aparte
la rivista
periodico
culturale
e
organizz
ativo dell
’associaz
ione pec
n° 9 - lug ci arte
lio 2010
COSE NOSTRE
l’associazionepecciarte
si interessa di arte contemporanea e dei campi culturali a essa correlati nel presente e nel passato,
svolge attività di assistenza volontaria alle mostre del Centro Pecci, organizza gite, corsi di studio e pubblica la rivista aparte.
Chi vuol partecipare o soltanto saperne di più, è invitato all’assembleache si svollge ogni mese,
presso l’auditorium del Centro Pecci a Prato, o ci può contattare all’indirizzo: [email protected]
attività fatte da marzo a giugno 2010
FIRENZE: “Alla Maniera d’Oggi” .
GENOVA: Mostra “Isole mai trovate” + Visita Musei dei Palazzi Storici.
PARMA: Mostra “9CENTO”.
ROMA: caravaggio.
FIRENZE: Incontro Dibattito e Cena dedicata all’artista Magnelli al Caffè Storico Letterario “Giubbe Rosse”.
FIRENZE: Visita Galleria Bagnai nella nuova sede. Galleria Frittelli: importante mostra sulla “Mec Art”.
PRATO: Museo Pecci , mostre ed incontri
PRATO: Galleria Open Art: bellissima mostra sul grande artista Jenkins
attività da fare
BELGIO * SVIZZERA : Gita Estiva 19-26 Agosto - Bruxelles-Anversa-Gant-Bruges-Basilea
GALLERIE
frammenti pop-metafisici
Frammenti, interferenze, zig zag di
colori, e tanta voglia di luce nelle
opere di Lucio del Pezzo.
Gli oggetti la fanno da padroni nei
riquadri delle tele, negli acrilici, nei
collages, nelle ardesie e hanno talvolta la sospensione metafisica di
un Magritte se non di un De Chirico. Sembrano planare “nell’azzurro” o guardarsi in un muto colloquio
(“Il filosofo e il poeta”). Giocano in
“Geometrie”, si ordinano razionalmente nei “Casellari”, diventano
misteriosi nel “Laborintus”, fino a
comporsi, alla maniera di Mirò, nel
“tempo che si spegne senza calore”.
Alla galleria Armanda Gori Arte.
La realtà di via Genova
Gli spazi espositivi collocati nella
‘zona di via Genova’ conquistano
sempre più visitatori giovani e un
pubblico attento alle performances
e alle proposte artistiche nelle varie
gallerie che hanno trovato in quei loft
ex industriali la loro naturale sede
urbana. Sono spazi che non sfigurerebbero a Milano o Roma, ma nemmeno a New York , a Londra, a Dusseldorf.. Il coraggio e la passione dei
giovani imprenditori di questi spazi,
off rono mostre di prima qualità :un
video di J.Jenna “In-Visibile” (Interno
8); tre generazioni di Morellet (Vault);
Ecce Home: che meritano una sosta
lungo il variegato itenerario culturale
e artistico della Prato contemporanea”.
SHORAKKOPOCH
M.Hofner e A.Rovaldi hanno in comune
la predisposizione per il viaggio e per il
ritrovamento lento ‘delle’ e ‘nelle’ cose.
Attraverso pretiche differenti costruiscono racconti di luoghi in cui la dimensione
fisica dell’attraversamento è inseparabile da quella a posteriori della memoria e
dell’intimità.
Hofner trascorre diversi mesi dell’anno in
territori di confine tra Cine e Tibet, spazi essenzialmente desrti dove le uniche
tracce umane sono le tende dei nomadi,
edifici semiabbandonati o sacri.
Rovaldi è invece maggiormente legato ad un immaginario dell’ovest inteso
come traiettoria di spostamento, spazio
sconfinato o vagheggiata dimensione
selvaggia.
I viaggi non sono necessariamente fisici.
Shorakkopoch è un progetto pensato a
New York e che viene presentato per la
prima volta in Italia. A cura di D.Ferri, c/o
Magazzino 1b via Genova, in collaborazione con Spaziorazmataz.
ringraziamenti
per le immagini dalle mostre: il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, il Museo del Tessuto, il Caffè Storico Letterario “Giubbe Rosse”.
aparte la rivista - n° 9 - luglio 2010
Periodico trimestrale culturale e organizzativo (aut. n° 8/2006-Trib. Prato) dell’ASSOCIAZIONE PECCI ARTE - Sede operativa: Centro per l’Arte Contemporanea,
viale della Repubblica 277, Prato - Sede legale: c/o Studio Compagnini, via Tintori 31, Prato - CODICE FISCALE: 92028030481 - e-mail: [email protected] Direttore responsabile: Fabio Barni - cAPO REDATTORE: Attilio Maltinti - Redazione: Roberto Badiani, Cristina Bellini, Giovanni Bianchi, Mattia Crisci,
Luna Crisci, Lucia Giovannelli, Maria Cristina Mengozzi, Antonella Mezzadri, Alessia Vitolo. - ART DIRECTOR: Alessandro Pierattini Stampa: Tipografia La Marina, Calenzano - Luglio 2010
sommari
2
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5
6
8
10
11
12
13
Stefano Pezzato
Trame d’arte e identità d’inganni
Stefano Pezzato
Dark Matter
Alessandro Pierattini
Astrazione e Realismo
Roberto Badiani
THe CliMate is ChAnGing
Lazzerini Antonella Mezzadri & Lucia Giovannelli
Attilio Maltinti & Luciana Schinco
Isole Mai Trovate
Nicola Benelli
Ricordando Gianni Sassi
Mario Maffii
Lo potevo fare anch’io
Luna Crisci
La Magia della Ceramica
Giacomo Biondi
Omaggio ad Alberto Magnelli
in copertina ed in questa pagina : variazione di “bianco su bianco” di Chiara Bettazzi - Museo del Tessuto Prato
in ultima di copertina: un’opera di Sandra Tomboloni
foto di Alessandro Pierattini
TRAME D’ARTE.
IDENTITÀ E INGANNI
Il progetto espositivo per Gemine: Muse. Percorsi di giovani artisti nelle città italiane tra storia
e arte, al Museo del Tessuto di Prato dal 15 maggio al 18 luglio 2010
Per la settima edizione, da quando è iniziato nel 2001, il progetto nazionale Gemine:Muse presenta lavori inediti di giovani artisti posti in stretta relazione con luoghi della memoria e opere
d’arte in numerose città italiane. Lo spirito del progetto promosso dal GAI (www.giovaniartisti.
it) è quello di promuovere nuove forme artistiche all’interno di un contesto, quello del nostro
paese, fortemente connotato da presenze storiche che sono la vera fonte a cui attingere e a cui
far riferimento per la creazione più recente.
Il nostro presente non può prescindere dal suo passato, anzi ne è la diretta conseguenza, il
riflesso condizionato: questo è il concetto. L’intenzione non è, evidentemente, quella di far scaturire ripetizioni o semplici imitazioni, bensì quella di innescare corrispondenze, confronti originali e dialoghi intergenerazionali, trasversali perfino ad ambiti culturali diversi quali possono
essere quello delle arti visive e quello della produzione tessile.
Quest’anno il luogo prescelto dalla città di Prato, nella persona del suo Assessore alla Cultura, è
per l’appunto il Museo del Tessuto, mentre l’organizzazione dell’esposizione è stata affidata al
Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci. La mostra che ne è risultata ha per titolo TRAME
D’ARTE e sintetizza un percorso “di genere” tutto al femminile in cui s’intrecciano fra loro le ricerche di tre giovani artiste toscane e il contenitore forse più emblematico di una realtà culturale fondata sulla moderna produzione industriale, soggetta ad una trasformazione epocale con
profondi riflessi economici e sociali. Nodo strategico di tale realtà risulta essere la stessa città
di Prato che, nel corso degli ultimi decenni, ha assunto anche il ruolo di fulcro/laboratorio per
la sperimentazione artistica attuale all’interno di un’area urbana metropolitana che si estende
ormai senza soluzione di continuità da Firenze a Pistoia.
Le tre artiste invitate in questa occasione si confrontano con la propria IDENTITÀ, focalizzando
il loro lavoro sul tema del “corpo”: evocato, mascherato, trasformato, quindi piegato al gioco
di INGANNI messo volutamente in atto fra espressione e rappresentazione, inquietudine e appagamento, orrore e incanto. Il corpo, piuttosto che come arma di seduzione o strumento di
affermazione personale, è utilizzato dalle artiste come forma spontanea o elemento linguistico
attraverso cui riflettere sulla propria condizione esistenziale, per opporsi agli stereotipi femminili e rivendicare la libertà individuale di pensare e agire, di essere anziché di apparire.
Il lavoro di Chiara Bettazzi (Prato, 1977) si fonda su una sapiente capacità di selezione e raccolta di prodotti vintage, costumi e accessori rari, arredi d’epoca e oggetti legati all’ambiente
domestico, alla dimensione quotidiana e ad un immaginario di sensualità e frivolezza. L’ultima
variazione sul tema Bianco su bianco (2007-2010) assume la forma dell’installazione accuratamente costruita dall’artista, fissata in strati di metafisico candore, trattata come un’immagine
assoluta, un reperto di vita sospeso nel tempo. La scena creata al Museo del Tessuto, a ridosso
dell’antica caldaia dell’ex fabbrica Campolmi, rimane muta, pervasa da un’irreale solitudine e
distaccata bellezza.
K
R
R
A
E
D
T
T
MA
Un’installazione multimediale dell’architetto,
autore del progetto d’ampliamento del Centro Pecci di Prato, e una scritta al neon hanno
inaugurato il 14 aprile 2010 l’attività della sede
distaccata del Museo Pecci a Milano
Dark Matter è la “materia oscura”, per noi abitanti di un insignificante e peraltro meraviglioso astro galleggiante nell’immensità sconfinata
dell’universo; oscura per noi indagatori assetati
di conoscenza, dall’infinito all’infinitesimo, perennemente alla ricerca di verità, speranze o illusioni.
«L’essenza della natura è immutabile tra tutti i
fenomeni mutevoli.
La scienza, l’arte non hanno limiti poiché quel
che è oggetto di conoscenza è illimitato, innumerabile e l’innumerabilità e l’illimitatezza sono
uguali a zero.
Se le creazioni del mondo sono vie di Dio e “le
sue vie sono impenetrabili”, lui e la sua via sono
uguali a zero.
Se il mondo è la creazione della scienza, della
conoscenza e del lavoro e se la loro creazione è
infinita, allora è uguale a zero.
Se la religione ha conosciuto Dio, ha avuto conoscenza dello zero.
Se la scienza ha conosciuto la natura, ha avuto
conoscenza dello zero.
Se l’arte ha conosciuto l’armonia, il ritmo, la bellezza, ha avuto conoscenza dello zero.
Se qualcuno ha avuto conoscenza dell’assoluto,
ha avuto conoscenza dello zero.
Nella ricerca di Zoè Gruni (Pistoia, 1982) l’indagine plastica sulla corporeità, già affrontata
dall’artista attraverso performance e fotografie, si sviluppa qui con il video e il disegno, trasformando in icone un nuovo campionario di forme fantastiche e riferimenti ancestrali. La figura
mitica di Ureo (2006), sorta di animale/dio interamente ricoperto di iuta, è ripreso in un’azione
di valore simbolico all’interno di un fiabesco habitat acquatico. Nell’inedita serie Metapotere
(2009) figure liriche quanto oniriche assumono invece l’aspetto istintivo di membra e organi
primordiali disegnati a carbone su fondali teatrali. Sono presenze delicate e sorprendenti che
spuntano fra le collezioni storiche del Museo del Tessuto.
Il percorso artistico intrapreso da Cristiana Palandri (Firenze, 1977), inteso come continuo e ininterrotto “flusso di coscienza”, si traduce in evoluzioni successive quanto eterogee di esiti e mezzi: apparizioni, distorsioni, espansioni, aggregazioni, concrezioni, attraverso disegni, fotografie
o in forma di scultura organica come Tricofera (2006), impressionante estratto da una testa
di cui rimane solo la traccia fisica o di cui piuttosto evoca il pensiero. U.O. (2009) rappresenta
d’altra parte l’ultimo sviluppo di una serie di performance compiute dall’artista, azioni rituali
di vestizione e mutilazione del corpo tramite l’avvolgimento e la costrizione, spinte al limite
dell’intralcio fisico e della sparizione. In questo lavoro, il primo dell’artista in video, la pratica
naturale del vestirsi/coprirsi è trasformata in una metamorfosi forzata artificialmente, associata
a una condizione di precarietà fisica ed esistenziale.Nel suo insieme Gemine:Muse s’inserisce
“in punta di piedi” nel percorso espositivo del Museo del Tessuto, sbirciando per così dire fra
le vetrine, le colonne e le volte ribassate della parte più antica del complesso di archeologia
industriale, accompagnati dal suono dolce dell’acqua nel video di Zoè Gruni, accolti dalle luci
soffuse che illuminano i suoi disegni, per poi prorompere con la forza dell’improvvisazione,
non lontana da quella musicale, presente sia nella scultura fatta di capelli e nel video della
performance di Cristiana Palandri sia nell’installazione ambiente di Chiara Bettazzi all’interno
del locale caldaia.
Stefano Pezzato curatore della mostra
foto Bettazzi
foto © Federica Lazza
Non c’è esistenza né in me né fuori di me, niente può cambiare niente, poiché non c’è niente
che possa cambiare e non c’è niente che possa essere cambiato.»
Così scriveva il suprematista Kazimir Malevic, autore del famoso Quadrato nero (1913), introducendo la sua teoria sul «mondo come non-oggettività». E successivamente annunciava: «Io
ho valicato l’impossibile e con il mio respiro ho creato abissi.»
Sognare l’inaudito, sondare l’inscrutabile, concepire l’inimmaginabile, allora è questo la “materia oscura”?
foto Marco Badiani
«Nel bel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura ...»
Fu proprio uno smarrimento nell’ignoto a dare l’incipit all’incredibile “viaggio” di Dante nell’al di là mistico medievale.
Nell’al di là cosmico contemporaneo, oltre il limite fisico della materia «nell’unità di tempo e dello spazio», ci proiettano invece i “buchi” (1949), i “tagli”
(1958) e le opere successive di Lucio Fontana, tra cui la serie emblematicamente intitolata La fine di Dio (1963-64): «è una dimensione nuova ... questo
vuoto dietro ... è la dimensione dell’infinito, senza fine.»
Così dai “buchi” e “tagli” di Fontana, passando per l’Ambiente spaziale a luce nera (1949) dello stesso artista, il Vuoto (1958) di Yves Klein e la Caverna
dell’antimateria di Pinot Gallizio (1958-59), approdiamo all’individuazione teorica dei “buchi neri”, corpi celesti senza dimensione e densità infinita, punti
astronomici di non ritorno spazio-temporale.
Su un’analoga base teorica si basa anche l’attuale studio scientifico della materia che compone l’universo, di cui solo il 4% ci risulta visibile, mentre del
restante 96% non sappiamo praticamente niente: Nobody Knows, possiamo ben dire utilizzando il titolo della mostra e dell’ultima opera (una grossa
sfera ricoperta da copertoni neri) realizzate da Paolo Canevari al Centro Pecci di Prato nella primavera 2010.
A queste premesse si può ricollegare l’installazione multimediale Dark Matter (2010) di Nio Architecten, fondata sul concetto cosmologico di “materia
oscura” e incentrata sul connubio fra creazione artistica, produzione industriale e innovazione tecnologica.
Quest’opera da forma al mistero dell’immaginazione, alla relazione recondita fra l’uomo e la natura mediata dalle tecnologie avanzate, alla contaminazione straordinaria fra reale e virtuale, fra hard e soft. Ciò che ne scaturisce è una sintesi inattesa e seducente di corpi animali in successione plastica, generati
da un’unica massa fluida, lucida come la materia di cui è composta e nel contempo oscura come l’intenzione che la sostiene.
Lo stesso Maurice Nio, a una domanda sui motivi che l’hanno portato a concepire e realizzare quest’opera, ha risposto apertamente: «non so perché l’ho
fatta».
Una chiave di lettura dell’opera può essere affidata alle immagini video inserite nella scatola d’acciaio inox, collocata ad un’estremità della scia nera di
poliestere da cui emergono le figure animali: si tratta di immagini scaricate da internet che documentano varie forme di vita animale sul nostro pianeta.
Esse rappresentano una testimonianza del filtro tecnologico che abbiamo posto tra noi e il mondo cosiddetto naturale; sono quindi la nostra proiezione
culturale di ciò che sappiamo, al livello tecnico-scientifico più sofisticato, dell’esistenza in generale.
Conosciamo appena il 4% di quanto potremmo sapere e questo calcolo approssimativo deve essere considerato già come una conquista sensazionale.
In fondo noi siamo degli esseri avanzati, mentre gli animali rappresentati da Nio Architecten, così come tutti gli altri esseri viventi e non, inclusi gli astri
celesti e ciò che ci circonda continuano ad esistere, inconsapevoli di farlo. O forse no, ma questo noi non lo sappiamo con certezza!
Sollevando dubbi anziché fornire certezze, l’installazione di Nio Architecten è l’occasione per avvicinarsi ad alcuni risvolti culturali e per addentrarsi
nell’immaginario poetico da cui trae origine un lavoro specifico, il percorso dello studio d’architettura sviluppato dal 2001 ad oggi attraverso una serie
originale di progetti e realizzazioni senza limitazioni a una particolare tipologia o categoria architettonica, spaziando da residenze private e collettive a
fabbriche, ponti, pensiline per bus, centri commerciali.
Partendo dall’ampliamento del Centro Pecci di Prato progettato da Nio Architecten, si è inteso sviluppare una connessione, realizzare un ulteriore prolungamento fra la sede museale pratese e il nuovo distaccamento milanese. L’apertura della sede espositiva del Museo Pecci a Milano, avvenuta il 14 aprile
2010, serve infatti da vetrina per promuovere le attività del Centro Pecci oltre i confini territoriali entro cui il museo opera abitualmente.
Associando due realtà come Prato e Milano, tanto diverse eppure così simili, dinamiche e intraprendenti sia in ambito economico che culturale, si è pensato che lo spazio espositivo di Milano possa funzionare come una vivace dependance del museo di Prato per aumentarne le possibilità di comunicazione
e informazione. In questo modo, come con l’ampliamento progettato da Nio Architecten, il Centro Pecci di Prato rilancia e rinnova il progetto culturale
sviluppato dal 1988 ad oggi che ha prodotto una vasta attività espositiva e raccolto un cospicuo patrimonio di opere in collezione: affermando il ruolo
di “sensore” del museo, pronto a ricevere gli stimoli culturali provenienti dall’esterno e a diffondere intorno a sè le proprie proposte e offerte artistiche
(Sensing The Waves, ricordiamolo, è il titolo dato da Maurice Nio al progetto d’ampliamento del Centro Pecci di Prato).
All’esterno dello spazio milanese è stata collocata la scritta al neon NEW MUSEUM, opera del gruppo artistico Kings, concepita nel 2006 per Isola Art
Center a Milano e quindi riproposta nel 2009 sulla piazza di Montemurlo (PO) nell’ambito del progetto Territoria #4.
NEW MUSEUM possiede la capacità di adattarsi ai vari contesti in cui è proposta e di assegnare un significato diverso ad ogni luogo in cui si trova esposta.
Nel caso del Museo Pecci a Milano evidenzia la presenza di un “nuovo museo” e, simultaneamente, genera un’associazione provocatoria con il modello
trendy rappresentato negli ultimi anni dal New Museum di New York. Finalmente anche Milano, città vocata alla moda, ha il suo New Museum!
La scritta si accende, come una qualsiasi insegna pubblicitaria, ma la sua luce verde irradia intorno a sé un altro senso rispetto alla letteralità del messaggio: essa ci illumina e ci indica la via, nell’oscurità della notte milanese.
Stefano Pezzato curatore della mostra
ASTRAZIONE E REALISMO
The Prato Project
Al piano terra del Centro Pecci, si snodano sulle
pareti , una serie di pitture geometriche a colori
forti: sono le opere murarie dipinte da Jan van
der Ploeg che attraggono la vista come un flusso
ipnotico, muovendo gli spazi, ritmando le idee.
Il tutto si snoda armonioso, fino a ricollegare ed
avvolgere la basi di nuove sculture, poste al centro dei locali, realizzate dall’artista Tom Puckey.
La solidità del marmo, e la perfezione dei tratti
e delle finiture, conferisce alle figure un realismo
sorprendente. I soggetti, tutti femminili, riproducono corpi di adolescenti in scene dove la violenza delle armi si fonde con la purezza e la sensualità provocatoria. Un mix di sensazioni forti,
mai scontate, realizzate con un materiale classico
come il marmo bianco e nero. Il tutto si osserva
su due dimensioni, una relativamente piatta delle
pareti, ma notevolmente movimentata dalle geometrie colorate e l’altra dalle forme volumetriche
e precise delle sculture. Le due realtà dialogano
e si contrappongono allo stesso tempo, creando
senza dubbio uno scenario unico.
Alessandro Pierattini
THe CliMate is Ch
AnGing
Museo del Tessut
o Prato
1
esposizione di arte tessile contemporanea in feltro
180 artisti provenienti in gran parte da Europa del Nord, (Germania , Inghilterra principalmente) America del
nord, Australia,nuova Zelanda hanno risposto ad un concorso internazionale il cui tema era di interpretare la
delicata questione dei cambiamenti climatici: gli artisti, poi scelti da una giuria internazionale, denunciano con
le loro opere in mostra l’aggravarsi delle condizioni ambientali del pianeta e si interrogano sulle responsabilita’
dell’uomo ( tema molto attuale visto il disastro Bp sulle coste atlantiche).
L’ allestimento suggestivo si sviluppa attraverso i temi della Denuncia;Fiducia e inventive soluzioni come tappe
ideali sulle quali lo spettatore e’ chiamato a riflettere .
Materiale e strumento per questi ARTISI.artigiani ( faccio notare che e’ un gran merito per una artista quello
di conoscere e saper trattare i materiali) e’ il FELTRO,un materiale duttile, easy, versatile che permette la
commistione con altri materiali : ferro,seta,carta etc....un tema di tendenza quello del riutilizzo e riciclo dei
materiali caro ai difensori dell’ambiente nel quale viviamo. NON stupisce che fra tanti rappresentanti ci siano
solo 7 italiani, infatti questo modo di lavorare artigianalmente i materiali tessili, elaborarli e trasformarli in
qualcosa di piu’ di un manufatto cioe’ trasformarli in un messaggio e’ molto diffusi nel nord Europa e nella
cultura anglo americana....purtroppo in Italia ( culla dell’Arte tessile) questo aspetto creativo dei tessuti ed affini,
non e’ sentito, ne insegnato.
Forse ha dichiarato Andrea Cavicchi; presidente del Museo nella introduzione
alla mostra...” .questo sara’ un modo per fornire stimoli alla ricerca , ed alla rivalorizzazione della cultura
dell’artigianalita’,( intesa come proprio come conoscenza ed interazione dei materiali ) comunque e’ pur sempre
un tentativo valido anche se gli italiani partecipano poco....” ed i tentativi meritano di essere, di questi tempi ,
apprezzati. Ho fatto una piccola selezione fra i lavori esposti e meritevoli di attenzione giusto per incuriosirvi.
Tra installazioni curiose ed inventive, e piccole sculture di feltro le opere raccontano la connessione far uomo ed
ambiente che lo circonda.
Mary Jane Walker, australiana ( foto 3)
L’opera e’ un groviglio di viticci, radici e foglie volta a rappresentare l’energia terrena che sostiene e nutrisce
l’uomo. E’ un messaggio di sensibilizzazione ecologica alla terra ed i suoi prodotti
2
3
Anita Larkin , australiana ( foto 4)
Lo stravagante elmetto apocalittico sembra appartenere ad una civilta’ da “ The day after”.
Forte il materiale di recupero ( manometro) che da’ un tocco di familiarita’ tecnologica tutta umana.
Anna Maria Arturo , italiana (foto 2)
mani senza acqua , mani che soffrono la desertificazione, mani che simboleggiano o bisogni fondamentali
dell’uomo.
Liz Clay , inglese
L’artista giocosa e provocativa vuole dimostrare la sostenibilità di questo tessuto come possibile recupero tessile
del futuro. E’ un aggregato lana/carta ecologico.
Dorie Van ! DijK , olandese
Questa e’ un opera messaggio ispirata ad una poesia francese, un invito a trovare soluzioni a riparare i danni
provocati.
“non aspettare il domani, non aspettare gli altri, costruisci, un mondo
migliore”
Annette Bloch , tedesca
Le tre Meduse si riferiscono al mito della Gorgona: una leggerezza, l’altra
fascino, l’altra cela i misteri a chi la osserva. all’osservatore
dell’opera arriva un messaggio quello di analizzare , e verificare e magari
cambiare il proprio comportamento
Eva Basile , italiana ( foto 1)
Sono rappresentate in questa opera le mani dell’ Umanita’ , le mani che si
sono sporcate di ogni crimine, e’ un messaggio per dire che siamo ancora
in tempo per cominciare ad essere migliori.
Come potete leggere da queste poche righe,
la mostra vale una riflessione non solo sul significato delle opere .
ma soprattutto sulla moderna elaborazione di un materiale semplice e la sua
mescolanza con altri materiali , e il riuscire degli artisti a comunicare
una emozione visiva ed un messaggio di forte impatto sociale
il vostro “viaggiatore” nella mostra
Roberto Badiani
4
La Biblioteca della Città
ISTITUTO CULTURALE E DI
DOCUMENTAZIONE LAZZERINI
Il visitatore che si trova all’ingresso , da via S.Chiara, del polo culturale
pratese costituito dalla Biblioteca Lazzerini e dal Museo del Tessuto,
non può non essere colto da un sussulto di stupore, quasi un “déjà vu”,
nell’osservare davanti a sè un’ ampia corte rettangolare, delimitata da
edifici color giallo scanditi da finestre ad arco, e al centro un’enorme
vasca con acqua corrente e una ciminiera di mattoni rossi alta 50
metri eretta nel 1896. Un richiamo inequivocabile alle celebri inquadrature metafisiche di Giorgio De Chirico .
Il recupero architettonico della fabbrica Campolmi - antica cimatoria,
esempio di edificio ottocentesco nel cuore di Prato - è opera dell’architetto progettista Marco Mattei, in collaborazione con l’architetto
Fabrizio Cecconi .
La sala d’ingresso principale della biblioteca, con accesso da via Puccetti, è un ampio spazio aperto delimitato da una copertura ad arco
a sesto acuto, realizzata in cemento armato, chiusa da una facciata a
vetri su cui si riflettono le antiche mura medievali (ricorda le antiche e
imponenti cattedrali gotiche, luoghi di culto e di meditazione). L’effetto scenografico, soprattutto notturno, è di straordinaria bellezza.
Durante uno degli incontri serali in occasione di “Libri d’Italia”, anche
un uomo di mondo come Arrigo Cipriani ( che presentava il suo libro
“Prigioniero di una stanza a Venezia” in cui narra curiosità della sua
vita trascorsa all’Harry’s bar) aveva espresso la sua meraviglia nel ritrovarsi in una sede così spettacolare .
Nelle corti esterne sono state collocate, temporaneamente, alcune
opere della collezione permanente del Centro per l’Arte Contemporanea “Luigi Pecci”: “Vacina” di Roberto Barni 2000; “La bestia” di Bizhan
Bassiri 1994/95; “Senza titolo (Ella)” di Anne e Patrick Poirier del 1989
Il passato, il presente, il futuro interagiscono armoniosamente.
cumentazione, sia contemporanea che storica.
La scelta di puntare sull’accesso libero agli scaffali, in una maniera molto più
accentuata che nel passato (125.000 sono i documenti ad accesso libero su
250.000 complessivi) si è rivelata vincente, traducendosi in un raddoppio dei
prestiti e in frequenze di fatto triplicate rispetto alla vecchia sede.
L’ampia offerta ha fatto sì che la nuova biblioteca abbia registrato nei primi
giorni di apertura (35 dal 24/11 al 31/12/2009) una media di ca. 1.000 presenze
giornaliere per la fruizione degli spazi e di uno qualunque dei servizi offerti (le
presenze sono distribuite sull’arco di una giornata). Su tale risultato hanno inciso, oltre agli orari di apertura (70,30h la settimana !!), le visite guidate al pubblico e le numerose attività culturali della sala conferenze. Se confrontato alle
370/400 presenze giornaliere rilevate dalla vecchia sede durante il 2008, il dato
conferma come la nuova Biblioteca Lazzerini sia diventata sempre più un punto di riferimento per tutta la città e di pubblici sempre più ampi e differenziati.
Ciò si è tradotto nel raddoppio dei prestiti rispetto alla vecchia sede: Dal 24
novembre al 31 dicembre 2009, i prestiti locali della nuova Biblioteca Lazzerini
hanno raggiunto un totale 11.283 unità documentarie, e nel primo quadrimestre del 2010 si sono attestati su una media mensile di 11.000 prestiti rispetto ai
ca. 4800 precedenti..
2)- Quale valore aggiunto per i giovani, gli studenti, ma anche le famiglie, i bambini e gli anziani?
Con l’inaugurazione ufficiale della nuova biblioteca, situata nel quartiere
di Santa Chiara, è stato restituito ai cittadini pratesi non solo uno dei principali luoghi culturali e di aggregazione della città, ma anche uno dei simboli
dell’identità storica e della produzione tessile di Prato (l’ex Fabbrica Campolmi), avviando così un impatto positivo per una rinascita complessiva del centro
storico.
Uno degli aspetti più affascinanti è la vitalità della nuova struttura: in tutti gli
sale di lettura, a partire dalla Hall di ingresso e dalla Sala dell’Attualità, persone
diverse ne abitano gli spazi abbinando conversazione informale e studio, relazioni e ricerca, dibattito culturale e lettura.
Tenendo conto di quanto già scritto a proposito di questa importante
realtà pratese, denominata comunemente “la fabbrica della cultura”,
è facile capire come sia stato interessante intervistare il direttore della
biblioteca Franco Neri, che ha cortesemente risposto ad alcune nostre
curiosità.
1)- Come è cambiata la biblioteca con il passaggio all’ex Campolmi?
Grande è stata l’attesa in città e nella regione per l’apertura del nuovo istituto
culturale negli spazi straordinari dell’ex Cimatoria Campolmi, così suggestivi
e intimamente pratesi. L’estensione della superficie (5.300 mq complessivi), il
fascino del progetto architettonico, la ricca gamma dei servizi, ne hanno fatto,
forse, l’evento culturale dell’anno per il territorio e, al tempo stesso, un elemento potente per valorizzare il ruolo di equilibrio, sia sociale che culturale, che una
grande biblioteca può assumere per la comunità di riferimento.
Innanzitutto è bene precisare che non si è trattato di un semplice trasferimento,
ma di una completa riscrittura della mission, dei servizi, della tipologia di opportunità offerte ai cittadini.
In questo senso il progetto architettonico, il progetto di allestimenti e quello
dei servizi si sono profondamente integrati, con l’obiettivo di creare uno spazio
bello per la collettività ed essenziale al suo sviluppo culturale e civile.
Tutto ciò si è tradotto nel profondo rinnovamento delle raccolte, nell’offerta di
servizi completamente nuovi, nella creazione di aree specifiche per l’autoapprendimento, la visione di film, l’ascolto di musico; ma anche accesso a banche
dati nuove, la possibilità di consultare – tramite Press Display – oltre 1300 quotidiani del mondo in versione integrale.
E, infine, la convivenza – all’interno delle medesime aree - di sedute e modalità
diverse di vivere lo spazio biblioteca: da quella orientata allo studio alla lettura
informale alla conversazione.
Nella nuova biblioteca si sono così fusi la tradizionale attenzione alle culture
del territorio, a partire dalla storia e documentazione locale e dalla ricchissima
offerta multilingue, e l’ambizione di essere una biblioteca ed un centro culturale per tutti i cittadini, per tutte le età e le provenienze.
Uno spazio fondamentale per la città, dunque, in cui la funzione aggregativa,
di incontro di pubblici diversi, si integra con la proposta di una ricchissima do-
Ma, ancora di più, il senso di orgoglio dei cittadini per lo splendido contesto architettonico e spaziale restituito alla città: una esperienza sociale che potremmo definire anche di bellezza condivisa, e che caratterizza, fra l’altro, il senso di
appartenenza e di frequentazione.
Pubblici nuovi hanno infatti corrisposto all’offerta del nuovo centro culturale.
Innanzitutto gli adolescenti, utenza tradizionalmente assente dalla frequentazione della vecchia sede: un pubblico nuovo che affolla le aree che meglio si
offrono alla relazione, allo scambio, alla lettura informale come la Hall d’Ingresso e la Sala Attualità o la Sala Creatività con la sua proposta di raccolte
multimediali.
Ma anche adulti over 60, che ne frequentano intensamente gli spazi; e, la domenica mattina, una utenza composita fatta anche di famiglie che raggiungono gli spazi della biblioteca dai due poli di Porta Frascati e del Centro storico.
Una struttura che è in più luogo positivo di relazioni interculturali, con la presenza di giovani di diverse provenienze culturali e linguistiche nelle aree di lettura, apprendimento, tempo libero.
3)- Che particolarità offre al pubblico pratese?
La gamma di servizi offerti all’apertura dalla nuova Lazzeriniana alla cittadinanza è stata veramente impressionante: 450 posti di lettura (2), navigazione
internet (tutti gli ambienti sono dotati della connessione wireless), visione di
film e tv satellitare, ascolto musica, apprendimento online, consultazione di cataloghi, di banche dati, di quotidiani e riviste online, servizi interculturali, servizi specifici per ragazzi e bambini, informazioni sulla città e sulle sue attività
culturali, etc.
L’orario di apertura, forse il più ampio in Italia in relazione alla ricchezza di opportunità culturali, di informazione, ricerca, tempo libero, si articola su 7 giorni
la settimana per 70,30h:
•
lunedì dalle 14 alle 20.30
•
martedì – mercoledì – venerdì e sabato dalle 9 alle 20.30
•
giovedì dalle 9 alle 23
•
domenica dalle 9 alle 13
Un’apertura che intende garantire alla cittadinanza la possibilità di poter usu-
1) Nella nuova Lazzerini è decollato, sin dal primo mese di apertura, il servizio di visite guidate, con particolare
riferimento a 3 categorie di pubblico: a) gruppi di cittadini; b) associazioni e scuole; c) operatori culturali (bibliotecari,
dirigenti culturali, etc.)
2)Portati a 560 a febbraio data la fortissima frequentazione di pubblico.
fruire dei servizi bibliotecari durante tutto l’arco della giornata (domenica
mattina compresa), con l’obiettivo di rafforzare il radicamento territoriale
della biblioteca ed il suo contatto con la comunità locale, ampliando in tal
modo le proprie fasce di utenza.
In tal modo qualunque cittadino, dal comune lettore all’adolescente allo studente al ricercatore può fruirne agevolmente le risorse. Di più, si potrebbe dire
che la biblioteca è di tutti proprio perché chiunque ogni giorno può crearsi la
sua biblioteca.
4)- Accanto alla carta “antica” dei libri, i nuovi lettori cercano anche
tecnologia?
La convivenza di materiali su supporti diversi è intensissima, e volutamente.
La scelta di collocare il 50% delle raccolte a scaffale deriva anche dall’intenzione di fare prendere confidenza a pubblici diversi (non solo agli specialisti)
di edizioni di storicità varia: dalle cinque centine alle edizioni contemporanee, dalle raccolte locali all’offerta multilingua.
Ma, integrato con questo orizzonte, una offerta altrettanto ricca di risorse
multimediali (film e musica) e di banche dati e risorse digitali.
Banche dati giuridiche; bibliografie, “spogli” e segnalazioni da periodici specialisti; l’accesso quotidiani, con Press Display, a ca. 1350 quotidiani del mondo; i principali quotidiani dagli anni ’70 al 2006 digitalizzati (alcuni in serie
completa); fonti locali digitalizzate.
In questo senso il ruolo di centro-rete del Sistema bibliotecario provinciale
esalta, in cooperazione con altri istituti del territorio, la Provincia e la Regione
Toscana, l’obiettivo di fornire un numero crescente di documenti e raccolte,
prevalentemente locali, su supporto digitale.
La Biblioteca inoltre offre ai frequentatori 105 PC, con diverse configurazioni e una efficiente rete wireless, non dimenticando che, fra i compiti di una
biblioteca pubblica, c’è anche quello di un impegno costante in progetti e
azioni di alfabetizzazione informativa del pubblico, proprio perché gli utenti,
di qualunque età e provenienza, siano in grado di utilizzare appieno le opportunità offerte.
E, fra gli utenti, anche i bambini ed i ragazzi.
Nella nuova biblioteca Lazzerini è stato recentemente attivato uno spazio
dove bambini e ragazzi possono liberamente accedere a siti selezionati adatti alla loro età, supportati anche dagli operatori della biblioteca, e PC con siti
selezionati per genitori e insegnanti.
5)- Come vede il dialogo futuro con la città?
Nel dialogo con la città si riflettono le molteplici “anime” della biblioteca:
principale biblioteca del territorio e centro-rete del sistema bibliotecario provinciale, istituzione culturale e agenzia formativa, centro di documentazione
e ricerca locale e offerta multi linguistica e interculturale.
La biblioteca è così in rete positiva con biblioteche e musei, centri di ricerca
e Istituti culturali come l’Istituto francese di Firenze, associazioni di volontariato e scuole, agenzie formative e università, teatri e biblioteche di conservazione.
Ma si pensi anche all’attività editoriale e di ricerca (particolarmente densa
quella sull’opera di Curzio Malaparte) integrata con convegni, esposizioni,
occasioni didattiche per le scuole e conferenze per larghi pubblici, o l’editoria
per ragazzi (la collana “C’è un libro” con l’editore De Agostini).
Anche per questo (e questo rappresenta uno degli orizzonti della contemporaneità) è essenziale una attenzione viva alla commistione dei linguaggi, su
più piani:
•
i linguaggi espressivi dei testi : dal libro alla musica al film;
•
i linguaggi, le culture e le modalità comunicative dei pubblici;
•
i linguaggi delle altre biblioteche ed istituzioni culturali.
Fare questo significa operare contemporaneamente sul versante dell’attenzione e dell’ascolto del pubblico (per poter svolgere, innanzitutto, una efficace azione di orientamento culturale e alla città e di consulenza) e su progetti
condivisi, in cui si riflettano le progettualità dell’Ente e il dialogo con la rete
delle associazioni ed istituzioni culturali.
Significa valorizzare la trasversalità dell’agire, la condivisione delle tematiche e delle diverse “letture” dei contesti in cui si opera.
Il Direttore Franco Neri
articoli a cura di Antonella Mezzadri & Lucia Giovannelli
foto Marco Badiani
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Quale ‘isola’ ci portiamo dentro? Quale immaginario coltiviamo per orientare il nostro vivere?
Forse esiste un qualche spazio che sentiamo come specifico per la nostra natura e che noi configuriamo come ‘luogo per il nostro essere’. Forse
è uno spazio desiderato,sognato, atteso. Oppure un luogo dove proiettare la nostra utopia possibile.
Isola come alternativa al nostro quotidiano, come meta da cercare e obiettivo da raggiungere; isola come terra dai significati molteplici , essa
stessa da vivere pienamente nell’esplorazione e nel mistero; luogo di lotta e di riscatto, orizzonte di aspettative e di speranze; perimetro di
solitudine (esistenziale) o limitato spazio di individuale felicità.
Se questo ed altro ancora affiora alla nostra consapevolezza di cercatori di una nostra visione di ‘isola’, quali risposte può dare l’arte a queste
domande?
E’ quanto ci viene voglia di sapere (ma anche di confrontare) visitando a Genova la mostra Isole mai trovate, dove tutto è già di per sé intrigante,
a cominciare dal titolo: esso mescola fascino, curiosità, tensione, timore, soprattutto se visto nella prospettiva della impossibilità di trovare una
di queste isole, tra cui la propria.
E’ al tempo stesso un itinerario esplorativo sui tanti modi di vedere e concepire quell’universo simbolico che chiamiamo ‘isola’.
Le opere stesse si presentano, ad un ad una, come altrettante isole e ciascuna porta una propria concezione del mondo, della vita, dell’esperienza percorsa. Ognuna configura e trasfigura un personale concetto di isola, espresso in forma d’arte.
Sono isole del proprio vissuto, del proprio modo di stare al mondo , di vedere una realtà quotidiana attraversata nella propria sensibilità umana:
nel dramma, nell’ironia, nel gioco provocatorio, nella riflessione meditata, nell’incanto… Sono metafora del vivere. Hanno un portato umano,
quotidiano e come tale realisticamente psicologico, filosofico, antropologico. Sono rappresentazione di spazi simbolici e reali in cui vivere da
soli o insieme agli altri. Sono luoghi significativi che possiamo riempire di molti contenuti , in base alle scelte inerenti al nostro progetto di vita.
Così possiamo riempire quegli spazi con la ricerca della felicità , o della giustizia, o della verità… Possiamo vederli come spazi di una terra promessa, di un disegno umano possibile. O di uno impossibile. Come quello di una illusione che diventa disillusione.
Verrebbe facile a questo punto ammettere (ma mi perdonerete la invereconda battuta) che l’unica isola di cui non sentiamo il bisogno è proprio.. quella “dei famosi”.
Per rintracciare allora il percorso di questo “Isolario” possiamo considerare ‘l’isola del relitto come condizione umana’ di J. Kounellis; ‘l’isola della
scrittura’ di C.Garaicoa; quella della ‘umanità affondata nel fiume’di A. Kiefer; ‘l’isola etnica’ di D.Dakic; il ‘richiamo delle isole perse’ di L.Ontani;
il gioco ‘dell’oceano nel mio cuore’ di R.Horn; l’isola ‘della memoria ancestrale’ di L. Bourgeois; l’isola ‘del vento’di A. Aycock; quella di ‘una torre
di Babele trasparente’ di T.Cragg; ‘l’isola del sé’ di L. Samaras; quella ‘del narcisismo’ di Gilbert&Gorge; l’isola ‘del gioco d’ombre di H.P.Feldmann;
l’isola ‘della meditazione’ di M.Abramovic; e quella ‘del viaggio e dell’esilio’ di antichi e moderni migranti’ di B.Toguo; infine (e non è possibile
citarle tutte) l’isola inospitale e quella del miraggio’ di S. Tsivopoulos.
In una concezione comunitaria ‘nessun uomo è un’isola’, in una letteraria siamo ‘isole nella corrente’, ma senza commentare queste visioni e
volendo ascoltare o rintracciare quell’Ulisse che è in noi, l’isola delle passioni, della violenza, dell’inganno,l’isola del sapere, l’isola della bellezza,
del mistero, dell’… l’isola dell’approdo, sono parte –e non in senso meramente simbolico- della nostra esistenza a cui l’arte offre una sponda.
Attilio Maltinti
Alice Aycock- Sand
Toguo- Road to exile
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Isole: un luogo di ripartenza e di arrivo; nostalgia infinita di idilliaca provenienza e desiderio di felice approdo.
Isole come tappe di una infinita ricerca personale e collettiva che tutto prevede e consente ad eccezione della staticità.
Se l’uomo spesso è un’isola, l’artista è l’isola per antonomasia. Perennemente ripiegato su se stesso in una ossessiva ricerca, avulso dalla
realtà e nella realtà immerso; impermeabile e al tempo stesso sollecitato da fatti ed eventi che ‘sente’ più degli altri, e per gli altri riflette ed
elabora.
Nella mostra allestita a Genova, ognuno ha avuto modo di confrontarsi e rispecchiarsi nell’idea di isola che molti artisti hanno elaborato.
Opere e installazioni non in numero elevatissimo ma con presenze e suggestioni eccellenti.
Isole affondate sotto il peso della storia (Kiefer); o immagini di distruzione rappresentate da grandi quantità di chiodi (Uecker) a v olte solo
piantati, altre volte intrecciati a formare fili spinati e reticolati.
Isole capovolte di un’Italia splendidamente realizzata in ceramica (Ontani); isole globalizzate nelle foto della Dakic tra rovine barocche e
personaggi balcanici. Terribilmente bella l’installazione di Echakhch, un arcipelago di 24 pani a forma di grosso proiettile a denunciare
l’isolazionismo ecnomico delle monoculture.
Isole sognate dai migranti che partono recando con loro il proprio mondo, nel video di Kimsoja e nella barca di Toguo.
Il proprio corpo come isola (Abramovic e Orlan). Oppure proiezioni deformate e/o sublimate della realtà(Feldmann). Isole luoghi di battaglie
(Hapaska). Ma anche come luogo impenetrabile e trasparente (Cragg). Infine l’isola per eccellenza: il labirinto e grande pozzo di Pistoletto e
il video del greco Tsivopoulos . Quest’ultimo è, a mio parere, l’emblema della mostra: su un’isola che è poco più di uno scoglio, si aggirano
spaesati tre uomini. Il luogo è desertico e non presenta nessun segno di vita. Sembra che dopo tanto peregrinare la meta raggiunta non
abbia niente, assolutamente niente, di ciò che speravano di trovare. Occorre riprendere il viaggio confortati dalla lontana visione di un’altra
isola che sembra promettere ristoro e riposo. “L’approdo ideale”, forse, dove finalmente fermarsi.
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Qualche giorno fa mi è capitato di visitare al centro St.Art di Calenzano (organizzata dal Comune, dalla Fondazione Sarenco e Frittelli Arte Contemporanea), una mostra speciale “I colori della mia tribù” di una artista particolarissima sud africana
Esther Mahlangu. Lei è una signora di 75 anni che vive e lavora nel Mpumalanga e appartiene alla tribù Ndebele dove le
donne si tramandano di madre in figlia l’arte della decorazione. E’ una delle poche artiste donna di quel continente ad essere
conosciuta e apprezzata in tutto il mondo. Ha esposto al Centro Pompidou (!989), a Johannesburg, Bordeaux (’90) ma am
Nche in Spagna, a Tokio, a Copenhagen(’91) e a Documenta di Kassel nel 92 e in Messico, Olanda, Inghilterra . A New York,
Ginevra, Lisbona, Hannover, Helinki, .. Ha lavorato con Andy Warhol e Sol Lewit.
Le sue opere, trasportate su tela e dipinte con penne di gallina sono nette, chiare, precise. Linee geometriche piene di accesi, corposi e giocosi colori, come gli abiti che indossa e gli ornamenti che numerosi le cingono il corpo. E’ stat per me una
scoperta esaltante: quando le ho chiesto un autografo sul catalogo ho scoperto che è ancora analfabeta. Quest’artista che
parla vaie lingue e gira il mondo (è stata la prima della sua tribù ad attraversare il mare), mietendo successi , non ha sentito
la necessità di imparare a leggere e scrivere, se non il suo nome. Per comunicare le bastano le sue opere e lei si stupisce del
clamore che esse suscitano. Ha lavorato per BMW, FIAT, la South African Airlines. E’ testimonial della FIFA per i campionati
di calcio sud africani.:
Esther vive ancora nel suo villaggio e insegna alle ragazze della sua tribù. La sua è un’isola che forse varrebbe la pena di
cercare e trovare.
Luciana Schinco
Che negli anni 60-70 ci fosse nell’aria spirito di cambiamento è indubbio: l’utopia di trasformare la società per ottenere un mondo migliore era ancora ammessa . Era naturale che voglia di aggregazione, lotta politica e cultura
dell’intelletto convivessero con arte, musica e teatro. Milano metropoli, con le sue gallerie d’arte ed un vivace
ambiente politico-culturale era al centro di questi fermenti ed è in questa città che Gianni Sassi divenne geniale
protagonista di una stagione irripetibile.
Nato nel 1938 si dimostra molto portato per il disegno e nel 1963, ancora studente di Medicina, fonda un piccolo
studio pubblicitario, lo “studio al.sa” insieme all’amico Sergio Albergoni. Tra le prime commesse come grafico il
contratto con la Polistil per la pubblicità su Topolino, testimonial la giovane attrice Paola Pitagora.
Curioso ed attento osservatore dell’arte contemporanea, ma anche imprenditore, nel 1967 fonda la casa editrice “ ED912” insieme all’intellettuale Gianni Emilio Simonetti ed alla critica d’arte Daniela Palazzoli. Pubblicano la
rivista ‘Bit’ dedicata all’ arte sperimentale e d’avanguardia. Grazie al costante contatto con George Maciunas, il
fondatore del movimento Fluxus, e coadiuvati dall’artista Ben Vautier si fanno promotori a Milano di concerti ed
eventi Fluxus di grande provocazione.
Nel 1971 realizza la pubblicità del divano Hidalgo per la ditta Busnelli, testimonial uno sconosciuto Franco Battiato. La sua originalità non può non interessare l’ambiente discografico milanese. Con immagini a forte impatto
visivo (ad esempio il feto sulla copertina di “Fetus” primo album di Battiato) crea le copertine dei dischi ed i
manifesti della Bla Bla records. La promozione dell’immagine di Battiato culmina nell’evento denominato “Pollution - per una nuova estetica dell’inquinamento” : pavimenta una piazza del centro di Bologna con piastrelle raffiguranti zolle di terra e qualche filo d’erba, prodotte della Iris Ceramiche di cui è pubblicitario, e nell’occasione fa
esibire lo stesso Battiato che presenta Pollution, il suo secondo album. Nell’evento Sassi è grafico, discografico,
comunicatore, promotore culturale ed organizzatore: un capolavoro di marketing e comunicazione.
Nel 1973 fonda la Cramps Records, la più imporante etichetta discografica indipendente italiana, producendo
artisti come Eugenio Finardi, Alberto Camerini, Claudio Rocchi, gli Arti e Mestieri, gli Skiantos ma soprattutto gli
Area con i quali parteciperà al processo creativo come membro esterno al gruppo curando la grafica, la promozione ed i testi delle canzoni sotto lo pseudonimo di Frankenstein. Di grande rilievo la pubblicazione delle collane
“Nova Musicha”e “DIVerso”, dedicate alla musica contemporanea, in cui incideranno fra gli altri John Cage, Demetrio Stratos, Walter Marchetti, Juan Hidalgo, Patrizio Fariselli, David Tudor, Alvin Lucier. Pubblica anche “Futura
– poesia sonora”, antologia storico critica della poesia sonora a cura di Arrigo Lora - Totino.
Nel 1977 con John Cage organizza il concerto al Teatro Lirico di Milano e nel 1978 l’evento il Treno di John Cage:
3 escursioni per treno preparato, regia dei suoni di John Cage, 210 nastri magnetici di Juan Hidalgo e Walter
Marchetti.
Gli anni ‘70 si chiudono simbolicamente il 14 giugno 1979 quando, per raccogliere fondi per le cure, organizza
a Milano il concerto di solidarietà per l’amico Demetrio Stratos.
I tempi sono cambiati, ma Sassi rimane protagonista instancabile della vita culturale italiana anche in tutti gli
anni 80: progetta ed edita “Alfabeta” Mensile di informazione culturale, che diviene importante strumento di
dibattito, pubblica “La Gola” Mensile del cibo e delle tecniche di vita materiale, anticipando una attenzione alla
cultura del cibo tutt’ora di grande attualità. Con l’Arci progetta diversi manifesti iniziando la stagione di quella
che fu chiamata cultura della “pubblica utilità”.
Nel 1982 fonda la Cooperativa Intrapresa e promuove due innovativi contenitori culturali: “Milanosuono “ inventario dei percorsi musicali nella metropoli degli anni ’80 (1982–’92) e “Milanopoesia” festival internazionale di
poesia, video, musica, performances, danza e teatro (1984–’92).
Nel 1993 scompare prematuramente all’età di 55 anni ed è sorprendentemente poco ricordato.
Nicola Benelli
Come avvicinarsi all’arte contemporanea senza pregiudizi ed ansie intellettuali, ma con curiosità e coraggio è
l’argomento di questo saggio di facile lettura, ironico e talvolta irriverente di Francesco Bonani, critico e curatore di
musei e fondazioni di arte contemporanea di livello internazionale.
L’approccio con l’arte non può prescindere dal considerare la contemporaneità in cui viviamo, fatta di oggetti di
design,di tecnologia applicata anche agli oggetti più banali ( suole da scarpe,ombrelli, accessori da cucina, etc.), di
nuove manifestazioni dell’espressione del linguaggio,della musica e delle immagini. Pertanto anche l’arte non solo
deve essere innovativa, ma in un certo senso dovrebbe risultare anche più comprensibile in quanto espressione
di situazioni, suggestioni e realtà che tutti viviamo nell’oggi. Il superamento dei concetti e delle forme tradizionali
dell’arte effettuato da alcuni artisti con espressioni spesso apparentemente semplici, banali o provocatorie, talvolta
ha portato ognuno di noi a dire:”che ci vuole,potevo farlo anch’io”.Ma non è sufficiente saper eseguire un’opera per
poter essere considerato un artista, ma bisogna averla pensata, consapevoli di esprimere qualcosa di originale,
innovativo e concettualmente sostenibile.
Faqtte queste premesse l’autore esamina il significato delle opere di quegli artisti che hanno portato al superamento
degli schemi dell’arte tradizionale nelle forme, nelle tecniche nell’esecuzione , come le tele tutte bianche di Robert
Ryman, i manufatti comuni considerati opere d’arte di Duchamp,le tele tagliate di Fontana,le tele sgocciolatedi
Pollock,le banalità quotidiane di Warhol, le fotografie sfuocate di Richter,le foto piene di forme lussuriose di Mapplethorpe, le sculture preziose di Koons,i graffiti di Haring, le fantastiche immagini di Murakami, fino alle opere che
destano scandalo di Damien Hirst o di Cattelan.
Bonani come si dedica con esposizione semplice, appassionata e divertita a farci capire che l’arte si è evoluta al
punto da essere quasi irriconoscibile, ma che non è assolutamente vero che “ potevamo
farlo anche noi”, così cerca di sgombrare il campo da quei concetti e da quegli artisti, con considerazioni assolutamente soggettive, oggi molto sopravalutati e presenti nei musei e nelle città di tutto il mondo, solo per meriti politici
o mediatici.
Un’opera scritta per i non addetti ai lavori che consiglio di leggere ed assimilare.
Mario Maffii
Francesco Bonani, “Lo potevo fare anch’io”, Strade blu, Mondatori, 2007
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Paola Staccioli porta un soffio di magia con le sue Ceramiche animate esposte al Museo delle Porcellane di Palazzo
Pitti.
Le opere di questa giovane artista ci trasportano in un mondo incantato, surreale, fatto di teiere ancheggianti vestiste
di abiti colorati, piatti dai quali fa capolino un furbo coniglietto, bicchieri dalle decorazioni astratte, ciotole
dai colori cangianti, vasi da cui sbocciano
fiori iridescenti, tavoli ricoperti di
foglie rampicanti e curiose
tazzine da caffè luccicanti creano in
una
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d’ insieme
una scenograf ia
cromatica
suggestiva.
Le ceramiche
create da Paola Staccioli sembrano prendere
vita, grazie alla
sua abilità nel manipolare la materia
e all’uso straordinario dei lustri, un’antica
pratica di decorazione
che, attraverso l’applicazione di un impasto di sali
metallici e argilla diluito con
aceto di vino, e una speciale
cottura,
producono effetti cromatici
iridescenti che
vanno dal giallo oro, al rosso
rubino, dall’argento, al
blu cobalto al verde ramina; ed infatti proprio la vivacità dei
colori di questi suppellettili cattura lo sguardo, portandolo
a soffermarsi su ogni piccolo particolare evocando un’at-
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mosfera fiabesca e giocosa.
La leggerezza delle forme (dovuta alla maestria con cui Paola usa il paper clay, ovvero terraglia bianca unita
a carta), la varietà delle decorazioni che
variano dall’astratto puro al figurativo naturalistico prendendo spesso
spunti anche dall’arte nipponica;
la non convenzionalità delle forme e la ricerca meticolosa di
nuovi effetti, rendono i suoi
oggetti-sculture unici ed
estremamente affascinanti
come dotati di un’anima,
dimostrando che la ricerca portata avanti dalla
giovane artista la inserisce a pieno titolo
nell’olimpo dei ceramisti contemporanei e l’esposizione
in questo museo
storico
della
porcellana ne
è la conferma.
Paola Staccioli nasce a Firenze nel 1972.
Si laurea nel 1999 in Lingue e Letterature Straniere su di un testo teatrale di Dickens presso l’Università di
Lettere e Filosofia di Firenze. Durante gli anni dell’università
si avvicina alle arti decorative frequentando corsi di arti applicate (batik e vetro), ma sarà grazie al padre, Paolo Staccioli, autorevole artista della ceramica, che Paola comincerà a
dedicarsi professionalmente all’arte della ceramica.
Luna Crisci
Omaggio ad
ALBERTO
MAGNELLI
Nello storico Caffè letterario delle Giubbe Rosse si è svolto venerdì sette maggio un omaggio al maestro del 900
Alberto Magnelli a cura di Massimo Mori, Ugo Barlozzetti,
Riccardo Ghiribelli e Flavio Bartolozzi. Fuori dalle formalità delle iniziative ufficiali e dal criterio critico-propositivo
delle gallerie d’arte, l’omaggio si è svolto nel clima conviviale, animato e dialogico del Caffè.
All’omaggio al maestro dell’astrattismo nato a Firenze nel
1888 e trasferitosi definitivamente a Parigi nel 1931 hanno contribuito tredici artisti fiorentini con l’esposizione di
altrettante opere.
Ugo Barlozzetti ha illustrato il ruolo di Magnelli con la
proiezione di molte sue opere. All’età di 23 anni il maestro frequentò gli intellettuali della rivista ‘La Voce’ e
non fu estraneo alle Giubbe Rosse. Nel 1914 si recò con
Palazzeschi a Parigi dove scoprì il cubismo e vi conobbe Apollinaire, Matisse, De Chirico, Archipenko ed altri.
L’anno seguente dipinse la prima opera astratta che ora è
conservata alla Galleria d’Arte Moderna di Firenze ed alla
quale è rapportabile, più avanti negli anni, l’esperienza
dell’Astrattismo Classico degli artisti fiorentini, prodromica all’importante percorso dello Studio D’Arte “Il Moro”
ed alla Morfologia Costruttiva.
Tra il ’15 e il ’18 Alberto Magnelli realizza le ‘Explosions
Lyriques’ e dopo la guerra ritorna alla passione per i primitivi toscani.
Si trasferisce definitivamente a Parigi nel 1931 e nel 34
realizza le famose ‘Pierres’ determinando il suo ritorno
all’astrattismo unendosi al gruppo ‘Abstraction-Création’.
Una particolare rilevanza nel Caffè storico letterario, hanno avuto le letture, di Nicole Gillet e di Massimo Mori, dei
‘Poèmes’ di Magnelli nella bella traduzione di Armando
Brissoni che era stata pubblicata in un introvabile libretto
delle Edizioni sp44 di Firenze nel 1988 a cura di Ugo Barlozzetti, Flavio Bartolozzi e Francisco J. Smythe. ‘Poèmes’
importanti per lo studio della personalità, anche poetica,
del grande artista. Artista di cui qui indico alcune mostre
fiorentine: della Galleria Materassi nel 1921, alla Galleria
Bellenghi nel 1930, a Palazzo Strozzi la retrospettiva proveniente dal Kunsthaus di Zurigo nel ’63, a Palazzo Vecchio nell’88. Perché Firenze sia anche luogo di memoria
dei suoi maestri della contemporaneità, Ugo Barlozzetti
ha proposto un’iniziativa volta a ricordare Alberto Magnelli sul muro del suo studio fiorentino; il Maestro è sepolto nei pressi di Parigi, a Meudon, dove sulla lapide ha
voluto semplicemente fosse scritto ‘pittore fiorentino’.
Ma la serata come era nelle intenzioni, non è stata una
rievocazione celebrativa, bensì un rapportarsi a Magnelli
come ad un contemporaneo che fuori dalle datazioni è,
con il valore delle sue opere, presente e attuale. Nella tradizione delle Giubbe Rosse alla affollata serata non sono
mancate alcune vivaci contestazioni che hanno rasentato
atteggiamenti rissosi da retroguardia dell’avanguardia;
l’evento che non casualmente era presentato come ‘cena
ad arte’, è stato largamente apprezzato dai partecipanti e
segna un momento particolare del prestigioso e variegato percorso degli ‘Incontri’ nello storico locale.
Giacomo Biondi
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