“ARRIVANO I NOSTRI ” Distribuzione gratuita Bollettino periodico dei giovani da 8 a 98 anni S . P i o X - Balduina www.sanpiodecimo.it Numero 46 FEBBRAIO 2012 Anno VI° ACCUMULATE TESORI IN CIELO! RICCO MA BUONO: BILL GATES L’AVIDITÀ DEL DENARO IL DENARO CI MISURA DONNA DI DENARI COME FUNZIONANO LE BANCHE LE MONETE DI NONNO ERASMO LA FOLLIA DEL DENARO BENE E DENARO: GEORG SIMMEL A proposito dei soldi... L’ORO, L’INCENSO E LA MIRRA Neve alla Balduina Le foto !!! STAZIONE SAN PIETRO “ALZATI E VA’: LA TUA FEDE TI HA SALVATO !” (Lc 17, 19) a cura di Sandro Morici Quest’anno per celebrare la XX Giornata del Malato è stato scelto il famoso brano del Vangelo di Luca che descrive la guarigione del lebbroso con un’icona tratta dai meravigliosi mosaici custoditi nel Duomo di Monreale: è solo una piccola scena di quell’immenso arazzo di tessere vitree che rivestono le pareti per oltre 6340 metri quadrati, capolavoro unico al mondo dell’arte musiva arabo-normanna. Il Papa nel Messaggio della ricorrenza dell’11 febbraio riprende le parole di Gesù riferite dall’evangelista Luca, spiegando che esse “aiutano a prendere coscienza dell’importanza della fede per coloro che, gravati dalla sofferenza e dalla malattia, si avvicinano al Signore. Nell’incontro con Lui possono sperimentare realmente che chi crede non è mai solo! Dio, infatti, nel suo Figlio, non ci abbandona alle nostre angosce e sofferenze, ma ci è vicino, ci aiuta a portarle e desidera guarire nel profondo il nostro cuore (cfr Mc 2 ,1-12)... Chi, nella propria sofferenza e malattia, invoca il Signore è certo che il Suo amore non lo abbandona mai, e che anche l’amore della Chiesa, prolungamento nel tempo della sua opera salvifica, non viene mai meno. La guarigione fisica, espressione della salvezza più profonda, rivela così l’importanza che l’uomo, nella sua interezza di anima e di corpo, riveste per il Signore... Il compito principale della Chiesa è certamente l’annuncio del Regno di Dio, «ma proprio questo stesso annuncio deve essere un processo di guarigione: “... fasciare le piaghe dei cuori spezzati” (Is 61,1)», secondo l’incarico affidato da Gesù ai suoi discepoli (cfr Lc 9,1-2; Mt 10,1.5-14; Mc 6,7-13). Il binomio tra salute fisica e rinnovamento dalle lacerazioni dell’anima ci aiuta quindi a comprendere meglio i «Sacramenti di guarigione».” Benedetto XVI ricorda a noi tutti che i «Sacramenti di guarigione» sono il Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione e quello dell’Unzione degli Infermi, che a loro volta hanno il loro naturale compimento nella Comunione Eucaristica. Il Messaggio prosegue quindi in una definizione più puntuale del Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione, particolarmente importante dal momento che «tutto il valore della Penitenza consiste nel restituirci alla grazia di Dio stringendoci a lui in intima e grande amicizia» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1468). Un momento in cui Dio “ci attende per offrire ad ogni figlio che torna da Lui, il dono della piena riconciliazione e della gioia”. Il Papa spiega che: “Gesù, nella sua vita, annuncia e rende presente la misericordia del Padre. Egli è venuto non per condannare, ma per perdonare e salvare, per dare speranza anche nel buio più profondo della sofferenza e del peccato, per donare la vita eterna; così nel Sacramento della Penitenza, nella «medicina della confessione», l’esperienza del peccato non degenera in disperazione, ma incontra l’Amore che perdona e trasforma (cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Reconciliatio et Paenitentia, 31”. L’altro Sacramento ha un significato diverso e complementare. Dice il Papa: “Con l’Unzione degli Infermi, accompagnata dalla preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché allevi le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi spiritualmente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire cosi’ al bene del Popolo di Dio. Tale Sacramento ci porta a contemplare il duplice mistero del Monte degli Ulivi, dove Gesù si è trovato drammaticamente davanti alla via indicatagli dal Padre, quella della Passione, del supremo atto di amore, e l’ha accolta... Ma «l’Orto degli Ulivi è... anche il luogo dal quale Egli è asceso al Padre, è quindi il luogo della Redenzione... Questo duplice mistero del Monte degli Ulivi è anche sempre “attivo” nell’olio sacramentale della Chiesa... segno della bontà di Dio che ci tocca»... Nell’Unzione degli Infermi, la materia sacramentale dell’olio ci viene offerta, per così dire, «quale medicina di Dio... che ora ci rende certi della sua bontà, ci deve rafforzare e consolare, ma che, allo stesso tempo, al di là del momento della malattia, rimanda alla guarigione definitiva, alla risurrezione (cfr Gc 5,14)”. Come sintesi finale il Santo Padre puntualizza che: “A proposito dei «Sacramenti di guarigione» S. Agostino afferma: «Dio guarisce tutte le tue infermità. Non temere dunque: tutte le tue infermità saranno guarite... Tu devi solo permettere che egli ti curi e non devi respingere le sue mani» (Esposizione sul Salmo 102, 5: PL 36, 1319-1320). Si tratta di mezzi preziosi della Grazia di Dio, che aiutano il malato a conformarsi sempre più pienamente al Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo. Assieme a questi due Sacramenti, vorrei sottolineare anche l’importanza dell’Eucaristia. Ricevuta nel momento della malattia contribuisce, in maniera singolare, ad operare tale trasformazione, associando colui che si nutre del Corpo e del Sangue di Gesù all’offerta che Egli ha fatto di Se stesso al Padre per la salvezza di tutti. L’intera comunità ecclesiale, e le comunità parrocchiali in particolare, prestino attenzione nell’assicurare la possibilità di accostarsi con frequenza alla Comunione sacramentale a coloro che, per motivi di salute o di età, non possono recarsi nei luoghi di culto. In tal modo, a questi fratelli e sorelle viene offerta la possibilità di rafforzare il rapporto con Cristo crocifisso e risorto, partecipando, con la loro vita offerta per amore di Cristo, alla missione stessa della Chiesa”. In chiusura il Messaggio è rivolto a chi assiste in modo più o meno diretto l’ammalato, recitando cosi’: “A quanti operano nel mondo della salute, come pure alle famiglie che nei propri congiunti vedono il Volto sofferente del Signore Gesù, rinnovo il ringraziamento mio e della Chiesa, perché, nella competenza professionale e nel silenzio, spesso anche senza nominare il nome di Cristo, Lo manifestano concretamente”. E proprio l’omelia del nostro parroco della V Domenica del Tempo Ordinario si è conclusa così: “Il Signore non ti libera dal dolore, ma sta con te nel dolore: nel passaggio da quel “dal” a quel “con” si rinnova tutto il mistero della nostra fede”. -2- CEI - Giornata del Malato 2012 Padre, sorgente di ogni dono a Te affidiamo la nostra vita, nella certezza del Tuo amore. Accresci la nostra fede perchè possiamo riconoscere in Gesù il nostro unico Salvatore. La grazie del Tuo Spirito risani le nostre ferite e sostenga la nostra speranza. Maria, Salute degli infermi veglia sul nostro cammino e intercedi per noi. Amen ! ACCUMULATE TESORI IN CIELO don Paolo Tammi Soldi,un’incredibile quantità di soldi ! Mi sta simpatico oltre misura il personaggio di Paperon de Paperoni, creato da Walt Disney. Certo, fa più pena e anche simpatia lo sfigatissimo Paperino, non fosse che per il suo ruolo di angariato e sottopagato (attualissimo dunque). Ma Paperone lo adoro, per la sua perseveranza, la sua intelligenza lucida, la sua capacità di non farsi sfuggire un’occasione. Credo tristemente che la profezia di Gesù in qualche modo – certo senza elevarlo a modello – si riferisse anche a lui (“i figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce” Lc 16,8). La Bibbia è attraversata continuamente dalle citazioni del denaro. L’Antico Testamento raramente la condanna, piuttosto esalta la generosità del ricco verso il povero, anche se c’è povero e povero: “Meglio un povero dalla condotta integra di uno dalle labbra perverse e che è stolto” (Prov 19,1). Lo spregiudicato libro del Qoèlet che, letto d’un fiato, sembra la negazione di ogni etica basata sulla ricompensa finale, invece avverte: “Chi ama il denaro non è mai sazio di denaro e chi ama la ricchezza non ha mai entrate sufficienti. Anche questo è vanità” (Qo 5,9). Siamo ben lontani nel tempo – eppure vicini nello spirito dalla forte sveglia data dall’ebreo Gesù ai suoi contemporanei: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro... non potete servire Dio e la ricchezza” (Mt 6,24). E ancora: “O uomo, stanotte stessa ti sarà chiesto conto della tua anima” (Lc 12,19). In genere, lo avverte la storia, sono ricordati i ricchi che si fanno poveri e non i poveri che si fanno ricchi. Quest’ultima possibilità tuttavia non manca di esaltazioni onestamente prive di grande fondamento. Quando morì Steve Jobs, inventore di Ipod, Iphone e Ipad, lo stesso fu celebrato come un piccolo fiammiferaio che aveva – sopportando il peso della giornata, il freddo e il caldo e per giunta un’emargina-zione dalla Apple da lui stesso fondata - realizzando una sorta di laica ma non meno santa resurrezione dai morti. Ci volle l’acuta analisi di Gennaro Carotenuto, docente di storia del giornalismo e storia contemporanea, per ricordarci che la Apple era stata nel mondo una delle imprese simbolo nel senso più deleterio possibile (basta pensare a orribili condizioni di lavoro in molti paesi, tipo la Cina, e relativi suicidi). Ma se parli ai ragazzi di Jobs è, per molti di essi un mito inarrivabile eppur gradito. Se parli di san Francesco, che invece poveri e lebbrosi li aiutò per davvero vendendo le ricche stoffe del padre, gli stessi lo rispettano ma lo vedono come un UFO, cioè letteralmente un oggetto non identificabile. Gesù, il fondatore del cristianesimo, è stato povero. Nel suo caso, almeno dal punto di vista dei credenti, è stata una povertà scelta. San Paolo dice: “Gesù, da ricco che era, si fece povero” (II Cor 18,9). La sua però non è stata una povertà acida, sessantottina. In poche parole Gesù non si metteva alle manifestazioni i jeans sdruciti alzando il pugno chiuso e poi tornava a casa facendosi massaggiare i piedi dalla serva filippina. Ci risulta dai Vangeli – e questo nemmeno Augias ha avuto la ventura di negarlo – che andasse a mangiare spesso dai ricchi. Da Matteo il pubblicano, raro caso di ricco mantenuto dal nemico. Da Simone il fariseo, altra genìa di ricco ebreo – stavolta di famiglia – che disprezzava poveri e prostitute. Dal centurione romano, che povero non era, Gesù provò ad andare ma in realtà gli bastò ammirarne la fede, quando lo stesso – un pagano politeista – gliela mostrò in maniera ammirevole, dicendogli che gli bastava una sua parola e il suo servo sarebbe guarito (cfr. Mt 8,8). Che la povertà sia una virtù lo afferma senza remore il Vangelo. Che sia inoltre – quando è abbracciata come stile e stato di vita – un “consiglio evangelico”, l’ha sempre affermato la saggezza della Chiesa. Che per povertà evangelica non considera la miseria ostentata con pari orgoglio della ricchezza, ma la scelta sostanziale di dipendere da altri, da una comunità,e non da se stessi, calcolando dunque il meno possibile i beni del proprio futuro e sapendo accettare, in questo senso, la buona e la cattiva sorte. Quest’ultima modalità – ovvero quella sobrietà che non calcola o calcola poco ma apre ad una generoso uso di ciò che è dono di Dio – è per tutti. Non è solo per chi fa il voto di povertà (neanche i preti lo fanno ma solo i religiosi), poiché si tratta della risposta attualmente più efficace all’impoverimento oggettivo del mondo intero. Ove per mondo intero non si intendono i pochi ricchi (sempre più pochi) ma la massa della gente sempre più obbligata a fare i conti (non i calcoli, ma i conti). Possesso e denaro sono due cose diverse. Come lo sono possesso e ricchezza. La Chiesa, quella gerarchica, addirittura condannò come eretica la posizione secondo la quale Gesù non avrebbe mai posseduto alcunché (avvenne nel 1322 con papa Giovanni XXII che, seguito in ciò da diversi teologi, argomentò che – se Giuda teneva la cassa comune degli apostoli – voleva dire che Gesù qualcosa possedeva). Gesù ha sicuramente posseduto, se non altro perché si lasciava assistere da facoltose donne con i loro beni (cfr Lc 8,1-3) ma non ha bramato. Il confine può sembrare labile eppure è chiaro. Il distacco si vede dalla vita che fai, da chi prendi come modello e da chi assolutamente non prendi come modello, dall’apertura sincera delle tue mani agli altri, dalle cause della tua allegria o della tua tristezza. Cionondimeno i talenti sono talenti e,anche se nella nota parabola (Mt 25, 14,30) sono sempre considerati come i carismi che una persona ha ricevuto da Dio, nell’originale metafora di Gesù sono monete sonanti, cioè soldoni. Per cui, saperli amministrare bene, se si sono ricevute senza proprio merito, aumenta i meriti e certo non deflora la virtù. Siamo partiti da Paperone ma è meglio finire con il Vangelo: “Accumulate per voi tesori in cielo, perché dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,19). ARRIVANO I NOSTRI Autorizzazione del Tribunale n°89 del 6 marzo 2008 DIRETTORE RESPONSABILE Giulia Bondolfi TERZA PAGINA don Paolo Tammi DIRETTORE EDITORIALE Marco Di Tillo COLLABORATORI: Lùcia e Miriam Aiello, Bianca Maria Alfieri, Renato Ammannati, Alessandra e Marco Angeli, Paola Baroni, Giancarlo e Fabrizio Bianconi, Pier Luigi Blasi, Michele Bovi, Leonardo Cancelli, Alessandra Chianese, Monica Chiantore, Cesare Catarinozzi, Laura, Giuseppe Del Coiro, Gabriella Ambrosio De Luca, Giorgio Lattanzio, Massimo Gatti, Paola Giorgetti, Pietro Gregori, Giampiero Guadagni, Luigi Guidi, Lucio, Rosella e Silvia Laurita Longo, Lydia Longobardi, don Nico Lugli, don Roberto Maccioni, Maria Pia Maglia, Luciano e Luigi Milani, Cristian Molella, Alfonso Molinaro, Sandro Morici, Agnese Ortone, Alfredo Palieri, Gregorio Paparatti, Camilla Paris, Maria Rossi, Eugenia Rugolo, Alessandro e Maria Lucia Saraceni, Elena Scurpa, Antonio Stamegna, Francesco Tani, Stefano Valariano, Gabriele, Roberto e Valerio Vecchione, Celina e Giuseppe Zingale. Numeri arretrati online su www.sanpiodecimo.it OFFERTE Per mantenere in vita il nostro giornale lasciate un’offerta libera in una busta nella nostra casella di posta della segreteria parrocchiale. COLLABORATORI Chi vuole inviare articoli, disegni, suggerimenti è pregato di inviare mail: arrivanoinostri@ fastwebnet.it (oppure lasciare una busta presso la segreteria) INSERZIONISTI È richiesto un contributo di Euro 30 per ogni numero, da lasciare ad un nostro incaricato, oppure in una busta in segreteria, nella cassetta della nostra posta, con un vostro biglietto da visita. STAMPA TIPOGRAFIA MEDAGLIE D’ORO -3- “AFRICA EXPRESS” NOTIZIE E CURIOSITÀ DAL CONTINENTE NERO a cura di Lucio Laurita Longo L’AFRICA È... L’Africa è... il grembo dell’umanità, la madre della Terra. L’Africa è un grande spazio, un’immensità quasi senza confini, un luogo infinito in cui, però, non perdi mai la strada di casa, perché essa stessa è, sempre ed ovunque, la tua casa. L’Africa è il luogo dove tutto è più grande, tutto ha più sapore, tutto è più profumato, tutto ha più passione, tutto è più calmo. La vita ti viene incontro più direttamente nella sua semplicità, nella sua essenzialità, nella sua natura, nella sua originalità. L’Africa è dove ti viene naturale sederti ed ascoltare: ascoltare il battito della terra e del tamburo, le parole del sole e del cielo, delle stelle e delle nuvole; ascoltare il ritmo incessante della natura, la voce silenziosa dei grandi fiumi e quella potente delle sue foreste, le tribolazioni dei suoi uomini e la loro testarda speranza nel nuovo giorno. L’Africa è quella incredibile terra rossa sulla quale si muovono milioni di piedi scalzi; sulla quale milioni di persone nascono, crescono, soffrono tanto e gioiscono poco, aspettano non si sa bene che, infine dove muoiono in una perenne corsa per la sopravvivenza; ma è anche la terra rossa dove vivono gli animali più belli del mondo. L’Africa è la terra dove cresce quell’incredibile albero che è il baobab; suggestivo e misterioso nella sua solitudine in mezzo alla terra rossa, estende i suoi possenti rami solo per ombreggiare chi vi si rifugia sotto: non importa se uomini o animali. L’Africa è percorrere strade appena disegnate per arrivare in villaggi di piccole case di fango con cortili a forma di cerchio dove trovi di tutto: uomini, donne, bambini, animali, cose, fuochi per cucinare e recipienti per l’acqua. L’Africa è la terra delle tante donne: donne bellissime che in ogni momento appaiono piene di eleganza e dignità, donne che sono sempre state la ricchezza segreta e costante dei loro uomini e dei loro figli e che, nonostante tutto, continuano a creare nuova vita, a crescerla ed a custodirla in una terra che, in apparenza, è senza speranza ma che, invece, è essa stessa la loro speranza. L’Africa è la terra dei tanti, tantissimi, bambini che sono dappertutto, in strada, in campagna, nelle foreste e ovunque. Bambini che corrono, che sorridono, che salutano senza alcun risparmio, che giocano con un po’ di terra, con un vecchio copertone o con un bastoncino e che sono felici di farlo. Bambini che sono felici se li guardi, se li abbracci o li accarezzi e che vorrebbero non smettessi mai di farlo. Bambini cui basta il regalo di una caramella per non dimenticarti più. L’Africa è anche la terra dove i bambini, che non hanno mai visto un medico o un ospedale, ancora muoiono per malattie da noi ormai dimenticate; dove, mentre i nostri bambini “giocano alla guerra e muoiono per gioco”, loro “fanno la guerra e muoiono davvero”; dove vengono venduti, mutilati, seviziati ed uccisi senza che nessuno se ne accorga e li difenda. L’Africa è la terra dove l’uomo viene visto per quello che è, al di la di quello che fa, di quello che ha e del Dio in cui crede. L’Africa è la terra dove se vai ad inaugurare una nuova piccola scuola, incontri maestri, maestre e colori; bambini, anziani e colori; voci, canti e colori; cesti di cibi, musica e colori; parole, sorrisi e colori; gioia, festa e colori e dove, quando te ne vai, lasci il cuore, tante lacrime e colori; dove i tuoi ricordi, tutti indelebili, sono solo a colori. L’Africa è la terra che chiede tempo, calma e pazienza, soprattutto con se stessi. Ma l’Africa è anche… Un continente da saccheggiare da parte delle nuove superpotenze, Cina in primo luogo. Teatro di guerre di accaparramento di immense risorse naturali, tra i quali il petrolio nigeriano e il rame zambiano. Popoli e culture millenarie a rischio estinzione. Distruzione della foresta tropicale più grande del mondo. Terra della nuova emergenza ambientale, con i suoi enormi mutamenti climatici. Luogo di partenza della tratta di esseri umani: dal commercio dei bambini al mercato mondiale della prostituzione. Traffico di armi, luogo di corruzioni e sanguinose dittature. Un continente di oltre 200 milioni di poveri e affamati costretti ad emigrare nel nord del mondo. Una piaga infernale: l’Aids, prima causa di morte in Africa, che ancora uccide milioni di persone. Terra per i crimini dell’industria farmaceutica mondiale che in questo continente ancora oggi esegue sperimentazioni su cavie umane pagandole pochi euro. Rifugio del nuovo terrorismo internazionale, da Al Quaeda alla Jihad islamica, pronto a sconvolgere nuovamente il mondo. -4- Dr. Paolo Gabrieli Dottore Commercialista Revisore dei conti Viale Capitan Casella, 50 Roma Tel. 06.64671016 - Fax 06. 56309567 e-mail: [email protected] L’ORO, L’INCENSO E LA MIRRA Giorgio Lattanzio Sembrava un’Epifania, come quelle di sempre. La Befana, immagine laica dei Re Magi, i doni per i più piccoli, la classica tombolata in famiglia. Invece le parole provocatorie del sacerdote all’omelia: “Potrebbe essere la festa degli atei, degli agnostici.”. Poi il tono era risalito a riflessioni più teologiche sui doni dei Re Magi: l’oro, in riconoscimento della regalità di Gesù, l‘incenso che si brucia dinanzi alla Divinità e la mirra come anticipazione delle sofferenze e della morte del Cristo. Ma la mia mente era partita. Io mi sentivo come i Re Magi, simile all’ateo, all’agnostico, continuamente alla ricerca di una luce, di una guida, di una risposta sicura. E così per tutta la vita. E poi l’incontro con Cristo, anche Lui fonte di interrogativi, non soluzione “magica” ai problemi dell’esistenza, ai dubbi che la sofferenza pone, soprattutto quando colpisce la propria famiglia, i propri amici, i piccoli, le persone più indifese. E pensavo alle notti dei terremotati, alle urla dei sopravvissuti agli tsunami, ai pazienti legati dalla malattia ai letti degli innumerevoli ospedali. Cristo non è facile risposta al mistero del male del mondo, alla cattiveria di cui l’uomo è capace. E penso non solo alle guerre, vive ed attuali, anche intorno a noi, al massacro di chi chiede giustizia o democrazia, alle piccoli e grandi shoah sparse nel mondo. Allora, per me, Cristo non è una “soluzione” ma una proposta, un invito ad una scelta. Ecco perché i Re Magi sono diventati, dopo quell’omelia, il simbolo, il modello della mia vita: come loro, camminare sempre con l’occhio fisso ad una luce “lontana” (la stella cometa), che rimanda però alla speranza di un incontro decisivo. E così per tutta la vita? Devo essere/sentirmi come un Re Magio, che muove i suoi passi in terre sempre diverse, che dà le sue risposte mai uguali. La mia visione del mondo, da bambino, non era quella dei 18 anni, dei 30, dei 50 o quella di oggi. Sempre alla ricerca, sempre con l’occhio fisso non più alla luce di una stella ma ad una persona che a volte mi consola, a volte diventa essa stessa fonte di interrogativi: Cristo. E poi i doni: l’oro, l’incenso, la mirra. Prima lo dicevo in maniera diversa ma ora alle persone che quotidianamente incontro sul mio cammino e mi fanno entrare nelle stanze più segrete della loro casa e che in varie forme sono deluse, hanno perso la fiducia o,semplicemente, si trascurano, suggerisco di trattarsi ogni giorno come accoglierebbero un re, in visita a casa loro. Nella visione della fede non siamo figli di Dio? E un figlio di Dio non merita tutte le attenzioni come e meglio di un re? Ecco perché a Francesco, che mi confidava di lasciarsi un po’ andare il sabato e la domenica, suggerisco: “La barba fattela anche il fine settimana, anche se non vai al lavoro. Fallo per te, perché ti riconosci degno del più grande rispetto.“ E ad Antonietta che da un po’ di tempo trascura la sua casa e sé stessa, dico: “Anche se fai colazione da sola, stendi sul tavolo una tovaglietta, prendi la tazzina bella, siediti e gustati un buon caffè, perché sei in buona compagnia: il Padre ti guarda.” Questo esprime il dono dell’oro. Poi, fin dai primi giorni di vita, ricevuto il battesimo, non siamo diventati “templi dello Spirito Santo”, casa di Dio? Allora chi si avvicina deve sentire sempre il profumo dell’incenso. Il cristiano ha/dovrebbe avere uno spirito diverso che lo muove. E di questo tutti se ne dovrebbero accorgere! Ecco il perché del secondo dono, l’incenso, che dovremmo sempre tenere sul nostro tavolo. E la mirra? Se nella vita vale per tutti la legge universale dell’economia (costo-beneficio), per chi ha incontrato la luce di Cristo c’è un modello davanti ai suoi occhi. Chi non sa che ogni conquista (= beneficio) a cui aspiriamo è sempre accompagnata da sofferenza, impegni, costo? Chiedilo a qualunque genitore impegnato a tirar su dei figli, a chi cerca un lavoro in tempi come questi, o si prepara ad una professione: chiedilo a chi è colpito da una brutta malattia! Cos’ha allora di diverso un cristiano? Il fatto di non rimanere ipnotizzato dal costo, dalle difficoltà che ogni traguardo presuppone e che inviterebbero alla fuga. Il cristiano dice: “Guarda come sono belle, senti come profumano queste rose!” e non dice: “Accidenti a queste rose! Sono piene di spine!” Tenere sul proprio tavolo, nella propria “casa”, dentro si sé, sempre a disposizione l’oro, l’incenso e la mirra, come i tre Re Magi, non è più solo conseguenza della parola destabilizzante del Sacerdote: è l’impegno a vivere lo sforzo quotidiano, con il conforto di una luce, con Cristo come modello, che quotidianamente ci provoca a scegliere, rimanendo sempre uomini limitati e fragili, e per questo più buoni, più veri. -5- SORRISI a cura di Gregorio Paparatti Un turista entra in un modestissimo alberghetto e chiede una stanza. -Devo darle la 111 – dice il portiere, - poiché è l’unica rimasta: le consiglio però di stare attento perché è piena di formiche. La mattina seguente,quando il turista va a pagare, il portiere gli domanda: -Come ha passato la notte? Ha avuto qualche problema con le formiche? -Niente affatto! – esclama il cliente – Ne ho uccisa una e tutte le altre sono andata al suo funerale. DONNA DI DENARI L’AVIDITÀ DI DENARO Sandro Morici In un lungo pomeriggio d’inverno chiudo fortunosamente la mia partita a carte facendo scopa con la donna di denari e, con quella carta, vinco. Poi, passando ad altro, vado a rovistare tra vecchi libri e mi imbatto in un foglio tratto da un taccuino di Gabriele D’Annunzio. Mi metto a leggere: “Ella è bruna, dorata, aquilina e indolente. Un’essenza voluttuosa, volatile e penetrante emana dal suo corpo regale. Ella è svogliata e ardente, con uno sguardo che promette e delude. Non la volontà ma la natura l’ha creata dominatrice. Ella ha nelle sue mani d’oro tutto il bene e tutto il male”. La pennellata dello scrittore si riferisce chiaramente al ritratto di una bella donna, ma la mia mente, con quella carta da gioco ancora negli occhi, è distratta e così, per associazione di idee, l’immaginazione mi rappresenta un qualcosa che noi siciliani denominiamo “a munita”, la moneta in senso lato, anch’essa al femminile. Se poi vogliamo usare il plurale, diciamo “i picciuli”, un termine al maschile perché deriva dai “piccioli”, monete coniate nel 1720 da Carlo III d’Asburgo, re di Sicilia. Nel bel libro “I siciliani” (ed. Laterza) Gaetano Savatteri afferma che “nell’iconografia classica, le donne sono per i siciliani oggetto di desiderio spasmodico...” Come il danaro, appunto. Ma in realtà l’immagine oleografica della femmina siciliana, con l’emancipazione dei tempi, e’ ormai stata superata, stravolta e seppellita dalla storia, mentre, per il denaro, non credo si possa dire lo stesso. Anzi, più passa il tempo e più esso è “bello”, più è oggetto di desiderio senza limiti, più è soggetto di conquista spietata. Oggigiorno il quotidiano di ricchi e meno ricchi scorre rapido tra vetrine di lusso, mercati e mercatini e alla fine un po’ tutti siamo costretti a fare i conti (!) con i soldi. E così, in sostanza, la storia dei nostri giorni viene fatta dai banchieri, dai tesorieri, dai finanziatori, con poche (o nulle) regole deontologiche, che conoscono altrettante poche ma essenziali parole, quali “profitto”, “interesse”, “speculazione”, “corruzione” (che ovviamente non si pronunzia mai a voce piena). Tutto questo “giro” di soldi si muove (tra economia reale ed economia virtuale) all’insegna dell’avidità, dell’ambizione, della ricerca del potere e nei campi più disparati (vedi il calcio professionistico o le elezioni negli U.S.A.). Credo che non si debba parlare tanto di immoralità quanto di disumanizzazione dell’umanità. Un cancro che dall’occidente si sta trasferendo verso oriente e da nord verso sud. Un pianeta in frantumi, alla deriva dell’irresponsabilità diffusa. Lo so, questa è un’analisi amara e sconfortante, che forse dovrebbe richiedere una sorta di rivoluzione culturale e spirituale dei popoli, che, partendo da una realistica presa di coscienza, vada a colpire i cuori dei singoli, oltre che l’intelligenza. A metà dell’800 ne “Il denaro” Lev Tolstoj affermava: “Il denaro non rappresenta altro che una nuova forma di schiavitù impersonale, in luogo dell’antica schiavitù personale”. E oggi, dopo due secoli, non vi sembra che il processo di schiavizzazione vada avanzando ed estendendosi sempre più? Mi farete notare che i nostri tempi sono tuttavia intrisi di contrasti paradossali, perché si parla anche di una grande sete di spiritualità: ma quanto essa è vaga e indefinita? Restiamo infine noi credenti che non vogliamo considerare irreversibile quel processo perverso: siamo pronti infatti a denunciarlo a voce alta e, al tempo stesso, nutriamo la speranza e la voglia di una nuova evangelizzazione. È una sfida difficile, da affrontare con tanto coraggio e tanta vitalità perché è in gioco la conquista di una vera giustizia nei popoli. Ma noi non siamo soli: dalla nostra parte abbiamo il Magistero di una Chiesa forte e determinata che ci ispira, ci sorregge, ci indica “la via, la verità e la vita”. Ora che ho terminato la mia riflessione, prendo dal cassetto il mazzo di carte (siciliane) e ripesco la donna di denari: è davvero dipinta con un viso così infido... -6- Leonardo Cancelli “Quid non mortalia pectora cogis auri sacra fames” scriveva Virgilio, il disincantato ribelle Vasco Rossi cantava “conta sì il denaro, altro che chiacchiere, me ne accorgo soprattutto quando non ne ho”. Da sempre il denaro, veicolo di compravendita è oggetto dell’ avidità dell’uomo, sia pure con enfasi diversa secondo le epoche storiche, dalla rivoluzione industriale, al materialismo marxiano con la teoria del plusvalore, dal liberismo del laissez faire, allo statalismo di keynes, al consumismo occidentale contestato negli anni 60 e 70 e poi esaltato negli edonistici e “colorati” anni ’80, quelli dei “giovani rampanti intraprendenti… sono yuppies o yappies per chi mastica l’inglese” (cantava Luca Barbarossa). Con il declino dell’etica e l’enfasi del successo, dell’autoaffermazione e del consumismo, che si accompagna alla crescita delle economie dei paesi asiatici (tanto che dal Vaticano stesso il Santo Padre Benedetto XVI avrebbe affermato che il consumismo occidentale sfrenato è forse peggio del comunismo) sono esplosi, solo per citare l’Italia, gli scandali finanziari, si pensi al caso Parmalat, ma perdurano anche fenomeni di pratiche illecite reiterate quali l’aggiottaggio, l’insider trading, la depenalizzazione del falso in bilancio, le false pensioni di invalidità, nonché l’esportazione di capitali all’estero da parte di Vip delle più disparate estrazioni socio culturali, artisti, politici, persone di destra e di sinistra, l’evasione fiscale. Tutti questi fenomeni sono sintomi di una visione individualista gretta, miope e particola-ristica della vita sociale, dell’esaltazione dell’avidità (wall street… “greek is good”), veicolata anche dai mass media, che fa muovere l’economia e che antepone il privilegio al bene comune (pagare le tasse per lo stato sociale). Tutto ciò affonda le radici nel liberalismo californiano che ispirò Reagan come nel “familismo amorale” italiano. La crisi di wall street dell’87 come nel ’29 e la grave recessione che perdura dal 2008, rappresentano il collasso, l’implosione di grette logiche liberiste e fanno sperare che la globalizzazione, sia pure con i suoi lati negativi, incentivi un più etico, razionale, sobrio e responsabile stile di vita. IL SICOMORO DI GIONA Alfredo Palieri Bel tipo, Giona. Simpatico, anche nelle sue stravaganze. Recalcitrante agli ordini del Signore, finisce per tre giorni nella pancia della balena. Poi si ravvede e siccome predica molto bene riesce a convertire i Niniviti che si ravvedono con penitenze e digiuni. Ma poi chissà cosa gli è frullato nel cervello! “Dio deve essere Dio solo di Israele. Perché mi ha fatto convertire i Niniviti?” È rabbuiato e soffre per il caldo. Ma il Signore premuroso gli fa crescere vicino un bell’albero di sicomoro alla cui ombra Giona trova refrigerio. Ma per poco tempo. Un verme morde il sicomoro e lo fa seccare. Giona si arrabbia ma il Signore, ridendo, gli dice. “Perché ti arrabbi? Il sicomoro è effimero. Oggi c’è ma domani non c’è più. Invece rallegrati, perché con la tua predicazione hai fatto tornare a me i Niniviti”. Il denaro è effimero come il sicomoro di Giona e mai questo è vero come nel nostro mondo, il mondo del consumismo. I mass media, con la loro propaganda, spingono ad acquistare l’ultimo modello di televisore, di auto o di cellulare ultra moderno, mentre invece i modelli che abbiamo in casa vanno ancora benissimo. Spreco quindi di materiali e di risorse umane che potrebbero essere utilizzate verso i paesi poveri. Aumento dei prezzi e allora… inflazione! Nel 1943 un cavolo che prima costava poche lire balzò nel prezzo a cento lire, tanto che si disse: “Un cavolo costa cento lire! Il guaio è che cento lire valgono un cavolo!”. Su un piatto della bilancia metto diecimila euro e sull’altro piatto ci metto un auto nuova. Ma può darsi che domani, con il rincaro dei prezzi, quei diecimila euro varranno soltanto un pezzetto di quell’auto. Il denaro è effimero. Giovanni Reale, ricevendo di recente la laurea “honoris causa” all’Università di Lublino, in Polonia, ha evidenziato che già Eraclito, Socrate, Platone, Epicuro e Plotino avevano messo in guardia dalla caducità del denaro e dei beni materiali e che la bramosia del possedere rischia di far perdere la vera essenza dell’anima che è l’unica a dare identità alla persona. Robinson Crusoè, nell’isola deserta, trova il relitto di una nave piena di monete d’oro ed esclama: “Biondo denaro, inutile ciarpame!”. Ma a che gli serviva il denaro in quell’isola deserta? L’Utopia di Tommaso Moro è invece un’isola dove tutti lavorano nei campi agricoli oppure a costruire strade e case e hanno tutti diritto ad andare nei grandi magazzini a prendere gratis cibo, vestiti o ciò di cui hanno bisogno. La moneta serve solo per gli scambi commerciali con le altre isole dove vige la mentalità del mondo usuale. Bello ma, appunto… un’utopia. Ma a sintetizzare molto bene il tutto ci ha pensato come sempre nostro Signore Gesù il quale disse: ”Date a Cesare quel che è di Cesare”. Cioè vuol dire che è saggio l’impiego del denaro. “Ma a Dio quel che è di Dio”. Stringendo meglio: “Non si può servire a Dio e a Mammona!”. E mammona, naturalmente, altri non è che il cattivo impiego del denaro. A buon intenditor... well di Nicoletta Palmieri CENTRO ESTETICA & BENESSERE Via Lattanzio 1/A - 00136 Roma tel.06 39751438 - Cell. 3384724534 www.esteticanicolettapalmieri.it nicolettapalmieri @alice.it DENARO, SEDUZIONE DEL MONDO Luciano Milani La parola Denaro nasce dalla parola latina Denarium, moneta d’argento del valore di 10 assi, derivata dall’aggettivo “deni-ae-a” concordato col sostantivo “numus” e quindi Moneta a 10 a 10. Nella protostoria, quando tra gli umani incominciò ad instaurarsi la vera vita di relazione col cessare del nomadismo, nacque la necessità di acquisire da parte dei singoli soggetti, ciascuno le cose di cui aveva bisogno. Tale necessità fu allora soddisfatta mediante lo scambio di cose contro cose, ma ci si avvide subito che il metodo non sempre si rivelava idoneo a soddisfare i bisogni dei permutanti. Si ricorse allora a qualcosa che fungesse da mezzo di intermediazione negli scambi, che fu individuato in una cosa che in un’economia primordiale, basata esclusivamente sulla pastorizia e su una primitiva agricoltura poteva, risultare, all’epoca, d’interesse universale: il capo di bestiame. Questo nel latino arcaico veniva indicato con la parola Pecus, donde il termine Pecunia. Più tardi, nel periodo storico, l’oggetto di intermediazione fu sostituito dalla moneta metallica coniata esclusivamente dallo Stato, ormai costituitosi. E quindi, cambiò anche la terminologia, da Pecunia a Denaro. Quanto sopra per un breve accenno alla storia del Denaro nella nostra terra. Ma la storia della monetazione italiana richiederebbe ben altri spazi per essere narrata, soltanto a partire dal Principato romano, passando attraverso le varie monetazioni degli Stati preunitari fino alla Lira dell’Italia unificata e quindi alle Amlire del Governo alleato 1943 – 1945 e da ultimo fino all’Euro, tuttora in età infantile. Fin dalla sua invenzione, tutti hanno ben compreso la grande importanza del denaro, ed oggi costituisce ormai l’unico mezzo di intermediazione in tutta l’attività economica. Per tale carattere universale ed esclusivo, tutto deve essere valutato col metro del Denaro, perfino il valore della vita e dell’integrità fisica e morale dell’uomo. Ma qual è negli stati moderni la fonte primaria, da cui scaturisce il denaro? È a tutti evidente che tale fonte è il lavoro dell’uomo. Da qui la necessità che sia riconosciuta al denaro una valenza sociale e politica, ponendolo al servizio dell’economia generale del Paese e quindi dell’uomo. Ma la nostra società pare che in questo nostro tempo abbia proprio dimenticato questa sua funzione essenziale. Pare proprio che al ruolo strumentale del denaro nei confronti dell’economia sia stato sostituito quello della speculazione finanziaria delle Borse operanti a livello planetario e con la rapidità di movimento che consente i moderni mezzi di comunicazione, i quali attuano il trasferimento di masse ingenti di denaro da un capo all’altro del mondo in una manciata di secondi. Chi non ricorda le gravissime ferite inferte dal fallimento di una grande banca USA nel non lontano 2008 a tutta l’economia occidentale? E chi di noi italiani non è seriamente preoccupato dalle turbolente operazioni speculative, che ci vengono raccontate ad ogni telegiornale? È proprio di questi giorni l’autorevole richiamo del Presidente della CEI Cardinal Bagnasco, il quale, facendo riferimento alla Caritas in veritate, ha messo in guardia gli italiani dal pericolo della speculazione ormai immanente all’attività finanziaria anche nel nostro Paese. L’illustre porporato ha parlato apertamente di una “…tecnocrazia transnazionale anonima che potrebbe prevalere addirittura sulle forme della democrazia. C’è una oligarchia operante nel settore finanziario – afferma il Cardinale che comunica in segreto e impone le proprie scelte speculative fino a mettere in discussione la stessa democrazia”. In una parola, il denaro usato per produrre altro denaro soltanto a beneficio di pochi avidi finanzieri senza scrupoli, anziché per porlo al servizio dell’economia generale, per aumentare posti di lavoro e creare una migliore distribuzione della ricchezza, specialmente in quelle regioni del pianeta afflitte dalla miseria. Non sarebbe inutile agli attuali governanti fare una rilettura attenta delle encicliche sociali più recenti, specialmente della Laborem exercens e della Caritas in verirtate. Tale rilettura li aiuterebbe a ricollocare il denaro nel posto che la Storia gli assegna, come frutto del lavoro umano, inteso questo, nel significato cosmico di attività espletata dalla persona umana. Ai sedotti dal denaro, che cercano di possederne la massima quantità possibile, come quella promessa nelle scandalose riffe di stato, vorremmo ricordare la massima del Libro dei proverbi: “Chi ha fretta di arricchirsi non sarà esente da colpa”. E a coloro che già ne possiedono enormi quantità vorremmo consigliare di rivolgere la loro attenzione ai poveri prima che il Signore della storia faccia Egli stesso giustizia, secondo la promessa del Magnificat: “Esaurientes implevit bonis et divites dimisit inanes” (Il Signore ha colmato di ricchezza i poveri togliendola ai ricchi). -7- GIUSTI O SBAGLIATI Maria Rossi Devo confessare che il “tema” proposto non mi ha troppo entusiasmato. Non mi interessa parlare di denaro, non mi piace; ma ho dovuto come tutti imparare ad usarlo, a fare i conti con le sue leggi e a studiare un po’ di economia e di bilanci, familiari e scolastici. Sono contenta di avere con il denaro un rapporto veramente libero e molto distaccato. Ho cominciato a lavorare e a guadagnare presto, ma più per il desiderio e la smania di autonomia che la mia generazione si portava dentro che per necessità o perché i miei me lo chiedessero. Diventare autonomi era per noi un punto quasi d’onore, significava diventare “grandi” e poi sposarsi e creare una famiglia. Sogni e desideri molto normali, direi quasi banali, quaranta anni fa. Non ho mai speso molto per me, né per macchine, né per vestiti, né per gioielli. Mi piace invece, e molto, regalare, aiutare, far sorridere. Penso di essere generosa, ma non è certo merito mio. Sono nata così e ho avuto buoni esempi in famiglia. Il denaro, però, è necessario, serve a vivere serenamente, dà dignità, toglie ansie e timori per il futuro, non deve però assolutamente diventare lo scopo di una vita. A che serve averne moltissimo? A generare tormenti e preoccupazioni. Pensiamo al giovane ricco che non ha il coraggio di seguire Gesù perché non vuole abbandonare i suoi tanti averi (Mt. 19). Oppure allo stolto che ammassa nei granai e la morte se lo porta via la notte stessa (Lc. 12). Pensiamo alla vita triste di Eugénie Grandet di Balzac oppure a Mazzarò o Gesualdo di Verga, che tutti abbiamo studiato. Il mito della roba, del possedere, dell’accumulare fa loro perdere gli affetti e l’amore e muoiono soli e abbandonati. È vero! Anche D’Andrè cantava che “quando si muore, si muore soli” ma penso che si muoia e si viva ancora più soli se l’unico verbo coniugato nella vita è stato il possedere. Preferisco altri due verbi: amare e donare (beh! anche essere amato non è male!). “Mamma, tu compri soltanto profumi per te…” era il verso di una canzone che papà cantava negli anni ’60 facendosi la barba. “Papà, siamo ricchi o poveri?”, chiedeva una delle mie sorelle da piccola e si rispondeva tutta contenta, quando papà la faceva riflettere su quante cose avevamo avuto in dono, “noi siamo giusti”! Questa sua fissazione infantile sul “giusto” l’aveva portata a battezzare perfino una delle sue tante bambole “Giustina”, né grande, né piccola. Io A ROMA LA NEVE 27 ANNI FA Maria Rossi Abitavamo, naturalmente, alla Balduina e fu una nevicata straordinaria. Non ne ricordavamo una simile da anni. Silenzio, bianco soffice, macchine coperte, alberi piegati e tanti, tanti pini a terra. Era la Befana dell’Ottantacinque. che di bambola ne ho amata una sola, con lunghe trecce, una bambola che, quando si ruppe, (era di porcellana!) non volli sostituire – ma in effetti con tante sorelle più piccole non avevo desiderio di bambole e bambolotti – pensavo che “giusti” poi non eravamo. Andavamo in vacanza in campagna in una bella casa per tre mesi, e poi c’era il mare, avevamo casa, giocattoli, scuole, vestiti ecc. Per questo probabilmente non sono mai stata attaccata al denaro, l’ho ritenuto sempre uno strumento utile per fare qualcosa quando le banconote erano grandi come lenzuola, con la vecchia lira e poi con l’euro. Nella mia famiglia nonni e bisnonni appartenevano certamente ad una borghesia più che agiata di professionisti e proprietari terrieri nell’Italia di fine Ottocento e dei primi del Novecento, i genitori sono stati benestanti e colti, noi siamo assolutamente nella media della società italiana di questi anni. E i nipoti? I nipoti come buona parte dei giovani laureati in questi anni, in una realtà ben diversa da quella dei nonni e trisnonni ingegneri e avvocati, faticano a trovare lavoro e molto probabilmente sono destinati ad andare all’estero. La mia famiglia non è altro che uno spaccato della società italiana con una middle class che va scomparendo tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. La nostra generazione sta consumando quello che ha avuto in eredità e a volte penso che i nostri giovani continueranno a consumare, fino ad annullare, quanto gli altri hanno raccolto. È vero che ci sono poi i nuovi ricchi: speculatori fortunati, eroi del calcio, del cinema e della televisione che spesso sperperano in pochi anni quanto hanno guadagnato. Si pensi per quante donne e uomini di spettacolo è stato chiesto il contributo della legge Bacchelli, nata per un grande scrittore finito sul lastrico e utilizzata poi per tanti altri artisti. Penso che il più grande tradimento che possiamo fare ai ragazzi di oggi è il non consentire loro di guadagnare quanto è giusto, quanto meritano, quanto serve per vivere con dignità, crearsi una famiglia e fare progetti per il futuro, sentendosi autonomi. Ma se è colpa della nostra generazione non aver garantito loro tutto questo, penso anche che – spesso - alcuni di loro hanno pretese e aspettative sproporzionate rispetto a quello che solo nel tempo e con il tempo si può raggiungere. Ci vogliono pazienza e costanza, perchè non si può pensare di avere tutto subito, ma anche una grande speranza e tanto ottimismo per poter costruire qualcosa. Sì proprio il 6 gennaio. Una delle mie sorelle finiva il tempo per partorire e sarebbe nata Giulia, una bellissima bambina. In attesa che si liberasse la loro casa, abitavano a via Taggia e la loro R4 non partiva, sommersa dalla neve. Ricordo che l’andammo a prendere; fu una piccola avventura, e la portammo da quest’altra parte della valle in un paesaggio bianco e stupendo. Giulia però preferì aspettare al calduccio e nacque… dieci giorni dopo! -8- RICCO MA BUONO: BILL GATES Marco Di Tillo Chi non conosce quei vecchi stortignaccoli ma meravigliosi biscotti che si chiamano “brutti ma buoni”? Io personalmente li adoro, soprattutto affogati nel caffèlatte bollente. Per la persona di cui voglio parlare oggi direi invece che la frase giusta da usare è “ricco ma buono”, poiché l’uomo più ricco del mondo con un patrimonio stimato intorno ai 56 miliardi di dollari è diventato negli ultimi dodici anni il più grande benefattore del mondo stesso. Non è un film di Frank Capra né un romanzo d’appendice d’altri tempi, ma si tratta semplicemente di una bella favola moderna, il cui protagonista si chiama Bill Gates. Si proprio lui, il fondatore di Microsoft, quello che insieme a Steve Jobs ha cambiato per sempre le nostre vite, realizzando con internet ciò che oggi, ai più giovani, sembra normale ma che per quelli di noi più in là con gli anni, sembra proprio di vivere in un presente da fantascienza a cui riusciamo ancora a stento ad abituarci. Nel 2000 Gates ha fondato insieme a sua moglie la Bill & Melinda Gates Foundation, organizzazione umanitaria privata. Dopo qualche anno, il 27 giugno 2008, Gates ha dato ufficialmente le dimissioni da presidente della Microsoft dopo 33 anni, lasciando il suo posto a Steve Ballmer. Da allora il creatore di Windows ha deciso di dedicarsi a tempo pieno alla sua Fondazione che oggi vanta un patrimonio di ben 28 miliardi di dollari e che ha come presidente onorario William H. Gates, papà di Bill. Nel corso degli anni la Fondazione, che ha sede in un gigantesco Campus da dodici acri a Seattle, ha variegato la sua azione e oggi è presente in più settori operativi. Ha iniziato da principio ad occuparsi principalmente di combattere molte delle grandi malattie del terzo mondo, quali l’Aids, la malaria, la poliomelite. Ma oggi si occupa, tra le tantissime cose, anche di sviluppo agricolo per i paesi del terzo mondo, di servizi finanziari per i poveri, di problemi idrici legati all’acqua infetta che uccide attualmente circa 1,6 milioni di bambini ogni anno. Un progetto costato fin ora 1,7 miliardi di dollari è quello per combattere la povertà in Africa. Un progetto a lungo termine partito ben 5 anni fa e che mira a investimenti in campo agricolo al fine di migliorare le tecniche e soprattutto di incrementare la produttività nei paesi sottosviluppati. Secondo i dirigenti dell’organizzazione i margini di tempo per cui ottenere dei risultati tangibili potrebbero aggirarsi intorno ai 20 anni. La fondazione no-profit del fondatore di Microsoft ritiene di poter contribuire con 150 milioni di dollari ad aiutare il continente Africano a uscire da condizioni di povertà estrema entro il 2025. Nella speranza che questo possa essere un obiettivo concretamente realizzabile un dato su cui riflettere: più del 70 per cento dei poveri del mondo dipendono dall’agricoltura sia per il loro cibo che per il reddito. Un impegno a breve termine, attraverso cibo o donazioni, non costituisce una soluzione definitiva ai gravi problemi di queste popolazioni, questo è quanto ritie- ne Roy Steiner, il vice direttore della fondazione per lo sviluppo globale di “Gates Foundation”, che ha dichiarato: “Dare cibo alle persone è certamente necessario quando c’è una crisi“. La fondazione Gates ha investito milioni nella ricerca di semi, nell’acquisto e la distribuzione di fertilizzanti, migliorando l’educazione degli agricoltori e facendo pressione morale sui governi per fare in modo che investano di più nell’agricoltura. Una continua cooperazione con i governi dei paesi coinvolti risulta decisiva perché questi interventi mirati non restino dei miraggi di sviluppo per realtà del cosiddetto terzo mondo. Il 30 gennaio scorso Gates e la sua fondazione erano presenti in un grande convegno organizzato a Londra insieme alle 9 più grandi compagnie farmaceutiche e ai rappresentanti dei maggiori governi del mondo per combattere insieme le malattie tropicali ancora presenti nei paesi del terzo mondo. La Fondazione si occupa principalmente di distribuire denari ai vari beneficiari e, cosa a mio avviso ancora più importante, di organizzare al meglio le risorse in dotazione, con corsi di formazione, aggiornamento ed organizzazione pratica sul campo. Così, se sono stati distribuiti ben 5 bilioni di dollari in beneficienza sia nel 2010 che nel 2009, tra le tante attività pratiche in via di realizzazione c’è il miglioramento della produttività del latte nel Bangladesh, la microirrigazione dei campi agricoli in india e i corsi di formazione per i neocoltivatori di caffè africano. Con partner pubblici e privati, inoltre, si sta contribuendo ad incrementare la micro finanza e a favorire conti di risparmio accessibili alle persone povere. Nel mondo ci sono oggi circa 1 miliardo di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno. I poverissimi sono diminuiti rispetto a 50 anni fa, quando ce n’erano il 25% in più. Ma una persona su sette in tutto il mondo vive ancora oggi sull’orlo della fame. Sono ancora troppi. Gates è convinto che bisogna fare ancora tanto e soprattutto negli investimenti innovativi in quei settori di aiuto ai piccoli agricoltori per produrre più cibo, che è il modo migliore per combattere la fame e la povertà. -9- INCONTRO CON LA CHIESA ANGLICANA IL BENE E IL DENARO Cesare Catarinozzi Roberto Vecchione Seguendo una tradizione ormai consolidata anche quest’anno, in occasione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, la Fraternità di S. Antonio in via Merulana ha promosso un incontro ecumenico. L’ospite di turno è stato l’anglicano dr. Daniele Rizzo, della comunità anglicana di All Saints in Roma. -Ciò che pochi sanno- ha esordito il dr. Rizzo- è che la Chiesa Anglicana ha una lunga tradizione di comunione con la Chiesa Cattolica. Nel 1500 papa Gregorio Magno mandò in Inghilterra S. Agostino di Canterbury per approfondire l’evangelizzazione. Nel 1534 Enrico VIII volle il divorzio da Caterina d’Aragona, con cui era imparentata, per sposare Anna Bolena. Il divorzio gli venne ovviamente negato. Allora il re proclamò con un atto la sua supremazia. Ma per consumare lo scisma da Roma c’erano altri motivi. L’Inghilterra cominciava ad essere una potenza marittima e temeva la supremazia della Spagna, con cui voleva allora rimanere unita; inoltre un terzo dei beni ecclesiastici fino ad allora era andato alla Chiesa Cattolica e per gli altri due terzi andavano pagate ingenti tasse al papa. Importante era poi nella Chiesa Anglicana una profonda esigenza di rinnovamento, esigenza che faceva anche suoi alcuni temi di S. Francesco (esistono ancor oggi gli anglicani francescani, c’è anche un nucleo ad Assisi). Ma il vero momento in cui nasce la Chiesa Anglicana, con una sua autonomia ed una sua libertà, è con la regina Elisabetta I. La sovrana infatti cercò di conciliare l’anima cattolica con quella protestante, dopo numerosi bagni di sangue, eliminando tra l’altro le indulgenze e le superstizioni riguardanti le reliquie. La sintesi venne realizzata con “Il libro delle preghiere comuni”, mirabile sintesi di spiritualità protestante e cattolica. Richard Huker, verso la fine del 1500, scrisse un mirabile trattato sulla struttura della Chiesa d’Inghilterra; Huker affermò che la differenza con la Chiesa Cattolica non è tanto dottrinale, quanto appunto nella struttura: nella Chiesa di Roma al vertice c’è il Papa, nella Chiesa Anglicana c’è una struttura sinodica, con una camera di vescovi, una del clero ed una dei laici, sia pure coordinate dall’arcivescovo di Canterbury. Molti ritengono a torto che il capo della Chiesa Anglicana sia il sovrano. È presente nella Chiesa Anglicana il culto mariano: alla Madonna sono dedicate molte chiese e cappelle, così come esiste il culto dei santi, con cui pregare insieme Dio. Con la colonizzazione l’Inghilterra ha creato molte Chiese di natura anglicana, tra cui particolarmente importante quella in Nigeria. Da un fatto episodico è nata negli anni novanta la donna sacerdote, che però non è ben vista da tutti gli anglicani. I sacerdoti anglicani possono sposarsi. L’incontro si è concluso con un appello a tutti coloro che credono in Dio, di qualunque religione, a fare fronte comune per difendersi dal laicismo dilagante. Si è infine pregato insieme ed è stata offerta al dr. Rizzo ed alla sua comunità, il libro delle Fonti Francescane. L e N. de Liguori s.r.l. A g enzi a Ge ner al e H D I Assicurazioni 00195 Roma- Via Timavo, 3 Tel. 063759141 (r.a.) - Fax 0637517006 [email protected] - 10 - Il denaro apparentemente è quella cosa che consente all’uomo di essere e di sentirsi libero dalle necessità materiali, ma che in qualche modo può condizionare il giudizio che le persone possono formulare su chi di denaro ne possiede tanto. Infatti, chi ne ha molto, può esercitare più facilmente il potere, avere successo, aumentare le proprie possibilità di conquista dell’altro. Il denaro può dunque contribuire al raggiungimento di obiettivi ambiziosi e aumentare il carisma ed il fascino. Il filosofo tedesco ebreo, convertito al cristianesimo, Georg Simmel (18581918) (nella foto, ndr.) nella sua opera ”Filosofia del denaro” lo considerava un simbolo dell’epoca moderna, nella quale i valori qualitativi vengono sostituiti da quelli quantitativi e lo spirito oggettivo domina su quello soggettivo fino a condurre l’uomo all’alienazione. Secondo Simmel pur di possedere denaro, l’uomo ormai ha acquisito un atteggiamento pragmatico nell’affrontare qualsiasi situazione e quindi il prossimo ha senso se è fonte di profitto e la vita delle persone viene misurata, programmata e monetizzata. Lo scrittore francese Charles Peguy (1873-1914) riteneva allarmante che l’uomo si fosse “fatto Dio” e non si rendesse conto che Dio ha voluto l’uomo; nel suo libro “Denaro” mette in evidenza come la società moderna sia ormai plasmata e pervasa dal denaro che ha sostanzialmente modificato il modo stesso di intendere la vita, per cui il lavoro, la morale ed il rispetto sono condizionati ed assorbiti dal profitto. Una visione della vita e delle relazioni umane incentrata sul possesso e sul mantenimento dei beni materiali, può avere effetti devastanti sulla psiche umana; se invece considerassimo il denaro solo un mezzo per vivere decorosamente e non un idolo da adorare, a cui chiedere la vita e a cui sacrificare la vita stessa, riusciremmo a vivere cristianamente, a non violare il comandamento NON RUBARE e a considerare il denaro come una manifestazione Provvidenziale grazie alla quale poter aiutare concretamente il nostro prossimo più bisognoso. IL DENARO CI MISURA Francesco Tani Il denaro è un mezzo di cui ci serviamo per scambiare beni, anche se talvolta vi sono situazioni patologiche in cui il mezzo diventa il fine, come avviene per l’avaro o anche per lo scialacquatore. Tra le tante considerazioni che la parola denaro mi fa venire in mente ne scelgo una: il denaro può essere visto anche come uno strumento di misura dei valori. Non, però, del valore oggettivo del bene che si acquisisce o che si cede in cambio del denaro: rispetto al denaro non ritengo che esista una oggettività del valore del bene. Che è, infatti, variabile, dipende dalle leggi di mercato, dalle condizioni socioeconomiche, dai rapporti di forza, per cui uno stesso bene oggi ed in un luogo viene scambiato con una quantità di denaro diversa da quella con cui è stato o sarà scambiato in un altro tempo o in un altro luogo. Penso invece al fatto che il denaro o, meglio, il modo in cui usiamo il denaro, sia una misura dei valori che ciascuno dà alle cose, un indicatore della scala di valori che ogni persona porta in sé come risultato della sua formazione, delle sue esperienze, delle sue condizione e dei suoi desideri. Un esempio evidente di questo è il collezionista di francobolli: è disposto a spendere molto denaro per un francobollo raro senza alcun riferimento al valore intrinseco dell’oggetto (un pezzetto di carta colorata ha un valore di produzione assai basso), mentre altri non prendono neppure in considerazione un acquisto del genere. Osserviamo allora come alcuni impiegano consistenti somme di denaro, talvolta a costo di rinunce, per acquistare capi di abbigliamento griffato od un orologio particolare, mentre altri sono soddisfatti, spendendo assai meno, di abiti normali e di un orologio che sia semplicemente adatto a farci conoscere l’ora. Alcuni impiegano il denaro per divertimenti vuoti di contenuto ed altri per un libro, per ascoltare musica o per andare a teatro. Vi è chi pensa al denaro come una forma di sicurezza e lo impiega per beni durevoli e lo risparmia, e chi invece lo spende per banalità. Interessante è anche l’uso del denaro per l’acquisto del cibo: compro ciò che mi è necessario o mi faccio invogliare da tante cose o da quantità non necessarie con il rischio poi di buttare via ciò che non consumo. Ed ancora il denaro può essere impiegato per aiutare e sostenere chi ha bisogno (ad es. le adozioni a distanza) oppure per soddisfare il desiderio del superfluo. Questa incompleta e stringata carrellata di esempi rivela come, osservando il modo in cui una persona utilizza il denaro, si possa capire, si possa misurare, la scala di valori che la stessa dà alle cose. Questa scala di valori viene trasmessa a chi ci è vicino, a chi ci osserva, a chi ci prende a modello e ad esempio, con una forza persuasiva molto maggiore delle parole con le quali, talvolta in contraddizione con i comportamenti, cerchiamo di comunicare modelli teorici di riferimento. È quindi importante fermarci ogni tanto a fare un esame di coscienza su come usiamo il denaro e, se necessario, modificare i nostri comportamenti, convertirci ad un uso dello stesso che sia più sobrio, più aderente a quanto ci chiede la Parola, magari meditando sull’incontro di Gesù con il giovane ricco. MA COME FUNZIONANO LE BANCHE? Gregorio Paparatti Le banche moderne sono il risultato del processo evolutivo che si è sviluppato nei secoli. La testimonianza sull’esistenza di istituzioni bancarie, la troviamo nel Vangelo (Matteo XXV 14.30), nella parabola dei “talenti”, dove il padrone che ritorna da un lungo viaggio loda i servi che hanno messo a frutto le somme loro affidate, e castiga il servo che le aveva tenute nascoste dicendogli:” dovevi dare il mio denaro ai banchieri, che ti avrebbero dato gli interessi.” La vera attività bancaria trova le sue origini presso quei popoli che, dediti al commercio, regolavano i loro affari attraverso lo scambio dei prodotti. Gli inizi di una vera e propria attività di intermediazione si possono datare all’epoca del Rinascimento; dove i grandi mercanti, avendo rapporti di affari in tutto il mondo allora conosciuto, costituirono una rete di corrispondenti con i quali operavano a mezzo di “lettere di cambio”. I biglietti banca fecero la loro prima comparsa in Svezia nel 1661, per iniziativa della Banca di Stoccolma; il sistema poi si diffuse definitivamente nel 1694 quando venne fondata la Banca d’Inghilterra. Successivamente, viene sviluppandosi un processo evolutivo volto ad una sempre più specializzazione delle banche nelle diverse attività collaterali, rimanendo ferme quelle istituzionali di: raccolta del risparmio e concessione di prestiti. La banca esplica le sue funzioni attraverso una continua opera di raccolta e di impiego del risparmio, nel rispetto delle disposizioni previste dall’Organo di Vigilanza (Banca d’Italia), per la tutela dei depositi e l’esercizio del credito. Tutte queste operazioni formano dei gruppi con caratteristiche omogenee, che possiamo così suddividere: Le Operazioni Principali attraverso le quali la banca svolge la classica funzione di intermediazione del credito si dividono in: 1) Operazioni di raccolta: primaria (con la clientela), derivata (con altre banche), indiretta (custodia titoli). 2) Operazioni di impiego: per cassa (mutui, scoperto c/c, anticipazioni su titoli, sconto effetti, etc), di firma (fidejussioni, aperture di credito documentario, accettazioni bancarie). 3) Operazioni di investimento (acquisizione di valori mobiliari ed immobiliari). Ci sono poi : 4) Operazioni Complementari chiamate anche servizi che la banca, attraverso la sua organizzazione, mette a disposizione dei clienti: cassa continua, cassette di sicurezza, emizzione di assegni circolari, carte di credito, bancomat, pagamento utenze, travellers cheques, servizio incasso effetti. 5) Operazioni Collaterali dette parabancario, con le quali la banca soddisfa le esigenze della propria clientela, servendosi di società esterne specializzate nei settori di intervento: leasing, factoring, fondi comuni di investimento, consulenze, gestione fiduciaria di patrimoni, studi economici. - 11 - COME IL DENARO E LA POLITICA STANNO CAMBIANDO IL MONDO Renaro Ammannati Toni Negri e Michael Hardt pubblicarono nel 2000 un saggio che fece molto scalpore sia in Italia sia all’estero, dal titolo Impero. Il mondo aveva appena varcato la soglia del primo decennio dalla caduta del muro di Berlino e si apprestava a vivere una nuova epoca, quella della globalizzazione. Gli Stati Uniti parevano essere diventati i padroni del mondo e questo ruolo, pianificato o assunto per forza di cose, sembrava ridisegnare irreversibilmente i rapporti politici ed economici fra nazioni e continenti. Le pagine di Impero sono caratterizzate da una densa e complessa filosofia, talvolta di difficile comprensione a causa del registro linguistico adottato (Negri, infatti, appartiene a quella sinistra radical-chic che fa del marxismo una religione esoterica, per pochi, obbligata a dialogare con le masse solo perché strumento per le loro rivoluzioni personali – un po’ quello che Orwell racconta ne La fattoria degli animali). Al di là di questa critica, non può essere nascosto il valore profetico di certe pagine del saggio. Per profetico intendiamo qui la capacità di Negri e Hardt nell’individuare le tendenze del mondo avvenire. La globalizzazione ha determinato l’espansione planetaria della logica del libero mercato, ossia la mondializzazione della produzione e degli scambi economici. Uno degli effetti più dirompenti è stato ad esempio la rilocalizzazione delle attività industriali e produttive nei paesi più poveri, dove la manodopera è sottopagata e sottoposta a massacranti turni di lavoro. Ciò ha comportato una diminuzione sensibile della produzione industriale nei paesi occidentali, con immancabili ricadute sui tassi di disoccupazione. La globalizzazione ha offerto poi ai mercati finanziari la possibilità di operazioni prive di verifiche e limiti, sottraendoli, di fatto, al controllo politico. Questo è il segnale che la sovranità politica degli Stati-nazione è entrata ineluttabilmente in declino: le decisioni politiche vengono ora prese altrove, mettendo in discussione le basi democratiche della vita politica. Il cittadino diventa un mero strumento e non un attore della politica e dell’economia. La sovranità popolare è oramai ricordo del passato, sostituita ora da una nuova entità, che Negri chiama Impero. Il termine potrebbe tuttavia risultare fuorviante, inducendo a credere di essere alle soglie di una riedizione degli imperi ottocenteschi. Per Negri siamo invece di fronte a una forma per certi aspetti inedita di impero, poiché esso non è confinato dentro spazi geografici: esso appare essere senza centro né periferie: “Impero” è ovunque, potremmo sintetizzare. Nella sua costituzione, questo mostro che emerge dagli abissi della storia umana polarizza le tre diverse forme del potere attorno a soggetti ben identificati: la forza militare, che si manifesta attraverso gli Stati Uniti e altre organizzazioni militari ad essi collegate come la Nato. Il potere politico, incarnato dagli organismi di controllo dei flussi finanziari come la Banca mondiale o il Fondo monetario. L’aristocrazia, infine, identificata nelle grandi multinazionali (che organizzano la produzione e la distribuzione dei beni), nelle potenti società finanziarie (che amministrano enormi fondi) e, più in generale, in tutte quelle compagnie e società che hanno accesso al capitale. Gli sviluppi di questo nuovo e inquietante rapporto fra mondo della finanza e dell’economia da un lato e della politica dall’altro (dagli esiti finali al momento imprevedibili) sono evidenti dentro i confini dell’Unione Europea, in Grecia e Italia. In particolare, in Italia, la grave crisi economica ha sospeso la democrazia. Il governo dello Stato è stato sottratto ad una maggioranza eletta dal popolo sovrano e consegnato ad una personalità, la quale, benché autorevole, era completamente estranea alla vita politica del paese (Monti ha avuto accesso alle Camere parlamentari grazie ad una nomina a senatore a vita prima di assumere la Presidenza del Consiglio). Si obietterà forse che questa prassi è vecchia quanto il mondo. Anche anticamente si sospendevano certe libertà nei momenti di pericolo e si ripristinavano una volta superati. In questi casi a Roma si eleggeva un dittatore: molti ricorderanno certamente Lucio Quinzio Cincinnato, cui il Senato romano diede pieni poteri nel 458 A. C.. Scrive Tito Livio a proposito di quell’avvenimento: “Accorse in massa anche la plebe, la quale però non era altrettanto lieta di vedere Cincinnato, sia perché giudicava eccessiva l’autorità connessa alla dittatura sia perché, grazie a tale autorità, quell’uomo rappresentava per loro un’accresciuta minaccia: fu per tale ragione che quella notte, a Roma, tutti vegliarono”. Certo, Cincinnato non approfittò della sua posizione. Una volta compiuta la missione, riconsegnò il potere e l’autorità al Senato. Ma quella era, forse, una situazione differente dalla nostra presente. La repubblica era stata proclamata a Roma pochi decenni prima. Il ricordo doloroso della monarchia era ancora fresco. Oggi il mondo e l’Europa stanno al contrario facendo ingresso in una nuova età imperiale, come suggerisce Negri. Dunque è più probabile che, piuttosto che all’epoca di Cincinnato, il momento attuale sia comparabile all’epoca di Ottaviano (Augusto), qualche secolo più tardi. - 12 - I PIU’ RICCHI DI TUTTI I TEMPI Paperon de’ Paperoni Aristotele Onassis John Rockefeller Re Mida Andrew Carnegie Cornelius Vanderbilt Bill Gates Carlos Slim Helu LA RUBRICA DELLA VITA GUARDANDO LA NEVE Luigi Guidi DENARO PUBBLICO CONTRO LA VITA Giuseppe del Coiro Da qualche tempo il Ministero dell’Economia e l’Agenzia delle Entrate hanno promosso una campagna radio-televisiva contro l’evasione fiscale. I messaggi vogliono comunicare che senza entrate non è possibile fornire servizi pubblici: «Se tutti pagano le tasse, le tasse ripagano tutti», inoltre mettono in giusta luce l’evasore fiscale definendolo parassita della società. Tale campagna pubblicitaria, che ha come obiettivo di ridurre il fenomeno dell’evasione anche grazie ai comportamenti attivi dei cittadini e di renderli consapevoli che senza entrate, non è possibile fornire servizi pubblici, mi sembra che offra il fianco ad alcune precisazioni. Innanzitutto, ci sarebbe da rivedere la pressione fiscale che nel nostro Paese ha raggiunto percentuali eccessivamente elevate. In secondo luogo, sarebbe opportuno analizzare meglio e più in profondità il motivo per cui lo Stato richiede al contribuente entrate sempre più alte e le modalità dell’amministrazione dei soldi pubblici: quali servizi rende ai cittadini. Si potrebbero elencare la carenza e la precarietà di molti servizi di pubblica utilità come i trasporti, l’assistenza sanitaria, l’istruzione e via dicendo, oltre allo sperpero di denaro utilizzato per erogare servizi non solamente inutili e costosi ma soprattutto dannosi e immorali come, ad esempio, la pratica dell’aborto legalizzato. In sostanza: è giusto pagare le tasse ed ottenere i servizi pubblici, ma come esprimere il mio disappunto e la mia frustrazione quando mi rendo conto che i miei contributi finanziano anche attività che non condivido come l’aborto, sia pure da tempo legalizzato? Dall’entrata in vigore (1978) della legge 194 i cittadini italiani pagano di tasca loro l’uccisione dei bambini nel grembo materno e mai nessun governo fino a ora ha osato mettere in agenda quantomeno l’eventuale taglio della spesa pubblica con la quale si finanzia il genocidio dei non nati. Si richiedono sforzi economici da parte di tutti per affrontare il difficile momento di crisi attraverso contributi di solidarietà, prelievi straordinari e balzelli di ogni tipo, eppure il presunto diritto di uccidere l’innocente a spese della collettività non può venire meno, nemmeno in parte. Proviamo a fare qualche calcolo: ogni aborto costa in media 1.300 euro e grazie alla legge 194 ogni giorno, solo in Italia, si fanno circa 315 interruzioni di gravidanza con un costo giornaliero di circa 410.000 euro e annuo di circa 149.650.000 euro. Se prendiamo in considerazione il trentennio di applicazione della norma con i suoi 5 milioni di aborti arriviamo alla cifra astronomica di 6.500.000.000; tutti soldi dei contribuenti utilizzati dallo Stato che, con leggi inique e contrarie alla legge naturale, perde la sua autorità e legittimità morale. Oltre ai soldi spesi per impedire la nascita di nuove vite, si devono aggiungere quelli dovuti per far fronte ai danni causati a quelle madri che hanno abortito. Infatti, come è ampiamente documentato, la cosiddetta “sindrome post aborto” è molto diffusa tra le donne che hanno fatto ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza e si manifesta con sintomi psichiatrici molto rilevanti e duraturi: ansia cronica, forti stati depressivi, tendenze suicide, propensione all’alcolismo e alla tossicodipendenza. Tutto ciò si ripercuote sulle casse dello Stato togliendo risorse altrimenti impiegabili. A questo punto c’è da chiedersi chi è il vero parassita che impedisce alla società di crescere e svilupparsi? Le recenti nevicate su Roma hanno avuto, come si sa, effetti disastrosi da ogni punto di vista. Questa è una città dove il traffico si blocca e diventa di una lentezza esasperante in tempi normali: figuriamoci quando vengono giù trenta centimetri di neve. Molta gente è stata costretta a sopravvivere due o tre giorni con una minestrina e un tozzo di pane raffermo. Avevano creduto che si sarebbe trattato di una nevicatina da quattro soldi, come sempre nel recente passato, e non si sono preoccupati di fare qualche provvista. Il Pronto Soccorso degli ospedali si è affollato a causa delle fratture provocate dalle cadute di anziani, adulti e anche bambini che giocavano a palle di neve. Sono a conoscenza di dializzati che sono rimasti bloccati dentro casa e hanno rischiato di morire; e può anche darsi che qualche dializzato sia morto davvero. E via discorrendo, disagi a non finire. Tutto ciò mi ha dato modo di riflettere, con il naso schiacciato sul vetro gelido della finestra mentre guardavo i fiocchi scendere incessantemente, sulla precarietà della nostra condizione su questa terra, visto che basta un niente per ridurci all’impotenza o per alterare il normale corso della nostra vita. Questa precarietà è un fatto oggettivo. Non ci mettiamo al mondo da soli e il mondo in cui siamo messi non l’abbiamo fatto noi, stentiamo a comprenderne le leggi che lo regolano, e siamo continuamente spiazzati dalla sua imprevedibilità. Di fronte a tanto, che cosa fare? Sono convinto che risolvere questo problema in maniera sbagliata può portare alla rovina, ed alla rovina eterna. Dovremmo forse abbandonarci al pessimismo? O cercare magari di accumulare beni, ricchezze, denaro e tesori per ogni evenienza? Certo, la tentazione di pensare di poter risolvere tutti i problemi con le ricchezze di questo mondo, compreso il denaro, è forte e terribilmente fuorviante. Chi vi cade si allontana in maniera davvero critica dalla verità. Passare la vita ad accumulare ricchezze – di qualunque ricchezza si tratti – distoglie l’anima dalla fede in Dio e nella Sua provvidenza e rende insensibili alle necessità del prossimo, facendoci chiudere in noi stessi e nel nostro egoismo, cosa quest’ultima che è l’esatto contrario di ciò che Dio è: carità, dono di Sé. Il ricco epulone, che banchettava ogni giorno e a cui non mancava proprio nulla, fu condannato all’inferno proprio per aver sempre ignorato le necessità del povero Lazzaro (Lc. 16, 20-31). La soluzione al problema è semplice, ma richiede più la comprensione del cuore e l’intuizione che l’intelligenza, trattandosi di materia di fede. “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio... tutto è stato fatto per mezzo di lui... e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv. 1, 1-14). Significa in sintesi che l’unica realtà necessaria è Dio, poiché Egli non ha mai avuto inizio e non avrà mai fine, e che quindi tutto il resto, noi compresi, è opera di Dio ed è nelle sue mani. Per questo la Bibbia afferma che il giusto vive di fede (Abacuc 2,4), che è maledetto chi confida in un altro uomo e pone nella carne il suo sostegno (Geremia 17, 5), mentre è benedetto chi confida nel Signore (Geremia, 17, 7). La nostra roccia è Dio (2 Sam 22,2). Se poi vogliamo avere un’idea precisa su chi è Dio, chi è Colui nelle cui mani siamo, basta che diamo uno sguardo a Gesù crocifisso, crocifisso per i nostri peccati, per ottenerci il perdono e darci la vita eterna. Egli stesso, tra le altre cose, ci ha insegnato a chiamare Dio con il nome di Padre. Poniamoci di fronte a Lui con lo spirito dei veri figli, ed avremo da Lui tutto ciò che ci è necessario. - 13 - LE MONETE DI NONNO ERASMO Antonio Stamegna Quando ero ragazzino e vivevo a Gaeta, la domenica, prima di andare a messa, io e i miei due fratelli più piccoli passavamo da casa dei nonni materni che abitavano sulla strada per la chiesa dei SS. Cosma e Damiano. Andavamo da soli, sembra incredibile a pensarlo oggi che facciamo fatica a concedere a figli già più grandi di quanto non lo fossimo noi di tornare da soli da scuola. Salivamo al primo piano della casa che, come la maggior parte delle abitazioni dell’antica via Indipendenza, si sviluppava su due piani, con due stanze e il bagno al piano superiore e la cucina, la sala da pranzo e il bagnetto al piano terra. Al primo piano, nella piccola cameretta con il minuscolo balcone pieno di gerani, ci attendeva nostro nonno Erasmo, già vestito da elegante contadino alla domenica, con la camicia rigorosamente bianca e allacciata in gola senza cravatta e la giacca grigia, seduto pesantemente su una sedia antica con i braccioli che lo aiutavano ad alzarsi, la barba già fatta dalla nonna, che lo accudiva dopo l’ultimo attacco di gotta, e con addosso l’odore del dopobarba. Aveva superato gli ottant’anni, era sofferente ma non aveva mai perso la sua aria elegante di gentiluomo di campagna e, quando si metteva in piedi, era ancora imponente. Entravamo nella stanza in ordine di grandezza e, così, a turno, andavamo ad abbracciarlo ed era allora che l’odore di dopobarba si faceva più intenso e mi accorgevo, dalla pelle liscia del suo volto, che la mano di nonna Maria era ancora fermissima, quando lo radeva. A volte mi sembrava che i suoi occhi fossero lucidi, mi sembrava felice ed avevo la sensazione che quel momento rappresentava qualcosa di importante anche per lui. Forse soprattutto per lui. Come ho capito poi negli anni, certamente era molto più importante per lui che per noi tre. Eppure noi avevamo il nostro interesse: nonno Erasmo, in rigoroso ordine crescente ci richiamava a lui e ci depositava nella mano rispettivamente 100, 200 e 300 lire già predisposte sul comodino. Trecento lire! Mi sembravano una cifra enorme, ci vivevo di rendita per tutta la settimana tra caramelline del tipo dieci lire dieci caramelle, bustine di figurine, gomme da masticare che se eri fortunato ne vincevi altre, ghiaccioli al limone e, quando c’era la giostra, qualche giro sull’autoscontro. Sentirmi quelle tre monete in tasca mi faceva sentire ricco e soprattutto non dovevo darne conto a mia madre come invece avveniva per i soldi delle strenne, banconote da cinquantamila lire che vedevo solo passare dalla mano dell’altra nonna Maria, la nonna paterna proprietaria di una bottega di alimentari a quelle di mia madre, a Natale. La sensazione che mi dava il possesso di quelle tre monete non me la dava la vista di una banconota che ne valeva oltre centocinquanta volte di più ma che andava a depositarsi in un anonimo libretto di deposito. Anche di questo avrei avuto modo negli anni di apprezzarne i vantaggi. Racconto questo episodio con la voglia di ricordarlo a me stesso e ai miei figli, nella speranza di poter tramandare loro la capacità di sentirsi felici anche con poco. Ma, nell’epoca del consumismo e dei danni del suo eccesso, di telefonini a dieci anni e di paghette consumate in favore di aziende di telecomunicazione, con la difficoltà di giustificare un no dinanzi alla frase “ma tutti gli altri ce l’hanno”, non è facile. Sono passati solo quarant’anni ma è come se fossero trascorsi quattro secoli. Eppure oggi, dopo tanto benessere, tutto è reso più difficile dalla precarietà del momento e, forse, le monete di nonno Erasmo, oggi sono sostituite da assegni che i nonni, pensionati più fortunati, emettono a favore di nipoti precari. Quello che non potrò mai dimenticare sono gli occhi di mio nonno quando ci donava le sue monete. E CHI NON CE L’HA? Giancarlo Bianconi “Il denaro non porta la felicità”. Almeno così si diceva un tempo, o molto probabilmente anche tuttora, non saprei dire. E forse è anche vero. “Pensa un po’ chi, in questa valle de lacrime, manco ce l’ha!”, faceva giustamente osservare qualcuno con aria sorniona un po’ di tempo fa. Ma chi l’ha detto poi - domando io - che compito del denaro a questo mondo debba essere necessariamente anche quello di procurare felicità? Nessuno, a quanto mi è dato di sapere. Un risultato del genere il denaro può forse ottenerlo unicamente con Paperon de’ Paperoni che si fa la doccia con getti di monete d’oro ovvero, con espressione beata e tutto elegantemente vestito, cilindro in testa compreso, si tuffa a nuotare in una piscina ricolma di pepite d’oro. Ma Paperon de’ Paperoni però, come tutti sanno, è semplicemente un personaggio da fumetto, simpatico quanto si vuole ma pur sempre solo un personaggio da fumetto. Poi..., poi, però, riflettendoci bene a proposito dell’assunto d’apertura, quanto meno un piccolo dubbio prima o poi potrebbe anche porsi, come si è posto a me, e cioè: come mai sempre più gente è disposta a compiere, e all’occorrenza compie effettivamente, azioni di ogni genere, anche se non propriamente... come dire... oneste e trasparenti, pur di procurarsi sempre ulteriori mezzi finanziari? Esempi del genere, e neanche tanto pochi purtroppo, non si può certo dire che manchino: sono proprio sotto gli occhi di tutti. Non passa giorno, infatti, come ognuno avrà avuto modo di osservare, che dai numerosi mezzi d’informazione non si venga bersagliati con notizie concernenti personaggi che hanno compiuto gravi illeciti (e con i quali peraltro da anni mantengono una tranquilla consuetudine) per procurarsi sempre ulteriori capitali. E la considerazione inquietante è che si è talmente abituati a tale consuetudine che una persona qualunque che si comporti semplicemente in modo corretto viene considerata alla stregua di un eroe ovvero di un santo o quasi, e in ogni caso degno di essere pubblicamente presentato come eccezionale e fulgido esempio di virtù. E quel che più rattrista - e indigna pure, diciamocelo francamente - è che individui del genere (malavita e delinquenza comune a parte, per le quali occorrono considerazioni di altra natura peraltro non pertinenti in questa sede) appartengono ad ogni settore della vita sociale, non solo cioè della politica ma anche della finanza, della sanità, dell’amministrazione pubblica e privata e persino dello sport il quale, almeno in linea di principio, dovrebbe essere quello più lontano da tal genere di comportamenti, “il più puro” cioè. Personaggi, in altri termini, indubitabilmente abbienti di per sé o, quanto meno, certamente non disagiati o in stato di assoluta necessità. E allora? E allora altre motivazioni, diverse dalla pura e semplice, e anche se più che legittima, aspirazione a raggiungere la felicità spingono tal genere di soggetti a compiere ignobili azioni. Per tentare allora di comprendere il fenomeno, un pista da percorrere potrebbe essere quella di avere preliminarmente cognizione del significato che da parte di ognuno viene attribuito al termine “felicità”. È evidente che se per felicità ognuno intende, tanto per fare solo qualche banale esempio, solo quella di possedere un elegante appartamento magari con vista sul Colosseo e magari - perché no? - anche regalato da qualcuno a propria insaputa (chissà, dalla Befana per esempio, per il motivo di essere stato buon per tutto l’anno), ovvero una fantastico yacht per averlo a disposizione durante l’estate allo scopo di trascorrervi le vacanze e possibilmente anche un SUV (che qualcuno ha simpaticamente chiarito essere l’acronimo di Sempre Unicamente Villani) per compiere viaggi di piacere, ovvero ancora ... Ecco! Se per felicità s’intende tutto ciò, non è chi non veda che, per poter raggiungere tale stato emotivo, soprattutto avendone l’opportunità ma più spesso creandosela al momento adatto, unitamente alla personale convinzione di essere più astuto di chiunque altro, pochi o, forse, nessuno si asterrebbe dal compiere atti anche illeciti. Del resto anche il proverbio lo dice: l’occasione fa l’uomo ladro. E qualcun altro ha malignamente aggiunto a guisa di completamento: “Dipende solo dall’ammontare”. Diverso, però, è il caso se per “felicità” s’intenda la piena coscienza di aver operato e di continuare ad operare correttamente e senza danneggiare nessuno o, meglio ancora, per il bene altrui. Basti pensare, anche se solo per un istante, a tutti coloro che, religiosi e laici, ai quattro angoli del mondo operano quasi sempre con personali disagi, fatiche, e spesso anche con sofferenze e rischi, al solo ed unico scopo di recare sollievo a gente peraltro del tutto sconosciuta. Ma anche a tutti coloro che, anche senza muoversi dalla propria città e senza grandi sforzi o sacrificio e senza alcun rischio, svolgono attività di qualsiasi genere in favore e sollievo del prossimo. A tutti costoro, sono più che certo, non potrebbero mai presentarsi le opportunità sopra descritte né, del resto, sarebbero in grado di riconoscerle. È però fuori di dubbio che meglio sarebbe se si potesse disporre anche di un appartamento magari donato, o di uno yacht o di un SUV o ...O mi sbaglio? - 14 - Lettere in redazione SEMPRE A PROPOSITO DI CONVERSAZIONE Qualcuno ha scritto “La conversazione è l’arte di raccontare agli altri un po’ meno di quanto vogliono sapere”. Be’, è sicuramente meglio restare con la curiosità piuttosto che essere costretti ad ascoltare quelle persone che invece di comunicarti subito sensazioni, opinioni, sentimenti, si dilungano a spiegarti ogni cosa per filo e per segno tipo non solo la trama del film che hanno visto, compreso il curriculum del regista e di tutti gli interpreti, ma anche l’anno di costruzione del cinema, il percorso automobilistico fatto per raggiungerlo, inclusi sensi unici, deviazioni obbligate e semafori e, se sanno che hai la metro bus card, anche l’elenco degli autobus che si fermano lì vicino. Risultato: smetti di ascoltare e non ha più importanza sapere se per loro quel film valeva la pena di essere visto, tanto hai già deciso che tu non andrai mai a vederlo. Al contrario quando ti trovi con una persona intelligente puoi pure conversare a monosillabi o anche solo con lo sguardo. Con gli amici o le persone care, poi, conversare diventa parlare a cuore aperto senza paura di sbagliare o di essere giudicato perché sai comunque di essere amato ed accettato per quello che sei. Ma a volte ti restano nell’animo anche quelle strane conversazioni imbastite in treno, in aereo, in autobus, all’estero con perfetti sconosciuti in un’atmosfera percepita da entrambi sincera e disarmante forse perché non vi vedrete mai più e per lo spazio di qualche ora o anche di pochi minuti si incontrano e convivono serenamente universi lontanissimi. Maria Pia Zamparelli NEGOZI CHE CHIUDONO, BANCHE CHE APRONO Molti piccoli negozi del nostro quartiere stanno chiudendo un po’ per mancanza di clientela, in questo tempo di crisi, un po’ perché i proprietari delle mura aumentano troppo la richiesta per l’affitto mensile. L’ultimo a lasciarci è stato il negozio-edicola di piazza della Balduina, storico venditore di giornali, libri, giocattoli e Dvd. Se ne vanno uno dopo l’altro. Abbassano le vetrine, lasciando spazi vuoti che spesso rimangono tali per anni. Un enorme spazio vuoto e triste è stato l’ex negozio di elettrodomestici di via delle Medaglie d’oro 421, quello vicino al giornalaio, che ha chiuso alcuni anni fa. Ci accorgiamo che proprio negli ultimissimi tempi ha preso il suo posto il Gruppo Immobiliare Toscano che vende case. Ma in questo momento di crisi la gente ce l’ha i soldi per comprare case ? Speriamo di si, se no chiude pure quello tra un po’. Ci appelliamo a tutti i proprietari affinché in questo difficile momento storico frenino le loro richieste economiche per gli affitti, non costringendo ad impossibili sacrifici commercianti e venditori e evitando a noi abitanti della zona di vivere in un quartiere fatto solo di negozi dalla saracinesca abbassata per sempre oppure in un quartiere fatto solo di banche che alla fine fanno sempre incetta di immobili. Avete visto quante banche ci sono nel nostro quartiere? Fabiana Conte INSIEME PER IL PINETO CHI SIAMO L’Associazione Onlus “Insieme per il Pineto” nasce grazie all’iniziativa di alcuni cittadini del quartiere preoccupati per il degrado in cui verte l’area del Parco Regionale del Pineto adiacente al quartiere Balduina, in special modo dal lato di via Damiano Chiesa. Nella sua storia recente quella zona del Parco ha subito vari incendi, e l’assenza di controllo ha portato spesso all’insediamento nel suo interno di campi abusivi che hanno reso il parco una discarica a cielo aperto e costretto più volte le forze dell’ordine ad intervenire e a rimuovere i materiali depositati, con grandi spese per la comunità intera. Tutto ciò non ha reso possibile la fruizione e l’utilizzo responsabile da parte degli abitanti del quartiere. Nello svolgimento della sua attività l’Associazione in particolare attua e promuove iniziative e progetti volti alla tutela e valorizzazione del Parco naturalistico urbano del Pineto, con particolare attenzione alla zona confinante con la Balduina, per la salvaguardia, la fruizione sociale, la partecipazione alle attività del Parco e al controllo della gestione dello stesso, nell’ottica di incrementare lo sviluppo di interessi culturali in campo biologico, botanico, ludico-recreativo, sportivo connessi con l’uso corretto del Parco. L’Associazione attua e promuove ogni altra iniziativa e/o progetto finalizzato alla valorizzazione, alla tutela, alla promozione della salvaguardia e della fruizione sociale delle aree verdi urbane. Per lo sviluppo di questi obiettivi, l’Associazione promuove e diffonde la cultura e l’informazione, contribuisce alla formazione, anche presso le istituzioni scolastiche, sui temi della qualità dell’aria e dell’ambiente, della tutela e valorizzazione degli habitat nazionali, dello sviluppo sostenibile, anche attraverso l’organizzazione di seminari e incontri, la promozione, la pubblicazione e la divulgazione di studi e ricerche; l’ideazione e la realizzazione di progetti sui temi anzidetti. Nell’ambito delle sue finalità l’Associazione si propone di intervenire nella realizzazione di impegni ed attività associative tramite la formazione di commissioni o gruppi di studio o di lavoro specializzati nei vari campi di interesse; nell’organizzazione del dopolavoro, favorendo l’incontro tra i soci per fini solidaristici di reciproco scambio di esperienze, nel convincimento che la partecipazione ed il coinvolgimento dei cittadini sono fondamentali per il raggiungimento di intenti comuni sulla base di comuni sensibilità. Associazione Onlus Insieme per il Pineto Presidente: Roberto Conforti Sede: Via Romeo Rodriguez Pereira, 211 00136 - Roma (RM) Email: [email protected] Telefono: 392 8174595 www.insiemeperilpineto.it I NOSTRI BENEFATTORI Hanno contribuito a questo numero: Radio Elettrica Balduina, via de Carolis 107 Caffè Carloni, via Friggeri 149-151 Centro Estetica di via Lattanzio 1/A Erboristeria di via Seneca 69 dal 1966 alla Balduina STAMPA A RILIEVO - OFFSET - DIGITALE Edilelectric di Fabrizio Di Demetrio Power Point, via D. Galimberti 41 L. & N. de Liguori srl - 15 - Belsito Sport, p.le Medaglie d’Oro Tipografia Medaglie d’Oro, via Appiano 36 Made in Italy srl dott. Paolo Gabrieli, Commercialista Maria Pia Maglia Cesare Catarinozzi Alfredo Palieri Anonimo Pochintesta da Porchiano Anonima “Continuate così” Maria Rossi Giulia e Marco LA NEVE NEL NOSTRO QUARTIERE Il tema del prossimo numero è: “Incontrarsi” La casualità di un incontro, l'incontro cercato, il destino che pilota un incontro. Incontrarsi per sempre nella vita oppure soltanto al bar, alla stazione, sul treno. Incontri di gusti, di esperienze, di abitudini, di sogni. Incontrarsi sul web. Incontrarsi dopo tanto tempo. Incontrarsi dopo un dissidio. Incontrarsi per poco e poi perdersi di nuovo fino al prossimo incontro. L' incontro con Dio. Termine per la consegna: 17 marzo 2012 [email protected] Foto di Alessandra e Marco Angeli, Maurizio e Maria Luisa Degol, Gregorio Paparatti, Lùcia Aiello, Alfonso Molinaro, Pier Luigi Blasi, Paola Baroni. Parchetto di piazza Giovenale La chiesa San Pio X Piazza della Balduina Via Damiano Chiesa Via Ugo de Carolis Parco del Pineto- lato via Appiano Ragazzi dell’oratorio Parco del Pineto- lato via Papiniano Piazza della Balduina Via delle Medaglie d’oro Largo Maccagno Via Ugo de Carolis Via della Balduina - 16 - Via Rodriguez Pereira