Facoltà di Lettere e Filosofia
Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere
La Torre di Babele. Rivista di letteratura e linguistica
Direttore: L. Dolfi
Direttore responsabile: Remo Ceserani
Redazione: MUP Editore
Testi a cura di: M. C. Ghidini e M. J. Valero Gisbert
Comitato scientifico nazionale:
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Comitato di redazione:
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ISSN 1724-3114
Autorizzazione del tribunale n. 1/2005 del 7/2/2005
© 2011 Monte Università Parma Editore
Immagine di copertina: La Torre di Babele, incisione di Virgilijus Burba
Mup Editore è una impresa strumentale della Fondazione Monte di Parma
web-site: www.mupeditore.it; e-mail: [email protected]
L
a
Torre di Babele
Rivista di letteratura e linguistica - n° 7 / 2011
Parola e musica
S
ommario
Premessa 7
Letteratura
Giovanna Bellati, Drammi di Hugo e riscritture verdiane: Hernani e Ernani,
Le roi s’amuse e Rigoletto 13
Stefano Beretta, Joseph Berglinger meets Oasis. Riflessioni su alcune testimonianze
dei legami tra letteratura e musica nella cultura tedesca
27
Alberto Caprioli, Un’inedita fonte italiana di Brahms
41
Camillo Faverzani, Chiaroscuri di un adattamento: dalla Marion de Lorme
di Victor Hugo alla Marion Delorme di Amilcare Ponchielli
61
Erminio Morenghi, Radicalismo pianistico e nichilismo esistenziale nel romanzo
Der Untergeher di Thomas Bernhard
75
Enrico Reggiani, “A Singer Born”. Tracce musico-letterarie in Joyce e Yeats:
una ricognizione comparativa 91
Linguistica
Nieves Arribas, Coser y cantar 113
Davide Astori, Il Solresol fra musica, letteratura e linguistica
153
Luisa Chierichetti, Belcanto a lo bestia: rasgos coloquiales
en el léxico del periodismo musical
169
Kumusch Imanalieva, Alcune riflessioni sulla traduzione dei libretti operistici
in Russia (con particolare attenzione alla versione ritmica)
181
Carlotta Sparvoli, Variazioni melodiche nei toni del cinese moderno:
alcune considerazioni sulla natura oppositiva e relazionale delle proprietà tonali
187
Anna Maria Tammaro, Linguaggio digitale e realtà virtuale:
i documenti sonori e le biblioteche digitali
205
Abstracts
215
Gli autori
225
Istruzioni e norme tipografiche
229
Letteratura
“A Singer Born”
Tracce musico-letterarie in Joyce e Yeats:
una ricognizione comparativa1
Enrico Reggiani
Le tracce, minuscole o monumentali, della cultura musico-letteraria d’Irlanda sono
sempre state e sono tuttora straordinariamente numerose e diversificate – si tratti, ad
esempio, di quelle elaborate nello scrigno prezioso delle sue tradizioni mitologiche o di
quelle concepite nel tempestoso e appassionato flusso dei suoi eventi storici. Per essere
adeguatamente compreso, questo corpus plurimediale, accumulato lungo i secoli e
composto tanto da testi completi, quanto da riferimenti sparsi, dovrebbe essere accostato
e interpretato nella sua totalità plurimediale, ovvero senza separare la combinazione
di elementi che la costituisce: da un lato, letteratura e musica; dall’altro, altri ambiti
culturali tra loro differenziati (quali, ad esempio, estetica e antropologia, religione e
politica, storia ed economia, psicologia ed etica) che contribuiscono sia all’identità
plurimediale di quel corpus, sia alla sua (efficace) interazione plurimediale con i suoi
destinatari (potenziali e reali)2.
Questa prospettiva interpretativa vale certamente per i seguenti campioni di esperienza musico-letteraria irlandese, organizzati in ordine cronologico intorno ad alcuni
dei suoi più indimenticabili protagonisti. Vale, in primo luogo, per gli antichi bardi
irlandesi, i quali “belonged to an ancient Celtic order of minstrel-poets”3, “were poets, not musicians – a fact which has not unfrequently been overlooked by writers on
this subject”4, e, secondo Seathrún Céitinn (un sacerdote cattolico-romano irlandese
il cui nome gaelico fu anglicizzato come Geoffrey Keating, ca. 1569-1644), vivevano
in un’“Irlanda arcaica”5 dove “their laws, their system of physic and other sciences,
were poetical compositions, and set to music, which was always esteemed the most
polite part of learning among them”6. Vale, in secondo luogo, per i menestrelli medievali – vere e proprie stelle della vita di corte, le cui specifiche funzioni sono spesso
tuttora da determinare con precisione – dotati del talento di fondere differenti testualità
(verbali e musicali, autonome ma, al tempo stesso, complementari) ed eredi di quei
menestrelli precristiani i cui incontri con San Patrizio furono narrati da Standish Hayes
O’Grady (1832-1915) nella sua Silva Gadelica7. Vale, in terzo luogo, per Thomas
Moore (1779-1852), che, dopo la pubblicazione del primo volume delle sue celebrate
91
La Torre di Babele
Irish Melodies (1808), concepì anche il progetto di una “collection of political songs
to Irish airs”8, esplicitando un’intenzione già evidente nella sua prima e precedente
fatica musico-letteraria9 per chi sappia individuarla al di là delle (superficialmente)
conclamate apparenze delicate e sentimentalistiche. Vale, infine, per Thomas Davis
(1814-1845), la cui Preface al volume antologico The Spirit of the Nation (1845) ne
esplicita programmaticamente l’intenzione di rappresentare con “a book of ballads
and songs” (cioè con testi musico-letterari nella forma di “ballads and songs”) l’idea
che “music is the first faculty of the Irish”10, idea, questa, che non deve essere ridotta a
banale celebrazione dell’arcinota musicalità irlandese o a semplice strumentalizzazione
di una concezione estetica in chiave iper-nazionalistica. Al contrario, ciò che Davis
intendeva evidenziare era proprio la forza congiunta del “first bud of a new season”
musico-letteraria, caratterizzata sia da “manhood, union, and nationality”, sia dalla
“decision and confidence of the national party”11: non casualmente, infatti, per Thomas
Davis, la musica rivestiva un ruolo fondamentale dal punto di vista antropologico,
distinguendo l’esperienza irlandese da quella inglese, i cui “songs are the worst in the
world”12. Proprio a queste pungenti osservazioni di Davis sembrò rispondere Matthew
Arnold (1822-1888) quando, nell’arcinoto On the Study of Celtic Literature (1867),
sottopose a severa critica – quasi una sorta di vera e propria ritorsione sul piano antropologico e culturale – le inclinazioni musico-letterarie del Celt:
Take the more spiritual arts of music and poetry. All that emotion can do in music
the Celt has done; the very soul of emotion breathes in the Scotch and Irish airs;
but with all this power of musical feeling, what has the Celt, so eager for emotion
that has no patience for science, effected in music, to be compared with what the
less emotional German, steadily developing his musical feeling with the science
of a Sebastian Bach or a Beethoven, has effected? In poetry, again, – poetry which
the Celt has so passionately, so nobly loved; poetry where emotion counts for so
much, but where reason, too, reason, measure, sanity, also count for so much, –
the Celt has shown genius, indeed, splendid genius; but even here his faults have
clung to him, and hindered him from producing great works13.
Questi, in estrema sintesi, alcuni dei protagonisti fondamentali della plurisecolare
scena musico-letteraria irlandese, il cui ruolo dovrebbe essere sempre interpretato
sullo sfondo della totalità plurimediale di cui si diceva sopra e considerato nella
cornice del rapporto (diacronico e sincronico) che ciascuno di essi istituisce con “the
many Irelands that have existed – and still exist – on this small and diverse island”14.
Fatta questa doverosa premessa di merito e di metodo, la questione di cui si dirà
in questo saggio esplorativo può essere formulata come segue: è possibile istituire
una comparazione tra la cultura musico-letteraria di Joyce e quella di Yeats? Più
precisamente, è possibile individuare e delineare gli elementi contrastivi dei loro
rispettivi contributi musico-letterari che, in misura assai significativa per entrambi,
92
Letteratura
furono all’origine della loro attività creativa, della loro concezione della letteratura
e della declinazione pubblica del ruolo che, con differenti accenti, attribuirono alla
loro esperienza di scrittori?
Sono davvero rari gli studiosi che hanno cercato non solo di rispondere a tali interrogativi, ma soprattutto di farlo adottando un’adeguata prospettiva interdisciplinare.
La maggioranza degli interventi reperibili è venuta dal versante musicologico e non
può che manifestare un inevitabile sbilanciamento verso la componente musicale della
coppia “letteratura e musica”. Chi a tale sforzo analitico si è invece dedicato sul versante
letterario ha troppo di frequente limitato la propria attenzione alla specificità letteraria
dei testi musico-letterari (non sempre con adeguata acribia scientifica e metodologica)
e non alla loro peculiare integrità plurimediale. Non mancano ovviamente contributi
che sfuggono a tali squilibri interpretativi, ma che restano tuttavia assai sporadici:
due, soprattutto, di matrice musicologica, sono degni di nota in questa sede. Il primo
viene da Stephen Banfield (Professor of Music della University of Bristol), il quale
ha rilevato che
nothing [più del loro rapporto con la musica] could distinguish [Yeats] more
obviously from Joyce, a fine tenor who had composed art songs in his youth
and had an extensive knowledge of Italian opera and its singers. Yet, with his
characteristically Irish incantatory approach to the performance of poetry (which
makes the recordings of him reciting his own verse unforgettable), Yeats was
unable to leave music alone15.
Il secondo contributo è invece stato proposto da Harry White (Professor of Music dello
University College Dublin), per il quale
[in Finnegans Wake], in his allegiance to the imperium of sound, […] Joyce approaches, albeit by a radically different route, the word-music synthesis of Yeats’s
aesthetic [il che gli consente di] conclude that Joyce responded to Ireland through
the agency of music […], just as Yeats responded through the agency of Gaelic
Mythology and bardic culture16.
Dunque, secondo Banfield e White (e poche altre fonti secondary degne di nota), è
possibile affermare che, in senso assai generale, tanto Joyce quanto Yeats subirono il
fascino del mondo e dell’arte dei suoni, pur nella cornice delle loro personali opzioni
letterarie e culturali. Molto, però, resta da approfondire quando dalle “formulazioni
programmatiche” si passi ai singoli dati testuali di orientamento musico-letterario. In
questa sede critica si intende offrire proprio qualche esempio in quest’ultima direzione:
l’esame di qualche dato testuale relativo al contributo (individuale e comparato) di
entrambi gli scrittori alla tradizione musico-letteraria d’Irlanda, letto secondo un – per
quanto possibile – equilibrato approccio interdisciplinare tra letteratura e musica.
93
La Torre di Babele
Gli studiosi sono concordi nell’attribuire al “(very musical) Joyce”17 un ruolo assai
rilevante nella fase della transizione otto-novecentesca di tale tradizione. La ricca ed
estesa ricezione critica di questo aspetto dello scrittore di Ulysses può essere emblematicamente incorniciata tra due citazioni tratte da altrettanti studi di autorevoli joyciani,
pubblicati a più di trenta anni di distanza l’uno dall’altro: tra Zack Bowen – che, nel
1974, constatò che “Joyce’s use of musical allusions increases in proportion to the
increasing complexity of the later works [:] the significance of the musical images in
terms of style, structure, and theme becomes more and more important, until Joyce’s
last book is in a sense the explanation of the ballad after which it is named”18 – e Harry
White che, nel 2008, ha confermato: “the nature and significance of literature so radically
inflected by music remains high, it would appear, on the agenda of Joyce studies”19.
Tuttavia, pur sottoscrivendo incondizionatamente tali petizioni di principio, non si può
non rilevare che sono molti i “dettagli” musico-letterari nell’opera joyciana – alcuni
di essi di grande rilevanza strategica dal punto di vista testuale e letterario-culturale
– che meriterebbero di essere esaminati secondo una prospettiva metodologica più
marcatamente interdisciplinare. Ne approfondiremo due assai rappresentativi, in quanto
i “dettagli” prescelti si prestano con particolare efficacia a documentare il “joycean
side” della comparazione tra la cultura musico-letteraria di Joyce e quella di Yeats, che
in questa sede si intende istruire sinteticamente.
Il primo “dettaglio” prescelto è la testualizzazione della “popular ballad” The Lass
of Aughrim20 nella “short story” The Dead che conclude i Dubliners. Tale “ballad”,
in primo luogo, è utilizzata dal narratore per individuare un punto di svolta narrativo
secondo una prospettiva rigorosamente musico-letteraria; in secondo luogo, viene
identificata con qualche (voluta e programmatica) incertezza nel dialogo tra Gretta e il
tenore D’Arcy; e, in terzo luogo, è incorniciata in The Dead tra molti altri dati testuali
della stessa natura, il cui apporto collettivo andrebbe più accuratamente esaminato21.
La cornice intratestuale in cui The Lass of Aughrim è collocata è assai nota: come non
ricordare, infatti, i “few chords struck on the piano and [the] few notes of a man’s
voice singing”? Quella “air that the voice was singing” e che Gabriel ascolta “gazing
up to his wife”? Il testo così prosegue: “Distant Music he would call the picture if he
were a painter. […] Gabriel said nothing but pointed up the stairs towards where his
wife was standing. Now that the hall-door was closed the voice and the piano could
be heard more clearly”22.
Non è possibile in questa sede approfondire la questione della precisa collocazione
della versione joyciana de The Lass of Aughrim sulla scena del repertorio “popular”
musico-letterario d’Irlanda. In ciò non è d’ausilio neppure una ricognizione tra le fonti
bibliografiche musico-letterarie di cui Joyce sicuramente disponeva, ad esempio, tra il
1903 e il 1912, che Luca Crispi ha utilmente elencato in un suo recente e importante
contributo23: la “folk ballad” in questione non compare in nessuno dei volumi che,
stando a Crispi, lo scrittore irlandese ebbe sicuramente modo di accostare24. The Lass
of Aughrim figura, invece, in un’altra fonte musico-letteraria che Crispi non menziona,
94
Letteratura
ma che Joyce potrebbe sicuramente avere consultato, vista la sua ampia diffusione e
la sua massiccia popolarità tra il XIX e il XX secolo. Si tratta dell’opera antologica
in più volumi The English and Scottish Popular Ballads che Francis James Child
(1825-1896) – studioso della Harvard University, ammesso nella casta esclusiva dei
Boston Brahmins e sostenitore di Lincoln – assemblò con pazienza filologica e che fu
pubblicata tra il 1882 e il 1898: nella prima parte del secondo volume si legge, infatti,
che del numero “76. The Lass of Roch Royal” esiste “H. ‘The Lass of Aughrim’, an
Irish version, communicated by Mr. G. H. Mahon, of Ann Arbor, Michigan”25. Dal
momento – però – che, coerente con la sua predilezione per la ricerca letteraria e tematica, Child non riporta le linee melodiche né dell’originaria “popular ballad” né delle
versioni che da essa derivano, non è possibile venire a conoscenza di quella di The
Lass of Aughrim e, dunque, non resta che concordare con quanto ha osservato Margot
Norris: “as a folk ballad The Lass of Aughrim has many versions, none of which can
be definitely privileged as the version in The Dead”26.
In ogni caso, anche se – come s’è detto sopra – non può aspirare a risolvere l’interrogativo dell’identità (in senso musical-popolare) della joyceana The Lass of Aughrim,
questo contributo sull’esperienza musico-letteraria comparata di Joyce e Yeats non
intende, però, rinunciare ad affrontare un altro rilevante problema sollevato dalla
testualizzazione di quella “folk ballad” in The Dead: l’indicazione musicologica e
musico-letteraria riportata nel testo dello scrittore irlandese che quel “song seemed to
be in the old Irish tonality”27. Ed è proprio il breve sintagma “in the old Irish tonality”
a risultare meritevole di una più accurata indagine interdisciplinare in quanto determinante, a parere di chi scrive, per comprendere l’approccio di Joyce all’esperienza
musico-letteraria e alla sua rappresentazione testuale. In apparenza si tratta di un dettaglio marginale e tale è stato assai di frequente considerato dagli studiosi – siano essi
letterati o musicologi. Ruth Bauerle lo interpretò come icona socio-culturale quando
scrisse nel 1982 che
Joyce apparently learned this song from Nora Barnacle, whose home was in
Galway. Like Gretta and the lass of the song, Nora was in the ‘the old Irish
tonality’; Joyce, like Gabriel and Lord Gregory, was by background upper class
and civilized28.
In un dettagliato studio etnomusicologico di The Lass of Aughrim pubblicato nel 1990,
Hugh Shields rilevò che, in base alla ricostruzione filologica delle caratteristiche della
“folk ballad” in questione, essa avrebbe potuto “contribute to something which could
be popularly called ‘the old Irish tonality’” (inclusi il “pentatonic character in the
choice of stressed notes or in whole phrases”, la “avoidance of a particular degree [of
the scale]” e una tendenza “not to repeat phrases”), senza però proporre tratti melodici
identificabili come “national”29. Più di recente, in un saggio apparso nel 2007, Julie
Henigan ha invece provato a suggerire che, con l’espressione “in the old Irish tonal95
La Torre di Babele
ity”, Joyce “almost certainly meant to suggest what is commonly called the ‘modality’
of many traditional Irish melodies, ‘modality’ here referring to the European diatonic
modes, especially those not corresponding to the modern major and minor keys”.
In realtà, anche se – come scrive Henigan - “we do not know how much of a grasp
Joyce had of the nuances of Irish ‘tonality’”30, pare comunque obiettivo ragionevole
cercare di accertare l’effettivo significato del termine “tonality” per lo scrittore irlandese, dal momento che proprio tale termine potrebbe far riferimento a una caratteristica
assai emblematica della cultura e dell’identità musico-letteraria di Joyce per come essa
si manifesta in The Dead. Ciò implica una serie di “questioni collaterali” di cui si fa
semplice menzione, non essendo possibile in questa sede affrontarle compiutamente,
ovvero: quando scrisse “tonality”, Joyce intendeva riferirsi genericamente a uno dei
sistemi compositivi di organizzazione dei “tones” (suoni) rispetto a una “key note or
tonic”31 o, più precisamente, al sistema tonale, con la sua differenziazione interna tra
modo maggiore e minore? Era consapevole dell’esistenza del concetto di “modality”?
Era in grado di comprendere e definire la differenza tra “tonality” e “modality”32? La
definiva come opposizione o come oggi la si definisce? Oppure, se non disponeva di
una competenza musicale adeguata, stava interpretando diversamente entrambi i termini
in questione o, più semplicemente, li stava confondendo?
Non è forse inutile segnalare che un’analoga incertezza interpretativa sul medesimo
“professional vocabulary”33 musicologico si manifesta, ad esempio, nelle riflessioni musicali del Cardinale John Henry Newman, il quale, secondo Edward Bellasis, “in March,
1883, […] observed that he missed the minor key in Palestrina”34. Visto che, da un lato,
[Giovanni Pierluigi da] Palestrina (1525-1594) è quel “sixteenth-century composer [who]
came to be viewed as the paradigm of church music”35 e, dall’altro, il riferimento a “the
minor key” rimanda al concetto di “tonality”, si porrebbe anche in questo caso il problema
di identificarne il significato per Newman: il grande Cardinale inglese era consapevole che
tale concetto fu “coined [solo] around 1810 in France to refer to Jean-Philippe Rameau’s
harmonic theory when understood in historical terms” e che dunque era difficilmente applicabile alla musica di Palestrina? In realtà, appare evidente che il suo riferimento a “the
minor key” dipendeva da una sua formazione musicale radicata nel sistema tonale che
influenzava la sua fruizione del repertorio precedente a Rameau (1683-1764), dovendosi
probabilmente escludere che Newman utilizzasse “tonality” anticipando le folgoranti
intuizioni del grande musicologo Carl Dahlhaus (1928-1989), il quale
redefined both tonality and modality and in the process marked out a no-man’sland between them, in which polyphonic music was structured in terms of partial
or ‘component keys’, based on the six degrees of a diatonic hexachord; such keys
lack functional significance and form no hierarchical structure. The transition
to tonality then can be observed as a process in which such keys came (at first
ambiguously) to be invested with hierarchically organized significance36.
96
Letteratura
Quando, una trentina di anni dopo, le annotazioni newmaniane di Bellasis, Joyce fa dire
al narratore onnisciente di The Dead che The Lass of Aughrim “seemed to be in the old
Irish tonality” l’ambiguità semantica e musicologica del sostantivo “tonality” ricompare
sotto differenti spoglie musico-letterarie. Infatti, se il narratore intendesse “tonality” nel
senso di sistema tonale (armonico-melodico), potrebbe emergere una contraddizione
che finirebbe per minarne irrimediabilmente tanto la coerenza logica, quanto la capacità
evocativa: in quel caso, la sua “tonality” non potrebbe essere definibile come “old” (a
meno che questo aggettivo indichi un periodo anteriore al massimo di un secolo rispetto
alla data di pubblicazione dei Dubliners) e, soprattutto, non avrebbe ragione di essere
“Irish”, cioè connotata localmente, in quanto, al contrario, illuministicamente universale37, cioè rispettosa delle sue origini teorico-musicali e di quelle storico-semantiche
che risalgono rispettivamente – come già ricordato sopra – al primo Settecento di
Rameau e al 1810. Ne emergerebbe un dilemma difficilmente superabile che potrebbe
essere sintetizzato come segue: come potrebbe un “song” – in equilibrio culturalmente
mediato tra musica (nelle sue componenti melodiche e armoniche) e parola – scritto
nel sistema tonale ed eseguito da un tenore accompagnato da un pianoforte, cioè dallo
strumento che quel sistema tonale incarna nella forma più compiuta – sembrare “in
the old Irish tonality”, ovvero proporre una linea melodica scritta secondo un sistema
che si potrebbe definire “modale”, cioè precedente a quello introdotto da Rameau? La
sua azione sulla memoria di Greta sarebbe impossibile perché la sua natura di versione
organicamente tonale di una perla melodica gaelica (scozzese-irlandese) di origine
(irriconoscibilmente…) modale non lo consentirebbe.
Se, invece, con “old Irish tonality” il narratore intende indicare un sistema compositivo di origine modale o pre-tonale in base al quale organizzare i “tones” (suoni)
rispetto a una “key note or tonic”, allora tale “tonality” può legittimamente essere sia
“old” (cioè antecedente alla riforma di Rameau e alla sua adozione linguistica datata
1810), sia “Irish” (cioè localmente connotata). Se questa è l’intenzione semantica del
narratore – e a chi scrive pare che lo sia – si comprende anche la ragione per cui, in
The Dead, The Lass of Aughrim non era, ma “seemed to be in the old Irish tonality”:
infatti, non poteva che sembrare scritto nella “old Irish tonality” un “song” la cui
esecuzione pianistico-tenorile nel testo narrativo è interamente strutturata secondo il
sistema tonale inaugurato da Rameau e le cui caratteristiche compositive si intuiscono modellate sulla relazione tonale maggiore/minore che tale sistema articola. Anzi,
proprio in questo suo inatteso (perché apparentemente impossibile) sembrare risiede
la straordinaria (e – letteralmente – inaudita, in quanto non udibile nel testo musicoletterario) capacità evocativa che sorprende Gretta e che continua a commuovere
intere generazioni di lettori dopo di lei. Tale sapiente uso musico-letterario del termine “tonality” da parte di Joyce è confermato sia dal musicologo irlandese William
Henry Grattan Flood (1857-1928) – che, nella sua History of Irish Music, impiegò
l’espressione “the tonality of the Irish modes” per indicare il sistema di organizzazione prevalentemente melodico-lineare delle “ancient Irish scales”38 che preesistevano
97
La Torre di Babele
al sistema tonale propriamente detto – sia, soprattutto, dall’Essay on the Theory and
Practice of Musical Composition (1838) del musicologo scozzese George Farquhar
Graham39 (1789-1867), il quale curò anche l’antologia musico-letteraria The Songs
of Scotland adapted to their appropriate melodies (1848-1849), destinata a diventare
“in its day, the standard one”40, in cui figura anche una delle versioni di Lord Gregory,
da qualche studioso – come si è ricordato sopra – indicata (in modo finora assai poco
convincente) come progenitrice della joyceana The Lass of Aughrim41. Quando a pagina 68 del suo Essay (1838) Graham fa riferimento a “the peculiar tonalities of many
old national airs”42, tale uso del termine “tonality” finisce per suffragarne l’accezione
modale e sostenere la seconda interpretazione sopra suggerita del passo di The Dead,
confermando la raffinatezza della competenza musicale di Joyce (e – sia detto per inciso – la necessità di una più accurata indagine dell’influenza degli studi musicali da
lui compiuti sulla sua testualità musico-letteraria). Proprio la parentela con la cultura
musicale rappresentata da Graham e da molti altri cultori di analoghi “drawing-room
settings” – che, secondo Karen McAulay, “exemplify a diminishing interest in actively
collecting songs directly from singers, and an increasing intellectualisation and commercialisation of the genre”43 – fa anche emergere una significativa implicazione socioculturale della scena che Joyce delinea in The Dead: l’evocativo sembrare “to be in
the old Irish tonality” dell’esecuzione pianistico-tenorile della “folk ballad” The Loss
of Aughrim – che, tuttavia, non può riproporre le effettive e originarie sonorità modali
dell’esperienza musicale irlandese – sovrasta i numerosi riferimenti al melodramma
ottocentesco di matrice europea e borghese (e, dunque, altrettanto rigorosamente fondato nel sistema tonale) che Joyce dissemina nel testo di quella famosa short story,
ennesima sua manifestazione di fiducia, questa, in quel “Tommy Moore touch”44 che
campeggia in Ulysses (ma non solo) e che Douglas Hyde e altri protagonisti della scena
musico-letteraria coeva non avrebbero di certo apprezzato.
Quanto detto a proposito dell’interpretazione del termine “tonality” in uno dei più
suggestivi luoghi musico-letterari di The Dead trova un importante riscontro anche in
Ulysses: più precisamente, in un passo dell’undicesimo episodio delle musico-centriche
“Syrens”, in cui la competenza musicale dello scrittore irlandese in materia di “tonality” e “modality” affiora in modo altrettanto riconoscibile e altrettanto significativo
dal punto di vista narrativo45:
O, look we are so! Chamber music. Could make a kind of pun on that. It is a kind
of music I often thought when she. Acoustics that is. Tinkling. Empty vessels
make most noise. Because the acoustics, the resonance changes according as the
weight of the water is equal to the law of falling water. Like those rhapsodies
of Liszt’s, Hungarian, gipsyeyed. Pearls. Drops. Rain. Diddle iddle addle addle
oodle oodle. Hiss. Now. Maybe now. Before.
One rapped on a door, one tapped with a knock, did he knock Paul de Kock, with
a loud proud knocker, with a cock carracarracarra cock. Cockcock.
98
Letteratura
Tap
– Qui sdegno, Ben, said Father Cowley.
– No, Ben, Tom Kernan interfered, The Croppy Boy. Our native Doric.
– Ay do, Ben, Mr Dedalus said. Good men and true.
– Do, do, they begged in one.
I’ll go. Here, Pat, return. Come. He came, he came, he did not stay. To me. How
much?
– What key? Six sharps?
– F sharp major, Ben Dollard said.
Bob Cowley’s outstretched talons gripped the black deep sounding chords.
Come si evince dal passo citato, il “song” The Croppy Boy prevale su altri due riferimenti
musico-letterari di grande prestigio. Il primo di tali riferimenti richiama il virtuosismo
pianistico ottocentesco delle Rapsodie Ungheresi46 – evocate da Bloom tra erotismo
coniugale e nazionalismo culturale, in quanto entrambi oggetti di tradimento – nelle
quali – sul tronco della sua “extended tonality”47, ovvero di un sistema tonale, per
così dire, (culturalmente) tradito – Franz Liszt (1811-1886) innestò elementi e modalità compositive apparentemente di origine popolare (temi e motivi, scala tzigana
ungherese, suddivisione strutturale, prassi improvvisativa, effetti timbrici, ecc.), ma,
in realtà, quasi sicuramente di posteriore elaborazione colta. Il secondo riferimento
musico-letterario sovrastato dal “song” The Croppy Boy evoca, invece, l’aria Qui sdegno (non s’accende48), affidata alla “pacata saggezza di Sarastro”49 nel settecentesco
Zauberflöte mozartiano (1791; atto II, scena xv), la cui espressa menzione in italiano
nel testo joyciano a opera del “mysterious” Father (Bob) Cowley50 finisce per indebolire le implicazioni nazionali(stiche) dell’originario libretto in lingua tedesca (in cui
l’incipit dell’aria recita “In diesen heil’gen Hallen”51), concepito da Schikaneder per
un Singspiel in cui “giunse a compimento l’antico desiderio mozartiano di un teatro
d’opera veramente tedesco”52.
Dunque, come si diceva, non le differenti inflessioni “tonal-popolari” di Liszt e di
Mozart prevalgono tra le Sirens dell’Ulysses joyciano, ma il “song” The Croppy Boy53,
“a great favourite in the southern and south-eastern counties” d’Irlanda, le cui “words, of
course, date from 1798[,] but the air is much older”54: tanto “older” – rispetto al sistema
tonale settecentesco – da far sì che il “tea merchant”55 Tom Kernan ne richiami l’identità
modale definendola “our native Doric”56, subito corretto (soprattutto) dal famoso tenore
dublinese Ben Dollard che, invece, la trasferisce nel più recente campo tonale della “key”
di “F sharp major” (Fa diesis maggiore) con i suoi “six sharps” (sei diesis)57. Insomma,
anche per The Croppy Boy, come nel caso di The Lass of Aughrim, il “Tommy Moore
touch” interviene in Joyce orientando la funzionalità musico-letteraria del repertorio tradizionale irlandese verso un orizzonte pianistico-tenorile che, al tempo stesso, – almeno
a Tom Kernan nell’Ulysses – non solo sembra essere “in the old Irish tonality”, ma è
effettivamente anche nel solco europeo della “bourgeois balladry of the pianoforte”58.
99
La Torre di Babele
Se – come si è cercato di dimostrare esaminando una coppia di luoghi testuali
notevoli – Joyce testualizzò sistematicamente tali riferimenti musicologici colti e di
varia provenienza nelle trame musico-letterarie della sua opera, Yeats, invece, assunse
una posizione diametralmente opposta che John Kelly e Ronald Schuchard hanno
efficacemente riassunto con un esplicito riferimento alla sua posizione rispetto alla
musica tonale: “though his experiments [with the psaltery] were often mocked on
the grounds that he was tone deaf, he declared that this condition kept him free from
modern tonal music and closer to the ancient music of the bards”59 – quella stessa
“tonal music” che Yeats sentì sicuramente avversare, ad esempio, da Frederick Robert
Higgins (1896-1941), fedele amico negli ultimi anni della sua vita, e che egli collocò
sempre in posizione ancillare rispetto alla parola poetica anche per sostanziali ragioni
socio-culturali.
I give no opinion on the music for these poems except that sung by almost anybody, not ‘a trained singer’, they are more powerful in their effect on a crowd
or upon me than if merely spoken. That seems to me a sufficient justification for
the present. I want to write, & to get people to write singable words & I can only
do so by working with singers who are also speakers60.
È opinione di chi scrive che la riflessione sul rapporto tra William Butler Yeats e la
musica abbia sempre risentito – anzi, in linea di massima, continui a risentire – di una
buona dose di approssimazione, semplicisticamente fondata su alcune ammissioni di
incompetenza più volte pronunciate o scritte dallo stesso Yeats e spesso rievocate da
studiosi e testimoni di varia provenienza61. È vero, ad esempio, che, in una lettera del
5 marzo 1902 all’editor della londinese “Saturday Review”, Yeats affermò: “I know
nothing of music. I do not even know one note from another. I am afraid I even dislike
music”62. Ciò egli scrisse effettivamente, tuttavia, proprio nel momento in cui si impegnava a contraddire il recensore di “one of the most respected English periodicals”63
del tempo che aveva stroncato due rappresentazioni operistiche della Purcell Society
– Didone ed Enea e il masque dal quinto atto del Diocleziano di Henry Purcell (16591695) – di cui egli era stato spettatore. È anche vero che Yeats, ne The Bounty of Sweden
(1924) dedicato alle giornate di Stoccolma in cui fu insignito del Premio Nobel per la
Letteratura 1923, ammise di non poter descrivere il contributo dei musicisti che, “in
a high marble gallery”, eseguivano musica svedese, “for I know nothing of music”64.
Altrettanto esplicita in questo stesso senso è una lettera del 30 luglio 1931 allo scrittore
irlandese Monk Gibbon (1896-1987), in cui Yeats confessa che
my wife looks after musicians for me. I have no ear – dont know one tune from
another. I cannot make head or tail of anything but little folk songs to which [I]
listen as if they were something said. Music impresses me but I can no more judge
of its quality than I can of the qualities of thunder or the sound of wind65.
100
Letteratura
In realtà, se ben lette, al di là della conferma autoriale dell’apparente a-musicalità o
non-musicalità di Yeats, tali ammissioni ne evidenziano significativi interessi musicali
che non consentono di accostarlo da questo punto di vista, ad esempio, a Calvino, il
quale, secondo Luciano Berio, “era intimidito dalla musica. Non era molto musicale,
andava raramente ai concerti, era stonato e la musica suscitava in lui un po’ di interesse
solo quando c’erano parole da capire”66. Infatti, quanto Yeats dice nel 1902 dimostra
anche, al di là delle apparenze, una non comune consuetudine con una parte prestigiosa del repertorio operistico secentesco di cui andrebbero più accuratamente indagati i
connotati culturali e simbolici nella cornice della complessiva ricezione ottocentesca
del genio purcelliano. Il poeta irlandese, dunque, sarà pure stato stonato e musicalmente ineducato, ma fu certo non anti-musicale, come appare dalla sua lettera del 1931 a
Gibbon, in cui, peraltro, non va trascurata un’ulteriore e non secondaria caratterizzazione
“fonico-musicale” che lo accompagnò per tutta la vita e in tutta la sua parabola creativa: in quel documento epistolare, infatti, egli pare concepire un’esperienza (diremmo
oggi) “integrata” e completa del mondo dei fenomeni fonici, siano essi (per abbozzarne
un’assai provvisoria tassonomia yeatsiana) naturali (tuono, vento), antropici (cioè prodotti da esseri umani secondo modalità biologiche, mentali, artificiali, ecc.), musicali
(in senso colto o popolare), reali e/o immaginari, et al. e quale che sia il loro rapporto
con il fenomeno complementare dell’assenza di suono (silenzio).
Altrettanto spesso gli studiosi ricordano anche che Yeats – che canticchiava (come?)
di frequente egli stesso i suoi versi mentre li creava67 – a differenza del conterraneo
Joyce, “disliked complex singing”68, emarginando “the trained musician in favour of
the folk artist”69 e giungendo a elogiare la poetessa, cantante e attrice inglese Margot
Ruddock (1907-1951) perché cantava “as we sing in Ireland, without accompaniment”70.
Anche in questo caso si tratta di riferimenti biografici spesso inoppugnabili, che, tuttavia, non vanno interpretati nel segno di una sorta di passatismo popolareggiante o di
dilettantismo di matrice nazionalista. Al contrario, proprio quei riferimenti andrebbero
collocati nel contesto di un’enciclopedia (in senso semiotico) musicale, musicologica e
musico-letteraria che resta tuttora da delineare in modo accettabile. Se letta sullo sfondo
di tale enciclopedia, ad esempio, una celebre e citatissima reprimenda alla musica di
The Celtic Twilight assume connotazioni forse inattese e senza dubbio assai significative, che lasciano in secondo piano improbabili venature demagogiche e populistiche:
“every word was audible and expressive, as the words in a song were always, as I think,
before music grew too proud to be the garment of words, flowing and changing with
the flowing and changing of their energies”71. Come non osservare, infatti, che Yeats
pare poggiare quel richiamo alla necessità di udibilità e di espressività nel rapporto tra
musica e parola che vi compare anche su fondamenta storico-musicali di elevato rango
socio-culturale quali, ad esempio, quelle di “certain talks at the house of one Giovanni
Bardi of Florence” che egli menzionò esplicitamente nel saggio The Symbolism of Poetry
(1900)72 e che rievocano il “parlar in musica” e il “recitar cantando”73 della fiorentina
Camerata dei Bardi? Come non rilevare, inoltre, che, in quella stessa citazione, la sor101
La Torre di Babele
gente ultima e il referente multiplo dell’espressione “vestito delle parole” (“garment of
words”) inglobano potenzialmente sia frammenti esoterici della tradizione cabalistica
(secondo una probabile traiettoria blakeana), sia – ed è il tratto più pertinente rispetto
all’intento di queste brevi note – tracce metaforiche (d’importazione?) del dibattito
musico-letterario otto-novecentesco sulla natura dell’opera in musica, nell’ambito del
quale il compositore italiano Nicola D’Arienzo (1842-1915) poté scrivere nel 1901 a
proposito della melopoetica belliniana che “il Bellini non considerò la musica come
veste della parola, ma un tutto da creare[:] la melodia-discorso, il suono-parola”74?
Tuttavia, l’approccio yeatsiano alla relazione tra suono e parola e tra lingua e musica75 non interroga solo la pur nobile dimensione tecnico-poetica o quella più generale
dell’interazione tra culture – letteraria e musicale – o, ancora, le sue plurimillenarie
implicazioni sociali, politiche e istituzionali. Aspetti, questi, e molti altri ancora, di
cui Yeats era ben consapevole, dandone prova concreta quando scrisse, ad esempio,
in Autobiographies:
we had in Ireland imaginative stories, which the uneducated classes knew and
even sang, and might we not make those stories current among the educated
classes, rediscovering for the work’s sake what I have called ‘the applied arts of
literature’76, the association of literature, that is, with music, speech, and dance;
and at last, it might be, so deepen the political passion of the nation that all, artist
and poet, craftsman and day-labourer would accept a common design?77
Per il Nobel irlandese 1923, l’esperienza musico-letteraria, nelle sue molteplici manifestazioni, investe in realtà un più radicalmente fondativo sostrato antropologico, come
dimostra un altro passo yeatsiano di grande successo critico: “no vowel must ever be
prolonged unnaturally, no word of mine must ever change into a mere musical note, no
singer of my words must ever cease to be a man and become an instrument”78. Nella
cornice di tale opzione antropologica (non semplicemente culturale, simbolica, tematica,
et al.) – che non è stata ancora adeguatamente indagata e che potrebbe essere utilmente
comparata con quelle di innumerevoli schiere di altri scrittori (irlandesi e non) che quella
stessa esperienza hanno vissuto in modo altrettanto intenso – assume non casualmente
grande rilievo musico-letterario lo sfuggente concetto yeatsiano di personality:
Music is the most impersonal of things, and words the most personal, and that
is why musicians do not like words. They masticate them for a long time, being
afraid they would not be able to digest them, and when the words are so broken
and softened and mixed with spittle that they are not words any longer, they
swallow them79.
Anche in questo caso, mentre Yeats commenta con un’estesa (e realistica!) metafora
manducatoria la concezione della musica come “the type of all the Arts” che attribuiva a
102
Letteratura
Walter Pater (1839-1894), il suo pensiero andrebbe più accuratamente contestualizzato
nella cornice musico-letteraria della sua epoca in cui, durante la lunga transizione tra
XIX e XX secolo, emerse un articolato dibattito interdisciplinare sul ruolo del concetto
di personality, i cui protagonisti assunsero spesso posizioni difficilmente conciliabili e
prismaticamente complementari, ben prima della teoria della depersonalization dell’artista che T. S. Eliot esprimerà in Tradition and the Individual Talent (1919-1920)80.
In questa sede è possibile soltanto richiamarne due esempi assai emblematici: da un
lato, quello di Ralph Waldo Emerson (1803-1882) che elevò una folgorante apologia
trascendentalista dell’impersonalità della musica (al tempo stesso, personalissima per
chi ne fruisce!) nei suoi Journals and Miscellaneous Notebooks: 1860-1866, scrivendo
“what omniscience has music! So absolutely impersonal, & yet every sufferer feels his
secret sorrow <soothed>”81; dall’altro, quello di Edmund Gurney (1847-1888), uno dei
fondatori della Society for Psychical Research che Yeats ebbe modo di frequentare nei
primi decenni del XX secolo: a questo musicista mancato e musicofilo inarrestabile si
deve il ponderoso studio The Power of Sound (1880), il cui “victorious dispersal of all
the old myths of personality and romanticism” la scrittrice Vernon Lee (alias Violet
Paget, 1856-1935; lei pure musicista, musicologa e musicofila) elogiò con convinzione,
condividendone l’idea che “music of all arts is the one which deals most with abstract
form and least with personal emotion”82.
Quanto sin qui argomentato ha inteso suggerire sinteticamente che, al di là delle
ammissioni di incompetenza musicale più volte pronunciate o scritte dallo stesso Yeats
e spesso rievocate dagli studiosi, la sua esperienza musico-letteraria ebbe profondità,
intensità, spessore e ampiezza analoghe a quelle di altri grandi protagonisti – James
Joyce incluso – della scena letteraria e culturale del suo e di altri tempi83. Non potrebbe
essere altrimenti per un poeta anglo-irlandese che decise di inaugurare i propri Collected
Poems con The Song of the Happy Shepherd (pubblicata per la prima volta sulle pagine
della Dublin University Review nel 188584): in tale testo poetico, la dialettica iniziale tra
song [brano vocale, cioè con musica e parole] e tune [melodia musicale] – alla quale
non sono probabilmente estranee le implicazioni politico-culturali risalenti alle posizioni inconciliabili di cui si diceva all’inizio di questo saggio (ascrivibili ad esempio a
Thomas Davis o a Matthew Arnold) – viene corretta e superata dalla consapevolezza
del pastore arcadico che “words alone are certain good” (il programmatico v. 10!)
solo nel contesto armonicamente musico-letterario del matrimonio naturale tra parole
e musica che il suo song celebra e non nella loro autonoma autoreferenzialità85. Ça
va sans dire che Yeats continuerà a celebrare tale matrimonio naturale in tutto l’arco
della sua parabola creativa.
La sintetica ed esemplificativa ricognizione comparativa delle tracce musico-letterarie
in Joyce e Yeats che è stata proposta in questo contributo consente di concludere che
entrambi meritano la qualifica (di matrice yeatsiana86) di “a singer born” per la quantità e la qualità di quelle tracce nel loro pensiero e nella loro opera. Tuttavia, l’Irlanda
103
La Torre di Babele
musico-letteraria cantata da ciascuno dei due scrittori mostra tratti (e relative implicazioni antropologiche, culturali, sociali, politiche, et al.) non riconducibili a quella
dell’altro: ad esempio, se in quella di Joyce riecheggia in primo piano il protagonismo
strumentale del pianoforte, in quella di Yeats si percepisce sullo sfondo la delicata
tessitura ancillare del salterio; se nella prima la vocalità è incarnata dal tenore Bartell
d’Arcy di The Dead, nella seconda lo è nella vocalità di “almost anybody, not a trained
singer”; infine, se l’Irlanda musico-letteraria di Joyce declina il sistema tonale sperimentato nell’evoluzione del genere operistico, quella di Yeats fa proprio un pensiero
della giornalista Edith Shackleton Heald87, che – di alcuni “musical settings” di testi
yeatsiani – disse che “the music seems as modal as anybody could want”88. L’Irlanda
di Joyce era la Land of Belcanto89, borghese ed europea fino al punto di rivisitare ed
espandere gli originari modelli operistici italiani per includervi apporti non-italiani
quali quelli del musicista di nascita tedesca Giacomo Meyerbeer, del francese Ambroise
Thomas e dell’irlandese William Vincent Wallace – menzionati in The Dead, ma il cui
rilievo culturale e simbolico dovrebbe essere più accuratamente esaminato. L’Irlanda
di Yeats, invece, era la Land of Song90: la terra del “supreme theme of Art and Song”91
e del “peasant who has his folk-songs and his music”92, capace tuttavia – come lo fu
il grande poeta anglo-irlandese – di rielaborare in ambito musico-letterario modelli
teorici, processi compositivi e prassi esecutive ereditate dalla tradizione con il contributo di compositori, musicisti ed esecutori attivi nelle varie contingenze di quella fase
storica – e anche questa è soltanto una delle molte zone oscure del rapporto tra Yeats
e la musica che attendono di essere più adeguatamente illuminate.
Note
1
Questo saggio riprende parte di una Lecture proposta alla 2010 Trieste Joyce School, rielaborandola in
modo significativo.
2
Su questi aspetti teorici cfr., ad esempio, W. Wolf, The musicalization of fiction: A study in the theory
and history of intermediality, Rodopi, Amsterdam-Atlanta, 1999.
3
K. E. Beckson, A. F. Ganz, Literary Terms: A Dictionary, Farrar, Straus and Giroux, New York, 1975,
p. 22.
4
W. H. Grattan Flood, A History of Irish Music, Dodo Press, Gloucester, 1905, p. 2. Flood menziona
Douglas Hyde e la sua A Literary History of Ireland: from Earliest Times to the Present Day (Fisher
Unwin, London, 1899, p. 496) come sua fonte.
5
Precisiamo: un’“Irlanda arcaica” che un critico, scrivendo sul supplemento culturale di un importante
quotidiano finanziario italiano ha celebrato alcuni mesi fa perché ogni famiglia irlandese possedeva uno
strumento musicale (Q. Principe, L’Irlanda arcaica insegna, “Il Sole 24 Ore Domenica”, 27 marzo 2010,
p. 50): tuttavia, secondo chi scrive, tale “Irlanda arcaica” dovrebbe essere elogiata ancora di più proprio
per il ben più ampio orizzonte antropologico implicato dalla sua apparentemente innata propensione per
l’interazione tra letteratura e musica.
104
Letteratura
G. Keating, The General History of Ireland: Translated from the original Irish […] by Dermod O’Connor,
James Duffy, Dublin, 1841, p. 36.
7
Cfr., ad esempio, il seguente ed emblematico passo da S. H. O’Grady, Silva Gadelica. A collection of
tales in Irish, vol. II, Williams and Norgate, London-Edinburgh, 1892, p. 191: “«A good cast of thine art
was that thou [Cascorach mac Cainchinne, son of the Tuatha De Danaan’s ollave, himself also an ollave]
gavest us», said Brogan. «Good indeed it were» said Patrick, «but for a twang of the fairy spell that infests
it; barring which nothing could more nearly than it resemble Heaven’s harmony.» Says Brogan: «if music
there be in Heaven, why should there not on earth? Wherefore it is not right to banish away minstrelsy.»
Patrick made answer: «neither say I any such thing, but merely inculcate that we must not be inordinately
addicted to it»”. Secondo Robert Graves, “in ancient Ireland the ollave, or master-poet, sat next to the king
at table and was privileged, as none else but the queen was, to wear six different colours in his clothes”
(The White Goddess: A Historical Grammar of Poetic Myth, Faber & Faber, London, 1966, amended and
enlarged edition, p. 22).
8
Th Moore, Letter [No. 229] To Mr. Power, in Memoirs, Journal and Correspondence, ed. by L. J. Russell, vol. I, Longman, Brown, Greene, Longmans, London, 1853, p. 340.
9
M. H. Thuente, The Harp Re-strung: The United Irishmen and the rise of Irish literary nationalism,
Syracuse University Press, New York, 1994, p. 179: “Although that project [di una “collection of political songs to Irish airs”] never materialized, many of the Irish Melodies are indeed political songs to
Irish airs”.
10
Questo il passo della Preface da cui è tratta la citazione di Davis: “The greatest achievement of the Irish
people is their music. It tells their history, climate, and character; but it too much loves to weep. Let us,
when so many of our chains have been broken, while our strength is great, and our hopes high, cultivate
its bolder strains — its raging and rejoicing; or if we weep, let it be like men whose eyes are lifted, though
their tears fall. Music is the first faculty of the Irish; and scarcely anything has such power for good over
them. The use of this faculty and this power, publicly and constantly, to keep up their spirits, refine their
tastes, warm their courage, increase their union, and renew their zeal, is the duty of every patriot” (The
Spirit of the Nation. Ballads and Songs by the writers of “the Nation” with Original and Ancient music,
arranged for the voice and piano-forte, James Duffy, Dublin, 1845, p. vi).
11
Ivi, p. v.
12
Id., Essay on Irish Songs, in M. J. Barry (ed.), The Songs of Ireland, James Duffy, Dublin, 1845, p. 26.
Si veda anche, dello stesso scrittore, Irish Music and Poetry, in Id., Literary and Historical Essays, James
Duffly, Dublin, 1846, pp. 216-220.
13
M. Arnold, On the Study of Celtic Literature, Smith, Elder & Co., London, 1867, pp. 103-104.
14
W. J. Smyth, A plurality of Irelands: regions, societies and mentalities, in B. Graham (ed.), In search
of Ireland: A cultural geography, Routledge, London, 1997, p. 41
15
S. Banfield, Sensibility and the English Song. Critical studies of the early twentieth century, Cambridge
University Press, Cambridge, 1988, p. 253.
16
H. White, The ‘Thought-tormented music’ of James Joyce, in Id., Music and the Irish Literary Imagination, Oxford University Press, Oxford, 2008, pp. 185 e 186.
17
A. Gibson, James Joyce, Reaktion Books Ltd, London, 2006, p. 128.
18
R. Zack Bowen, Musical allusions in the works of James Joyce. Early poetry through Ulysses, State
University of New York Press, Albany, 1974, p. 5.
19
H. White, The ‘Thought-tormented music’ of James Joyce, cit., p. 153.
20
J. Joyce, The Dead, in Dubliners, Grafton Books, London, 1977, soprattutto pp. 240-250.
21
Si tratta – in un certo senso – di un vero e proprio sistema simbolico intratestuale musicalmente orientato, che include, ad esempio, un anonimo “waltz” (p. 203) e un pianistico “Academy piece, ful of runs
and difficult passages” (p. 211), l’intenzione di Gabriel di proporre nel suo discorso “a quotation from
the Melodies” (p. 203) e l’entusiasmante esecuzione della mooriana The Last Rose of Summer da parte di
“some great prima donna” (Thérèse Tietjens) nel 1868 (p. 203), nonché riferimenti a compositori operistici quali (in ordine cronologico) Gaetano Donizetti (p. 227: Lucrezia Borgia, 1833), Vincenzo Bellini
6
105
La Torre di Babele
(p. 220: Puritani di Scozia, 1835), W. Vincent Wallace (p. 227: Maritana, 1845), Giacomo Meyerbeer (p.
227: Dinorah, 1859), Ambroise Thomas (p. 227: Mignon, 1866).
22
J. Joyce, The Dead, cit., p. 240.
23
A Commentary on James Joyce’s National Library of Ireland ‘Early Commonplace Book’: 1903-1912
(MS 36,639/02/A), “Genetic Joyce Studies” [electronic journal for the Study of James Joyce’s Works in
Progress], 9 (Spring 2009).
24
Da questo punto di vista andrebbero approfondite le ragioni che condussero John Huston (1906-1987)
ad adottare nel magnifico film The Dead (1987) la versione di The Lass of Aughrim (di carattere indiscutibilmente tonale, non del tutto giustificato dal testo di The Dead) che vi compare e che, in seguito,
fu riproposta anche dal cineasta irlandese Pat Murphy nel suo lungometraggio Nora (2000), dedicato al
rapporto tra Nora Barnacle e James Joyce.
25
F. J. Child (ed.), The English and Scottish Popular Ballads, vol. II, part. I, Houghton, Mifflin and Company, Boston and New York, 1885, p. 213.
26
Joyce’s Web: The Social Unraveling of Modernism, University of Texas Press, Austin, 1992, p. 218,
nota 7 a p. 111.
27
J. Joyce, The Dead, cit., p. 240 (corsivo mio).
28
The James Joyce songbook, edited and with a commentary by R. Bauerle, Garland, New York-London,
1982, p. 177.
29
H. Shields, The History of The Lass of Aughrim, in G. Gillen, H. White (eds.), Musicology in Ireland:
Irish Musical Studies, Irish Academic Press, Dublin, 1990, p. 64.
30
“The Old Irish Tonality”: Folksong as Emotional Catalyst in The Dead, “New Hibernia Review”, 11/4
(2007), p. 141. Cfr. anche, ad esempio, D. McDonagh, The Lass of Aughrim or the Betrayal of James
Joyce, in M. Harmon (ed.), The Celtic Master. Contributions to the First James Joyce Symposium held in
Dublin, 1967, Dolmen Press, Dublin, 1969, pp. 17-25; S. Reilly, Rehearing ‘Distant Music’ in The Dead,
“James Joyce Quarterly”, 35/1 (1997), pp. 149-152.
31
S. v. “tonality”, in Oxford English Dictionary online, Oxford University Press, Oxford, 1989², 1. Mus. b.
32
Cfr., ad esempio, la definizione di tale differenza proposta da Willi Apel, s. v. “tonality”, in Harvard
Dictionary of Music, 1972 (revised and enlarged), Harvard University Press, Cambridge (Mass.), 1972, p.
855: “In current usage the terms ‘tonality’ and ‘modality’ are mutually exclusive, the former referring to
music written in a ‘key’ (major or minor mode) and the latter to pieces written in, or showing the influence
of, the church modes. This usage is obviously not compatible with the broad definition of ‘tonality’ above,
which includes all tonal relationships, whether ‘tonal’ or ‘modal’. […] Other uses of the term ‘tonality’,
e.g. in the sense of ‘tonal system’ almost synonymous with what has been termed modality above) or in
the sense of major-and-minor tonality (as opposed to modality in the accepted meaning of the term), also
have become firmly entrenched in current usage”.
33
W. Thomson, The Problem of Tonality in Pre-Baroque and Primitive Music, “Journal of Music Theory”,
vol. II, 1 (April 1958), p. 36.
34
E. Bellasis, Cardinal Newman as a Musician, Kegan Paul, Trench, Trübner and Co., London, 1892,
p. 12.
35
J. Garratt, Introduction, in Id., Palestrina and the German Romantic imagination. Interpreting historicism in nineteenth-century music, Cambridge University Press, Cambridge 2002, p. 1.
36
G. Chew, [Review of] Monteverdi’s Tonal Language, ed. by E. T. Chafe, Schirmer, New York, 1992,
“Notes”, 2nd series, 51/1 (Sept. 1994), p. 115.
37
Cfr., a questo proposito, T. Christensen, Rameau and Musical Thought in the Enlightenment, Cambridge
University Press, Cambridge, 1993, passim.
38
W. H. Grattan Flood, op. cit., pp. 26 e 27.
39
Su Graham si veda, ad esempio, la voce omonima redatta da W. H. Husk, in Sir G. Grove (ed.), A Dictionary of Music and Musicians (A.D. 1450-1889), vol. I, Macmillan, London, 1900, p. 616. Jeremy Dibble ha
osservato che questa e altre voci analoghe del Grove Dictionary “were designed to accentuate the variety
and abundance of indigenous music-making” (Grove’s Musical Dictionary: A National Document, in H.
106
Letteratura
White, M. Murphy (eds.), Musical Constructions of Nationalism: Essays on the History and Ideology of
European Musical Culture, 1800-1945, Cork University Press, Cork, 2001, p. 39).
40
H. G. Farmer, A History of Music in Scotland, Hinrichsen Edition, London, 1947, p. 357. Farmer ricorda
anche che l’antologia di Graham “was re-issued, with additional notes, by John M. Wood (1805-92) in
1884”. Una positiva recensione di tale riedizione apparve in “The Musical Times”, 1 (January 1885), pp.
35-36, il cui anonimo autore celebrò “the enthusiastic and skilful editorship of G. Farquhar Graham” (p.
35), considerato “an excellent authority” anche da S. J. Adair Fitz-Gerald, Stories of Famous Songs, vol.
II, J. P. Lippincott Company, Philadelphia-London, 1901, p. 110.
41
Cfr. G. Farquhar Graham, The Popular Songs of Scotland with their Appropriate Melodies, rev. by J.
M. Wood, Glasgow, Wood & Co., Edinburgh; Cramer, Chapell, Novello, London, 1887, pp. 82-83. Difficile stabilire se debbano fregiarsi della paternità di tale “folk ballad” gli irlandesi o gli scozzesi: Adair
Fitz-Gerald propenderebbe forse per i primi, dal momento che afferma che “the Scotch have long had the
reputation of not only stealing Irish melodies but Irish saints as well” (op. cit., p. 110).
42
Questo il contesto del frammento riportato sopra: “many years ago, we remarked to several of our musical friends the absurd incongruity which is often found between certain national airs and their modern
accompaniments. Without invidiously particularizing any of these, we may be permitted to observe, once
for all, that the peculiar tonalities of many old national airs render it impossible to furnish them with a
dress of modern harmony in the free style, which has little or nothing to do with ancient tonalities and
the peculiar harmonic successions required by these” (cit. in M. Beiche, Tonalität, in H. H. Eggebrecht
[hrsg.], Terminologie der Musik im 20. Jahrhundert, Franz Steiner, Stuttgart, 1995, p. 418).
43
K. McAulay, Our ancient national airs: Scottish song collecting c. 1760-1888, PhD Thesis, Department
of Music, Faculty of Arts, University of Glasgow, June 2009, p. 184.
44
J. Joyce, Ulysses, with an introduction by Declan Kiberd, Penguin, London, 1992, p. 395.
45
Ivi, pp. 364-365.
46
Forse vale la pena di rilevare che, qualche riga più in alto, la citazione delle pianistiche Rapsodie Ungheresi di Liszt per pianoforte solo è preceduta da un arguto e licenzioso riferimento all’ambito musicale
della “chamber music”: vista la dinamica della disseminazione di tali elementi musico-letterari, è il caso
di ritenere che Joyce inquadrasse le prime nella cornice compositiva della seconda? Si tratta senza dubbio
di un ennesimo indizio musico-letterario da approfondire per cercare di chiarire la questione della competenza musicale dello scrittore irlandese.
47
A. Schönberg, Franz Liszt’s Work and Being, in Id., Style and Idea: selected writings, Faber, London,
1975, p. 445.
48
Joyce cita l’incipit dell’aria mozartiana nella popolarissima traduzione italiana del livornese Giovanni
de Gamerra (1742-1803): cfr. al riguardo R. Candiani, Libretti e librettisti italiani per Mozart, Archivio
Guido Izzi, Roma, 1994, in particolare p. 71.
49
E. Giachery, Motivo e parola, Guida, Napoli, 1990, p. 9.
50
T. O’Neill, Calendars, Convents, and Clerical Habits: Joyce and the Irish Catholic Directory, “James
Joyce Quarterly”, 30-31 (1993), p. 870. Il carattere “mysterious” dell’identità confessionale di Father
Cowley è persino risolto in senso anglicano da Stephen P. Ryan (cit. in W. Thornton, Allusions in Ulysses:
An Annotated List, The University of North Carolina Press, Chapel Hill, 1968², p. 230). In realtà, il suo
ricorso alla lingua italiana per proporre a Ben Dollard di cantare l’aria mozartiana Qui sdegno potrebbe
suggerire anche che il religioso in questione ha avuto frequentazioni italiane – con implicazioni romane
e persino vaticane? – e che, di conseguenza, che è un (discutibile) sacerdote cattolico.
51
La conoscenza della lingua tedesca da parte di Joyce è estesamente documentata dalla bibliografia critica
(cfr. ad esempio V. B. Sherry, Joyce: Ulysses: A Student Guide, Cambridge University Press, Cambridge
2004², p. xv): la scelta della versione italiana non può dunque essere stata dettata dall’inaccessibilità del
libretto in lingua originale.
52
H. Abert, Mozart. La maturità 1783-1791, Il Saggiatore, Milano, 1985, p. 715. Anche a proposito dello
spirito del Singspiel mozartiano, si potrebbe argomentare con Carl Dahlhaus che “the idea of universality – a legacy of the classic period – and the national character which nineteenth-century composers tried
107
La Torre di Babele
to instill into music, particularly in the opera, were never viewed as opposites. Nationalism was seen as
a means, not as a hindrance, to universality” (Nineteenth-century Music, University of California Press,
Berkeley-Los Angeles, 1989, pp. 36-37).
53
Brad Bucknell osserva che “Stephen [Dedalus]’s relation to the croppy boy occurs obliquely: the ‘falsefather motif’ of the song relates to Stephen’s opinion of his own father, and the croppy boy’s failure to
pray for his mother’s rest links to Stephen’s refusal to pray for his mother on her death bed” (Literary
modernism and musical aesthetics: Pater, Pound, Joyce, and Stein, Cambridge University Press, Cambridge, 2001, p. 149).
54
P. W. Joyce, Old Irish Folk Music and Songs, Longman, London; Hodges, Figgis & Co., Dublin, 1909,
pp. 192-193.
55
J. Joyce, Ulysses, cit., p. 86.
56
Secondo l’ipotesi interpretativa elaborata in questa parte di presente riflessione musico-letteraria, non
pare accettabile l’ipotraduzione di “il nostro natio dialetto” proposta per rendere il joyciano “our native
Doric” da Giulio De Angelis nella sua celebrata versione italiana (J. Joyce, Ulisse, introduzione di G.
Melchiori, Milano, Mondadori, 1960, p. 386).
57
In sintesi, considerando il fa# come tonica di entrambe le scale, si desume dal testo joyciano che Tom
Kernan si riferisce a una scala che potrebbe essere interpretata nel senso di un generico (e ambiguo) “Doric
mode” (fa#, sol#, la, si, do#, re#, mi, fa#), mentre Ben Dollard e gli altri indicano la scala maggiore (fa#,
sol#, la#, si, do#, re#, mi#, fa#). Resta da chiedersi come possano i vari interlocutori proporre situazioni
tonali così radicalmente alternative per uno stesso “song” e quale obiettivo Joyce intendesse effettivamente
raggiungere in questo modo nella cornice di un episodio in cui il popolo irlandese sembra incarnato dal
“bald Pat” che, non casualmente, “is a waiter hard of hearing” (J. Joyce, Ulysses, cit., p. 352).
58
H. White, The ‘Thought-tormented music’ of James Joyce, cit., p. 164.
59
W. B. Yeats, Collected Letters of W. B. Yeats, vol. III: 1901-1904, ed. by J. Kelly and R. Schuchard, Oxford
University Press, Oxford, 1994, p. 726 (corsivo mio). Vanno anche segnalati due utili dati quantitativi:
secondo l’edizione elettronica de The Collected Letters of W. B. Yeats, Oxford University Press (InteLex
Electronic Edition), 2002, Yeats impiega solo tre volte l’aggettivo “tonal” (di cui due pertinenti) e mai
l’aggettivo “modal”; secondo la banca dati The W. B. Yeats Collection (Chadwyck–Healey, Cambridge,
1998), il poeta irlandese utilizza l’aggettivo “tonal” solo due volte (in senso esclusivamente pittorico) e
mai l’aggettivo “modal”.
60
Da una lettera To Edmund Dulac, [17 July 1937], in The Collected Letters of W. B. Yeats, Accession
letter #7016, Oxford University Press (InteLex Electronic Edition), 2002.
61
Due esempi prestigiosi tra i letterati: Giorgio Melchiori (The whole mystery of art: pattern into poetry
in the work of W. B. Yeats, Routledge and Kegan Paul, London, 1960, p. 11) e Alexander Norman Jeffares
(W. B. Yeats: A new biography, Hutchinson, London, 1988, p. 9). Tra i compositori come non menzionare
lo yeatsiano ad honorem Arnold Bax (1883-1953), il quale ricordò che “both A. E. [G. William Russell,
1867-1935] and W. B. Yeats were tone-deaf ” (Foreword, in A. Fleischmann [ed.], Music in Ireland: A
Symposium, Cork University Press, Cork, 1952)?
62
Collected Letters of W. B. Yeats, cit., p. 158.
63
Y. M. Chaudhry, Yeats: The Irish Literary Revival and the Politics of Print, Cork University Press,
Cork, 2001, p. 182.
64
The Bounty of Sweden, in The Collected Works of W. B. Yeats, vol. III: Autobiographies, ed. by W.
O’Donnell and D. N. Archibald, Scribner, New York, 1999, p. 400.
65
Da una lettera To Monk Gibbon, 30 July [1931], in The Collected Letters of W. B. Yeats, Accession letter
#5495, Oxford University Press (InteLex Electronic Edition), 2002.
66
La musicalità di Calvino, “Il Verri”, 5-6 (1988), pp. 10-11.
67
Cfr. E. Malins (Yeats and Music, The Dolmen Press, Dublin, 1968, p. 490) che ricorda che Yeats “was
often heard to be singing when composing verse”. Stephen Banfield afferma persino che “no doubt Yeats
counted the composers who set his verse to music amongst the fools” (op. cit., p. 252).
68
E. Malins, op. cit., p. 488.
108
Letteratura
P. Cohen, Words for Music: Yeats’s Late Songs, “Canadian Journal of Irish Studies”, 10/2 (1984), p. 20.
My Own Poetry Again, in The Collected Works of W. B. Yeats, vol. X: Later Articles and Reviews: Uncollected Articles, Reviews, and Radio Broadcasts written after 1900, ed. by Colton Johnson, Scribner,
New York, 2000, p. 293.
71
The Celtic Twilight, in Mythologies, Macmillan Press, London, 1959, pp. 23-24 (corsivi miei).
72
The Symbolism of Poetry, in The Collected Works of W. B. Yeats, vol. IV: Early Essays, ed. by R. J.
Finneran and G. Bornstein, Scribner, New York, 2007, p. 114.
73
Cfr., ad esempio, al riguardo Lorenzo Bianconi, Storia della musica, vol. V: Il Seicento, EdT, Torino,
1991², p. 189.
74
Vincenzo Bellini, “Rivista teatrale italiana”, 1/2 (1901), p. 192 (corsivo mio).
75
La diade “lingua e musica” non può non evocare il fondamentale e pionieristico studio Lingua e musica. Proposta per un’indagine strutturalistico-semiotica (Il Mulino, Bologna, 1974) di Marcello Pagnini
(1921-2010), scomparso di recente, al quale va un pensiero grato dello scrivente, per averne seguito
le accademiche peregrinazioni (soprattutto) musico-letterarie di lontano, ma con epistolare, costante e
apprezzatissimo interesse.
76
Questa stessa espressione yeatsiana compare anche nelle assai più tarde Pages from a diary written in
nineteen hundred and thirty (1944) (in Explorations, London, Macmillan, 1962, p. 299).
77
The Trembling of the Veil: Book II: Ireland after Parnell (w. 1920-22, publ. 1922), in The Collected
Works of William Butler Yeats, vol. III, cit., p. 167 (corsivo mio).
78
The Music for Use in the Performance of these Plays, in Plays in Prose and Verse written for an Irish
Theatre, and generally with the help of a friend, Macmillan and Co., London, 1922, p. 433.
79
The Musician and the Orator, in The Collected Works of W. B. Yeats, vol. IV, cit., p. 196.
80
Tradition and the Individual Talent, in Selected Essays, Faber, London, 1960, pp. 17-18: “There remains
to define this process of depersonalization and its relation to the sense of tradition. It is in this depersonalization that art may be said to approach the condition of science”.
81
Journals and Miscellaneous Notebooks, vol. XV: 1860-1866, ed. by W. H. Gilman et al., Belknap Press
of Harvard University Press, Cambridge (Mass.)-London, 1982, p. 416.
82
Impersonality and Evolution in Music, “Contemporary Review”, 42 (1882), pp. 841 e 858.
83
Alcune riflessioni critiche su tale esperienza sono state elaborate da chi scrive soprattutto nei capitoli 3
e 4 del volume “The compl[i]mentary dream, perhaps”. Saggi su W. B. Yeats, Aracne, Roma, 2010.
84
The Collected Works of W. B. Yeats, vol. I: The Poems, ed. by R. J. Finneran, Scribner, New York,
1997², p. 5.
85
Il musicologo H. White ha offerto alcune poderose riflessioni a questo proposito, di cui ci si deve
limitare in questa sede a sintetizzare il senso più generale: dopo aver premesso che la poesia di Yeats
“presents itself to the world as an objective correlative of musical discourse”, White ha giustamente
evidenziato la sua “magisterial insistence on the reunification of word and tone” e la sua “habitual preoccupation with rhythm which is self-evidently the closest point of contact between music and language”,
fondata su “a synonymous understanding of speech and song from classical antiquity” (H. White, W.
B. Yeats and the Music of Poetry, in Id., Music and the Irish Literary Imagination, cit., pp. 80, 81, 95 e
99). Nessuna contraddizione in queste caratteristiche musico-letterarie per un poeta che – come scrisse
Edward Malins – “wished he could have heard Homer’s epics spoken to the lyre” (op. cit., p. 485)!
86
W. B. Yeats, Vacillation, in The Collected Works of W. B. Yeats, vol. I, cit., p. 256, v. 73. Su tale (auto)
definizione cfr. H. White, W. B. Yeats and the Music of Poetry, cit., p. 97.
87
E. Shackleton Heald (1885-1976) “was to be the last of his intimate female friends and lovers” (David
A. Ross, Critical Companion to William Butler Yeats: A Literary Reference to His Life and Work, Facts
on File, New York, 2009, p. 27).
88
Da una lettera To Edmund Dulac, [17 July 1937], in The Collected Letters of W. B. Yeats, Accession
letter #7016, Oxford University Press (InteLex Electronic Edition), 2002.
89
Come scrive H. White, si tratta di quella “bel canto tradition of which Joyce was so enamoured” (The
‘Thought-tormented music’ of James Joyce, cit., p. 171). Per una definizione di belcanto cfr., ad esempio,
69
70
109
La Torre di Babele
la voce relativa nel Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, vol. I: Il Lessico,
diretto da A. Basso, UTET, Torino, 1983, p. 296.
90
Che la prospettiva yeatsiana dell’Irlanda come Land of Song – ovvero come terra del matrimonio naturale
tra parola e musica, suggellato dall’adozione dell’arpa celtica come simbolo unico dell’identità nazionale
sulle sue monete in euro – sia comunque tuttora prevalente nella cultura irlandese lo ha certificato di recente
anche il Ministro Martin Mansergh in un discorso ufficiale pronunciato il 23 gennaio 2010 nella cornice
di una manifestazione operistica, cioè durante il Gala Dinner della Veronica Dunne International Singing
Competition che ha avuto luogo a Dublino tra il 20 e il 26 gennaio 2010: “Ireland is known throughout
the world as a land of song, and in the classical and operatic field, this is in no small measure due to the
unique and dedicated teaching of Dr. Dunne. The first competition was an outstanding success. World
renowned diva, Dame Joan Sutherland, was one of the adjudicators for the first competition, the winner of
which was our own Orla Boylan who now enjoys a hugely successful international career” (Th. O’Connor,
Press Release, “Department of Tourism, Culture and Sport”, 23/01/2010, <http://www.arts-sport-tourism.
gov.ie/publications/release.asp?ID=100753>; corsivo mio).
91
Words for Music Perhaps: XVII: After Long Silence, in The Collected Works of W. B. Yeats, vol. I, cit.,
p. 270, v. 6.
92
Samhain: 1903, in The Collected Works of W. B. Yeats, vol. VIII, The Irish Dramatic Movement, ed. by
M. FitzGerald and R. J. Finneran, Scribner, New York, 2003, p. 24.
110
Abstracts
Abstracts
G. Bellati, Drammi di Hugo e riscritture verdiane: Hernani e Ernani, Le roi s’amuse
e Rigoletto
This paper analyses the transposition of theatrical text to opera libretto of two plays by
Victor Hugo – Hernani and Le roi s’amuse – written and performed two years apart
in 1830 and 1832. Both these works have inspired adaptations into two operas Ernani
and Rigoletto, both of which were produced by the composer Giuseppe Verdi and
librettist Francesco Maria Piave. The two operas were also performed at La Fenice in
Venice in 1844 and 1851.
However, the thematic, ideological and structural analogies of the two plays were
not always dealt with in the same way in the two Verdian operas, which, for numerous
reasons, represent two major operas from the works of the Italian composer.
Key words: Operistic transposition, V. Hugo, XIX century Italian librettistics, XIX
century French theatre, Romantic drama, G. Verdi.
Traduzione di Patricia Taylor.
Il contributo analizza la trasposizione da testo teatrale a libretto d’opera di due drammi
di Hugo – Hernani e Le roi s’amuse – composti e rappresentati a due anni di distanza
(1830 e 1832). Ambedue queste pièces hanno ispirato una riduzione musicale a opera
dello stesso compositore – Giuseppe Verdi – e dello stesso librettista – Francesco Maria
Piave –: si tratta di Ernani e di Rigoletto, che furono, inoltre, ambedue messe in scena
nello stesso teatro, La Fenice di Venezia, nel 1844 e nel 1851. Le analogie a livello
tematico, ideologico e strutturale fra i due drammi vengono trattate secondo principi
in parte analoghi e in parte dissimili nelle due opere verdiane, che costituiscono, per
motivi diversi, due opere chiave nella produzione del compositore italiano.
Parole chiave: adattamento operistico, V. Hugo, librettistica italiana ottocentesca, teatro
francese ottocentesco, dramma romantico, G. Verdi.
215
La Torre di Babele
S. Beretta, Joseph Berglinger meets Oasis. Riflessioni su alcune testimonianze dei
legami tra letteratura e musica nella cultura tedesca
From the end of the 18th century the Künstlerroman appears like a peculiar narrative form in the German literature and involves the dilemma of music’s essence as
confrontation between creative urge and concretness. This tradition, that begins with
Wackenroder’s and E. T. A. Hoffmann’s romantic figuration of the broken composer,
continues in the 19th century with Schopenhauer’s and Nietzsche’s reflections, whereas
Thomas Mann’s novel Doktor Faustus, in which the romantic theory of the musical
composition is a determinant motive, focuses the subjection of music and generally of
art to the totalitarian ideologies of the 20th century. Adorno’s inquiry into the industrial
machinery of ‘easy listening’ enlightens the scene of the pop culture and a new aesthetic
of subjectivity, whose reverberations are cast on the role of music in the German pop
literature, i. e. in Benjamin von Stuckrad-Barre’s novel Soloalbum.
Key words: pop literature, music and literature, pop music, Romanticism-ModernityPostmodernism, aesthetic sociology.
Dalla fine del XVIII secolo il Künstlerroman rappresenta una forma narrativa peculiare
nella letteratura tedesca e affronta la questione dell’essenza della musica come rapporto
tra assillo creativo e la sua concreta realizzazione. Questa tradizione, iniziata con le
raffigurazioni romantiche del compositore disperato, continua nel XIX secolo con la
riflessione di Nietzsche e Schopenhauer, mentre il romanzo di Thomas Mann, Doktor
Faustus, in cui la tematica musicale, si concentrerà su subordinazione della musica e
in genere dell’arte alle ideologie totalitarie del XX secolo. L’indagine adorniana dei
meccanismi industriali della Leichte Musik è un prezioso strumento di orientamento
nei territori della cultura pop e della nuova estetica della soggettività, i cui riverberi
illuminano il ruolo della musica nella letteratura pop tedesca, ad esempio nel romanzo
di Benjamin von Stuckrad-Barre Soloalbum.
Parole chiave: letteratura pop, musica e letteratura, musica pop, RomanticismoModernità-Postmoderno, sociologia estetica.
A. Caprioli, Un’inedita fonte italiana di Brahms
This study traces the previously unpublished Italian source of the fourth Liebeslieder
Waltz op. 65 (Ihr Schwarzen Augen), by Johannes Brahms. The search for the lost
text starts with evidence provided by Brahms’ Italian correspondence, and touches on
some of the most important works of travel literature of the day, ending with descriptions of Brahms by his fellow traveller Josef Victor Widmann (Sizilien und andere
Gegenden Italiens. Reisen mit Johannes Brahms, Sicily and Other Italian Regions.
Travels with Johannes Brahms). We find a hundred or so pages of extremely detailed
216
Abstracts
descriptions, ranging from references to Goethe and Hölderlin, to the classical works
of Gregorovius and Baedecker, to the “Revue de deux mondes”: a text which summarizes the topoi of the literature of the day in a sort of late Grand Tour to search for
places visited by Goethe. “Dann begannen am östlichen Himmel die ersten Präludien
zu der großen Lichtsymphonie des Sonnenaufgangs” (“Thus in the east began the first
preludes to the great symphony of the dawn breaking”). This poetic synaesthesia ends
the description of the Swiss writer’s voyage from Naples to Palermo in the spring of
1893 aboard the steamer “Oddone” accompanied by the composer from Hamburg.
Even though Vienna had been Brahms’ adopted home for over quarter of a century, he
wanted to celebrate his sixtieth birthday with a trip to the “queen of islands”, thereby
withdrawing from the official celebrations provided in his honour by the Viennese
aristocracy. An ideal way to search for lost Hellenism on the part of a Pantheist writer
and a composer who was already famous in Italy (the chapter on the trip to Bologna
mentions, among others, a meeting with Giuseppe Martucci, who had already conducted his Second Symphony in Naples). Brahms was a composer who together with
Beethoven and Schumann shared a passion for literature inspired by the classics (the
Schicksalslied by Hölderlin and the Gesang der Parzen by Goethe) At the same time
he had always taken a great interest in popular literature, just like the writers of early
German romanticism.
Thanks to a page written by Goethe, the author of this study has found a connection
between the works cited and the text of the Lied as well as its Italian source.
Key words: Brahms, sources, hellenism, travel literature, Lieder.
Traduzione di Halina West.
In questo studio viene rintracciata la fonte italiana, finora inedita, del quarto dei
Liebeslieder Walzer op. 65 di Johannes Brahms, Ihr Schwarzen Augen. Il viaggio
alla ricerca del testo perduto si snoda a partire dalle testimonianze epistolari italiane
di Brahms, toccando alcune delle opere più significative della letteratura odeporica dell’epoca, fino a giungere alle pagine del compagno di avventure Josef Victor
Widmann (Sizilien und andere Gegenden Italiens. Reisen mit Johannes Brahms). In
un centinaio di pagine si dipana minuziosa la descrizione, passando dalle citazioni
di Goethe e di Hölderlin alle pagine canoniche di Gregorovius e Baedecker alla
“Revue de deux mondes”: un testo che riassume i topoi della letteratura dell’epoca
in una sorta di tardo Grand Tour alla ricerca dei luoghi goethiani. “Dann begannen
am östlichen Himmel die ersten Präludien zu der großen Lichtsymphonie des Sonnenaufgangs”: con questa poetica sinestesia termina la descrizione della traversata
da Napoli a Palermo compiuta nella primavera del 1893 a bordo del battello a vapore “Oddone” dallo scrittore svizzero in compagnia del compositore amburghese,
da più di un quarto di secolo viennese di adozione, che aveva voluto festeggiare il
proprio sessantesimo compleanno con un viaggio nella “regina delle Isole”, rinunciando alle celebrazioni ufficiali indette in suo onore dall’aristocrazia viennese. Un
217
La Torre di Babele
percorso ideale alla ricerca della grecità perduta da parte di uno scrittore panteista e
di un musicista oramai celebre persino in Italia (nel capitolo sul viaggio a Bologna è
narrato tra gli altri l’incontro con Giuseppe Martucci, che aveva già diretto a Napoli
la sua Seconda Sinfonia): un compositore che condivideva con Beethoven e con
Schumann la passione per la letteratura ispirata alle fonti classiche (lo Schicksalslied
di Hölderlin e il Gesang der Parzen di Goethe), ma che si era da sempre dimostrato
attento anche alle manifestazioni della letteratura popolare, come lo erano stati gli
scrittori del primo romanticismo tedesco. Auspice una pagina di Goethe, l’intersezione apparentemente audace tra questa rinnovata attenzione letteraria e il testo del
Lied in questione ne svela inaspettatamente la fonte.
Parole chiave: Brahms, fonti, grecità, letteratura di viaggio, Lieder.
C. Faverzani, Chiaroscuri di un adattamento: dalla Marion de Lorme di Victor
Hugo alla Marion Delorme di Amilcare Ponchielli
This article compares Victor Hugo’s drama Marion de Lorme and Amilcare Ponchielli’s
opera Marion Delorme. The libretto and the original drama are analysed extracting four
elements of the texts: (1) the use of stage directions, (2) passages where the libretto
remains close to Hugo’s original text, (3) those where the libretto changes the text
moderately so as to create new situations and, (4) those where the librettist changes the
original text significantly. The document includes some information about the initial
operatic production and subsequent productions in Italy and elsewhere throughout the
19th and 20th centuries. There are also notes on the structures of the drama and the
libretto.
Key words: Operistic transposition, Ghislanzoni, Golisciani, V. Hugo, XIX century
Italian librestistics, A. Ponchielli, XIX century French theatre.
L’articolo mette a confronto il dramma di Victor Hugo Marion de Lorme e l’opera di
Amilcare Ponchielli Marion Delorme. Il libretto e il dramma originale sono analizzati
a partire da quattro elementi del testo: (1) l’uso delle indicazioni sceniche, (2) i brani
dove il libretto rimane fedele al testo originale di Hugo, (3) quelli dove il libretto cambia
leggermente il modello per creare nuove situazioni e (4) quelli in cui il librettista lo
modifica in modo sostanziale. Lo studio include alcune informazioni sugli allestimenti
dell’opera in Italia e altrove lungo i secoli XIX e XX. Vi sono anche alcune osservazioni
sulle strutture del dramma e del libretto.
Parole chiave: adattamento operistico, Ghislanzoni, Golisciani, V. Hugo, librettistica
italiana ottocentesca, A. Ponchielli, teatro francese ottocentesco.
218
Abstracts
E. Morenghi, Radicalismo pianistico e nichilismo esistenziale nel romanzo Der
Untergeher di Thomas Bernhard
The aim of this essay is to investigate Thomas Bernhard’s negative reflection on the
music through the thematic and textual analysis of some passages related to the novel
Der Untergeher (1983), in which the music and its interpreters are wrapped up and
resucked in the whirl of nihilism associated to an artistic way of life radicalized up to
its most extreme consequences.
Key words: T. Bernhard, music and literature.
Lo scopo di questo saggio è quello di indagare la riflessione negativa di Thomas
Bernhard sulla musica attraverso l’analisi tematica e testuale di alcuni passi del romanzo Der Untergeher (1983), in cui la musica e i suoi interpreti vengono avviluppati e
risucchiati nel vortice del nichilismo associato a uno stile di vita artistico radicalizzato
sino alle sue più estreme conseguenze.
Parole chiave: T. Bernhard, musica e letteratura.
E. Reggiani, “A Singer Born”. Tracce musico-letterarie in Joyce e Yeats: una ricognizione comparativa
After some instances of the Irish musico-literary (i. e. plurimedial) corpus, this essay
offers some comparative and interdisciplinary examples of Joyce’s and Yeats’s musicoliterary ideas and practices.
These examples confirm that both were “singers born”. However, what they sang about
were two very different Irelands, epitomized by means of diverse (and complementary)
musical instruments, artistic protagonists, compositional grammars. Joyce’s Ireland
was the European and bourgeois Land of Belcanto, but it embodied an intellectually
expanded idea of the Italian belcanto-capable, for instance, of including non-Italian
operatic contributions. Yeats’s Ireland was the Land of Song: the land of the “peasant
who has his folk-songs and his music”, whose apparently “orally handed-down” theories, compositional processes and performative practices were very often elaborated
by Yeats with the help of contemporary professional composers and performers.
Key words: Ireland, J. Joyce, W. B. Yeats.
Dopo un breve excursus sul corpus musico-letterario irlandese, questo saggio propone
una ricognizione comparativa e interdisciplinare delle idee e delle pratiche musicoletterarie di Joyce e di Yeats che dimostra come entrambi gli scrittori fossero “singers
born”. Essi, tuttavia cantarono due differenti Irlande, espresse da strumenti musicali,
artisti, grammatiche compositive diversi e complementari. L’Irlanda di Joyce era la Land
of Belcanto, borghese ed europea fino al punto di rivisitare ed espandere gli originari
219
La Torre di Babele
modelli operistici italiani per includervi apporti non-italiani. L’Irlanda di Yeats era
la Land of Song: la terra del “peasant who has his folk-songs and his music”, capace
tuttavia di rielaborare in ambito musico-letterario modelli teorici, processi compositivi
e prassi esecutive ereditate dalla tradizione con il contributo di compositori, musicisti
ed esecutori.
Parole chiave: Irlanda, J. Joyce, W. B. Yeats.
N. Arribas, Coser y cantar
This article offers some considerations on phraseological resources in Spanish mirroring the huge universal expressive potential of music and the trace it has left on
language. The main focus is on different linguistic strategies found in Spanish to deal
with different linguistic needs, which turn out to be similar to the ones observed in
other languages, since they all share a number of metaphors grounded in listening and
music, which have crystallized in a rich and varied phraseology. A study in descriptive
linguistic, the present article aims firs of all to revise internal and external boundaries
in phraseological units (traits and categories), subsequently opening to a semanticcognitive perspective and finally to a notional-functional one.
Key words: phraseology, historical-cognitive semantic, sound, music.
Traduzione di Sara Sullam.
L’articolo si propone di abbozzare una serie di considerazioni sulle risorse fraseologiche
in spagnolo che riflettono l’enorme e universale potenzialità espressiva della musica
e la traccia che l’universo sonoro ha lasciato nella lingua. Ci si propone di mostrare
come le diverse necessità espressive hanno dato adito in spagnolo a strategie simili a
quelle adottate da altre lingue che si servono di metafore, il cui dominio di partenza,
materializzatosi in una ricca fraseologia, è la percezione auditiva e la musica. Si tratta
di uno studio descrittivo più che di linguistica applicata. A partire da una classificazione
delle unità fraseologiche secondo le loro caratteristiche formali, il presente lavoro si
propone di rivedere i limiti esterni e interni delle unità fraseologiche (tratti distintivi e
categorie) per poi estendere la propria prospettiva a un approccio semantico cognitivo
e concludersi aprendo a una prospettiva nozionale-funzionale.
Parole chiave: fraseologia, semantica storico-cognitiva, sfera sonoro-musicale.
D. Astori, Il Solresol fra musica, letteratura e linguistica
Within the wide and varied range of planned or artificial languages, developed between
the end of the 19th and the beginning of the 20th century with a view to providing mankind with a universal instrument of communication, Jean-François Sudre’s Solresol,
220
Abstracts
presented in 1827 after a ten-year revision period (and fully expounded in his Langue
musicale universelle, G. Flaxland, Paris, published posthumously in 1866), immediately qualifies itself as a distinctive cultural proposal. This article seeks to illustrate
the genesis and development of Sudre’s Utopian project (also with reference to a more
generalised attitude towards the use of music as an instrument of communication expressed in a few interesting literary antecedents), to re-interpret his proposal as part of
a more wide-ranging historical and cultural context, with a brief analysis of the primary
and most significant structural features of the “language”.
Key words: Solresol, Jean-François Sudre, linguistic planning, international auxiliary
languages, musical languages, Ludvig Holberg, Giacomo Casanova, Frigyes Karinthy,
Eaiea, Sarus.
Traduzione di Cristina Cignatta.
All’interno della vasta e variegata carrellata di linguaggi pianificati sviluppatisi a cavallo
fra Otto e Novecento per fornire all’umanità uno strumento universale di comunicazione,
il Solresol, presentato da Jean-François Sudre nel 1827 dopo dieci anni di rielaborazione
(e compiutamente descritto nel 1866 in Langue musicale universelle, G. Flaxland, Paris,
pubblicato postumo), si mostra da subito come una proposta culturale particolare. Nell’articolo ci si propone di illustrare la nascita e lo sviluppo dell’utopico progetto di Sudre
(accennando tra l’altro alla più generale sensibilità all’uso della musica come strumento
di comunicazione che vide interessanti antecedenti letterari), rileggendo tale proposta
all’interno del più vasto contesto storico-culturale in cui si inserisce, e presentando,
almeno nei tratti essenziali, le principali e più significative strutture della “lingua”.
Parole chiave: Solresol, Jean-François Sudre, pianificazione linguistica, lingue ausiliarie internazionali, linguaggi musicali, Ludvig Holberg, Giacomo Casanova, Frigyes
Karinthy, Eaiea, Sarus.
L. Chierichetti, Belcanto a lo bestia: rasgos coloquiales en el léxico del periodismo
musical
This paper analyses a corpus of columns on cultured music published in the most
important Spanish newspapers and in some specialized websites. To the purposes of
this study, such columns are regarded as specific genres of a specialised discourse
community. The main goal of this research is to show that colloquial language is most
often used in these texts, in clear contrast to higher registers which characterize the
music discourse, with a persuasive aim.
Key words: music criticism, music journalism, colloquial language, genre studies.
Nel contributo si prende in analisi un corpus di critiche musicali di musica ‘colta’,
apparsi sui principali quotidiani spagnoli e su alcuni siti web specializzati. La finalità
221
La Torre di Babele
è quella di descrivere le caratteristiche del genere testuale preso in considerazione,
ipotizzando che il frequente uso del linguaggio colloquiale, in apparente contrasto
con il registro alto caratteristico della diffusione della cultura musicale, sia motivato
da finalità persuasive.
Parole chiave: critica musicale, giornalismo musicale, linguaggio colloquiale, generi
testuali.
K. Imanalieva, Alcune riflessioni sulla traduzione dei libretti operistici in Russia
(con particolare attenzione alla versione ritmica)
A few reflections on the translation of opera librettos in Russia (with particular reference to the rhythmic version).
This article seeks to explore the issue of the translation of opera librettos with specific
reference to the Russian language. After a brief overview of the history of libretto
translations, it proposes to focus on the rhythmic version and on the difficulties this
entails.
Key words: libretto translation, rhythmic version.
Traduzione di Cristina Cignatta.
Il contributo indaga la questione della traduzione dei libretti d’opera con riferimento
alla traduzione in lingua russa. Dopo un breve giro d’orizzonte sulla storia della traduzione dei libretti, l’attenzione si focalizza sulla versione ritmica e sulle difficoltà che
l’ha accompagnano.
Parole chiave: traduzione del libretto, versione ritmica.
C. Sparvoli, Variazioni melodiche nei toni del cinese moderno: alcune considerazioni
sulla natura oppositiva e relazionale delle proprietà tonali
This paper focuses on the standard Chinese (SC) tone acquisition by natives of non
tonal languages. The final objective is to integrate the traditional account of SC
tonal inventory with the most recent researches on phonology and speech perception. Starting from the theory of the categorical perception of speech sound (Pisoni
1971, Flege 1987, Best 1995), it will be provided a description of SC tonal properties
which is based on the oppositional and relational nature of linguistic entities, thus
using features related to primary parameters (such as: high/low, flat/curve). While
the conventional model for SC tonal inventory is based on the output pitch of each
tone, in this paper the main criteria is the initial pitch value, data which has been
proven as a high saliency acoustic factor in tone acquisition (i. e. the most easily
value to perceive in tone acquisition as a second language). This research applies
222
Abstracts
the distinction between pre-pausal and non pre-pausal syllable, therefore redefining
the feature of the 3° tone. In this framework the 3° tone is thus analyzed in its more
extensive occurrence (i. e. as a “mid 3° tone”, corresponding to an extra low level
tone) and the conventional description as dipping tone, first descending then ascending, (which is in fact statically the less relevant) will be taken into account only as
an exception, due to the tendency to “rebounce” to the mid of register peculiar to
tones when there is no anchoring point (Yip 2009). This outlook results in a different
categorization, in which the 3° tone is labelled as low, opposed to the 1° tone, high.
In this way the inventory of CS tones is divided into two antonymic couples: the
first includes the two flat or level tones (with constant pitch): 1°/3° (high-low); the
second counts two curve or contour tones (with a variation in the initial and output
pitch), 2°/4°, rising-falling tones.
Key words: Standard Chinese, L2 Chinese teaching, tone acquisition, phonology, categorical perception.
L’obiettivo è integrare il quadro fornito dal resoconto tradizionale dell’inventario tonale
del cinese con le maggiori acquisizioni della fonologia. Sulla base dell’assunto della
natura categoriale della percezione del parlato (Pisoni 1971, Flege 1987, Best 1995)
s’intende formulare una descrizione delle proprietà tonali del cinese che tenga conto
della natura oppositiva e relazionale delle entità linguistiche, basata su tratti distintivi
legati a parametri minimi (quali: alto/basso, piatto/curvo). Diversamente dal modello
convenzionale in L2, ordinato sulla base dell’altezza in uscita, viene qui utilizzato,
come criterio di classificazione, il valore dell’altezza d’ingresso, ovvero, il dato indicato
dagli studi sulla percezione del parlato (più facilmente percepibile da apprendenti di
lingua madre non tonale). Il modello così definito, accogliendo la distinzione, invalsa
in fonologia tonale, fra sillabe pre-pausali e sillabe non pre-pausali, conduce a una
sostanziale ridefinizione dei tratti distintivi del terzo tono, che in questo quadro viene
analizzato nella sua occorrenza quantitativamente più rilevante (il cosiddetto mezzo
3°) e non in quella statisticamente meno significativa (ovvero il tono convesso prima
ascendente e poi discendente), che verrà considerata come una sorta di eccezione dovuta alla tendenza a rimbalzare “rebounce” verso il centro del registro tipica dei toni in
mancanza di un punto di ancoraggio (Yip 2009). Il 3° tono viene quindi categorizzato
come tono basso contrapposto al tono alto (il 1° tono), dando così luogo a due coppie
di opposti, la prima rappresentata da due toni piatti (ovvero ad altezza costante), 1°/3°
(alto-basso); la seconda costituita da due toni curvi (ovvero con una variazione di
altezza), 2°/4°, ovvero ascendente-discendente.
Parole chiave: Cinese standard, didattica del cinese L2, acquisizione dei toni, fonologia,
percezione categoriale.
223
La Torre di Babele
A. M. Tammaro, Linguaggio digitale e realtà virtuale: i documenti sonori e le biblioteche digitali
Languages are analog (as the visual language) or numeric (as the digital language). The
digital language is a coded language which is not able to represent the analog language.
As a consequence, digital libraries are building virtual realities but these cannot be
compared with the analog (real) world. The case of music digital libraries is considered
well evidencing the problem: they collect collections of print music, sounds, images and
videos. Multimedia convergence and hypertextual capabilities give new opportunities
of using together video and sounds. However scholars in musicology express problems
of authenticity and issues such as the technical limitations of the conceptual model of
the current digital collections.
Key words: Digital language and virtual reality, audio documents and digital libraries.
I linguaggi possono essere analogici (come quello visivo) o numerici (come quello
digitale). Il linguaggio digitale è un linguaggio codificato, che non può rappresentare
il linguaggio analogico. Come conseguenza, le biblioteche digitali creano delle realtà
virtuali, che non devono essere viste come sostituzione della realtà ma solo come
opportunità di estensione delle possibilità tradizionali. Il caso dei documenti sonori
illustra bene questa problematica: le biblioteche digitali musicali raccolgono collezioni
di musica scritta, a stampa, video e immagini insieme ai documenti sonori. Tuttavia i
musicologi hanno problemi di autenticità insieme agli ostacoli posti dai limiti tecnici
del modello concettuale con cui le collezioni digitali sono costruite.
Parole chiave: Linguaggio digitale e realtà virtuale, documenti audio e biblioteche
digitali.
224
Gli autori
Gli autori
Giovanna Bellati è docente di Letteratura francese presso l’Università di Modena e Reggio
Emilia e presso l’Università Cattolica di Milano. Le sue ricerche attuali riguardano soprattutto
la letteratura e la cultura francese del periodo romantico, con particolare riferimento alla figura e
all’opera di Théophile Gautier, alla cui attività di critico teatrale è dedicato il volume Théophile
Gautier journaliste à “La Presse”. Point de vue sur une esthétique théâtrale (L’Harmattan,
Torino-Parigi, 2008). Ha inoltre recentemente curato un’edizione con traduzione a fronte e testi
introduttivi del dramma di Victor Hugo Hernani (ETS, Pisa, 2010).
[email protected]
Stefano Beretta è ricercatore di Letteratura tedesca all’Università di Parma. Si è occupato in
prevalenza della letteratura del Barocco, dei rapporti tra la cultura tedesca e la cultura spagnola,
dell’età classico-romantica, della letteratura del primo Novecento e della teoria della traduzione.
Ha scritto monografie sulla ricezione in Germania della picaresca spagnola (1992), sulla teoria
della traduzione nel romanticismo tedesco (2005) e su Robert Walser (2008).
[email protected]
Alberto Caprioli è compositore, direttore d’orchestra e musicologo. Dopo gli studi musicali a
Parma, Vienna e Salisburgo e gli studi letterari all’Università di Bologna con Carlo Ginzburg
e Umberto Eco, si laurea con lode in lettere moderne, relatore Ezio Raimondi. Parallelamente
all’attività musicale (commissioni e inviti da parte di vari festival – Wiener Festwochen, Milano Musica, Zeitfluss Salisburgo, Autunno di Varsavia, Berlino, Roma, Monaco di Baviera –,
registrazioni discografiche e radiofoniche in Italia, Germania, Austria e Regno Unito, conferenze
presso varie istituzioni – Mozarteum, Accademia del Teatro alla Scala, Conservatorio di San
Pietroburgo –), entra a far parte del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Comparatistica
Letteraria. Tra le sue attività: pubblicazioni sul Romanticismo europeo, Leopardi, Hölderlin,
Byron, Schumann, Berlioz, Brahms, Liszt, Carducci, Nono, Boulez, comunicazioni a convegni
internazionali (Università di Varsavia, Edmonton, Leida, Maryland, Cracovia, Torino, Nizza),
l’organizzazione del colloquio interdisciplinare “Poesia Romantica in Musica” per il Centro
Interdisciplinare di Studi Romantici dell’Università di Bologna e la co-direzione con Pierre
Brunel dell’Université Paris IV della tavola rotonda “Venise, Littérature, Musique” nell’ambito
225
La Torre di Babele
del convegno per il giubileo della International Comparative Literature Association all’Università Ca’ Foscari di Venezia.
[email protected]
Camillo Faverzani, comparatista e francesista di formazione, lavora essenzialmente sul romanzo e
sul teatro italiani e francesi tra Otto e Novecento. Ha dedicato diversi studi a Marguerite Yourcenar
– tra cui due libri, rispettivamente sul teatro (2001) e sulle fonti italiane (2003) – e ha curato
gli atti del convegno “Marguerite Yourcenar et la Méditerranée” (1995), oltre a due edizioni di
testimonianze radiofoniche e di saggi della scrittrice francese (Bulzoni, 2004, 2009). È autore di
uno studio monografico sulle fonti tragiche francesi classiche e illuministiche nei libretti d’opera
italiani del primo Ottocento (Bulzoni, 2007), di un volume su Maria Callas (Bulzoni, 2006) e di
numerosi articoli sulla librettistica. Insegna Letteratura italiana a Parigi (Université Paris 8), dove
ha avviato una serie di studi sulle modulazioni letterarie della voce. A sua cura una miscellanea su
‘la scrittura e la voce’ (2008) e l’edizione degli atti di un convegno su ‘scrittura e musica’ (2010).
Prepara l’edizione dei lavori del 2010 su ‘scrittura e opera lirica’ (giornata di studio e seminari) e
dirige un seminario su ‘tragedia e opera lirica’ (pubblicazioni previste nel 2011 e 2012).
[email protected]
Erminio Morenghi collabora con il Dipartimento di Lingue e letterature straniere dell’Università di Parma in qualità di cultore della materia e professore a contratto. Si occupa di letteratura tedesca e austriaca, in particolar modo del tardo Pietismo (Jung-Stilling), del Settecento
(Weimarer Klassik) e di Thomas Bernhard. Tra i suoi numerosi saggi e monografie si segnalano
Jung-Stilling. Quarzi di vita (MUP, Parma, 2004), Ingeborg Bachmann, personaggio di prosa
e di teatro, in “Palazzo Sanvitale”, 20 (MUP, Parma, 2007), Il sogno e la verità della guerra
“Ein Geschlecht” di Fritz von Unruh, in “Studia theodisca”, a cura di F. Cercignani (Pgreco,
Milano, 2008) e Friedrich Hebbel e Gerhart Hauptmann nei percorsi saggistici e traduttivi
di Olga Gogala di Leesthal, in Passione letteratura. Olga Gogala di Leesthal, a cura di M.
Biasiolo (CLUEB, Bologna, 2010).
[email protected]
Enrico Reggiani è professore associato di Letteratura inglese all’Università Cattolica di Milano;
vi insegna inoltre Cultura e civiltà dei paesi di lingua inglese. Nello stesso ateneo è anche docente
e coordinatore dei corsi di inglese per la comunicazione economica presso le Facoltà di Economia
e di Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative. Le sue pubblicazioni affrontano soprattutto la
cultura e la produzione letterarie (in lingua inglese) in Irlanda e quelle degli scrittori di matrice
cattolica (in particolare nel periodo 1789-1918). Altre pubblicazioni sono state prodotte dalle
sue competenze interdisciplinari in due settori di ricerca di lungo periodo: le relazioni tra cultura
letteraria e cultura musicale; i rapporti tra cultura letteraria e cultura economica. È membro
di varie società scientifiche nazionali e internazionali. Tra le sue collaborazioni: “Il Sole 24
Ore del Lunedì” dal 1986 al 2008; “Nuova Secondaria” dal 2003; “Ilsussidiario.net” dal 2008;
“L’Osservatore Romano” dal 2010. Dal 2007 è membro del Forum del Progetto Culturale della
CEI. Suo il blog Irish literature and other literaria (http://wbyeats.wordpress.com/).
[email protected]
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Gli autori
Nieves Arribas è laureata in Filologia (Università di Salamanca) e ha un Master in Didattica di
Spagnolo Lingua Straniera (Università di Barcellona). Ha lavorato in diverse università (Verona, Milano, Bergamo e Trieste). È ricercatrice di Lingua e traduzione spagnola all’Università
dell’Insubria. Si occupa di lessicografia, fraseologia, didattica dello spagnolo come seconda
lingua e traduzione. È membro del CIRSIL (Centro Interuniversitario di Ricerca sulla Storia
degli Insegnamenti Linguistici). Tra i suoi ultimi lavori si segnalano: La fraseología para el
diccionario Garzanti Spagnolo (Garzanti, Milano, 2008) e Reflexiones sobre traducción en
textos de interiorismo (in corso di stampa).
[email protected]
Davide Astori, laureato in Lettere indirizzo classico, dottorato in Romanistica (LMU, München),
dopo aver insegnato fra l’altro Lingua e cultura ebraica è, dal dicembre 2006, ricercatore del
s.s.d. L-LIN/01 presso l’Università di Parma. Fra gli interessi primari: indoeuropeistica, lingue
in contatto, traduttologia, minoranze e politiche linguistiche.
[email protected]
Luisa Chierichetti, professore associato di Lingua spagnola presso l’Università di Bergamo,
ha inizialmente dedicato la sua attività di ricerca verso la letteratura spagnola degli anni Trenta,
rivolgendo la sua attenzione verso gli aspetti linguistici dell’espressione umoristica (Narrazione
e umorismo. López Rubio, Jardiel Poncela e Neville, Bulzoni, Roma, 2000). La sua attività
scientifica più recente riguarda la storia degli insegnamenti linguistici (è membro del CIRSIL,
Centro Interuniversitario di Ricerca sulla Storia degli Insegnamenti Linguistici dell’Università
di Bologna) e i linguaggi specialistici (è membro del CERLIS, Centro di Ricerca sui Linguaggi
Specialistici dell’Università di Bergamo), in particolare il linguaggio giuridico, che ha studiato
soprattutto in chiave contrastiva spagnolo/italiano.
[email protected]
Kumusch Imanalieva è professore a contratto di Lingua e traduzione russa presso l’Università
di Parma. Studiosa delle connessioni tra la cultura musicale italiana e quella russa ha scritto
e ha tradotto diversi saggi per il “Bollettino del Centro rossiniano di studi”, “Musica/Realtà”,
“Aurea Parma” e altri. Ha curato insieme a Nicoletta Cabassi il volume L’opera comica russa
nel Settecento (MUP, Parma, 2010).
[email protected]
Carlotta Sparvoli è laureata in Lingua e letteratura cinese e dottoranda in studi sull’Asia
Orientale (Università Ca’ Foscari, Venezia). Dal 2006 è docente a contratto di Lingue e letterature della Cina e dell’Asia Sud Orientale. Ambiti di ricerca: linguistica dei corpora, semantica,
linguistica applicata all’ermeneutica, pensiero cinese. Ricerche in corso: le espressioni soggettive
nei testi normativi in lingua cinese.
[email protected]
Anna Maria Tammaro insegna presso l’Università di Parma ed è il coordinatore locale del
Master Erasmus Mundus “Digital Libraries Learning”, joint Master con Oslo University College
227
La Torre di Babele
e con Tallinn University. Dal 2008 è Research Fellow dell’University of Illinois, Graduate
School of Library and Information Science, Urbana Champaign e dal 2007 è Chair della
Sezione Education and Training dell’IFLA (International Federation of Libraries Association).
I suoi interessi di ricerca riguardano: la formazione in biblioteconomia, le biblioteche digitali
e l’editoria digitale.
[email protected]
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2011
presso Laser Copy Center (Milano)
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