, a stravolgere in un’aria la psicologia di Don
Ottavio? In realtà non ci riesce in un’aria, bensì in otto battute; sono le battute 29-36.
Si confrontino le battute 131 e 132 della Polacca Fantasia con le battute 28 e 29 dell’aria di
Mozart e si rileverà lo stesso procedimento enarmonico, per di più sulle stesse tonalità del
modello: sol minore-si. Ma a ben vedere tutto l’episodio della Polacca Fantasia compreso da
battuta 124 a 137 è analogo, armonicamente, all’episodio dell’aria mozartiana compreso da
battuta 21 a 36 (identici gli ambiti tonali Si bemolle maggiore-sol minore-si minore: per di più
battuta 133 è la riproposizione di battuta 30, e battuta 134 di battuta 31; e più avanti, a battuta
136, si individuerà, sia pur con una risoluzione diversa, anche la sesta napoletana, nel processo
di modulazione che tuttavia, a differenza del modello, riconferma la tonalità di si minore:
chiaramente le esigenze dell’uno non potevano essere, pari passo, quelle dell’altro).
Una casualità? Ci sembra molto più probabile un omaggio estremo (e nella nostra ottica
sarebbe ancora più significativo se lo si potesse provare, anziché ricercato, del tutto
inconsapevole) ad uno dei propri numi tutelari, e, in modo specifico, ad uno dei suoi momenti
musicalmente più alti. Anche un modo, a noi sembra, col senno di poi, per chiudere
circolarmente la propria produzione musicale, all’insegna di un compositore e di un’opera,
soprattutto, che ha segnato la storia della musica, dalla sua apparizione sulle scene.
Che dire, allora, per concludere? La critica ha rinunciato da tempo, ormai, a cercare una
“definizione” univoca per Don Giovanni: opera seria, opera buffa, dramma giocoso? Di fronte
a ciò che va “oltre” le tassonomie cedono. Don Giovanni è la più grande tautologia
dell’universo del dramma in musica, definisce se stesso e tanto basta. Questa ambiguità è
determinata dai suoi personaggi, se è vero, come si è visto, che persino i ruoli “minori”, come
potrebbe essere quello di Don Ottavio, sfuggono ad una definizione univoca; ma non potrebbe
essere altrimenti, perché il Genio è problematico, conosce la complessità del mondo e degli
uomini, sa che anche nel più apparentemente fatuo e superficiale di essi è possibile rintracciare
un tratto di umanità autentica, quando meno ce lo aspetteremmo; e gli basta un momento,
anche solo otto battute in un’opera di due ore e più, per rimettere tutto in discussione e creare
scompiglio.
E questa è, infine, la sua principale attitudine, perché il Genio rifugge dalle classificazioni
statiche, dalle teorie compiute e dalle dimostrazioni ineccepibili che, per quanto coerenti,
brillanti ed erudite, quando gli sono rivolte contro (sì, contro) non possono far altro che
limitarlo ed imbrigliarlo in ambiti per lui troppo ristretti.
Dal 4 maggio 1788 Don Ottavio canta la sua aria per ricordarci tutto questo. Michele Croese
Musicalmente parlando è l’armonia che si incarica della metamorfosi: Mozart passa dalla
tonalità di sol minore di battuta 26 (do diesis al basso, quarto grado alterato della scala, accordo
di settima diminuita in funzione di dominante doppia) a quella di si minore di battuta 28 (do
diesis al basso, secondo grado della scala, accordo di settima di sensibile in secondo rivolto)
con una modulazione enarmonica che trasforma il si bemolle di battuta 26-27 in la diesis a
battuta 28. Ma la modulazione, sapientemente preparata tra le battute 27 e 28, non si percepisce
che a battuta 29, con l’accordo di si minore in primo rivolto, che giunge sconcertante e inatteso;
e proprio per questo, quando giunge, sulle parole E non ho bene/S’ella non l’ha, ha un effetto
destabilizzante, come di qualcuno che spalanchi all’improvviso un abisso sotto di noi; e noi
abbiamo l’impressione che Don Ottavio intuisca, per un attimo, che quello che sta dicendo
travalica il cliché di un decoro formale fine a se stesso, e che, in mezzo al “dir forbito” del suo
eloquio galante e stilizzato, abbia finalmente toccato una verità autentica, che lo stupisce,
affabula e rapisce.
Il ritorno da questo stato onirico, che dura pochi istanti, non è meno entusiasmante: la sesta
napoletana di battuta 34, (mi al basso, quarto grado di si minore, accordo di do in primo rivolto)
diventa un ponte modulante che riporta a sol maggiore, passando per un sesto grado abbassato
(mi bemolle), semplicemente cambiando la funzione armonica del basso (il mi, appunto che
diventa, da quarto grado di si minore, sesto grado di sol maggiore).
Sarà poi così eccezionale questa modulazione? obietterà il lettore. E soprattutto, basta davvero,
da sola, a compiere questa presunta metamorfosi del personaggio, a conferirgli, cioè, uno
spessore che prima non aveva?
In merito alla seconda domanda noi siamo convinti di sì, e proprio in virtù dell’eccezionale
condotta dell’armonia in relazione al testo. E, per rispondere anche alla prima domanda, che
questa modulazione sia davvero fuori dagli schemi credo possa bastare a testimoniarlo
l’interesse che ha suscitato, spingendolo fino ad una citazione letterale, in un compositore come
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NOVEMBRE 2005
Musica e spiritualità:
parla Mark Ord,
pastore battista
La sfida
d’una
comunità invisibile
Un laboratorio multietnico in continua evoluzione, un
cantiere di possibili condivisioni, che trova nella musica (o
meglio nel «far musica», ciascuno come sa e come può) uno
dei propri cardini aggreganti. È una piccola comunità
cristiana, che fa a capo alla chiesa Battista di via Vernazza
(a pochi metri dal teatro Carlo Felice). Una realtà
apparentemente invisibile, al cui interno però da alcuni anni
si studia, si «esercita» e si perfeziona attraverso il confronto,
un’ipotesi di equilibrio sociale che s’alimenta della
diversità, offrendo un modello d’approccio ancor più
interessante per una città come Genova, punto d’intersezione
tra culture ed urgenze anche lontanissime fra loro.
Passando per il centro, domenica mattina, per oltre un’ora le
voci (siano gospel o pagine di provenienza europea o
sudamericana) si fanno sentire fino in strada: è l’intera
assemblea che si esprime cantando, sostenuta talvolta da
chitarra, tastiere, percussioni… Un incontro che è anche –
laicamente – un’euforica prova di costruttiva convivenza.
«Quando sono arrivato a Genova dieci anni fa, ad essere
stranieri in chiesa eravamo cinque o sei, mentre adesso lo è
il 50% della comunità»: Mark Ord, inglese, quarantenne, da
alcuni anni svolge il ministero pastorale di coppia insieme
alla moglie Claire. In una realtà cresciuta nel frattempo fino
a contare circa centocinquanta persone. «La svolta risale a
qualche anno fa: avevamo già accolto fratelli di Gabon,
Camerun ed Europa dell’est. Una comunità sudamericana ci
ha chiesto l’uso del luogo ma noi abbiamo rilanciato
offrendo di unire le forze: una sfida, perché ciascuno è
abituato a vivere la fede in modo diverso, soprattutto quando
contiamo fino a 15 differenti nazioni d’origine».
- La musica che ruolo ha giocato? Nella tradizione
evangelica ha una funzione forte, ma in Europa il culto
è legato ad una serie contenuta di inni, anche molto
antichi…
«Avevamo la nostra liturgia. E chi ci ha chiesto di
condividerla, venendo da altri continenti, ha iniziato a dire:
io porto la chitarra, io le percussioni… C’è un modo diverso
di partecipare, di esprimersi attraverso il canto.
IL CANTIERE
MUSICALE
presidente onorario
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presidente
Patrizia Conti
[email protected]
direttore
Giorgio De Martino
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redazione
Tiziana Canfori, Roberto Iovino,
Fabio Macelloni, Paola Siragna,
Emilio Traverso
Conservatorio Niccolò Paganini
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NOVEMBRE 2005
Accogliere significa dare spazio, e fatalmente cambiare. Per
anni abbiamo discusso e sperimentato liturgie (talvolta
disastrose, talvolta bellissime). Quello della contaminazione
è un processo delicato e complesso, ma siamo stati messi
davanti a una scelta: o chiuderci o aprirci e cambiare.
Abbiamo sostenuto discussioni infinite, ad esempio sul
livello della musica… Prova a chiedere ad un batterista di
suonare piano… E’ improbabile e frustrante! Oppure sulla
quantità di canti da inserire nel culto: per chi si cantava
sempre troppo, per chi sempre troppo poco. Ma il potenziale
di ricchezza è immenso: tutti dovrebbero comprendere che
“accogliendo”, se apparentemente si perde qualcosa, alla
fine si guadagna sempre. Quello che avviene in chiesa è un
laboratorio di convivenza, applicabile forse anche
all’esterno. Certo, i muri ci sono, ma ognuno a suo modo
può provare a rimboccarsi le maniche e cercare di
abbatterli».
- Andando oltre la tolleranza…
«Partendo dalla tolleranza, che di per sé può avere un
retrogusto semantico sgradevole, ma che è uno dei valori
fondanti dei Battisti: il primo testo inglese sulla libertà di
coscienza, sulla tolleranza di religione per tutti, fu scritto nel
1600 da un battista. Che naturalmente finì in prigione!».
carcere genovese; partecipiamo inoltre, insieme ad altre
comunità, alla distribuzione di vestiti per i senza tetto.
Abbiamo pochi mezzi, e tutto quello che facciamo è frutto
di coinvolgimenti a livello personale: la nostra ricchezza è
l’incontro fra persone; non abbiamo strutture e gerarchie,
solo rapporti di stima e di affetto».
- La chiesa è forse anche un modo per ricostruire un
contesto intimo, familiare, da parte di chi porta con sé la
ferita di un distacco?
«Gli stranieri che sono qui devono affrontare la solitudine
come dato di fatto, messo in conto insieme alla fatica per
reinventare la propria vita. Ma chiunque può “non sentirsi a
casa”, anche chi è nato, vive e invecchia nella propria città.
Solo che è più difficile riconoscere il disagio, ammettere una
solitudine fatta di rapporti superficiali, di mancanza di
valori. Dallo sguardo di uno straniero noi possiamo
imparare a metterci in discussione. Ciò che per noi è la
normalità, magari per chi ci guarda da fuori è scandalo. Il
confronto può cambiare i parametri della “normalità”. Una
buona occasione!».
- Anche la vostra comunità, come è tradizione
evangelica, si incontra per studiare la Bibbia. Ad uno
sguardo esterno può sembrare strano, ancor più quando
- Lei viene da un paese dove il protestantesimo è la
religione dominante… L’impatto col contesto italiano,
così diverso, è stato difficile?
«Mi ha pesato inizialmente questa sensazione di vita ai
margini, di invisibilità. Anche perché qui devo sempre
spiegarmi, su ciò che sono e faccio. Inoltre ho scoperto
come il cattolicesimo che ho studiato in Inghilterra era poi
molto diverso da quello vissuto a livello popolare, legato a
festività religiose, ai Santi… Più una religione civile che una
teologia robusta e articolata».
- Quali i problemi di gestione della comunità?
«Problematico ma stimolante è lavorare ai margini, con
persone che “non contano”: chi lascia il proprio paese deve
quasi sempre ricominciare da capo… Spesso è ignorato
dalla società o guardato persino con sospetto (in ragione
d’una diversità culturale), mentre all’interno della chiesa è
persona di forte esperienza, che magari proviene da
comunità potenti che contano migliaia di persone, come in
Africa, in Corea, in Sud America. Questa discrepanza può
essere molto positiva, naturalmente se viene “elaborata” la
tentazione di replicare qui un pezzo di casa. Noi insistiamo per
l’integrazione, per utilizzare la lingua del luogo dove viviamo».
- La vostra Corale è in questo senso un punto di forza?
«Per cultura la nostra confessione è legata alla musica: i
Battisti di tutto il mondo si aspettano che il culto sia anche
un’esperienza musicale. E la musica per noi è stata un
elemento aggregante potentissimo. Il nostro coro è stata la
prima porzione della chiesa a diventare multiculturale.
Accanto, per un repertorio più moderno, abbiamo allestito
un gruppo musicale con voci e strumenti. Attraverso il canto
facciamo attività esterne quali visite mensili all’ospedale
evangelico, interventi musicali al Parco Acquasola e anche
di recente presso un centro per tossicodipendenti».
- Altre attività sociali?
«Diverse volte alla settimana un nostro “ministro” visita il
fra i partecipanti in molti sono giovani…
«Sorprende anche me, e ne sono naturalmente soddisfatto.
Studiare le Scritture è un modo per formarsi. La Bibbia non
ha risposte giuste o sbagliate, propone materiale per una
riflessione. Leggiamo di persone che hanno fatto i conti con
l’esperienza di Dio, ma nella propria cultura e nei dettagli
della propria vita. D’altronde oggi quali sono e dove, i
grandi racconti che ci portano dei contenuti, che ci portano
a pensare? Dallo studio biblico emergono conclusioni
diverse, e ciascuno è costretto ad ascoltare l’altro, ad
arricchirsi attraverso le esperienze ed il vissuto dell’altro».
- Nella sua comunità oggi tutte le tensioni sono appianate?
«La chiesa è un cantiere per distruggere i pregiudizi. Ad
esempio, si dice che i sudamericani siano d’indole “rilassata”.
Basta venire in chiesa per vedere come sono puntuali e
precisi… Tedeschi, semmai! E ancora: gli europei nel canto e
nella preghiera tendono a non voler ripetere una parola,
mentre un africano pensa: bisogna ripetere una parola finché
non ti tocca il cuore, finché non ti cambia. Insomma, continue
occasioni di scambio, in una comunità che cerca di allargarsi
senza cadere nell’omologazione: spazio per tutti, con
elasticità ed apparente instabilità».
- Cosa non va, a suo avviso, nelle chiese (siano cattoliche
o protestanti) d’Europa?
«Personalmente non amo la chiesa che si pone come
istituzione che dà le risposte, le linee guida. Credo che oggi
debba stimolare una conversazione. Debba fare domande
piuttosto che confezionare risposte. Perché magari non le ha
tutte, perché di certo le risposte di ieri, in un contesto nuovo,
non sono pedissequamente da ripetere: c’è tutta una
elaborazione da porre in atto. Credo debba proporsi come un
luogo dove si riflette sui temi dell’esistenza. La nostra fede di
cristiani è quella tradizionale… Nulla di stravolgente. Però
sono convinto che la chiesa debba sempre riformarsi e
riformularsi, in base alle domande dell’oggi». Giorgio De Martino
Algraphy - Genova
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Il CANTIERE MUSICALE n30