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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P.
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– ANNO XXV n° 4 29 febbraio 2016 –
AUT.DR/CBPA/CENTRO1 – VALIDA DAL 27/04/07
SGRT Notizie
Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori
per la Formazione e l’Aggiornamento di Giornalismo Radiotelevisivo
Perugia
(in)sicurezza
Spaccate in centro a Perugia,
furti e truffe agli anziani
Autorità e cittadini insieme
per combattere il crimine
Economia, quanto costa
crescere un figlio
pagg. 6-7
Sprechi alimentari: i numeri
in Italia e in Umbria
pagg. 8-9
Galleria Nazionale:
ripartire dai social
pagg. 12-15
Attualità
Anziani nel mirino
Truffati da falsi carabinieri,
avvocati e addetti delle
energie elettriche.
Raggirati da giovani che
promettono compagnia.
La situazione a Perugia
di Alessia Benelli
U
na donna di circa trenta anni
porta a spasso il figlio con il passeggino nel Parco di Ponte San
Giovanni a Perugia. Occhi allungati, un
po’ in sovrappeso, non ha lavato i capelli da diversi giorni. Ad un certo punto
si mette a parlare con un anziano che
si trascina a fatica con un bastone. Finiscono la conversazione e lui le fa un
gesto con le dita come per dirle “ci vediamo dopo”. Un normale incontro della
vita quotidiana che però, a Ponte San
Giovanni, negli ultimi tempi potrebbe
essere frainteso. Qui sta emergendo un
nuovo sistema per truffare gli anziani.
Riccardo Cecchini, sovrintendente
capo della sezione anticrimine della
Questura di Perugia, ci spiega: «Gli
anziani vengono avvicinati da queste
giovani donne, prevalentemente di nazionalità romena, che promettono prestazioni sessuali. Le ragazze hanno un
duplice ruolo: rubano i soldi dalle tasche degli uomini durante il rapporto e
carpiscono informazioni sulla ricchezza
del poveretto (dove abita, quanto prende di pensione, dove nasconde i monili
in casa). Le informazioni vengono trasmesse alla banda di cui fanno parte e
nel giro di pochi giorni il malcapitato si
trova la casa svaligiata». Si tratta quindi
di un sistema criminale ben strutturato,
2 | 29 febbraio 2016
la Polizia conosce chi vi opera all’interno. Infatti Cecchini racconta: «Sono già
5 i soggetti che per questa vicenda sono
in detenzione domiciliare oppure agli arresti domiciliari, contiamo di distruggere
l’attività della banda in poco tempo».
Aldo e Francesco, quasi ottantenni,
trascorrono i loro pomeriggi a passeggiare nel Parco di Ponte San Giovanni.
Hanno sempre vissuto qui e conoscono
bene i loro coetanei che sono cascati
nella trappola di queste giovani donne,
dicono: «A volte quando andiamo al supermercato queste ragazze si avvicinano e ci salutano ma noi le allontaniamo.
I nostri amici che vanno con quelle ci
«Le vittime vengono
seguite dall’ufficio
postale a casa. Sono
studiate per giorni»
fanno pena, sono persone sole, vedovi
e con i figli che abitano lontano».
Proprio la solitudine è una delle condizioni che rende allettanti agli occhi dei
truffatori le persone più anziane. Si presentano come assicuratori, vigili del fuoco, tecnici del gas o Enel, finti avvocati
ed anche carabinieri. Gli anziani aprono
volentieri la loro porta di casa perché
hanno voglia di parlare con qualcuno e
si fidano di chi hanno di fronte.
Quasi tutti i giorni a Perugia avviene
un episodio del genere, tanto che fra
il 5 e l’8 per cento delle segnalazioni
alla Questura (in tutto circa 5 mila al
mese) riguarda gli anziani truffati. Tra
gli ultimi casi, quello di un falso incaricato Enel che è riuscito a farsi aprire
la porta da una novantenne residente nel centro della città. «Signora abbiamo riscontrato un’anomalia al suo
impianto di riscaldamento» avrebbe
detto il giovane truffatore all’anziana
mostrando velocemente il cartellino di
riconoscimento dell’azienda energetica. L’uomo è entrato nella casa della
donna e ha fatto finta di lavorare alla
caldaia, la novantenne lo ha lasciato da
solo nella stanza. Dopo pochi minuti il
finto addetto Enel aveva già finito il suo
lavoro. La donna si è poi accorta che
era scomparso il suo portafogli che si
trovava nella borsa lasciata sul tavolo
della cucina. Ha chiamato la Polizia ma
ormai il truffatore si era dileguato.
Non sempre accade che le vittime
delle truffe denuncino alle forze dell’ordine il raggiro subìto, come ci spiega
Aldo Darena della Spi Cgil Perugia:
«A volte si vergognano di se stessi: te-
Attualità
mono di essere stati troppo ingenui e
quindi di essere giudicati o addirittura
sgridati dai familiari. Noi diciamo che
bisogna denunciare sempre».
Gli ultrasessantacinquenni rappresentano oltre il 23 per cento dei residenti a Perugia. Un tempo gli anziani erano la fascia debole della popolazione,
i figli dovevano occuparsi di loro pure
economicamente. Oggi la situazione
si è ribaltata: sono i genitori – anche di
una certa età – a dover mantenere i figli
perché soltanto loro hanno un’entrata
certa mensile, la pensione. I malviventi identificano l’anziano da raggirare o
truffare proprio quando va a ritirare la
pensione all’ufficio postale o in banca.
Il sovrintendente Cecchini ci spiega che
di solito è uno dei complici a scegliere la
vittima che viene resa riconoscibile attaccandogli addosso un piccolo post-it
o facendogli una foto con il cellulare che
spedisce al suo compagno. Quest’ultimo ferma il pensionato con una scusa e
distraendolo riesce a rubargli la pensione appena ritirata. Solo nel peggiore dei
casi l’anziano viene scippato. Oppure
può succedere che i malfattori lo seguono fino a casa e decidono se inscenare
una truffa o derubarlo.
Non sempre i furti nelle abitazioni delle
persone anziane sono così calcolati. In
una città come Perugia il problema della sicurezza si lega a quello dello spaccio di droga. I tossicodipendenti hanno
sempre bisogno di denaro contante e
sanno che è più probabile che una persona canuta abbia a disposizione delle
banconote, in tasca o in casa, rispetto
Salvatore Barba durante l’incontro con i cittadini di via XX settembre
ad un trentenne. In passato è successo
persino che un drogato si sia intrufolato
in una casa solo per mangiare prima di
assumere eroina nella stessa abitazione, così ci racconta Francesco di Ponte
San Giovanni. Questi episodi oggi sono
sempre più rari.
A Perugia c’è meno traffico di droga
(la città fino al 2013 deteneva il primato italiano di morti per overdose: 2 o 3
al mese), ma alcuni quartieri della città non sono ancora tranquilli. È il caso
della zona di via XX settembre, dove
vivono molti anziani soli. Da quando lo
spaccio di sostanze stupefacenti si è
spostato dal centro storico alla stazione l’area è frequentata da spacciatori e
tossicodipendenti, la loro presenza ha
fatto salire la percezione dell’insicurez-
za tra gli abitanti. Non è un caso che
proprio qui il 9 febbraio Salvatore Barba, il capo di gabinetto della Questura,
abbia incontrato un gruppo di cittadini
su iniziativa dell’associazione di quartiere “Il profumo dei Tigli”. C’erano soprattutto ultrasessantacinquenni all’incontro che si è tenuto nella biblioteca
di via dei Pennacchi. Un’occasione in
cui sono state ribadite le precauzioni
da prendere per evitare truffe e raggiri. Ed è stato proposto di intraprendere
un’attività di controllo di vicinato creando un gruppo WhatsApp dove tutti i
cittadini possono segnalare persone o
situazioni sospette. Un’iniziativa accolta a braccia aperte dai partecipanti: i
nonni del 2016 sono pronti a usare lo
smartphone per difendersi.
I 9 consigli per non essere truffati
1. Non aprire la porta di casa a sconosciuti anche se vestono
un’uniforme o dichiarano di essere dipendenti di aziende di
pubblica utilità.
2. Verificare sempre con una telefonata da quale
servizio sono stati mandati gli operai che bussano
alla vostra porta e per quali motivi. Se non ricevete rassicurazioni non aprite per nessun motivo.
3. Nessun Ente manda personale a casa per il
pagamento delle bollette, per rimborsi o per
sostituire banconote false date erroneamente.
4. Essere sempre accompagnati da qualcuno
quando andate a prelevare o a fare un versamento in banca o alle poste, soprattutto nei giorni in cui vengono pagate le pensioni o in quelli di scadenze
generalizzate.
5. Diffidare sempre dagli sconosciuti, anche da chi sembra
una persona distinta e dai modi affabili.
6. Non fermarsi mai per strada per dare ascolto a chi offre
facili guadagni o a chi chiede di poter controllare il libretto
della pensione o quanto avete prelevato.
7. Se avete il dubbio di essere osservati fermatevi all’interno della banca o dell’ufficio postale.
Se questo dubbio vi assale per strada entrate
in un negozio o cercate un poliziotto o una
compagnia sicura.
8. Durante il tragitto di andata e ritorno dalla banca o dall’ufficio postale, con i soldi in
tasca, non fermatevi con sconosciuti e non
fatevi distrarre.Ricordatevi che nessun cassiere di banca o di ufficio postale vi insegue
per strada per rilevare un errore nel conteggio del denaro
che vi ha consegnato.
9. Quando utilizzate il bancomat usate prudenza: evitate di
operare se vi sentite osservati.
Fonte: Polizia di Stato
29 febbraio 2016 | 3
Attualità
In linea con il cittadino
Il gran numero di chiamate ricevute dalla sala
operativa della Polizia dimostra una grande voglia
di collaborare con le forze dell’ordine
Spesso con ottimi risultati
di Marco Frongia
È
notte. Un’auto parcheggia davanti
a un’abitazione. Il motore si spegne, così come i fanali. Nessuno
scende per parecchio tempo, tanto da
far insospettire chi abita nei paraggi. In
quella zona, infatti, solo una settimana prima alcuni ladri avevano svaligiato un appartamento. E su quell’auto, di
certo non appartenente a un residente,
potrebbe esserci qualcuno animato da
intenzioni simili. Parte una telefonata al
113. Una volante arriva sul posto e controlla la vettura. Trovando a bordo solo
una coppietta in cerca di intimità.
A raccontarci questo aneddotto è il sovrintendente Massimo Granocchia della
Polizia di Stato. Ci ha ricevuti poco dopo
le 21 in un ufficio subito accanto allo
sportello denunce della Questura di Perugia. È una serata tranquilla, come scopriamo spostandoci nella sala operativa,
qualche piano sopra: il telefono squilla
una volta sola in quasi tre ore, per una
lite in famiglia. Scambiare due amanti
per una banda di criminali intenti ad architettare un furto – scopriamo – capita
piuttosto di frequente a chi telefona al
113. Ma non mancano anche “movimenti
sospetti” compiuti da innocui passanti;
oppure ragazzi seduti tranquillamente su
una balaustra ritenuti aspiranti suicidi.
Verrebbe spontaneo pensare che
questo genere di chiamate siano un
ostacolo per il lavoro degli agenti. «No,
anzi: la polizia è ben contenta di ricevere segnalazioni» chiarisce Granocchia.
«La collaborazione dei cittadini è alla
base del nostro lavoro. A volte basta una
telefonata per evitare che qualcuno si
faccia male». Il rischio di una chiamata a
vuoto, insomma, è un piccolo prezzo da
pagare: se i sospetti di un cittadino sono
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fondati, possono tornare molto utili. Il 14
dicembre, per esempio, una Peugeot
106 è stata vista da un passante mentre
si aggirava per Ferro di Cavallo, a Perugia. A bordo, due persone sembravano
compiere un sopralluogo. Viene allertata
la polizia. Appena finiti gli accertamenti,
arriva la segnalazione di una rapina al vicino Eurospin: due uomini, di cui uno armato di pistola, erano appena fuggiti con
un bottino di circa 2500 euro su una Fiat
Uno rubata nel
parcheggio del
supermercato.
L’esperienza degli agenti permette loro di intuire
un collegamento
tra i due eventi:
i rapinatori, verosimilmente, avrebbero utilizzato la Uno
solo per raggiungere una seconda auto
da usare per la fuga. Magari la stessa
Peugeot, nel frattempo scomparsa. Una
previsione azzeccata: i due uomini sono
stati bloccati poco dopo sul raccordo Perugia-Bettolle, all’altezza di Prepo. «Senza sapere in anticipo modello, targa e
provenienza dell’auto, trovarli sarebbe
stato più difficile», ci racconta l’assistente Fabio Rocci, tra gli agenti presenti
quel giorno.
Questa sera, Rocci e l’assistente capo
Gianni Vagnetti sono di turno in sala operativa. Sulla scrivania in mezzo alla stanza trovano posto alcuni monitor, di cui
due dedicati esclusivamente alla visuale delle settanta telecamere sparse per
tutta la città. Su un altro schermo, una
mappa di Perugia con le posizioni delle
volanti in servizio; su un altro ancora si
possono verificare i dati forniti nelle se-
gnalazioni: l’identità delle persone coinvolte, l’esistenza di precedenti, la possibile presenza di armi. Strumentazioni
fondamentali, se utilizzate da personale
esperto.
Ogni giorno, la Questura riceve in media 180-200 chiamate; non tutte della
stessa gravità. Per questo, la capacità
degli operatori di capire la situazione
emotiva dell’interlocutore può essere
decisiva, così come l’affiatamento con
il collega seduto accanto,
impegnato nel frattempo a
fare da raccordo con le volanti. La preparazione e il
supporto informatico, però,
possono non bastare: «Anche avendo a disposizione il top della tecnologia,
il ruolo del cittadino resta
fondamentale» sottolinea Vagnetti.
E porta risultati importanti: circa un
anno fa, la polizia ha arrestato due criminali su un’auto rubata una settimana
prima. Merito anche del vero proprietario
della vettura: dopo averla riconosciuta,
si è messo a pedinarla per quasi un’ora, restando costantemente in contatto
telefonico con il 113. Le sue indicazioni sugli spostamenti dei malviventi e la
conoscenza del territorio dell’operatore
di turno hanno permesso agli agenti di
preparare un posto di blocco e fermarli.
«Eravamo con il fiato sospeso per tutto
il tempo» ricorda ancora Rocci. Anche
perché la collaborazione con i cittadini
funziona solo se questi mantengono un
atteggiamento prudente per tutto il tempo. Un passo falso poteva costare caro:
in macchina, si è scoperto, i due avevano anche un manganello e un piede di
porco.
Grande importanza
alla tecnologia
e alla preparazione,
ma le segnalazioni
restano decisive
Attualità
S
paccate notturne, furti in pieno
centro. Negozi nel mirino, ma
anche abitazioni private, edicole,
botteghe. Chi rompe le vetrine spesso cerca i soldi rimasti in cassa a fine
giornata, chi entra nelle case ruba quel
poco che trova: episodi non quotidiani,
ma la cui frequenza preoccupa residenti
e commercianti. Perché se le piazze e
le vie centrali non sempre sono lo specchio dell’intera città, esse rappresentano come la comunità vorrebbe essere.
«Il centro è un grande laboratorio per
noi» ammette Salvatore Barba, capo
di gabinetto della Questura di Perugia.
«Su di esso si è costruita l’immagine
positiva e negativa dell’intera città; vogliamo farne qualcosa di presentabile,
cambiarne il volto». Non solo un programma, ma anche la descrizione di
un lavoro già iniziato, poiché per Barba
«già oggi è un’altra cosa, nonostante lo
scetticismo iniziale».
I numeri, però, parlano di fenomeni
criminali rimasti costanti. «Negli ultimi
tempi gli episodi di teppismo sono stati esponenziali» spiega la titolare di un
negozio di vestiti in corso Vannucci.
«Qui hanno rotto la vetrina due volte
per prendere i soldi rimasti, l’altra notte
sono entrati anche all’edicola. L’unica
cosa che posso fare è mettere allarmi e
continuare a cambiare lucchetti», afferma mostrando l’ultimo acquistato.
Nessun furto eclatante, ma visite notturne che non risparmiano persino latterie o piccoli venditori alimentari come
la “Bottega del tartufo”, a pochi passi
dall’ingresso di Palazzo Donini. Proprio
qui, a inizio gennaio, i tentativi di furto sono stati ben tre in una settimana.
«Rispetto agli ultimi anni – afferma un
dipendente – il centro è più vivibile anche di sera e si vede meno brutta gente.
Magari occorrerebbero più controlli; tuttavia non penso sia possibile eliminare
totalmente la delinquenza, non sarebbe
Perugia».
La prevenzione da parte delle autorità in realtà non manca, con telecamere
e ronde delle forze dell’ordine che permettono la sorveglianza notturna del
centro. Eppure c’è chi ritiene questo ancora insufficiente: «Quando sono entrati
nel mio negozio – spiega una signora
– ho visto le registrazioni. Purtroppo
non servono a niente: le persone sono
incappucciate, aspettano che passi la
volante che fa il giro delle mura, poi entrano ed escono nel giro di un minuto».
I filmati qualcosa di buono hanno por-
Operazione
centro sicuro:
ecco cosa fare
Le notti del capoluogo
tra furti e spaccate
Futuro possibile solo
con collaborazione
tra cittadini e autorità
tato, come l’arresto di un ladro e rapinatore seriale, autore negli ultimi giorni di
gennaio di sei furti e una rapina ai danni
di negozianti. La sua identificazione è
stata possibile proprio grazie alla videosorveglianza: un sistema non all’avanguardia, per ammissione della stessa
polizia, ma che consente di monitorare
tutti gli accessi all’area urbana principale.
Per contrastare furti e spaccate, però,
serve di più. A spiegare la necessità di
una stretta collaborazione tra autorità
e cittadini è sempre Salvatore Barba:
«Occorre sostituire gli spacciatori con
un’economia sana, e in centro ci sono le
condizioni affinché questo avvenga. Gli
interventi finora eseguiti hanno funzionato bene perché, quando la polizia liberava una strada, non restava il vuoto;
c’era subito qualcuno che subentrava».
Una rivalutazione che è partita da borgo
XX Giugno e che quartiere per quartiere
sarà estesa a tutta la città, sempre con
gli abitanti in prima linea. «Ora è stata
rifatta la zona attorno a piazza Grimana,
e anche in corso Bersaglieri la situazione sta cambiando».
Diverso il discorso per quanto riguarda le aree che si trovano all’esterno delle mura. Molti progetti sono attivi e altri
in cantiere, come quello legato alla zona
di Fontivegge, ma la presenza delle vie
di comunicazione che portano velocemente fuori città alimenta quello che
viene definito “pendolarismo criminale”.
«I segni di miglioramento – conclude
comunque Barba – ci sono, anche fuori
dal centro storico. Occorre solamente
incoraggiarli».
DaViDE Giuliani
29 febbraio 2016 | 5
Economia
Caro bebè,
quanto mi costi
I prodotti per l’infanzia
costano sempre di più.
Ma risparmiare si può
di Simona Peluso
È
un sabato mattina, a Perugia: nel
negozio di una nota catena di articoli per bambini, un papà un po’
spaesato cerca di acquistare latte in
polvere antirigurgito. «La marca che voleva è in offerta: sono 27 euro per 900
grammi, le durerà una decina di giorni…
altrimenti abbiamo quest’altro, che costa meno» gli spiega una giovane commessa mostrando due scatole colorate.
«Non saprei, mia moglie mi ha detto di
prendere proprio quello. Luca ha sempre le coliche, se si trova male?». Qualcuno, dal retro del negozio, chiama la
ragazza, che lascia il papà a soppesare
confezioni. «Noi usiamo lo stesso latte
che cercava, ma lo compriamo online.
Lo spediscono dalla Germania, si risparmia un sacco» sussurra un signore alle
sue spalle carico di calzini e tutine.
I due papà iniziano a chiacchierare,
mentre i commessi, attorno a loro, dispensano consigli a una decina di clienti. C’è una coppia di asiatici, lei incinta,
che si accorda per il trasporto della culla appena comprata (a 249 euro); una
signora anziana cerca di dissuadere la
figlia, che valuta l’acquisto di uno sterilizzatore (64 euro, ma «io ho sempre
fatto tutto col pentolino e tu e tuo fratello
non siete morti»). Due mamme, davanti
uno scaffale, commentano le offerte sui
pannolini.
Poi ci sono le pappe, i vestiti, la culla, il
passeggino: secondo Federconsumato-
6 | 29 febbraio 2016
ri, nel 2015, la spesa per mantenere un
bambino nel primo anno di vita è oscillata tra un minimo di 6.800 e un massimo
di 14.800 euro, con un aumento del 2%
rispetto al 2014. Da anni, ormai, i prezzi
dei beni per l’infanzia continuano a salire: si stima che una famiglia con reddito
medio possa spendere oltre 170 mila
euro per far crescere un figlio fino ai 18
anni. A guardare i numeri, i costi sembrano essere davvero insostenibili.
«Eppure, con un po’ di accortezze,
si riescono ad abbattere radicalmente
le spese» raccontano Elisa e Federico,
da sei mesi genitori di Giovanni. «Prima
che nascesse, abbiamo chiesto ai nostri
amici se avevano vestitini da neonato
in buono stato. Ce ne sono arrivati una
marea, non abbiamo dovuto comprare
Il primo anno di vita di
un bebé, secondo
Federconsumatori,
costa circa 6800 euro
quasi nulla. L’unico grosso acquisto è
stato l’abitino del battesimo: 156 euro
e qualche discussione in famiglia». Risparmiare sull’abbigliamento è un passo importante perché, spiega Elisa, «un
body può costare tra i 15 e i 20 euro:
poiché un neonato va cambiato spesso,
ne servono sei o sette. E dopo due mesi,
il bambino sarà già troppo cresciuto per
poterli indossare. Stesso discorso per
pantaloni, magliette e scarpine. Molte
persone che conosciamo – continua – si
vergognano a comprare cose di seconda mano; ma c’è un mercato fiorente e si
trovano anche articoli di buona qualità».
Loro, ad esempio, hanno acquistato
un “trio” (carrozzina, passeggino e seggiolino auto da montare su un unico telaio) per 140 euro: «Non è l’ultimo modello
– commentano – ma si tratta comunque
di un’ottima marca: comprandolo nuovo,
ne avremmo pagati più di 800». Degli
amici hanno prestato la culla, i giocattoli sono arrivati in regalo. Sull’igiene
personale, invece, non badano a spese.
Comprando in farmacia creme e bagnoschiuma, e due diversi tipi di vitamine,
spendono circa 130 euro al mese. I pannolini sono un capitolo a parte, «e vanno
acquistati solo in offerta» spiega Elisa. Il
gruppo Whatsapp delle mamme con cui
ha partorito «funziona come un tamtam
per segnalare promozioni. 110 pannolini, così, costano 35 euro anziché 60.
Prenderne tanti conviene, in media se
ne usano 6 o 7 al giorno».
Altra voce in bilancio, le attività “culturali”: Giovanni frequenta un corso di
“musica per cuccioli” (35 euro al mese) e
lezioni in piscina con i genitori (12 euro a
ingresso); «sono un investimento a lungo termine» commenta Federico, che
tiene la contabilità familiare. «Da quan-
Economia
do c’è Giovanni, in media, spendiamo
circa 250 euro in più ogni mese. Il costo effettivo, forse, è più alto, ma d’altro
canto si esce meno la sera, risparmiamo su cinema, cene, teatro…». «Crescere un figlio è una spesa sostenibile –
ribadisce la moglie – basta non cadere
vittima del terrorismo psicologico. I piatti
e le posate si possono lavare col sapone “degli adulti”, non serve un detersivo specifico», e un bambino, conclude
lui «ha bisogno solo di genitori che gli
stiano vicino: il gioco più
bello, per Giovanni, è un
cucchiaino da cucina. La
giostrina sulla culla (60
euro), l’avrà guardata tre
volte».
Stare vicino ai figli,
però, non è sempre facile. Elisa è stata fortunata,
e potrà lavorare da casa
fin quando Giovanni non
andrà all’asilo. Ma non a
tutti va così bene: il congedo di maternità obbligatorio, in Italia, dura solo
tre mesi. Si può scegliere
di prenderne un quarto,
retribuito al 100%. A quel
punto, chi non rientra a
lavoro, si vede decurtare lo stipendio del 30%;
il posto viene conservato per sei mesi,
poi bisogna tornare per forza e trovare
qualcuno cui lasciare i figli. Un mese di
retta in un asilo nido, in Umbria, costa
in media 308 euro. Una baby sitter, otto
euro l’ora. Fortunati, quindi, coloro che
possono contare sui nonni.
Chiara, che è rimasta incinta a 22
anni, non sarebbe mai riuscita a mantenere sua figlia senza l’aiuto di genitori
O
e suoceri. «Quando ho scoperto che
aspettavo Martina ero al secondo anno
di università; il mio ragazzo lavorava
in un negozio per 1000 euro al mese.
I nonni hanno pagato tutto, e siamo riusciti a risparmiare qualcosa. Dall’anno
scorso viviamo in affitto in un monolocale. Martina ha 3 anni e va all’asilo; io
mi sto laureando. Prima o poi vorrei un
secondo figlio, ma ora non ce lo possiamo permettere».
«Il passaggio tra il primo e il secondo
figlio, in effetti, è quello più pesante per
il bilancio familiare» constata Vincenzo Aquino, tra i rappresentanti umbri
dell’Associazione Nazionale Famiglie
Numerose. Lui e sua moglie, che di figli
ne hanno undici, sanno che «i costi si
azzerano se si lavora insieme, come si
faceva una volta. I bambini – sostiene
– sono una ricchezza, un investimento
per la società. Le spese ci sono, ma non
crescono esponenzialmente all’aumentare del numero di figli. E poi esiste il
mercato dell’usato, il riciclo tra fratelli, le
convenzioni con gli esercenti».
I titolari dei negozi, infatti, vedono di
buon occhio le famiglie numerose, «e
spesso – conferma Vincenzo – si possono ottenere sconti importanti acquistando grandi quantità di cibo. Stesso
discorso per lo sport: se ci sono più
fratelli, le società ci vengono incontro».
È nata poi un’enorme rete di solidarietà
tra i nuclei familiari con tanti figli: «Basta un messaggio
sui social network per farsi
prestare una carrozzina gemellare in vista di una gravidanza inaspettata. Allearsi,
– racconta il signor Aquino
– è importantissimo, perché
quel che manca, in Italia, è un
apparato serio di politiche familiari». Oltre ai normali assegni, si percepisce un bonus a
partire dal quarto figlio. «Non
basta, però. Ci sono progetti,
proposte, – sostiene Vincenzo – ma spesso si tratta di
meri spot elettorali. Ormai ci
siamo abituati all’idea che i
bambini siano un lusso e non
ci chiediamo più perché non
nascono: a Bastia, l’altro giorno, si parlava del calo demografico. Lo
attribuivano solo al fatto che gli stranieri
vanno via».
L’Istat, invece, conferma che l’Umbria
è una delle regioni col più basso tasso
di natalità; e nonostante Corso Vannucci, di domenica pomeriggio, sia tutto un
fiorire di passeggini e carrozzine, l’Italia
non è mai stata così vecchia dai tempi
della prima guerra mondiale.
Le politiche familiari in Europa
gni donna incinta, in Finlandia, riceve una scatola di cartone piena
di coperte, giocattoli e vestitini, che
all’occorrenza può trasformarsi in una
culla. In Francia, col secondo figlio, arriva un assegno da 124 euro al mese,
che i genitori continueranno a percepire per vent’anni. In Germania, il Kindergeld (denaro del bambino) raggiunge i
184 euro mensili: per i ragazzi che studiano, il sussidio viene erogato fino al
venticinquesimo compleanno.
Dal 2013, ogni famiglia tedesca deve
847,63 Dollari l’anno: era la spesa media
per un neonato americano nel 1989, quando
fu trasmessa la prima serie dei Simpson
ottenere per legge un posto al nido. In
Spagna, sia la mamma che il papà possono chiedere un’ora di congedo sul
lavoro al giorno per i primi nove mesi
di vita del bambino. In Svezia, invece,
i comuni sono obbligati ad offrire una
rete di servizi per bimbi fino ai 12 anni,
babysitter inclusa. Pannolini e latte
in polvere, nel resto d’Europa, costano meno della metà rispetto all’Italia:
molte persone, in Alto Adige, varcano
il confine abitualmente per acquistare
prodotti per l’infanzia. E risparmiano.
29 febbraio 2016 | 7
Economia
A
chi non è mai capitato di svuotare
il frigorifero e buttare del formaggio che sta per scadere oppure
un’insalata che inizia ad avere un brutto
colore? Quante volte abbiamo riempito i
nostri carrelli, più del dovuto, solo per sfizio o per gola, magari finendo col gettare
nella spazzatura una buona parte di quel
cibo? Cattive abitudini costantemente
monitorate da “Waste Watcher”, l’osservatorio permanente sugli sprechi alimentari delle famiglie italiane. E il quadro
che ne emerge non è dei più rosei. Nello
stivale ogni famiglia, in media, spreca 7
euro di cibo alla settimana, circa sei etti
e mezzo di alimenti che finiscono nel
cestino. Secondo Coldiretti, piccoli gesti
come quello di svuotare il piatto con gli
avanzi equivalgono a 30 milioni di tonnellate all’anno. Una montagna di cibo
che ha un prezzo: si parla di una perdita
di almeno 13 miliardi di euro.
«Ho una cassetta di carciofi ancora piena, e siamo a fine giornata, non
li vuole nessuno solo perché sono un
po’ rovinati, ma dentro il cuore è buonissimo». Sembra rassegnato il signor
Giulio Ciucci, un agricoltore che tutti i
giovedì va a vendere i prodotti della sua
terra al mercato di Pian di Massiano. «Li
mangiamo noi come porci perché non
li vogliono comprare». E mentre continua a parlare, ne prende uno, toglie le
prime foglie dimostrando che l’interno è
perfettamente conservato. Sentendo i
discorsi di Giulio, si avvicina anche Rita,
la signora del banco a fianco: «C’è chi
non vuole la mia insalata perché sopra
ci trova delle lumache: non sanno che
quello è un segno della qualità della
verdura?». Alle parole seguono i fatti,
sbuccia un mandarino macchiato e ce
lo fa assaggiare: il sapore è decisamente migliore dell’aspetto. «Ormai vogliono solo frutta e verdure perfetti e così
noi siamo costretti a riutilizzare tutto
l’invenduto come concime per la terra».
Un problema culturale che non riguarda solo i banchi dell’ortofrutta ma anche
i tavoli dei ristoranti. Dati alla mano, il
21% degli sprechi proviene proprio dal
settore della ristorazione; anche se a
Filippo Farinelli, proprietario di un ristorante in via della Viola, i conti non tornano. «Se questa è la media, vuol dire che
molti ristoranti hanno problemi gestionali, noi cerchiamo di limitare gli sprechi
anche perché sarebbe solo un danno
economico». Filippo deve assicurare
ogni giorno cibo per quaranta coperti,
ma i clienti non sono tutti uguali: «C’è
8 | 29 febbraio 2016
Nella terra del cibo
In cambio, lui ci regala formaggi e uova,
quello che pur di non portarsi via la bottia volte anche dell’insalata fresca». Opglia col vino rimasto, preferisce riempirsi
pure il problema si risolve alla radice,
il bicchiere e poi lasciarlo pieno sul tavofacendo una spesa ragionata, come
lo, perché se lo fai sembri quello povero
suggerisce Claudio. «Vado al mercato
che si porta via i rimasugli». Lo stesso
da 28 anni, ogni giorno, personalmente,
imbarazzo riscontrato nei suoi ospiti
regolandomi a seconda dei coperti che
dallo chef Claudio Brugalossi che geabbiamo di volta in volta. Così è difficile
stisce un ristorante in via delle Streghe:
che si buttino nel secchio le cose. E se
«Io ho abitato 20 anni in America, lì con
avanza mezzo coscio d’agnello o la bimia moglie ci portavamo via gli avanzi
stecca non è abbastanza bella da poter
della pizza e li mangiavamo il giorno
essere servita, allora li mangiamo noi
dopo a casa, qui invece la gente si verdella cucina».
gogna di chiedere la doggy bag». A conMa è tra le mura domestiche che il
fermare le parole di Claudio, è sempre
confine tra cibo manla Coldiretti, sotgiato e cibo sprecato
tolineando come
«Questi carciofi sono
si fa più sottile. Oltre
per il 25% degli
solo un po’ rovinati, la metà degli avanzi
italiani la doggy
annuali in Italia, infatti,
bag sia consiecco perché non li
si accumula nelle noderata “volgare,
vuole nessuno, ma il stre cucine. O meglio,
da poveracci e
nei secchi delle nostre
da maleducati”.
cuore è buono»
cucine. «I bastoncini di
Sembra dunque
pesce scaduti da quattro giorni li manche per cambiare le abitudini degli itagio pure, ma se parliamo di cose freliani ci voglia una vera e propria rivolusche come yogurt o formaggi rispetto
zione culturale; in attesa che avvenga, i
le scadenze». Roberto è uno studente
ristoratori si ingegnano come possono:
fuorisede: ha un’app sul cellulare che gli
«Il pane invenduto o altri avanzi – dice
permette di individuare le offerte migliori.
Filippo – li portiamo ad un vecchietto
«A volte stare attento non basta, spesso
della zona che ha un orto e delle galline.
Economia
In Italia ogni anno
si buttano 30 milioni
di tonnellate di cibo.
Il nostro viaggio tra gli
sprechi alimentari
di Giacomo Prioreschi
e Valerio Penna
o perduto
le cose che compri le butti. Su 30 euro
settimanali di spesa, di sicuro 4 vanno a
finire nella spazzatura». Flavia, un’altra
studentessa fuorisede, è più netta e dice
di sprecare “un sacco”: «A volte compro
cose in più perché ci sono le offerte,
ma poi non le consumo nemmeno». Al
contrario di Roberto, però, è molto fiscale sulle date del cibo: «Se qualcosa
è scaduto, anche solo per un giorno, io
lo butto». Sono tanti gli italiani che,
come Flavia, seguono alla lettera
quanto scritto sulle etichette. Ma
un avverbio a volte può fare la differenza. «La formula delle scadenze mette in crisi molti prodotti che
spesso non vengono consumati:
se cambiassero la dicitura in “preferibilmente” si creerebbero di certo meno eccedenze. D’altronde, i
supermercati sono costretti, anche
per far fronte alla concorrenza, a
tenere prodotti sempre freschi».
Roberto Mirri è il direttore del Banco Alimentare dell’Umbria. Lui e i
suoi 60 volontari ogni giorno salgono sui tre furgoni dell’associazione
e recuperano cibo, distribuendolo
a 2500 enti bisognosi come la Caritas, gli istituti per anziani e le case
famiglia.
L’anno scorso sono riusciti a salvare dalla pattumiera 1058 tonnellate di prodotti. E in effetti il colpo
d’occhio, vagando per i bancali e
le celle frigorifere del capannone bianco dove lavorano, è impressionante:
succhi di frutta che i supermercati non
venderebbero perché la confezione
non è più integra; interi pallet di legumi e latte che l’Unione Europea destina
agli indigenti; frutta e verdura un tempo
esportati in Russia, divenuti un ingombrante avanzo dopo l’embargo per la
crisi ucraina.
Il Banco Alimentare raccoglie, infatti,
secco e fresco. Tuttavia Mirri non ha
dubbi quando gli chiedi quale sia l’alimento più sprecato. «Senza dubbio, il
cibo già cotto: in un asilo, se una teglia
di pasta non viene consumata tutta per-
ché un giorno mancano dieci bambini,
la butti». Ma al di là degli accordi e le
convenzioni che regolano le attività del
Banco Alimentare, sono le donazioni
improvvise a sorprendere ancora Mirri, a 18 anni di distanza da quando ha
iniziato. «È capitata una signora che ci
ha portato 150 chili di cachi perché altrimenti andavano a male; oppure pochi
giorni fa sono arrivati 14 quintali di pollo:
se questo cibo non fosse stato dato a
noi, che fine avrebbe fatto? Ecco perché ogni volta che arriva qualcosa, destinato alla distruzione, e noi riusciamo
a metterlo sulla tavola di qualcuno, io mi
emoziono».
Giulio Ciucci mostra i suoi carciofi: foglie rovinate ma cuore integro
29 febbraio 2016 | 9
Economia
A casa con nonna
La storia di Matteo,
giovane imprenditore
di Magione che vive
con la nonna anche
se non ne avrebbe bisogno
di Gianluca De Rosa
Matteo al lavoro nel suo bar di Magione
I
disagi familiari non sono certo una
scoperta digitale. Padri violenti, madri
senza cuore, ma anche semplicemente genitori assenti o poco affettuosi: è
un campionario lungo quello delle peripezie parentali che da sempre mettono
alla prova i bambini e i ragazzi di tutte le
generazioni. Oggi il concetto di famiglia è
in grande evoluzione, e non tanto in virtù
delle battaglie per quelle omosessuali: la
famiglia è già cambiata e quella “tipo”, ormai, è una famiglia separata. Nell’ultimo
censimento dell’Istat (2011) si scopre che
in Italia le famiglie separate legalmente
o divorziate sono raddoppiate rispetto a
dieci anni prima: da un milione e mezzo
del 2001 a quasi tre del 2011. Le separazioni a volte sono storie poco traumatiche
e ormai accettate dall’opinione collettiva,
spesso però dietro a queste si celano vicende brutte o, a volte, molto originali.
È il caso di Matteo, 32 anni, barista e
imprenditore di Magione. Nato quando
la mamma aveva 18 anni ed il padre 23,
ha vissuto una dinamica che tanti ragazzi della sua generazione conoscono:
tre giorni a casa di mamma e quattro in
quella di papà, o viceversa. I traslochi
settimanali di Matteo avevano però una
grande differenza rispetto a quelli degli
altri: da casa dei nonni materni a quella
dei nonni paterni. «Il 70% della mia vita,
in realtà, l’ho passato a casa di nonna
Rosa, la mamma di mia madre – racconta mentre prepara un caffè dietro il bancone del suo bar – ancora oggi viviamo io
e lei». Matteo ha smesso di studiare presto e ha iniziato a lavorare come barista,
poi, dopo aver messo i soldi da parte, nel
2011 ha aperto un’attività, il bar “La meglio gioventù”, in onore del film di Marco
Tullio Giordana. «Sono un appassionato
di cinema, ogni anno mi faccio almeno un
festival» racconta. La sua passione per
il grande schermo trasuda da tutti i piccoli dettagli all’interno del bar: locandine
sparse appese alle pareti, da “Fino all’ultimo respiro” di Godard a “Il deserto rosso” di Antonioni, poi dizionari del cinema,
grammofono, e tutto l’armamentario della
sottocultura giovanile del momento, quella degli hipster. Di passaggio a Magione
per la proiezione di un suo film Giordana
è anche venuto al bar di Matteo. «Mi ha
promesso che verrà di nuovo alla pizzeria che ho aperto qui di fianco, “I cento
passi”, titolo di un suo altro successo che
racconta la storia di Peppino Impastato».
Il sondaggio: i nonni italiani
Gianni Morandi è il nonno d’Italia. Lo dice un sondaggio condotto sui 3000
iscritti al sito di prodotti per bambini babysharing.com lo scorso 2 ottobre, in occasione del decimo anno della festa dei nonni. Con il 39% dei voti
il cantante di Monghidoro batte addirittura Lino Banfi che da nonno Libero nella fiction “Un medico in famiglia” ha saputo farsi amare dagli italiani.
Tra le donne invece vince la Carrà. A sorpresa arriva seconda Aurora, la nonna di
Florenzi, resa famosa dall’abbraccio del nipote e terzino della Roma che dopo un
goal corse in tribuna per esultare con l’adorata nonnina.
10 | 29 febbraio 2016
La vita di Matteo è una scommessa
continua, 12 dipendenti per i suoi due locali, poi la sfida di Albaia, una spiaggia lasciata per anni nel degrado sul lago Trasimeno che con altri tre amici ha preso in
gestione e «dove d’estate facciamo “bella
lago”, una serata che fa 5000 persone»
spiega fiero. Sveglia a mezzogiorno e poi
al bar fino a tarda notte, abitudini leggermente diverse da quelle della nonna che
quando lo vede a casa lo sfotte benevola
e senza troppo lamentarsi lo aiuta: «Eh
sì, è inutile che lo neghi, mia nonna stira
e lava, è un bel vantaggio averla così in
forma». Nonna Rosa, infatti, ha 82 anni,
«ma sta molto bene, non beve, non fuma
e mangia solo “chilometro zero” è questo
il suo segreto».
La storia di Matteo è originale, ma racconta una caratteristica italiana: i problemi familiari si risolvono sempre con la
famiglia. E se quella tradizionale arranca
davanti ai tempi moderni, allora quella allargata o a composizione originale, come
la famiglia di Matteo, ricorda che c’è sempre e comunque una casa nella quale tornare. E questo è vero in provincia come
nelle grandi città. «Io e Alice viviamo da
sua nonna – racconta Filippo, 24 anni,
che a Roma fa l’aiuto cuoco –. Siamo andati da lei perché io con il mio lavoro e
lei con il suo da pasticciera siamo impegnati 12 ore al giorno. Per fortuna c’è sua
nonna che ci aiuta a fare la spesa, lavare,
stirare, insomma in tutte le faccende domestiche che non avremmo mai tempo di
fare. Contenta lei di rendersi utile e contenti di noi di avere una vita almeno un
po’ più semplice» conclude sorridendo
l’aspirante chef.
Economia
Se la pensione non basta
Tra l’aiuto dei figli e il risparmio quotidiano. Più della metà
degli anziani umbri vive con meno di 700 euro al mese
I
l tappetino verde nuovo di zecca che
dà un tocco di colore alla cucina della
signora Lucia, 75 anni, non l’ha comprato lei. «Io non posso permettermi
questi acquisti, è un regalo di mia figlia
che sapeva che ne avevo bisogno».
Negli anni in cui gli anziani sono i “nuovi ammortizzatori sociali”, permettendo
alle famiglie di andare avanti nonostante la precarietà dei giovani, sembra
strano che un figlio aiuti un genitore. In
realtà è abbastanza frequente, soprattutto nella regione più longeva d’Italia,
in cui il 25% della popolazione ha più
di 65 anni. In Umbria infatti, secondo
l’ultimo rapporto della Spi Cgil, circa
il 67% delle pensioni erogate è sotto i
750 euro al mese. Il 25% è composto
dalle “minime”, intorno ai 500.
Una di loro è proprio Lucia, una signora di origine francese che vive in
Italia da più di 50 anni. Un appartamento di proprietà, tre figli di cui uno disoccupato e 499 euro al mese per vivere.
Che non bastano mai. «La mattina mi
alzo e penso a quanto devo spendere
– racconta – sto attenta a tutto, perché
più della metà della pensione se ne va
in tasse e bollette». Lucia in Italia ha
svolto solo qualche lavoro saltuario non
in regola, perché doveva accudire la
zia malata del marito e badare ai figli.
Oggi le resta un assegno sociale di 220
euro e la reversibilità della pensione
del coniuge, che faceva l’imbianchino.
«Com’è possibile mangiare con 500
La signora Lucia nella sua cucina
euro al mese?» le chiede spesso una
sua amica francese: lei risponde che
non lo è, «ma ci si arrangia». E così
mette via la tredicesima per il gas di
tutto l’inverno, lava quando si spende
poco, non compra nulla da anni, è at-
tenta a tutte le offerte dei discount e i
cibi costosi come la carne sono un lusso che si può permettere di rado. Ma
nonostante la parsimonia, se le due
figlie che lavorano non le dessero un
aiuto, non arriverebbe alla quarta settimana. Un’altra mano gliela tende la sua
patria natia, che le invia un piccolo sussidio, pur avendo lavorato in Francia
solo due anni. «Quei soldi sono per le
emergenze, per le medicine che non mi
rimborsano e per le visite private, che a
volte sono necessarie».
Il diritto alla salute è infatti molto
spesso un miraggio per gli anziani.
«Più la popolazione si invecchia - spiega il segretario regionale della Spi Cgil
Oliviero Capuccini – più c’è bisogno di
prestazioni gratuite, ma spesso le liste
d’attesa sono troppo lunghe e il pensionato che non ha soldi per rivolgersi
ad un medico privato finisce per non
potersi curare». Anche tra i nonni si
sono create nuove sacche di povertà:
il problema, secondo Capuccini, è soprattutto il mancato adeguamento delle
pensioni al costo della vita, che negli
ultimi 15 anni hanno perso circa il 30%
del loro potere d’acquisto. «Oggi se vivi
con 9.000 euro all’anno puoi essere
considerato una persona povera».
A rischio povertà si sente anche chi
come Marcella, vedova di 61 anni, con
la reversibilità del marito arriva a 900
euro. «Basta lasciarsi andare un mese
ed ecco che non bastano». Pur riuscendo a pagare tutto da sola e a non
pesare sui figli a suon di rinunce, non
riesce a dargli nulla. Eppure ne avrebbero bisogno: «Per aiutare mio nipote
a pagare l’apparecchio per i denti ho
dovuto chiedere 300 euro alla banca, è
triste quando a tuo figlio servono soldi
e tu non sai dove trovarli».
Non pagare l’affitto è ancora la fortuna di tanti pensionati, ma anche avere
una casa di proprietà per Lucia si è rivelata un’arma a doppio taglio. Quando
ha chiesto agevolazioni sulle bollette
le è stato detto di no: il suo modesto
appartamento fa impennare l’Isee. «Ma
i muri della casa non si possono mica
mangiare» ripete arrabbiata. Ci sono
anziani che vanno a cercare la frutta
nei cassonetti dei supermercati, ma lei
giura che non ci arriverà mai: «Piuttosto mangio solo pane. Ha visto quanti
pensionati se ne vanno dall’Italia? Se
potessi lo farei anch’io, ma ormai sono
troppo vecchia».
Elisa Marioni
29 febbraio 2016 | 11
Cultura
«Tutti
vogliono
contribuire
al rilancio»
Galleria Nazionale dell’Umbria, il direttore Marco Pierini traccia un
bilancio dei primi mesi: «Una sempre maggiore apertura verso la città»
A
d agosto è arrivato alla direzione della Galleria Nazionale
dell’Umbria: si dovevano scegliere i nomi dei 20 “super direttori” dei
principali musei italiani, dotati di autonomia speciale in seguito alla riforma
Franceschini. Il provvedimento trasforma i più importanti poli italiani in vere
e proprie aziende con un’autonomia
contabile, finanziaria e amministrativa.
Marco Pierini ha battuto la concorrenza
di altri 380 candidati arrivati da tutto il
mondo in seguito al bando internazionale. E da lui riparte il principale museo umbro, alla ricerca di una visibilità
e di una riconoscibilità che fino ad ora
è rimasta troppo spesso prigioniera del
“vorrei ma non posso”.
Direttore Pierini, sei mesi fa la sua
nomina alla direzione della Galleria
Nazionale dell’Umbria. Quale situazione ha trovato ad agosto?
«In realtà sono entrato in servizio il
primo di ottobre, solo quattro mesi fa.
Ho trovato una situazione di attesa, di
stallo, ma non di sfiducia. Tutto il personale della Galleria, il Comune di Peru-
12 | 29 febbraio 2016
gia, la Regione Umbria, la Fondazione
Cassa di Risparmio, gli altri comuni umbri mi sembra abbiano una gran voglia
di contribuire al rilancio del museo, a
intraprendere tutti assieme un ulteriore
periodo di trasformazione e di crescita».
«Gli umbri sono molto
attaccati al museo,
ma questo non ci
esenta dal coinvolgerli
ancora di più»
Quali sono le principali problematiche che ha affrontato in questi primi
mesi? E su cosa c’è ancora da lavorare?
«I primi mesi sono stati quasi completamente assorbiti dallo studio dello status quo, da una parte, e dalla redazione
degli strumenti che ci consentiranno di
lavorare nel prossimo futuro: lo statuto
dell’ente, il bilancio, il programma delle
attività. C’è ancora da lavorare su tutto
e i quattro anni di mandato saranno forse appena sufficienti».
Lei ha lavorato anche a Siena e Modena. Quali sono le principali differenze tra queste realtà e l’Umbria?
«In realtà è ancora presto per dirlo, ci
vogliono anni per capire davvero dove
siamo (ammesso poi che ci si riesca
fino in fondo)».
In una delle sue prime interviste dichiarò di voler puntare sulla valorizzazione del patrimonio del museo.
Cosa è stato fatto in questo senso?
«È stato rivisto il percorso museale,
che subirà alcuni piccoli ma significativi cambiamenti nei prossimi mesi.
Sono allo studio la revisione delle didascalie, dei pannelli informativi, della
segnaletica, e dei supporti multimediali
alla visita. Si è infine programmata una
nuova illuminazione a led che, oltre a
far risparmiare sulle bollette, migliorerà notevolmente l’esperienza visiva
dell’allestimento.
È stato poi predisposto un piano di
mostre temporanee per i prossimi 18
mesi che verranno annunciate prossimamente e potenziato il servizio didattico».
Cultura
Tra le criticità del museo al tempo
della sua nomina fu evidenziata la
scarsa comunicazione. Ricordiamo
le sue parole: «Non è possibile, per
fare un esempio banale, avere una
pagina Facebook con meno di mille like». Ad oggi siamo ancora sotto
questa quota, e in generale il museo sembra molto indietro sul web.
Qualcosa si sta muovendo in questo
senso?
«Sì, ma purtroppo molto lentamente. Per quanto riguarda il sito stiamo
aspettando le linee guida del Ministero
per poter cominciare a lavorare, e speriamo davvero che arrivino presto (sulla
pagine web della Galleria campeggia
la scritta “sito in allestimento” e l’ultima
modifica è datata 24 giugno 2015 ndr).
Sull’altro fronte, la revisione della gestione dei social è appena iniziata ed
è sicuramente uno degli aspetti da potenziare».
Un bilancio di questi primi mesi e
una prospettiva sul futuro prossimo.
«Il bilancio è positivo sotto molti
aspetti: gradimento del pubblico (secondo il Travel Appeal Index, il museo
è il primo in Italia per soddisfazione generale dei visitatori, con un gradimento
del 93,95% ndr), facilità di avviare o ribadire collaborazioni con enti, istituti e
privati. Abbiamo anche ottimi rapporti
col territorio. Sulle prospettive non mi
sbilancio ma credo di poter scommettere almeno su una maggiore apertura
del museo nei confronti della città e,
come sottolineato, della regione e in
una prossima maggiore visibilità della
Galleria sui media».
Nonostante le difficoltà di promozione, i dati del Travel Appeal Index
sembrano premiare la Galleria. Che
tipo di ricaduta può avere questo
dato sul turismo museale umbro?
«Il dato non è stato così diffuso da
poter incidere significativamente. Al
momento la galleria influisce sulla qualità del soggiorno del turista – perché
è davvero molto apprezzata, anche da
chi la scopre per caso – più che come
stimolo al viaggio in Umbria».
Se dovesse scegliere un’opera particolarmente rappresentativa o simbolica del museo, quale sarebbe e
perché? E la sua preferita?
«La croce del Maestro di San Francesco e il polittico di Piero della Fran-
Il Polittico di Sant’Antonio, tra le opere più rappresentative della Galleria nazionale dell’Umbria
Il capolavoro di Piero della Francesca è databile al 1460-1470
cesca sono a mio avviso le opere più
rappresentative, alle quali – da senese
– devo aggiungere la dolce Madonna
col Bambino di Duccio. Queste opere,
assieme all’Annunciazione e san Luca
di Benedetto Bonfigli sono anche quelle
che mi sono più care».
Pensa che gli umbri e soprattutto
i perugini vivano il museo e siano
sufficientemente a conoscenza delle
ricchezze che contiene?
«Per quello che ho potuto capire mi
sembra che ci sia un grande attaccamento al museo da parte degli umbri.
Il che non ci esenta da cercare di coinvolgere ancora di più la popolazione
nelle nostre iniziative».
Francesco Mariucci
29 febbraio 2016 | 13
Cultura
Il museo
più amato
dell’Umbria
di Davide Denina e Ruben Kahlun
Un successo tutto online. Secondo un’indagine voluta dal Mibact,
i capolavori della Galleria nazionale sono i più apprezzati sui social
I numeri sono positivi, ma la strada della digitalizzazione è ancora lunga
I
l percorso lungo la Galleria Nazionale dell’Umbria a Palazzo dei Priori
è un viaggio nel passato tra colori e
atmosfere che sembrano rallentare lo
scorrere del tempo. Dipinti, sculture e
ceramiche. Lungo le quaranta sale del
museo è conservata la maggiore raccolta di opere dell’arte umbra dal XIII
al XIX secolo. Tante le rappresentazioni sacre presenti nei due piani della
Galleria e raccolte secondo una suddivisione che tiene conto di sette fasi
temporali.
Visitando le prime quattro sale si trovano alcuni capolavori del Duecento e
del Trecento: dal Crocifisso ligneo della
prima metà del 1200, proveniente dalla
chiesa di Santa Maria di Roncione di
Deruta alle sculture senesi presenti in
sala 4: tra esse svetta la statua lignea
della Madonna con Bambino del Maestro della Madonna di Perugia.
Procedendo lungo gli spazi della pi-
14 | 29 febbraio 2016
nacoteca, dopo le opere pittoriche del
tardo Gotico, si giunge al percorso
che ospita alcuni capolavori del primo
Rinascimento: il polittico di San Domenico del Beato Angelico e quello di
Sant’Antonio di Piero Della Francesca.
L’opera dell’artista di Borgo Sansepolcro è composta da nove pannelli, con
le figure principali dipinte su un fondo
d’oro, con un motivo che imita le stoffe
preziose.
Le sale che vanno dalla 12 alla 19
rappresentano il Quattrocento umbro-marchigiano e il Rinascimento. Qui
le opere pittoriche di quello che il Vasari
definì il più grande artista umbro prima
dell’ascesa del Perugino: Benedetto
Bonfigli. Nell’Annunciazione (1450), l’evangelista Luca è rappresentato come
“cronista” dell’ incontro tra l’Arcangelo
Gabriele e la Madonna.
Nelle sale 17 e 18 si trovano le oreficerie e alcuni dei tipi tessuti di produ-
zione perugina prodotti tra XIV e XVII
sec. a dimostrazione che anche le arti
minori meritano uno spazio di rilievo
all’interno dell’esposizione. Come se
non bastasse, la tecnologia fa bella
mostra di sé con un touchscreen presente nella sala Farnese che consente
di esplorare le ambientazioni in maniera interattiva.
In sala 20 sono esposti i ferri da cialda, utensili domestici che a Perugia
raggiunsero una considerevole qualità
artistica. Servivano per cuocere ostie
e cialde in particolare in occasione di
matrimoni o dell’assunzione dell’abito
religioso.
La sala 21 sorprende con la cappella dei Priori, un’altra grande opera del
Bonfigli che attraverso diversi affreschi
narra della vita di San Ludovico da Tolosa e del vescovo Sant’Ercolano, santo
Patrono di Perugia. Qui è rappresentata la presa di Perugia da parte di Totila
Cultura
e il susseguente martirio di sant’Ercolano durante l’assedio dei Goti.
Si scendono le scale e il comune
denominatore tra il terzo e il secondo
piano della galleria restano le opere di
Pietro Vannucci, detto il Perugino. Dalle
opere giovanili alla fase matura, rappresentata dal polittico di Sant’Agostino, grandiosa macchina d’altare a due
facce, per la quale furono dipinti diversi pannelli, alcuni non più a Perugia a
seguito delle conquiste napoleoniche.
Sempre in queste sale si può ammirare l’imponente Pala di Santa Maria dei
Fossi (1496-1498) del Pinturicchio, che
collaborò con il Perugino.
Si prosegue poi con opere del secondo Rinascimento (considerevole la
Pala di San Giovanni Evangelista, una
tempera su tavola di Berto di Giovanni
che vede al centro il Santo che scrive
l’Apocalisse a Patmos) e si arriva poi a
produzioni del manierismo umbro e alla
collezione che Vincenzo Martinelli, storico dell’arte, donò con lascito testamentario al comune di Perugia nel 1997.
Si chiude con il Seicento rappresentato da dipinti e sculture dai caratteri più
schiettamente controriformisti e barocchi e con opere del Settecento e Ottocento.
Di fronte a tanti e tali tesori, il neodirettore Marco Pierini, scelto dal ministero l’anno scorso tra una rosa di quasi
quattrocento candidati, dovrà fare uno
sforzo di valorizzazione maggiore di
quello fino a oggi intrapreso. Potrà contare su un organico di 82 persone, di cui
55 sono addetti alla vigilanza a presidio
delle meraviglie della Galleria.
La riforma voluta da Franceschini è in
atto e va nella direzione di trasformare
radicalmente i musei italiani: da attività
antieconomiche che sopravvivono grazie ai soldi pubblici ad aziende finanzia-
Il quadrante dell’orologio di palazzo dei priori visto dall’interno della galleria
te dal prezzo del biglietto. E un’azienda
che si rispetti cura la propria immagine
digitale meglio di quanto il museo stia
facendo. Ma a giudicare dal numero di
like sui social network (meno di mille)
e dalla fruibilità del sito internet, questa
è una pecca alla quale il museo deve
porre presto rimedio.
Da quando il web ha fatto irruzione
nelle nostre vite, il passaparola online
ha sostituito le guide turistiche, diventando uno dei fattori che maggiormente
influenzano le decisioni dei turisti. Visitare questo o quel museo è, insomma,
una questione di clic.
I numeri
Note liete: nel 2015 la Galleria Nazionale è stato il museo che ha avuto i migliori risultati in Umbria.
Con 68.713 visitatori è cresciuta del 7
per cento rispetto al 2014 e ha incassato 235.873 euro, il 22 per cento in
più rispetto ai 164mila euro dell’anno
precedente. Sul secondo gradino del
podio è arrivato il Museo Archeologico Nazionale di Spoleto, con 21.218
visitatori e 23.344 euro di incasso.
Le conversazioni sui social media e le
recensioni sono diventate un elemento
determinante nelle scelte dei viaggiatori. Per comprenderne i desideri, per
gestire le conversazioni sulla rete come
una parte della strategia di comunicazione con i propri visitatori, è necessario
che la Galleria faccia un passo verso la
digitalizzazione.
Secondo Travel Appeal, una società
specializzata nell’analisi dei dati nel settore turistico, la Galleria nazionale è al
primo posto tra i venti musei più importanti d’Italia per soddisfazione dei visitatori, con una percentuale del 93,95 per
cento che si dichiarano appagati dall’esperienza museale.
È significativo che per stilare la classifica Travel Appeal abbia analizzato i
commenti postati dagli internauti sui siti
più frequentati dai turisti: in primo luogo Tripadvisor, ma anche Facebook,
Twitter, Instagram, Youtube e Google. I
contenuti monitorati in dodici mesi sono
stati oltre 31mila. Si tratta insomma di
intercettare i gusti dei turisti attraverso i
social network. Questa sarà la sfida per
il rilancio. Se il cliente ha sempre ragione, è giusto muoversi in questo senso
affinché un museo diventi efficiente
come un‘azienda.
29 febbraio 2016 | 15
copertina del report curato
dall’associazione “dislivelli”
Montanari per forza (o per scelta)
850mila stranieri abitano Alpi e Appennini, salvando interi borghi dall’abbandono
A “migrare” in Umbria però sono soprattutto magnati ed ereditieri
A
gitu Ideo Gudeta è nata ad Addis Abeba, in Etiopia, ma dal
2010 produce formaggi biologici nelle montagne del Trentino. Alleva una specie di capra, la pezzata
mochèna, che ormai era quasi scomparsa. Ai piedi del Monviso invece c’è
una comunità di cinesi che ha iniziato
a estrarre e lavorare la pietra. In un
borgo delle Alpi piemontesi i cui abitanti si potevano contare sulle dita di
una mano. Un gruppo di rumeni poi
ha riconosciuto un’incredibile somiglianza tra le foreste del casentino, in
provincia di Arezzo, e i boschi di Bacau e ha cominciato a curare gli alberi della vallata come fossero quelli
di casa propria. E così quelle famiglie
hanno ripopolato le scuole elementari e materne di quei paesini sparsi,
salvandole dalla chiusura. Insomma,
secondo un report curato dalla rivista
Dislivelli, i numeri parlano chiaro: gli
stranieri che vivono sulle Alpi e sugli
Appennini sono oltre 850mila.
L’Umbria, insieme all’Emilia-Romagna e al Veneto, è tra le regioni in cui
il numero di stranieri nei comuni interni
supera il 10 per cento. E quasi sempre
è grazie a loro, che provano a destreggiarsi tra agricoltura e turismo, se intere valli non si sono ancora spopolate.
In Umbria a recuperare borghi e
frazioni sono soprattutto ricchi personaggi d’oltre confine: come Davidi
Gilo, magnate israeliano della telefonia, o la scultrice americana Beverly
Pepper (entrambi hanno casa a Todi).
Sono tanti gli americani o i tedeschi
che scelgono la tranquiliità dell’Um-
bria e decidono di trasformare vecchi
casolari abbandonati in dimore estive
o residence di lusso. Dando anche un
nuovo impulso all’economia locale.
Montegello, sopra Marsciano, contava all’anagrafe otto abitanti prima che
alcuni stranieri comprassero l’intero
castello fortificato portando turisti e
nuova vita. Risale agli anni ’70 invece
la storia dei “capelloni“ del Monte Peglia: ragazzi un po’ hippy che parlavano dialetti stranieri e che occuparono
terre dello Stato lasciate all’incuria per
sperimentare uno stile di vita alternativo. Venticinque di quelle cascine sono
ancora abitate da chi si fermò lì tanti
anni fa. Storie di “migranti” che, per
forza o per scelta, si sono fatti “montanari”.
Giulia Paltrinieri
Quattro colonne
Redazione degli allievi della Scuola
a cura di Sandro Petrollini
Anno XXV
numero 4 – 29 febbraio 2016
Registrazione al Tribunale di Perugia
N. 7/93 del maggio 1993
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