Quattro colonne Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P. 70% regime libero – ANNO XXV n° 4 29 febbraio 2016 – AUT.DR/CBPA/CENTRO1 – VALIDA DAL 27/04/07 SGRT Notizie Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Aggiornamento di Giornalismo Radiotelevisivo Perugia (in)sicurezza Spaccate in centro a Perugia, furti e truffe agli anziani Autorità e cittadini insieme per combattere il crimine Economia, quanto costa crescere un figlio pagg. 6-7 Sprechi alimentari: i numeri in Italia e in Umbria pagg. 8-9 Galleria Nazionale: ripartire dai social pagg. 12-15 Attualità Anziani nel mirino Truffati da falsi carabinieri, avvocati e addetti delle energie elettriche. Raggirati da giovani che promettono compagnia. La situazione a Perugia di Alessia Benelli U na donna di circa trenta anni porta a spasso il figlio con il passeggino nel Parco di Ponte San Giovanni a Perugia. Occhi allungati, un po’ in sovrappeso, non ha lavato i capelli da diversi giorni. Ad un certo punto si mette a parlare con un anziano che si trascina a fatica con un bastone. Finiscono la conversazione e lui le fa un gesto con le dita come per dirle “ci vediamo dopo”. Un normale incontro della vita quotidiana che però, a Ponte San Giovanni, negli ultimi tempi potrebbe essere frainteso. Qui sta emergendo un nuovo sistema per truffare gli anziani. Riccardo Cecchini, sovrintendente capo della sezione anticrimine della Questura di Perugia, ci spiega: «Gli anziani vengono avvicinati da queste giovani donne, prevalentemente di nazionalità romena, che promettono prestazioni sessuali. Le ragazze hanno un duplice ruolo: rubano i soldi dalle tasche degli uomini durante il rapporto e carpiscono informazioni sulla ricchezza del poveretto (dove abita, quanto prende di pensione, dove nasconde i monili in casa). Le informazioni vengono trasmesse alla banda di cui fanno parte e nel giro di pochi giorni il malcapitato si trova la casa svaligiata». Si tratta quindi di un sistema criminale ben strutturato, 2 | 29 febbraio 2016 la Polizia conosce chi vi opera all’interno. Infatti Cecchini racconta: «Sono già 5 i soggetti che per questa vicenda sono in detenzione domiciliare oppure agli arresti domiciliari, contiamo di distruggere l’attività della banda in poco tempo». Aldo e Francesco, quasi ottantenni, trascorrono i loro pomeriggi a passeggiare nel Parco di Ponte San Giovanni. Hanno sempre vissuto qui e conoscono bene i loro coetanei che sono cascati nella trappola di queste giovani donne, dicono: «A volte quando andiamo al supermercato queste ragazze si avvicinano e ci salutano ma noi le allontaniamo. I nostri amici che vanno con quelle ci «Le vittime vengono seguite dall’ufficio postale a casa. Sono studiate per giorni» fanno pena, sono persone sole, vedovi e con i figli che abitano lontano». Proprio la solitudine è una delle condizioni che rende allettanti agli occhi dei truffatori le persone più anziane. Si presentano come assicuratori, vigili del fuoco, tecnici del gas o Enel, finti avvocati ed anche carabinieri. Gli anziani aprono volentieri la loro porta di casa perché hanno voglia di parlare con qualcuno e si fidano di chi hanno di fronte. Quasi tutti i giorni a Perugia avviene un episodio del genere, tanto che fra il 5 e l’8 per cento delle segnalazioni alla Questura (in tutto circa 5 mila al mese) riguarda gli anziani truffati. Tra gli ultimi casi, quello di un falso incaricato Enel che è riuscito a farsi aprire la porta da una novantenne residente nel centro della città. «Signora abbiamo riscontrato un’anomalia al suo impianto di riscaldamento» avrebbe detto il giovane truffatore all’anziana mostrando velocemente il cartellino di riconoscimento dell’azienda energetica. L’uomo è entrato nella casa della donna e ha fatto finta di lavorare alla caldaia, la novantenne lo ha lasciato da solo nella stanza. Dopo pochi minuti il finto addetto Enel aveva già finito il suo lavoro. La donna si è poi accorta che era scomparso il suo portafogli che si trovava nella borsa lasciata sul tavolo della cucina. Ha chiamato la Polizia ma ormai il truffatore si era dileguato. Non sempre accade che le vittime delle truffe denuncino alle forze dell’ordine il raggiro subìto, come ci spiega Aldo Darena della Spi Cgil Perugia: «A volte si vergognano di se stessi: te- Attualità mono di essere stati troppo ingenui e quindi di essere giudicati o addirittura sgridati dai familiari. Noi diciamo che bisogna denunciare sempre». Gli ultrasessantacinquenni rappresentano oltre il 23 per cento dei residenti a Perugia. Un tempo gli anziani erano la fascia debole della popolazione, i figli dovevano occuparsi di loro pure economicamente. Oggi la situazione si è ribaltata: sono i genitori – anche di una certa età – a dover mantenere i figli perché soltanto loro hanno un’entrata certa mensile, la pensione. I malviventi identificano l’anziano da raggirare o truffare proprio quando va a ritirare la pensione all’ufficio postale o in banca. Il sovrintendente Cecchini ci spiega che di solito è uno dei complici a scegliere la vittima che viene resa riconoscibile attaccandogli addosso un piccolo post-it o facendogli una foto con il cellulare che spedisce al suo compagno. Quest’ultimo ferma il pensionato con una scusa e distraendolo riesce a rubargli la pensione appena ritirata. Solo nel peggiore dei casi l’anziano viene scippato. Oppure può succedere che i malfattori lo seguono fino a casa e decidono se inscenare una truffa o derubarlo. Non sempre i furti nelle abitazioni delle persone anziane sono così calcolati. In una città come Perugia il problema della sicurezza si lega a quello dello spaccio di droga. I tossicodipendenti hanno sempre bisogno di denaro contante e sanno che è più probabile che una persona canuta abbia a disposizione delle banconote, in tasca o in casa, rispetto Salvatore Barba durante l’incontro con i cittadini di via XX settembre ad un trentenne. In passato è successo persino che un drogato si sia intrufolato in una casa solo per mangiare prima di assumere eroina nella stessa abitazione, così ci racconta Francesco di Ponte San Giovanni. Questi episodi oggi sono sempre più rari. A Perugia c’è meno traffico di droga (la città fino al 2013 deteneva il primato italiano di morti per overdose: 2 o 3 al mese), ma alcuni quartieri della città non sono ancora tranquilli. È il caso della zona di via XX settembre, dove vivono molti anziani soli. Da quando lo spaccio di sostanze stupefacenti si è spostato dal centro storico alla stazione l’area è frequentata da spacciatori e tossicodipendenti, la loro presenza ha fatto salire la percezione dell’insicurez- za tra gli abitanti. Non è un caso che proprio qui il 9 febbraio Salvatore Barba, il capo di gabinetto della Questura, abbia incontrato un gruppo di cittadini su iniziativa dell’associazione di quartiere “Il profumo dei Tigli”. C’erano soprattutto ultrasessantacinquenni all’incontro che si è tenuto nella biblioteca di via dei Pennacchi. Un’occasione in cui sono state ribadite le precauzioni da prendere per evitare truffe e raggiri. Ed è stato proposto di intraprendere un’attività di controllo di vicinato creando un gruppo WhatsApp dove tutti i cittadini possono segnalare persone o situazioni sospette. Un’iniziativa accolta a braccia aperte dai partecipanti: i nonni del 2016 sono pronti a usare lo smartphone per difendersi. I 9 consigli per non essere truffati 1. Non aprire la porta di casa a sconosciuti anche se vestono un’uniforme o dichiarano di essere dipendenti di aziende di pubblica utilità. 2. Verificare sempre con una telefonata da quale servizio sono stati mandati gli operai che bussano alla vostra porta e per quali motivi. Se non ricevete rassicurazioni non aprite per nessun motivo. 3. Nessun Ente manda personale a casa per il pagamento delle bollette, per rimborsi o per sostituire banconote false date erroneamente. 4. Essere sempre accompagnati da qualcuno quando andate a prelevare o a fare un versamento in banca o alle poste, soprattutto nei giorni in cui vengono pagate le pensioni o in quelli di scadenze generalizzate. 5. Diffidare sempre dagli sconosciuti, anche da chi sembra una persona distinta e dai modi affabili. 6. Non fermarsi mai per strada per dare ascolto a chi offre facili guadagni o a chi chiede di poter controllare il libretto della pensione o quanto avete prelevato. 7. Se avete il dubbio di essere osservati fermatevi all’interno della banca o dell’ufficio postale. Se questo dubbio vi assale per strada entrate in un negozio o cercate un poliziotto o una compagnia sicura. 8. Durante il tragitto di andata e ritorno dalla banca o dall’ufficio postale, con i soldi in tasca, non fermatevi con sconosciuti e non fatevi distrarre.Ricordatevi che nessun cassiere di banca o di ufficio postale vi insegue per strada per rilevare un errore nel conteggio del denaro che vi ha consegnato. 9. Quando utilizzate il bancomat usate prudenza: evitate di operare se vi sentite osservati. Fonte: Polizia di Stato 29 febbraio 2016 | 3 Attualità In linea con il cittadino Il gran numero di chiamate ricevute dalla sala operativa della Polizia dimostra una grande voglia di collaborare con le forze dell’ordine Spesso con ottimi risultati di Marco Frongia È notte. Un’auto parcheggia davanti a un’abitazione. Il motore si spegne, così come i fanali. Nessuno scende per parecchio tempo, tanto da far insospettire chi abita nei paraggi. In quella zona, infatti, solo una settimana prima alcuni ladri avevano svaligiato un appartamento. E su quell’auto, di certo non appartenente a un residente, potrebbe esserci qualcuno animato da intenzioni simili. Parte una telefonata al 113. Una volante arriva sul posto e controlla la vettura. Trovando a bordo solo una coppietta in cerca di intimità. A raccontarci questo aneddotto è il sovrintendente Massimo Granocchia della Polizia di Stato. Ci ha ricevuti poco dopo le 21 in un ufficio subito accanto allo sportello denunce della Questura di Perugia. È una serata tranquilla, come scopriamo spostandoci nella sala operativa, qualche piano sopra: il telefono squilla una volta sola in quasi tre ore, per una lite in famiglia. Scambiare due amanti per una banda di criminali intenti ad architettare un furto – scopriamo – capita piuttosto di frequente a chi telefona al 113. Ma non mancano anche “movimenti sospetti” compiuti da innocui passanti; oppure ragazzi seduti tranquillamente su una balaustra ritenuti aspiranti suicidi. Verrebbe spontaneo pensare che questo genere di chiamate siano un ostacolo per il lavoro degli agenti. «No, anzi: la polizia è ben contenta di ricevere segnalazioni» chiarisce Granocchia. «La collaborazione dei cittadini è alla base del nostro lavoro. A volte basta una telefonata per evitare che qualcuno si faccia male». Il rischio di una chiamata a vuoto, insomma, è un piccolo prezzo da pagare: se i sospetti di un cittadino sono 4 | 29 febbraio 2016 fondati, possono tornare molto utili. Il 14 dicembre, per esempio, una Peugeot 106 è stata vista da un passante mentre si aggirava per Ferro di Cavallo, a Perugia. A bordo, due persone sembravano compiere un sopralluogo. Viene allertata la polizia. Appena finiti gli accertamenti, arriva la segnalazione di una rapina al vicino Eurospin: due uomini, di cui uno armato di pistola, erano appena fuggiti con un bottino di circa 2500 euro su una Fiat Uno rubata nel parcheggio del supermercato. L’esperienza degli agenti permette loro di intuire un collegamento tra i due eventi: i rapinatori, verosimilmente, avrebbero utilizzato la Uno solo per raggiungere una seconda auto da usare per la fuga. Magari la stessa Peugeot, nel frattempo scomparsa. Una previsione azzeccata: i due uomini sono stati bloccati poco dopo sul raccordo Perugia-Bettolle, all’altezza di Prepo. «Senza sapere in anticipo modello, targa e provenienza dell’auto, trovarli sarebbe stato più difficile», ci racconta l’assistente Fabio Rocci, tra gli agenti presenti quel giorno. Questa sera, Rocci e l’assistente capo Gianni Vagnetti sono di turno in sala operativa. Sulla scrivania in mezzo alla stanza trovano posto alcuni monitor, di cui due dedicati esclusivamente alla visuale delle settanta telecamere sparse per tutta la città. Su un altro schermo, una mappa di Perugia con le posizioni delle volanti in servizio; su un altro ancora si possono verificare i dati forniti nelle se- gnalazioni: l’identità delle persone coinvolte, l’esistenza di precedenti, la possibile presenza di armi. Strumentazioni fondamentali, se utilizzate da personale esperto. Ogni giorno, la Questura riceve in media 180-200 chiamate; non tutte della stessa gravità. Per questo, la capacità degli operatori di capire la situazione emotiva dell’interlocutore può essere decisiva, così come l’affiatamento con il collega seduto accanto, impegnato nel frattempo a fare da raccordo con le volanti. La preparazione e il supporto informatico, però, possono non bastare: «Anche avendo a disposizione il top della tecnologia, il ruolo del cittadino resta fondamentale» sottolinea Vagnetti. E porta risultati importanti: circa un anno fa, la polizia ha arrestato due criminali su un’auto rubata una settimana prima. Merito anche del vero proprietario della vettura: dopo averla riconosciuta, si è messo a pedinarla per quasi un’ora, restando costantemente in contatto telefonico con il 113. Le sue indicazioni sugli spostamenti dei malviventi e la conoscenza del territorio dell’operatore di turno hanno permesso agli agenti di preparare un posto di blocco e fermarli. «Eravamo con il fiato sospeso per tutto il tempo» ricorda ancora Rocci. Anche perché la collaborazione con i cittadini funziona solo se questi mantengono un atteggiamento prudente per tutto il tempo. Un passo falso poteva costare caro: in macchina, si è scoperto, i due avevano anche un manganello e un piede di porco. Grande importanza alla tecnologia e alla preparazione, ma le segnalazioni restano decisive Attualità S paccate notturne, furti in pieno centro. Negozi nel mirino, ma anche abitazioni private, edicole, botteghe. Chi rompe le vetrine spesso cerca i soldi rimasti in cassa a fine giornata, chi entra nelle case ruba quel poco che trova: episodi non quotidiani, ma la cui frequenza preoccupa residenti e commercianti. Perché se le piazze e le vie centrali non sempre sono lo specchio dell’intera città, esse rappresentano come la comunità vorrebbe essere. «Il centro è un grande laboratorio per noi» ammette Salvatore Barba, capo di gabinetto della Questura di Perugia. «Su di esso si è costruita l’immagine positiva e negativa dell’intera città; vogliamo farne qualcosa di presentabile, cambiarne il volto». Non solo un programma, ma anche la descrizione di un lavoro già iniziato, poiché per Barba «già oggi è un’altra cosa, nonostante lo scetticismo iniziale». I numeri, però, parlano di fenomeni criminali rimasti costanti. «Negli ultimi tempi gli episodi di teppismo sono stati esponenziali» spiega la titolare di un negozio di vestiti in corso Vannucci. «Qui hanno rotto la vetrina due volte per prendere i soldi rimasti, l’altra notte sono entrati anche all’edicola. L’unica cosa che posso fare è mettere allarmi e continuare a cambiare lucchetti», afferma mostrando l’ultimo acquistato. Nessun furto eclatante, ma visite notturne che non risparmiano persino latterie o piccoli venditori alimentari come la “Bottega del tartufo”, a pochi passi dall’ingresso di Palazzo Donini. Proprio qui, a inizio gennaio, i tentativi di furto sono stati ben tre in una settimana. «Rispetto agli ultimi anni – afferma un dipendente – il centro è più vivibile anche di sera e si vede meno brutta gente. Magari occorrerebbero più controlli; tuttavia non penso sia possibile eliminare totalmente la delinquenza, non sarebbe Perugia». La prevenzione da parte delle autorità in realtà non manca, con telecamere e ronde delle forze dell’ordine che permettono la sorveglianza notturna del centro. Eppure c’è chi ritiene questo ancora insufficiente: «Quando sono entrati nel mio negozio – spiega una signora – ho visto le registrazioni. Purtroppo non servono a niente: le persone sono incappucciate, aspettano che passi la volante che fa il giro delle mura, poi entrano ed escono nel giro di un minuto». I filmati qualcosa di buono hanno por- Operazione centro sicuro: ecco cosa fare Le notti del capoluogo tra furti e spaccate Futuro possibile solo con collaborazione tra cittadini e autorità tato, come l’arresto di un ladro e rapinatore seriale, autore negli ultimi giorni di gennaio di sei furti e una rapina ai danni di negozianti. La sua identificazione è stata possibile proprio grazie alla videosorveglianza: un sistema non all’avanguardia, per ammissione della stessa polizia, ma che consente di monitorare tutti gli accessi all’area urbana principale. Per contrastare furti e spaccate, però, serve di più. A spiegare la necessità di una stretta collaborazione tra autorità e cittadini è sempre Salvatore Barba: «Occorre sostituire gli spacciatori con un’economia sana, e in centro ci sono le condizioni affinché questo avvenga. Gli interventi finora eseguiti hanno funzionato bene perché, quando la polizia liberava una strada, non restava il vuoto; c’era subito qualcuno che subentrava». Una rivalutazione che è partita da borgo XX Giugno e che quartiere per quartiere sarà estesa a tutta la città, sempre con gli abitanti in prima linea. «Ora è stata rifatta la zona attorno a piazza Grimana, e anche in corso Bersaglieri la situazione sta cambiando». Diverso il discorso per quanto riguarda le aree che si trovano all’esterno delle mura. Molti progetti sono attivi e altri in cantiere, come quello legato alla zona di Fontivegge, ma la presenza delle vie di comunicazione che portano velocemente fuori città alimenta quello che viene definito “pendolarismo criminale”. «I segni di miglioramento – conclude comunque Barba – ci sono, anche fuori dal centro storico. Occorre solamente incoraggiarli». DaViDE Giuliani 29 febbraio 2016 | 5 Economia Caro bebè, quanto mi costi I prodotti per l’infanzia costano sempre di più. Ma risparmiare si può di Simona Peluso È un sabato mattina, a Perugia: nel negozio di una nota catena di articoli per bambini, un papà un po’ spaesato cerca di acquistare latte in polvere antirigurgito. «La marca che voleva è in offerta: sono 27 euro per 900 grammi, le durerà una decina di giorni… altrimenti abbiamo quest’altro, che costa meno» gli spiega una giovane commessa mostrando due scatole colorate. «Non saprei, mia moglie mi ha detto di prendere proprio quello. Luca ha sempre le coliche, se si trova male?». Qualcuno, dal retro del negozio, chiama la ragazza, che lascia il papà a soppesare confezioni. «Noi usiamo lo stesso latte che cercava, ma lo compriamo online. Lo spediscono dalla Germania, si risparmia un sacco» sussurra un signore alle sue spalle carico di calzini e tutine. I due papà iniziano a chiacchierare, mentre i commessi, attorno a loro, dispensano consigli a una decina di clienti. C’è una coppia di asiatici, lei incinta, che si accorda per il trasporto della culla appena comprata (a 249 euro); una signora anziana cerca di dissuadere la figlia, che valuta l’acquisto di uno sterilizzatore (64 euro, ma «io ho sempre fatto tutto col pentolino e tu e tuo fratello non siete morti»). Due mamme, davanti uno scaffale, commentano le offerte sui pannolini. Poi ci sono le pappe, i vestiti, la culla, il passeggino: secondo Federconsumato- 6 | 29 febbraio 2016 ri, nel 2015, la spesa per mantenere un bambino nel primo anno di vita è oscillata tra un minimo di 6.800 e un massimo di 14.800 euro, con un aumento del 2% rispetto al 2014. Da anni, ormai, i prezzi dei beni per l’infanzia continuano a salire: si stima che una famiglia con reddito medio possa spendere oltre 170 mila euro per far crescere un figlio fino ai 18 anni. A guardare i numeri, i costi sembrano essere davvero insostenibili. «Eppure, con un po’ di accortezze, si riescono ad abbattere radicalmente le spese» raccontano Elisa e Federico, da sei mesi genitori di Giovanni. «Prima che nascesse, abbiamo chiesto ai nostri amici se avevano vestitini da neonato in buono stato. Ce ne sono arrivati una marea, non abbiamo dovuto comprare Il primo anno di vita di un bebé, secondo Federconsumatori, costa circa 6800 euro quasi nulla. L’unico grosso acquisto è stato l’abitino del battesimo: 156 euro e qualche discussione in famiglia». Risparmiare sull’abbigliamento è un passo importante perché, spiega Elisa, «un body può costare tra i 15 e i 20 euro: poiché un neonato va cambiato spesso, ne servono sei o sette. E dopo due mesi, il bambino sarà già troppo cresciuto per poterli indossare. Stesso discorso per pantaloni, magliette e scarpine. Molte persone che conosciamo – continua – si vergognano a comprare cose di seconda mano; ma c’è un mercato fiorente e si trovano anche articoli di buona qualità». Loro, ad esempio, hanno acquistato un “trio” (carrozzina, passeggino e seggiolino auto da montare su un unico telaio) per 140 euro: «Non è l’ultimo modello – commentano – ma si tratta comunque di un’ottima marca: comprandolo nuovo, ne avremmo pagati più di 800». Degli amici hanno prestato la culla, i giocattoli sono arrivati in regalo. Sull’igiene personale, invece, non badano a spese. Comprando in farmacia creme e bagnoschiuma, e due diversi tipi di vitamine, spendono circa 130 euro al mese. I pannolini sono un capitolo a parte, «e vanno acquistati solo in offerta» spiega Elisa. Il gruppo Whatsapp delle mamme con cui ha partorito «funziona come un tamtam per segnalare promozioni. 110 pannolini, così, costano 35 euro anziché 60. Prenderne tanti conviene, in media se ne usano 6 o 7 al giorno». Altra voce in bilancio, le attività “culturali”: Giovanni frequenta un corso di “musica per cuccioli” (35 euro al mese) e lezioni in piscina con i genitori (12 euro a ingresso); «sono un investimento a lungo termine» commenta Federico, che tiene la contabilità familiare. «Da quan- Economia do c’è Giovanni, in media, spendiamo circa 250 euro in più ogni mese. Il costo effettivo, forse, è più alto, ma d’altro canto si esce meno la sera, risparmiamo su cinema, cene, teatro…». «Crescere un figlio è una spesa sostenibile – ribadisce la moglie – basta non cadere vittima del terrorismo psicologico. I piatti e le posate si possono lavare col sapone “degli adulti”, non serve un detersivo specifico», e un bambino, conclude lui «ha bisogno solo di genitori che gli stiano vicino: il gioco più bello, per Giovanni, è un cucchiaino da cucina. La giostrina sulla culla (60 euro), l’avrà guardata tre volte». Stare vicino ai figli, però, non è sempre facile. Elisa è stata fortunata, e potrà lavorare da casa fin quando Giovanni non andrà all’asilo. Ma non a tutti va così bene: il congedo di maternità obbligatorio, in Italia, dura solo tre mesi. Si può scegliere di prenderne un quarto, retribuito al 100%. A quel punto, chi non rientra a lavoro, si vede decurtare lo stipendio del 30%; il posto viene conservato per sei mesi, poi bisogna tornare per forza e trovare qualcuno cui lasciare i figli. Un mese di retta in un asilo nido, in Umbria, costa in media 308 euro. Una baby sitter, otto euro l’ora. Fortunati, quindi, coloro che possono contare sui nonni. Chiara, che è rimasta incinta a 22 anni, non sarebbe mai riuscita a mantenere sua figlia senza l’aiuto di genitori O e suoceri. «Quando ho scoperto che aspettavo Martina ero al secondo anno di università; il mio ragazzo lavorava in un negozio per 1000 euro al mese. I nonni hanno pagato tutto, e siamo riusciti a risparmiare qualcosa. Dall’anno scorso viviamo in affitto in un monolocale. Martina ha 3 anni e va all’asilo; io mi sto laureando. Prima o poi vorrei un secondo figlio, ma ora non ce lo possiamo permettere». «Il passaggio tra il primo e il secondo figlio, in effetti, è quello più pesante per il bilancio familiare» constata Vincenzo Aquino, tra i rappresentanti umbri dell’Associazione Nazionale Famiglie Numerose. Lui e sua moglie, che di figli ne hanno undici, sanno che «i costi si azzerano se si lavora insieme, come si faceva una volta. I bambini – sostiene – sono una ricchezza, un investimento per la società. Le spese ci sono, ma non crescono esponenzialmente all’aumentare del numero di figli. E poi esiste il mercato dell’usato, il riciclo tra fratelli, le convenzioni con gli esercenti». I titolari dei negozi, infatti, vedono di buon occhio le famiglie numerose, «e spesso – conferma Vincenzo – si possono ottenere sconti importanti acquistando grandi quantità di cibo. Stesso discorso per lo sport: se ci sono più fratelli, le società ci vengono incontro». È nata poi un’enorme rete di solidarietà tra i nuclei familiari con tanti figli: «Basta un messaggio sui social network per farsi prestare una carrozzina gemellare in vista di una gravidanza inaspettata. Allearsi, – racconta il signor Aquino – è importantissimo, perché quel che manca, in Italia, è un apparato serio di politiche familiari». Oltre ai normali assegni, si percepisce un bonus a partire dal quarto figlio. «Non basta, però. Ci sono progetti, proposte, – sostiene Vincenzo – ma spesso si tratta di meri spot elettorali. Ormai ci siamo abituati all’idea che i bambini siano un lusso e non ci chiediamo più perché non nascono: a Bastia, l’altro giorno, si parlava del calo demografico. Lo attribuivano solo al fatto che gli stranieri vanno via». L’Istat, invece, conferma che l’Umbria è una delle regioni col più basso tasso di natalità; e nonostante Corso Vannucci, di domenica pomeriggio, sia tutto un fiorire di passeggini e carrozzine, l’Italia non è mai stata così vecchia dai tempi della prima guerra mondiale. Le politiche familiari in Europa gni donna incinta, in Finlandia, riceve una scatola di cartone piena di coperte, giocattoli e vestitini, che all’occorrenza può trasformarsi in una culla. In Francia, col secondo figlio, arriva un assegno da 124 euro al mese, che i genitori continueranno a percepire per vent’anni. In Germania, il Kindergeld (denaro del bambino) raggiunge i 184 euro mensili: per i ragazzi che studiano, il sussidio viene erogato fino al venticinquesimo compleanno. Dal 2013, ogni famiglia tedesca deve 847,63 Dollari l’anno: era la spesa media per un neonato americano nel 1989, quando fu trasmessa la prima serie dei Simpson ottenere per legge un posto al nido. In Spagna, sia la mamma che il papà possono chiedere un’ora di congedo sul lavoro al giorno per i primi nove mesi di vita del bambino. In Svezia, invece, i comuni sono obbligati ad offrire una rete di servizi per bimbi fino ai 12 anni, babysitter inclusa. Pannolini e latte in polvere, nel resto d’Europa, costano meno della metà rispetto all’Italia: molte persone, in Alto Adige, varcano il confine abitualmente per acquistare prodotti per l’infanzia. E risparmiano. 29 febbraio 2016 | 7 Economia A chi non è mai capitato di svuotare il frigorifero e buttare del formaggio che sta per scadere oppure un’insalata che inizia ad avere un brutto colore? Quante volte abbiamo riempito i nostri carrelli, più del dovuto, solo per sfizio o per gola, magari finendo col gettare nella spazzatura una buona parte di quel cibo? Cattive abitudini costantemente monitorate da “Waste Watcher”, l’osservatorio permanente sugli sprechi alimentari delle famiglie italiane. E il quadro che ne emerge non è dei più rosei. Nello stivale ogni famiglia, in media, spreca 7 euro di cibo alla settimana, circa sei etti e mezzo di alimenti che finiscono nel cestino. Secondo Coldiretti, piccoli gesti come quello di svuotare il piatto con gli avanzi equivalgono a 30 milioni di tonnellate all’anno. Una montagna di cibo che ha un prezzo: si parla di una perdita di almeno 13 miliardi di euro. «Ho una cassetta di carciofi ancora piena, e siamo a fine giornata, non li vuole nessuno solo perché sono un po’ rovinati, ma dentro il cuore è buonissimo». Sembra rassegnato il signor Giulio Ciucci, un agricoltore che tutti i giovedì va a vendere i prodotti della sua terra al mercato di Pian di Massiano. «Li mangiamo noi come porci perché non li vogliono comprare». E mentre continua a parlare, ne prende uno, toglie le prime foglie dimostrando che l’interno è perfettamente conservato. Sentendo i discorsi di Giulio, si avvicina anche Rita, la signora del banco a fianco: «C’è chi non vuole la mia insalata perché sopra ci trova delle lumache: non sanno che quello è un segno della qualità della verdura?». Alle parole seguono i fatti, sbuccia un mandarino macchiato e ce lo fa assaggiare: il sapore è decisamente migliore dell’aspetto. «Ormai vogliono solo frutta e verdure perfetti e così noi siamo costretti a riutilizzare tutto l’invenduto come concime per la terra». Un problema culturale che non riguarda solo i banchi dell’ortofrutta ma anche i tavoli dei ristoranti. Dati alla mano, il 21% degli sprechi proviene proprio dal settore della ristorazione; anche se a Filippo Farinelli, proprietario di un ristorante in via della Viola, i conti non tornano. «Se questa è la media, vuol dire che molti ristoranti hanno problemi gestionali, noi cerchiamo di limitare gli sprechi anche perché sarebbe solo un danno economico». Filippo deve assicurare ogni giorno cibo per quaranta coperti, ma i clienti non sono tutti uguali: «C’è 8 | 29 febbraio 2016 Nella terra del cibo In cambio, lui ci regala formaggi e uova, quello che pur di non portarsi via la bottia volte anche dell’insalata fresca». Opglia col vino rimasto, preferisce riempirsi pure il problema si risolve alla radice, il bicchiere e poi lasciarlo pieno sul tavofacendo una spesa ragionata, come lo, perché se lo fai sembri quello povero suggerisce Claudio. «Vado al mercato che si porta via i rimasugli». Lo stesso da 28 anni, ogni giorno, personalmente, imbarazzo riscontrato nei suoi ospiti regolandomi a seconda dei coperti che dallo chef Claudio Brugalossi che geabbiamo di volta in volta. Così è difficile stisce un ristorante in via delle Streghe: che si buttino nel secchio le cose. E se «Io ho abitato 20 anni in America, lì con avanza mezzo coscio d’agnello o la bimia moglie ci portavamo via gli avanzi stecca non è abbastanza bella da poter della pizza e li mangiavamo il giorno essere servita, allora li mangiamo noi dopo a casa, qui invece la gente si verdella cucina». gogna di chiedere la doggy bag». A conMa è tra le mura domestiche che il fermare le parole di Claudio, è sempre confine tra cibo manla Coldiretti, sotgiato e cibo sprecato tolineando come «Questi carciofi sono si fa più sottile. Oltre per il 25% degli solo un po’ rovinati, la metà degli avanzi italiani la doggy annuali in Italia, infatti, bag sia consiecco perché non li si accumula nelle noderata “volgare, vuole nessuno, ma il stre cucine. O meglio, da poveracci e nei secchi delle nostre da maleducati”. cuore è buono» cucine. «I bastoncini di Sembra dunque pesce scaduti da quattro giorni li manche per cambiare le abitudini degli itagio pure, ma se parliamo di cose freliani ci voglia una vera e propria rivolusche come yogurt o formaggi rispetto zione culturale; in attesa che avvenga, i le scadenze». Roberto è uno studente ristoratori si ingegnano come possono: fuorisede: ha un’app sul cellulare che gli «Il pane invenduto o altri avanzi – dice permette di individuare le offerte migliori. Filippo – li portiamo ad un vecchietto «A volte stare attento non basta, spesso della zona che ha un orto e delle galline. Economia In Italia ogni anno si buttano 30 milioni di tonnellate di cibo. Il nostro viaggio tra gli sprechi alimentari di Giacomo Prioreschi e Valerio Penna o perduto le cose che compri le butti. Su 30 euro settimanali di spesa, di sicuro 4 vanno a finire nella spazzatura». Flavia, un’altra studentessa fuorisede, è più netta e dice di sprecare “un sacco”: «A volte compro cose in più perché ci sono le offerte, ma poi non le consumo nemmeno». Al contrario di Roberto, però, è molto fiscale sulle date del cibo: «Se qualcosa è scaduto, anche solo per un giorno, io lo butto». Sono tanti gli italiani che, come Flavia, seguono alla lettera quanto scritto sulle etichette. Ma un avverbio a volte può fare la differenza. «La formula delle scadenze mette in crisi molti prodotti che spesso non vengono consumati: se cambiassero la dicitura in “preferibilmente” si creerebbero di certo meno eccedenze. D’altronde, i supermercati sono costretti, anche per far fronte alla concorrenza, a tenere prodotti sempre freschi». Roberto Mirri è il direttore del Banco Alimentare dell’Umbria. Lui e i suoi 60 volontari ogni giorno salgono sui tre furgoni dell’associazione e recuperano cibo, distribuendolo a 2500 enti bisognosi come la Caritas, gli istituti per anziani e le case famiglia. L’anno scorso sono riusciti a salvare dalla pattumiera 1058 tonnellate di prodotti. E in effetti il colpo d’occhio, vagando per i bancali e le celle frigorifere del capannone bianco dove lavorano, è impressionante: succhi di frutta che i supermercati non venderebbero perché la confezione non è più integra; interi pallet di legumi e latte che l’Unione Europea destina agli indigenti; frutta e verdura un tempo esportati in Russia, divenuti un ingombrante avanzo dopo l’embargo per la crisi ucraina. Il Banco Alimentare raccoglie, infatti, secco e fresco. Tuttavia Mirri non ha dubbi quando gli chiedi quale sia l’alimento più sprecato. «Senza dubbio, il cibo già cotto: in un asilo, se una teglia di pasta non viene consumata tutta per- ché un giorno mancano dieci bambini, la butti». Ma al di là degli accordi e le convenzioni che regolano le attività del Banco Alimentare, sono le donazioni improvvise a sorprendere ancora Mirri, a 18 anni di distanza da quando ha iniziato. «È capitata una signora che ci ha portato 150 chili di cachi perché altrimenti andavano a male; oppure pochi giorni fa sono arrivati 14 quintali di pollo: se questo cibo non fosse stato dato a noi, che fine avrebbe fatto? Ecco perché ogni volta che arriva qualcosa, destinato alla distruzione, e noi riusciamo a metterlo sulla tavola di qualcuno, io mi emoziono». Giulio Ciucci mostra i suoi carciofi: foglie rovinate ma cuore integro 29 febbraio 2016 | 9 Economia A casa con nonna La storia di Matteo, giovane imprenditore di Magione che vive con la nonna anche se non ne avrebbe bisogno di Gianluca De Rosa Matteo al lavoro nel suo bar di Magione I disagi familiari non sono certo una scoperta digitale. Padri violenti, madri senza cuore, ma anche semplicemente genitori assenti o poco affettuosi: è un campionario lungo quello delle peripezie parentali che da sempre mettono alla prova i bambini e i ragazzi di tutte le generazioni. Oggi il concetto di famiglia è in grande evoluzione, e non tanto in virtù delle battaglie per quelle omosessuali: la famiglia è già cambiata e quella “tipo”, ormai, è una famiglia separata. Nell’ultimo censimento dell’Istat (2011) si scopre che in Italia le famiglie separate legalmente o divorziate sono raddoppiate rispetto a dieci anni prima: da un milione e mezzo del 2001 a quasi tre del 2011. Le separazioni a volte sono storie poco traumatiche e ormai accettate dall’opinione collettiva, spesso però dietro a queste si celano vicende brutte o, a volte, molto originali. È il caso di Matteo, 32 anni, barista e imprenditore di Magione. Nato quando la mamma aveva 18 anni ed il padre 23, ha vissuto una dinamica che tanti ragazzi della sua generazione conoscono: tre giorni a casa di mamma e quattro in quella di papà, o viceversa. I traslochi settimanali di Matteo avevano però una grande differenza rispetto a quelli degli altri: da casa dei nonni materni a quella dei nonni paterni. «Il 70% della mia vita, in realtà, l’ho passato a casa di nonna Rosa, la mamma di mia madre – racconta mentre prepara un caffè dietro il bancone del suo bar – ancora oggi viviamo io e lei». Matteo ha smesso di studiare presto e ha iniziato a lavorare come barista, poi, dopo aver messo i soldi da parte, nel 2011 ha aperto un’attività, il bar “La meglio gioventù”, in onore del film di Marco Tullio Giordana. «Sono un appassionato di cinema, ogni anno mi faccio almeno un festival» racconta. La sua passione per il grande schermo trasuda da tutti i piccoli dettagli all’interno del bar: locandine sparse appese alle pareti, da “Fino all’ultimo respiro” di Godard a “Il deserto rosso” di Antonioni, poi dizionari del cinema, grammofono, e tutto l’armamentario della sottocultura giovanile del momento, quella degli hipster. Di passaggio a Magione per la proiezione di un suo film Giordana è anche venuto al bar di Matteo. «Mi ha promesso che verrà di nuovo alla pizzeria che ho aperto qui di fianco, “I cento passi”, titolo di un suo altro successo che racconta la storia di Peppino Impastato». Il sondaggio: i nonni italiani Gianni Morandi è il nonno d’Italia. Lo dice un sondaggio condotto sui 3000 iscritti al sito di prodotti per bambini babysharing.com lo scorso 2 ottobre, in occasione del decimo anno della festa dei nonni. Con il 39% dei voti il cantante di Monghidoro batte addirittura Lino Banfi che da nonno Libero nella fiction “Un medico in famiglia” ha saputo farsi amare dagli italiani. Tra le donne invece vince la Carrà. A sorpresa arriva seconda Aurora, la nonna di Florenzi, resa famosa dall’abbraccio del nipote e terzino della Roma che dopo un goal corse in tribuna per esultare con l’adorata nonnina. 10 | 29 febbraio 2016 La vita di Matteo è una scommessa continua, 12 dipendenti per i suoi due locali, poi la sfida di Albaia, una spiaggia lasciata per anni nel degrado sul lago Trasimeno che con altri tre amici ha preso in gestione e «dove d’estate facciamo “bella lago”, una serata che fa 5000 persone» spiega fiero. Sveglia a mezzogiorno e poi al bar fino a tarda notte, abitudini leggermente diverse da quelle della nonna che quando lo vede a casa lo sfotte benevola e senza troppo lamentarsi lo aiuta: «Eh sì, è inutile che lo neghi, mia nonna stira e lava, è un bel vantaggio averla così in forma». Nonna Rosa, infatti, ha 82 anni, «ma sta molto bene, non beve, non fuma e mangia solo “chilometro zero” è questo il suo segreto». La storia di Matteo è originale, ma racconta una caratteristica italiana: i problemi familiari si risolvono sempre con la famiglia. E se quella tradizionale arranca davanti ai tempi moderni, allora quella allargata o a composizione originale, come la famiglia di Matteo, ricorda che c’è sempre e comunque una casa nella quale tornare. E questo è vero in provincia come nelle grandi città. «Io e Alice viviamo da sua nonna – racconta Filippo, 24 anni, che a Roma fa l’aiuto cuoco –. Siamo andati da lei perché io con il mio lavoro e lei con il suo da pasticciera siamo impegnati 12 ore al giorno. Per fortuna c’è sua nonna che ci aiuta a fare la spesa, lavare, stirare, insomma in tutte le faccende domestiche che non avremmo mai tempo di fare. Contenta lei di rendersi utile e contenti di noi di avere una vita almeno un po’ più semplice» conclude sorridendo l’aspirante chef. Economia Se la pensione non basta Tra l’aiuto dei figli e il risparmio quotidiano. Più della metà degli anziani umbri vive con meno di 700 euro al mese I l tappetino verde nuovo di zecca che dà un tocco di colore alla cucina della signora Lucia, 75 anni, non l’ha comprato lei. «Io non posso permettermi questi acquisti, è un regalo di mia figlia che sapeva che ne avevo bisogno». Negli anni in cui gli anziani sono i “nuovi ammortizzatori sociali”, permettendo alle famiglie di andare avanti nonostante la precarietà dei giovani, sembra strano che un figlio aiuti un genitore. In realtà è abbastanza frequente, soprattutto nella regione più longeva d’Italia, in cui il 25% della popolazione ha più di 65 anni. In Umbria infatti, secondo l’ultimo rapporto della Spi Cgil, circa il 67% delle pensioni erogate è sotto i 750 euro al mese. Il 25% è composto dalle “minime”, intorno ai 500. Una di loro è proprio Lucia, una signora di origine francese che vive in Italia da più di 50 anni. Un appartamento di proprietà, tre figli di cui uno disoccupato e 499 euro al mese per vivere. Che non bastano mai. «La mattina mi alzo e penso a quanto devo spendere – racconta – sto attenta a tutto, perché più della metà della pensione se ne va in tasse e bollette». Lucia in Italia ha svolto solo qualche lavoro saltuario non in regola, perché doveva accudire la zia malata del marito e badare ai figli. Oggi le resta un assegno sociale di 220 euro e la reversibilità della pensione del coniuge, che faceva l’imbianchino. «Com’è possibile mangiare con 500 La signora Lucia nella sua cucina euro al mese?» le chiede spesso una sua amica francese: lei risponde che non lo è, «ma ci si arrangia». E così mette via la tredicesima per il gas di tutto l’inverno, lava quando si spende poco, non compra nulla da anni, è at- tenta a tutte le offerte dei discount e i cibi costosi come la carne sono un lusso che si può permettere di rado. Ma nonostante la parsimonia, se le due figlie che lavorano non le dessero un aiuto, non arriverebbe alla quarta settimana. Un’altra mano gliela tende la sua patria natia, che le invia un piccolo sussidio, pur avendo lavorato in Francia solo due anni. «Quei soldi sono per le emergenze, per le medicine che non mi rimborsano e per le visite private, che a volte sono necessarie». Il diritto alla salute è infatti molto spesso un miraggio per gli anziani. «Più la popolazione si invecchia - spiega il segretario regionale della Spi Cgil Oliviero Capuccini – più c’è bisogno di prestazioni gratuite, ma spesso le liste d’attesa sono troppo lunghe e il pensionato che non ha soldi per rivolgersi ad un medico privato finisce per non potersi curare». Anche tra i nonni si sono create nuove sacche di povertà: il problema, secondo Capuccini, è soprattutto il mancato adeguamento delle pensioni al costo della vita, che negli ultimi 15 anni hanno perso circa il 30% del loro potere d’acquisto. «Oggi se vivi con 9.000 euro all’anno puoi essere considerato una persona povera». A rischio povertà si sente anche chi come Marcella, vedova di 61 anni, con la reversibilità del marito arriva a 900 euro. «Basta lasciarsi andare un mese ed ecco che non bastano». Pur riuscendo a pagare tutto da sola e a non pesare sui figli a suon di rinunce, non riesce a dargli nulla. Eppure ne avrebbero bisogno: «Per aiutare mio nipote a pagare l’apparecchio per i denti ho dovuto chiedere 300 euro alla banca, è triste quando a tuo figlio servono soldi e tu non sai dove trovarli». Non pagare l’affitto è ancora la fortuna di tanti pensionati, ma anche avere una casa di proprietà per Lucia si è rivelata un’arma a doppio taglio. Quando ha chiesto agevolazioni sulle bollette le è stato detto di no: il suo modesto appartamento fa impennare l’Isee. «Ma i muri della casa non si possono mica mangiare» ripete arrabbiata. Ci sono anziani che vanno a cercare la frutta nei cassonetti dei supermercati, ma lei giura che non ci arriverà mai: «Piuttosto mangio solo pane. Ha visto quanti pensionati se ne vanno dall’Italia? Se potessi lo farei anch’io, ma ormai sono troppo vecchia». Elisa Marioni 29 febbraio 2016 | 11 Cultura «Tutti vogliono contribuire al rilancio» Galleria Nazionale dell’Umbria, il direttore Marco Pierini traccia un bilancio dei primi mesi: «Una sempre maggiore apertura verso la città» A d agosto è arrivato alla direzione della Galleria Nazionale dell’Umbria: si dovevano scegliere i nomi dei 20 “super direttori” dei principali musei italiani, dotati di autonomia speciale in seguito alla riforma Franceschini. Il provvedimento trasforma i più importanti poli italiani in vere e proprie aziende con un’autonomia contabile, finanziaria e amministrativa. Marco Pierini ha battuto la concorrenza di altri 380 candidati arrivati da tutto il mondo in seguito al bando internazionale. E da lui riparte il principale museo umbro, alla ricerca di una visibilità e di una riconoscibilità che fino ad ora è rimasta troppo spesso prigioniera del “vorrei ma non posso”. Direttore Pierini, sei mesi fa la sua nomina alla direzione della Galleria Nazionale dell’Umbria. Quale situazione ha trovato ad agosto? «In realtà sono entrato in servizio il primo di ottobre, solo quattro mesi fa. Ho trovato una situazione di attesa, di stallo, ma non di sfiducia. Tutto il personale della Galleria, il Comune di Peru- 12 | 29 febbraio 2016 gia, la Regione Umbria, la Fondazione Cassa di Risparmio, gli altri comuni umbri mi sembra abbiano una gran voglia di contribuire al rilancio del museo, a intraprendere tutti assieme un ulteriore periodo di trasformazione e di crescita». «Gli umbri sono molto attaccati al museo, ma questo non ci esenta dal coinvolgerli ancora di più» Quali sono le principali problematiche che ha affrontato in questi primi mesi? E su cosa c’è ancora da lavorare? «I primi mesi sono stati quasi completamente assorbiti dallo studio dello status quo, da una parte, e dalla redazione degli strumenti che ci consentiranno di lavorare nel prossimo futuro: lo statuto dell’ente, il bilancio, il programma delle attività. C’è ancora da lavorare su tutto e i quattro anni di mandato saranno forse appena sufficienti». Lei ha lavorato anche a Siena e Modena. Quali sono le principali differenze tra queste realtà e l’Umbria? «In realtà è ancora presto per dirlo, ci vogliono anni per capire davvero dove siamo (ammesso poi che ci si riesca fino in fondo)». In una delle sue prime interviste dichiarò di voler puntare sulla valorizzazione del patrimonio del museo. Cosa è stato fatto in questo senso? «È stato rivisto il percorso museale, che subirà alcuni piccoli ma significativi cambiamenti nei prossimi mesi. Sono allo studio la revisione delle didascalie, dei pannelli informativi, della segnaletica, e dei supporti multimediali alla visita. Si è infine programmata una nuova illuminazione a led che, oltre a far risparmiare sulle bollette, migliorerà notevolmente l’esperienza visiva dell’allestimento. È stato poi predisposto un piano di mostre temporanee per i prossimi 18 mesi che verranno annunciate prossimamente e potenziato il servizio didattico». Cultura Tra le criticità del museo al tempo della sua nomina fu evidenziata la scarsa comunicazione. Ricordiamo le sue parole: «Non è possibile, per fare un esempio banale, avere una pagina Facebook con meno di mille like». Ad oggi siamo ancora sotto questa quota, e in generale il museo sembra molto indietro sul web. Qualcosa si sta muovendo in questo senso? «Sì, ma purtroppo molto lentamente. Per quanto riguarda il sito stiamo aspettando le linee guida del Ministero per poter cominciare a lavorare, e speriamo davvero che arrivino presto (sulla pagine web della Galleria campeggia la scritta “sito in allestimento” e l’ultima modifica è datata 24 giugno 2015 ndr). Sull’altro fronte, la revisione della gestione dei social è appena iniziata ed è sicuramente uno degli aspetti da potenziare». Un bilancio di questi primi mesi e una prospettiva sul futuro prossimo. «Il bilancio è positivo sotto molti aspetti: gradimento del pubblico (secondo il Travel Appeal Index, il museo è il primo in Italia per soddisfazione generale dei visitatori, con un gradimento del 93,95% ndr), facilità di avviare o ribadire collaborazioni con enti, istituti e privati. Abbiamo anche ottimi rapporti col territorio. Sulle prospettive non mi sbilancio ma credo di poter scommettere almeno su una maggiore apertura del museo nei confronti della città e, come sottolineato, della regione e in una prossima maggiore visibilità della Galleria sui media». Nonostante le difficoltà di promozione, i dati del Travel Appeal Index sembrano premiare la Galleria. Che tipo di ricaduta può avere questo dato sul turismo museale umbro? «Il dato non è stato così diffuso da poter incidere significativamente. Al momento la galleria influisce sulla qualità del soggiorno del turista – perché è davvero molto apprezzata, anche da chi la scopre per caso – più che come stimolo al viaggio in Umbria». Se dovesse scegliere un’opera particolarmente rappresentativa o simbolica del museo, quale sarebbe e perché? E la sua preferita? «La croce del Maestro di San Francesco e il polittico di Piero della Fran- Il Polittico di Sant’Antonio, tra le opere più rappresentative della Galleria nazionale dell’Umbria Il capolavoro di Piero della Francesca è databile al 1460-1470 cesca sono a mio avviso le opere più rappresentative, alle quali – da senese – devo aggiungere la dolce Madonna col Bambino di Duccio. Queste opere, assieme all’Annunciazione e san Luca di Benedetto Bonfigli sono anche quelle che mi sono più care». Pensa che gli umbri e soprattutto i perugini vivano il museo e siano sufficientemente a conoscenza delle ricchezze che contiene? «Per quello che ho potuto capire mi sembra che ci sia un grande attaccamento al museo da parte degli umbri. Il che non ci esenta da cercare di coinvolgere ancora di più la popolazione nelle nostre iniziative». Francesco Mariucci 29 febbraio 2016 | 13 Cultura Il museo più amato dell’Umbria di Davide Denina e Ruben Kahlun Un successo tutto online. Secondo un’indagine voluta dal Mibact, i capolavori della Galleria nazionale sono i più apprezzati sui social I numeri sono positivi, ma la strada della digitalizzazione è ancora lunga I l percorso lungo la Galleria Nazionale dell’Umbria a Palazzo dei Priori è un viaggio nel passato tra colori e atmosfere che sembrano rallentare lo scorrere del tempo. Dipinti, sculture e ceramiche. Lungo le quaranta sale del museo è conservata la maggiore raccolta di opere dell’arte umbra dal XIII al XIX secolo. Tante le rappresentazioni sacre presenti nei due piani della Galleria e raccolte secondo una suddivisione che tiene conto di sette fasi temporali. Visitando le prime quattro sale si trovano alcuni capolavori del Duecento e del Trecento: dal Crocifisso ligneo della prima metà del 1200, proveniente dalla chiesa di Santa Maria di Roncione di Deruta alle sculture senesi presenti in sala 4: tra esse svetta la statua lignea della Madonna con Bambino del Maestro della Madonna di Perugia. Procedendo lungo gli spazi della pi- 14 | 29 febbraio 2016 nacoteca, dopo le opere pittoriche del tardo Gotico, si giunge al percorso che ospita alcuni capolavori del primo Rinascimento: il polittico di San Domenico del Beato Angelico e quello di Sant’Antonio di Piero Della Francesca. L’opera dell’artista di Borgo Sansepolcro è composta da nove pannelli, con le figure principali dipinte su un fondo d’oro, con un motivo che imita le stoffe preziose. Le sale che vanno dalla 12 alla 19 rappresentano il Quattrocento umbro-marchigiano e il Rinascimento. Qui le opere pittoriche di quello che il Vasari definì il più grande artista umbro prima dell’ascesa del Perugino: Benedetto Bonfigli. Nell’Annunciazione (1450), l’evangelista Luca è rappresentato come “cronista” dell’ incontro tra l’Arcangelo Gabriele e la Madonna. Nelle sale 17 e 18 si trovano le oreficerie e alcuni dei tipi tessuti di produ- zione perugina prodotti tra XIV e XVII sec. a dimostrazione che anche le arti minori meritano uno spazio di rilievo all’interno dell’esposizione. Come se non bastasse, la tecnologia fa bella mostra di sé con un touchscreen presente nella sala Farnese che consente di esplorare le ambientazioni in maniera interattiva. In sala 20 sono esposti i ferri da cialda, utensili domestici che a Perugia raggiunsero una considerevole qualità artistica. Servivano per cuocere ostie e cialde in particolare in occasione di matrimoni o dell’assunzione dell’abito religioso. La sala 21 sorprende con la cappella dei Priori, un’altra grande opera del Bonfigli che attraverso diversi affreschi narra della vita di San Ludovico da Tolosa e del vescovo Sant’Ercolano, santo Patrono di Perugia. Qui è rappresentata la presa di Perugia da parte di Totila Cultura e il susseguente martirio di sant’Ercolano durante l’assedio dei Goti. Si scendono le scale e il comune denominatore tra il terzo e il secondo piano della galleria restano le opere di Pietro Vannucci, detto il Perugino. Dalle opere giovanili alla fase matura, rappresentata dal polittico di Sant’Agostino, grandiosa macchina d’altare a due facce, per la quale furono dipinti diversi pannelli, alcuni non più a Perugia a seguito delle conquiste napoleoniche. Sempre in queste sale si può ammirare l’imponente Pala di Santa Maria dei Fossi (1496-1498) del Pinturicchio, che collaborò con il Perugino. Si prosegue poi con opere del secondo Rinascimento (considerevole la Pala di San Giovanni Evangelista, una tempera su tavola di Berto di Giovanni che vede al centro il Santo che scrive l’Apocalisse a Patmos) e si arriva poi a produzioni del manierismo umbro e alla collezione che Vincenzo Martinelli, storico dell’arte, donò con lascito testamentario al comune di Perugia nel 1997. Si chiude con il Seicento rappresentato da dipinti e sculture dai caratteri più schiettamente controriformisti e barocchi e con opere del Settecento e Ottocento. Di fronte a tanti e tali tesori, il neodirettore Marco Pierini, scelto dal ministero l’anno scorso tra una rosa di quasi quattrocento candidati, dovrà fare uno sforzo di valorizzazione maggiore di quello fino a oggi intrapreso. Potrà contare su un organico di 82 persone, di cui 55 sono addetti alla vigilanza a presidio delle meraviglie della Galleria. La riforma voluta da Franceschini è in atto e va nella direzione di trasformare radicalmente i musei italiani: da attività antieconomiche che sopravvivono grazie ai soldi pubblici ad aziende finanzia- Il quadrante dell’orologio di palazzo dei priori visto dall’interno della galleria te dal prezzo del biglietto. E un’azienda che si rispetti cura la propria immagine digitale meglio di quanto il museo stia facendo. Ma a giudicare dal numero di like sui social network (meno di mille) e dalla fruibilità del sito internet, questa è una pecca alla quale il museo deve porre presto rimedio. Da quando il web ha fatto irruzione nelle nostre vite, il passaparola online ha sostituito le guide turistiche, diventando uno dei fattori che maggiormente influenzano le decisioni dei turisti. Visitare questo o quel museo è, insomma, una questione di clic. I numeri Note liete: nel 2015 la Galleria Nazionale è stato il museo che ha avuto i migliori risultati in Umbria. Con 68.713 visitatori è cresciuta del 7 per cento rispetto al 2014 e ha incassato 235.873 euro, il 22 per cento in più rispetto ai 164mila euro dell’anno precedente. Sul secondo gradino del podio è arrivato il Museo Archeologico Nazionale di Spoleto, con 21.218 visitatori e 23.344 euro di incasso. Le conversazioni sui social media e le recensioni sono diventate un elemento determinante nelle scelte dei viaggiatori. Per comprenderne i desideri, per gestire le conversazioni sulla rete come una parte della strategia di comunicazione con i propri visitatori, è necessario che la Galleria faccia un passo verso la digitalizzazione. Secondo Travel Appeal, una società specializzata nell’analisi dei dati nel settore turistico, la Galleria nazionale è al primo posto tra i venti musei più importanti d’Italia per soddisfazione dei visitatori, con una percentuale del 93,95 per cento che si dichiarano appagati dall’esperienza museale. È significativo che per stilare la classifica Travel Appeal abbia analizzato i commenti postati dagli internauti sui siti più frequentati dai turisti: in primo luogo Tripadvisor, ma anche Facebook, Twitter, Instagram, Youtube e Google. I contenuti monitorati in dodici mesi sono stati oltre 31mila. Si tratta insomma di intercettare i gusti dei turisti attraverso i social network. Questa sarà la sfida per il rilancio. Se il cliente ha sempre ragione, è giusto muoversi in questo senso affinché un museo diventi efficiente come un‘azienda. 29 febbraio 2016 | 15 copertina del report curato dall’associazione “dislivelli” Montanari per forza (o per scelta) 850mila stranieri abitano Alpi e Appennini, salvando interi borghi dall’abbandono A “migrare” in Umbria però sono soprattutto magnati ed ereditieri A gitu Ideo Gudeta è nata ad Addis Abeba, in Etiopia, ma dal 2010 produce formaggi biologici nelle montagne del Trentino. Alleva una specie di capra, la pezzata mochèna, che ormai era quasi scomparsa. Ai piedi del Monviso invece c’è una comunità di cinesi che ha iniziato a estrarre e lavorare la pietra. In un borgo delle Alpi piemontesi i cui abitanti si potevano contare sulle dita di una mano. Un gruppo di rumeni poi ha riconosciuto un’incredibile somiglianza tra le foreste del casentino, in provincia di Arezzo, e i boschi di Bacau e ha cominciato a curare gli alberi della vallata come fossero quelli di casa propria. E così quelle famiglie hanno ripopolato le scuole elementari e materne di quei paesini sparsi, salvandole dalla chiusura. Insomma, secondo un report curato dalla rivista Dislivelli, i numeri parlano chiaro: gli stranieri che vivono sulle Alpi e sugli Appennini sono oltre 850mila. L’Umbria, insieme all’Emilia-Romagna e al Veneto, è tra le regioni in cui il numero di stranieri nei comuni interni supera il 10 per cento. E quasi sempre è grazie a loro, che provano a destreggiarsi tra agricoltura e turismo, se intere valli non si sono ancora spopolate. In Umbria a recuperare borghi e frazioni sono soprattutto ricchi personaggi d’oltre confine: come Davidi Gilo, magnate israeliano della telefonia, o la scultrice americana Beverly Pepper (entrambi hanno casa a Todi). Sono tanti gli americani o i tedeschi che scelgono la tranquiliità dell’Um- bria e decidono di trasformare vecchi casolari abbandonati in dimore estive o residence di lusso. Dando anche un nuovo impulso all’economia locale. Montegello, sopra Marsciano, contava all’anagrafe otto abitanti prima che alcuni stranieri comprassero l’intero castello fortificato portando turisti e nuova vita. Risale agli anni ’70 invece la storia dei “capelloni“ del Monte Peglia: ragazzi un po’ hippy che parlavano dialetti stranieri e che occuparono terre dello Stato lasciate all’incuria per sperimentare uno stile di vita alternativo. Venticinque di quelle cascine sono ancora abitate da chi si fermò lì tanti anni fa. Storie di “migranti” che, per forza o per scelta, si sono fatti “montanari”. Giulia Paltrinieri Quattro colonne Redazione degli allievi della Scuola a cura di Sandro Petrollini Anno XXV numero 4 – 29 febbraio 2016 Registrazione al Tribunale di Perugia N. 7/93 del maggio 1993 SGRT Notizie Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Agg.to di Giornalismo Radiotelevisivo Presidente: Nino Rizzo Nervo Direttore: Antonio Bagnardi Direttore responsabile: Antonio Socci Coordinatori didattici: Luca Garosi – Marco Mazzoni In redazione Paolo Andreatta, Iacopo Barlotti, Alice Bellincioni, Alessia Benelli, Simone Carusone, Gianluca De Rosa, Davide Denina, Marco Frongia, Davide Giuliani, Ruben Kahlun, Maria Giovanna La Porta, Elisa Marioni, Francesco Mariucci, Giulia Paltrinieri, Simona Peluso, Valerio Penna, Giulia Presutti, Giacomo Prioreschi, Valentina Russo, Alessandro Salveti, Maria Teresa Santaguida, Lorenza Sbroma Tomaro, Nicoletta Soave, Dario Tomassini, Nicola Tupputi Segreteria: Villa Bonucci 06077 Ponte Felcino (PG) Tel. 075/5911211 Fax. 075/5911232 e-mail: [email protected] http://www.centrogiornalismo.it Spedizione in a.p. art.2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Perugia Stampa: Italgraf - Perugia