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Storia e ricette
O·R·M·E|TARKA
cucine del territorio
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“cucine del territorio”
volumi già pubblicati:
La cucina abruzzese dei trabocchi, di Maria Teresa Olivieri
La cucina ampezzana, di Rachele Padovan
La cucina aretina, di Guido Gianni
La cucina bresciana, di Marino Marini
La cucina dei Genovesi, di Paolo Lingua
La cucina della Carnia, di Pietro Adami
La cucina della Terra di Bari, di Luigi Sada
La cucina della Tuscia, di Italo Arieti
La cucina delle Murge, di Maria Pignatelli Ferrante
La cucina del Parco del Delta, di Graziano Pozzetto
La cucina del Piemonte collinare e vignaiolo, di Giovanni Goria
La cucina di Lunigiana di Salvatore Marchese
La cucina ferrarese, di M.A. Iori Galluzzi, N. Iori, M. Jannotta
La cucina fiorentina, di Aldo Santini
La cucina istriana, di Mady Fast
La cucina livornese, di Aldo Santini
La cucina maremmana, di Aldo Santini
La cucina modenese, di Sandro Bellei
La cucina padovana, di Giuseppe Maffioli
La cucina picena, di Beatrice Muzi e Allan Evans
La cucina reggiana, di M. A. Iori Galluzzi, N. Iori
La cucina trapanese e delle isole, di Giacomo Pilati e Alba Allotta
La cucina trevigiana, di Giuseppe Maffioli
La cucina vicentina, di Giovanni Capnist e Anna Capnist Dolcetta
Le cucine delle Valli d’Aosta, di Salvatore Marchese
Le cucine di Parma, di Marino Marini
Le cucine di Romagna, di Graziano Pozzetto
Mangiare triestino, di Mady Fast
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Maria Teresa Olivieri
La cucina
abruzzese
dei trabocchi
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La cucina abruzzese dei trabocchi
di Maria Teresa Olivieri
La prima edizione di questo libro è stata pubblicata nel 2002
Tutti i diritti sono riservati
Nuova edizione: febbraio 2013
Edizione con nuova prefazione: aprile 2014
© 2014 Lit Edizioni s.r.l.
Orme è un marchio di Lit Edizioni s.r.l.
Sede operativa: Via Isonzo 34, 00198 Roma
Tel. 06.8412007 – fax 06.85865742
(su licenza di Tarka/Fattoria del Mare s.a.s. di Franco Muzzio)
www.ormebooks.it
Fotografie dei trabocchi e ricerca fotografica: Fulvio Biancatelli
Impaginazione ed editing: Monica Sala
Stampa Grafiche del Liri s.r.l.
Via Napoli, 852
03036 Isola del Liri (FR)
per conto di Lit Edizioni s.r.l.
Largo Giacomo Matteotti 1
Castel Gandolfo (RM)
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Indice
Presentazione di Gino Primavera VII
Prefazione di Giuseppe Ferraro X
Premessa XV
Il rito della condivisione di Alberto di Giovanni 1
Il trabocco, ieri oggi e… domani? di Lucio Biancatelli 3
Gli alimenti base della cucina dei trabocchi 7
Pomodoro e peperone: le tecniche della conservazione casalinga 8
L’olio extravergine di oliva,
il condimento base della cucina abruzzese 12
Il pesce 15
I piatti tradizionali 17
La pasta alimentare 21
La farina di mais e le verdure 22
Le ricette delle stagioni
Estate 29
Le uova 32
Le canocchie (o pannocchie) 35
Le feste: San Vito patrono
e la Madonna del Porto, protettrice della Marina 36
Cozze e vongole 39
Le marmellate 42
Autunno 45
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VI
la cucina dei trabocchi
L’uva Montepulciano e le tradizioni 45
Il vino e il suo valore alimentare 48
I polpi 51
La ricorrenza di Ognissanti 53
I dolci 57
I cellipieni 60
Matrimonio, pizzelle e non solo... 74
Valore nutrizionale degli alimenti dolci 76
Inverno 79
I legumi 80
Il Natale e le tradizioni alimentari 83
Il Carnevale e la “cicerchiata” 91
Primavera 95
La Pasqua 95
I formaggi 98
La pesca delle seppie 100
Pesce azzurro 103
Acciughe, sardine e sarde 103
È abruzzese la vera cucina mediterranea 105
Indice analitico delle ricette 107
Indice alfabetico delle ricette 111
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Presentazione
L’esigenza di salute a tavola, oggi sempre più richiesta, sta mettendo in crisi una tendenza nutrizionale conseguente all’aumento del
benessere.
Dagli anni ’60 in poi abbiamo abbandonato il modello alimentare
tipico della cucina povera e tradizionale, per dare spazio a quegli
alimenti ai quali si attribuisce un valore simbolico di “ricchezza”
e il cui consumo è cresciuto notevolmente con l’aumento dei redditi.
Mi riferisco ovviamente alla carne e ai suoi derivati, ai latticini, ai
grassi animali, agli alimenti raffinati che racchiudono in un piccolo volume un alto valore calorico.
Stiamo però scoprendo sulla nostra pelle – e la scienza medica ce
lo conferma – che questo modello alimentare “ricco” non è quello ideale per la nostra salute, anzi spesso è causa di tutte quelle
malattie, come quelle vascolari, che vengono definite “da civilizzazione”.
Per questo sono stati rivalutati i piatti poveri della cucina tradizionale: il modo ideale di nutrirsi – anche per la qualità della vita
di oggi – è paradossalmente quello che era in auge ai tempi in cui
non avevamo le conoscenze attuali in tema di alimentazione.
La società dei consumi, da parte sua, è attenta ai segnali dei consumatori e alla loro richiesta di genuinità ed è capace di fagocitare
e fare proprio anche ciò che non le appartiene, usando tutte le tecniche pubblicitarie di manipolazione psicologica dei consumatori:
per questo fa diventare tradizionale ciò che non lo è e ci propone tortellini prodotti industrialmente, ma con connotati simili a
quelli preparati in casa, prodotti tipici fatti in serie, dolcetti della
nonna con ingredienti come la lecitina di soia transgenica, il tutto
presentato tra prati verdi, ruscelli e visioni idilliache della natura.
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VIII
la cucina dei trabocchi
E allora ben vengano libri come questo che ci aiutano a stabilire
ciò che può considerarsi tradizionale, perché ha una cultura ed
una storia alle spalle, e ciò che invece ne rappresenta una cattiva
imitazione.
Io credo che la prima condizione da porre e il vero discrimine da
sottolineare è l’origine assolutamente familiare dei piatti della tradizione, come dimostrano anche le ricette presentate da Maria Teresa Olivieri: tutti i piatti sono nati nella case di San Vito Chietino
(la patria dei trabocchi tanto cari anche a Gabriele D’Annunzio),
utilizzando determinati ingredienti e solo quelli, precise tecniche
di lavorazione e relativi tempi di elaborazione.
Si tratta di pietanze legate a specifiche culture materiali, a eventi
familiari o sociali, a esigenze di gusto, alla disponibilità dei prodotti agricoli, alla necessità di approntare il pasto quotidiano o
alla gratificazione del pranzo della festa.
Tenendo conto di questi aspetti, sicuramente La cucina abruzzese
dei trabocchi può considerarsi una vera testimonianza di autentica
cucina tradizionale che l’autrice ci fa conoscere con la passione dei
ricordi e con il puntiglio della ricerca.
Altro carattere che distingue il nostro passato in cucina è l’estrema
variabilità dei piatti, nella cui realizzazione possono esserci differenze anche in ambiti territoriali ristretti. Questo perché, pur esistendo pietanze canoniche, bastava una piccola differenza culturale, economica, sociale o territoriale, perché si inserisse nel piatto
un ingrediente piuttosto che un altro.
Così capita, come in questo libro, che ci siano ricette di piatti che,
pur presenti in altre zone dell’Abruzzo e standardizzati in certa cucina tipica, presentano variazioni che giudico come novità molto
gradite e inequivocabile segno di una vera ricerca culturale e non
di una pianificazione alla quale si assiste quando esperti gastronomi ci riferiscono della cucina tradizionale.
La ricchezza dei contenuti e la loro autenticità fanno de La cucina
abruzzese dei trabocchi una testimonianza singolare del patrimonio gastronomico abruzzese, una preziosa guida storica alle tradizioni più genuine di un territorio ben definito.
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presentazioneIX
Una guida che si basa su ricette della vera cucina tradizionale,
quella “fatta in famiglia”, realizzate nelle case dei sanvitesi e per
questo straordinariamente vere, quasi primitive.
Penso alle conserve fatte in casa che non rappresentano semplicemente ottime trasformazioni dei prodotti agro-alimentari del
territorio, ma hanno una notevole valenza culturale, in quanto
frutto di lavori collettivi rituali: vedi il fervore, il clima di solidarietà, il senso di benessere proprio del lavoro per la trasformazione
dei pomodori in “bottiglie”, vedi l’allegria dei gruppi familiari che
si riuniscono per preparare passate di pomodoro e pomodori a
pezzetti che dureranno tutto l’anno.
Ma penso anche alle ricette delle marmellate e dei dolci, che
sono innegabili contributi alla “produzione” e all’offerta di affetto: la dedizione meticolosa nella preparazione dei dolci rappresenta infatti una delle maggiori gratificazioni culinarie delle
nostre tavole.
La cucina abruzzese dei trabocchi infine ha un’altra caratteristica molto importante e particolare, un valore aggiunto che nella
vera gastronomia tradizionale non è solo il “mangiare”: ci sono
significati e spiegazioni, connotazioni rituali e storiche, legami
culturali. E nelle ricette – di suo – Maria Teresa Olivieri mette
sempre un qualcosa in più che forse, in senso lato, potremmo
definire amore.
Gino Primavera
Docente di “Scienza degli alimenti”
Istituto Alberghiero di Villa Santa Maria (Ch)
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Prefazione
Non sono un nutrizionista, né un dietologo. Sono però uno che
mangia. Solo questo mi autorizza a parlare di un libro di cucina. È
stato per me bello leggerlo, mi è piaciuto. Anche i libri si gustano,
si assaporano, possono essere insipidi e pieni di sapienza, mancare
di sale o averne in giusta misura. Anche i libri si mangiano. Questo poi è anche un libro che fa mangiare e rivela il segreto della
sua cucina: il rapporto con la sua terra. Un libro di cucina è un
libro del territorio. Ne porta i sapori, i frutti, i profumi, vive delle
voci della gente del paese, gira le sue pagine con le stagioni e le
tradizioni, svela i riti e segue le ricorrenze che sono le rimembranze della comunità. È un libro questo che fa il giro dell’anno intero
della comunità, di un paese di terra e di mare, San Vito.
Trovo di grande bellezza che questa nuova edizione sia stata curata
dai figli di Maria Teresa, perché la cucina è la memoria del corpo.
Sono gli odori di casa, i gesti delle madri, sono il “non mi piace”
di un giorno divenuto “mi è piaciuto tantissimo” di un altro giorno vissuto in allegria, i sapori non sono separati dalle relazioni e i
legami si trasmettono nella mistura degli ingredienti che stabilisce
la misura del gusto proprio. Ci si educa in cucina, i sentimenti
diventano sapori.
È il rapporto con la madre, con i prodotti delle stagioni, della terra e del mare. Quelli che si aspettano a ogni giro dell’anno e quelli
che non possono mai mancare. Un esempio. Qui si mangia dappertutto il peperone, in ogni piatto. Se non c’è il peperone, non
è cucina abruzzese ovvero non è cucina sanvitese dei trabocchi.
L’ingrediente assume il valore simbolico di un’appartenenza, di un
sapore, quasi del tono della voce, della sua inflessione.
La fortuna dell’Abruzzo è di vivere in una dimensione di comunità destinata dalla particolare morfologia del territorio. Quasi
che sia il territorio a farne da guardia e frontiera valicabile, senza
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prefazioneXI
confine. Non ci sono grandi città, che si estendano in agglomerati
urbani di milioni di abitanti. La conformazione collinare insieme
alle montagne e al mare favorisce cittadine, centri urbani composti, comunità rurali, che si riconoscono nella regione come in un
solo territorio plurale, gli Abruzzi, come si diceva un tempo. Ed
è sorprendente come ci si riconoscano abruzzesi in un’unità del
territorio più che altrove in altre regioni. Si conservano perciò
tradizioni e memorie dei corpi, voci, sapori.
Questo non è un libro di scienza, è un libro di sapienza. Vorrei insistere su questo rapporto di sapienza e comunità che trova nell’arte
della cucina la sua più intima espressione. “Intima” perché propria del corpo della terra. Bisogna ammettere questa interiorità
del corpo che ci rivela l’anima insieme alla vocazione della terra e
alle voci della sua gente. La sapienza è il sapere di, l’avere sapore,
portarne l’odore, sentire. Il sapiente non è chi sa qualcosa, ma
chi sa “di” qualcosa, non oggettiva, ma soggettiva, assaggia, assapora, e il giusto è quel che porta equilibrio, stabilità, piacere del
proprio sentire come di quello comune. Quando devo spiegare il
significato della sapienza mi accade di fare riferimento alla cucina.
Come dire: “questo brodetto non sa di niente”. Lo diciamo non
perché non sia andato a scuola o non sia istruito, ma perché tutti
gli ingredienti che lo compongono non sono “legati” nella giusta
misura di proporzione e di cottura. Allora si dice che non sa di
niente o come diceva Eduardo del ragù che non sa di niente perché è solo carne con il pomodoro. Gli elementi sono slegati. La
sapienza è nel saper legare e i legami sono sentimenti, si sentono.
Anche in cucina. Il giusto legame degli ingredienti è giusto il legame che si ha con i propri familiari. Il brodetto che fa la mamma è
diverso da ogni altro. La cucina dice dei nostri affetti, dei legami,
di quelli familiari come di quelli di comunità – come quando si
dice, ancora del brodetto, di quello che si fa a San Vito o a Vasto.
Quanto è importante sapere di questi legami, ritrovarli alla tavola,
dove ci ritrova insieme. Quanti legami passano per il sapore della
nostra cucina, quanta sapienza.
È il sapere del corpo, il sapere sapiente, lo stesso che è nelle mani
dell’artigiano. Non tutti i saperi sono sapienti, non tutte le per-
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XII
la cucina dei trabocchi
sone che hanno sapere sono sapienti. La competenza spesso è insipida in chi non riconosce le circostanze dei luoghi e dei legami.
Non basta sapere fare bene le cose, se poi non si sa che cosa è bene
fare. Così non basta sapere che cosa ci vuole per fare il brodetto, se
poi non si sa cosa è bene fare al momento opportuno con questa
o quella resa degli ingredienti. Quindi quando parliamo di un
libro di cucina parliamo di un libro di sapienza, più che di un
libro di scienza. E qui è evidente che l’elemento della ricorrenza è
in primo piano. Le stagioni non seguono tutte in uguale serie. Le
stagioni a San Vito cominciano dall’estate. Così non ci sorprende
che nel libro sia questa a iniziare la serie dell’anno.
Maria Teresa ha scritto un libro di cucina raccontandola. Ne viene
una biografia della comunità. I ricordi personali e le ricorrenze del
paese. Il suo è il gesto di restituzione di una memoria propria in
quella comune. Si restituisce se stessi alla propria terra. La riporta
nel gusto, nel piacere di viverla. Parlando di sé, della sua famiglia
d’origine, Maria Teresa parla della comunità, della sua infanzia.
Quanti di noi possono parlare di sé, parlando della comunità?
Quanti si possono raccontare nella comunità? Questo libro mantiene questa sapienza. È bello perciò che sia accompagnata da foto
che danno la dimensione del tempo. Lo illustrano. Lo mettono
a lustro, gli danno vanto e gusto. Gli danno luce. Non è difficile
ritrovare nelle immagini i gesti, gli odori, il sapore del tempo. Qui
il paragone con Proust arriva spontaneo, la madeleine non vale
nu celli piene e na frittelle... per chi è stato a casa di Maria Teresa,
ovvio. Questo ritorna nel libro una memoria della comunità, che è
anche la memoria della terra, di prodotti che sono della terra. Prodotti che non hanno scritta su bigliettino la scadenza, sono quelli
raccolti e lavorati alla conserva. La cucina è anche la conserva,
la credenza, tutte espressioni che assumono un significato che va
ben al di là delle cose per diventare la nostra stessa etica, la nostra
memoria e il nostro rispetto per la vita. Vi affiora la religiosità.
Il credere come dimensione dell’umano, non importa quale sia
la confessione, basta confessare la propria dipendenza, la propria
fragilità, il proprio bisogno di stare insieme. Le ritualità vengono
a prendere in rete questi bisogni e renderci comuni. Con/servare è
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prefazioneXIII
anche il serbare, la credenza è il luogo in cui conserviamo le cose
per quelli che vengono dopo. La credenza è anche il luogo interiore della comunità.
In portoghese bambino si dice “criança”. E noi in dialetto diciamo
“crieanz” per intendere anche il “morso della crianza” ovvero quello che si lascia per quelli che verranno. Abbiamo dovuto aspettare
il Rapporto Burtland del 1987 sul Our Common Future con le
prime disposizioni di accordi internazionali per la tutela dell’ambiente e la biodiversità, per leggere come “lo sviluppo sostenibile è
uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
Eppure tutto questo è espressione della cultura della comunità
della terra, come si comprende bene in un libro di cucina come
questo dove si spiega come si fanno le bottiglie di pomodoro o
come si conserva il peperone.
Già, il peperone, sempre regnante il peperone. Quello verde soprattutto è fantastico. Poi ci stanno i dolci. I dolci sono sempre legati
ai momenti particolari delle festività. Sarebbe bello fare delle ricerche, per capire perché a San Vito, quando arriva la Pasqua invece
della colomba si fa il cavallo... Quello bianco, quello di cioccolata.
Anche perché nella simbologia il cavallo ha una valenza importante. Penso alle influenze di altre culture e credenze che sono passate
per queste terre, altri costumi, altre confessioni anche, che oggi
consideriamo lontane o che abbiamo allontanato per altre, eppure, ecco, si conservano. Ciò a dimostrare che le credenze sono anche
fatte di mescolanze e che si “muovono”, si mischiano, cambiano,
si alterano, vivono come le viviamo in comune, stando insieme.
Restano come segni del tempo che ci ha preceduto e ritornano
insieme ad altri tempi in una contemporaneità umana.
Un filosofo ha detto: “L’uomo è ciò che mangia”. Una frase che si
banalizza sempre. I nostri corpi appartengono alla terra che li ha
generati, i luoghi sono le persone che li abitano anche fisicamente.
I nostri gesti appartengono alla terra, per come la viviamo, per le
condizioni che stabiliamo nel vivere comune. Allora ognuno è ciò
che mangia ovvero è come sta, in rapporto con la propria terra
insieme agli altri che vivono in comune.
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XIV
la cucina dei trabocchi
C’è un’altra cosa molto bella, questo libro ci parla degli strumenti, degli “arnesi” della cucina. Gli strumenti sono come l’arte dei
gesti. Non si parla allora del rintrocilo senza fermarsi a spiegare
lo strumento che li produce. Uno strumento che non si trova da
nessun’altra parte e che altri non riconoscerebbe. Così come singolare è il trattamento della pannocchia. Anche i nomi hanno
la loro specificità di appartenenza. I pesci vengono chiamati in
modo diverso e sono diversi essi stessi per colore e dimensione.
Quelli che vengono “da fuori” si riconoscono subito. Ecco questo misurarsi con la terra, con l’ambiente, questo inventare anche
degli strumenti diventa un modo di conoscere terre e persone. È
come entrare nelle case, ritrovare l’intimità del gusto, del piacere,
del sentimento. È la sapienza di una comunità, il suo sapore. Ecco
perché dico che questo libro esprime un sapere sapiente, etico.
La cucina è la memoria della comunità, la sua invenzione, i gesti,
i modi, gli affetti. Quando visitiamo città e paesi, la prima cosa
che ci viene da fare è mangiare i piatti locali. È come incorporare,
sentire quello che si vede intorno.
Non voglio dimenticare infine i tempi della cucina, non solo stagioni e ricorrenze, ma i tempi tecnici, quelli della pentola di terracotta o di quella in metallo, i tempi dei singoli ingredienti – ma
non voglio dimenticare il tempo che cominciava così: “Oggi che
facciamo, oggi che si mangia?”. Il tempo del giorno, che diventa
anche di quel giorno. Anche la settimana veniva scandita come
un intero anno: il giovedì si mangia questo, il venerdì quest’altro.
Queste ritualità le abbiamo perdute. I tempi della giornata erano
diversi, erano di un ritmo e di un mondo, uno stile di vita. Non
c’erano i nutrizionisti, i dietologi, allora anche un filosofo come
me poteva parlare di cucina e presentare adesso questo libro che
insegna con la cucina l’arte di vivere insieme, nella sapienza dei
legami più importanti, quelli che ci fanno stare bene insieme trovandosi a dire “oggi che si mangia?”, “cosa dobbiamo cucinare?”.
Apriamo il libro e cominciamo.
Prof. Giuseppe Ferraro
Università “Federico II”, Napoli
agosto 2013, ZOOART Ortona (CH)
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Premessa
Il mio interesse per le ricette tradizionali abruzzesi, e di San Vito
in particolare, è di lunga data, ma è diventato “professionale”
nell’anno scolastico 1980-81. Infatti, come insegnante di Scienza dell’Alimentazione nel Corso Econome Dietiste dell’I.T.F “A.
Celli” di Roma, programmai con il mio collega Damiano Fucinese, docente di Lettere, la ricerca interdisciplinare: “L’Abruzzo e la
sua tradizione alimentare”.
Il lavoro, nella sua parte sperimentale, si svolse in territorio frentano dal 2 al 6 aprile 1981 e io curai (insieme alle allieve) molte interviste a San Vito, Lanciano e Guardiagrele. Il professor Fucinese
curò invece la parte artistica. Le ricette furono anche esaminate da
un punto di vista nutrizionale e alcune furono realizzate a scuola
sotto la guida della professoressa Lucia Bifulco Fasella.
Ma i piatti di questo libro provengono esclusivamente dalla tradizione di San Vito, il paese dei trabocchi: in parte sono quelli ereditati dalle mie zie Genoveffa Cocucci Olivieri e Iolanda Olivieri,
con le quali ho passato buona parte della mia vita e dalle quali ho
visto realizzare tante ricette (lasciate scritte a mano anche in un
libretto).
A queste ho aggiunto altri contributi di donne, ristoratori e forni
di San Vito, che ringrazio. Il mio compito è stato quello di mettere a punto e di sperimentare tutto personalmente – oltre che di
scrivere – perché questo patrimonio rimanga a disposizione delle
giovani generazioni e degli appassionati delle tradizioni. Naturalmente ho riportato solo i piatti più importanti, che potrebbero
essere realizzati anche in altre versioni. Ma è proprio questa la
creatività della cucina popolare!
Un affettuoso pensiero di gratitudine al prof Sebastiano Calella
che mi ha incoraggiato e sostenuto in questa iniziativa.
Maria Teresa Olivieri
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A Maurizio
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Il rito della condivisione
“Intre, ca vive” (accomodati, e bevi un bicchiere di vino). Così a
San Vito, per tradizione, accoglievano chi appariva sulla porta di
casa. Se, poi, la famiglia era riunita a desinare, veniva subito creato un posto a tavola per l’ospite, con un cordialissimo, ma fermo
“Favurisce! Magne ’nghe nu!” (Favorisci! Mangia con noi!).
E a tavola, davanti alle scodelle fumanti e al boccale di rosso gagliardo, si rimaneva a lungo a conversare; nascevano amicizie e
comparati, che venivano rinsaldati nel tempo con reciproci inviti
“a magnà” e con scambi di piatti graditi e di primizie della terra
e del mare.
La condivisione del cibo, un rito di connotazione sacrale!
La cucina dei nostri nonni era, in genere, il locale più ampio e più
importante della casa, con l’immancabile focolare sempre acceso.
Per la cucina passavano gli eventi grandi e piccoli della famiglia
e le relazioni sociali. Vi dominavano le nonne e le mamme. Con
le figlie e le nuore attendevano alla cura dei pasti giornalieri; impastavano la farina per la pizza di “grandinie”, per le sagne, per i
tacconi, per il pane della settimana; manipolavano i prodotti freschi da conservare (sott’olio, sott’aceto, essiccati, a bagnomaria, in
mancanza di frigo); preparavano, a gara e con il cuore, i loro piatti
forti e i dolci rituali, secondo le circostanze e ricorrenze: “cellipieni” a canestri per la sposa che doveva volare via da casa, “cicerchiata” a Carnevale, consòlo per un lutto; e poi pupe e cavalli, cuori e
fiadoni per Pasqua, “sciosci” e crispelle per Natale.
Si faceva tutto in casa, a mano, con la collaborazione di parenti
e amiche nei lavori di maggiore impegno: fuoco a legna; cotture
lente e lunghe; materie prime genuine; prodotti semplici e naturali; sapori netti; odori decisi; fragranze penetranti che sapevano
di casa; atmosfera di calda e serena vita familiare.
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2
la cucina abruzzese dei trabocchi
Consuetudini e preferenze alimentari sono ancora vive, per disparati versi, nelle famiglie sanvitesi veraci. Certo! Gli scenari sono
cambiati: le cucine sono raramente “abitabili”. Vi troviamo complicati apparecchi elettronici per i ritmi di vita sempre più veloci
e, spesso, cibi impacchettati e prodotti di inquietante derivazione
genetica. Restano e troviamo ancora a San Vito, però, le materie
prime, gli elementi base, la sostanza dei saporosi e caratteristici
piatti della cucina tradizionale, insieme con la calda ospitalità del
tempo passato e con il piacere grande di condividere i momenti
significativi della vita, a tavola, con le persone care. Il passato vive
dentro di noi. Basta un indizio per farlo fremere. È la nostra cultura, compendio dei valori appresi con i processi di socializzazione.
Guai se dovesse disperdersi…
Benvenuta, allora, questa pubblicazione di Maria Teresa Olivieri
sulla cucina della società sanvitese. Un libro che ci riavvicina al
ritmo naturale delle stagioni. Un viaggio dentro e fuori di noi, in
un grande specchio. Un libro che mancava.
Maria Teresa Olivieri, romana solo anagraficamente, riscopre
lei stessa, con amore, la civiltà delle sue radici sanvitesi. Non ci
propone un arido elenco. Intercala le varie ricette con essenziali
schede sulle caratteristiche e sul valore nutrizionale dei principali
prodotti-alimenti.
Lega il tutto con leggere pennellate storiche e sociologiche di
sfondo, sul filo di una confidenziale conversazione. Insomma, una
grande, ideale cucina del cuore, delle emozioni e delle tecniche.
Entra pure tu e favorisci, ospite gradito.
Alberto di Giovanni
San Vito Chietino
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